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Mario Liberto

Legumi sostenibili buoni per buongustai, vegetariani e vegani

Presentazione di Dario Cartabellotta Dirigente Generale Dipartimento Agricoltura Regione Sicilia Introduzione di Francesco Sottile Università degli Studi di Palermo e Slow Food Italia

Edizioni Momenti

INDICE

Presentazione pag. 13

Introduzione 15

Proteine: la preoccupazione della FAO 17

Legumi: il futuro dell’umanità 19 L’utilizzo degli insetti per sopperire al fabbisogno proteico 19 Un piano per lo sviluppo delle proteine vegetali 20

Legumi: il cibo dei poveri che piace ai ricchi 23 Le produzioni mondiali 24 Europa, produzione in aumento, ma resta la dipendenza dalle importazioni 25 Le produzioni e i consumi in Italia 25

Legumi: tra cultura, storia e leggenda 29 I legumi e l’archeologia 29 I legumi nella Grecia antica 30 I Romani e i legumi 31 Il Medioevo e i legumi 33 Legumi e religioni 33 I legumi in epoca moderna 34

Leguminose: le piante miglioratrici del terreno 35

Aspetti salutistici dei legumi 39 Quante porzioni a settimana 42 Raccomandazioni sul consumo di legumi 43 Legumi: flatulenza e altri disturbi digestivi 44

I legumi: gioielli d’Italia, tra DOP, IGP, Presidi e PAT 45 45 Basilicata 46 47

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 5 pag. 47 Emilia Romagna 48 Friuli Venezia Giulia 48 Lazio 49 Liguria 49 50 Marche 50 Molise 50 51 Puglia 52 Sardegna 53 Sicilia 54 Toscana 56 Umbria 57 Veneto 58 Legumi Dop e Igp d’Italia 59 Presidi Slow Food Legumi d’Italia 60 Elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali - DM 350/1999 61 Le produzioni garantite: marchio europeo, Bio e P.A.T. 62

Aspetti etnoantropologici e biodiversità dei legumi 65 Legumi come gioielli di famiglia 66 Un lavoro duro e pieno d’insidie 68 I legumi: buoni da mangiare e per marcare le festività 69 I legumi mostrano anche una loro sacralità 69 Quarare bivalenti: un po’ sacre e un po’ profane 70

Le sagre dei legumi d’Italia 73 Sagra della fava 74 Sagra della lenticchia 74 Sagra dei piselli 75 Sagra dei ceci 75 Sagra dei fagioli 75 Sagra della cicerchia 75 Sagra del lupino 75

6 Mario Liberto Fava (vicia faba) pag. 77 Introduzione 77 Importanza Economica 77 Storia 78 Aspetti Nutrizionali 80 Le varietà 82 Guida all’acquisto 82 Conservazione e alterazioni 82 Le fave in cucina 83 Fave e cosmesi 84

Lenticchie (lens esculenta) 85 Introduzione 85 Importanza economica 86 Storia 86 Aspetti nutrizionali 88 Le varietà 89 Guida all’acquisto 90 Come conservare le lenticchie 90 Le lenticchie in cucina 91 Lenticchie e cosmesi 92

Piselli (pisum sativum) 95 Introduzione 95 Importanza economica 96 Storia 96 Aspetti nutrizionali 97 Le varietà 98 Guida all’acquisto 99 Conservazione dei piselli 99 Il pisello in cucina 99 Piselli e cosmesi 100

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 7 Ceci (cicer arietinum) pag. 103 Introduzione 103 Importanza economica 103 Storia 104 Aspetti nutrizionali 105 Le varietà 106 Guida all’acquisto 106 Conservazione 106 I ceci in cucina 107 Ceci in giro per l’Italia 108 Ceci e cosmesi 109

Fagiolo (phaseolus vulgaris) 111 Introduzione 111 Importanza economica 111 Storia 112 Aspetti Nutrizionali 114 Le varietà 115 Guida all’acquisto dei fagioli 116 Conservazione dei fagioli 116 Fagiolino 117 Guida all’acquisto dei fagioli 117 Conservazione dei fagiolini 118 I fagioli in cucina 119 Fagioli e cosmesi 120

La cicerchia (lathyrus sativus) 121 Introduzione 121 Importanza economica 122 Storia 122 Aspetti nutritivi 122 Le varietà 124 Guida all’acquisto 124 Conservazione della cicerchia 124 La cicerchia in cucina 125

8 Mario Liberto Il lupino (lupinus spp.) pag. 129 Introduzione 129 Importanza economica 130 Storia 130 Aspetti nutritivi 132 Le varietà 134 Guida all’acquisto 134 Conservazione 135 I lupini in cucina 135 Lupino e cosmesi 136

La soia (glycine max) 137 Introduzione 137 Importanza economica 138 Storia 138 Aspetti nutritivi 140 Le varietà 141 Guida all’acquisto 142 Conservazione della soia 143 La soia in cucina 143 Il Tofu o formaggio di soia 144 Soia e cosmesi 145 Trattamento per il corpo 146 Per idratare e nutrire i capelli 146 Massaggi e la cura della pelle 146 Curiosità 146

Come si cucinano i legumi 147 Fase di ammollo 147 Ammollo tradizionale 148 Ammollo rapido 148 Cottura legumi 148 La cottura nella pentola a pressione 149 I legumi cucinati con il forno a microonde 149 Come conservare i legumi cotti 149

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 9 Alcuni accorgimenti per migliorare la cottura dei legumi pag. 149 Come abbinare i legumi 150

Legumi: le più famose ricette d’Italia 151 Crapiata (Basilicata) 151 (Sicilia) 152 Imbrecciata (Umbria) 152 (Toscana) 153 La Mes-Ciüa o Mesciüa (Liguria) 154 Calzagatt (Polenta e Fagioli) (Emilia Romagna) 154 Lagane e ceci (Basilicata) 155 Cavatelli pugliesi con le fave (Puglia) 156 Zuppa di cicerchia alla marchigiana (Marche) 156 e fagioli alla veneta (Veneto) 157 Zuppa di fave alla siciliana 158 Fave e cicorie (Sardegna) 158 Ceci stufati (Sardegna) 158 Pasta e Ceci (Sardegna) 159 cun is gerdas, un piatto autunnale classico in Sardegna 159 Il minestrone dei Centenari d’Ogliastra 160 Fagioli con le cotiche (cucina laziale). 161 Zuppa di fave alla calabrese – Fave a fratto 161 Fasolada o fasolia soupa, piatti storici della Grecia antica ancora attuali 162

Legumi per vegani e vegetariani 163 Dieta vegetariana e vegana: come assicurarsi tutte le proteine necessarie 163 Couscous con le lenticchie 164 Burger di verdure 164 Burger di lenticchie 165 Insalata mediterranea 165 Burger di ceci 166

10 Mario Liberto Semi nutrienti per un futuro sostenibile pag. 167 Una nuova politica europea in favore delle leguminose 168

Bibliografia 170

Sitografia 173

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PRESENTAZIONE

I legumi sono un elemento centrale della civiltà agricola ed alimentare della Sicilia. Fave, ceci, lenticchie, fagioli, cicerchie, lupini sono stati preziosi per l’apporto di pro- teine e fibra alla dieta alimentare e hanno caratterizzato l’identità delle preparazioni in cucina. Gli agricoltori hanno saputo custodire e tramandare un ricco patrimonio varietale creato dalla natura che ha reso la Sicilia un prezioso scrigno da cui attingere le risorse per una migliore programmazione strategica del New Green Deal (transizione ecolo- gica) e del Farm to Fork (dall’agricoltore alla tavola). Un decisivo cambio di rotta rispetto all’omologazione planetaria dei consumi e al commercio mondiale che nell’ultimo cinquantennio hanno modificato i rapporti tra l’agricoltura e l’alimentazione. Un primato industriale dei consumi che ha determinato la marginalizzazione degli agricoltori, l’abbandono delle campagne, il dissesto idrogeologico, la perdita di biodi- versità e la cancellazione di storia, memoria e cultura alimentare. La riscoperta della qualità della vita e della qualità alimentare del terzo millennio rappresentano un vero e proprio “umanesimo di ritorno”. La nuova civiltà rurale coniuga ricchezza della cultura agricola, arte gastronomica, innovazione, economia e ambiente con effetti positivi sulla vivibilità del pianeta e della società. I legumi sono veri protagonisti in grado di giocare la partita della sostenibilità am- bientale e della qualità alimentare. E leggendo le pagine di questo libro, con cui Mario Liberto, con passione e com- petenza, ci guida alla scoperta del tesoro dei legumi, saremo in grado di lasciare alle nuove generazioni il pianeta Terra, forse un po’ meglio di come lo abbiamo trovato.

Dario Cartabellotta Dirigente Generale Dipartimento Agricoltura Regione Sicilia

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INTRODUZIONE

In un vecchio casolare di un’area rurale italiana è stato dismesso un rudere svuo- tandolo di ogni vetusto suppellettile che in un’epoca ormai lontana aveva fatto parte di un arredo povero ma funzionale. Aprendo lo stipite di un mobile è stata trovata una scatola con alcune vecchie e scolorite cartelle da tombola, di quelle cartelle che non avevano finestre in plastica ma solo numeri da coprire alla chiamata dal sacco. E accanto a quelle poche cartelle c’erano alcuni vecchi semi di fagiolo usati per coprire i numeri, semi di una varietà di fagiolo che gli anziani conservavano nella memoria ma che non erano più in coltivazione, considerati perduti per sempre. Dei sette fagioli ne hanno germinato tre e da questi, oggi, una antica varietà di grande valore storico, cul- turale ed identitario è tornata in coltivazione. Non si è persa e in questo modo siamo meno poveri perché la biodiversità è la nostra garanzia di ricchezza e sopravvivenza per il futuro. Salute dell’uomo e salute del suolo. Questo il primo pensiero che viene nel momen- to in cui si citano i legumi. Lenticchie, fagioli, fave, piselli, cicerchie, di ogni colore, sa- pore, dimensione, destinazione, uno scrigno di biodiversità che unisce l’Italia da nord a sud senza soluzione di continuità. Legumi dalle aree montuose, dalle aree costiere, da mangiare freschi o da mangiare secchi. Legumi che crescono bassi e chiedono un serio sforzo alla schiena degli agricoltori che li coltivano; legumi che hanno bisogno di un tutore che spesso è un residuo di potatura locale o un capannello di canne raccolte dalle rive dei torrenti. Oppure, come ancora si vede in giro per l’Italia, una pianta di granturco per tutore che, insieme alle cucurbitacee al suolo, completa un modello colturale noto come le ‘tre sorelle’. Oltre ogni confine geografico fanno rete e metto- no in comunicazione i produttori di ogni territorio, che condividono un’importanza strategica, di nuovo, per il suolo e per la salute umana. I legumi sono un grande patrimonio culturale del nostro Paese. Non c’è regione italiana che non ne annoveri tra le proprie produzioni tipiche, spesso in alcuni areali complessi dal punto di vista orografico. Ed ai legumi si affida un compito straordi- nario, quello di contribuire alla salute dell’umanità e alla conservazione del pianeta. Le ormai note proteine vegetali di cui sono portatrici rappresentano strumento di equilibrio nella dieta della popolazione ma al contempo permettono a ciascuno di noi di contribuire alla salvaguardia degli ecosistemi. Ridurre il consumo di proteine ani- mali a vantaggio di quelle vegetali, infatti, non è solo un modo per rendere più equili- brata la propria dieta ma è anche un percorso per fare scelte più consapevoli a vantag- gio di un modello di produzione alimentare sostenibile. Significa, infatti, diventare più esigenti nella scelta e significa anche diventare capaci di contribuire a modelli produttivi davvero sostenibili con un contributo importante per l’ecosistema intero. Queste specie, poi, giocano un ruolo centrale del modello agroecologico, quel

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 15 modo di fare agricoltura legato ai padri fondatori dell’agricoltura, a partire da un Su- damerica in cui proprio i legumi hanno trovato ampie zone di origine e diffusione. Non c’è modello di rotazione colturale che non veda la presenza di una leguminosa, da seme o da foraggio, proprio perché quella naturale capacità di fissare l’azoto e di lasciare il suolo più ricco di come lo hanno trovato ha attribuito a queste specie un ruolo straordinariamente importante per la conservazione del suolo e della sua biodi- versità microbica. Specie ricche, dunque, e capaci di regalare ricchezza. Ma anche un incredibile per- no intorno a cui ruota la migliore cucina italiana in tutte le sue sfaccettature regionali e locali. I semi o i baccelli, le zuppe, le farine, i trasformati, una infinità di prodotti che non smettono mai di sorprendere alimentando libri e volumi che raccolgono la diver- sità di materie prime e di possibili cibi. Legumi che fanno ricca l’Italia e la rendono un punto di riferimento nel Bacino del Mediterraneo, quell’hot spot di biodiversità che il mondo ci invidia e che per chi lo vive deve rappresentare una grande responsabilità. Chiunque si sia occupato di biodiversità ha incontrato sulla propria strada i legu- mi, le comunità che li producono e li conservano. Le comunità che si incontrano ogni anno per fare selezione, per scegliere tutti insieme i semi per la stagione successiva, in modo da rispettare le varietà ma da garantire la variabilità che è senso di vita e di resilienza anche a fronte delle inesorabili mutazioni climatiche. Quindi legumi anche come fonte di rafforzamento del senso di comunità e della cooperazione tra agricol- tori, giovani e anziani. A Mario Liberto, penna esperta, delicata, puntuale, instancabile e mai scontata, dobbiamo questo viaggio attraverso una unica comunità di produttori italiana che sorride mettendo in posa i loro prodotti, raccontandone bellezza ed unicità, raffor- zando il legame con i diversi territori e, con quel pizzico di sana gelosia, mostrandosi orgogliosi di prodotti e produzioni uniche e irripetibili. Colpisce ma non sorprende la nitidezza dell’osservazione di Liberto, dei dettagli e delle descrizioni, a dimostrazione di una profonda conoscenza del mondo agricolo in tutte le sue sfaccettature, in tutto il suo fascino e in tutte le sue criticità. Un mondo spesso fragile, soprattutto quando legato a filiere locali che richiedono sistemi organizzati ma semplici. Ma anche un mondo che non smette mai di sorridere. Questo spaccato della produzione agricola italiana, fortemente connessa con l’agrobiodiversità e con modelli di sviluppo soste- nibili e responsabili, ci consegna un compendio di informazioni che risulterà utile a generazioni di studenti, di studiosi, di appassionati e di amministratori che avranno voglia di agire per contribuire alla conservazione della biodiversità. Mario Liberto ha garantito al lettore uno strumento indispensabile per rafforzare la conoscenza e la memoria.

Francesco Sottile Università degli Studi di Palermo e Slow Food Italia CAPITOLO I PROTEINE: LA PREOCCUPAZIONE DELLA FAO

I legumi, insieme ai cereali, sono gli alimenti che da sempre hanno garantito la vita dell’uomo sulla terra. Lo sanno bene gli agricoltori, e non solo, che li hanno costan- temente seminati, sia come mezzo di sostentamento, sia per assicurare la produttività delle loro coltivazioni. Infatti, le leguminose sono considerate piante miglioratrici o preparatrici della fertilità del terreno agrario. Viceversa, i cereali, che nell’alternanza di colture seguono queste ultime coltivazioni, sono ritenute piante sfruttatrici, cioè che utilizzano le sostanze accumulate dalle leguminose. Questa alternanza è da sempre chiamata “rotazione agraria”, strategia per evitare l’accumulo di residui tossici dovuti alla monocoltura che procura fenomeni di “stanchezza” al terreno. Nei Paesi in via di sviluppo, così come in quelli economicamente più ricchi, le legu- minose, grazie al loro alto valore nutritivo, assolvono al compito, nei primi di combat- tere la malnutrizione, mentre nei secondi di sostituire l’eccessivo cibo calorico ingerito irresponsabilmente e causa dell’obesità. In riconoscenza di questa preziosità, l’Onu ha decretato il 2016 anno internaziona- le dei legumi. Una scelta fatta per dare il giusto valore a questo alimento sostenibile per l’ambiente e alla base di tutte le diete delle popolazioni più longeve del mondo. Ceci, arachidi, cicerchie, fagioli, fave, lenticchie, lupini, piselli, soia, grazie alla esi- gua presenza di grassi sono una buona fonte di proteine vegetali, (e per di più ricche anche di fibre) e abbinate ai cereali, raggiungono una composizione di amminoacidi essenziali paragonabile a quella della carne. Con lo slogan “Semi nutrienti per un futuro sostenibile”, l’Assemblea Generale

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 17 delle Nazioni Unite, nel dichiarare il 2016 “Anno internazionale dei legumi”, ha vo- luto fare opera di sensibilizzazione e favorire la conoscenza e i benefici dei legumi, incrementandone la produzione, il commercio e incoraggiando nuovi utilizzi. “I legumi possono contribuire in modo significativo ad affrontare la fame, la sicu- rezza alimentare, la malnutrizione, le sfide ambientali e la salute umana”1, è quanto ha affermato il Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki-moon, in una dichiarazione letta a suo nome alla cerimonia d’apertura dell’anno dei legumi. Dell’importanza dei legumi è anche consapevole Papa Francesco, il quale, durante il suo incontro di qualche anno addietro con i fedeli della favelas di Varginha, ha det- to: “Quando qualcuno che ha bisogno di mangiare bussa alla vostra porta, voi trovate sempre il modo di condividere il cibo, come dice il proverbio – si può sempre aggiun- gere acqua ai fagioli – sempre, sempre”2. Per promuovere il consumo dei legumi, la FAO ha raccolto sul suo sito ben 850 ricette da tutto il mondo: dal Githeri del Kenya alle Tamalitos a la Inflacion del Costa Rica, dal Bhuna Khichuri del Bangladesh al Dal indiano, dall’Erwtensoep olandese al Chourbat al-burghul algerino, ecc. Con questa scelta le Nazioni Unite, quindi, fanno un passo decisivo verso un mes- saggio chiaro: “La produzione di proteine animali per tutto il mondo, compreso quel- lo in via di sviluppo, non è più sostenibile e la situazione potrebbe decisamente peg- giorare in futuro. I dati parlano chiaro: se anche i paesi emergenti adottassero gli stili di consumo “carnivoro” dell’Occidente, non ci sarebbero abbastanza terre emerse per poter allevare animali da reddito, (documentario Cowspiracy), considerato anche, che tale produzione, è tra le prime cause reali di inquinamento mondiale”3. Questo lavoro ha l’obiettivo di recuperare la tradizione italiana dei legumi e il loro contesto rurale provvedendo a valorizzare il loro uso e a non far morire la presenza di queste specie singolari nell’ambito di una riscoperta della biodiversità italiana.

1. “Mantenere l’attenzione sui legumi dopo l’Anno Internazionale a loro dedicato”, Food and Agriculture Organization of the United Nations, www.fao.org/news/story/it/item/454439/icode/. 2. “Discorso del Santo Padre Francesco”, Vaticano, 25 luglio 2013, www.vatican.va/holy_father/ francesco/speeches/2013/july/documents/papa-francesco_20130725_gmg-comunita-varginha_ it.html 3. “FAO, si apre l’Anno internazionale dei legumi”, Ansa, 2 gennaio 2016, www.ansa.it/cana- le_terraegusto/notizie/mondo_agricolo/2016/01/02/fao-si-apre-lanno-internazionale-dei-legu- mi_7845eedb-48a6-4ea0-bfe5-9ff5833b0e40.html

18 Mario Liberto CAPITOLO II LEGUMI: IL FUTURO DELL’UMANITÀ

Si stima che tra qualche decennio la popolazione umana possa arrivare a superare i 10 miliardi di persone. La cosa allarma tutti i governi del mondo perché per sfamare le prossime generazioni occorrerà almeno il 60% di cibo in più. Dove reperire le fonti proteiche per soddisfare la nuova sfida alimentare?4 È risaputo che l’aumento del consumo di carne comporta potenziali rischi per la salute e pesanti costi ambientali, poiché i prodotti di origine animale hanno un im- patto maggiore sul clima rispetto a quelli vegetali; per produrre un chilo di proteine animali servono da tre a dieci chili di proteine vegetali e si emettono 36,4 chili di anidride carbonica, a cui si devono aggiungere i costi legati al trasporto degli animali e alla relativa distribuzione. Inoltre, “I dati della FAO, per l’alimentazione e l’agricol- tura, rivelano che la produzione di lenticchie o piselli richiede un consumo di 50 litri di acqua per chilo. Al contrario, un chilo di carne di pollo ne richiede 4.325 litri, uno di manzo 13.000 litri. L’esiguo fabbisogno idrico idrica rende la produzione di legumi una scelta intelligente nelle zone aride e nelle regioni soggette a siccità”5. Inoltre “Per produrre un chilo di carne bovina occorrono ben 16 chili di grano e soia, si aggiunga pure, che l’energia consumata per generarla è dieci volte superiore a quella necessaria per dare vita alle proteine vegetali”6. Secondo la FAO, entro il 2050 si passerà dalle attuali 268 a 463 milioni di tonnellate di carne consumata nel mondo, una crescita del 173%, concentrata nei Paesi emergen- ti. Insomma, produrre carne sarà sempre più difficile per i costi ambientali ed econo- mici da sostenere. E allora cosa fare? Una fonte proteica può essere recepita nei circa 1.900 insetti commestibili che convivono sulla terra e di cui un numero di popolazio- ne mondiale fa uso.

L’utilizzo degli insetti per sopperire al fabbisogno proteico Gli insetti, con le loro qualità alimentari, sono il passato e saranno il futuro dell’a- limentazione umana. L’autorizzazione dell’Unione Europea all’allevamento e al con- sumo di insetti indica una strada da percorrere per il futuro e dovremmo iniziare a considerarli una buona alternativa a carne e pesce. Cavallette fritte e larve di ape, grilli saltati in padella e cicale lesse, saranno questi gli alimenti con i quali confrontarci. Ba- sta naturalmente fare ricerca in qualche pagina di storia per ritrovare il filosofo greco Aristotele che scriveva nella sua Historia animalium che le cicale hanno un ottimo

4. “Mantenere l’attenzione sui legumi dopo l’Anno Internazionale a loro dedicato”, FAO, Art. cit. 5. Idem. 6. Idem.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 19 sapore e sono uno spuntino di lusso; Plinio il Vecchio sosteneva che gli antichi Roma- ni consideravano le larve di scarabeo una prelibatezza. La FAO sostiene che in 112 Nazioni al mondo, soprattutto in Africa, America Lati- na, Australia, Asia e Pacifico, cioè per circa 2 miliardi di esseri umani, gli insetti di cir- ca 1.900 specie rappresentano una grossa fetta della dieta quotidiana. Ma la sorpresa non finisce qui perché molti ristoranti americani ed europei comprendono nel menù pietanze a base di questa classe di animali. “L’alternativa alle carni arriva dalle proteine vegetali. In termini di amminoacidi, due scodelle di corrispondono a 70 grammi di carne. Ma l’impatto dell’allevamento, rispetto a quello della coltivazione di legumi, in fatto di sostenibilità è completamente diverso, e sbilanciato a favore dei secondi. Peccato però che negli ultimi 15 anni il tasso di crescita della produzione di legumi non abbia saputo tenere il passo con la crescita della popolazione e dei consumi: secondo la FAO, tra il 2000 e il 2014 la popolazione mondiale è aumentata del 19%, mentre la disponibilità di legumi pro-capite è cresciuta solo di 1,6 chili all’anno”7.

Un piano per lo sviluppo delle proteine vegetali Per sopperire a questi lunghi ritardi, il Commissario all’Agricoltura Phil Hogan, ha presentato il Piano europeo per lo sviluppo delle proteine vegetali alla Conferen- za di Vienna del mese di novembre del 2018. In sostanza, la Comunità Europea ha cominciato a dichiarare guerra alla carne e a scegliere la via delle proteine vegetali. Da considerare inoltre che l’Europa è troppo dipendente dalle importazioni di legumi dal resto del mondo, sia quelli destinati all’alimentazione umana, sia quelli per i mangimi animali, ed è quindi necessario aumentarne la produzione interna, per venire incon- tro alle esigenze dei consumatori di avere un cibo più sostenibile e più salutare. “Per produrre più legumi servono più ricerca e più supporto tecnico agli agricol- tori: i fondi per questo potranno essere presi da Horizon 2020, dal nuovo Horizon e anche dalla Pac”, spiega Silke Boger, una delle alte funzionarie del DG Agriculture inviata in giro per l’Europa. In Europa la classifica dei produttori di legumi vede al primo posto la Francia, con 788.000 tonnellate all’anno. Ma non rappresenta che l’1% delle produzioni mondiali di legumi; al primo posto, nel mondo, c’è l’India, dove viene coltivato oltre il 17% di tutti i legumi. Al secondo posto troviamo il Canada che negli ultimi anni, ha lanciato un suo piano per lo sviluppo delle proteine vegetali. Il governo federale di Ottawa ha messo sul piatto 950 milioni di dollari canadesi in cinque anni per dare vita a un supercluster dei legumi. Un’alleanza fra agricoltori, imprese e centri di ricerca per tra- sformare una commodity in un prodotto ad alto valore aggiunto: non più il semplice export di ceci e lenticchie, ma la produzione di snack, farine e alimenti complessi con

7. Micaela Cappellini, “Legumi contro carne: è la guerra delle proteine. Ma l’Europa è in ritar- do”, IlSole24Ore, 2018, www.ilsole24ore.com.

20 Mario Liberto cui invadere i mercati internazionali e conquistare i consumatori consapevoli”8. Nel 2050, per mantenere lo stesso livello di disponibilità pro-capite, sarà necessario produrre nel mondo 110 milioni di tonnellate di granella. I legumi, quindi, sono un’alternativa valida alle più costose proteine di origine ani- male, e questo li rende ideali per migliorare le diete nelle parti più povere del mondo. Oggi, nell’epoca in cui la carne è uno dei cibi più consumati nelle nostre case, è necessario riscoprire il valore dei legumi, rivalutarli e inserirli nella dieta quotidiana. In Italia, nell’ultimo trentennio, le leguminose da granella hanno subito una forte diminuzione, di eccezionale gravità, considerato che non disponiamo di fonti pro- teiche, animali vivi e carni macellate, così come di granella di proteaginose e relativi derivati per l’alimentazione sia degli uomini, sia degli animali. Tra le cause che hanno determinato l’assottigliamento del loro consumo vanno ascritti il cambiamento delle abitudini alimentari che ha favorito la diffusione di col- tivazioni di poche varietà di legumi, adatte all’industria (pisello e fagiolo per consumo fresco, o come prodotti di IV gamma) con conseguente contrazione della variabilità genetica; la mancanza di meccanizzazione delle produzioni; la scomparsa di equini, che della fava erano i maggiori utilizzatori; la riduzione dei consumi per il migliora- mento del tenore di vita degli italiani, che ha consentito il ricorso ad alimenti stimati più “nobili”; la tradizionale reputazione di “carne dei poveri”, ma anche le oggettive difficoltà opposte dalla necessariamente lunga cottura, incompatibile con le esigenze delle famiglie moderne le cui donne lavorano quasi tutte e, naturalmente, i costi di produzione elevati; tutti questi fattori hanno favorito l’abbandono delle coltivazioni nei paesi industrializzati. “Le motivazioni addotte non sembrano tuttavia sufficienti a spiegare integral- mente quanto si è verificato a carico delle leguminose da granella per diverse ragioni: perché nessun aumento delle rese e nessuna meccanizzazione potevano verificarsi in assenza di qualsiasi miglioramento genetico ed agronomico, cui la ricerca in Italia non ha rivolto quasi alcuna attenzione; perché siamo, frattanto, diventati importatori di notevole significato di granella di leguminose per uso alimentare; perché siamo di- ventati anche cospicui importatori di soia per l’alimentazione del bestiame, cui la fava avrebbe potuto, in sia modesta misura far fronte”9. Nella situazione attuale, una oculata ripresa della coltivazione di queste leguminose appare auspicabile a fini diversi: anche per aumentare la fonte per l’estrazione indu- striale di proteine, di cui si accusa un crescente bisogno.

8. M. C. “Legumi contro carne: è la guerra delle proteine”, IlSole24Ore, Art. cit. 9. Remigio Baldoni, Luigi Gardini, Coltivazione Erbacee, Editore Patron, Bologna 1981, 282- 283.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 21

CAPITOLO III LEGUMI: IL CIBO DEI POVERI CHE PIACE AI RICCHI

Per legumi si intendono i semi commestibili (singoli o multipli) delle piante della famiglia delle Papilionaceae o Leguminose, sottofamiglia Papilionee, che, allo stato secco, sono destinati al consumo umano10 e animale. Tra i legumi usati a scopo alimentare individuiamo: la fava (Vicia faba), la soia (Glycine max), il pisello (Pisum sativum), il cece (Cicer arietinum), il fagiolo (Pha- seolus vulgaris), la lenticchia (Lens culinaris), l’arachide (Arachis hypogaea), il lupino (Lupinus albus) e la cicerchia (Lathyrus sativus); i baccelli ed i semi di alcuni di essi possono essere consumati sia allo stato fresco che allo stato secco. Nell’ambito di questa famiglia botanica non vi sono solo piante erbacee d’impiego alimentare ma anche alberi che rientrano nella sottofamiglia delle Caesalpinioideae. Tra i parenti lontani dei legumi, nella sottofamiglia delle Fabacee, troviamo: la mimo- sa (Acacia), l’albero di Giuda (Cercis siliquastrum), la robinia (Robinia pseudoacacia) e la grenadilla (Dalbergia melanoxylon). Sempre della stessa famiglia degli alberi usati per scopo alimentare fanno parte il tamarindo e il carrubo. Le arachidi e la soia sono anche classificate come oleaginose in quanto dai loro semi vengono estratti oli ali- mentari. Per legumi freschi si intendono i semi immaturi delle leguminose, ad elevato con- tenuto d’acqua (60-90% rispetto al 10-13% dei legumi secchi), le cui caratteristiche

10. R.B., L.G., Coltivazioni Erbacee, Op. Cit.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 23 nutrizionali li fanno rientrare nel gruppo delle verdure e degli ortaggi. Le Legumi- nose comprendono oltre 600 generi e più di 13.000 specie, però solo in parte sono utilizzate regolarmente dall’uomo come alimento. Grazie ad una elevata capacità di adattamento i legumi sono diffusi in tutto il mondo, sia nelle zone a clima temperato, che in quelle tropicali o aride. Sono costituiti da due valve (baccello) che si aprono a maturità lasciando liberi i semi. I legumi sono, tra gli alimenti vegetali, i più ricchi di sostanze proteiche e quelli che vantano le proteine di migliore qualità. Nei Paesi in via di sviluppo i legumi rappresentano il 75% della dieta, in quelli in- dustrializzati solo il 25%. Un patrimonio varietale custodito e tramandato da secoli, i cui nomi sono collegati a paesi di origine, cognomi, nomi, contrade, ecc. L’Italia contadina si fregia di questi legumi, giustamente rinominati come “gioielli d’Italia”, alimenti che danno vita ad un migliaio di piatti appartenenti alla cucina contadina, pietanze che possono essere leggere o corpose, delicate o robuste, in ogni caso gustose e nutrienti e per la loro ricchezza nutritiva non dovrebbero mai mancare sulle nostre tavole.

Le produzioni mondiali Nei Paesi in via di sviluppo, la granella di leguminose costituisce ancora una fonte importante e diretta di proteine e svolge il ruolo che la carne e il hanno nei Paesi ad economia avanzata11. Un interessante studio sulla produzione mondiale, europea e italiana dal titolo: “Report sui legumi e sulle colture proteiche nei mercati mondiali, europei e italia- ni”, è stato realizzato dall’istituto di ricerca Areté per conto dell’Alleanza Cooperative Agroalimentari. Tra gli elementi riscontrati si evidenzia che la produzione mondiale di legumi ha raggiunto nel 2016 il record di 82 milioni di tonnellate e risulta in costante aumento, con una crescita che ha conosciuto ritmi accelerati a partire dal 2005. In particolare, tra i paesi sviluppati, forte è stata la crescita in Nord America e in Australia. Nei paesi in via di sviluppo, è stata l’Africa a registrare un enorme aumento della produzione (di quasi 5 volte). In questo caso, soprattutto per i paesi poveri, i legumi hanno rappre- sentato una componente essenziale dell’alimentazione e quindi dell’attività agricola. Al contrario, in Estremo Oriente la produzione di legumi si è quasi dimezzata poiché le economie che hanno recentemente aumentato il proprio benessere tendono ad ab- bandonarne la produzione e il consumo. Nel 2016, così come negli ultimi anni, la distribuzione geografica delle superfici coltivate a legume è stata ancora molto concentrata in Asia e in Africa, per una quota superiore all’80%; seguono Nord America e Sud America con il 5% ciascuno, UE e

11. Guido Alvi, “I Legumi da granella”, Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Dipartimento delle politiche europee e internazionali e dello sviluppo rurale - Direzione Gene- rale delle politiche internazionali e dell’Unione Europea), Roma, 2016.

24 Mario Liberto Australia per il 2% ciascuno (media 2010-2016). Riguardo agli scambi commerciali dell’UE e ai principali esportatori, dal rapporto viene fuori che: “Nel 2016, il commercio globale di legumi è stato di 17,2 milioni di tonnellate. I flussi commerciali hanno confermato la tendenza degli ultimi anni che hanno visto i paesi sviluppati emergere come principali esportatori mentre i paesi in via di sviluppo sono stati i principali importatori. Nord America, Australia e UE hanno infatti rappresentato il 67% delle esportazio- ni globali di legumi. L’Asia è l’area di maggior import con il 72% delle importazioni globali e l’India è il più grande importatore di legumi al mondo, rappresentando quasi il 20% delle importazioni globali. I primi 20 paesi produttori di legumi coprono quasi l’80% della superficie e della produzione mondiale. L’India è di gran lunga il principale produttore mondiale, con il 32% dell’area globale e il 21% della produzione.

Europa, produzione in aumento, ma resta la dipendenza dalle importazioni Il Report dell’istituto di ricerca Areté per conto dell’Alleanza Cooperative Agroali- mentari ha riguardato anche la produzione europea delle leguminose. “La produzione europea di legumi secchi sfiora i 5 milioni di tonnellate. La classi- fica dei primi paesi produttori vede la Francia al primo posto con 788 mila tonnellate, seguita da Regno Unito, Lituania, Polonia e Germania (2016). Il trend produttivo europeo è stato molto fluttuante: in calo costante negli anni ‘70 e ‘80, un picco negli anni ‘90, poi di nuovo una produzione molto simile agli anni ‘60 quale è quella del 2016. Va evidenziato ad ogni modo che negli ultimi 10 anni gli ettari coltivati a legumi dell’Ue che oscillano da 1,5 ai 2,1 milioni di ettari (dato 2016), han- no registrato un notevole aumento a partire dal 2013, a seguito delle nuove misure di greening della Pac attuate nel 2015, dal momento che le colture azotofissatrici come i legumi sono una delle opzioni disponibili per realizzare le Ecological Focus Areas (Efa). La produzione europea di fagioli ha visto un buon incremento, in linea con l’au- mento della domanda di consumi interni e ha consentito di ridurre le importazioni al 65% del consumo presunto (era in media del 96% nel periodo 2010-2014). Viceversa, per quanto riguarda ceci e lenticchie, l’Ue dipende con percentuali ancora molto alte dalle importazioni (89% rispetto al consumo presunto per i ceci e 97% per le lentic- chie)12”.

Le produzioni e i consumi in Italia I nuovi dati pubblicati dall’ISMEA (2016) riguardo alla produzione e il consumo dei legumi in Italia, evidenziano un trend in crescita. Le motivazioni di tale sviluppo sono “imputabili ad una riscoperta di queste proteine vegetali rispondenti ai nuovi

12. “Report sui legumi e sulle colture proteiche nei mercati mondiali, europei e italiani”, realizza- to dall’istituto di ricerca Areté per conto dell’Alleanza Cooperative Agroalimentari.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 25 stili alimentari (vegetariani e vegani) che vanno sempre più diffondendosi, nonché all’erosione del potere d’acquisto delle famiglie che li preferisce alle proteine animali perché più economici. La produzione di legumi italiana, chiamati dai contadini “carne dell’orto”, è pre- valentemente localizzata al Sud e al Centro, per ragioni pedo-climatiche, ma anche per l’esistenza di un’antica tradizione colturale. La produzione nazionale è localizzata per il 63% in Sicilia, Abruzzo, Toscana, Marche e Puglia. Dai dati Istat emerge che la superficie rilevata nel 2011 era di 68.468 ettari, con una produzione di 1.343.165 quintali. Attualmente i consumi di legumi secchi sono estremamente bassi, 4,5 kg/abitante/ anno. I nuovi dati ISMEA (2016) evidenziano che a livello nazionale si è passati da 61.587 ettari di superfici dedicate nel 2014 ai 67.048 dello scorso anno, con una crescita del 14% anno su anno. In termini di volumi, l’incremento è stato dell’11%, pari a un to- tale di 121.649 tonnellate. Gli ultimi dati relativi al 2018 emersi dal Report sui legumi e sulle colture proteiche nei mercati mondiali, europei e italiani evidenziano che: “La produzione di legumi secchi (fagioli, lenticchie, ceci, piselli, fave) nel nostro Paese ha conosciuto una drasti- ca diminuzione a partire dagli anni ‘60, passando da un quantitativo complessivo di 640 mila tonnellate al picco negativo di 135 mila tonnellate (-81%) raggiunto negli anni 2010-15. Oggi, per fortuna l’Italia ha cominciato ad invertire la curva, parallela- mente alle scelte alimentari che hanno sempre più premiato il consumo dei legumi. In particolare, si sono registrati buoni trend di crescita nella produzione nazionale di ceci e lenticchie: tuttavia, complessivamente oggi l’Italia, con circa 200 mila tonnellate, si colloca all’ottavo posto in Europa per la produzione di legumi secchi. È questo uno dei dati emersi dal Report sui legumi e sulle colture proteiche nei mercati italiani. Dalla relazione emerge come il trend negativo della produzione registrato in Italia negli ultimi decenni abbia avuto dirette conseguenze sugli scambi commerciali da e verso il nostro Paese, accentuando la posizione di importatore netto dell’Italia, da 4.500 tonnellate di legumi nel 1960 a circa 360 mila nel 2017. “Le importazioni di legumi secchi da spacciare come nazionali – precisa la Coldi- retti – hanno superato i 405 milioni di chili, con un aumento record del 46% negli ultimi dieci anni, secondo una analisi su dati Istat. Ma se si torna indietro agli anni ‘60 le importazioni – continua Coldiretti – erano pari ad appena 4,5 milioni di chili, praticamente un centesimo di quelle attuali”13. L’Italia dipende quindi fortemente dalle importazioni di tutti i legumi per soddi- sfare la propria domanda. Lo attestano con grande evidenza questi dati: nel 2017 il rapporto import/consumo presunto è stato del 98% per le lenticchie, del 95% per i

13. “Troppi legumi dall’estero: consumatori ingannati”, Corriere Nazionale, 14 gennaio 2020, www.corrierenazionale.it/2020/01/14/troppi-legumi-dallestero-consumatori-ingannati/

26 Mario Liberto fagioli, del 71% per i piselli, del 59% per i ceci. Rispetto alla media europea, nell’anno 2016 (ultimi dati disponibili per la Ue), l’Italia ha importato il 65% del suo consumo, contro il 33% della Ue. Dal 2015, come detto, superfici e produzioni sono tornate ad aumentare: nel 2017 circa 100 mila ettari (+35%) e 190 mila tonnellate (+37%). Consistenti aumenti pro- duttivi per ceci (+72%), lenticchie (+60%) e piselli (+52%). Nel 2017 l’Italia è stato il secondo produttore di ceci (dopo la Spagna) e il quinto produttore di lenticchie14

14. “Report sui legumi e sulle colture proteiche nei mercati mondiali, europei e italiani” realizza- to dall’istituto di ricerca Areté per conto dell’Alleanza Cooperative Agroalimentari.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 27

CAPITOLO IV LEGUMI: TRA CULTURA, STORIA E LEGGENDA

I legumi, grazie alla loro versatilità, in termini di capacità di adattarsi a climi e am- bienti differenti, ma anche per il loro contenuto proteico e glucidico, hanno avuto, da sempre, un ruolo prioritario per l’alimentazione umana. Sono alimenti sostenibili indispensabili in qualsiasi dieta, comprese quelle vege- tariana e vegana, nonché parte essenziale di molte cucine del mondo. Sono versatili, nutrienti, economici e, secchi, a lunga conservazione. Senza alcun dubbio di smentita, i legumi, costituiscono anche l’alimento principe della koinè culturale, sociale e religiosa di tutti i popoli della terra; inoltre, nessuna religione ha come divieto alimentare il consumo di legumi.

I legumi e l’archeologia I reperti archeologici che consentono di associare con certezza il consumo di legu- mi all’uomo, risalgono a prima di 10.000 anni a.C., nell’età del mesolitico europeo. Si presuppone che potessero essere piante spontanee e qualitativamente poco ap- prezzabili; per molti studiosi, una forma di addomesticamento della pianta pare essere attribuibile alla nota presenza di lenticchie nel sito archeologico greco della grotta di Franchthi (11.000 a.C.). In base allo studio di alcuni reperti fossili, dei territori corrispondenti oggi alla Siria settentrionale, è stato rilevato che la lenticchia era coltivata nel 7000 a.C. e che occor- revano 100 mila lenticchie selvatiche per farne un chilo. Riguardo alla fava, alcuni botanici sono generalmente concordi nell’ammettere che

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 29 si sia originata nei Paesi del Mediterraneo durante l’età del ferro e del bronzo. In età babilonese (intorno al II millennio a.C.) il re era solito ricevere i suoi ospiti nel corso di alcune cerimonie festose invitando i suoi vassalli al banchetto. Dal rac- conto di un ricevimento tenuto nella città di Mari, nell’alta Mesopotamia, ad esem- pio, sappiamo che gli invitati ebbero come piatto principale carne grigliata, gallette di pane e legumi in umido. I legumi, insieme a 1.000 buoi grassi, 14.000 pecore, 1.000 agnelli, ecc., erano pre- senti nella lista del più gigantesco banchetto (69.574 ospiti) offerto da Assurnasirpal II (883-859 a.C.) dopo l’ultimazione di Kalhu. Nei testi economici di Ugarit e della Bibbia, inerenti alle liste di distribuzione di ra- zioni alimentari figurano le lenticchie. Ben nota è la storia del piatto di lenticchie con il quale Esaù scambiò il proprio diritto alla primogenitura (Gn 25, 29-34), mentre nel Secondo Libro di Samuele (II Sam 23,11-12) viene citato il glorioso guerriero di Davide che difende un campo pieno di lenticchie dai Filistei, uno dei Popoli del Mare. Altre notizie storiche su alcuni legumi che ci pervengono dalle tombe dell’antico Egitto, a iniziare dal IV millennio, mostrano la varietà degli alimenti di cui già di- sponeva l’alta società, tra questi dolci, carne, frutta, latticini e legumi. Tra gli egiziani vigeva un principio salutistico basato sul consumo di questi alimenti, ribadito an- che nell’Istruzione XX del demotico Papiro Insinger (circa II secolo a.C.), in cui si affermava che “legumi e sale sono un cibo così buono che non se ne può trovare di meglio”.

I legumi nella Grecia antica Le opere di Ateneo si rivelano di estrema utilità per la ricostruzione del tipo di ali- mentazione dei Greci. Presso gli Ellenici la minestra a base di fave, kuamoi, veniva ser- vita in occasione delle feste parzepsie e ad essa veniva attribuito un effetto vivificante. Senofonte nell’Economico (VIII,9) scriveva che “oltre all’orzo, nelle sue varianti maza àlphita o kykeòn, venivano consumati i legumi, e si riempivano i granai, nello stesso modo dei cereali”. Un’iscrizione del III secolo a.C. di Taso o di Chio, oltre a indicare la precisa disposi- zione di un vigneto di pregio, evidenzia la coltivazione di cereali e di legumi tra i filari della vite, dei mandorli e dei fichi. All’inizio della primavera si offrivano alla Grande Madre, dea protettrice della fecondità del suolo, zuppe di legumi misti, chiamate pan- spermià.

30 Mario Liberto I Romani e i legumi Nelle tombe Etrusche sono stati trovati molti semi di leguminose (fave e pisello) assai più abbondanti dei cereali (orzo e grano). Nella civiltà etrusca e poi in quella romana il ruolo alimentare dei legumi si andò ancor più rafforzando. In particolare si consolidò il binomio cereali-legumi legato al diffondersi delle pratiche agricole della rotazione biennale dei coltivi, in cui campi di cereali erano alternati appunto, oltre che al maggese, ai legumi che avevano la pro- prietà di fissare l’azoto nel terreno riarricchendolo e fertilizzandolo. I Romani credevano, così come i Greci, che nelle fave fossero racchiuse le anime dei morti, e quindi esse venivano servite durante i riti funebri e dovevano essere stretta- mente legate ai defunti anche nella civiltà dell’Argar. Secondo gli storici, uno dei motivi per cui i Romani riuscirono a conquistare il mondo è perché preferirono portarsi appresso scorte di lenticchie, farro e fagioli, piut- tosto che doversi preoccupare di uccidere animali e trovare il modo di conservarli. I Romani scelsero dunque i legumi in quanto cibi proteici leggeri da trasportare, sani, nutrienti e pratici da cucinare, perfetti per le lunghe distanze, immuni dai pro- blemi di deterioramento tipici della carne. I legumi hanno avuto presso gli antichi romani un alto onore: quello di dare il nome a molte famiglie nobili come la gens Fabia (da faba, fava), oppure la famiglia Calpurnia dei Pisoni famosi per la congiura contro Nerone. Dalle lenticchie abbiamo ancora i Lentulo, alla cui famiglia appartenne il console del 58 a.C. che tanto si prodigò per il caro amico Cicerone affinché tornasse dall’esilio. Ed infine i ceci, ossia Cicer: da questo sacro legume trasse il nome Cicerone; per la gens Tullia, la famiglia di Marco Tullio, fu considerato un onore poter assumere come suo cognome quello di una pianta così importante. Quanto ai legumi, Catone (De Agricultura 2, 10, 20) cita il cece punico e Plinio propone un metodo per pestare le lenticchie, ripreso dal trattato di Magone, noto agronomo cartaginese del IV secolo a.C., la cui opera, perduta, ci è pervenuta in parte attraverso gli autori latini: “Fate dapprima abbrustolire le lenticchie, poi pestatele leg- germente con la crusca…” (Plinio, Nat. Hist. XVIII, 98). Un uso già noto in epoca romana, come ci narra Plinio, riguarda l’abitudine di mescolare la farina di fava con quella di cereali e in particolare con quella di panico. Per Plinio, dopo il grano, i due alimenti maggiormente utili all’alimentazione umana sono la fava – specialmente in forma di purea – e la rapa – arrostita o bollita. Attra- verso questi esempi si manifestano due categorie di piante ben distinte dai Romani: quelle delle quali si mangiano i semi – fave, ceci, lenticchie, lupini –, raggruppate sot- to il nome di legumina, e quelle delle quali si mangia la radice oppure la parte verde, conosciute con il nome di (h)olera, il cui singolare, (h)olus, designa espressamente il cavolo. Nella cosiddetta Storia Augusta, i “veri” Romani appaiono orgogliosamente affezionati al consumo dei prodotti della terra: cereali, legumi, verdure, frutta. Sta di

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 31 fatto che una versione della morte di Pitagora è collegata alla sua idiosincrasia per le fave che lo portava perfino ad evitarne il contatto. Secondo la leggenda, Pitagora in fuga dalle milizie di Cilone di Crotone, preferì farsi raggiungere ed uccidere piuttosto che entrare in un campo di fave che improvvisamente si era trovato davanti. Plinio nella sua Naturalis Historia (XVIII, 45-50), indica come in agricoltura le due specie primarie fossero appunto i cereali (frumentum) e i legumi (leguminem): fava, pisello, cece e lenticchia. I legumi avevano un posto centrale nell’alimentazione etrusco-romana ed erano utilizzati macinati per ricavare farina (fave e ceci), oppure ve- nivano bolliti. La fava appare come il principale tra i legumi. Plinio cita una puls faba- ta (minestra di fave) e scrive che nell’Italia Circompadana “Non facevasi cosa alcuna se non vi si univa un poco di fava”. Anche ai tempi di Virgilio questo legume godeva di ampia diffusione, in particolare un tipo seminato in primavera detto columella o marzaiola e una specie autunnale detta marsica. Giovenale esaltava il consumo dei cibi semplici e frugali tra cui il legumi. Dopo la caduta dell’impero romano e l’avvento dei primi regni barbarici, in Italia non si assistette ad un cambiamento radicale del sistema produttivo e alimentare ro- mano15. Se da una parte possiamo leggere questi passi come una conferma della difu- sione e dell’abbondanza del consumo di legumi, certo troviamo dall’altra anche la ri- prova del ruolo che essi continuano ad avere nella scala dei valori simbolici all’interno della società romana in cui questi alimenti erano considerati semplici, ma riconosciuti di un’alta qualità nutritiva e per questo degni. Prioritari quindi nelle mense dei pove- ri, ma presenti anche in quelle dei ricchi dove li troviamo quali accompagnamento di numerosi piatti forti (carni) o arricchiti da salse pregiate16. I “barbari” si manifestano come divoratori di carne che disprezzano gli alimenti vegetali; in realtà non tutti erano esageratamente carnivori. Di Didio Giuliano è detto che: “Si accontentava di mangiare verdura e legumi senza carne”, e di Settimio Severo che: “Ghiotto di verdure della sua terra, la carne spesso non lo assaggiava neppure”; se ne deduce che la carne non era il loro pasto essenziale. Si diffuse in poco tempo lungo tutto il bacino del Mediterraneo, a Roma come in Grecia (Galeno, celebre medico del II secolo d.C., sottolineava, già allora, le virtù terapeutiche dei legumi). Grazie al basso costo e alla facile reperibilità, i legumi finirono col meritarsi l’appel- lativo di “carne dei poveri”. di Bisanzio, in un’opera in cui elenca minuziosa- mente le scorte necessarie nel corso di un assedio di una città, descrive la costruzione dei silos e afferma che in essi venivano conservati “grano, orzo e legumi”17. Per tutto

15. Dott. Maurizio Tuliani, “Storia Sociale dei Legumi”, Nutrafood, Università di Siena, Novem- bre 2018, nutrafood.unipi.it/wp-content/uploads/2018/11/Tuliani.pdf 16. Dott. Maurizio Tuliani, “Storia Sociale dei Legumi”, Op. Cit. 17. Scossiroli Renzo E., “L’uomo e l’agricoltura - Il problema delle origini”, Edagricole, Bologna, 1984.

32 Mario Liberto il Medioevo furono un alimento di base nell’Europa settentrionale, dove il clima non favorisce la crescita dei cereali, ma la loro maggiore diffusione anche in altre parti del mondo si ebbe nel XV e XVI secolo, grazie all’espandersi delle rotte commerciali a seguito dei viaggi di esplorazione.

Il Medioevo e i legumi Nell’Alto medioevo dal lavoro dei campi si traevano innanzitutto cereali: anche da questo punto di vista, tuttavia, il Medioevo segna una rottura con la tradizione agri- cola romana, saldamente imperniata sul frumento come prodotto di pregio destinato al mercato urbano. Assieme ad essi si coltivavano i legumi – fava e fagiolo in primo luogo, e poi ceci, cicerchie, più tardi piselli – accomunati ai cereali non solo dalla co- mune presenza sui campi, ma da comuni impieghi alimentari. Ai legumi si attribuiva un valore mistico legato alle grandi figure dei monaci eremiti, per i quali simboleggia- vano la continenza dalla lussuria e la mortificazione del corpo18. Al di là dei significati metaforici, nel Medioevo i legumi rappresentavano per la popolazione meno agiata il migliore alimento da affiancare o da sostituire ai cereali, non solo in periodi di crisi e carestia, ma anche in momenti di normalità. Nel Medioevo la fava ed i ceci erano mescolati con la farina di frumento come è testimoniato dalla numerosa presenza nei mercati cittadini medievali di venditori di “cicera e panicum” in particolare durante il periodo della Quaresima. Fondamento della cucina contadina medievale era la pentola, appesa a una catena o direttamente appoggiata sul fuoco: in essa bollivano e ribollivano le carni, i cereali, i legumi, gli ortaggi. Ne sono testimoni i resti archeologici di recipienti per cuocere, quasi tutti riconducibili, nei siti altomedievali, alla tipologia della pentola (“olla”) a bordo rientrante, di terracotta o di pietra resistente al fuoco che in Sicilia viene chia- mata ancora oggi tannura. Gli ortaggi e i legumi che nel X secolo erano per lo più coltivati negli orti delle riserve monastiche e signorili o nei terreni periferici intercalari, vengono ora piantati intorno alla fattoria. Anche la fava era un legume di grande consumo: piatti molto comuni a quell’epoca erano il pulmentum (minestra di pane e fave) ed il maccu, ancora oggi consumato.

Legumi e religioni Gli Ebrei mangiavano molto pane ma anche zuppe a base di legumi secchi e verdi; quelli secchi venivano, talvolta, usati nella preparazione del pane. Gli ebrei del Medi- terraneo avevano un debole per i ceci – nello hamin o tostati –, per le lenticchie, le fave e i fagioli freschi; tutti questi legumi svolgevano un ruolo fondamentale come

18. “Storia dell’Alimentazione”, Flandrin Jean-Louis e Montanari Massimo, (Bari, Editore Later- za, 1997).

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 33 variazione alle zuppe e agli stufati. La regola di san Benedetto da Norcia che si ispira ai consigli di Bernardo di Chiara- valle, indicava ai monaci di fare un pasto al giorno, all’ora nona, dal principio dell’au- tunno a Pasqua, e due pasti alla sesta ora e al vespro, da Pasqua all’equinozio di settem- bre. Il pranzo constava di due piatti di verdure e di legumi cotti, una libbra di pane e una mina di vino. La cena, molto più leggera, comprendeva frutta, verdura e legumi teneri crudi, accompagnati dai resti del pane e vino del mezzogiorno. I legumi all’interno di questa posizione filosofico-culturale ripresa dall’ideologia cristiana, diventarono simbolo di sobrietà, equilibrio e misura. Le notizie sul fagiolo in Italia risalgono al 1528, quando il canonico Pietro Valeria- no piantava in alcuni vasi i grossi semi provenienti dalle Americhe donatigli da papa Clemente VII. Da allora il fagiolo si diffuse, sia in Francia, sia in Italia, grazie al note- vole adattamento delle varietà e alle poche cure necessarie.

I legumi in epoca moderna “In epoca moderna tra i nuovi alimenti provenienti dalle Americhe giunse anche una nuova specie di fagioli che andò ad affiancare il dolico l’antica tipologia di origine africana dal colore bianco con occhio nero, proprio quella che riempie la scodella del “Mangiatore di fagioli”, il noto dipinto di Annibale Caracci (1584-85). La nuova specie di fagiolo americano divenne presto quella prevalente nel regime alimentare europeo ed assunse in molti Paesi una denominazione popolare (faculia per i greci, fasulé per gli albanesi, fagiolo per gli italiani, fasola per i polacchi, flayot e flageolet per i francesi) e ovunque quella scientifica di phaseolus. Ma, a parte questo avvento che non incise particolarmente sulla produzione e sul consumo dei legumi, l’età moderna fu per l’Europa e in particolare per l’Italia sinonimo di miserie e sofferenze”19. Nicolas De Bonnefons riportò i legumi alla dignità di piatto a sé stante, a consiglia- va di cuocerli in acqua con la loro pelle e di sbucciarli dopo la cottura. Prima di lui venivano infatti macerati, schiacciati, impastati e servivano per accompagnare o per “contraffare” le portate di carne20. Durante tutta l’età moderna, ma ancora fino all’inizio del XX secolo, i legumi con- tinuarono ad essere relegati a cibo di mero sostentamento, destinati alle classi sociali più umili, confermando la tesi di molti storici dell’economia che vedevano nelle cam- pagne italiane, in particolare quelle del meridione, il protrarsi di quel “lungo medio- evo”, che sappiamo essere terminato solo a metà del secolo scorso con la modernizza- zione definitiva del nostro Paese.

19. Dott. Maurizio Tuliani, “Storia Sociale dei Legumi” Op. Cit. 20. Nicolas de Bonnefons, “Le jardinier françois”, 1651.

34 Mario Liberto CAPITOLO V LEGUMINOSE: LE PIANTE MIGLIORATRICI DEL TERRENO

I legumi non si limitano soltanto ad apportare benefici alla salute umana, ma mi- gliorano anche le condizioni di vita degli animali e del suolo; inoltre, i residui dei rac- colti di leguminose possono essere utilizzati come foraggio per gli animali. Per secoli le leguminose hanno rappresentato, anche sotto l’aspetto agronomico, la fonte di azoto per aumentare le rese delle coltivazioni agricole. Le leguminose, possono ospitare nel proprio apparato radicale alcuni tipi di bat- teri del genere Rhizobium, questi, hanno la capacità di fissare l’azoto atmosferico, ossia di prendere quel 78% di azoto presente nella nostra atmosfera e trasformarlo in una forma che sia assimilabile dalla pianta. Questi batteri vivono in simbiosi con le leguminose e sono in grado di assorbire e convertire l’azoto atmosferico in composti azotati, riducendo le emissioni di CO2 che possono essere utilizzati dalle piante e, contemporaneamente, migliorare la fertilità del suolo. “L’importanza di questi batteri ha come diretta conseguenza l’alta percentuale di proteine contenuta nei legumi: se si possono sostituire le proteine della carne con quelle della soia, o dei fagioli, o dei ceci, ecc. È proprio perché ci sono dei rizobi che, fissando l’azoto, lo rendono disponibile alla pianta per creare i composti azotati di base, gli amminoacidi; catene di amminoacidi formano le proteine, che vengono ac- cumulate in tutte le parti della pianta, foglie comprese (importanti per la mangimisti- ca animale) e in particolare nei semi. I rizobi, però, non arricchiscono solo le piante, ma anche il terreno stesso: in agricoltura, i legumi sono definiti colture di arricchimen-

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 35 to, generalmente da alternare ai cereali che, invece, sono definiti depauperanti. Non avendo rizobi che fissano l’azoto per loro, colture come il mais o il grano assorbono tutto l’azoto già presente nel terreno, che l’anno successivo deve essere reimmesso gra- zie alla semina delle leguminose. E riconoscente a questo meccanismo che si può spie- gare l’alta resa delle coltivazioni e il fatto che produrre un chilo di proteine vegetali è molto più economico e ha un impatto minore sull’ambiente rispetto alla produzione di un chilo di proteine animali21”. I legumi riescono a fissare tra 72 e 350 kg di azoto per ha/anno; inoltre contri- buiscono a migliorare la tessitura del terreno, nei sistemi di coltivazione consociate, possono ridurre l’erosione del suolo e contribuire a controllare infestazioni e malattie, riducono l’utilizzo di pesticidi chimici in agricoltura, migliorando la fertilità del suolo e favorendo anche la biodiversità. L’avvicendamento delle coltivazioni è una tecnica che ha origini fin dai tempi del Neolitico, quando i primi agricoltori si accorsero che era possibile prolungare nel tempo la fertilità del terreno grazie all’avvicendamento delle colture, ovvero pratican- do la tecnica ancor oggi definita rotazione agraria. Inizialmente “la rotazione agraria era di tipo biennale e consisteva nel coltivare una parte dei campi con specie che tendono ad esaurire le sostanze nutritive del terreno (cereali, legumi…), mentre l’altra parte veniva lasciata a maggese, ovvero destinata al pascolo degli animali. In questo modo la zona tenuta a pascolo non si impoveriva di sostanze fertilizzanti e veniva concimata dal bestiame, mentre di anno in anno i terre- ni si invertivano e ciò consentiva di sfruttarli più a lungo che in passato22”. L’introduzione della rotazione biennale modificò profondamente l’agricoltura consentendo ai contadini di stabilirsi in un territorio senza essere costretti a lasciarlo una volta che il terreno aveva perso la sua fertilità; si ponevano le premesse per la na- scita delle prime civiltà stanziali della storia umana, dopo che per quasi 2 milioni di anni gli abitanti della Terra erano stati nomadi e si erano spostati incessantemente, prima alla ricerca di animali da cacciare e in seguito per trovare terre fertili. I Roma- ni crearono un sistema di rotazione biennale, che permetteva al terreno di godere di periodi di riposo annuale fra una coltivazione e l’altra, in modo da rigenerarsi. Anche la rotazione romana prevedeva l’alternarsi di colture di cereali a periodi di pascolo o maggese. “Successivamente, al sistema di rotazione biennale si preferì quello a rotazio- ne triennale; il primo anno, nel primo terreno, viene piantato il grano, nel secondo i legumi e il terzo viene lasciato a maggese. Il secondo anno il terreno che era occupato dal grano veniva lasciato a maggese, in quello precedentemente occupato dai legumi veniva piantato il grano e in quello vuoto nel primo anno venivano piantati i legumi. Nel terzo anno il primo terreno veniva seminato con legumi, il secondo lasciato a

21. “Alimentazione sana, i legumi”, www.benessere.com, www.benessere.com/alimentazione/ali- menti/legumi.htm 22. “Rotazione delle colture”, Wikipedia, it.wikipedia.org/wiki/Rotazione_delle_colture

36 Mario Liberto maggese e il terzo seminato con il grano23”. La rivoluzione degli allevamenti del Cinquecento, che non si fondava sui pascoli naturali, ma sulla coltivazione dei foraggi impose di inserire, questi ultimi, tra i raccol- ti di cereali. I primi scrittori che descrivono questo sistema furono Camillo Tarello e, soprattutto, Agostino Gallo24. Tra gli agronomi europei che diedero maggiore impulso a tale forma di coltivazione ci fu Arthur Young, anche se, la teorizzazione fu messa in atto da un suo discepolo, il tedesco Albrecht Thaer. La rotazione diviene vera scienza in Inghilterra tra la fine del Seicento e il Settecento, quando decine di agronomi sperimentano nuove combina- zioni di colture in successione25. Nell’Ottocento la rotazione viene realizzata, nell’azienda sperimentale del magnate dei fertilizzanti John Bannet Lawes, dall’agronomo inglese Henry Gilbert che, dopo cinquant’anni di sperimentazioni, illustra, in una serie di conferenze in USA, i risulta- ti del più straordinario progetto sperimentale della storia dell’agronomia26”. In Italia si deve a Stanislao Solari, Ufficiale della marina militare (Genova 1829 – Parma 1906) che, dopo aver combattuto in mezzo mondo, si diede alla sperimenta- zione agraria nel campo dei concimi; egli per primo tracciò le grandi linee dell’agricol- tura moderna basata sull’induzione dell’azoto nel terreno per mezzo delle leguminose scrivendo varie opere di agraria e di sociologia; a lui si deve un innovativo metodo di coltivazione razionale, basato sulla rotazione delle colture di leguminose, produttrici di azoto, e di cereali, che invece ne abbisognano (azoto-fissazione). I legumi promuovono anche la biodiversità sotto la superficie del terreno, poiché creano un abbondante ricettacolo di germi, insetti e batteri di vario genere. Infine, l’uso dei legumi come colture di copertura e nei sistemi di colture conso- ciate – seminandoli tra altre coltivazioni o come parte di sistemi di rotazione – può ridurre l’erosione del suolo e contribuire a controllare infestazioni e malattie. Insomma, i legumi rappresentano un vero tesoro per l’uomo, gli animali e per l’am- biente. Il PAN (Piano di Azione Nazionale uso sostenibile dei prodotti fitosanitari) lo indica tra le tecniche obbligatorie per la lotta integrata, ragion per cui diventerà lo strumento indispensabile per l’agricoltura ecosostenibile.

23. Idem. 24. Francesco Grasso Caprioli, Saggio bibliografico, Storia Agricoltura, rsa.storiaagricoltura.it/ pdfsito/75_6.pdf 25. Idem. 26. “Rotazione delle colture”, Wikipedia, Art. cit.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 37

CAPITOLO VI ASPETTI SALUTISTICI DEI LEGUMI

Le preziose sostanze nutritive contenute nei legumi, insieme alla loro facilità di conservazione, hanno rappresentato da sempre un’ottima alternativa a quelle degli alimenti di origine animale. Questa ricchezza alimentare passa attraverso alcuni accor- gimenti fondamentali. Scopriamoli meglio. Le proteine dei legumi possono essere classificate in due gruppi: proteine di riserva, presenti soprattutto nei corpi proteici e rappresentate principalmente da globuline (circa il 70% delle proteine totali) e proteine metaboliche (strutturali ed enzimatiche), queste ultime costituite soprattutto da albumine (10-20%) e, più limitatamente, da gluteline (meno del 10%). Questo contenuto varia, naturalmente, con le specie e con le varietà, ma anche in base allo stato dei semi: freschi o essiccati. Rispetto alle protei- ne animali, quelle dei legumi hanno molti vantaggi: saziano di più, sono meno calo- riche e con la loro fibra solubile vengono regolati i livelli di colesterolo e di glucosio nel sangue. “Sebbene le proteine siano presenti in notevole quantità, la loro biodisponibilità è piuttosto bassa, inferiore a quella delle proteine che si trovano in altri alimenti di origine vegetale. Questa bassa digeribilità (60-80%), le cui cause non sono ancora del tutto chiare, sembrerebbe legata principalmente a due fattori: la particolare struttura di alcune frazioni proteiche resistenti all’azione delle proteasi e la presenza di fattori endogeni (polifenoli, fitati, fibra, inibitori di proteasi, lectine), detti fattori antinu- trizionali, capaci di interferire attraverso diversi meccanismi con l’utilizzazione delle

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 39 proteine”27. Difficoltà che viene superata grazie ai lunghi tempi di cottura cui i legumi vengono abitualmente sottoposti. Infatti, una buona parte di questi composti risul- tano assenti al momento del consumo, le proteine risultano denaturate e tutto ciò determina una migliore digeribilità dei legumi e un maggiore assorbimento. L’abbinamento legumi e cereali ha origini antiche. Nonostante i nostri anziani non avessero competenze di dietetica e di scienza dell’alimentazione, in qualche modo hanno anticipato, inconsapevolmente, le nostre conoscenze: le proteine delle legumi- nose apportano una discreta quantità di alcuni amminoacidi essenziali, in particolar modo la lisina, mentre sono carenti di una famiglia di amminoacidi: metionina e ci- steina – che i cereali contengono invece in buone dosi. Quindi risulta indispensabile consumare legumi e cereali contemporaneamente; infatti la loro associazione porta a un piatto completo ed equilibrato con contenuto proteico “globalmente” di alto valore biologico ma anche glucidico e calorico, come ad esempio una zuppa di legumi accompagnata da pane, anche raffermo, o un buon piatto di pasta e legumi. I legumi, allo stato secco, sono anche ricchi di glucidi complessi, amido e fibra solu- bile. Il loro contenuto di glucidi, mediamente, è di oltre il 50%; il principale è l’amido (con contenuto superiore al 40%), seguito da pentosani, destrine, galattani. Pertanto, il loro valore calorico è elevato e li rende un’ottima fonte di energia. Sono anche presenti, in percentuali diverse, raffinosio, stachiosio, verbascosio (gli zuccheri responsabili della flatulenza), saccarosio e piccole quantità di glucosio. Non solo: i carboidrati dei legumi hanno un buon profilo nutrizionale perché hanno un basso indice glicemico, che si traduce in un modesto rialzo della glicemia dopo il con- sumo. Il contenuto in fibra è sempre elevato: la frazione insolubile, localizzata prevalen- temente nei tegumenti del seme e costituita da cellulosa, emicellulosa e lignina, è es- senzialmente responsabile della regolazione delle funzioni intestinali, mentre a quella solubile, comprendente le pectine e una parte delle emicellulose, viene attribuita la proprietà di controllare i livelli di glucosio e di colesterolo nel sangue. Il rapporto tra fibra solubile e insolubile varia nei diversi legumi ed è più alto nei fagioli, più basso nelle lenticchie. Gli acidi grassi insaturi ad azione ipocolesterolemizzante danno ai legumi un ruolo principe nell’alimentazione umana. Il contenuto in sali minerali di ferro, zinco e cal- cio è elevato, ma la disponibilità di questi micronutrienti appare limitata dalle intera- zioni con altri costituenti dei legumi stessi, principalmente fitati, tannini e fibra, che hanno un effetto negativo sulla loro utilizzazione. Comunque, sebbene la percentua- le di ferro assorbito non sia alta (circa il 2%), i legumi secchi ne contengono quantità tali (8 mg/100 g nelle lenticchie e nei fagioli) da contribuire in modo significativo alla copertura del fabbisogno di questo nutriente. Per facilitare l’assorbimento del ferro è

27. Arcari Morini D., D’Eugenio A., Aufiero F., “Il potere farmacologico degli alimenti”, Edizione red, Milano, 2003.

40 Mario Liberto consigliabile il consumo contemporaneo di alimenti ricchi di vitamina C, in tal senso, bastano le carote, sedano e pomodori che aggiungiamo alle nostre zuppe. Inoltre, i legumi sono particolarmente ricchi di potassio, fosforo e magnesio; scarso è invece il contenuto in sodio. Ulteriori proprietà nutrizionali dei legumi vanno cer- cate nei minerali (ferro, selenio, zinco, calcio, fosforo e potassio) Variazioni di questi nutrienti, tra specie diverse o all’interno della stessa specie, sembrano essere legate a numerosi fattori, tra cui principalmente quelli climatici e geografici. Per quanto riguarda le vitamine, i legumi apportano quantità apprezzabili di alcu- ne vitamine del gruppo B (B1, B2 e niacina, tiamina, riboflavina), e, allo stato fresco, anche di vitamina C, nonché, insieme alle verdure a foglia larga, sono tra gli alimenti a più alto contenuto di acido folico o vitamina B9, essenziale per evitare le malfor- mazioni neonatali (spina bifida). Mancano della Vitamina B1228. Tale vitamina, che viene fortemente alterata durante la cottura degli alimenti, sembra avere un ruolo importante nella prevenzione delle malattie cardiovascolari29. Sono inoltre presenti, in quantità che differiscono molto a seconda delle specie e delle varietà, alcuni costituenti più propriamente tossici, come i fattori responsabili del favismo e del latirismo. La presenza di tali fattori sembra essere collegata all’elevata resistenza che tanto le piante quanto i semi mostrano nei confronti di insetti e di altri organismi patogeni, così da esercitare una funzione protettiva contro eventuali malat- tie che possano colpire la pianta. Sebbene questi composti non siano presenti nelle leguminose in quantità tali da risultare di per sé dannosi per l’uomo, non vi è dubbio che possano esercitare un ruo- lo nutrizionale negativo, soprattutto se ingeriti in dosi elevate o in semi non trattati termicamente. Parte di essi vengono infatti distrutti dal calore ed è anche per questo

28. La carenza di vitamina B12 induce una malattia nota come anemia perniciosa, caratterizzata da alterazioni delle anemie sideropeniche (da carenza di ferro); questa malattia è dovuta non tanto alla carenza del minerale, quanto alla penuria di eritrociti. Il complesso vitaminico B12 è infatti fondamentale per la sintesi di globuli rossi da parte del midollo osseo. Proprio questa sua funzione primaria è particolarmente nota nel mondo dello sport dove la cianocobalamina rien- tra, insieme al ferro e all’acido folico, nei prodotti destinati a risolvere casi di “pseudoanemia da sport”. Il fabbisogno quotidiano di vitamina B12 è veramente modesto, ma comunque essenziale. La dose giornaliera richiesta per l’adulto è di circa 2-2,5 µg, mentre i depositi presenti nell’or- ganismo ammontano a circa 4 mg. Il fabbisogno aumenta leggermente durante la gravidanza e l’allattamento. 29. «La forma più naturale in cui è possibile assumerla è quella ottenuta tramite fermentazio- ne batterica, in quanto, come già detto, i batteri la espellono come prodotto secondario della fermentazione sotto forma di cianocobalamina. La cianocobalamina, rispetto ad altre forme in cui si presenta la vitamina B12, è la forma più stabile e disponibile per l’utilizzo terapeutico. La vitamina B12 così ottenuta è adatta anche ai vegetariani ed ai vegani.» www.azzuramentebio.it, azzurramentebio.it/633-2/. Renzo Pellatti, “Tutti i cibi dalla A alla Z - Guida a un’alimentazione sana e corretta”, Oscar Guide Mondadori, Cls (TN), 287-289.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 41 motivo che i legumi richiedono lunghi tempi di cottura per divenire commestibili. Quando una persona ha problemi di sovrappeso, obesità, colesterolo elevato, gli- cemia elevata o problematiche cardiocircolatorie, i legumi possono risolverli egregia- mente. Basti l’esempio di una persona con il diabete: con i cereali, le glicemie schizzano alle stelle; con i legumi, le glicemie restano decisamente basse. Se poi si ha l’accortezza di non mangiare i legumi a cena e di mangiarli invece nella prima parte della giorna- ta, il diabete è praticamente tenuto sotto controllo. Lo stesso dicasi per le malattie cardiocircolatorie; per non parlare poi delle malattie autoimmuni: gran parte di esse, come origine, hanno decisamente l’uso spropositato dei cereali e degli zuccheri30. I gonfiori intestinali che molte persone lamentano dopo aver mangiato legumi sono causati da zuccheri indigeribili (raffinosio, stachiosio e verbascosio) che giungono inalterati fino all’intestino crasso dove vengono fermentati dalla flora batterica locale. Il meteorismo e gli altri disturbi digestivi sono la conseguenza di tale fermentazione31. I legumi sono uno dei cibi con proprietà anticolesterolo. Contengono, infatti, una famiglia di sostanze (le saponine) in grado di sequestrare il colesterolo “cattivo” (LDL) e quindi impedirne l’assimilazione, riducendo in tal modo il contenuto di tale cole- sterolo nel sangue. Senza considerare che i legumi contengono la lecitina, (in media 1 g per 100 gr; 2,5 g nella soia) che è un ottimo emulsionante e che quindi favorisce l’eliminazione del colesterolo nel sangue attraverso le vie biliari oltre ad abbassare i trigliceridi nel sangue.

Quante porzioni a settimana Il ruolo e le proprietà dei legumi nella Dieta Mediterranea sono chiaramente rico- nosciuti dalle linee guida nutrizionali, che indicano in almeno 2-3 porzioni settima- nali il consumo minimo per questi alimenti. Dalle rilevazioni sulla popolazione ita- liana risulta però che il consumo medio settimanale è molto inferiore e pari a circa 80 grammi. Infatti, una porzione di legumi freschi corrisponde a circa 80-120 grammi, mentre una porzione di legumi secchi a 30-40 grammi32. Questa disparità tra indicazioni nutrizionali e consumi reali è penalizzante soprat- tutto nei bambini. Non c’è dubbio che i legumi non siano sempre ben accetti dai bambini, ma li si può somministrare mescolandoli ad altri ingredienti più noti e ap- prezzati, per comporre, per esempio torte salate, in cui si aggiungono ben frullati. Le stesse attenzioni nella preparazione dei legumi devono essere riservate a chi soffre facilmente di meteorismo e flatulenza.

30. Arcari Morini D., D’Eugenio A., Aufiero F., Op. Cit., pag. 219. 31. “Legumi e Proteine”, www.my-personaltrainer.it, www.my-personaltrainer.it/nutrizione/le- gumi-proteine.html 32. “Ruolo e proprietà nutrizionali dei legumi nella dieta mediterranea”, www.buonalavita.it, www.buonalavita.it/buono-sapersi/ruolo-e-proprieta-nutrizionali-dei-legumi-nella-dieta

42 Mario Liberto Raccomandazioni sul consumo di legumi Si raccomanda di consumare i legumi freschi – facilmente reperibili sui banchi dei prodotti ortofrutticoli in corrispondenza del periodo di raccolta, sia verdi che secchi – ricordando che le fave e i piselli sono disponibili a fine primavera, mentre i fagioli (in base alla varietà), le lenticchie e i ceci in estate. Bisogna evitare di consumare i legumi in scatola; nonostante essi mantengano so- stanzialmente le stesse proprietà nutrizionali di quelli freschi o essiccati, risultano meno ricchi di proteine poiché queste vengono parzialmente perse durante i processi di lavorazione e pastorizzazione. Attenti ai contenitori, generalmente di latta, è bene prestare molta attenzione: in- fatti, questi contenitori possono contenere sostanze tossiche dannose per la salute che vengono rilasciate nell’alimento. Un esempio tipico è dato dal bisfenolo A, co- nosciuto più comunemente come BPA, una sostanza chimica usata tipicamente per produrre plastiche e resine33. La conservazione dei legumi già cotti si avvale spesso dell’aggiunta di acidi antios- sidanti come l’acido citrico o l’acido ascorbico. Questi di per sé sono innocui (anzi, salutari), ma quando messi a contatto con plastiche tossiche erodono la parte plasti- ca e fanno precipitare all’interno del contenuto del barattolo i derivati tossici della plastica come il bisfenolo A. La soluzione a questo problema è acquistare i legumi confezionati nel vetro34. Inoltre, i legumi possono contenere additivi di vario tipo, come il glutammato mo- nosodico, una sostanza generalmente impiegata per aumentare gusto e sapore degli alimenti inscatolati. Questi additivi stimolano eccessivamente il sistema del gusto e il sistema nervoso centrale, nella elaborazione dei segnali di fame, sazietà e dipendenza dal cibo. Spesso i legumi contengono anche molto sale che, nell’alimentazione quotidiana, non deve mai essere eccessivo dato che in quantità superiore ai 5 grammi per giorno35 può comportare gravi conseguenze come aumento della pressione arteriosa, problemi ai reni e anche a carico dell’apparato cardiocircolatorio. Per evitare di incorrere in questi tipi di rischi conviene sempre leggere le etichette, controllare la presenza di eventuali additivi o altri alimenti quali sale e zucchero ag- giunti al prodotto e in quali quantità sono presenti. Se decidiamo di acquistare questi legumi, una volta aperta la custodia bisogna sciac- quare sempre i legumi sotto acqua corrente, sia per liberarli al meglio dal liquido di governo – in genere acqua, ma che certamente è bene eliminare poiché rimasta chiusa

33. “Lattine e scatolame, rischi per la salute”, www.lastampa.it, www.lastampa.it/cuci- na/2018/02/27/news/lattine-e-scatolame-rischi-per-la-salute-1.33985283 34. Francesca Castiglioni, “Legumi freschi e in scatola”, www.cure-naturali.it, www.cure-natura- li.it/articoli/alimentazione/nutrizione/legumi-freschi-e-in-scatola.html 35. Raccomandazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 43 per un lungo periodo di tempo – e per eliminare qualsiasi traccia di sale e zucchero. Una volta aperta la lattina, poi, bisogna prestare attenzione alla conservazione, se non vengono consumati subito. “Il suggerimento è quello di trasferire gli avanzi in un contenitore a tenuta stagna, da conservare in frigorifero, ma solo per pochi giorni (a seconda comunque di quanto riportato in etichetta dopo l’apertura del prodotto). È bene, in conclusione, acquistare legumi in scatolame biologico, così da evitare l’even- tuale assunzione delle possibili sostanze tossiche presenti nelle lattine36.

Legumi: flatulenza e altri disturbi digestivi È risaputo, ed è una delle cause del limitato consumo, che i legumi provocano fla- tulenza e altri disturbi digestivi. Le cause vanno ricercate nella presenza, nei semi dei legumi, di particolari carboidrati come il raffinosio e lo stachiosio che, purtroppo, non possono essere eliminati con la cottura e neanche digeriti, poiché nell’organismo umano mancano gli enzimi intestinali specifici. A supplire la carenza enzimatica, interviene la flora batterica che è capace di degra- dare parzialmente questi carboidrati, ma durante tale processo viene prodotto del gas. Tra le varie possibilità per ovviare o ridurre questo problema possono essere utilizzati alcuni suggerimenti: la decorticazione dei legumi per consumarli privi della buccia, metodo usato per somministrarli ai bambini fin dallo svezzamento; oppure tenerli in ammollo per una nottata e far seguire una cottura prolungata nella pentola a pressio- ne (a 118° C per 30 minuti) o anche la cottura tradizionale molto prolungata (85° C per due ore); oppure aggiungere dei semi di finocchio o di alloro all’acqua di cottura. Un accorgimento importante sembra essere quello di aggiungere il sale solo a fine cottura: questo permetterebbe di evitare l’indurimento della buccia esterna dei legumi.

36. Francesca Castiglioni “Legumi freschi e in scatola”, Art. Cit.

44 Mario Liberto CAPITOLO VII I LEGUMI: GIOIELLI D’ITALIA, TRA DOP, IGP, PRESIDI E PAT

“Le leguminose raccontano un affascinante percorso che va dai disagi di un’econo- mia di sussistenza di tutte le regioni d’Italia, alla consapevolezza e al valore di questi alimenti, attraverso le opportunità e la riscoperta di sapori dimenticati, nella consa- pevolezza e l’approfondimento di tematiche legate allo sviluppo sostenibile e al nutri- mento responsabile. Un cammino che tratteggia i cambiamenti di un’agricoltura che si relaziona con il mondo intero sotto il dominio e i condizionamenti della globaliz- zazione”37. Va dato anche merito ai nostri contadini d’avere salvato molti di questi legumi; qua- si tutti sono ecotipi locali, produzioni molto limitate ma di notevole eccellenza, sia per le caratteristiche organolettiche superiori che per la maggiore digeribilità. Inoltre, molti legumi locali, rispetto alle varietà commerciali, hanno il gusto delle tradizioni antiche espresse attraverso metodi di coltivazione assolutamente ecosostenibili che i nostri contadini, con forza e sacrifici, hanno saputo valorizzare e mantenere, evitando che queste produzioni potessero estinguersi nel tempo. “Agricoltori custodi”, che attraverso piccole parcelle di terreno, hanno permesso il recupero di queste preziosità territoriali con attività di moltiplicazione delle sementi, raccolta, selezione, salvaguardando e garantendo la biodiversità. Il tutto a vantaggio del settore del turismo rurale, i cui visitatori pongono al centro alimenti e ricette prelibatissime, che i ristoranti stellati, gli agriturismi più accreditati, oggi più che mai, ripropongono su richiesta del consumatore, piatti impregnati di territorialità e genuinità. Legumi che hanno accompagnato la storia d’Italia, che oggi si ripropongono per raccontare, attraverso le sublimi preziosità del gusto, le straordi- narietà immortali di questi interessanti alimenti. Iniziamo rigorosamente in ordine alfabetico il nostro percorso tra i legumi delle varie regioni d’Italia.

Abruzzo Ceci, fagioli e lenticchie, sono i componenti fondamentali della dieta alimentare abruzzese. Nel territorio di Castelvecchio Calvisio, in provincia dell’Aquila, è colti- vato il cece pizzuto. Pare che questo legume sia stato introdotto dalla Spagna nella prima metà dell’Ottocento e in questo areale si è adattato, variando le caratteristiche genotipiche e fenotipiche. Si caratterizza per il tegumento rugoso con colorazione

37. Luciano Sterpellone, “A pranzo con la storia. I nostri cibi dagli Assiri al fast-food”, Ed. Sei Frontiere, Torino 2012, pag. 123.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 45 arancio tendente al marrone. Altra peculiarità regionale è il fagiolo coltivato in un areale nella parte meridionale del Parco nazionale d’Abruzzo, varietà con seme di forma ovale e con un’epidermide colorata di bianco e di nero, entrambi i colori sono disposti sulla superficie del seme in maniera simmetrica. Navelli, un minuscolo borgo medioevale posto ai piedi del Gran Sasso, è conosciu- to per la produzione di un cece che è fondamentale per l’economia, la storia e la sus- sistenza della comunità. Uno dei piatti più sostanziosi della tradizione abruzzese è la minestra di ceci e castagne, cibo rituale che apriva il cenone della vigilia di Natale. Questo cece è anche un Presidio Slow Food. Caratteristica è la lenticchia di Santo Stefano di Sessanio; piccola (pochi millime- tri), molto saporita, globosa e di colore scuro, marrone-violaceo. Non si tratta di una lenticchia qualsiasi ma di un biotipo preciso selezionatosi in questa zona da tempi immemori, e già citata in documenti monastici dell’anno 998; anche queste lenticchie sono sotto Presidio Slow Food. Altro gioiello abruzzese è il fagiolo tondino del Tavo nel comprensorio delimitato dai comuni Farindola, Penne, Loreto Aprutino, Collecorvino, Moscufo e Cappelle Sul Tavo; il frutto è un legume pendulo, di colore verde, pluriseme. La colorazione del seme va dal bianco latte all’avorio, la forma è tondeggiante, con tegumento esterno sottile e lucido, che tende però a imbrunire qualora si verifichino piogge eccessive durante la fase di maturazione. Il consumo è per lo più allo stato secco, da solo o in abbinamento con altre minestre. Vi è anche un consumo allo stato fresco. Troviamo inoltre i “fagioli a olio” e i “fagioli a pane”, della Piana di Paganica e di Onna, entrambi introdotti nel XIX secolo dal marchese Giovanni Battista Drago- netti e inseriti nell’Albo nazionale dei prodotti storici del Ministero delle politiche e forestali.

Basilicata In Basilicata troviamo il celebre fagiolo di Sarconi Igp. La zona di produzione com- prende il territorio del comune di Sarconi e dei comuni limitrofi, tutti in provincia di Potenza. I fagioli di Sarconi sono utilizzati come baccelli da sgranare allo stato fresco o a piena maturazione per la granella secca. Da questi legumi viene preparata la tradizio- nale crapiata, antichissimo piatto della tradizione contadina materana composto da ceci bianchi, cicerchie, lenticchie, piselli, fave intere, fagioli borlotti, fagioli cannellini e grano decorticato. Molto apprezzato il fagiolo bianco di Rotonda (Dop); viene coltivato in provincia di Potenza, nei comuni di Rotonda, Viggianello, Castelluccio Inferiore e Superiore, ha un elevato contenuto proteico, è tenero e digeribile.

46 Mario Liberto Inoltre, nell’Albo nazionale del Ministero delle politiche agricole, alimentari e fore- stali abbiamo il fagiolo di Muro Lucano, il fagiolo di San Gaudioso, il fagiolo Zemi- nelle, la lenticchia di Potenza e il lupino del Pollino.

Calabria L’Agenzia per lo sviluppo in agricoltura della Regione Calabria (Arsac), nell’ambito di un progetto riguardante le leguminose da granella, in collaborazione con l’Univer- sità Mediterranea di Reggio Calabria e l’Enea, ha censito e studiato, in tutto il territo- rio regionale, 120 varietà di fagioli e altri ecotipi di cece e lenticchia, caratterizzandoli morfologicamente, geneticamente e per le loro potenzialità agronomiche. Il legume più famoso della Calabria è il fagiolo di Caria coltivato sulle colline di Tropea, altopiano del Poro. Questo legume si avvale di condizioni microclimatiche del territorio che conferiscono al prodotto qualità organolettiche superiori a quelle degli altri fagioli prodotti anche in zone limitrofe. Da oltre trent’anni nel paesino di Caria, si tiene in agosto la “Sagra della Surjaca”. Ancora oggi la cucina parsimoniosa e senza tempo predilige cucinare i fagioli nella “Pignata di terracotta” posta sul camino a legna rigorosamente di ulivo, conditi con peperoncino calabrese e piccante all’olio extravergine di oliva; si consumano accompagnati da un buon vino rosso. Inoltre in Calabria troviamo il fagiolo poverello bianco. Conosciuta è anche la len- ticchia di Mormanno, varietà a seme piccolo e policromo (rosa, beige, verde). Si con- suma sotto forma di passati o zuppe. Altre varietà note sono il Fagiolo Monachella dell’alto Lametino, il Fagiolo di Cor- tale dell’area Catanzarese (comuni di Maida, Cortale, Girifalco) e i Fagioli Merulla dell’altopiano silano.

Campania In Campania troviamo diversi legumi essenzialmente coltivati nel Cilento. L’attivi- tà di ricerca e valorizzazione intrapresa da qualche anno da parte del CREA – Centro di ricerca per l’orticoltura di Pontecagnano (SA) – ha favorito la salvaguardia di molti legumi campani che si stavano perdendo. Pur essendo la produzione di questi legumi limitata, essi manifestano notevole eccellenza, sia per le caratteristiche organolettiche (maggiore digeribilità rispetto alle varietà commerciali), sia perché sono produzioni legate ad antiche tradizioni e a metodi di coltivazione assolutamente ecosostenibili. A Controne troviamo un fagiolo di piccola dimensione, rotondo, bianchissimo e dalla buccia sottile, ricercato per la sua alta digeribilità, per il suo sapore delicato ma deciso che rimanda alla forza paesaggistica dell’entroterra cilentano. A Gorga, frazio- ne di Stio, oltre all’eccellente fagiolo della Regina, si ritrovano anche altri fagioli molto interessanti, quali i “Munacielli”, così denominati per il colore nero dei semi, i fagioli “Sciuscelle” e i fagioli “Tabaccuogni”. Conosciuto è anche il Cece di Cicerale assai

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 47 ricco di potassio e di componenti essenziali. Inoltre abbiamo il fagiolo occhio nero di Oliveto Citra, la lenticchia di Colliano, il fagiolo “a pisiello”, il fagiolo di Mandia, i fagioli lardari, i fagioli tabacchini, il fagiolo di Villaricca, il fagiolo striato del Vallo di Diano, il fagiolo tondino bianco del Vallo di Diano, la fava di Miliscola, la lenticchia di Valle Agricola, il lupino gigante di Vairano, i piselli cornetti, i fagioli di Volturara Irpina, i fagioli quarantini, il fagiolo a formella, il fagiolo della regina di san Lupo, il fagiolo dente di morto, il fagiolo di cera, il fagiolo di Gallo Matese, il fagiolo di Mandi, il fagiolo di Villaricca, il fagiolo mustacciello, il fagio- lo san Pasquale di Casalbuono, il fagiolo S’anter di Casalbuono, il fagiolo zolfariello, la fava di Miliscola, la lenticchia di Valle Agricola, il pisello centogiorni.

Emilia Romagna L’Emilia Romagna è la prima regione nel nord Italia per la produzione di fagiolo e di fagiolino da mercato fresco e per uso industriale, con oltre 4.700 ettari di superficie investita. I due terzi di queste coltivazioni sono in Romagna, nelle province di For- lì-Cesena, Ravenna e Ferrara, mentre i restanti ettari sono nel Piacentino.

Friuli Venezia Giulia I fagioli autoctoni friulani sono conosciuti come “borlotti della Carnia”, presenta- no forma ovale o quasi tonda con screziature e/o striature dal rosso al violaceo, frutto di selezioni naturali e autoctone che durano da moltissimi decenni. Il borlotto della Carnia è un fagiolo da granella che viene raccolto allo stadio secco, quando la maggior parte dei baccelli è ingiallita e l’umidità dei semi si aggira di solito intorno al 20%. (Centro Regionale di Sperimentazione Agraria di Pozzuolo del Friuli). Il fagiolo “Dal Santisim”, detto anche Da l’Aquile, oppure Tricolore di Cavazzo, viene prodotto nelle vallate della Carnia in provincia di Udine, in particolare nella Valle del But e più precisamente nei Comuni di Arta Terme, Tolmezzo e Cavazzo Carnico. Si tratta di un antico fagiolo non molto produttivo che presenta ottime ca- ratteristiche nutrizionali e di utilizzazione. Il fagiolo borlotto di Pesariis è una varietà locale rampicante di buona produttività ed ottime caratteristiche culinarie, adatta per produzioni di granella fresca e secca. Inoltre, troviamo il fagiolo Cesarins, piccolo fagiolo rotondo e di colore uniforme verde-giallastro chiaro, che ricorda nell’aspetto un pisello ed è particolarmente indica- to per la produzione di granella secca; è coltivato nelle Vallate interne della Carnia, in provincia di Udine, in particolare nella Val Pesarina Alta, Val Tagliamento e Conca di Illegio in comune di Tolmezzo; è una delle migliori varietà locali che si adatta anche a stagioni relativamente calde. Il seme è piccolo e poco appariscente; grazie all’elevato numero di baccelli per pianta si presta alla produzione di granella secca. Il fagiolo dal Voglut, Plombin si caratterizza per l’ilo scuro, ed è utilizzato sia per la produzione di granella verde che secca. Il territorio interessato alla produzione riguar-

48 Mario Liberto da le vallate interne della Carnia, in provincia di Udine. Il fagiolo Laurons Borlottino è di piccole dimensioni, si adatta alla produzione di granella fresca e secca, si produce nelle vallate interne della Carnia, in provincia di Udine, in particolare nella Val Pesarina (comune di Prato Carnico e frazioni). Trovia- mo inoltre, il fagiolo Militons e il fagiolo rampicante Fiorina.

Lazio Il Lazio è una delle regioni con il patrimonio di legumi più ricco d’Italia. Oltre alla fagiolina del Trasimeno di forma ovale e di vari colori, la più diffusa è bianca ma c’è anche color salmone, nera e marrone; è tenera, burrosa e saporita. Nella Valle dell’Aniene, troviamo il “cioncone” di Vallinfreda, Riofreddo e Vivaro Romano. Interessanti sono: la “fagiolina arsolana” di Arsoli, il fagiolo “regina” di Ma- rano Equo, il “faciolone”, le “cappellette”, il “pallino” e il “romanesco” di Vallepietra. Pregiata è anche l’antica lenticchia di Onano, la cicerchia e anche i fagioli del Purga- torio, i fagioli gialli, il farro perlato o spezzato, il cece, la lenticchia, il fagiolo borlotto dell’altopiano Reatino, i fagioli Cannellino di Atina Dop, la cicerchia di Campodi- mele, la fagiolina di Arsoli, il fagiolo a pisello, il fagiolo Borbontino, il fagiolone di Vallepietra, la favetta di Terracina, i legumi della Tuscia, la lenticchia di Rascino, la lenticchia di Ventotene. Troviamo inoltre, il fagiolo a pisello, il fagiolo ciavattone, il fagiolo del purgatorio di Gradoli, il fagiolo di Sutri, il fagiolo gentile di Labro, il fagio- lo solfarino e quello verdolino.

Liguria Tra i legumi tipici della regione Liguria, nell’entroterra dell’imperiese, troviamo il fagiolo bianco di Pigna, presidio Slow Food. La coltivazione, introdotta da oltre 300 anni, avviene sui terrazzamenti a secco dei territori di Pigna, Buggio e Castelvittorio. Pare che i territori dove viene attualmente coltivato il fagiolo siano stati messi in col- tura, probabilmente, già in epoca romana. Il fagiolo cannellino viene prodotto nella Val di Vara (La Spezia). Il seme è di forma cilindrica e leggermente reniforme, è lungo circa 1 centimetro e mezzo, più piccolo del classico fagiolo cannellino. Il colore è bianco e in trasparenza si intravedono vena- ture di colore grigio ghiaccio. Il senerìn è un fagiolo rampicante, cioè ad accrescimento indeterminato. Il seme, di colore cenere, da cui il nome dialettale senerìn, è di piccole dimensioni, lungo circa 1 centimetro . Il fagiolo dell’aquila di Pignone è un fagiolo “con l’occhio” e presenta una macchia di colore grigio cenere con striature scure. Nel Comune di Borghetto Vara, con centro di diffusione nella frazione di L’Ago, viene coltivato il pisello nero di L’Ago. Il seme, che allo stato secco presenta le di- mensioni di 3-5 mm, è di colore marrone-bruno, con una caratteristica macchia nera circondata da un’aureola marrone scuro-grigio nell’incavo dove è situato il punto di

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 49 attacco con il baccello. Un altro legume coltivato in Liguria è il cece (si ricorda la tipica specialità locale a base di farina di ceci: la ). Di particolare interesse è anche il fagiolo di Badaluc- co che si estende anche ai territori di Pigna e Conio. Latteo al colore, si fa apprezzare per la morbida carnosità, la delicatezza della pasta, l’assenza di buccia. Nel compren- sorio è coltivata anche una qualità meno pregiata, le mungette, simili nel colore ma riconoscibili dalla forma più allungata analoga a quella del cannellino. Di questo si preparano delle rinomate “frittelle di fagioli”. Caratteristica ligure è la Mesciua, una zuppa di legumi e cereali. Troviamo inoltre la fagiolana di Torza, i fagioli bianchi, il fagiolo borlotto del Mangia, il fagiolo cannel- lino all’occhio rosso, il fagiolo gianetto, il fagiolo lupinaro.

Lombardia Nella Lombardia particolarmente diffusa è la produzione di fagioli in svariate tipo- logie e di lenticchie. Un legume tipico di questa regione è il fagiolo borlotto di Gam- bolò, un’antica varietà a portamento rampicante, di produzione locale e lavorazione quasi esclusivamente manuale, tipico della zona della Lomellina, in Provincia di Pavia. Vanto di questa zona, è abitualmente abbinato a cereali e pasta, o preparato in con la salsiccia. Ma grazie al suo sapore delicato, si presta anche ad utilizzi insoliti: per esempio e dessert realizzati a base di borlotto, tra questi i biscotti borlottini e la torta Ariosa. Il borlotto di Gambolò si presenta come un inconfondibile baccello rosso con screziature color crema contenente semi di media dimensione di color rosso arancio con sfumature rubino. Inoltre, troviamo il pisello di Miradolo Terme.

Marche Tradizionale delle Marche è la produzione della cicerchia di Serra De’ Conti (AN), dove si svolge la “festa della cicerchia”, nel corso della quale si può degustare una zup- pa dal sapore semplice e rustico, preparata appunto con questa leguminosa, protago- nista da secoli della tradizione culinaria. Altro legume prodotto nelle Marche, in particolare a Fratte Rosa, che sorge tra le valli del Metauro e del Cesano a 419 mt s.l.m. su terreni fortemente argillosi deno- minati “lubachi”, è la fava, un ecotipo molto particolare, sicuramente derivante da incroci spontanei tra favino e fava.

Molise Tra le eccellenze molisane hanno un grosso peso le leguminose, tra queste spiccano la cicerchia di Baranello, la lenticchia di Capracotta, il fagiolo di Castel San Vincenzo e Conca Casale, nonché il cece di Riccia. La lenticchia di Capracotta è conosciuta per le sue eccezionali qualità nutritive e per il suo gustoso sapore. Pregiati sono anche i legumi prodotti a Conca Casale, quel-

50 Mario Liberto lo che merita una particolare attenzione è la lenticchia, che si accosta molto bene con la “Signora di Conca Casale” un insaccato di carne suina, di grande pezzatura, tipico di alcune zone montuose del Molise. Il salume è annoverato tra i presidi alimentari di Slow Food. A Conca Casale ogni anno si svolge la tradizionale sagra dei legumi, durante la quale si possono degustare gli ottimi legumi (lenticchie, cicerchie, fagioli, ceci) prepa- rati secondo le antiche ricette. Pieni di fascino e curiosità sono i cosiddetti “confetti di Acquaviva” di Castel San Vincenzo sulla cui origine sarebbe il caso di avviare una ricerca approfondita per capire come dagli antichi fagioli dell’abbazia benedettina, si- curamente meno ricchi di capacità nutrizionali, si sia arrivati ad uno dei prodotti più speciali della terra molisana. Dunque, la presenza dei legumi nella dieta delle popolazioni dell’Alta Valle del Vol- turno è un fatto antico, come è antico in tutta la tradizione contadina. Caratteristica è anche la cicerchia di Baranello riconosciuta come eccellenza della tradizione culinaria molisana, di alto valore nutrizionale; conosciuti sono inoltre il fagiolo Tabacchino e i ceci e i fagioli di Riccia. Molto curioso è un piatto della tradizione molisana che trova anche estimatori nel confine dell’Abruzzo, chiamato “Le virtù”, una zuppa preparata con sette varietà di legumi secchi, sette tipi di legumi freschi, sette qualità di verdure, sette tagli di carne, sette formati di pasta, insaporiti con sette condimenti, e fatti cuocere per sette ore. Altro piatto caratteristico è la “Lessata” un piatto composto da fagioli molto grossi, oppure da un mix di fagioli, ceci e lenticchie. Anche in questo territorio troviamo la crema di ceci riscontrabile anche in altre regioni meridionali.

Piemonte Tra i legumi tipici del Piemonte, troviamo il fagiolo di Saluggia Dop, prodotto nell’omonimo comune e in quelli limitrofi, tutti in provincia di Vercelli. Si presenta reniforme, di colore roseo con striature rossastre e con tegumento esterno partico- larmente sottile ed è utilizzato per la produzione di fagioli secchi. La coltivazione del fagiolo di Saluggia risale ai primi anni del ‘900. Il Decreto Reale del 21 maggio 1914 ordinò il “Censimento Generale del Regno” nel quale comparve un’annotazione sulle produzioni orticole comprendenti il fagiolo nella zona di Saluggia. Altro legume tipico piemontese è il fagiolo di Cuneo Dop con baccello rosso scre- ziato, con semi reniformi di media pezzatura, dalle striature rosso-vinose su campo bianco; è l’ingrediente base del marsènc, minestrone cotto a lungo in una pentola di terracotta. Il fagiolo bianco di Bagnasco è una cultivar rampicante ad altissima resa. I tegu- menti del baccello, in fase di ingrossamento dei semi, presentano una colorazione ver- de brillante. Quando la granella giunge allo stadio di maturazione cerosa, i baccelli as-

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 51 sumono una colorazione bianco crema, successivamente, a granella secca, i tegumenti esterni divengono ocra. Il cece di Nucetto è un legume coltivato nelle zone più votate di Merella e comuni limitrofi (nell’alessandrino) e di Nucetto, limitrofi in Val Tanaro (CN). Il frutto è un baccello di forma oblunga che contiene 2-3 legumi di colore ocraceo globoso, legger- mente appuntiti. Inoltre abbiamo la fagiolana della Val Borbera, il fagiolo bianco di Bagnasco, il fa- giolo della Villata e il fagiolo di Salluggia. Molto apprezzato è anche il fagiolo di Cu- neo. Il pisello di Casalborgone è coltivato nella collina torinese ed astigiana. Si presenta con baccello corto, seme di diametro ridotto, liscio, di colore verde chiaro, di sapore dolce e di consistenza pastosa. Le varietà storiche sono Quarantin, Casalòt e Barchet- ta. Attualmente la varietà più diffusa è denominata Generoso.

Puglia A Zollino, in Puglia, piccolo paese della Grecìa Salentina, si produce la fava “Kuc- cìa” dal greco Kuamos; presenta una forma più schiacciata e presenta una resistenza maggiore alla cottura, per cui nel cuocerla si mantiene integra. Ideale per le zuppe e le minestre, il piatto famoso è “fave e foje” in cui il legume, ridotto a purè, è abbinato a verdure selvatiche. Troviamo inoltre i fagioli fasùl farinella e il piseddhu quarantinu o piseddhru dei Monti Dauni Meridionali, a forma di cilindro schiacciato di colore bianco avorio. Il sapore è gradevole con elevata digeribilità. Viene seminato insieme al mais in modo che possa servire come tutore. La fava di Carpino, è una delle varietà più apprezzate di tutta la Puglia. Si produce in rotazione con il grano duro, le barbabietole da zucchero, i pomodori e i lupini. Anche il pisello nano, coltivato da lungo tempo nel territorio di Zollino attraverso semenze selezionate di anno in anno dai contadini, viene consumato secco. I baccelli non sono di grosse dimensioni, il colore della granella è giallo-marroncino e inoltre gli è stata dedicata una statua. In occasione del giorno di San Giovanni, si celebra una fiera in onore della fava e del pisello nano, durante la quale si possono acquistare e degustare questi prodotti. La lenticchia di Altamura si distingue per il sapore dolce e l’aroma intenso e per- sistente all’olfatto di gran lunga più aromatica rispetto alle altre varietà di lenticchie esistenti sul mercato. La Gigante prodotta nei territori dei comuni di Altamura, San- teramo in Colle, Gravina di Puglia, Cassano delle Murge, Corato, Spinazzola, Ruvo di Puglia, Minervino e Poggiorsini, segue rigorosamente un disciplinare che la rende unica per le sue caratteristiche organolettiche. Di colore verde fieno, possiede una propensione a essere cucinata che permette di conservarne straordinariamente l’inte-

52 Mario Liberto grità e la tenerezza in cottura. Il pisello riccio di Sannicola è così chiamato per via del suo viticcio che cresce attor- cigliandosi ad elica. In questo comune il pisello riccio cresce folto, piccolo e compatto. Produce molti fiori e numerosi baccelli. Lo si coltiva perlopiù in aree marginali. La raccolta è precoce ed i piselli di questa varietà sono di colore verde, vagamente squa- drati, non del tutto sferici, dolci e teneri, adatti sia al consumo fresco che all’essicca- mento. Il pisello secco di Vitigliano, detto anche “piseddhu cucìulu” (di facile cottura) è coltivato nel territorio di Vitigliano (frazione di Santa Cesarea Terme), che gli anziani contadini del luogo chiamano “Terre duci”. In Puglia sono diffusi anche il cece nero e la cicerchia.

Sardegna Uno dei lavori più interessanti in Italia sui legumi è stato svolto dall’etnoantropo- loga sarda, ma di origini ligure, Alessandra Guigoni, in particolare sui fagioli della Sardegna. Le denominazioni riguardano principalmente alcuni aspetti, quali colore, forma, tempo di coltivazione, luogo di provenienza. “Fagioli bianchi: di colore chiaro, dal bianco sporco al bianco, grandi; a volte allungati (reniformi), più spesso piuttosto tondeggianti (detti anche canacca). Sono chiamati pisu biancu (Ogliastra) o fasou biancu (Campidano di Cagliari), o faiscedda bianca (Ortueri). Troviamo anche quelli colorati “Fagioli colorati, tipo borlotti, rossi su sfondo cre- ma, striati, o crema con striature tendenti al nero, o rossi con striature nerastre. I nomi sono moltissimi: fasou pintau, basolu ‘e colore, fasou iscrittu, pisu a’ indiana… sono denominazioni diverse per prodotti simili. Fagioli dell’occhio: di solito bianchi con la macchiolina nera attorno all’ilo, detti perciò brenti niedda (pancia nera) nel Campidano d’Oristano, o cara ‘e monza (testa di suora) nel centro-nord dell’isola. Fagioli d’altri colori sono costituiti dagli ecotipi rubiu (rosso) o nieddu (nero), mur- ra (grigio), latte, il meno comune grogo ossia giallo (come un ecotipo di Austis) e altri ancora. Altre denominazioni specificano la forma del fagiolo, come ad esempio su pisu balla che identifica un fagiolo tondeggiante; interessante a tale proposito su pisu cannacca, anch’esso tondeggiante, termine che in campidanese significa collana e se- condo Wagner il vocabolo è un sicilianismo, derivato dall’arabo xannaqa; si chiamano così anche i bargigli della capra. Un altro caso è rappresentato dall’origine del fagiolo: i più ricorrenti sono il fagio- lo definito sorgonese reperito ad Olzai e a Ovodda; su pisu ‘e Sorgono (di Sorgono), reperito a Meana Sardo; o come su asolu buddusoinu (di Buddusò) reperito a Pattada e Ozieri, su pisu tempiesu (di Tempio Pausania), sempre reperito a Pattada, su pisu iscanesu (di Scano) a Cuglieri, su pisu gavoesu (di Gavoi) a Talana, su basolu biancu de

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 53 Terraseu a Narcao. Meno spesso il nome si riferisce contemporaneamente a forma e origine, come nel caso della Gioghedda de Castelsardo, ossia lumaca di Castelsardo. Un altro ecotipo particolare di fagiolo è il trighine (it. tigrato), che costituisce nell’aspetto e nel nome un hapax nel panorama dei fagioli locali; trighine è nome che si dà anche ad un cane con caratteristiche striature scure sul pelo color miele, originario di Gavoi e dintorni. Ancora il fagiolo di Fluminimaggiore (fasobeddu de Frùmini), la cui coltivazione è stata localizzata nella fertile valle del fiume che attraversa il paese omonimo per poi sfociare in località “Portixeddu”. Si hanno numerose tracce storiche dell’importan- za della specie per il territorio, nel dizionario Angius-Casalis vengono riportati i dati sull’estensione delle coltivazioni del 1837. Il fagiolo trighine di Govoi è coltivato negli orti di montagna. Questo fagiolo pre- senta una biodiversità elevata. Infatti, dopo una prima distinzione tra fagioli nani e fa- gioli rampicanti, subentrano ulteriori denominazioni, che cambiano da area ad area, delle principali varietà coltivate. Pregiato è anche il fagiolo di Quarantino prodotto nel territorio di Gonnosfanadi- ga e comuni limitrofi. Il “fassobeddu corantinu”, ecotipo, si caratterizza per i semi di dimensioni medio piccole, di forma cilindrico-lunga e di colore bianco avorio chiaro con ottimali caratteristiche organolettiche: buccia sottile con ridotta presenza di te- gumenti, ridotta farinosità, sapore intenso ed equilibrato, ricco di aromi. Infine il fagiolo di Terraseo e il fagiolo tinese.

Sicilia I legumi maggiormente coltivati in Sicilia sono le fave, i ceci, le lenticchie, i piselli e i lupini. Per quanto riguarda le lenticchie si dividono in due principali gruppi, a seme grande e a seme piccolo; queste ultime la troviamo a Villalba, a Pantelleria e a Ustica. Godono particolare fama le lenticchie di Antillo, Chiaramonte Gulfi, Gangi, Maria- nopoli, Resuttano, Roccella Valdemone e Santa Domenica Vittoria a seme grande. La lenticchia di Villalba costituisce una parte della memoria storica della comunità villalbese. L’introduzione della coltura la si deve al marchese Niccolò Palmieri, abile imprenditore agricolo e commerciante di cereali, ed anche fondatore del piccolo cen- tro. Si caratterizza per un alto contenuto proteico ed un basso tenore di ceneri. Da rilevare il suo contenuto di ferro, molto più elevato rispetto ad altri ecotipi. La lenticchia di Ustica si distingue perché è piccola di colore marrone scuro, tenera e saporita. È ottima per zuppe profumate con basilico o finocchietto selvatico. La lenticchia fa parte di un Presidio Slow Food. La produzione della lenticchia di Pantelleria è quasi scomparsa, è una specie autoc- tona ormai rarissima. La lenticchia nera rappresenta un’eccellenza tra i prodotti agroalimentari dell’en- nese. La lenticchia nera si contraddistingue, oltre che per il caratteristico colore nero

54 Mario Liberto del tegumento che la rende particolarmente adatta nella preparazione di particolari e sofisticati piatti, anche per l’elevato contenuto in proteine e ferro. La fava larga di Leonforte è buona e cucivula, ovvero, cuoce facilmente e non va tenuta a lungo in ammollo (come gli altri legumi). A fine marzo ci sono quelle verdi, appena raccolte: si bagnano nel sale con le cipollette e si mangiano con il formaggio pecorino (favaiana e cipuddetti) oppure si cucina la frittedda facendole soffriggere in olio extravergine con pancetta e cipolle; comunque vanno sempre fatte cuocere a fuoco lento. La fava cottoia (cuoce facilmente) di Modica, oltre ad essere utilizzata per l’alimen- tazione del bestiame è utilizzata come ingrediente della cucina locale. Era data come razione giornaliera di “mezzo coppo” ai braccianti, che corrispondeva a 500 grammi, cucinata da sola o accompagnata da verdura; oggi è presidio Slow Food. Le varietà di cece più utilizzate in Sicilia sono due macrosperma: il Pascià a seme grosso con prezzo generalmente più elevato sul mercato ma globalmente con pianta più delicata e il Sultano a seme più piccolo, complessivamente più rustico e un po’ meno pregiato sul mercato. Esistono poi varietà con semi ancora più piccoli (micro- sperma), ed ancora più rustiche, ma generalmente disprezzate dal mercato. Resiste nella memoria di qualche contadino il cece rosso di Cianciana e uno bianco di molti areali. Il cece è all’origine di due alimenti che caratterizzano la Sicilia: le panelle e ‘u pitirru o ‘u pitirri. Il fagiolo Badda delle Madonie è coltivato nel territorio Polizzi Generosa, nel Parco Naturale delle Madonie; bicolore, medio piccolo e tondeggiante, chiamato badda, cioè palla, in dialetto. È un fagiolo screziato, può essere avorio con macchie rosate e aranciate, oppure avorio con macchie viola scuro, quasi nere. Nella Sicilia orientale troviamo il fagiolo cosaruciaru di Scicli, in dialetto “cosa dol- ce”, (Presidio Slow Food) che si riconosce per via del suo colore bianco-panna con piccole screziature marroni intorno all’ilo, ottimo per preparare zuppe di verdure o con le cotiche. In Sicilia troviamo ancora la cicerchia di Monreale, di Corleone e di Ragusa ed il fagiolo “vellutina” di colore rosso scuro, dalla buccia morbidissima una volta cot- to. Ricercato è anche il fagiolopasta utilizzato per gli stufati, come quello di Palazzo Adriano. Il Lupino di colore giallo oro è coltivato nelle zone di Acicatena e Acireale. Ucria (ME) ospita una Banca Vivente del Germoplasma vegetale con lo scopo di conservare le specie ed il loro patrimonio genetico in ambienti adeguati. Oltre ad altre specie conserva particolari fagioli: Fasolu Mignacca, Vasolu Carrazzu du Miri- canu, Carrazzu Pissiccari, Buttuna di Gallo, Vasolu Rosa Lungo, Spillazzi, Ucchit- Santanciulisi, Crucchittu Criotu, Carrubbara Baccello Liscio, Calabrese Baccello Dritto, Carrazzo di Piano Campo, Lumachella Chiara, Vasolu di Petra, Calabrese, Setticanni, Carrazzu di Maisa, Vasolu Disio, Vasolu di Caminu, Vanadia Tortorici, Carrazzu Rosa, Vasolu Calabrisi Biancu, Vasolu di Pasta Biancu, Occhio di Pernice,

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 55 Vasolu Favaru, Ucchittu di Zappa, Tignuso Calabrese, Carrubbaru Nivuru, Curnit- tu Calabrese, Fasolu Virdi Lungarinu, Carrazzu Nustrali, Carrazzo Crioto, Fasola del Prete, Vasolu Santigasi, Fasola Ravalu, Fasolu San Fratellano, Occhitto Settembrino, Carrubara Bacceddu, Carrazzu Viola, Vasolu Pinutiaro, Fagiolina Rampicante Nerel- la, Carrozzu Criotu, Crocchittu Rumuletta, Vasolu Rosa Tunnu, Carruzzo Niuro e Crocchittu di Floresta.

Toscana La Toscana vanta 23 varietà di fagioli coltivati, alcune delle quali da secoli. Tra le cultivar che rappresentano meglio la tipicità e le peculiarità del prodotto abbiamo il fagiolo di Sorana, l’unico fagiolo che ha avuto il riconoscimento IGP. Viene prodotto in terreni sabbiosi di una piccola valle in provincia di Pistoia sulle sponde del torrente Pescia. Ha un seme dal colore bianco latte, una forma piuttosto schiacciata e più pic- cola del comune cannellino. È molto saporito e di consistenza tenera; è quindi ideale come contorno; il fagiolo zolfino è piccolo e panciuto, è una vera e propria prelibatez- za culinaria. Il nome pare sia dovuto al suo colore “giallo pallido” che ricorda quello dello zolfo. È conosciuto anche come “fagiolo del cento”, perché il seme si metteva in terra il centesimo giorno dell’anno. Tra le tante varietà di fagioli coltivate si ricordano il Cannellino di San Ginese, lo Scritto di Lucca, il Giallorino della Lucchesia, il Pievarino della Garfagnana e il fagiolo Aquila. Altro fagiolo è il Toscanello che si caratterizza per la buccia sottile e finissima tant’è che si scioglie in bocca. Ha pasta densa e cremosa, che lo fa compagno ideale di tanti ingredienti della cucina toscana e non manca di deliziare il consumatore. Pare che sia stato un gentile cadeau di Carlo V, direttamente dal Nuovo Mondo, a Clemente VII, al secolo Giulio de’ Medici, che poté così attribuirsi il merito d’aver introdotto i fagioli in Toscana. Anche il cece è un legume che si coltiva in Toscana, precisamente nella zona di Grosseto e la sua peculiarità è data dalla particolarità della cultivar che risulta diversa nelle caratteristiche morfologiche: il cece è più piccolo e più chiaro di quello normale. Questa cultivar necessita di terreni sciolti, tipici del grossetano. Si utilizza per mine- stre o come farina per prodotti da forno. Il cece piccino, coltivato nelle zone del Chianti, del Valdarno e del Pratomagno è un cece di piccole dimensioni e dal sapore straordinario. Pregiata è anche la cicerchia di Serra De’ Conti, presidio Slow Food. Inoltre trovia- mo la fagiola garfagnina, la fagiola casciana, la fagiola schiacciona, il fagiolo di Marem- ma, il fagiolo borlotto nano aquila, il fagiolo lupinaro (anche detto lupinajno), il fa- giolo borlotto di Sorano, il fagiolo borlotto nostrale toscano, il fagiolo burro toscano, il fagiolo cannellino, il fagiolo cannellino di San Ginese-Compitese e Sant’Alessio, il fagiolo cappone, il fagiolo ciavattone di Sorano, il fagiolo burro di Sorano, la piattella

56 Mario Liberto di Grosseto, il fagiolo cocco nano, il fagiolo cocco, il fagiolo dall’occhio del Valdarno, il fagiolo gentile, il fagiolo , il fagiolo dell’occhio, il fagiolo dall’occhio nano (o dolico dall’occhio nero), i fagiuolini, cornetti, tegoline, il fagiolo all’olio (Maremma), il fagiolo della montagna, il fagiolo bastardone della Nodola, il fagiolo dell’Amiata, il fagiolo di Bigliolo, le fagioline dette “fasgiulina”, il fagiolo Diecimino, il fagiolo scritto rampicante, il fagiolo fico di gallicano, il fagiolo giallorino, il fagiolo nano da sguscia- re, il fagiolo malato, il malatino, il fagiolo verdone, il fagiolo giallino, il fagiolo di san Giuseppe, il fagiolo Marconi a seme nero, il fagiolo seme nero, il fagiolo mascherino, il fagiolo massese, il fagiolo pievarino, il fagiolo romano, il fagiolo romanello, il fagiolo rosso lucchese, il fagiolo schiaccione, il fagiolo scritto di Lucca, il fagiolo serpente to- scano, la stringa, il fagiolo stortino di Lucca, l’anellino giallo di Lucca, il fagiolo stringa di Lucca, il fagiolo turco di castello, la fava lunga delle cascine, e la fava delle cascine.

Umbria L’Umbria si caratterizza per la presenza delle lenticchie di Castelluccio; la coltiva- zione si estende in tutta l’omonima piana, a 1.300 metri sul livello del mare, in mez- zo all’Appennino centrale. Sullo sfondo, si stagliano i monti Sibillini, chiamati così perché si credeva vi abitasse, la Sibilla, mitica maga del culto greco antico. Grazie alla loro buccia tenerissima, non occorre che siano messe a bagno. Gustoso ingrediente di minestre, risotti, zuppe, insalate, stufati con verdure, spezzatini in umido, vanno cotte con pochissimo liquido per ridurre al minimo la perdita di sali e vitamine. Meno famosa di quella di Castelluccio, ma altrettanto prelibata, è la lenticchia di Colfiorito Dop piccola, colorata (va dal giallo al verde al rosso) e soprattutto tenera, tanto da non avere bisogno di ammollo prima della cottura. Anche in questo caso sono le condizioni climatiche e le caratteristiche particolari dell’altopiano di Colfio- rito, dove il terreno è fertile grazie alla presenza del lago, a conferire grande pregio qualitativo e tipicità al prodotto. Altri legumi tipici umbri è la fagiolina del lago Trasimeno, una varietà locale di fagiolo dall’occhio (Vigna unguiculata). La specie viene coltivata da tempo immemo- rabile intorno al Lago Trasimeno (Perugia), nei terreni di fondovalle più umidi, ideali per l’ottenimento di un prodotto di eccellente qualità. La coltivazione di questo legu- me ha conosciuto un nuovo impulso tanto che nell’agosto 2002 è nato il Consorzio “Fagiolina del Lago Trasimeno”, che si propone di tutelare e promuovere il prodotto. Il fagiolo di Cave di Foligno (una frazione situata sulla riva destra del Topino a 218 metri di altitudine) si coltiva da più di un secolo con habitus di crescita a sviluppo determinato. La semina è eseguita subito dopo la mietitura e la raccolta poco prima della nuova semina del frumento. Il cece, precisamente quello di Piccino, selezionato riscoprendo una coltivazione tipica della Valle Umbra Sud, è caratterizzato da un seme piccolo, particolarmente

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 57 gustoso, che non si sbuccia durante la cottura. La cicerchia è stata per molte famiglie contadine una delle risorse fondamentali durante i lunghi e freddi mesi invernali. Nella zona di Colfiorito, in particolare, la coltivazione della cicerchia non è stata mai abbandonata. Piccola, spigolosa, con co- lorazioni che vanno dal grigio al marrone chiaro, la cicerchia si semina verso la fine di aprile e si raccoglie in agosto con tutto il baccello che poi, dopo l’essiccazione a terra, viene scartato. Di buona consistenza, dal retrogusto gradevolmente amarognolo, la cicerchia è stata adesso riscoperta dai grandi cuochi italiani. La roveja di Civita di Cascia fu coltivata per secoli sui terreni di alta quota dei Monti Sibillini dove faceva parte dell’alimentazione di base dei contadini. Simile a un piccolo pisello, di colore marrone scuro, rossiccio o verde scuro, la roveja è gustosa e nutriente ed è ottima nelle zuppe, su crostoni o per preparare la farecchiata, sorta di polenta che si usa condire con le alici.

Veneto Nel Veneto troviamo il fagiolo di Lamon che si fregia del riconoscimento Igp dal 1996. Fu introdotto nel bellunese all’inizio del 1500. Sono quattro i tipi di fagioli di Lamon: lo Spagnol, di forma ovoidale; lo Spagnolet, più piccolo del precedente; il Calonega, il più grande di tutti; il Canalino, particolarmente aromatico ma ormai in disuso per via della buccia molto spessa. Oltre ai piselli comuni, se ne possono trovare tanti altri tipi, alcuni dei quali sono molto rinomati come i piselli di Lumignano che vengono usati per preparare la famo- sa minestra veneta “risi e bisi” simile ad un risotto. La produzione del fagiolo di Levada è diffusa nei comuni di Pederobba, Cavaso del Tomba, Possagno, Cornuda e Crocetta del Montello. Le piante hanno portamento eretto, ogni fagiolo presenta da sei a otto semi, di buone dimensioni, tondeggianti e allungati, con una caratteristica buccia molto sottile di colore bianco screziato di ros- so. Con la cottura produce un brodo chiaro ed acquista un sapore delicato. Ai primi di settembre si svolge la festa del “Borlotto nano Leveda” con l’esposizione di prodotti orticoli locali. Il fagiolo di Posina Scalda si coltiva da lunghissimo tempo, è di colore marroncino con una riga color oro (fresco si presenta di colore verde), abbastanza piccolo (12 per 8 millimetri circa) con un baccello di circa 15 centimetri ed all’interno fagioli in di- sposizione abbastanza fitta. È un fagiolo rampicante, supera i due metri di altezza e continua a crescere su sé stesso oltre l’infrascatura. Date le esigue quantità prodotte, il fagiolo di Posina si può reperire solamente durante la Sagra del Fagiolo che si tiene annualmente. Il fagiolino “Meraviglia di Venezia”, nel Cavallino e in tutte le zone orticole della laguna, ha una storia antica e consolidata al punto che il termine “Venezia” è entrato nella definizione comune della varietà. Nell’Archivio di Stato di Venezia si trovano gli

58 Mario Liberto atti del catasto austriaco del 1826, relativi alla classificazione dei terreni agricoli nel territorio di Treporti-Cavallino, nei quali è scritto «Li prodotti principali del territo- rio sono le uve, frutti, legumi freschi, […]». Il fagiolino “mangiatutto” Meraviglia di Venezia si presenta a baccello piatto, senza e colorazione uniforme giallo chiaro brillante. Tra le cultivar che rappresentano meglio la tipicità e le peculiarità del prodotto stes- so possiamo indicare il Fagiolo Borlotto Nano di Levada, il fagiolo bonèl di Fonzaso, il fagiolo di Posina scalda, il fagiolo giàlet, il fagiolo gnoco borlotto, la fasol del lago, la fasola posenata, le fave bellunesi.

Legumi Dop e Igp d’Italia Il sistema europeo delle “denominazioni d’origine protette” Dop e delle “indica- zioni geografiche protette” Igp dei prodotti agricoli e alimentari, è nato nel 1992, per armonizzare ed integrare norme di tutela già esistenti in alcuni Paesi dell’Unione Europea, con il Regolamento CEE n. 2081/92 istitutivo del Sistema di protezione delle denominazioni territoriali (ora sostituito da Regolamento CEE 510/2006 senza modifiche delle definizioni che seguono) – Protezione delle Indicazioni Geografiche e delle Denominazioni d’Origine dei prodotti agricoli e alimentari – Articolo 2, com- ma 2. Ecco le Dop e le Igp italiane: • Regione Basilicata: Fagioli di Sarconi Igp, riconoscimento Ce Reg. n. 1263 del 01.07.1996 (GUCE L. 163 del 02.07.1996), e Fagiolo Bianco di Rotonda Dop, riconoscimento Ce Reg. n: 699/2010. • Regione Lazio: Fagiolo Cannellino di Atina Dop, riconoscimento Ce Reg. n: 699/2010. • Regione Piemonte: Fagiolo di Cuneo Igp, riconoscimento Ce Reg. n. 483/2011. • Regione Toscana: Fagiolo di Sorana Igp, riconoscimento Ce Reg. n. 1018 del 13.06.2002 (GUCE L. 155 del 14.06.2002). • Regione Umbria: Lenticchia di Castelluccio di Norcia Igp, riconoscimento Ce Reg. n. 1065 del 12.06.1997 (GUCE L. 156 del 13.06.1997). • Regione Veneto: Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese Igp, riconoscimento Ce Reg. n. 1263 del 01.07.1996 (GUCE L. 163 del 02.07.1996).

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 59 Presidi Slow Food Legumi d’Italia I Presìdi Slow Food sostengono le piccole produzioni d’eccellenza che rischiano di scomparire dal patrimonio della biodiversità. Valorizzano territori, recuperano me- stieri e tecniche di lavorazione tradizionali, salvano dall’estinzione razze autoctone e antiche varietà di ortaggi e frutta. I presìdi coinvolgono direttamente i produttori, offrono l’assistenza per migliorare la qualità dei prodotti, facilitano scambi fra Paesi diversi e cercano nuovi sbocchi di mercato (locali e internazionali). Con gli oltre 400 tra Presìdi e Arca del Gusto l’universo di Slow Food Italia si è allar- gato a tutta la biodiversità del mondo38, con oltre 2 mila piccoli produttori: contadini, pescatori, norcini, pastori, casari, fornai e pasticceri. In Italia i Presidi che interessano i legumi sono: • Abruzzo: cece di Navelli, fagioli di Paganica e lenticchia di Santo Stefano di Sessanio. • Basilicata: fagiolo rosso del Pantano di Pignola, fagiolo di Sarconi. • Campania: cece di Cicerale, fagioli di Casalbuono, fagiolo dente di morto di Acerra, fagiolo di Controne, lupino gigante di Vairano, Maracuoccio di Len- tiscosa. • Lazio: fagiolina di Arsoli, fagiolone di Vallepietra, lenticchia di Rascino, lentic- chia di Onano. • Liguria: fagioli di Badalucco, Conio e Pigna. • Marche: cicerchia di Serra de’ Conti. • Piemonte: piattella canavesana di Cortereggio, fagiolone Val Barbera. • Puglia: cece nero della Murgia Carsica e fava di Carpino. • Sicilia: fagiolo badda di Polizzi Generosa, fagiolo cosaruciaru di Scicli, fava cot- toia di Modica, fava di Ustica, fava Larga di Leonforte, lenticchia di Ustica, lenticchia di Villalba. • Calabria: fagiolo poverello. • Toscana: fagiolo di Sorana, fagiolo rosso di Lucca, fagiolo di zolfino. • Umbria: fagiolina del lago Trasimeno, fava cottòra dell’Amerino e la roveja di Civita di Cascia. • Veneto: fagiolo giàlet della Val Belluna39.

38. Dati – Marzo 2020, www.slowfood.it 39. I dati fanno riferimento al 2018.

60 Mario Liberto Elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali art. 3 comma 3 decreto ministeriale n. 350 dell’8 settembre 1999 – XIV Revisione – Legumi I prodotti agroalimentari tradizionali italiani (PAT) sono prodotti inclusi in un apposito elenco istituito dal Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo (Mipaaft) con la collaborazione delle Regioni. L’aggiornamento e la pub- blicazione annuale dell’elenco sono a cura del Ministero che ha anche il compito di promuoverne la conoscenza a livello nazionale e all’estero. Nel 2019 in Italia sono presenti 5.128 prodotti Pat, e la regione che detiene il maggior numero di Pat è la Campania, con 531 specialità registrate40. • Abruzzo: Fagioli a olio, fagioli a pane, lenticchie di Santo Stefano di Sessano. • Basilicata: Fagiolo di Muro Lucano, fagiolo di San Gaudioso, fagiolo zeminelle, fasulo rosso, lenticchia di Potenza, lupino del Pollino. • Campania: Fagioli di Volturara Irpinia, fagioli lardari, fagioli quarantini, fagioli tabacchini, fagiolo a formella, fagiolo della regina di san Lupo, fagiolo dell’oc- chio, fagiolo dente di morto, fagiolo di cera, fagiolo di Controne, fagiolo di Gallo Matese, fagiolo di Gorga, fagiolo di Mandi, fagiolo di Villaricca, fagiolo mustacciello, fagiolo san Pasquale di Casalbuono, fagiolo S’Anter di Casalbuo- no, fagiolo striato del Vallo di Diano, fagiolo tondino bianco del Vallo di Dia- no, fagiolo zolfariello, fava di Miliscola. • Lazio: Fagiolina arsolana, fagiolo a pisello, fagiolo borbontino, fagiolo Ciavat- tone piccolo, fagiolo cioncone, fagiolo del purgatorio di Gradoli, fagiolo di Sutri, fagiolo gentile di Labro, fagiolo giallo, fagiolo regina di Marano Equo, fagiolo solfarino, fagiolo verdolino. • Liguria: Fagiolana di torza, fagioli bianchi, fagiolo borlotto di Mangia, fagiolo cannellino dall’occhio rosso, fagiolo cannellino della Val di Vara, fagiolo ceneri- no della Val di Vara senerin, fagiolo dell’Aquila di Pignone (fagiolo dall’occhio), fagiolo gianetto, fagiolo lupinaro, fagiolo rampicante basso di Pignone, pisello di Lavagna, pisello nero di L’Ago. • Lombardia: Pisello di Miradolo Terme • Molise: Fagioli di Riccia, fagiolo bianco, fagiolo scuro, lenticchia. • Piemonte: Fagiolo bianco, fagiolo della Villata, fagiolo di Saluggia. • Puglia: Lenticchia di Altamura, lenticchia gialla di Altamura, gigante di Alta- mura. • Toscana: Fagiolo di Zeri, fagiolo con il grembiule (detto fasgiulain dau scusi- de), fagiola garfagnina, fagiola casciana, fagiola schiacciona, fagiolo di Marem- ma, fagiolo borlotto nano aquila, fagiolo lupinaro, fagiolo lupinajno, fagiolo borlotto di Sorano, fagiolo borlotto nostrale toscano, fagiolo burro toscano,

40. “Prodotti Agroalimentari Tradizionali”, MIPAAF, www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/398

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 61 fagiolo cannellino, fagiolo cannellino del San Ginese di Compito e Sant’Ales- sio, fagiolo cannellino di Sorano, fagiolo cappone, fagiolo ciavattone di Sora- no, fagiolo burro di sorano, piattella di Grosseto, fagiolo coco nano, fagiolo cocco, fagiolo dall’occhio del Valdarno, fagiolo gentile, fagiolo cornetto, fagiolo dell’occhio, fagiolo dall’occhio nano, dolico, fagiuolini, cornetti, tegoline, fagio- lo all’olio (Maremma) fagiolo della montagna, fagiolo bastardone, della nodola dell’Amiata, fagiolo di Bigliolo, Fagiolo di Zeri (detto fagiolo con il grembiule dau scuside), fagioline dette fasgiulina, fagiolo dieci mino, fagiolo scritto ram- picante, fagiolo fico di Gallicano, fagiolo giallorino della Garfagnana, fagiolo giallorino, fagiolo nano da sgusciare, fagiolo malato, fagiolo malatino, fagiolo verdone, fagiolo giallino, fagiolo di san Giuseppe, fagiolo Marconi a seme nero, fagiolo seme nero, fagiolo mascherino, fagiolo massese, fagiolo pievarino, fa- giolo romano, fagiolo romanello, fagiolo rosso lucchese, fagiolo schiaccione, fagiolo scritto della Garfagnana, fagiolo scritto di Lucca, fagiolo serpente tosca- no, stringa fagiolo stortino di Lucca, anellino giallo di Lucca, fagiolo stringa di Lucca, fagiolo turco di Castello, fagiolo zolfino, fava lunga delle cascine. • Veneto: Fagiolino meraviglia di Venezia, fagiolo bonèl di Fonzaso, fagiolo bor- lotto nano di Levada, fagiolo di Posina scalda, fagiolo giàlet, fagiolo gnoco bor- lotto, fasol del Lago, fasola posenata, fave bellunesi.

Le produzioni garantite: marchio europeo, Bio e P.A.T. Riguardo al consumo, per avere la garanzia di un prodotto veramente nostrano è bene rivolgersi direttamente agli agricoltori in azienda o nei “mercati dei contadini”, oppure scegliere quei prodotti inseriti nell’elenco delle specialità tradizionali censite dalle regioni ovvero inseriti nell’Elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali41 op- pure inseriti tra i prodotti Dop o Igp42, nonché tra i prodotti De.C.O. (Denominazio- ne comunale di origine) o tra i Presidi di Slow Food. È consigliabile inoltre acquistare i legumi provenienti da “agricoltura biologica”, metodologia che sfrutta la naturale fertilità del suolo favorendola con interventi limi- tati, utilizzando delle specie domestiche, escludendo l’utilizzo di prodotti di sintesi e degli organismi geneticamente modificati. L’utilizzo di materie prime biologiche, totalmente italiane, e metodi di coltivazione sostenibili che rispondano ad alti standard qualitativi, la cura e dedizione della colti- vazione ed i controlli di tutte le fasi della filiera, dal processo produttivo alla distribu- zione, per assicurare le tracciabilità di ogni processo assicurano di portare in tavola un prodotto selezionato, sicuro, salubre e genuino. Tradizione e innovazione, storia e progresso, passato e futuro si fondono per risco- prire e diffondere la cultura alimentare mediterranea, nel pieno rispetto dell’ambien-

41. D.M. n.350 dell’8 settembre 1999, Art. 3, comma 3. 42. Reg. Cee n. 510 del 2006.

62 Mario Liberto te, garantendo una reale tutela del consumatore e… dei vari legumi a tavola. Si tratta in genere di piccole produzioni, per un mercato di affezione con consumi legati alla ristorazione agrituristica o la vendita diretta o a chilometro zero e pertanto resistono le varietà più produttive, più resistenti, più “belle” per il mercato.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 63

CAPITOLO VIII ASPETTI ETNOANTROPOLOGICI E BIODIVERSITÀ DEI LEGUMI

In passato l’annata agraria terminava con la raccolta dei legumi, alimenti che da sempre hanno rappresentato una via di mezzo tra “sussistenza e necessità”. La raccolta dei legumi seguiva quella del grano. I contadini dello “stivale”, pur non conoscendo la motivazione scientifica di integrare i cereali con le leguminose, conti- nuavano a mettere in pratica questo stile di consumo ereditato fin dagli albori dell’u- manità e, comunque sia, intuivano che questo connubio alimentare, era necessario e indispensabile. Cereali e leguminose, entrambi incompleti, si integrano e si riequili- brano vicendevolmente, fino a mettere a disposizione dell’organismo, per le sue neces- sità di costruzione e di riparazione di tessuti e di molecole, una miscela proteica il cui valore biologico è paragonabile a quello delle proteine animali. I contadini sanno anche che l’inverno, specie quello di una volta, era duro da pas- sare senza la presenza nelle dispense delle preziose e insostituibili leguminose. Fave, lenticchie, fagioli, cicerchie, riposti con dovuta sacralità in particolari contenitori di terracotta, salvadanai alimentari, buoni per ogni occasione, erano capaci di scongiu- rare ogni situazione nefasta. Bastava un pugno di quei semini, un po’ di verdure spontanee, un pizzico di sale, due lacrime di olio extravergine di oliva, un po’ di pane raffermo fatto con lievito madre e farina integrale, tagliato a tocchetti, buono da inzuppare, accompagnato da un bicchiere di vino che il suo creatore avrebbe difeso anche davanti al Padreterno,

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 65 ed ecco quel mangiare della Provvidenza, buono per la cena ma anche per colazione. Nelle giornate di festa comandata, fagioli e lenticchie, venivano cucinati insieme a qualche pezzetto di lardo, in modo da fondere, vicendevolmente, i loro sapori. Pasto frugale, buono e genuino per santi monaci, suore di clausura, nobili, cavalie- ri, contadini e per l’innumerevole schiera di contadini. Questi piatti, per le loro peculiarità, divennero il simbolo dell’alimentazione mo- nastica e contadina che, in contrapposizione ai piatti dei potenti, basati sull’abbon- dante consumo di carne quale espressione di classe egemonica, diffusero un modello di comportamento alimentare molto sobrio. Così gli alimenti da prediligere erano su tutti, gli ortaggi e i legumi, simboli della purezza in quanto primordiale cibo dell’uo- mo. Leguminose che avevano cicli di coltivazioni brevi, la cui semente, preziosa e rara veniva serbata dai “contadini custodi” che nel tempo selezionavano con accuratezza e intelligenza quelle peculiarità produttive che rappresentavano l’orgoglio della propria famiglia tanto da vantarsene sulle aie o nel corso di fiere o tra amici, bevendo qualche bicchiere di buon vino. Semi che il vicinato, così come per il lievito madre, si scambiava vicendevolmente, non facendo mancare mai quella generosità utilitaristica che aveva coniato il modo di dire: “Il vicinato è migliore del parentato”.

Legumi come gioielli di famiglia Ogni “Terra” italiana ha i suoi legumi tipici, una specie di banca della biodiversità agro-alimentare frutto di tanti minuziosi lasciti culturali e colturali che hanno con- sentito di salvaguardare un immenso patrimonio vegetale che rischia purtroppo di scomparire. Ogni lembo di terra italiana aveva la sua prerogativa produttiva: fave, ceci, lentic- chie, cicerchie, piselli e fagioli, alimenti che assicuravano, ad ogni famiglia contadina la loro esistenza futura. Un legame abbastanza stretto esisteva tra i legumi, veri emblemi dei territori, e i contadini. Lo sottolinea abbastanza bene l’etnoantropologa sarda, Alessandra Gui- goni. La studiosa si sofferma sui vari aspetti che determinano le denominazioni dei piselli, come colore, forma, tempo di coltivazione, luogo di provenienza, ecc., aspetti riscontrabili anche nel resto d’Italia. Spesso i nomi di queste leguminose sono anche i nomi dei loro proprietari, delle località o contrade dove si producono. Patrimonio e ricchezza varietale che determinava uno scambio, non solo nel vicina- to e tra parenti ma anche tra abitanti di paesi diversi, anche lontani, legati da vincoli familiari, di amicizia o di affari. Ecco come i “gioielli d’Italia” si muovevano nei vari contesti territoriali. Coloro che coltivavano legumi avevano i propri segreti, soprattutto per le varietà seminate o le tecniche adoperate. Esperienze e accorgimenti che dovevano gelosamen- te tramandarsi da padre in figlio. Campi di minuscole dimensioni rubate al demanio

66 Mario Liberto o concessi da qualche proprietario che, prepotentemente, chiedeva la restituzione del- la metà del raccolto. In quegli ambiti avveniva la selezione massale di quelle piante che si distinguevano per caratteristiche di pregio, grossezza, colore, facilità di cottura, ecc.; il contadino le battezzava a suo piacimento con un nome che più gli aggradava. Nasce- vano così i nomi di legumi che in tutta Italia alimentano il registro virtuale nazionale. Alcuni sono arrivati fino ai nostri giorni, con i nomi più strani, disparati, alcuni in dialetto, altri in forme anche incomprensibili, comunque, tutti buoni da mangiare. Piatti di una genuinità straordinaria; per la sola Italia si possono contare più di cin- quecento pietanze a base di legumi, utilizzati da soli o in compagnia di carni, pesci, pasta, salumi, verdure, ecc. Piatti tradizionali a volte dimenticati o rivisitati, con i le- gumi che la fanno da padrone. Ricette da riproporre per rilanciare la coltivazione dei legumi. Tra questi si evidenzia il sicilianissimo “macco”, una zuppa molto cremosa, dove le fave cuociono fino a disfarsi, aromatizzata con rosmarino fresco e finocchiet- to. Tradizionalmente è considerato un piatto unico, perché è molto ricco e denso, ma al contempo povero, visto che dopotutto sono solo fave secche cotte in acqua; ricetta che in Puglia è chiamata “incapriata”, e storicamente molto apprezzata dagli antichi Elleni e Romani, gioiello alimentare del Medioevo, arrivato fino ai nostri giorni come piatto unico, da utilizzare come condimento per pasta di casa o per sciccheria, adope- rato dagli chef più raffinati come fondo per far riposare la carne o il pesce, comunque pietanza presente in tutte le regioni dell’Italia meridionale. In molte regioni il macco può essere costituito da diversi legumi; durante la cottura essi vengono continuamente sminuzzati e pestati col mestolo di legno (da cui maccu: ammaccare) fino a ridurli in una densa crema, che raffreddandosi diventa dura e com- patta al pari della polenta, tanto che, in ambiente contadino, è consuetudine tagliare il macco a fette, perché gli uomini possano portarlo sul posto di lavoro insieme alla pagnotta casereccia, per il pasto quotidiano. Se a Catania si prepara un maccu con fave fresche sgusciate, un soffritto di cipolla e un odore di finocchietto selvatico detto verde, quello d’Ispica si prepara con i medesi- mi legumi sgusciati e messi ad asciugare al sole, prima di finire in tegame insieme alla smozzatura, una verdura simile agli sparacelli. Il maccu lordu di Ispica è un misto di fave secche, fagioli, lenticchie, ceci, piselli ed anche cotenne. Lordu perché le fave non sono questa volta al netto. Cotenne e fave si mescolano anche in provincia di Enna. Le fave secche già ammollate, vanno però lasciate intere, appena pizzicate nella parte superiore. Il fabbisogno alimentare familiare era anche garantito dall’insostituibile frumento, dall’olio, dal vino e dalla legna, tutti elementi capaci di assicurare la sopravvivenza ai rigidi inverni.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 67 In passato, la tecnica di raccolta dei legumi era interamente manuale, lo ricordano ancora i contadini delle piccole isole mediterranee come Favignana, Pantelleria, Ustica (Sicilia) e S. Pietro (Sardegna) le cui coltivazioni sono presenti da tempo immemora- bile.

Un lavoro duro e pieno d’insidie Dopo la semina, anticipata da una leggera aratura, il resto lo faceva la generosità del buon Dio. Ogni leguminosa ha il suo ciclo vegetativo. Un ciclo breve fatto di pochi mesi, in genere da marzo-aprile a luglio-agosto, cui si affidavano le sorti della dispensa contadina. Quando le piante erano ingiallite, si falciavano a mano e si legavano in covoni (i cosiddetti manocchi, gregne) – ogni regione d’Italia li chiama in maniera diversa – e si lasciavano seccare al sole sul campo: quindi, venivano sistemati nell’aia, un piccolo appezzamento di terreno che in precedenza era stato abbondantemente bagnato e battuto, tanto da avere determinato una forte consistenza da resistere alla pressione degli asini o muli, che con grosse pietre attaccate concorrevano a frantuma- re i baccelli e liberare i minuscoli semi. La pesa poteva essere effettuata con uno o più asini (o muli) che giravano in tondo, equipaggiati con quei classici paraocchi, che non consentivano di distrarsi o perdere il controllo. Spesso agli animali venivano legate delle grosse pietre per facilitare la sgranatura delle sementi. La raccolta dei legumi era faticosa e per smorzare lo sforzo non bastavano le lun- ghe cantilene, filastrocche o preghiere che accompagnavano queste giornate di duro lavoro. Fatiche che venivano condivise con tutti i componenti della famiglia che non potevano esimersi dal parteciparvi. Questa ritualità aveva anche i suoi aspetti folkloristici. I nostri contadini, cantando, davano il tempo ai propri animali spronandoli a pestare. Quindi, i legumi con la pula, venivano gettati in aria mediante pale di legno, in modo che l’azione del vento separa- va il seme dai residui di vegetazione, il tutto sotto l’auspicio di San Marco, animatore, per i cristiani, del vento. Residui vegetali che trasportati dal vento si appiccicavano, in ogni parte del corpo. Delle nobili leguminose l’Italia vanta un patrimonio superlativo, piante che hanno consentito a milioni di famiglie sostentamento e reddito; ad esempio gli anziani gon- nesi raccontano la meraviglia nel vedere campi di granoturco in consociazione con il fagiolo (il primo usato come tutore) e descrivono le aie, di grandi dimensioni, con i buoi usati per la frantumazione meccanica degli organi vegetativi ormai disseccati (trebadura). Il vento veniva sfruttato per la separazione dei legumi dal resto della pian- ta (bentuadura) così come in uso in altre zone per specie considerate più importanti quali frumento, orzo e fave.

68 Mario Liberto I legumi: buoni da mangiare e per marcare le festività I legumi oltre ad essere buoni da mangiare erano buoni per marcare le festività. Fino a qualche decennio addietro in molti paesi dell’Italia era consuetudine gettare sugli sposi, appena usciti dalla chiesa, in segno di augurio e di allegria, ceci e fave calia- ti, cioè tostati, insieme ai confetti e al riso. Subito dopo la cerimonia religiosa, a casa degli sposi, agli invitati si offrivano dolci come biscotti al lievito, all’uovo zuccherati, ciambelle, intercalati da liquori e vino. Alla fine si offriva la calia, che era composta di ceci e fave abbrustolite, seguita da abbondante libagione di vino. Molto curiosa era la manipolazione per tostare i ceci. In un recipiente di rame det- to “quadara” contenente acqua bollente si facevano squadare, cioè bollire, i ceci per pochi secondi. Tolti dall’acqua i ceci si mettevano sopra un frazzatuni, una coperta spessa di panno e si lasciavano ad asciugare per tutta la notte. Il mattino seguente venivano versati nella quadara contenente sabbia, e posta que- sta sul fuoco a fiamma bassa, i ceci venivano mossi e rimossi con un bastone di ferla, (ferula). Quando l’estremità della ferla cominciava ad emettere vapori, significava che i ceci erano già caliati, cioè abbrustoliti. Quindi i ceci assieme alla sabbia venivano versati in un crivello e sottoposti a movimento fino a liberarli dalla sabbia. Poi si met- tevano a raffreddare sopra un telo. Appena si raffreddavano, erano pronti per essere offerti agli invitati nel corso delle varie cerimonie. Durante le festività siciliane è ancora usanza, nei momenti d’intervallo delle feste, consumare lu “scacciu”, cioè mangiare calia (ceci caliati), simenza (semi di zucca ab- brustolita e salata), favi caliati (fave abbrustolite nella cenere molto calda dei bracieri e nel forno), mandorle e noccioline atturrate (abbrustolite). La parola scacciu deriva da schiacciare, masticare con i denti. Un proverbio siciliano ammonisce: Un diri a unu ciciri e a natru favi, cioè di rac- contare due verità. Per brodu di ciciri, si intende, invece, ridicolizzare un evento, e con Amuri e brodu di ciciri, evidenziare un amore superficiale:

I legumi mostrano anche una loro sacralità I legumi mostrano anche una loro sacralità. Ad onor del vero, sacri lo erano anche nella mitologia. Spesso i vari riti propiziatori o di ringraziamento sono stati mediati dal cristianesimo che ne ha assunto il senso e la ritualità, diventando così elementi di rappresentazione sacre. Ad Isnello, nel palermitano, nel corso della processione al SS. Crocifisso viene suonata e cantata la Frottola (antichi Inni in lode) attorno ad un particolare fercolo adorno di spighe di grano e baccelli di fave verdi. La festa è prece- duta da un’ottava di preparazione detta “Crunedda”, durante la quale si cantano e si recitano preghiere in dialetto siciliano dedicate alla SS. Passione. Le feste si onorano anche con quadarate (pentoloni) di legumi, cucinate negli angoli di vicoli e strade. Un’usanza questa molto diffusa in ogni angolo d’Italia; un

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 69 modo di raffigurare la Provvidenza e l’abbondanza. Allora queste quarare assumono ruoli bivalenti: un po’ sacre e un po’ profane. In aiuto arriva anche il Divino con in testa San Giovanni Battista, qualcosa in più della semplice figura religiosa. La data della festa non è casuale, quasi coincidente con il solstizio estivo, segna un passaggio importante per l’anno solare e agrario: in molte feste di San Giovanni, specialmente nella notte, si usa accendere fuochi, consumare cibo ritualmente, tramandare sortilegi e scongiuri. In molti paesi dell’Italia meridionale questa festa aveva delle connota- zione agricole che in parte si sono perse e in parte trasferite nell’ambito delle sagre. Il Santo godeva di una particolare devozione dei contadini, i quali vi si rivolgevano nei bisogni legati alla fertilità della terra e che lo festeggiavano nel mese di giugno con scorpacciate di legumi. Quella di San Giovanni, è la notte più magica dell’anno: malìe, incantesimi, riti e credenze si fondono e danzano alla luce delle stelle. In alcuni comuni, a mezzanotte, si prendono tre fave, ad una si toglie completamente la buccia, ad una solo metà, la terza dovrà rimanere intatta. Dopo aver incartato le tre fave come caramelle, le ragazze da marito le pongono sotto il cuscino e la mattina, ne pescano una a caso. La fava con la buccia intera vuol dire “marito ricco”, con mezza buccia “abbastanza benestante”, senza buccia “povero in canna”. In tempi remoti le fave furono utilizzate secondo un uso più prossimo a quello che ne viene fatto oggi, ovvero per celebrare la dea Flora, protettrice della natura in germoglio della rinascita, gettando sulla folla baccelli di fave come auspicio di fortuna e prosperità, con l’ulteriore convinzione che fosse segno di fortuna trovare sette semi nello stesso baccello. Il numero sette imperversa nel piatto della tradizione molisana denominato, “Le virtù”; sono anche sette i piatti del Capodanno di Bisacquino (PA), insomma il nu- mero sette, simbolo per eccellenza della ricerca mistica, rappresenta ogni forma di scoperta e conoscenza. Il sette è considerato il numero della filosofia e dell’analisi, ma anche della solitudine e della completezza. L’importanza del numero sette, sotto questi aspetti, è riscontrabile nell’elevato numero di volte in cui ricorre in materie sia spirituali che religiose. Le zuppe di verdure, di legumi o di pane cotto, in campagna, nell’inverno, si cuci- nano spesso alle prime luci dell’alba, per rifocillare con qualcosa di caldo gli uomini, in procinto di recarsi sui campi e di affrontare la rigida temperatura esterna.

Quarare bivalenti: un po’ sacre e un po’ profane Nelle campagne del nisseno, durante la raccolta del frumento è consuetudine prepa- rare per gli uomini della pasta di casa (tagliarine) che si versa nella maidda (la madia) condita con lenticchie ed olio crudo. Ciascuno dei commensali affonderà il proprio cuc- chiaio nella madia stessa. L’abitudine di mangiare prelevando il cibo dai piatti comune, o direttamente dal tavolo di marmo, è assai diffusa nell’Italia meridionale, in ambiente con-

70 Mario Liberto tadino, quasi a simboleggiare la condivisione e la fratellanza. Inoltre le zuppe di legumi e cereali sono di grande compiacimento al Santo della Provvidenza, San Giuseppe, patro- no d’Italia, che è festeggiato in diversi periodi dell’anno con celebrazioni il cui significato simbolico differisce di periodo in periodo. Le zuppe che si preparano possono riguarda- re i nuovi prodotti appena raccolti, mescolati insieme in omaggio alla abbondanza, alla prosperità della terra, del periodo estivo; oppure, per salutare l’ingresso della primavera e la fine della cattiva stagione (che si identifica con la festa di San Giuseppe) si possono preparare con i residui dei legumi delle scorte invernali che, essendo spesso in quantità ridotte, non è più possibile utilizzare singolarmente, e si cucinano quindi tutti insieme. Spesso si organizza un banchetto all’aperto durante il quale viene offerta a tutti i pre- senti una gustosa zuppa, cotta dentro enormi pentoloni di rame posti su un improvvisa- to fuoco di legna. Per il santo Patrono d’Italia vengono anche allestite le famose vampe, gigantesche ca- taste di legna, realizzate raccogliendo, di casa in casa, mobili vecchi e suppellettili vari. Anche nel rito delle vampe – così come nel maccu di Ispica (Ragusa), anticamente chia- mata Spaccafurnu – si coglie un medesimo significato simbolico: il desiderio di rinno- varsi, questa volta col fuoco, eliminando in una sola volta, tutto quanto è vecchio, ormai deteriorato, in modo da affrontare senza più alcun bagaglio del passato, i tempi nuovi che si presentano. Le vampe e il cibo, costituito da minestre di legumi, verdure fresche e tagliatelle casa- recce, rispettano una gentile usanza contadina, cioè quella di accogliere al proprio desco qualsiasi nuovo ospite, anche un passante occasionale. Simili manifestazioni rimandano a quel San Giuseppe mitologico conosciuto tra i Ro- mani come Liber Pater, Padre Libero, festeggiato dagli abitanti dell’Urbe il 17 marzo, dio della famiglia e della fecondità dell’uomo e della terra43. Al dio venivano dedicate delle feste chiamate Liberalia. Il suo tempio, nel 495 a.C., era ubicato sull’Aventino. Al dio e agli astanti venivano offerti pani e soffici dolci di semola fritti nell’olio, che richiama- no le nostre “sfince”, mentre si bruciavano grandi falò simboleggianti l’allontanamento dell’inverno e dei suoi rigori e l’arrivo della primavera vivificatrice. Spesso alcune comunità apparecchiano lunghe tavolate – per le strade, se il tempo lo permette – e gli stessi componenti della famiglia offrono e servono, insieme ai parenti più prossimi, gli ospiti. Di regola a capotavola siede un vecchio, nelle vesti di San Giuseppe, con accanto una giovane donna ed un bambino, che rappresentano la Madonna e Gesù. Ad Enna il piatto tradizionale per il giorno di San Giuseppe è la minestra di ceci, im- mancabilmente seguita dai cardoni fritti. Questa ritualità è stata però soppiantata da una gretta e povera logica consumistica che, giorno dopo giorno, sta distruggendo il nostro glorioso passato.

43. Mario Liberto, “I pani votivi di S. Giuseppe a Chiusa Sclafani e la mostra etnografica di Pa- lermo (1891-1892)”, Ispe Archimede, 2007, pag. 22, 23.

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CAPITOLO IX LE SAGRE DEI LEGUMI D’ITALIA

Ogni comune d’Italia si contraddistingue per la produzione di almeno un prodot- to tipico. Un’identificazione così forte che potrebbe spingere i più fieri a inserire il proprio prodotto locale nel proprio gonfalone. Peculiarità territoriali custodite gelo- samente da ogni comunità, che come austeri vessilli, dominano uomini e cose, e rap- presentano pietre miliari di un’enogastronomia che non ha origine e confini. Spesso si va oltre. Il prodotto tipico diventa caratterizzazione al punto di essere “ingiuriati” con soprannomi che riconducono alla propria produzione. Il prodotto tipico racchiude in sé aspetti culturali (storia, tradizione, folklore), re- ligiosi (feste, riti sacri), sociali (mangiare sano e genuino, salvaguardia dei beni na- turali), ma anche quelli economici (occupazione, sviluppo). A queste peculiarità va aggiunto quella salutistica, infatti, la maggior parte dei prodotti tipici costituisce il gruppo degli alimenti della tanto decantata “Dieta Mediterranea”. In definitiva, appare lecito affermare che i prodotti tipici-tradizionali rappresenta- no la “sintesi” della storia, tanto da poterli considerare degli autentici beni culturali immateriali. Lo sanno le migliaia di turisti dal palato sopraffino che scelgono l’Italia per un solo motivo: quello enogastronomico. Nasce così la consapevolezza delle comunità locali di tutelare le proprie tradizioni attraverso la rivisitazione di vecchi momenti aggregativi che avvenivano nelle singole aziende, e che oggi, molto più coinvolgenti, si chiamano sagre e coinvolgono le po- polazioni locali, che hanno l’obiettivo di valorizzare e vendere i propri prodotti e nel contempo di far conoscere il territorio. Sagre che rivitalizzano le economie locali coinvolgendo gli altri attori produttivi (commercianti, artigiani) e promuovendo la conoscenza del territorio poiché senza la sagra mancherebbe l’occasione per visitarli. L’Italia, grazie all’eterogeneità delle produzioni tipiche, ha un numero elevato di sagre e feste, appuntamenti calendarizzati legati alla stagione e alle produzioni. Le degustazioni, che spesso accompagnano le manifestazioni d’interesse culturale e folkloristico, sono elemento di grande attrazione. Si propongono giochi e balli tra- dizionali, il tutto per allietare e tenere vivo il territorio e la propria economia. Il mer- cato del contadino, oltre alle sagre, agli agriturismi e alle fattorie/aziende didattiche, è luogo deputato a far scoprire queste genuinità. Il “Mercato Contadino” è una dei tanti modi di attuazione della “filiera corta”, una strategia volta a favorire la vendita diretta tra produttore e consumatore, pratica antica legata alle risorse naturali, cultu- rali e sociali, basate su valori, principi, significati culturali ed etici e non su obiettivi edonistici e di mercato. La vendita diretta, inoltre, assicura al consumatore la territorialità delle produzioni,

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 73 lo standard di qualità, un ruolo attivo del produttore, l’animazione e comunicazione, ma anche un’attività turistica. Essa risponde all’esigenza di risparmiare accorciando la filiera, al piacere di fare la spesa direttamente nelle aziende agricole, alla consapevolezza di raccogliere prodotti a “chilometro zero” e a tante altre motivazioni. Dal matrimonio “legumi-territorio”, in Italia scaturiscono un centinaio di sagre la cui individuazione risulta piuttosto difficoltosa perché spesso, non vengono molto pubblicizzate. Manifestazioni che si somigliano tutte con la presenza di stand gastro- nomici, musica, balli, luci, colori, profumi, convegni, ecc., insomma tutto quello che occorre per far festa al più antico alimento dell’uomo. Questa strabocchevole cornucopia, ricolma di straordinari legumi, è in grado di assicurare un migliaio di piatti di cui, sapientemente, la tradizione italiana conosce i segreti e le virtù.

Sagra della fava Castellana di Pianella (PE); Cerignola (FG); Campofiorito (PA); Licola di Pozzuoli (NA); Arcille frazione del comune di Campagnatico (GR),; quì la fava si festeggia insieme al baccalà e alla frittura di pesce; San Sabino di Osimo (AN); Filacciano, sagra della fava e del pecorino (Roma); Paterno (Patièrn in dialetto lucano) in provincia di Potenza; a Collicello – Amelia – (TR) si svolge la sagra della “fava cottora” dell’Ame- rino; Sagra della fava e delle antiche taverne di Miliscola, frazione dei comuni di Bacoli e Monte di Procida, nella città metropolitana di Napoli; Volastra – Riomaggiore (SP); Torre San Marco (frazione di Fratte Rosa) (PU) “Festa della Fava di Fratte Rosa e delle Guide” Le guide è un’erba dolce, in italiano “sulla”, che può essere consumata sia fresca che cotta, molto usata in passato sulle tavole dei contadini; Torre San Marco (BR); Amelia (TR); Isnello (Pa); Castelbuono (PA); Carpino (FG) Parco Nazionale del Gargano; Fiordimonte (MC) “Fave e pecorino”.

Sagra della lenticchia Annifo (PG); Santo Stefano di Sessanio (AQ); Villalba (CL); Colfiorito frazione montana di Foligno (PG), Annifo (PG), Onano (VT), Pettino (PG), Pellizzara, fra- zione di Petralia Soprana (PA), Rascino (RI), Pettino frazione di Campello sul Cli- tunno (PG); Fiamignano (RI); Alanno (PE); Castelluccio di Norcia lenticchia (PG, IGP ; Navelli (AQ) “Sagra dei ceci e dello zafferano”, Conca Casale (IS) con una sagra dei legumi.

74 Mario Liberto Sagra dei piselli Baone (PD); Montegiordano (CS) C.da Castello Alto Jonio; Casalborgone (TO); Grotte di Loreto (AN) Sagra Seppia e Piselli”; Colognola ai Colli (VR); Baone (PD); Loreto (AN) Sagra della Seppia coi Piselli; Monegiordano (CS); Lumignano (VI); Miradolo Terme (PV), Pozzolo di Villaga (VI); Isnello (PA) Sagra della “frittella”, fave e piselli verdi; Casalborgone (TO), Roncofreddo (FC); Colognola ai Colli (VE); Amendolara (CS); Lumignano (VI); Peseggia di Scorzè (VE); Potenza Picena (MC); Montegiordano (CS).

Sagra dei ceci Rufoli (SA) Sagra lagane e ceci; Roccabascerana (AV) Laganella e ceci; Giarre (CT) Sagra dei Ceci e delle Zeppole; Milis (OR); Navelli (AQ) Sagra dei ceci e dello zaffera- no; Francavilla (CH); Parodi Ligure (AL); Tramontana (OR); Cese dei Marsi (AQ); Francavilla al Mare (CH) Sagra di Lasagne e Ceci; Montaquila (IS); Merella (AL); Quaranti (AT) Sagra dei ceci e cotechini; Macchia - frazione di Montecorvino Rovella (SA) Sagra della e di lagane e ceci; Tramontana - frazione di Parodi Ligure (AL); Vallina - frazione del Comune di Calvera (PZ); Licodia Eubea (CT).

Sagra dei fagioli Borbona (RI); Sarconi (PT); Lama (PG); Terranuova Bracciolini (AR); Vado – Ca- maiore (LU); Monticchio - frazione dell’Aquila; Controne (SA); Campoli del Monte Taburno (BN); Monticchio (PT); Polizzi Generosa (PA); Casalbuono (NA), Pesari- is Frazione di Prato Carnico (UD); Campoli del Monte Taburno (BN); Aquilano a Monticchio (AQ), Lamon (BL), Vibo Valentia (fraz. Caria); Filadelfia (VV); Mon- te S. Maria Tiberina (PG); Corigliano Calabro (CS); Borbona (RI); Centallo (CN), Sant’Angelo Romano (Roma); Arnara (FR); Imola (BO); Rocchetta Nervina, in Val Nervia (IM); Sutri (VT); Volturara Irpina (AV); Lama - Frazione di San Giustino (PG).

Sagra della cicerchia Serra Dè Conti (AN); Frigento (AV); Ruvo di Puglia (BA); Campodimele (LT); Castelvecchio Calvisio (AQ).

Sagra del lupino Caserta (CS); Capodacqua, frazione di Assisi (PG); Villa Fontane, frazione di Va- lentano (VT) Vitigniano (PE).

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CAPITOLO X FAVA (VICIA FABA)

Introduzione La fava è una pianta leguminosa appartenente alla specie Vicia faba. Conosciuta fin da tempi remoti è stata da sempre consumata; viene utilizzata sia fresca che secca. Ogni baccello contiene dai due ai dieci semi, e le dimensioni possono essere anche molto diverse tra seme e seme. Possiamo però distinguere due tipologie di pianta, in particolare: la Vicia faba maior e la Vicia faba minor. La Vicia faba maior, o fava grossa, è caratterizzata dall’avere i semi grandi; la Vicia faba minor, detta anche favino, si può usare fresca per l’alimentazione umana ma an- che come fertilizzante prima della maturazione, falciata e interrata, (pratica del sove- scio).

Importanza Economica I continenti maggiormente interessati alla coltivazione della fava sono l’Asia, per oltre il 70% della produzione, la rimanente parte è prodotta in Europa e Africa; la coltivazione è poco rilevante in America e Oceania. In Italia dal dopoguerra al 1977 la produzione è passata da 500 mila ettari a 160 mila, anche se recentemente si è assistito ad un aumento produttivo che non ha recuperato la mancata produzione. Oggi la superficie coltivata a fava, in Italia, per la granella secca è di circa 45.000 ettari, mentre per la fava fresca è di circa 9.700 ettari, localizzati prevalentemente nelle regioni meri-

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 77 dionali e insulari. La pianta è in genere coltivata in tutto il pianeta, secondo le stime della FAO se ne producono 5 milioni di tonnellate l’anno. Soprattutto in India, Canada e Turchia.

Storia L’origine della fava si fa risalire all’età del ferro e del bronzo. Plinio riferisce di una fava selvatica della Mauritania indicata come dura, a semi neri e simile ad un fagiolo. Le donne arabe raccolgono questa fava, denominata “sersù”, e la fanno ammollare in acqua per poi cucinarla. Questa fava corrisponde alla fava celtica nana che Heer raccolse nelle abitazioni neolitiche su palafitte di Pfäffikon e Meilen della Svizzera. La Bibbia cita questo legume con un nome semitico e che appare spesso nelle liste delle offerte funerarie. Ezechiele, in tempo di carestia, ebbe l’ordine di nutrirsi di un pane fatto con fave, frumento, orzo, miglio e spelta. In Cina la fava sarebbe stata co- nosciuta un secolo prima di Cristo, mentre, in Egitto, si è trovata nelle tombe della XII dinastia (2400-2200 a. C., Schweinfurtb), ed anche negli scavi di Troia e di Creta. Per Erodoto i sacerdoti non dovevano neppure guardare le fave e il giudizio nega- tivo su questa coltura deriverebbe dagli Egiziani. A questa idea fa eco Pitagora i cui discepoli consideravano la fava come impura; pare che dipendesse da una vecchia tra- dizione per cui Cerere avrebbe donato i semi di varie leguminose, ma non quelli della fava, ad una città dell’Arcadia (Gubernatix). Le fave, fin dall’antichità, sono avvolte dal mistero, da ricondurre al colore del loro fiore che è bianco, ma maculato di nero: pare che queste macchie siano disposte a forma della T (tau) greca, corrispondente anche alla prima lettera della parola tànatos, dio della morte nella mitologia greca. Inoltre si riteneva che le macchie scure presente nei fiori di fava fossero simboli della presenza dell’animo dei morti e, quindi, segni infernali che li facevano additare come “cibo dei morti”. Di parere avverso era Aristotele che la riteneva utile al corpo umano. Aristofane, arrivò a supporre che con il macco di fave fu allevato il piccolo Ercole, un piatto per gente forte con stomaco robusto, ma anche afrodisiaco; infatti, il figlio di Giove era ritenuto un grande amatore. Il profumo dei fiori di fava sembra essere inebriante e complice degli incontri d’amore. Stando ancora ad una credenza popolare diffusa in Italia, se si trova un baccello contenente sette fave si avrà un perio- do di grande fortuna. Le fave erano un alimento popolare presso i Greci, i quali coltivavano una varietà di fava (Kýamos ellenikòs) differente da quella d’Egitto. Nelle feste in onore d’Apollo venivano mangiate fave in suo auspicio. In Sicilia furono portate al tempo dai Greci; il consumo di fave era talmente diffuso che il prezioso legume entrò in un detto popo- lare: “pigghiari cu na fava du picciuna” (prendere con una fava due piccioni), con cui si vuole indicare il raggiungimento di due obiettivi con un solo sforzo. I Romani apprezzavano molto le fave. II patronimico della gens Fabia ha origine da

78 Mario Liberto fava. Ma rimaneva, malgrado tutto, una pianta funerea, tanto che il Pontefice Massi- mo non solo non poteva, mangiare ma neppure nominare il legume. La tradizione romana attribuisce alla fava una grande dignità, spesso decantata da Ovidio; tra l’altro, le fave venivano consumate secondo le ricette di Apicio che le vole- va cucinate assieme a uova, miele e pepe, prima di mescolarle ad erbe e salse. Inoltre, durante le feste dedicate alla dea Flora protettrice della natura che germoglia, i Roma- ni le gettavano sulla folla in segno di buon augurio, usanza presente ancora in Sicilia per festeggiare gli sposalizi. I Romani ne facevano grande uso, anche crude con l’intero baccello, quando erano molto tenere, prelibatezza arrivata fino ai giorni nostri. Nelle feste della raccolta e della semina, dopo aver fatto le dovute offerte agli dei, si mangiavano le fave per propiziare, sia la raccolta sia la semina, essendo ambedue emblemi di morte e di rinascita. In fondo anche oggi, per il 2 novembre, in Sicilia, cor- riamo dal pasticcere a comperare le “fave dei morti”, i gustosissimi pasticcini croccanti fatti di farina, zucchero, uova e mandorle. Catone suggeriva di mescolare legumi e cereali con altre minestre (pulmentaria) di farro o orzo. Un piatto tipico era la polenta di fave (puls fabata), fatta con la farina di fave (maccus). Nel De rustica, Varrone attesta che tra gli alimenti più diffusi a Roma figuravano le fave, insieme al grano (trìticum) nelle sue sottospecie farro (far) e orzo (oràeum), informazione confermata anche da Plinio. La fortuna della fava, in quanto cibo di sopravvivenza, continuò nel Medioevo, specialmente nelle aree più meridionali d’Europa44. Durante quel periodo la fava era un legume di grande consumo: i piatti comuni erano il pulmentum (minestra di pane e fave) ed il maccu. La fava seguirà vicende alterne in tutto il Medioevo trovando an- che momenti di gloria nei poveri conventi fra fraticelli intenti a fare penitenze. Ai primi del Cinquecento, quando dal Nuovo Mondo cominciarono ad arrivare i fagioli il declino delle fave fu rapido e irreversibile. Se Platina scrisse delle fave che “gonfiano il ventre e stimolano la lussuria”; Machiavelli invece ne evidenziò le virtù corroboranti nella sua commedia “Clizia”, raccontando che il vecchio Nicomaco avesse fatto ri- chiesta di cenare con “poche cose ma tutte sustanzievoli”, tra cui una mistura di fave e spezierie, prima di coricarsi con la giovane schiava45. Le fave recupereranno l’antico splendore nell’alimentazione con la riscoperta della

44. Luciano Sterpellone, “A pranzo con la storia. I nostri cibi dagli Assiri al fast-food”, Op. Cit. 45. Nella logica dell’autoconsumo, ci si arrangiava com’era possibile: per mangiare era necessaria tanta fantasia. «Si sa per tradizione – ebbe a scrivere Salvatore Butera – che nel 1803 non pochi contadini di Vicari all’epoca della seminagione delle fave, tenevano queste in un bagno d’acqua fresca per poco tempo, perché si rammollissero, indi le tagliavano a metà e così la parte superiore nella quale restava l’embrione la seminavano, l’altra metà la mangiavano per disfamarsi». All’ini- zio del Novecento era persino scontato che parte del grano che il mezzadro riceveva dal padrone sotto forma di sementi, fosse macinato e panificato di nascosto. Nacque anche da qui l’uso di

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 79 Dieta Mediterranea. In Sicilia e nelle regioni meridionali le feste di famiglia venivano allietate da una montagna di mandorle tostate, calia (ceci e fave abbrustoliti) e grosse brocche di vino spillato direttamente dalla piccola botte disposta in un cantuccio del- la stessa stanza allietata a suon di zufolo e d’organetto. La fava da sola o in compagnia del formaggio pecorino è festeggiata in diversi comuni d’Italia e in molti paesi si svol- gono le sagre delle fave.

Aspetti Nutrizionali Le fave sono ricche di proteine e fibre vegetali, ma povere di grassi, caratteristica che le accomuna agli altri legumi. Le fave garantiscono inoltre l’apporto di ferro e altri mi- nerali, e una notevole quantità di vitamine, ovviamente se consumate crude, poiché la cottura spesso distrugge o riduce alcuni dei componenti. Contengono anche molta vitamina C e fibre vegetali, indispensabili nella regolazione delle funzioni intestinali e contribuiscono al controllo dei livelli di glucosio e colesterolo nel sangue. Sono con- siderate un diuretico naturale, benefiche per i reni e l’apparato urinario. L’apporto calorico di 100 grammi di fave fresche è di circa 41 kcal. Tra i legumi risulta essere il meno calorico ma il valore proteico delle fave è rilevan- te, nel seme secco raggiunge circa il 27%, contro il 5% nel seme fresco; buono è anche l’apporto di glucidi (62,3%) e di niacina. Tra i minerali spiccano il calcio, il fosforo, il sodio, il potassio, il ferro, il magnesio, lo zinco e il selenio. A questo proposito, è stato scoperto che la selenometionina, un componente del selenio, attiva il gene P53 che ha la funzione di ossidare la crescita di alcuni tumori. La fava ha comunque un alto valore nutritivo e fornisce, oltre alle proteine e alla fibre, una vasta gamma di vitamine e sali minerali. Per quanto riguarda le vitamine, sono presenti, oltre alla A e C, la E, la K, e il gruppo B - la PP, la Bl, B2, B3, B5 e B6. Tra gli amminoacidi, vi sono l’acido aspartico, l’acido glutammico, la manina, l’argini- na, la leucina, la tirosina, la treonina, il triptofano e la valina. Tra i minerali spiccano il calcio, il fosforo, il sodio (importanti per la loro azione di drenaggio dell’apparato urinario), il potassio, il ferro, il magnesio, lo zinco e il selenio. A questo proposito, è stato scoperto che la selenometionina, un componente del sele- nio, attiva il gene P53 che ha la funzione di ossidare la crescita di alcuni tumori. Nelle fave sono presenti ben 129 mg di fosforo per 100 grami di seme. Questo minerale partecipa a numerosi processi quali la riparazione cellulare, l’attivazione di vitamine e fa parte della struttura di vari enzimi. Lo ritroviamo anche nella struttura

trattare le sementi con una soluzione di solfato di rame detta, nelle diverse parlate locali, cilenna, silestru o petra cilesti. Non per questo, però, il contadino rinunciava alla grazia di Dio di cui pote- va appropriarsi in occasione della semina: lavava il grano e, ancor prima che spuntasse la stidda di li simenti, lo frantumava con il mulineddu ri petra e lo consegnava alla moglie pregustando il sapore della minestra di fami, alla faccia di chi credeva alla tossicità della pietra celeste, che pure riusciva a debellare il mal di volpe, «la cosiddetta muscaredda prodotta da un particolare fungo nero che sporifica nelle spighe riducendole ad una massa pulverulenta».

80 Mario Liberto di ossa e denti, insieme al calcio. Il ferro, presente in quantità di 1,55 mg per 100 grammi, stimola le difese immu- nitarie e la produzione di globuli rossi. Esso fa parte dell’emoglobina, la proteina che trasporta l’ossigeno ai tessuti. Per facilitarne l’assorbimento, è meglio accompagnare le fave ad una fonte di vitamina C come le arance, il limone, i kiwi o i frutti rossi. Anche il potassio è molto presente nelle fave, con 332 mg per 100 grammi. Esso è fondamentale per la riduzione della pressione arteriosa e per regolare la frequenza cardiaca. Il potassio, inoltre, partecipa ai meccanismi della trasmissione degli impulsi nervosi e della contrazione delle fibre muscolari. Nelle fave sono presenti 148 µg di folati. I folati sono i precursori dell’acido folico o vitamina B9, essenziale per la crescita e la riproduzione e anche per lo sviluppo del sistema nervoso. Per questo motivo, deve essere integrato necessariamente in gravidanza, in quanto una sua carenza potrebbe comportare malformazioni fetali come la spina bifida. La Vitamina K, presente nella quantità di 40,9 µg per 100 grammi, interviene nel processo di coagulazione del san- gue46. Inoltre, essa previene le fratture ossee e migliora la sensibilità all’insulina. Il basso apporto calorico, circa 70 calorie per 100 grammi di fave, ne fa un cibo adatto alle diete ipocaloriche; ovviamente si parla di fave fresche, poiché quelle essic- cate hanno valori nutrizionali completamente diversi e sono molto più caloriche. Le fibre presenti favoriscono la motilità intestinale. Il consumo di fave è consigliato soprattutto ad una certa età, dato che contribu- iscono anche al benessere delle ossa combattendo l’osteoporosi e l’artrite. La fava è una delle principali fonti naturali di L-DOPA, ed è anche la fonte da cui si estrae il farmaco prodotto commercialmente. La L-DOPA viene prodotta dall’organismo umano quando l’amminoacido tirosina entra nel neurone e viene sottoposto all’a- zione dell’enzima tirosina idrossilasi; una volta prodotta, la L-DOPA quindi viene convertita enzimaticamente in dopamina, che a sua volta funge anche da precursore della noradrenalina47. La L-DOPA è un amminoacido non proteico impiegato come farmaco per migliorare l’attività motoria dei pazienti con malattia di Parkinson48. La farina di fave, non contiene glutine ed è adatta all’alimentazione celiaca. Il consumo di fave, in particolar modo di quelle fresche, può provocare il favismo, una forma di anemia da fragilità dei globuli rossi che insorge solo in persone pre- disposte geneticamente. Si tratta di una patologia correlata al deficit di un enzima, il G6PD: le persone che presentano questa caratteristica, se esposte a determinate sostanze, possono andare incontro a varie conseguenze anche gravi, come l’anemia emolitica. In realtà non tutti coloro che presentano questo deficit reagiscono necessa- 46. Dott.ssa Barbara Ziparo, “Fave, fresche o secche sono ricche di benefici: ecco le proprietà”, www.viversano.net, Giugno 2020, www.viversano.net/alimentazione/mangiare-sano/fave-pro- prieta/ 47. “Fave 2020: Cottura, Proprietà, Benefici; Favismo, Salute”, www.prezzisalute.com, www.prez- zisalute.com/Alimenti-Cucina/Alimenti/Fave.html 48. Idem.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 81 riamente proprio alle fave; mentre tutti coloro che sono affetti da favismo presentano la carenza di glucosio-6-fosfato deidrogenasi. Il favismo è diffuso nel bacino del Medi- terraneo e particolarmente in Sardegna.

Le varietà Il panorama varietale della fava è piuttosto ampio. Molte di queste sono ecotipi locali ottenuti da laboriose selezioni. Le principali varietà attualmente in commercio sono: la Aguadulce, prodotta da aprile a giugno soprattutto in Puglia e in Campania; la Histal, con baccello di 35 centimetri circa, contenente 8-9 semi, anch’essa prodotta in Puglia e Campania da aprile a giugno; la Supersimonia, selezionata dalla Aguadulce con baccello lunghissimo. Da menzionare anche: la Quarantina primizia, la Reina Bianca e la Reina Mora, la Nana di Nocera, la Windsor; menzione a parte merita la fava Santorinis, tutelata dal marchio DOP, coltivata sulle isole dell’Egeo meridionale e caratterizzata dal gusto dolce. In Sicilia troviamo la fava larga di Leonforte (EN). Ottima per il consumo allo stato fresco e secco è la Cottoia di Modica (RG) è un Presidio Slow Food. La cottoia, cioè che si cucina facilmente, di può essere consumata fresca dopo la raccolta a partire dalla terza decade di maggio o secca tutto l’anno. In territorio di Alia (PA) troviamo anche la fava ciampusa, cioè quanto una mano.

Guida all’acquisto Le fave fresche devono presentare baccelli verdi, ben chiusi, turgidi e croccanti. Alla cottura, i semi devono essere consistenti e di colore verde brillante, inoltre devono essere prive di segni di attacchi parassitari. Per consumarle fresche con il formaggio pecorino è meglio acquistare le fave tenere di prima raccolta. Per conservare le fave si lasciano maturare sulla pianta; ingrossandosi, assumono una colorazione più scura e sono buone per essere consumate bollite, dopo aver leg- germente tagliato il tegumento per facilitarne la cottura. Quelle secche, vendute sfuse o confezionate, devono presentare colore uniforme ed essere prive di particelle estra- nee o parassiti (soprattutto se sono anche prive di bucce).

Conservazione e alterazioni La conservazione delle fave fresche risulta difficoltosa, poiché vanno incontro a un’alterazione abbastanza rapida (7-10 giorni), provocando l’avvizzimento e lo svilup- po di muffe e parassiti, come per esempio il piccolo coleottero chiamato tonchio che invade i semi, soprattutto durante la conservazione in magazzino. Per una migliore conservazione, allo stato verde, è sempre consigliato, dopo la sgra- natura e la pulitura di impurità varie, sbollentare le fave per alcuni minuti in acqua bollente leggermente salata, scolarle benissimo con uno scolapasta e successivamente

82 Mario Liberto immergerle in acqua ghiacciata: il ghiaccio servirà a mantenere le fave verdi e perfette. Quindi procedete ad asciugarle con uno strofinaccio da cucina pulito. Una volta che le fave saranno asciutte, ponetele poco per volta in tanti sacchettini adatti al congelamento: fate fuoriuscire l’aria in eccesso dai sacchetti e chiudeteli er- meticamente con un nodo o con l’apposito fermaglio. Inserite le fave nel freezer e con- servatele per massimo dodici mesi. Diversamente, le fave secche si possono conservare a lungo. Dopo l’essiccazione ponetele in un cesto aperto e di tanto in tanto rimesco- latele in modo da garantire l’asciugatura completa; quindi, terminata l’essiccazione, conservatele in un contenitore.

Le fave in cucina Le fave si consumano fresche (cotte o crude) o secche, ovviamente dopo cottura. La fava fresca, quando è ancora tenera, privata della spessa pellicina che avvolge i semi, contenente tannini di sapore , viene accostata in genere al formaggio pecorino, come antipasto o con salumi. Con pecorino e pancetta si possono realizzare condi- menti per paste, sfoglie e finger food; le fave possono essere preparate anche in purea. Questi piatti sono abbastanza noti soprattutto nel Lazio, Puglia, Campania e Sicilia. Il consumo di fave fresche crude ha il vantaggio sia di mantenere integro il sapore, sia quello di salvaguardare le proprietà nutritive, poiché vitamine e minerali non ven- gono distrutti dalla cottura. Per il consumo da crudo utilizzare le fave tenere, che in genere si iniziano a trovare a primavera inoltrata. Per quanto riguarda i semi secchi, il tempo di ammollo varia in base alla presenza o meno della buccia: le fave sbucciate hanno bisogno di un ammollo di circa 8 ore in acqua fredda, mentre per quelle ancora avvolte dalla buccia i tempi si allungano a 16- 18 ore (inizialmente con acqua tiepida). La fava essiccata cuoce in circa due ore e mezza. Se decorticata il tempo si accorcia della metà. Nella pentola a pressione, la cottura è di 20 minuti con ammollo di 25 minuti. È deliziosa nelle zuppe e nei piatti a lunga cottura, intera o più spesso ridotta in purea. In quasi tutte le regioni si cucina con la pancetta, il lardo e le cipolle, si accom- pagna alla pasta o si usa anche per fare minestre rustiche molto saporite. In Spagna si realizza la fabada, un piatto in umido in cui le fave sostituiscono i fagioli accompa- gnando salsicce, carne di maiale e cavolo. In Medio Oriente si impiega in purea, per fare polpette, e in insalata. Ceci e fave abbrustolite sono reperibili nelle bancarelle durante le feste e sagre. In Egitto con le fave si preparano i falafel, piatto tipico della cucina araba. Per i Greci la minestra a base di fave, kuamoi, veniva servita in occasione delle feste parzepsie e ad essa veniva attribuito un effetto vivificante. In Sicilia un piatto particolare è la frittella di fave, piselli e carciofi con cipolletta

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 83 soffritta in olio extravergine di oliva. Il tutto viene servito caldo con olio d’oliva e pepe. Le varianti alla ricetta prevedono l’aggiunta di verdure di stagione, come indivia e fi- nocchietto selvatico, o pasta cotta in modo da preparare il classico piatto di “pasta col macco”, un piatto, conosciuto in diversi parti d’Italia, che si tramanda fino ai nostri giorni, un profumato e delicato velouté di fave cotte in umido. Nel sec. XV esisteva per la sua preparazione uno speciale recipiente “ad opus mirandi maccum” (per la curiosità di ammirare la preparazione del macco). Altra caratteristica peculiare del maccu è dovuta al fatto che, una volta raffreddato, si può conservare ricoperto con un velo d’olio per essere consumato in un secondo tempo tagliato a fette, oppure può essere consumato fritto in olio extravergine di oli- va. In Sicilia il proverbio vuole che le fave siano “cucivuli e chiatti”, cioè, tenere, piatte e grosse. Le fave in genere vengono usate sia per il consumo umano (verdi o secche), sia per il consumo animale. Le cime delle fave possono consumarsi lessate49.

Fave e cosmesi Le fave, essendo ricche di antiossidanti, sono anche l’ideale per contrastare i radicali liberi e rallentare l’invecchiamento cellulare. Fanno bene alla pelle, perché la nutrono rendendola luminosa e, a quanto pare, contrastano anche la formazione dei brufolet- ti50. Mischiando la farina di fave con il latte tiepido si ottiene una morbida crema che, spalmata sul viso, elimina le antiestetiche macchie che si formano dopo l’esposizione al sole. E la lanuggine che riveste la parte interna del baccello delle fave verdi sfregata sul viso ne ravviva il colorito51. Nell’antico Egitto il viso veniva truccato applicando farina di fave e gesso in polvere, oppure utilizzando una polvere giallo ocra molto fine simile all’odierna cipria, che donava riflessi dorati all’incarnato. Le donne dalla pelle particolarmente scura utiliz- zavano anche una sorta di fondotinta composto da polveri di alabastro e di carbonato di soda miste al miele52.

49. AA.VV., “Il Grande libro degli alimenti”, Ed. Giunti, Firenze, 2014, pag. 154, 155. 50. www.donnaclick.it 51. “Fave: Proprietà e valori nutrizionali”, www.lapelle.it, www.lapelle.it/alimentazione/fave.htm 52. “Trucco e bellezza nell’antichità”, www.letture.org, www.letture.org/trucco-e-bellez- za-nell-antichita-rossano-de-cesaris/

84 Mario Liberto CAPITOLO XI LENTICCHIE (LENS ESCULENTA)

Introduzione Le lenticchie, legumi appartenenti alla specie Lens culinaris, dalle origini ai giorni nostri hanno perso la loro primordiale importanza. Da piatto prelibatissimo, tanto d’aver convinto nella Genesi Esaù a rinunciare alla primogenitura, al ruolo marginale di segnatura delle cartelle delle misere tombole natalizie, o peggio ancora, allo stupido quiz di una nota conduttrice televisiva, che chiedeva il numero delle lenticchie conte- nute all’interno di un cilindro di vetro. In molti aspettano addirittura la fine dell’an- no per mangiarle, non per la peculiare bontà, ma come portafortuna, come simbolo d’abbondanza o di benessere, indice di benevolenza della natura verso l’uomo, ricordo dell’antica tradizione romana che invitava a regalare una “scarsella”, piccola borsa di pelle, un antesignano del moderno portamonete, riempita di lenticchie, con l’auspicio che potessero trasformarsi in denaro. Le lenticchie sono state consumate da sempre, grazie anche alla loro facile reperibilità, all’alta conservabilità e – non da ultimo – al loro basso costo, tanto da meritarsi l’appellativo di carne dei poveri. Il nome botanico della lenticchia è “Lens esculenta”, appartenente alla famiglia del- le leguminose, che deriva dalla particolare forma a lente del seme; sono piccoli legumi tondi e piatti di colore variabile: marrone scuro, giallo-verdastro, rossastro, bruno e nero in alcune varietà orientali. Alla lenticchia va dato il merito d’essere uno dei primi

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 85 alimenti coltivati e consumati dall’uomo. La maturazione dei semi avviene in periodi diversi anche sulla stessa pianta, per cui la raccolta avviene quando la pianta inizia ad essiccare53.

Importanza economica La lenticchia risulta attualmente coltivata nel Mondo su una superficie in espan- sione. Nel 1977 ha raggiunto 1.970.000 ha con una produzione di 1.269.000 t. I con- tinenti maggiormente interessati sono nell’ordine: l’Asia, cui seguono a grande distan- za l’Africa, la Russia, l’America del sud, l’America settentrionale e centrale. È presente in tutti i Paesi del Bacino del Mediterraneo. In Italia la superficie è significativamente diminuita nell’ultimo trentennio fino a ridursi a poco più di 2 mila ettari nel 1977. Dai dati dell’ISMEA, risulta che la produzione di lenticchie nel 2014 si è incrementa- ta del 33% (da 1.873 a 2.484 tons) mentre in termini di investimenti la percentuale è stata del 26% (da 2.463 a 3.099).

Storia Molti studiosi sostengono che la zona di origine delle lenticchie è l’Asia Sud Occi- dentale – più precisamente la regione che oggi corrisponde alla Siria settentrionale – Mezzaluna fertile – e da queste aree si è diffusa rapidamente in tutto il bacino del Me- diterraneo, diventando, per l’alto valore nutritivo, il cibo base dei Greci e dei Romani. Dai rinvenimenti archeologici si evince che la lenticchia era coltivata già nel 7000 a.C. Di questo prelibatissimo legume si sono trovate tracce in Turchia in scavi risa- lenti al 5500 a.C., nelle tombe Egizie del 2.500 a.C.. A Parigi, nel Museo del Louvre, sono esposte 3 lenticchie trovate in perfetto stato recuperate in una tomba egizia della dodicesima dinastia (2200 a.C.). Le lenticchie erano usate perlopiù nelle cene dome- stiche sotto forma di zuppe. Il grande medico Ippocrate le suggeriva agli anziani, sia per irrobustirli, sia per potenziarne la spenta virilità; il massimo del risultato si rag- giungeva condendole con lo zafferano, a sua volta ritenuto un potente afrodisiaco54. Nell’antichità le lenticchie erano un piatto di rito per i banchetti funebri. Gli Ebrei le consideravano un alimento di grande valore nutritivo. I Greci le chiamavano fakòs; il loro consumo è testimoniato del famoso scrittore Aristofane che le ha ampiamente descritte in molte sue commedie. Testimonianze del consumo delle lenticchie sono riportate anche nella Bibbia. Oltre al famoso versetto della Genesi 25:34 nel quale si racconta la rinuncia della primogenitura di Esaù per un tozzo di pane e della minestra di lenticchie, nel secondo libro di Samuele 17:28 si fa riferimento all’uso alimentare delle lenticchie e dei legumi arrostiti. Inoltre, nel versetto 23:11, riguardo al campo dei Filistei, si citano campi seminati a lenticchie. In Ezechiele 4:9 si dà anche la prescri-

53. “I Legumi”, www.benessere.com, www.benessere.com/alimentazione/alimenti/legumi.htm 54. Anna Ferrari, “La cucina degli Dei, Miti e ricette dall’antica Grecia alla Roma imperiale”, Editori Blu, Torino, 2014. Pag. 43, 44.

86 Mario Liberto zione di conservare delle lenticchie: “…prendi anche frumento, orzo, fave, lenticchie, miglio, spelta, mettili in un vaso, fattene del pane sufficiente per tutto il tempo che starai sdraiato sul tuo lato; ne mangerai per trecentonovanta giorni…”. In epoca romana, Catone suggeriva le norme per meglio cucinarle, mentre Galeno – il famoso medico – ne metteva in risalto le virtù terapeutiche. Si narra che l’obelisco di granito rosso che domina in piazza San Pietro sia arrivato nella capitale grazie a migliaia di preziosi semini. Fu l’imperatore Caligola a decidere di trasportare il manufatto marmoreo dalle foci del Nilo a Roma. Era il 37 dopo Cri- sto. Per assicurare il pesantissimo carico, furono versati nelle stive di una nave apposi- tamente costruita quintali di lenticchie egiziane. Pare che la famiglia romana dei Lentuli derivi il proprio nome dalle lenticchie. Questo legume diede il nome anche alle lenti di vetro, nel corso del XVII secolo, gra- zie alla loro forma. La famosa Fabata Puls, era una zuppa preparata con il farro macinato grosso e ar- ricchita di fave, lenticchie, ceci e interiora. Molte ricette che quotidianamente consumiamo fanno parte del ricettario De re co- quinaria, il manualetto gastronomico del cuoco imperiale Marco Gavio Apicio, forse vissuto all’epoca di Tiberio. Apicio suggeriva di lessare le lenticchie e poi condirle con pepe, comino, semi di coriandolo55, menta, ruta, puleggio, aceto, miele, salsa di pesce e mosto cotto. «Nel II secolo lo stesso Artemidoro le inserì nella sua opera sull’interpretazione dei sogni, attribuendone un presagio funereo. Se la somiglianza con le monete ne garan- tisce l’attuale fortuna, nei secoli scorsi le lenticchie erano metafora di povertà. Cibo nutriente, ma umile. Bandito dalle tavole più nobili nell’Italia medievale, largamente consumato nelle mense popolari. Così ricco di ferro da essere considerato il principale sostituto della carne. Alla faccia di chi, ancora oggi, considera sconveniente vendersi per un piatto di lenticchie»56. Il Medioevo vide lo sviluppo della coltivazione di lenticchie in quanto ritenute ric- che di nutrienti ed energetiche. Le lenticchie erano utilizzate – in sostituzione della carne – nei giorni di venerdì o nei giorni di digiuno. In questo periodo in cui la popo- lazione dell’Europa fu decimata da carestie ed epidemie, i legumi, fra questi anche le lenticchie, cibi poco costosi e facilmente reperibili, contribuirono in modo determi- nante a fornire proteine e vitamine, migliorando le condizioni di salute, e quindi, la resistenza alle malattie di intere nazioni. Il medico e botanico rinascimentale Casto- re Durante (XVI secolo) diceva che: «Quelli che usano troppo spesso le lenticchie, cascano ne i mali malinconici». Pubblicato nel 1585, il suo Herbario Novo mette in guardia dal consumo di questi piccoli legumi. Cibarsi di lenticchie, spiega ancora

55. Coriandro o coriandolo. 56. “Lenticchie, il vero simbolo portafortuna dell’anno che verrà”, www.linkiesta.it, www.linkie- sta.it/it/article/2017/12/30/lenticchie-il-vero-simbolo-portafortuna-dellanno-che-verra/36651/

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 87 Durante, «estingue gli appetiti venerei e il seme genitale. E per questo è molto conve- niente a coloro che vogliono vivere castamente». Dello stesso parere era anche Pietro Andrea Mattioli il quale nella sua opera nota come Discorsi di Pier Andrea Mattioli sull’opera di Dioscoride pubblicata nel 1544, consigliava di evitarne il pasto. Umanista e medico alla corte di Ferdinando I, era let- teralmente terrorizzato da questo alimento. L’episodio sacro ha colpito anche Pellegrino Artusi, forse il più noto gastronomo italiano. Nel suo celebre manuale di cucina, pubblicato nel 1891, l’autore ricorda la biblica minestra. «Se Esaù vendè la primogenitura per un piatto di lenticchie - si legge - bisogna dire che il loro uso, come alimento, è antichissimo, e che egli o n’era ghiotto all’eccesso o soffriva di bulimia». Artusi non nasconde il suo gusto per questi legumi. «A me - scrive ancora - sembra che il sapore delle lenticchie sia più delicato di quello dei fagiuoli in genere e che, quanto a minaccia di bombardite, esse sieno meno perico- lose dei fagiuoli comuni».

Aspetti nutrizionali Le lenticchie sono considerate legumi dall’alto valore nutritivo; infatti, sono carat- terizzate da un alto contenuto proteico, con una buona quantità di zuccheri e una scarsa quantità di grassi, 100 grammi di lenticchie equivalgono a 215 grammi di carne. Il contenuto di proteine è del 25%, totalmente assimilate dall’organismo, mentre il contenuto di carboidrati è del 53%, e il 2% quello di oli vegetali, di tipo insaturo. Sono inoltre ricche di fosforo, potassio, ferro, vitamine del gruppo B, sali minerali e fibre; così come sono ricche di calcio, magnesio (che le fa annoverare tra gli alimenti con ef- fetto sedativo sul sistema nervoso) e zolfo (80 mg per 100 grammi di prodotto), che ne consente l’uso terapeutico per le patologie della pelle. Significativa la loro quantità di rame, che rafforza le difese immunitarie; svolge una funzione antidiabetica, in quanto aumenta l’attività dell’insulina e attiva il processo di glicolisi, ed è indispensabile per la formazione dei globuli rossi, nei quali è presente sotto forma di cupreina; infine, il rame è dotato di azione antisclerotica per l’aumento della portata di ossigeno nel sangue. La ricchezza in tiamina le rende utilissime per migliorare i processi di memo- rizzazione, mentre il consistente contenuto di vitamina PP ne fa un potente equili- bratore del sistema nervoso, con azione antidepressiva e antipsicotica. La vitamina PP, o miacina, o anche vitamina B3 è un gruppo di due vitamine, l’acido micotinico e l’ammide di quest’ultimo, la micotinammide. La scoperta di tali composti è legata alle ricerche svolte sulle cause della pellagra. Le lenticchie, infatti, sono un alimento sano e nutriente che apporta molteplici benefici al nostro organismo: hanno proprietà las- sative grazie al considerevole apporto di fibre; contrastano il colesterolo cattivo e sono ricche di Omega3; stabilizzano i livelli di zucchero nel sangue, risultando un valido aiuto per chi soffre di diabete; sono un alimento perfetto per chi soffre di anemia grazie al considerevole apporto di ferro; aiutano a mantenere bassa la pressione grazie

88 Mario Liberto all’apporto di potassio. Le lenticchie sono anche un antiossidante naturale e un ali- mento povero di grassi: 2,5 g per 100 g di prodotto. Il loro consumo è consigliato perché, oltre ad essere molto digeribili, sono alimenti molto poveri di grassi e di colesterolo, inoltre contengono isoflavoni, sostanze che favoriscono la depurazione dell’organismo. Hanno un’elevata concentrazione di ferro, che è un elemento essenziale capace di essere assorbito meglio dall’organismo se asso- ciato ad un cibo ricco di vitamina C. Per il loro contenuto di ferro, sono comunque indicate nella dieta degli adolescenti, soprattutto per le ragazze, che sempre più spesso sono a rischio anemia. 100 grammi di lenticchie secche crude contengono 13,8 gram- mi di fibre totali e 22,7 grammi di proteine, oltre a 57 mg di calcio e a 8 mg di ferro. Le lenticchie non contengono glutine e sono quindi adatte nella celiachia. Con- sumate con regolarità diminuiscono il colesterolo totale, in particolare quello LDL. Questa azione sarebbe dovuta soprattutto alle fibre solubili che riducono l’assorbi- mento intestinale del colesterolo; le fibre insolubili delle lenticchie facilitano il tran- sito intestinale. Le fibre, insieme alla presenza della vitamina B6 e di altre sostanze come lignani e isoflavoni, spiegherebbero anche il ruolo preventivo anticancro delle lenticchie57. Castore Durante nel Cinquecento ne suggeriva l’uso a quelli che volevano vivere illibati perché “estingue gli appetiti venerei leva l’acutezza e la furia del sangue”. Nel 1640 il Tanara la consigliava alle persone vicini alla collera improvvisa, all’impetuosi- tà. Un tempo la lenticchia veniva sfruttata come calmante, ma appariva corroborante per l’intestino. Il medico Eraclia Tarantino dava un piatto di lenticchie e bietole ai sani per preser- varli e ai malati per guarirli. La parte vegetale veniva utilizzata come unguento sopra le ferite e aveva effetto coagulante58.

Le varietà Il patrimonio delle varietà di lenticchie è davvero singolare. La loro classificazione avviene per le dimensione, a semi grandi (6-9 mm) o piccoli, per il colore, giallo, verde, arancioni, rossi, marroni, ecc., ecotipi coltivati in tutti gli areali produttivi, soprattut- to negli Stati Uniti e nell’America del Sud, nel bacino del Mediterraneo, nel Medio Oriente e in India. I buongustai sostengono che le lenticchie più pregiate sono quelle italiane. Si divi- dono in due principali gruppi: a seme grande e a seme piccolo. Le varietà di lenticchie più conosciute aderenti all’Associazione delle Città delle lenticchie sono: le lenticchie di Onano, nell’alto viterbese, quelle di Santo Stefano di Sessanio nel Parco del Gran Sasso, presidi Slow Food; ed ancora la lenticchia di Colfiorito coltivata sempre in Um-

57. Arcari Morini D., D’Eugenio A., Aufiero F., “Il potere farmacologico degli alimenti”, Edizione Red, Milano, 2005. 58. Pier Francesco Lisi, Op. Cit., pag. 80.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 89 bria, la lenticchia di Rascino coltivata in provincia di Rieti, nel Lazio, la lenticchia nera beluga, la lenticchia di Castelluccio di Norcia, la lenticchia verde di Altamura – leggermente più grande rispetto a quella marrone, la lenticchia rossa, conosciuta anche come “lenticchia egiziana”, molto diffusa in medio oriente, commercializzata decorticata che richiede un tempo di cottura piuttosto breve; la lenticchia di Villalba di dimensione piuttosto grande, la lenticchia di Ustica piccola, tenera, saporita e dal colore marrone scuro, quella di Ventotene, la lenticchia di origine spagnola dell’Ar- muña famosa per il suo gusto e la sua morbidezzadi. Fra le le varietà celebri di lentic- chie siciliane si ricordano quelle di Antillo, Chiaramonte Gulfi, Gangi, Marianopoli, Restauro, delle Eolie, Resuttano, Roccella Valdemone e Santa Domenica Vittoria. In America, sia settentrionale che meridionale, si coltivano soprattutto le lenticchie gialle e verdi a seme grande (6-9 mm). In Europa, nel bacino del Mediterraneo, in me- dio Oriente e in India, si coltiva la lenticchia a semi piccoli (2-6 mm) di color arancio, marrone e rossiccio.

Guida all’acquisto Per quanto riguarda l’acquisto delle lenticchie secche, occorre controllare bene che non siano presenti sostanze estranee e che le stesse siano integre. La dose “ideale” per ogni persona è fissata in 80 grammi. Le lenticchie vanno accuratamente mondate, per eliminare eventuali sassolini. Ogni volta che sia possibile, è preferibile scegliere la lenticchia secca. Non andrebbero acquistate troppo vecchie, perché richiederebbero ammolli e cotture prolungate, a discapito del sapore. Si trovano in commercio anche lenticchie che richiedono mino- re cottura, essendo prive della buccia. Quando si sceglie di acquistare le lenticchie già cotte, occorre fare attenzione che non abbiano coloranti e conservanti: la conservazio- ne in vaso di vetro è la più sicura quando si decide di comprarle cotte ma vanno ugual- mente bene quelle che si acquistano in scatola o in sottovuoto. Controllare l’etichetta e acquistare preferibilmente lenticchie italiane.

Come conservare le lenticchie La lenticchia è uno dei legumi che si conserva meglio anche nelle confezioni in scatola o in vetro. Per quanto riguarda invece l’acquisto di quelle secche, occorre controllare bene che non siano presenti sostanze estranee e che le lenticchie siano integre (vanno conser- vate in un luogo fresco e asciutto e consumate entro la data di scadenza indicata sulla confezione). Una volta cotte invece le lenticchie si conservano in frigorifero per due o tre giorni; congelate possono essere conservate per periodi più lunghi, anche mesi.

90 Mario Liberto Le lenticchie in cucina In ogni tempo questo legume ha costituito il piatto forte sulle mense dei ceti meno abbienti. I semi di lenticchia dopo essere stati ammollati, possono essere consumati sotto forma di passato, così da frantumare e ridurre le bucce. Oltre ad essere consuma- ti come secondo piatto, si prestano egregiamente come condimento alla pasta. Le lenticchie utilizzate come secondo piatto, vengono arricchite con bietole selva- tiche e/o con scarola, carote e patate tagliate a pezzettini, cipolla tagliata finemente, olio di oliva, sale e pepe. Cucinate in questo modo si prestano bene anche per condire la pasta. Le ricette in cui figurano le lenticchie si possono raggruppare fondamentalmente in zuppe, minestre e contorni, generalmente in umido. Possono essere utilizzate come contorno preparate in umido, arricchendole di sapore con l’aggiunta di menta e fi- nocchietto selvatico. Cotte invece insieme a della normale salsiccia, si trasformano in un gustoso piatto unico, oppure, con zampone o cotechino sono il piatto tipico del Natale. Le lenticchie possono essere utilizzate semplicemente bollite in acqua, sale e cipolla (per agevolare la funzione renale) e condite con olio extravergine d’oliva, che ne migliora le proprietà nutrizionali. Dopo averle lessate e scolate, le lenticchie si posso- no ridurre a crema con l’impiego di un passatutto e si mangiano spalmate su crostini di pane tostato strofinato con aglio, sul quale si verserà dell’olio extravergine d’oliva. Le lenticchie sono la base del dahl, un piatto tipico della cucina indiana, una specie di purea o zuppa che ha tante varianti, visto che in India, il maggior produttore mondia- le, se ne coltivano circa sessanta diverse varietà. In altri Paesi vengono preparati purè ed insalate (Francia), le soupe in Medio Oriente, piatti che sono comunque abbastanza diffusi anche in Italia. Per la cottura delle lenticchie è bene usare pentole di acciaio inossidabile, ferro smaltato, ghisa o terracotta; è da evitare l’alluminio, che si annerisce. Il sapore della lenticchia dipende dalla varietà (maggiore o minore spessore del- la buccia), ma anche dai terreni di coltivazione. Per gustare appieno il sapore delle lenticchie, è preferibile tenerle in ammollo per 12 ore circa, eliminare l’acqua, lavarle nuovamente e cuocerle subito - il tempo dipende anche dalla varietà – e salarle solo a fine cottura. Evitare inoltre di aggiungere del bicarbonato, sia prima che durante la cottura poiché l’innalzamento della temperatura favorisce la decomposizione del bicarbonato di calcio che depositandosi sul fondo e sulla superficie dei legumi con- tenuti nella pentola, ne indurisce la superficie e di conseguenza ne rallenta la cottura. Un’importante accortezza da non trascurare è quella di dosare bene l’acqua quando si cucinano, in modo da evitare la perdita di vitamine e preziosi sali minerali. Per que- sto motivo è opportuno usare una quantità d’acqua adeguata (l’acqua deve coprire abbondantemente le lenticchie fino a ricoprirle tutte) e per quanto riguarda la cottu- ra, l’ideale sarebbe poterle tenere sul fuoco (lento) per circa mezz’ora o poco più; in alternativa, utilizzare la pentola a pressione, che consente l’impiego di una quantità

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 91 inferiore d’acqua. A fine cottura si aggiunge un filo d’olio extravergine di oliva crudo e si serve in tavo- la. Le lenticchie sono perfette per piatti vegetariani e vegani di una certa consistenza, come polpette e polpettoni. Quando è possibile, è opportuno scegliere le lenticchie secche, rispetto a quelle in scatola, perché sono più ricche di principi nutritivi e prive di conservanti. Inoltre, lenticchie si possono far germogliare o trasformare in farina, che si utilizza per la produzione di gallette e si mescola con la farina di cereali per farne un supple- mento proteico59.

Lenticchie e cosmesi Anche nell’antichità le lenticchie erano utilizzate nella cosmesi. Persino un medico, il celebre Galeno, ne descriveva gli effetti terapeutici. Le lenticchie bollite impastate con il miele erano considerate un toccasana per curare le scottature, i danni del freddo sulla pelle e le bolle, eruzioni cutanee nei bambini. Le matrone e gli uomini vanitosi le utilizzavano come maschera di bellezza allo scopo di cancellare le macchie della pelle. Testimone il poeta Ovidio, autore di trattati sulla cura del corpo, che consigliava un impacco essiccato al vento a base di lenticchie, orzo e uova cui, per migliorare l’effetto, andavano aggiunte – terribile a dirsi – corna triturate di cervo, bulbi di narciso, spelta e miele. Con un effetto assicurato: «Ogni donna che tratterà il volto con tale cosme- tico risplenderà più liscia del suo specchio»60. Le lenticchie si prestano per ottenere un ottimo preparato organico e naturale che rende la pelle tonica. Lo scrub è l’ideale per rimuovere le cellule morte, tonificare le zone intorpidite dall’inverno, idratare le parti secche come fianchi, ginocchia e gomiti. Uno scrub fai da te naturale al 100% efficace sulla pelle che ha vissuto un lungo periodo di stress epidermico è il seguente. Gli ingredienti sono: 100 g di lenticchie, 2 vasetti di yogurt magro bianco oppu- re latte q.b., un cucchiaino di miele, 2 cucchiaini di olio di mandorle dolci (questo ingrediente è a piacere a seconda che si voglia rendere lo scrub più o meno pulente o idratante). Utilizzare un frullatore per sbriciolare e mescolare il tutto; quindi applica- re sulla pelle. Se vi state preparando a una tintarella mozzafiato, provate ad aggiungere della birra nello scrub. Usato 1-2 volte alla settimana e prima di andare in spiaggia aiuta la pelle a catturare il sole. L’amido di lenticchia, infine, riveste importanza industriale essendo impiegato nel- le industrie tessili per la stampa dei tessuti, poiché la sua viscosità rimane inalterata in

59. AA.VV. “Il Grande libro degli alimenti”, Ed. Giunti, Firenze, 2014, pag. 150, 151. 60. “La lenticchia, un talismano amato dai romani”, www.ilgiornale.it, www.ilgiornale.it/news/ lenticchia-talismano-amato-dai-romani.html

92 Mario Liberto un’ampia gamma di temperature61. Le lenticchie sono ottime anche per effettuare uno shampoo naturale a secco. Me- scolate un cucchiaio di farina di lenticchie rosse ad un cucchiaino di bicarbonato. Se non trovate la farina, macinate delle lenticchie rosse decorticate. Il risultato si otterrà lo stesso ma avrete una consistenza più grumosa (e quindi più difficile da risciacquare dalle chiome). Al momento del lavaggio aggiungete un cucchiaio di aceto di mele e 3 gocce di olio essenziale profumato. Otterrete una sorta di pastella, che potrete allun- gare con un po’ d’acqua tiepida per spalmarla meglio tra i capelli. Usatela come un normale shampoo. La farina e il bicarbonato detergeranno la cute, l’aceto renderà le chiome luminose e l’olio essenziale donerà una piacevole profumazione. Risciacquate normalmente. Oppure provate uno shampoo naturale ‘cotto’. Scegliete i legumi de- corticati così da non avere bucce nel composto. Cuoceteli con due o tre chiodi di ga- rofano nell’acqua di cottura. Scolate, togliete i chiodi di garofano e frullate. Una volta freddo, usate il composto (che avrà la consistenza di una pastella) per lavare i capelli. Potete aggiungere dell’olio di mandorle dolci per renderlo più morbido e per chiome più setose. Oppure l’aceto per illuminare i capelli62.

61. www.donnaclik.it 62. “Shampo naturale fai da te alle lenticchie”, www.stile.it, www.stile.it/2017/01/04/sham- poo-naturale-alle-lenticchie-id-135833/

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 93

CAPITOLO XII PISELLI (PISUM SATIVUM)

Introduzione I piselli sono legumi appartenenti alla specie Pisum sativum. I piselli possono essere consumati allo stato fresco o essere destinati all’industria per l’inscatolamento, il sur- gelamento o l’essiccamento. Fu proprio a partire dai piselli che Gregor Mendel iniziò lunghi ed approfonditi studi su ibridazione e trasmissione dei caratteri, formulando successivamente le note leggi della genetica, tuttora accettate e del tutto accreditate dal mondo della scienza. Ma l’importanza dei piselli non si ferma solo alla genetica: questi legumi hanno trion- fato nelle tavole italiane, non solo per il loro sapore delicato e dolce, ma anche per il buon apporto nutrizionale e le proprietà terapiche. I baccelli dei piselli racchiudono un numero variabile di semi, che a loro volta si differenziano per colore, forma e dimensioni; la maggior parte dei piselli destinati al consumo alimentare presenta una forma tondeggiante ma, quando i semi risultano fortemente serrati all’interno del frutto, possono essere cuboidali. In natura esisto- no molte specie di piselli, alcune molto coltivate ed apprezzate per l’alimentazione umana. In alcuni piselli si mangia anche il baccello (i cosiddetti piselli mangiatutto o taccole), all’interno dei quali i semi si trovano ancora allo stadio embrionale.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 95 Importanza economica I due principali produttori di piselli freschi al mondo sono la Cina e l’India, con una produzione mondiale pari a circa il 70 %. L’Unione europea produce 1,53 milioni di tonnellate ed è di fatto il terzo produttore mondiale. Secondo i dati dell’ISMEA per il 2014, per i piselli si è registrato un +14% delle superfici coltivate, passate da 4.161 a 4.755 ettari, e un +13% dei volumi che hanno raggiunto le 10.417 tonnellate.

Storia La tesi più accreditata sulla coltivazione dei piselli è che sia iniziata in Mesopotamia. I piselli (Pisum sativum) compaiono nel Vicino Oriente circa 9000-8000 anni fa e sono stati ritrovati in numerosi siti archeologici antichi della Turchia sud-orientale (Cayònu), dell’Iraq settentrionale (Jarmo) e della Palestina (Gerico, nel livello prece- ramico B). Resti carbonizzati di piselli sono stati rinvenuti in maggiori quantità nella Turchia meridionale risalenti a 7850 e 7600 anni fa, a Catal Hiiyuk e a Can Hasan e Hacilar tra 7.400 e 7.000 anni fa. Tracce della loro presenza risulterebbero ritrovate negli scavi di Halicat in Turchia (resti di 5500 a.C.), nelle tombe dei Faraoni e nelle ro- vine di Troia. In Grecia (Nea Nicomedia e negli strati preceramici di Ghediki, Sesklo e Sofli), sono stati ritrovati piselli risalenti a 7500 anni fa caratterizzati da un pericarpo liscio. La coltivazione del pisello migra con l’uomo agricoltore verso l’Europa tra 6400 e 4200 anni fa e arriva nella Svizzera nel Neolitico. Erano anche alimenti familiari nell’antica Roma; la loro presenza è attestata da vari autori. La coltura del pisello era praticata dai Greci e dai Romani, come risulta dalle citazioni di Teofrasto nella sua Historia Plantarum (III secolo), e di Lucio Columella in De re rustica e di Plinio nella sua Naturalis historia, scritta intorno all’anno 77 dopo Cristo. Columella e Plinio descrissero le varietà elatius e arvense ritrovate du- rante gli scavi di Pompei. Sotto Carlo Magno, i piselli sono citati come pisos mauriscos tra gli ortaggi racco- mandati nel Capitulare de villis. I piselli secchi, facili da conservare, costituivano nel Medio Evo una delle principali risorse alimentari delle classi povere, spesso cucinati con il lardo. Verso la fine del XIV secolo, alla corte dei Medici fu selezionata una varietà nana da consumare fresca, i cosiddetti “piselli novelli”. Nel 1533, quando Ca- terina dei Medici sposò Enrico II di Francia, i piselli novelli furono introdotti in Fran- cia. La novità gastronomica ebbe un notevole successo e fu ribattezzata “petit pois”, nome che è arrivato sino ai nostri giorni. La popolarità dei “petits pois” raggiunse il culmine sotto il regno di Luigi XIV, divenendo oggetto di una vera e propria moda gastronomica. Alla fine del 1600 i piselli erano conosciutissimi, ed il loro prezzo salì a tal punto che potevano permetterseli soltanto i nobili. Pare che fosse il legume pre- diletto dal Re Sole, il quale lo preferiva fresco. La moda dei piselli freschi si diffuse ra- pidamente, in tutta l’aristocrazia francese; i cuochi di corte e di palazzo cominciarono

96 Mario Liberto a elaborare raffinate ricette a base o con contorno di piselli. Ad accrescere la fama del pisello oltre alla ricerca dell’abate boemo Gregor Mendel (1822-1884) ha contribuito la celebre fiaba dello scrittore danese Hans Christian Andersen: “La principessa sul pisello”. Nel corso del XX secolo, nei paesi occidentali (Europa, America del Nord), grazie alle tecniche di coltivazione intensiva e di raccolta meccanizzata, si assiste alla in- dustrializzazione della produzione dei piselli, ulteriormente stimolata dallo sviluppo della industria conserviera e della surgelazione.

Aspetti nutrizionali Ciò che distingue i piselli dagli altri legumi è la generosa quantità d’acqua: infatti il loro contenuto idrico, assai maggiore, è variabile dal 72 all’80%, mentre i carboi- drati sono veramente oltre la media di altre verdure (6-7%) e forniscono inoltre una modesta quantità di energie 80 kcal ogni 100 g. Una porzione di 150 grammi di pi- selli fornisce 9 grammi di proteine, il 12-16% della dose giornaliera raccomandata. La qualità di queste proteine non è elevata, soprattutto perché sono sprovvisti di un aminoacido, la metionina. Notevole è anche il contenuto in glucidi (64,3%) e di ferro, e sono ricchissimi di amido e fibre (utili per limitare l’assorbimento dei grassi e zuccheri). Discreto è il contenuto in vitamina A, vitamine B1, B2, B3, B5, B6, vitamina C, E, K e J B1 e in niacina. Le vitamine del gruppo B, contribuiscono a mantenere in salute il sistema nervoso: “la presenza dei folati – specifica la dottoressa Francesca Evangelisti – oltre a prevenire depressione e cattivo umore, rende i piselli un alimento utile in gravidanza, indicati anche durante l’allattamento. Preziosi anche durante la menopausa poiché la presenza di fitoestrogeni allevia la sintomatologia tipica di questa condizione fisiolo- gica”63. I fitoestrogeni sono sostanze simili agli estrogeni (ormoni sessuali femminili), che fanno diminuire le famose vampate di calore, irascibilità, i mal di testa e tutti gli altri sintomi legati appunto alla menopausa, di solito si prendono in una terapia or- monale sostitutiva. La salute di occhi e vista beneficia dell’apporto di vitamina A, mentre è interessante ricordare, che le proteine contenute nei piselli aiutano ad aumentare il tono muscola- re: “spesso infatti vengono utilizzate per preparare proteine in polvere e integratori”64. I piselli freschi contengono fibre, acido folico e carotenoidi; hanno in particolare l’al- fa-carotene che produce un’azione molto efficace nella prevenzione dei tumori. Con- tengono anche fitosteroli composti che entrano in competizione con il colesterolo limitandone l’assorbimento nell’intestino. Analogo discorso per i lipidi, che non ab- bondano certo nei piselli (solo lo 0,6%): a rigor di logica, questi legumi rientrano tra gli alimenti ipocalorici (52Kcal/100 grammi di piselli). Questi Lipidi sono composti

63. Francesca Evangelisti, “I Piselli: una verdura preziosa per mantenere in salute cuore e sistema nervoso”, www.ilgiornaledelcibo.it, www.ilgiornaledelcibo.it/proprieta-piselli-benefici/ 64. Idem.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 97 per il 44% da acidi grassi saturi, prevalentemente Acido Palmitico (Acido Esadeca- noico) e per il resto di acidi grassi insaturi. Per questo è consigliabile mangiare i piselli insieme ai cereali, che sono al contrario ricchi di metionina. Grazie al contenuto di potassio e magnesio, nonché alla capacità, che hanno la ca- pacità di ridurre i livelli di colesterolo “cattivo”, i piselli sono utili anche per la salute del cuore e del sistema circolatorio. I piselli sono una miniera di acido folico, vitamina che, come sappiamo, è indispensabile sia per il corretto sviluppo del feto (per evita- re malformazioni gravi quali ad esempio la spina bifida), sia per prevenire patologie cardiovascolari. Infatti, “Contribuiscono alla prevenzione delle patologie cardiache, anche in virtù dell’acido folico e della vitamina B6 che, nello specifico, agiscono da anticoagulanti65”. Gli amminoacidi presenti sono: acido aspartico e glutammico, ala- nina, arginina, cistina, glicina, isoleucina, leucina, lisina, prolina, serina, tirosina, tre- onina, triptofano e valina. Il loro gradevole sapore dolciastro deriva da un alto tasso di zuccheri semplici, oltre che dalla mancanza dei principi dal sapore amaro, normalmente presenti negli altri le- gumi; al contrario di questi ultimi, essi diventano amari quando vengono essiccati, in quanto passano da un tenore di zuccheri più alto (6,5 g%), a uno più basso (2,9 mg%). I piselli contengono molta dopamina, per cui sono indicati nel trattamento del morbo di Parkinson; a questo scopo, è necessario che vengano consumati freschi, in quanto il processo industriale di surgelazione richiede l’aggiunta di additivi e antimi- cotici66. Le fibre rappresentano circa il 4-6% del peso complessivo del pisello. I piselli secchi in particolare sono molto ricchi di fibre, potassio (990 mcg) e tiami- na. Anche la quantità di proteine e di glucidi non è molto elevata se rapportata agli altri legumi: infatti i piselli ne contengono, rispettivamente, circa il 5,5 ed il 6,5%.

Le varietà Oggi vengono coltivati oltre 250 tipi di piselli che derivano tutti dal progenitore Pisum elatius, assai diverso nella morfologia della pianta e con semi nerastri. Gene- ralmente le varietà destinate all’essiccamento sono nane o seminane e permettono la meccanizzazione della raccolta; per il prodotto destinato al consumo fresco vengono utilizzate piante rampicanti, e la raccolta avviene a mano (ripetuta, a causa della ma- turazione scalare). Le varietà di piselli proteici o proteaginosi sono a seme liscio, di colore verde o giallo, di grosso calibro, a fiori bianchi, senza tannini, aventi un tasso elevato di proteine e una debole attività antitripsinica. Esistono diverse varietà di pi- sello, con caratteristiche diverse. Ad esempio, la varietà macrocarpon, detta “pisello mangiatutto”, conosciuto anche come taccola, di cui si mangia anche il baccello, in

65. Arcadi, D’Eugenio, Aufiero, Op. Cit. 66. Francesca Evangelisti, “I Piselli: una verdura preziosa per mantenere in salute cuore e sistema nervoso”, www.ilgiornaledelcibo.it, Art. Cit.

98 Mario Liberto quanto i semi rimangono allo stato embrionale.

Guida all’acquisto I piselli possono essere acquistati freschi, congelati o in scatola. In primavera possia- mo gustare i piselli freschi di stagione, mentre durante il resto dell’anno ricorriamo a quelli congelati. I piselli sono contenuti in un baccello, che dovrà essere aperto e svuo- tato prima di procedere alla preparazione vera e propria di questi deliziosi legumi. È consigliabile acquistare baccelli verdi e abbastanza luminosi; evitare l’acquisto di baccelli macchiati o raggrinziti di colore giallognolo, inoltre è consigliabile non sbuc- ciarli molto tempo prima di essere consumati. I piselli sono reperibili freschi nei mesi di maggio e giugno. Quelli secchi richiedo- no un periodo di ammollo prima di essere cucinati, quelli surgelati necessitano della medesima modalità di cottura di quelli freschi ed hanno un sapore pressoché identi- co, mentre quelli in scatola sono già pronti al consumo. È consigliato prediligere il consumo nel periodo di raccolta, poiché, quelli surgelati hanno meno vitamina C e meno acqua. Un pregio dei piselli freschi è anche quello di essere un ottimo piatto estivo.

Conservazione dei piselli Riponete i piselli in frigorifero al più presto per ritardare la trasformazione degli zuccheri in amido. In un recipiente non ermetico o in un sacchetto bucherellato si conserveranno per 4-5 giorni. I piselli tollerano bene la congelazione, previa sbollenta- tura di 1-2 min. I piselli in barattolo, invece, sono controindicati nei soggetti diabetici, in quanto vengono addizionati con zuccheri per garantirne la sterilità… Prima di sgusciarli, sciacquarli brevemente in acqua fresca, poi spezzare la cima e tirare il filo che corre lungo la fenditura del baccello (che non tutte le varietà presenta- no) ed estrarre i piselli, che non dovranno necessariamente essere lavati67.

Il pisello in cucina Le zuppe e le minestre di piselli sono più gradite, se consumate tiepide o anche fredde. I piselli, per il loro successo alimentare, sono stati oggetto delle prime speri- mentazioni delle tecniche di conservazione industriale, in particolare la surgelazione. I piselli secchi, si cucinano come gli altri legumi dopo un ammollo in acqua fredda. Anche i piselli, come tutti gli altri legumi, possono essere passati e trasformati in pu- rea, ma in questo modo si riduce la fibra alimentare; si sposano bene con il pollo, con la carne saltata in padella, il lardo e in minestra. Esistono oltre 1.000 varietà di piselli, fra cui si distinguono i piselli da sgusciare e i piselli detti “mangiatutto”. Fra i primi troviamo piselli lisci e piselli rugosi: quelli lisci crescono meglio nei climi freddi, sono più farinosi e si prestano bene alla congelazio-

67. AA.VV. “Il Grande libro degli alimenti”, Ed. Giunti, Firenze, 2014, pag. 156, 157.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 99 ne, mentre i piselli rugosi sono più zuccherini e adatti alla conservazione in scatola. I mangiatutto (“piseddi pi pasta” in Sicilia) sono venduti freschi. Occorre sceglierli non troppo grossi e con il baccello sodo, croccante e intatto, di un bel verde brillante. Evitare baccelli molli, raggrinziti, ingialliti o macchiati. I piselli verdi freschi possono essere cotti in acqua bollente o al burro, uniti a carote o punte d’asparagi. Sono indi- spensabili nella frittella palermitana insieme a fave, carciofi e uova, nella preparazione delle arancine al ragù, nella pasta salsiccia e piselli e nella sicilianissima pasta al forno e in numerosi contorni o frittate con le uova. Accompagnano bene pasta, riso, carne e volatili e si possono usare per zuppe o vellutate. Sono gustosi in insalata, con altre verdure o ancora con il riso o la pasta. I mangiatutto sono eccellenti sia crudi sia cotti; si utilizzano come i fagioli, che possono sostituire in gran parte delle ricette. Crudi, si gustano in insalata e come an- tipasto; cotti, si preparano come i piselli freschi. La cottura dei piselli dovrebbe essere breve al fine di limitare la perdita di colore e sapore. Prevedere 10-15 minuti, a secon- da delle dimensioni, per la cottura in acqua dei piselli freschi.

Piselli e cosmesi Sono idratanti, cicatrizzanti, emollienti. Se amate i prodotti di bellezza fai da te, provate ad impiegarli nella preparazione di una maschera ai piselli, perfetta per mani e viso. La pelle nel tempo, a causa della minore produzione di estrogeni (fino a 75% in meno) diventa più sottile, più secca e sensibile, ha bisogno di creme che aumentino la sua consistenza e diminuiscano la profondità delle rughe. Una crema naturale può essere ottenuta attraverso l’estratto di piselli ricco di fitormoni, di minerali (sodio, potassio, magnesio, calcio), di vitamine E, K e del gruppo B e anche di proteine. Assi- cura la corretta idratazione e migliora l’elasticità della pelle. I piselli contengono anche lo zinco che assorbe il sebo in eccesso, aiuta a mantenere l’equilibrio acido-base della pelle e favorisce i processi di rigenerazione. Un’altra maschera, nutriente e emolliente, realizzabile con i piselli è la seguente. “Sgusciate e lessate una ventina di baccelli di piselli. Una volta intiepiditi, schiacciateli con una forchetta, e amalgamate con un cucchiaio di yogurt bianco al naturale. Spal- mate il composto sul viso e tenetelo in posa per circa 10 minuti, quindi risciacquate con acqua tiepida”68. Ed ancora una maschera ai piselli lenitiva. “Procedete come in precedenza, ma al posto dello yogurt mescolate ai legumi della farina di avena oppu- re dell’amido di riso. Questi due ingredienti leniscono le irritazioni, mentre i piselli nutrono e rendono la pelle morbida. Applicate sul viso oppure sulle mani per una decina di minuti, quindi risciacquate”69. Andrea Busalacchi descrive una maschera ai baccelli di pisello. “Anche i baccelli

68. “Maschera ai piselli, la bellezza in un legume”, www.stile.it, www.stile.it/2018/04/25/masche- ra-ai-piselli-bellezza-id-185637/ 69. Idem.

100 Mario Liberto dei piselli sono ottimi da impiegare, sia in cucina che in cosmesi. Potete farlo quando preparate i legumi per cena, e invece di gettare i baccelli li potete trasformare in ingre- dienti cosmetici. In questo caso, vogliamo impiegare tutta la clorofilla (anti-aging) e le vitamine del baccello verde, quindi invece di cuocerlo lo centrifugheremo. Il succo che ne uscirà, anche se non sarà molto si potrà addensare con un cucchiaio di miele, per ottenere una applicazione ipernutriente ed elasticizzante. Inoltre, i piselli hanno un ottimo potere cicatrizzante, e lo stesso vale per il miele”. Ed ora la ricetta di una maschera purificante ai piselli “I soliti piselli lessati e schiacciati, si possono mescolare col succo di un limone spremuto. Il composto che otterrete lo spalmerete sul viso aiutandovi con un dischetto di cotone. La pelle risulterà pulita, i pori chiusi, e il viso splendidamente profumato”70.

70. www.erboresteriailfalcodoro.it

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 101

CAPITOLO XIII CECI (CICER ARIETINUM)

Introduzione Il Cicer arietinum appartiene alla famiglia delle Fabaceae; si tratta di una pianta annuale con steli che non superano gli 80 centimetri, ma con radici che possono dira- marsi nel terreno fino a due metri di profondità. I semi, contenuti nei baccelli, sono commestibili, e sono i legumi noti come ceci. Il frutto è un piccolo legume ricoperto di una fine peluria, contenente due o tre semi tondeggianti, duri, di colore giallo crema e dalla superficie liscia o grinzosa; han- no un contenuto proteico lievemente inferiore a quello delle lenticchie e dei fagioli secchi, ma sono leggermente più ricchi in grassi, il che ne eleva il valore energetico e conferisce loro una consistenza più morbida.

Importanza economica È la terza leguminosa per importanza di coltivazione nel mondo, e segue la soia e i fagioli. Il cece è una pianta annuale. I ceci vengono immagazzinati e conservati, sen- za particolari accorgimenti in virtù del fatto che essendo presente pochissima acqua non c’è modo per i microrganismi di poter proliferare; nonostante ciò, alcuni parassiti attaccano i ceci in magazzino, parassiti contro i quali vengono prese opportune pre- cauzioni71. I principali paesi produttori mondiali sono l’India e la Turchia, che da soli assicu- rano oltre i tre quarti della produzione mondiale, seguiti da Pakistan, Cina, Messico, Etiopia. In Italia la superficie coltivata si attesta sui 10.000 ettari con una resa di poco

71. www.erboresteriailfalcodoro.it

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 103 più di 10 q/ha, dislocata per il 61% circa nell’Italia meridionale e per il 33% nelle Isole. Per far fronte al fabbisogno nazionale si fa ricorso all’ importazione. Infine, relativamente al volume di ceci raccolti si è avuta una crescita del 28% (da 13.072 a 16.761 tonnellate, corrispondenti a +24% delle superfici, da 9.037 a 11.167 ettari). (Dati Ismea 2016)

Storia I semi di cece trovati in alcuni scavi ad Hacilar in Turchia, risalgono a 5.000 anni a.C., mentre, quelli riscontrati in Iraq riguardano l’età del Bronzo (3.300 a.C.). In Egitto alcuni documenti registrano la presenza del cece nella valle del Nilo tra il 1.580 ed il 1.100 a.C. La specie spontanea che più delle altre può essere ritenuta per ora il parente origi- nario del cece sembra il Cicer echinospermum che vive nella foresta-parco di querce e nelle formazioni simili nella steppa della Turchia sud-orientale, quindi sempre nella fascia della Mezzaluna Fertile, anche se il seme della specie spontanea presenta un aspetto notevolmente echinato, quindi abbastanza diverso da quello coltivato. Il cece è un legume tra i più antichi conosciuti. Sembra sia originato da due diverse specie spontanee (C. echinospermum e C. reticulatum) del sud-est della Turchia. Secondo Vavilov le aree di origine o centri di diversificazione del cece sarebbero da identificare nell’Asia di sud-ovest e nel Mediterraneo; l’Etiopia sarebbe da considerare come un centro secondario di diversificazione72. Ai tempi di Omero in Grecia era chiamato Erébintos o anche Krios con riferimento alla testa d’ariete. Il termine Cicer qualcuno lo fa derivare anche dal greco kikus che significa forza, potenza; con ogni probabilità ciò è da ascrivere alle proprietà afrodisia- che, e al grande potere nutritivo, attribuiti al legume. I Romani lo facevano derivare dalla parola latina aries, ariete, che richiama la forma del seme. Il nome arietinum è usato per primo da Columella, poi da Plinio e ripreso da Linneo nelle sue classifica- zioni botaniche73. Questo umile legume ha dato il cognomen ad uno dei più illustri cittadini romani del primo secolo avanti Cristo, Marcus Tullius Cicero. Cicerone era così chiamato per un’escrescenza sul naso di un suo antenato, che ricordava nella for- ma un cece, in latino cicer. Popolarissimi erano i ceci che si sgranocchiavano, di solito tostati, come noi mangiamo le patatine o i popcorn, nei teatri o andando a passeggio, o anche durante i banchetti per stimolare la sete e rendere più gradito il vino. Il cece è legato a un episodio sanguinoso della storia siciliana: i Vespri siciliani. La rivolta di Palermo del 1282, che vide la fine del dominio angioino in Sicilia, consa- crò per breve tempo la parola ciciri (ceci) come discriminante tra la vita e la morte: i francesi, infatti, erano incapaci di pronunciarla senza accentare la i finale e i siciliani,

72. AA.VV. “Il Grande libro degli alimenti”, Ed. Giunti, Firenze, 2014, pag. 158, 159. 73. Anna Ferrari, “La cucina degli Dei, Miti e ricette dall’antica Grecia alla Roma imperiale”, Editori Blu, Torino, 2014. Pag. 43, 44.

104 Mario Liberto ansiosi di sterminarli, costringevano le persone sospettate di essere francesi travestiti a pronunciarla: chi diceva cicerì veniva ucciso.

Aspetti nutrizionali Il cece è ricco di elementi nutritivi, soprattutto carboidrati e fibra 63%, mentre il valore proteico si aggira tra il 20-25%; è inoltre ricco di calcio, magnesio, fosforo, ferro, vitamine C, E, B1, B2, B3 e amminoacidi essenziali come la tiamina, la riboflavina ed il triptofano. La presenza di composti indesiderati, quali polifenoli, fitati, inibitori di tripsina, nonché fattori della flatulenza, ne limita tuttavia l’utilizzazione. Contengo- no inoltre rame, zinco e vitamina A; sono presenti anche acido folico, beta-carotene, fosforo e potassio e antiossidanti, in particolare saponine e isoflavoni. Hanno inoltre un alto contenuto di ferro (6,1 mcg per 100 grammi di prodotto), superiore alle len- ticchie. Per migliorare l’assorbimento del ferro, è bene inserire nel pasto una fonte di vitamina C, per esempio, il peperoncino sulla minestra di ceci. Come per gli altri legumi, il contenuto in fibra totale è abbastanza elevato (13- 14%), con una buona percentuale di componente insolubile, per cui i ceci risultano alimenti interessanti anche per i soggetti diabetici. Come altri legumi, hanno la pro- prietà di ridurre il colesterolo nel sangue; l’azione sarebbe dovuta alle fibre solubili e alle saponine, antiossidanti che si legano al colesterolo nell’intestino limitandone l’assorbimento. Il consumo di ceci riduce anche il rischio di cancro poiché la presenza delle fibre migliora il transito intestinale, ha un ruolo preventivo sul cancro del colon e il loro apporto di magnesio è benefico per la circolazione cardiaca e per ridurre il rischio di infarto. Le motivazioni di questi effetti benefici dei ceci sono da ricondursi alla buona pre- senza in questi legumi di magnesio e di folato. Quest’ultimo infatti sembra avere la proprietà di abbassare i livelli di un amminoacido, l’omocisteina, che, quando presen- te in quantità eccessiva nel sangue, aumenta la possibilità di infarto e di ictus. Un’altra sostanza presente nei ceci che concorre a ridurre il colesterolo LDL è la lecitina che, insieme agli acidi grassi polinsaturi, è il principale antagonista del colesterolo cattivo. I ceci contengono anche acidi grassi insaturi, meglio conosciuti come Omega 3 che, oltre a prevenire gli stati di depressione, hanno la proprietà di abbassare i trigliceridi e soprattutto sono in grado di apportare benefici al ritmo cardiaco evitando così l’in- sorgere di aritmie al cuore. La presenza di colina nei ceci invece apporta benefici al fegato dal punto di vista della prevenzione o del trattamento di alcune patologie come la cirrosi, l’epatite o il tumore. In virtù del particolare rapporto quantitativo tra potassio e sodio (potassio 881 mg per 100 grammi, sodio 6 mg per 100 grammi), i ceci non inibiscono la diuresi e, addirittura, facilitano l’eliminazione di acido urico e cloruri dal circolo renale (Cazin e Ledere); quindi, esplicano un’azione drenante nei pazienti che hanno renella o in quelli affetti da litiasi urinaria. Inoltre, sembrano avere una blanda azione disinfettan-

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 105 te delle vie urinarie e della vescica74. Per il loro tenore in tiamina, niacina e riboflavina, i ceci sono particolarmente indi- cati per i disturbi e le patologie degenerative del sistema nervoso, per le malattie della pelle, per le disfunzioni della vista, per i deficit di memoria. Per queste proprietà, e per la ricchezza in calcio e ferro, sono molto utili nelle donne in gravidanza e in menopau- sa, in tutti gli organismi in accrescimento, nelle astenie dopo malattie debilitanti e, per l’elevata quantità di fibre, nel trattamento della stipsi75. Oltre a essere ricchi di amido, vitamine e acidi grassi (acido linoleico), i ceci con- tengono anche saponine, sostanze che aiutano a eliminare trigliceridi e colesterolo dall’intestino76. I ceci non contengono glutine e sono quindi indicati anche per chi soffre di celia- chia.

Le varietà Si distinguono principalmente due varietà di ceci: la mediterranea, più grande e tendente al giallo, e l’orientale, più piccola e con una colorazione rossastra. In molte regioni si trovano varietà locali come i ceci del solco dritto di Valentano, nell’Alta Tu- scia viterbese, quelli di Cicerale nel Cilento, o i rari ceci neri delle Murge, tra Puglia e Basilicata. Il cece nero è una varietà molto particolare, differente da quella comune e quasi scomparsa, che ha interessanti caratteristiche nutrizionali; questa varietà pre- senta un più alto valore proteico e una migliore digeribilità. In Sicilia troviamo le varietà Pascià, Sultano, il cece rosso di Ciminna e una varietà di cece bianco.

Guida all’acquisto I ceci si raccolgono tra giugno e luglio (dopo circa 5 mesi dalla semina), quando la pianta è ingiallita e i legumi sono secchi. I ceci vengono venduti solo essiccati, sciolti o confezionati. Al momento dell’acquisto vale la pena di guardare la data di produzione (se riportata) o quella di scadenza perché i semi vecchi richiedono ammolli e cotture prolungate, più invecchiano più le loro bucce saranno dure. Inoltre i ceci si trovano in commercio precotti, in latta o in vetro, e anche sotto forma di farina di ceci usata per preparare salse, torte salate (come la farinata) o anche dolci golosi.

Conservazione Come detto, i ceci si conservano anche per 14-18 mesi senza particolari problemi in contenitori di vetro, chiusi per evitare l’entrata di eventuali parassiti. I ceci secchi pos-

74. (Valnet). 75. (Arcadi, D’Eugenio, Aufiero). 76. “I legumi alleati della prevenzione”, www.riza.it, www.riza.it/dieta-e-salute/cibo/3089/i-legu- mi-alleati-della-prevenzione.html

106 Mario Liberto sono essere conservati in dispensa, al riparo dalla luce, dall’umidità e dal calore. I ceci possono essere conservati lessati, in dispensa in barattoli di vetro posti sotto- vuoto. È necessario sterilizzare i barattoli di vetro e i loro coperchi. Dopo aver proce- duto a sbollentare i tappi e i barattoli di vetro per 20-30 minuti, sarà necessario lasciarli raffreddare nell’acqua. Una volta trascorso questo tempo, sarà necessario scolare i va- setti freddi e asciugarli con un panno pulito. Trasferite i legumi appena cotti al dente con la loro acqua di cottura nei barattoli sterilizzati che avete disposto precedentemente. I barattoli vanno chiusi ermeticamente, quindi, disponeteli in una grande pentola in acciaio in modo che non urtino tra loro durante il bollore. Versate l’acqua all’inter- no della pentola fino a sommergere le conserve, portate a bollore e cuocete i vasetti per 20-30 minuti; spegnete e lasciate raffreddare i barattoli all’interno della pentola. Quan- do i vasetti e l’acqua saranno freddi, scolateli, asciugateli, etichettateli e conservateli in dispensa. Consumate i vostri ceci al naturale entro 6-8 mesi dalla loro preparazione.

I ceci in cucina I ceci sono tra i legumi più gustosi e versatili. Sono ottimi per preparare insalate fresche, vellutate, zuppe e minestre, ma anche salse gustose come l’hummus, ma an- che burger vegetali e falafel, delle speciali crocchette a base di questo ingrediente. Il seme viene impiegato in cucina allo stato secco, e se ne possono ricavare anche delle farine. La versatilità del cece è dimostrata dai molteplici usi che se ne possono fare. Le cime verdi della pianta si possono consumare lessate mentre dalle foglie si ottengono decotti rinfrescanti. I semi essiccati possono essere tostati per ottenere del surrogato di caffè, oppure si possono ridurre in farina, la quale si può unire alla farina d’orzo per ottenere la cosid- detta farinella. La farina di cece mescolata con altre farine è utilizzata per la preparazione di alimen- ti bilanciati, ossia la mescolanza permette di aumentare il valore biologico del cece. Tra le ricette mediterranee che hanno un successo gastronomico è l’hummus, un famoso piatto ebraico a base di ceci schiacciati e mischiati con pasta di semi di sesamo, aglio, spezie, limone e olio. Altra ricetta mediorientale ebraica è quella dei falafel, polpettine che possono esse- re realizzate con vari tipi di legumi, tra cui i ceci. Tra le ricette italiane, oltre a panelle, cecina e altri piatti tipici regionali, quella forse più tradizionale è la pasta e ceci, come quella romana, ma in realtà ogni regione ha il suo modo di coniugare la pasta con questi e altri legumi. I ceci vanno messi a bagno 12-16 ore prima di cuocerli; si possono anche tenere in ammollo per un’intera notte. Prima di utilizzarli è consigliabile lavarli più volte, poiché è possibile trovare residui di sostanze tossiche come la purina che favorisce la

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 107 comparsa di acido urico nel sangue. La cottura dei ceci deve cominciare in acqua fredda non salata affinché i ceci pos- sano conservare la loro tenerezza, e poi continuare con una lentissima bollitura, per evitare che risultino duri una volta pronti e che perdano le loro proprietà nutritive. Il sale e altri condimenti vanno aggiunti al termine della cottura dei legumi: ag- giungere ingredienti acidi come il pomodoro, durante la lessatura, allunga i tempi di cottura dei ceci rendendo la pelle esterna più dura. I ceci possono essere cucinati nella pentola a pressione con tutte le dovute precau- zioni. I ceci lessati o in scatola si prestano per numerose preparazioni veloci in padella, per essere gustati come contorno a piatti di carne o di pesce oppure per condire la pasta.

Ceci in giro per l’Italia In Italia la farina di cece contribuisce ad ottenere dei piatti alquanto singolari, come ad esempio, la cecina, oppure le panelle a Palermo, o ancora la farinata in Piemon- te. Un piatto antichissimo delle Marche di cui sono protagonisti anche le cicerchie bianche, le lenticchie e la salsa piccante è il “ciavarro”, una specialità basata su una serie infinita di legumi e di odori. Inoltre nelle Marche è ancora facile acquistare ceci fritti sulle bancarelle: usanza che risale ai Romani, come testimonia il poeta Orazio (I secolo a. C.). In Sicilia da una sfoglia sottile di una pasta di acqua e farina di ceci, si diede vita, alcuni secoli fa, alla prima “panella”: una sorta di “schiacciata” di piccole dimensioni, di un bel colore dorato, fritta in olio di oliva. Il detto: “pari ‘na paniella” (sembra una panella) è appunto riferito ad oggetti che hanno avuto la malasorte di trovarsi schiac- ciati sotto pesi eccessivi. Molto apprezzata, soprattutto in passato, era anche la papitacciò (o pappitacciò), una polenta di farina di ceci nota anche come cicirata termine col quale, in alcune località dell’Isola, si indica anche una torta di farina di ceci e un torrone a base di ceci e miele. Ceci lessati, pestati e mescolati con miele, zucchero e vino cotto, costituiscono il ripieno di li cassateddi, tipici dolci siciliani a forma di raviolo, i migliori dei quali si possono gustare a Partinico (Pa) e a Lascari (Pa). Della cucina siciliana fa parte anche ‘u pitirri, un’antica polenta preparata con farina di ceci, acqua, sale, olio che può esse- re arricchita con cavoli o finocchietti se si vuole una particolare sfumatura del gusto. Un piatto molto simile è il patitacò a base di farina di ceci, piatto molto antico e preli- bato, di derivazione araba, diffuso nel catanese. In tutta Italia si rinvengono questi riscontri gastronomici con piatti molto simili dai nomi storpiati, che si aggrovigliano nella complicanza ed eterogeneità dei vari ter- ritori. Ma si tratta pur sempre di farinate a base di ceci. La farinata di ceci, molto simile al pitirri siciliano addensato, è conosciuta anche nella regione ligure con il nome di torta (salata) di ceci o cecìna in Toscana, preparata con farina di ceci, acqua, sale e olio

108 Mario Liberto di oliva. Si cuoce in forno a legna, in teglia, e assume con la cottura un vivace colore dorato. Una tradizione, questa, che trova un punto di contatto tra la cultura latina e quella greca. È un fatto che diverse ricette riportano sformati di purea di legumi cotti in forno. Wikipedia, riporta a tal riguardo una leggenda. Pare che la torta salata di ceci ligure sia nata per casualità: “Nel 1284, quando Genova sconfisse Pisa nella battaglia della Meloria. Le galee genovesi, cariche di vogatori prigionieri si trovarono coinvolte in una tempesta. Nel trambusto alcuni barilotti d’olio e dei sacchi di ceci si rovescia- rono, inzuppandosi di acqua salata. Poiché le provviste erano quelle che erano e non c’era molto da scegliere, si recuperò il possibile e ai marinai vennero date scodelle di una purea informe di ceci e olio. Nel tentativo di rendere meno peggio la cosa, alcune scodelle vennero lasciate al sole, che asciugò il composto in una specie di frittella. Ri- entrati a terra i genovesi pensarono di migliorare la scoperta improvvisata, cuocendo la purea in forno. Il risultato piacque e, per scherno agli sconfitti, quella conosciuta ora come farinata, venne chiamata l’oro di Pisa”. Questo piatto è molto simile alla socca di Nizza a base di farina di ceci. Nell’area di Tolone, invece, ultima zona ove questa specialità s’è diffusa, prende il nome di cade. Quest’umile piatto della tradizione è presente in quasi tutte le regioni italiane. A Genova è noto come fainâ de çeixai, mentre nel savonese è chiamata turtellassu. In Toscana (in particolare in Versilia e nel Pisano) viene prodotta col nome di cecìna; i pisani, per questo piatto, hanno chiesto alla Comunità europea la denominazione di origine protetta (DOP); nel livornese viene detta torta di ceci e nella parte costiera del- la provincia di Massa Carrara viene chiamata calda calda. In Lunigiana e Garfagnana viene denominata farinata come in Liguria. In Piemonte, dall’alessandrino all’astigia- no fino al torinese è stata introdotta dai commerci tra Genova e la pianura Padana ed è conosciuta come belecauda, mentre è tipica della cucina dell’Oltregiogo, subregione della provincia di Alessandria legata amministrativamente fino al 1859 alla Liguria. In Sardegna, dove fu portata dai genovesi, prende il nome di fainè ed è diffusa prin- cipalmente nel sassarese. Col nome di fainò è invece nota a Carloforte, dove si vende nelle numerose pizzerie al taglio (i cosiddetti tascélli). In Corsica, è un piatto tipico di Bonifacio, dove fu portata dai genovesi. A Gibilterra nei primi decenni del XVIII secolo fu introdotta dalla folta colonia genovese che popolò il territorio. Tuttora dif- fusissima, è nota col nome di calentita ed è considerata un piatto tipico della località. Nel Marocco settentrionale, retaggio del patrimonio cultural sefardita, esiste una va- riante della farinata chiamata caliente o calentita (il nome varia a seconda della zona) i cui ingredienti base sono: farina di ceci, acqua, olio, sale e uova.

Ceci e cosmesi La farina di ceci può rappresentare un valido aiuto nella preparazione di trattamen- ti cosmetici e detergenti per prendersi cura della pelle del viso, del corpo e dei capelli

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 109 in maniera completamente naturale, rispettosa dell’ambiente ed economica. La farina di ceci, a contatto con l’acqua, sprigiona delle saponine naturali, che permettono la formazione di un composto detergente molto delicato e completamente ecologico. Lo shampoo alla farina di ceci deve essere preparato al momento semplicemente ag- giungendo a due o più cucchiai di farina, a seconda della lunghezza dei capelli, la quantità d’acqua necessaria ad ottenere un composto piuttosto denso, viscoso come uno shampoo. È necessario mescolare evitando la formazione di grumi. Esso deve es- sere massaggiato sulla cute e sui capelli umidi e lasciato agire alcuni minuti prima di essere risciacquato accuratamente con acqua tiepida. Seguendo il medesimo proce- dimento impiegato per la preparazione dello shampoo alla farina di ceci, è possibile preparare un composto, che verrà lasciato leggermente più denso rispetto al caso dello shampoo, adatto ad essere massaggiato sul corpo. Mescolate farina di ceci e acqua tiepida fino ad ottenere una pastella densa come una crema. Il detergente per il corpo deve essere preparato al momento e può essere arricchito aggiungendo poche gocce di olio essenziale diluite in mezzo cucchiaino di un olio vegetale a scelta, in modo da ottenere un effetto profumato. Una maschera purificante per il viso a base di farina di ceci può essere ottenuta seguendo il medesimo processo di lavorazione utilizzato per la preparazione del detergente per il corpo. Ciò significa che a due o tre cucchiai di farina di ceci dovrà essere aggiunta la quantità di acqua tiepida necessaria ad otte- nere un composto cremoso. Ad esso andrà unito in seguito un cucchiaino di succo di limone. La maschera deve essere applicata sul viso e lasciata agire per dieci minuti prima di risciacquare77. È possibile realizzare anche uno scrub esfoliante naturale mescolando tre cucchiai di farina di ceci, tre cucchiai di zucchero di canna e tre cucchiai di mandorle tritate o di farina di mandorle. A questo punto è possibile aggiungere un cucchiaio di olio vegetale a scelta e la quantità d’acqua necessaria ad ottenere un composto che sia pos- sibile strofinare sulla pelle del corpo con le mani.

77. www.greenme.it

110 Mario Liberto CAPITOLO XIV FAGIOLO (PHASEOLUS VULGARIS)

Introduzione Il fagiolo, Phaseolus vulgaris, è una delle piante in assoluto più diffuse in Italia. Si tratta di una pianta appartenente al genere Phaseolus, della famiglia delle Fabacee o Leguminose, pianta erbacea che conta oltre 500 varietà. Il fagiolo è una pianta autoga- ma, ossia si feconda da sola, ragione per cui, le piante-figlio sono un po’ diverse dalla pianta-madre, ma i caratteri si fissano sempre di più. È per questo motivo che i fagioli hanno colori, sapori, forme e dimensioni così diverse tra loro, pur appartenendo alla stessa specie. Ogni lembo di terra del globo conserva almeno una varietà di fagiolo. E ogni varietà di fagiolo è legato a un piatto territoriale. “Ogni varietà è indicata per una diversa ricet- ta e il fagiolo è senza dubbio uno degli alimenti che permettono più fantasia in cucina. È talmente presente da far parte della cultura popolare, a vari livelli: dalle favole con protagoniste piante di fagioli magici, ai titoli dei film come “Anche gli angeli mangia- no fagioli”; senza contare la vecchia tradizione di usare i fagioli secchi per coprire le caselle della tombola, un ricordo natalizio comune a tantissime famiglie italiane78”.

Importanza economica I Paesi maggiori produttori sono: Brasile, Stati Uniti, Messico e India con super- fici e produzioni per ettaro molto variabili. Ad oggi vengono prodotti 18 milioni di

78. “Fagioli: proprietà, valori nutrizionali, calorie”, www.cure-naturali.it, www.cure-naturali.it/ fagioli/1546

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 111 tonnellate di fagioli nel mondo, che lo rendono il secondo legume per importanza mondiale dopo la soia. In Italia, a fronte di un incremento del 21% delle superfici coltivate (da 4.852 a 5.870) si è osservato un aumento dei rendimenti dell’11% (da 11.032 a 12.215 tonnel- late). (Dati Ismea, 2016)

Storia Le varietà di fagioli coltivati in tutti i continenti sono originari dell’Africa subsaha- riana e dell’America centrale. Agli originari dell’Africa subsahariana appartengono le varietà Vigna sinensis (o unguiculata), quelli che oggi chiamiamo “fagioli dall’occhio”, i quali, in sella a predo- ni e mercanti, arrivarono in Egitto per poi espandersi in tutto il Mediterraneo. Le varietà originarie dell’America Centrale sbarcarono invece nel nostro continente con le galee di Cristoforo Colombo, dopo la scoperta dell’America. Furono introdot- te nuove varietà tra le quali i borlotti, i cannellini e tutti gli altri innumerevoli tipi che conosciamo oggi. I fagioli dall’occhio sono noti fin dalla notte dei tempi; gli Egizi li offrivano alle loro divinità (il solo Ramses III ne donò al dio Nilo ben 11.998 giare), e anche i Greci li consumavano come si legge in una commedia di Aristofane nella quale il vignaiolo Trigeo ordina alla moglie di abbrustolirne tre misure da offrire agli uomini che lavora- no le sue viti. La prima ricetta con i fagioli come protagonisti la dobbiamo ai Romani, per l’esattezza al famoso Marco Gavio Apicio, patrizio del I secolo d.C., che nel De re coquinaria li propone fritti e conditi con pepe o acconciati in tegame con finocchio verde e sapa, un mosto cotto piuttosto , antesignano dell’attuale aceto balsa- mico79. Lo stesso successo si poteva ottenere, anche con i fagioli provenienti dall’America, a loro volta cucinati in saporite zuppe. Il fagiolo greco o romano era però diverso da quello che noi conosciamo importato dalle Americhe: i fagioli degli antichi erano semi di leguminosa provenienti dall’Africa e appartenenti ai generi Vigna sinensis e Vigna nilotica L., Dolichos melanophthalmus e Dolichos sinensis L. che erano di di- mensioni più piccole e molto saporiti80. I fagioli originari dell’America sono anch’essi noti e coltivati da tempo immemora- bile. Vasi contenenti fagioli sono stati trovati in Perù nelle tombe del periodo pre-In- ca. Nel 1533, Alessandro Dè Medici, in occasione del matrimonio della sorella Cateri- na con Enrico II di Francia, donò come prezioso regalo nuziale un sacchetto di fagioli.

79. L. Sterpellone, Op.cit., pag. 123-125. 80. Anna Ferrari, Op. cit., pag. 43, 44.

112 Mario Liberto L’omaggio sembrò un po’ bizzarro, ma all’epoca il fagiolo era una rarità81. Nei secoli, vari esperti, ne hanno decantato le lodi. Tra questi, il Mattioli scrisse: “Scaldano i faggiuoli; mangiati nei cibi gonfiano e affannano lo stomaco, ma genera- no il seme virile, e sollecitano al coito, e mangiati con pepe lungo, zucchero e galanga. Non danno tanto affanno allo stomaco, quando si mangiano con senape o con cardi (…)”. Castore Durante, viceversa, ne suggeriva l’uso alle donne, ma come belletto: “(…) fanno i faggiuoli belleti le donne, pigliando una libra di faggiuoli e altrettanta medolla di pane bianco, aggiungendo una zucca lunga fresca e tenera tagliata minuta e tenuto il tutto in macera per una notte in latte di capra con mezz’oncia di melone (…)”. In passato i fagioli furono considerati provocatori di ossessioni morbose, così S. Gi- rolamo vieterà alle suore di mangiarne perché – sosteneva – “in partibus genitalibus titillationes producunt”. I fagioli erano i meno apprezzati tra tutte le leguminose. Virgilio, nelle “Georgiche” li definiva “vili” cioè comuni e poco pregiati. Galeno, il famoso medico greco del II secolo a.C., ne aveva invece intuito le proprietà nutritive, pur consigliandoli con qual- che preoccupazione dato che il fagiolo era nutriente e gustoso, ma poco digeribile. Il fagiolo si era anche guadagnato una fama contraddittoria per via del simbolismo cui veniva associato: il ciclo perenne della natura e del succedersi della vita e della morte, e per questo era considerato impuro. Sembra che, fino a qualche decennio fa, in alcune campagne si raccomandava ai bambini di non giocare nei campi di fagioli, perché poteva apparire loro il demonio. Dalla Spagna furono portati in regalo al papa Clemente VII (Giulio de’ Medici) da Hernando Cortès e furono coltivati dal canonico Piero Valeriano, il quale riuscì a coltivarli nel suo giardino e a donarli al Pontefice deliziandolo con un succulento stufato con contorno di fagioli che gli fecero dire che il cuore di un uomo si conquista partendo dallo stomaco. Rinomato è il piatto francese cassoulet, preparato con umido d’oca, di anatra, di maiale o di castrato, con contorno di fagioli bianchi. I Maya li chia- mavano ayacotl, termine che gli Spagnoli tradussero con habichuela e i Francesi con haricot. La parola italiana è tratta invece dal latino faseolus (barca), verosimilmente in relazione alla tipica forma del baccello. Nel breve periodo i fagioli, con tutte le loro varianti, diedero vita ad una schiera di piatti popolari, anche con i pesci, cosa che spinse i marinai a riempire anche le cam- buse delle navi. Il gourmet italiano Bartolomeo Scappi, nel Cinquecento, descrivendo i fagioli nel suo celebre libro Le Delizie sosteneva le proprietà nutritive di questi legumi asserendo

81. AA.VV., “La grande enciclopedia delle erbe”, RL Gruppo Editoriale, Santarcangelo di Roma- gna (RN), 2010, pag. 133.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 113 che mangiarli giovava ai reni, alla milza e potenziava la sessualità del maschio82. Nei momenti di crisi economica del vecchio e nuovo continente, ma anche nel pe- riodo bellico, i fagioli riuscirono a salvare milioni di persone dalla fame e dalla miseria. In Giappone si attribuisce loro valore esoterico, in quanto si crede siano dotati del potere di cacciare i demoni, di allontanare i mali e di proteggere dai fulmini. Ogni anno, la sera del 3 febbraio è usanza gridare “I demoni fuori e la felicità dentro!” e spargere fagioli nelle case per cacciare gli spiriti malvagi. Nell’antica India il fagiolo svolgeva impossibili magie d’amore.

Aspetti Nutrizionali I fagioli, così come tutti i legumi, sono i pilastri della dieta mediterranea e consuma- ti allo stato fresco o essiccati costituiscono un alimento di rilevante valore nutritivo. Il contenuto proteico dei fagioli secchi arriva fino al 23,5%. È inoltre discreto il contenuto in vitamine B1, B2 e niacina. I fagioli secchi rappresentano anche una buo- na fonte di calcio, potassio, ferro, e sono poveri di grassi. Va però ricordato che le vita- mine vengono in buona parte distrutte dalla prolungata cottura. I fagioli hanno inol- tre un buon apporto di carboidrati, di acido folico, di antocianine. Insomma, sono nutrienti, sazianti, eccellenti antiossidanti. Rilevante è anche il contenuto percentuale in carboidrati (60-70% nel seme secco), di cui l’amido e la fibra rappresentano la mag- gior quota. Anche le relative proporzioni di albumine e globuline differiscono con le varietà: la frazione proteica più rilevante (46-81%) è rappresentata dalle globuline, tra le quali la faseolina è la principale proteina di riserva. Seguono le albumine (11-31%) e, in minori quantità, le prolamine e le gluteline (4% e 2%, rispettivamente). La dige- ribilità delle proteine varia con le specie e le varietà dal 60% all’84% ed è legata sia alla presenza dei fattori antinutrizionali, sia alle lavorazioni alle quali i semi sono sottopo- sti (ammollo, tipo di cottura, fermentazione, decorticazione). L’elenco delle patologie per cui hanno effetti positivi è molto lungo. Aiutano ad abbassare il colesterolo totale e quello LDL. Come gli altri legumi, sono utili nella prevenzione dei tumori. Ci permettono di ridurre gli alimenti di origine animale, ric- chi di grassi saturi, senza rinunciare alle proteine: un’indicazione valida anche per altri regimi dietetici, ad esempio per la prevenzione cardiovascolare. Inoltre la ricchezza di fibre è di per sé un fattore protettivo dal cancro83. I fagioli sono ricchi di lecitina, un fosfolipide che favorisce l’emulsione dei grassi, evitandone l’accumulo nel sangue e riducendo di conseguenza il livello di colesterolo. Aggiungere una manciata di fagioli, ceci o lenticchie alla dieta di ogni giorno può ridurre il colesterolo ‘cattivo’ e diminuire il rischio di malattie cardiache. Questo si tradurrebbe in una riduzione del 5-6% del rischio di malattie cardiovascolari. Le proteine dei fagioli si sposano in modo perfetto con quelle dei cereali con cui

82. L. Sterpellone, Op.cit., pag. 123-125. 83. Arcari, Morini D., D’Eugenio A., Aufiero F., Op. cit. pag. 223, 224.

114 Mario Liberto di solito sono cucinati: un ottimo connubio non solo sul piano gastronomico ma anche dietetico. Infatti, le proteine dei fagioli hanno come amminoacidi limitanti, cioè meno presenti, il triptofano e la metionina, abbondanti invece nei cereali. Uno dei motivi che scoraggiano il consumo di questi legumi è la frequenza di fenomeni fastidiosi di fermentazione intestinale. Sono ottimi per chi vuole perdere peso, per chi vuole abbassare il livello di coleste- rolo nel sangue, per chi segue una dieta vegetariana o vegana. Un piatto di fagioli con cereali (pasta, riso o polenta) assicura una razione equilibrata, ricca di proteine e di altri nutrienti, che non ha nulla da invidiare alla troppo costosa carne84. Il calcio e il fosforo svolgono un ruolo fondamentale nella salute delle ossa. Il po- tassio agisce insieme al sodio per mantenere una pressione sanguigna normale. L’acido folico invece è una vitamina utile e importante in gravidanza, in quanto previene mal- formazioni neonatali, favorisce la formazione di globuli rossi, quindi aiuta a prevenire alcune forme di anemia85. I fagioli sono i legumi con il più alto contenuto di fibre solubili e insolubili - com- ponenti importanti per la salute - le fibre insolubili aiutano la digestione e prevengo- no la stitichezza mentre le fibre solubili riducono il livello di grassi nel sangue. Infatti, il consumo di fagioli aiuta a migliorare i livelli di colesterolo e a ridurre il rischio di malattie cardiache. Inoltre, le fibre favoriscono la salute dell’apparato digerente e con- tribuiscono al mantenimento dei livelli di glucosio o zucchero, che sono essenziali per ridurre il rischio di diabete. In commercio esistono, sotto forma di compresse, baccelli di fagiolo, i quali contengono sostanze nutritive come aminoacidi e vitamine. Con i baccelli freschi di fagioli si prepara invece un infuso: 2 grammi ogni 100 ml d’acqua, da bere nella dose di 2 tazzine al giorno. I baccelli di fagiolo, in compresse o in infuso, sono efficaci per: curare l’ipertensione, abbassare il livello di colesterolo, abbassare il livello della glicemia. Nella cura del sovrappeso e dell’obesità poiché riducono il senso di fame e anche l’assorbimento dei principi nutritivi86 . La principale avvertenza rispetto al fagiolo è che non va mai ingerito crudo: contie- ne una lecitina tossica, chiamata fasina, che determina l’assoluta necessità di cottura prima della consumazione di questo legume. Una volta cotto, però, il fagiolo è un prezioso componente dell’alimentazione87.

Le varietà L’Istituto del Germoplasma di Bari di Bari conserva circa 700 ecotipi di fagioli un

84. Lisi Pier Francesco, “101 buoni alimenti che si prendono cura di noi”, Editori Newton Comp- ton, Roma, 2011, pag. 56-58. 85. “Acido folico e folati”, www.epicentro.iss.it, www.epicentro.iss.it/acido-folico/ 86. Art. cit. www.cure-naturali.it, www.cure-naturali.it/enciclopedia-naturale/alimentazione/ nutrizione/fagioli.html 87. “Le proprietà benefiche dei fagioli”, www.benessere.com, www.benessere.com/dietetica/ arg00/proprieta_fagioli.htm

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 115 tempo coltivati nel nostro Paese e ora quasi completamente scomparsi. La loro colo- razione è molto varia: bianchi, rossi, neri, ecc. Le forme sono anch’esse bizzarre, ce ne sono: piccoli, grandi, tondeggianti, schiacciati. Del fagiolo si possono consumare sia i baccelli giovani e teneri (fagiolini) sia i semi, lasciati ingrossare e colti quando il bac- cello comincia ad ingiallire. I più diffusi sono il genere Phaseolus, con numerosissime varietà, e il genere Vigna, le cui cultivar si trovano maggiormente nelle zone tropicali dell’Africa, dell’Asia e delle Americhe. Tra i più consumati in Italia ci sono i fagioli borlotti, seguiti dai fagioli neri, i fagioli rossi e i cannellini. Varianti meno conosciute ma dalle ottime proprietà sono poi i fagioli dall’occhio, i mung o gli azuki. Anche se sono coltivati in Italia solo da poche centinaia di anni, i fagioli hanno dato vita a decine di varietà locali.Tra le tante altre varietà tipiche regionali, citiamo solo come esempio quelli del Purgatorio di Gradoli, nella Tuscia, e gli zolfini del Pratoma- gno, in Toscana. Il fagiolo Badda di Polizzi Generosa (Sicilia), il cui nome deriva dalla curiosa forma, ‘a badda, cioè a palla. Il colore è molto curioso, lo si trova avorio con macchie rosate e aranciate, oppure avorio con macchie viola scuro, quasi nere. Per ga- rantire il recupero di questa singolare leguminosa, è stato costituito un presidio Slow food. Sempre in Sicilia abbiamo il fagiolo di Pantelleria, chiamato in dialetto “lubbia nostra”. Rinomati i fagioli di Caltanissetta, di Floresta, di Ucria, di Pettineo, eccellenti quelli di Scicli, molto noti per la morbidezza (sono rossicci e marmorizzati). Ve ne sono di bianchi, rossi, neri, variegati. Si passa, per esempio, dal fagiolo “messicano” (piccolo, nero e tondeggiante) al fagiolo “di Spagna” (grande, bianco e schiacciato). In tutta Italia esistono numerose varietà con i nomi più curiosi e strani che ricon- ducono a famiglie, località, a forme, ecc. tra questi si ricorda il fagiolo schiaccione che viene coltivato fin dai tempi antichi in aree molto fertili nella zona di Lucca e partico- larmente in Versilia, nei Comuni di Pietrasanta e Camaiore.

Guida all’acquisto dei fagioli I fagioli si raccolgono da luglio fino ad ottobre; per le varietà precoci si può iniziare alla fine di giugno inizio luglio. Se si preferisce consumarli verdi si devono raccogliere i baccelli quando sono ancora giovani e teneri e prima che comincino a formarsi i semi. I baccelli possono anche essere tagliati e lasciati seccare al sole per essere in seguito battuti con un rastrello su teloni di tessuto o di plastica.

Conservazione dei fagioli I fagioli si conservano (anche 14-18 mesi) senza particolari problemi in contenitori di vetro, chiusi per evitare l’entrata di eventuali parassiti. Quelli secchi possono essere conservati in dispensa, al riparo dalla luce, dall’umidità e dal calore. I fagioli possono essere conservati anche lessati in barattoli di vetro. È necessario sterilizzare i barattoli

116 Mario Liberto e i coperchi.

Fagiolino Viene anche indicato come fagiolo mangiatutto o cornetto, si tratta di quelle varietà di fagiolo di cui si consuma il baccello intero, da raccogliere a maturazione incom- pleta. La pianta appartiene alla stessa famiglia delle leguminose, ha anche le stesse caratteristiche morfologiche del fagiolo, quello che cambia sono i baccelli che si pre- sentano diversi, naturalmente secondo gli ecotipi. Possiamo trovare il fagiolino sottile, diritto, ricurvo, ecc., generalmente sono di colore verde, anche se alcune varietà pos- sono essere color giallo o violetto; contengono piccoli semi immaturi, verdi o scuri. La produzione è estiva e va raccolto quando ha un diametro di poco inferiore a 1 centimetro , momento in cui è da poco cominciato l’ingrossamento dei semi. Questo è il momento della raccolta cioè con il baccello ancora tenero e privo del cosiddetto filo (una sottile linea fibrosa e dura che corre lungo una delle costole), mentre, se si ritarda la raccolta, diventa più duro e filaccioso. Le varietà più diffuse sul mercato sono “Bobis a grano bianco”, “Marconi”, “Pre- lude”, “Contender”, tutti a baccello verde; “Anellino di Trento”, dal baccello verde marmorizzato; “Burro di Rocquencourt”, “Meraviglia di Venezia” e “Corona d’oro”, a baccello giallo; “Re dei bleu” e “Trionfo violetto”, a baccello violaceo. I fagiolini migliori sono quelli giovani e molto freschi, cioè appena colti. Per consta- tare la freschezza, oltre a prendere in considerazione l’aspetto e la vivacità del colore, bisogna spezzare una delle estremità di un fagiolino: se è duro e si spezza di netto, emettendo anche una piccola goccia di umidità, è fresco; se poi, tirando verso il basso l’estremità spezzata, non appare il filo, è anche giovane. I fagiolini in cucina possono stare anche due giorni nel reparto vegetali del frigori- fero senza soffrirne. Si preparano spezzando ed eliminando circa 1 centimetro di en- trambe le estremità (e l’eventuale filo); poi si lavano bene in acqua fredda, passandoli leggermente fra le dita, e infine si sciacquano in un colapasta sotto acqua corrente. La cottura più comune è la lessatura in abbondante acqua bollente (1 litro per 200 grammi di fagiolini) e ben salata (1 cucchiaio raso di sale per ogni litro d’acqua), a pen- tola scoperta. Naturalmente si potrà decidere se preferire i fagiolini “al dente” oppure molto più cotti secondo l’uso tradizionale. La cottura a vapore serve per mantenere il colore più brillante e la conservazione delle caratteristiche nutrizionali, che così subi- scono una minor perdita di sali minerali.

Guida all’acquisto dei fagioli I fagiolini all’acquisto devono essere freschi, sodi e croccanti, di un verde brillante o di un giallo dorato, senza ammaccature o macchie scure, di forma regolare. Una leggera umidità è segno di freschezza. Non lavare i fagioli freschi fino al momento di cuocerli; i fagiolini, i piattoni e i

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 117 fagioli mangiatutto devono essere spuntati ed eventualmente liberati del filo. Esistono più di un centinaio di specie di fagiolo, di forma, colore, sapore e valore nutritivo differenti. A maturazione, i baccelli non sono più commestibili e si sguscia- no per sfruttare i semi (detti legumi), che si consumano freschi o si fanno essiccare, ma in ogni caso devono essere cotti. Il fagiolo fresco proviene generalmente da specie nane coltivate in tutto il mondo, e in particolare in Italia, Spagna, Francia, Stati Uniti, Turchia, Egitto, Romania, Cina e Giappone. I baccelli possono essere verdi (a volte screziati di porpora o di rosso), gialli o porpora (questi ultimi diventano verdi con la cottura). Sono stretti e allungati, dritti o un poco ricurvi. Alcune varietà sono prive di filo, come nel caso del cosiddetto fagiolo mangiatutto. I baccelli misurano in genere da 8 a 20 centimetri di lunghezza e racchiudono 4-12 semi di colori differenti, a tinta uniforme, oppure screziati, macchiati o rigati, reniformi o sferici, lunghi da 7 milli- metri a 1 centimetro88.

Conservazione dei fagiolini I fagioli freschi non lavati si conserveranno 2-3 giorni in frigorifero, chiusi in un sacchetto di plastica bucherellato così da poter respirare. I fagioli freschi si congelano previa sbollentatura ma tollerano male una congelazione prolungata, ossia di oltre 12 mesi. Scottarli 3 minuti se sono tagliati e 4 minuti se sono interi.

88. AA.VV. “Il Grande libro degli alimenti”, Ed. Giunti, Firenze, 2014, pag. 142-144.

118 Mario Liberto I fagioli in cucina Del fagiolo si possono consumare sia i baccelli giovani e teneri (fagiolini) sia i semi, lasciati ingrossare e colti quando il baccello comincia ad ingiallire. In estate si trovano i borlotti freschi, ma durante tutto l’anno è possibile mangiare mille e più varietà di questo legume in versione secca89. Dato il gran numero di qualità disponibili, i fagioli si prestano a una notevole va- rietà di preparazioni (zuppe, minestre, passati, contorni, insalate) e sono digeriti len- tamente, determinando quindi un prolungato senso di sazietà. Prima della cottura è consigliabile tenerli in ammollo per almeno 6-8 ore in acqua fredda, quindi risciacquarli e per la cottura utilizzare altra acqua. Questa semplice operazione consente il rilascio di alcune sostanze antinutrizionali normalmente con- tenute in tutti i tipi di fagioli, dette glucosidi cianogenetici (che liberano cioè acido cianidrico), responsabili di quel lieve fastidio intestinale che può presentarsi in qua- lunque soggetto anche sano in seguito all’assunzione. La seconda avvertenza riguardo ai fagioli è che il loro consumo può determinare fastidi intestinali come meteorismo ma l’aggiunta di determinate erbe o spezie, come la santoreggia, l’alloro, la menta o lo zenzero, dovrebbero impedirne la fermentazione e quindi prevenire il gonfiore. Altre spezie e aromi che si possono usare in cottura ma anche per condire i piatti a base di fagioli sono lo zenzero, l’origano, la menta, il basilico, il cumino, il rosmarino, la cur- cuma, i semi di finocchio e l’aneto. È consigliabile non aggiungere sale in cottura in quanto rende la buccia dei fagioli dura. Il fagiolino fresco si consuma in genere cotto e si può mangiare sia caldo sia freddo. Serve spesso da contorno, ma il suo impiego è assai vario: si gusta in insalata, nelle mi- nestre e nei piatti in umido, è delizioso ricoperto di besciamella e gratinato, o sempli- cemente lessato, da solo o con le patate. Ottimo accompagnato da pomodoro, timo, origano, rosmarino, menta, maggiorana, senape, anice, noce moscata e cardamomo. I fagioli secchi si consumano caldi o freddi, interi o ridotti in purea. Si gustano sot- to forma di minestra, con la pasta o il riso, in insalata, con la carne. La purea di fagioli secchi può fungere da contorno, ma più spesso serve per la preparazione di crocchette o vellutate. I legumi, come i fagioli, dovrebbero comparire sulle nostre tavole almeno due o tre volte alla settimana. Nel dialetto siciliano i fagioli vengono indicati coi nomi di fasòla, casola e simili. Sul mercato è possibile trovare anche i fagioli freschi, secondo stagione, i quali vanno sgranati scartando il baccello che non è commestibile. Ne esiste una varietà chiamata casola pasta che può essere consumata tutta intera e viene detta infatti “mangiatutto”. Dalla ribollita toscana ai fagioli con le cotiche, non c’è praticamente zona d’Italia che non abbia le sue specialità, basate quasi sempre su varietà locali. Sono da prefe- rire le ricette che diventano un piatto unico, limitando invece piatti gustosi ma poco

89. “Fagioli a modo mio: la ricetta di Marco Sacco”, www.stile.it, www.stile.it/2017/07/19/fagioli-

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 119 equilibrati sul piano dietetico come le salsicce con i fagioli. I Romani accompagnava- no i fagioli dell’occhio con il garum (mistura di pesci lasciata a macerare arricchita di diverse piante aromatiche). Alcuni piatti hanno accompagnato nei film western i cer- catori d’oro o l’ineguagliabile coppia di Bud Spencer e Terence Hill in Lo chiamavano Trinità…, (1970) alle prese con una padellata di fagioli stufati e in Anche gli angeli mangiano fagioli (1973) dove alcune scene ritraggono Bud Spencer alle prese con la sua padellata di fagioli, una ricetta ispirata (e rivisitata) alla cucina tex-mex. La feijoada è il simbolo della cucina brasiliana; pare che sia stata inventata dagli schiavi importati in Brasile durante il periodo della colonizzazione. I padroni fazen- deiros mangiavano solo le parti migliori del maiale, lasciando alla servitù le orecchie, la coda e le parti meno “nobili”. Con questi ingredienti nacque quindi la feijoada insie- me a riso e fagioli a cui gli schiavi avevano accesso in quantità per via delle piantagioni. Non meno famoso il francese cassoulet, piatto tipico della regione della Linguadoca e legato alla “Guerra dei 100 anni”, nato per sfamare l’esercito con un mix di viveri: fagioli e carni in un unico recipiente e cotto tutto assieme. Il cassoulet prende prin- cipalmente il nome dal recipiente in cui viene preparato e servito, il cassoul, cioè un tegame in terracotta smaltata dalla forma a tronco di cono90. La fantasia delle classi subalterne è sempre superiore a quelle egemoniche.

Fagioli e cosmesi I fagioli non sono solo i protagonisti della famosa favola inglese “Jack e il fagiolo magico”, e nemmeno solamente i miracolosi alimenti più sani e benefici che il nostro corpo possa desiderare. Sono persino utili in cosmesi, perché possono diventare la base di maschere ed impacchi casalinghi per pelle e capelli. Frullando questi legumi si ottiene una crema che è detergente, emolliente e purificante. “Gli impacchi con legumi sono ottimi trattamenti per i capelli, ecco una ricetta: fate bollire dei fagioli borlotti – senza sale – e mettetene da parte una ventina per la vostra maschera. Frul- lateli, ammorbidendo il composto con un po’ di acqua di cottura. Unite dell’olio di mandorle dolci e applicate sul cuoio capelluto, massaggiando bene. Tenete in posa una decina di minuti e quindi procedete al normale lavaggio. È un ottimo rimedio antiforfora. Inoltre i capelli si rinforzano e rinvigoriscono91”. Se invece la crema di fagioli viene arricchita di yogurt, diventa un ottimo prodotto da applicare su viso e collo. Per rendere la pelle morbida, nutrita e luminosa92. Nell’uso esterno la farina di fagioli può trovare applicazione in impacchi contro alcune forme di eczemi umidi e pruriginosi.

90. AA.VV. “Il Grande libro degli alimenti”, Ed. Giunti, Firenze, 2014, pag. 142-144. 91. “Fagioli: buoni, sani e utili per la cosmesi”, www.stile.it, www.stile.it/2017/07/19/fagioli-sa- ni-utili-per-cosmesi-id-158513/ 92. “Legumi: elenco, proprietà, valori nutrizionali”, www.cure-naturali.it, www.cure-naturali.it/ legumi/3627#proprieta

120 Mario Liberto CAPITOLO XV LA CICERCHIA (LATHYRUS SATIVUS)

Introduzione La cicerchia (Lathyrus sativus) è un legume appartenente alla famiglia delle Faba- cee, coltivato per il consumo umano e per l’alimentazione del bestiame. La cicerchia proviene dal Medio Oriente e nasce da una pianta erbacea a ciclo annuale molto simile a quella dei ceci. Il seme di colore grigiastro ha un aspetto simile a un . È una pianta molto resistente e cresce su terreni poveri e in condizioni difficili. È anche co- nosciuta come pisello d’India o pisello d’erba. In effetti il suo sapore è a metà strada tra quello del pisello e quello della fava. Questo legume è stato dimenticato poiché richiede una grossa mole di lavoro manuale. Oggi la cicerchia è stata riscoperta per valorizzarne la biodiversità vegetale e ambientale e per tutelarla come alimento tipico della dieta contadina del passato93. Oggi si tratta di un alimento piuttosto raro al di fuori delle regioni che la coltivano per tradizione. Questo alimento ha fatto a lungo parte della tradizione e dell’alimentazione contadina italiana94.

93. “Il legume più antico”, www.lastampa.it, www.lastampa.it/cucina/2013/11/15/news/il-legu- me-piu-antico-br-1.35956688 94. “Cicerchie: tossiche o salutari? Proprietà, usi e controindicazioni”, www.greenme.it, www. greenme.it/mangiare/altri-alimenti/cicerchie-tossiche-proprieta-usi-controindicazioni/

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 121 Importanza economica La cicerchia è coltivata in India, Iran, Medio Oriente, nel sud dell’Europa, in alcu- ne regioni dell’Africa e dell’America del Sud. La pianta allo stato verde viene utilizzata per foraggio, i semi per l’alimentazione umana. La cicerchia, coltivata in Italia per circa 10 mila ettari nel 1950, oggi non risulta più ufficialmente censita. È coltivata per il consumo umano in particolare nelle Mar- che, in Molise, Umbria, Sicilia e Puglia. Queste regioni hanno ottenuto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali il riconoscimento di prodotto agroali- mentare tradizionale italiano (PAT).

Storia La sua storia è molto antica. I greci la chiamavano lathiros, mentre i romani cicercu- la. In Italia erano diffuse una ventina di specie, coltivate nel centro e nel sud del Paese. La cicerchia proviene dal Medio Oriente e le prime tracce della sua presenza risalgono all’8000 a.C. in Mesopotamia e al 6000 a.C. nella penisola balcanica, ma è soprattutto nell’Antico Egitto che divenne un alimento principe della tavola, utilizzato nella pre- parazione di focacce, pani e zuppe. Anticamente la cicerchia era diffusa in tutta l’area mediterranea. Nell’Italia del ‘500 e del ‘600 compariva anche sulle tavole dei grandi, come risulta dalle citazioni in importanti testi gastronomici. Nel tempo la produzio- ne si è progressivamente ridotta, fino quasi a scomparire. Nel mondo si contano circa una ventina di specie, da quella grossa ed insapore col- tivata in America come mangime per le bestie, a quella più piccola, presente nella zona delle Marche con colori che vanno dal grigio al marrone chiaro. In India e Pakistan è utilizzata nelle risaie come secondo raccolto in inverno. In Russia si raccomanda di impiegare la cicerchia come sovescio dove la bietola da zucchero è coltivata in regime irriguo. Nelle Madonie veniva chiamato volgarmente “ganguzza”, perché simile ad un dente. Infatti ne ha le medesime sembianze: bianco opaco, con una parte scalfita, insomma un vero dente. Il vocabolario siciliano-italiano del Traina la chiama dialet- talmente cherchiri. In altre località la cicerchia viene appellata come u ciciru puorcu, o ciciru mignu, dentuzzu, ganguzza, tòlica cangàle o tòlica vangàle dove “cangàle” e “vangàle” stanno appunto a significare dente molare. La sua coltivazione, considerata la capacità di valorizzare aree marginali, potrebbe forse essere oggi suggerita quale fonte per l’estrazione industriale di proteine.

Aspetti nutritivi La cicerchia è ricca di proteine (da 24 grammi a 30 grammi ogni 100 grammi ), carboidrati (55%), fibre (5%) ma non di grassi (2,5%). Pur essendo povere di grassi, forniscono parecchia energia grazie all’elevato contenuto di carboidrati, fibra, po- tassio, amido e a una buona presenza di vitamine B1, B2 e PP, calcio e fosforo. La cicerchia viene consigliata in oligoterapia nutrizionale, nei disturbi della memoria,

122 Mario Liberto di affaticamento cerebrale, agli studenti e agli anziani. “L’assunzione delle cicerchie favorisce inoltre la digestione e il metabolismo, apporta benefici alla memoria e alla funzionalità cerebrale. La presenza di fibra favorisce la funzionalità intestinale, stimo- lando la peristalsi e contrastando pertanto la stitichezza95”. Ricca in calcio e fosforo, la cicerchia contiene però un principio amaro (latirina) indigesto per l’uomo che può provocare disturbi nervosi all’uomo, il neurolatirismo, una patologia degenerativa che causa la paralisi degli arti inferiori del corpo; da qui la necessità di macerazione in ac- qua salata per almeno 12 ore e di bollitura accurata. Evitate di mangiarne più d’una volta a settimana. Considerato che ha “un’attività emoagglutinante fino a 10 volte inferiore a quella del fagiolo, non ci si può che chiedere come mai la cicerchia sia di fatto un legume negletto96”. Tra le altre proprietà delle cicerchie, si segnala la capacità, sempre in virtù della fi- bra, di abbassare i livelli di colesterolo nel sangue, apportando benefici per l’apparato cardiovascolare. Mentre l’elevata presenza di potassio è fondamentale per la funzione di cuore e arterie. “Le cicerchie, infine, fortificano anche ossa, denti e muscoli e, gra- zie al contenuto di vitamina A, sono utili alla salute della vista e della pelle, mentre la vitamina C potenzia il sistema immunitario”. Vantano anche una buona quota di fibre sia solubili che insolubili; quindi sono ottime per contrastare la stipsi, contenere la glicemia ed il colesterolo (ottimi quindi per diabetici e cardiopatici), oltre a fornire un alto senso di sazietà. Le cicerchie sono povere di grassi ma molto energetiche, grazie alle loro 315 kcal per 100 grammi di parte edibile. Le cicerchie possono essere utili per stimolare la memoria e migliorare il tono muscolare97. La cicerchia è l’unica fonte dietetica conosciuta di L-omoarginina. Si tratta di un amminoacido che offre benefici nei trattamenti per le malattie cardiovascolari e nel superare le conseguenze dell’ipossia, cioè l’apporto inadeguato di ossigeno a livello dei tessuti. La L-omoarginina risulta infatti attiva nel favorire la sintesi di ossido nitrico, importante anche per la salute sessuale maschile98.

95. “Cicerchie: quali sono le proprietà di questo legume?”, www.ilgiornaledelcibo.it, www.ilgior- naledelcibo.it/cicerchie-proprieta-consumo/ 96. “La cicerchia: dottor Jekill e Mister Hyde tra i legumi”, www.ilblogdellasci.wordpress.com, ilblogdellasci.wordpress.com/2015/08/28/la-cicerchia-dottor-jekyll-e-mister-hyde-tra-i-legumi/ 97. Art. Cit., medicinaonline.co/2018/12/30/cicerchie-cosa-sono-proprieta-benefici-calorie-va- lori-nutrizionali/ 98. www.prezzisalute.com

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 123 Oltre ad essere un vero toccasana, in particolar modo per la saluta di cuore ed ossa, le cicerchie sono persino capaci di migliorare il nostro umore attraverso la produzione della serotonina, conosciuta anche come l’ormone del buonumore, che interagisce con questa leguminosa. E sembra che proprio il consumo di cicerchia sia il segreto dei longevi abitanti di Campodimele, un piccolo paese in provincia di Latina oggetto di studi da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità per la bassissima incidenza di malattie car- diovascolari nella popolazione.

Le varietà Tra le varietà di cicerchia più conosciute in Italia abbiamo quella di Serra Dè Conti, oggi Presidio Slow Food, nata nella provincia di Ancona: più piccola e spigolosa ri- spetto alle altre tipologie, dal colore che va dal grigio al marrone chiaro maculato, ha un sapore meno amaro e una buccia più morbida ed è ottima per le zuppe e le mine- stre. Dalle cicerchie si ricava inoltre una farina che viene utilizzata nella preparazione di maltagliati e pappardelle. In Puglia, nell’Alta Murgia, nel Tarantino e nel Salento viene coltivata una varietà di cui si hanno le prime testimonianze scritte nel 1929: essa era presente come coltura principale nei comuni di Andria, Putignano e Spinazzola. Attualmente il recupero della cicerchia dell’Alta Murgia si concentra nell’area della Murgia barese ed interessa, in particolare, i comuni di Altamura, Cassano delle Murge, Minervino Murge, Spi- nazzola e Santeramo in Colle. Le cicerchie prodotte nel Lazio, Marche, Molise, Puglia ed Umbria hanno otte- nuto, dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, il riconoscimento di prodotto agroalimentare tradizionale italiano (PAT). Interessanti colture restano a Castelvecchio e a Carapelle Calvisio, in provincia dell’Aquila, dove viene coltivata una varietà locale, la cicerchia di Carapelle Calvisio, e dove si svolge in agosto la Sagra della cicerchia. La raccolta avviene a fine luglio ma il legume è disponibile tutto l’anno.

Guida all’acquisto Le cicerchie si raccolgono con il loro baccello, e, dopo l’essiccazione, si utilizza il seme. Vengono consumate cotte associate ai cereali, in quanto questi due tipi di ali- menti si compensano a vicenda dal punto di vista nutrizionale. È consigliabile acqui- stare cicerchie essiccate e prive di impurità99.

Conservazione della cicerchia Oltre a essere un alimento saporito, le cicerchie si possono conservare secche per un periodo di oltre due anni. Dopo la raccolta la cicerchia necessita di alcune settimane

99. AA.VV. Op. Cit.

124 Mario Liberto per la completa essiccazione; viene poi ripulita manualmente per piccole quantità o mediante un processo meccanico per quantità superiori. Dopo la pulizia il prodotto viene confezionato con l’aggiunta di una foglia di alloro e alcuni grani di pepe per garantire una conservazione naturale del prodotto.

La cicerchia in cucina L’utilizzo delle cicerchie è chiaramente documentato in ricette di zuppe e minestre ma prima di cucinarle vanno sottoposte a un lungo ammollo. Nel Salento, la gustosa cicerchia, seppure apprezzata per le sue valide qualità organolettiche, è pur sempre considerata una leguminosa di importanza secondaria rispetto alle altre leguminose. Per denigrare qualcuno lo si appellava mangiatore di tolica, ossia di cicerchia, con frasi del tipo: a casa di quello, tolica si mangia; oppure: quello, solo di tolica ne può capire… Inoltre, un ironico proverbio recita: chi ha debiti pianta tolica, come per dire, che continuerà a non combinare nulla di buono. In realtà, la cicerchia si presta alla perfezione per ricette di zuppe, farine e dolci vegetariani, ma trova largo spazio anche nella cucina tradizionale. Ottima in minestre ma anche cucinata in purea o servita come contorno dello zampone. Il sapore delle cicerchie è molto simile a quello dei ceci, ma ancora più delicato di quello di questi ultimi, e le rende un alimento facilmente sfruttabile in cucina: possono infatti essere consumate fredde e al naturale, ma anche per arricchire le insalate estive, per realizzare gustose zuppe e puree, e come condimento per la pasta. Da sola o accompagnata da al- tri legumi, la cicerchia rappresenta un ingrediente decisamente gustoso. Solitamente viene impiegata in abbinamento con lupini, orzo, farro o lenticchie. Tra le ricette: tonno alla salvia e miele con cicerchie, paté di cicerchie e piselli secchi, rana pescatrice panata al finocchietto su vellutata di cicerchie, zuppa di cicerchia e piselli secchi, zuppa di puntarelle, cicerchie e chips di patate viola, pasta e cicerchie, cozze e cicerchie o vongole, cicerchie e pane bruschettato100. In Sicilia, i semi della cicerchia sono da sempre utilizzati per fini gastronomici per- ché si prestano molto bene sia per la preparazione di primi piatti, tra cui la “pasta con la cicerchia” (pasta ccà cicecca), sia di zuppe e minestre che, a piacimento, possono essere insaporite con svariati ortaggi e aromatizzate con le erbe di cui la flora mediter- ranea è particolarmente ricca. Con la farina di Cicerchia nota come cicecca o cìcirumignu, si prepara una polenta siciliana detta Patacò, divenuta, ai nostri giorni, un piatto tipico delle festività nata- lizie. Nella cittadina catanese di Licodia Eubea ogni anno, per la vigilia del Natale, si svolge la Sagra della Patacò, durante la quale a pulenti cicecca che, in passato, era con- siderata “cibo dei poveri”, è offerta ai cittadini. Dopo una breve cottura, la polenta, ancora liquida, è versata in scodelle di terracotta, condita con olio e servita, a mo’ di zuppa, in cui intingere fette di pane abbrustolito. Prolungando la cottura, la Patacò

100. “Ricetta con cicerchia”, www.petitchef.it, www.petitchef.it/ricette/ricetta-con-cicerchia

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 125 rapprende; fredda e rafferma, è tagliata a fette, infarinata e utilizzata per preparare croccanti frittelle. La pasta che meglio si abbina alle cicerchie è indubbiamente quella lunga e larga, come le tagliatelle, ma sono ottime anche con i cavatelli; in Basilicata si preparano i cavatelli con salsiccia e purea di cicerchie. In Molise si prepara una particolare pasta, molto simile alle tagliatelle, che viene condita appunto con una crema di cicerchie, per realizzare la quale è necessario cucinare questo legume assieme a del peperoncino e del lardo. In Ciociaria, si preparano le laine con le cicerchie, una pasta particolare molto simile alle lasagne. Nella cucina pugliese, invece, le cicerchie vengono utilizzate per preparare una gu- stosa minestra, cucinando questo legume secco in una pentola assieme a della cipolla fresca, del prezzemolo, del pomodoro e dell’aglio. In Toscana si prepara una zuppa con cicerchie e farro. Nel territorio di Vasto (CH), sino ad alcuni decenni fa, la cicerchia veniva ampia- mente coltivata, in particolare nelle aree collinari e montane. I legumi, dopo lungo ammollo e attento risciacquo, si cuocevano nella “pignata”, un apposito cuoci-legumi in terracotta che si poneva nel camino accanto alle braci ardenti. Dopo lunga cottura (3-4 ore), la zuppa di cicerchie si condiva con olio e sale o con l’aggiunta di poco po- modoro. In Abruzzo, inoltre, le cicerchie costituiscono l’ingrediente principale per la rea- lizzazione della fracchiata, una polenta preparata appunto con la farina ricavata da questi legumi, e che viene generalmente servita con peperoncini dolci secchi soffritti con aglio. Oltre ai piatti tipici della tradizione italiana, le cicerchie sono usate per preparare la zuppa calda di cicerchie assieme a patate, carote, sedano e cipolla bianca tagliati a pezzetti, qualche spicchio aglio, olio extravergine di oliva e lardo. Ma la cicerchia può essere gustata anche come contorno o secondo, soprattutto per regimi dietetici particolarmente severi: questo legume, infatti, favorisce la digestio- ne e migliora il metabolismo. L’ideale è condirle solamente con un cucchiaio di olio extravergine di oliva e con erbe molto semplici: le più indicate a questo scopo sono l’origano, il timo ed il rosmarino. Una volta cotte, le cicerchie devono essere lasciate in acqua per qualche minuto, per impedire che diventino troppo dure, ed essere scolate solo al momento di servire il piatto. Infine, le cicerchie sono l’ideale anche per insaporire le classiche insalate estive quel- la con cicerchie e patate, e l’insalata rustica, che si prepara mischiando assieme due etti di cicerchie, due etti di formaggio brie, un etto e mezzo di funghi sott’olio, carote e patate tagliate a tocchetti, assieme a qualche cucchiaio di olio extravergine di oliva101. Le cicerchie possono anche essere cotte in maniera più veloce e pratica rispetto

101. “Come cuocere le cicerchie: informazioni e consigli utili”, www.saporideisassi.it, www.sapo- rideisassi.it/blog/come-cuocere-le-cicerchie/

126 Mario Liberto alla pentola normale in una pentola a pressione. Questo metodo di cottura, infatti, permette di ridurre i tempi pur mantenendo inalterato il tipico sapore che le contrad- distingue. Cuocere le cicerchie con la pentola a pressione è davvero molto semplice: metti le cicerchie all’interno della pentola e ricoprile con dell’acqua fredda. Per esaltarne ancora di più il sapore, consiglio di aggiungere anche alcune delle erbe aromatiche suggerite in precedenza e qualche pezzettino di verdure tagliate a tocchetti, ad esem- pio patate, sedano e pomodori. Metti la pentola sul fornello a fuoco alto e, una volta che avrà emesso il primo fischio, abbassa leggermente il fuoco e lasciala cuocere per almeno una mezz’ora.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 127

CAPITOLO XVI IL LUPINO (LUPINUS SPP.)

Introduzione Il lupino (Lupinus albus) è una pianta appartenente ai cibi tipici del bacino me- diterraneo, antico legume ricco di proprietà benefiche. Il lupino, pianta ritenuta dal Gussone (botanico italiano dell’800) spontanea in Sicilia, trova una discreta utilizza- zione alimentare previa deamarizzazione in salamoia. Per John Gladstones, un agronomo australiano il lupino sarebbe stato così deno- minato perché cresceva in luoghi selvatici frequentati solo dai lupi. Per altri il signi- ficato sarebbe da ricercare nella scarsa considerazione in cui era tenuta la pianta in quanto forniva un alimento per le classi socialmente subalterne. In Italia, il Lupinus albus viene coltivato prevalentemente in Campania, nel Lazio, in Puglia, in Sicilia e in Calabria102. Le colture hanno però subìto un declino negli ultimi anni, dovuto al fatto che mol- te delle aree interessate sono state colpite da un improvviso spopolamento. L’uso di questo legume era legato al fatto che migliora il terreno, in quanto ricco di azoto ed era anche utilizzato per il pascolo oltre che per l’alimentazione umana. I lupini, cono- sciuti in Italia anche con il nome di lupini bianchi, sono tornati in auge negli ultimi anni, soprattutto grazie al loro alto valore proteico che li rende l’alimento perfetto per vegani e vegetariani. Inoltre si tratta di un alimento privo di glutine e con basso indice glicemico, ideale quindi anche per chi soffre di celiachia o di diabete103.

102. S. Foti, Il Lupino in “Coltivazioni erbacee”, , Pàtron Editore, Bologna 1984, pag. 355-360. 103. www.donna.fanpage.it

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 129 Importanza economica Nel mondo il lupino risulta coltivato prevalentemente in Unione Sovietica, ma an- che in Europa, in Oceania ed in Africa. In Europa è presente in Germania, Polonia, Olanda, Danimarca, Svezia, Inghilterra. Nei paesi del bacino del Mediterraneo il lupi- no è coltivato un po’ dappertutto. Nel 1975 la superficie mondiale coltivata a lupino si aggirava intorno ad 850 mila ettari; posteriormente negli annuari F.A.O. non figurano più rilevamenti riguardanti questa coltura. La stessa cosa si è verificata per l’Italia dove nel 1975 la superficie superava di poco 5.800 ettari, pari ad appena il 12% di quella coltivata nel 1950.

Storia Esistono diverse specie di lupino, come L. gibus, L. mutabilis, ecc. Il più conosciuto ad uso alimentare era il lupino chiamato thermos, che in età arcaica, compariva sulle tavole dei contadini nell’ultimo giorno di ogni mese ed era sacro a Ecate, dea degli inferi. Spesso i lupini si preparavano lessandoli, poi lasciandoli in ammollo in acqua di mare; il loro consumo era riservato ai giorni di digiuno ed erano utilizzati con fre- quenza da filosofi come Diogene (quel tipo singolare che viveva in una botte) e altri cinici. La coltivazione di Lupinus albus era praticata in Egitto intorno a 2000 anni a.C. e successivamente fu apprezzata anche dai Greci e dai Romani, questi ultimi, lo consu- mavano abbondantemente. Teofrasto, Varrone e Columella sottolineavano la capacità del lupino di crescere su terreni poveri e grossolanamente coltivati e la relativa utilità nel miglioramento del terreno. Una leggenda narra che San Giuseppe, avvertito da un sogno premonitore di dover fuggire in Egitto, per impedire ad Erode di uccidere il Bambino, decise “di ferrare l’asino a rovescio.. “, affinché, osservando le orme lasciate dall’animale, non si potesse stabilire la direzione presa dalla Sacra Famiglia. Così, alla fievole luce di una lanterna, si mise in viaggio, appoggiandosi ad una robusta canna, per rendere meno faticoso il cammino. All’alba, i fuggiaschi si imbatterono in un campo di lupini e tentarono di entrarvi, per sostare un po’. I frutti e i semi del lupino, però, al passaggio dei viandanti, fecero rumore e li costrinsero a riprendere il cammino. Da quel momento, il Lupino che, come la Tamerice (a vruca) “…era un grand’albero di frutti squisiti, fu condanna- to a non sollevarsi più di una spanna dalla terra ed il suo seme a divenire amarissimo”. Introdotto in Germania dall’Italia da Federico II di Prussia, si diffuse successiva- mente nell’Europa centro-settentrionale; nel territorio tedesco l’interesse crebbe con la crisi di disponibilità di proteine dopo la prima guerra mondiale. In quel periodo Baur, a Berlino, avanzò l’ipotesi che nel lupino dovessero ricorrere mutanti privi di alcaloidi, ma che in natura questi venissero facilmente perduti a causa della loro facile

130 Mario Liberto appetibilità da parte degli animali e degli insetti. L’idea fu ripresa da von Sengbusch che nel 1928-29 selezionò i primi lupini privi di alcaloidi fornendo le basi del miglio- ramento genetico della specie. In Sicilia, il lupini sono ancora oggi venduti ai caselli dell’autostrada catanese: que- sti piccoli semi gialli a forma di bottone fino ad alcuni anni fa erano venduti per le strade e nelle bancarelle immersi a bagno in una bacinella. I ragazzi di altri tempi erano soliti andare in giro con le tasche piene di lupini “sanati”, che mangiavano lasciando una scia di bucce. Oggi i lupini resistono nelle sagre e fiere paesane, dove vengono venduti nelle bancarelle. Da buon catanese Giovanni Verga nel suo romanzo più fa- moso, I Malavoglia, racconta di un affare che Padron ‘Ntoni fece comprando una grossa partita di lupini – peraltro avariati – da un suo compaesano, chiamato Zio Crocifisso. Il carico venne affidato al figlio Bastianazzo per venderli a Riposto, ma egli perderà tutta la merce durante un naufragio, e con essa anche la vita. Tra le zone più vocate alla coltivazione di questo legume è la contrada “Reitana”, nel comune di Acicatena, dove crescono in maniera spontanea o comunque richie- dendo poca cura, e dove c’erano anche gli “stabilimenti” per la sua cura al fine di ren- derlo commestibile, che consisteva, sostanzialmente, nel tenerlo a bagno per diversi giorni in abbondante acqua corrente per farlo ammorbidire, dopo la bollitura. Adesso in quella zona è rimasto uno solo di questi stabilimenti, che continua a cu- stodire la tradizione del lupino siciliano. Si può trovare questo prelibato legume, oltre che nello stabilimento di contrada Reitana, in territorio di Acicatena, anche nello sto- rico mercato acese di piazza Marconi (’a piscarìa) nella sua diversa tipologia ecotipo “duro” e “morbido”. Poco lontano dal centro abitato di Paternò, in prossimità della sorgente Monafria, tuttora si effettua la lavorazione tradizionale dei semi di lupino, conosciuti in dialetto come “luppini”. Nella luppinarè, in una vasca vicina a una fon- te, i semi posti in ceste cilindriche, vengono sottoposti all’azione dell’acqua corrente per un giorno o più, al fine di privarli del gusto amaro; successivamente cotti in cal- daie e salati, sono pronti per il consumo e vengono ancora oggi, in parte smerciati in caratteristici cartocci (coppi) di carta dal venditore di lupini (“u luppinaru”)104. Nell’ambito di un interessante convegno tenutosi ad Acireale ed organizzato dal Centro di Ricerca per l’Agrumicoltura e le Colture Mediterranee (Crea), dal titolo “Il lupino per un’agricoltura sostenibile e un’alimentazione salutistica” è emersa l’impor- tanza di questo alimento, un po’ trascurato, ma con grande prospettive. La modalità di consumo del lupino è molto varia, c’è chi gradisce gustarlo al natu- rale, mentre altri aggiungono un po’ di sale o del succo di limone. Adesso, anche per motivi igienici, i lupini vengono venduti in sacchetti o vaschette chiusi, ma io mi ri- cordo ancora le montagne di lupini collocate sui banchi di vendita, da cui venivano, a richiesta, presi con una piccola sàssola (se non addirittura con le mani) nella quantità necessaria e posti nei famosi cartocci di carta paglia (quella carta spessa e grossolana

104. www.lafrecciaverde.it

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 131 di colore giallognolo che veniva utilizzata anche per avvolgere il pesce e la carne, pri- ma dell’avvento del cartene), che con molta perizia veniva arrotolata a forma di cono rovesciato”105.

Aspetti nutritivi L’interesse per il lupino oggi risulta sostenuto dall’elevato contenuto proteico dei semi (fino al 37%, in qualche caso anche il 44%) e da un apprezzabile contenuto in grassi di ottima qualità (dall’8,6% di L. albus ad oltre il 15,5 % di L. mutabilis). In 100 grammi di lupini ci sono 40 grammi di carboidrati e 36 grammi di proteine. Il contenuto proteico dei lupini è paragonabile a quello della soia, ma anche a quello della carne e delle uova. Il suggerimento è consumare legumi e cereali integrali se non nello stesso pasto almeno nella stessa giornata in modo che il nostro organismo abbia a disposizione tutti gli amminoacidi necessari per formare le proteine. I lupini sono ricchi di vitamine, soprattutto A, B e C, oltre che di Omega 3 e Ome- ga 6, indispensabili per il corretto funzionamento dell’organismo, e di minerali, come lo zinco, il ferro, il calcio, il potassio e il manganese. Per questa loro composizione nutrizionale, sono utili per migliorare il metabolismo, per proteggere il cuore, per ritardare l’invecchiamento cellulare, per tenere sotto controllo il colesterolo e l’iper- tensione. Un consiglio per chi consuma il lupino: la buona percentuale di ferro con- tenuta al suo interno è più facilmente assimilabile dall’organismo se abbinata ad una fonte di vitamina C, come ad esempio il succo di limone. Facilmente digeribili, grazie alle fibre in essi contenute, contribuiscono anche alla regolarità intestinale. “Alle virtù dei lupini già note, se ne aggiunge una recentissima: quella di riuscire a stimolare la produzione di insulina”. A sostenerlo sono dei ricercatori dell’Università Curtin di Perth, in Australia, dopo aver condotto uno studio che ha messo in eviden- za come la polvere ottenuta macinando i semi di lupini, consumata prima dei pasti, sia in grado di stimolare la secrezione di insulina, prevenire malattie cardiovascolari e ri- durre i picchi glicemici. “Quest’ultima proprietà è attribuibile a una proteina, la gam- ma-conglutina, contenuta nei lupini, che agisce riducendo lo zucchero nel sangue, che sappiamo essere un fattore critico nei diabetici. Per il momento lo studio è stato condotto in laboratorio, ma nel giro di qualche anno partirà la sperimentazione su pa- zienti e persone a rischio. L’idea è quella di riuscire a mettere a punto dei prodotti che contengano la polvere di semi di lupino da usarsi a scopo preventivo e terapeutico”106. Allo stesso risultato riguardo le proprietà della gamma-conglutina sono arrivati an- 105. Nino De Maria, “Alimentazione e tradizioni. Il lupino da cibo povero ad alimento gustoso e ricco di proprietà nutritive”, www.vdj.it, www.vdj.it/alimentazione-e-tradizioni-il-lupino-al-cen- tro-di-un-convegno-ad-acireale-da-cibo-povero-ad-alimento-gustoso-e-ricco-di-proprieta-nu- tritive/ 106. “Diabete: mangiare lupini fa bene, sapete perché?”, www.dilei.it, dilei.it/salute/diabete-i-lu- pini-fanno-bene/503135/

132 Mario Liberto che i ricercatori dell’Istituto San Raffaele di Milano. Il lupino ha anche principi attivi potenzialmente in grado di normalizzare il livello di colesterolo. Gli studi scientifici hanno dimostrato che le proteine contenute nel lupino aiutano a ridurre i livelli del “colesterolo cattivo” nel sangue favorendo quindi una riduzione del rischio di malat- tie cardiovascolari; inoltre è privo di glutine, può quindi essere utilizzato da chi ha problemi di intolleranza107. La novità più rilevante è quella che considera il lupino una fonte alimentare ricca di proprietà nutraceutiche e adatto ai celiaci essendo privo di glutine. Come spiega Cesare Sirtori, direttore del centro per le dislipidemie all’ospedale Niguarda di Milano e presidente della Società Italiana di Nutraceutica, «alle proteine alimentari è oggi riconosciuto un potenziale farmacologico, oltre che strutturale. Quelle contenute nel lupino aumentano l’espressione dei recettori per l’LDL: così da ridurre, in maniera consequenziale, i livelli del “colesterolo cattivo” nel sangue. Ma alle proteine conte- nute negli alimenti va riconosciuta anche un’altra proprietà: quella di controllare il senso di fame e l’introito di cibo». Diverse ricerche hanno provato ulteriori benefici garantiti da una dieta ricca di lupini: si va dalla riduzione della pressione sanguigna al miglioramento del transito intestinale, fino alla protezione dei vasi dalla formazione delle placche aterosclerotiche, preludio di infarti e ictus108. Afferma Chiara Magni, ricercatrice del Dipartimento di scienze per gli alimenti, l’ambiente e la nutrizione dell’Università Statale di Milano: è opportuno abbinare i lupini “a una fonte di cereali, che apportano un quantitativo adeguato di amminoaci- di solforati. Il consumo di 30 grammi di prodotto al giorno assicura il raggiungimen- to del 25% della dose giornaliera raccomandata per la quota di proteine”109. Oltre ai macronutrienti, i lupini assicurano un adeguato apporto di vitamine (fola- ti, niacina, B6 e beta carotene) e sali minerali (potassio, calcio e fosforo)110. La presenza di omega-3 e omega-6 si rivela un valido aiuto nel tenere sotto con- trollo uno dei possibili fattori di rischio per infarto e ictus: il colesterolo alto. In par- ticolare questi acidi grassi contribuiscono a ridurre il colesterolo cattivo LDL, tra i responsabili dell’insorgere di malattie cardiovascolari. A differenza degli altri legumi, il lupino contiene tracce di inibitori di lecitine, tripsina e isoflavoni e composti cianogeni che conferiscono al lupino proprietà nella prevenzione di malattie cardiovascolari (soprattutto l’ipertensione). I lupini sono estremamente utili per la perdita di peso e, poi, per mantenere il peso forma raggiunto: aiutano a controllare la fame stimolando il senso di sazietà, motivo per cui è un ottimo alimento da includere nelle diete dimagranti (100 grammi di lu-

107. “Alla scoperta del lupino, il legume sconosciuto dalle grandi proprietà benefiche”, www.ilfat- toalimentare.it, ilfattoalimentare.it/lupino-legume-milano.html 108. Idem. 109. Idem. 110. Idem.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 133 pini lessati apportano circa 116 calorie). Il loro indice glicemico è molto basso, con- tribuiscono ad abbassare i tassi di colesterolo e, pur volendo ammettere che le calorie sono pari a quelle di un piatto di pasta, basta qualche accorgimento per rispettare la dieta. Dice l’Inran (Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione) che basta mangiare un piatto “normale” (100 grammi) di legumi condito semplicemente con un po’ d’olio d’oliva e chiudere il pasto con un frutto per rispettare il calcolo delle calorie ammesse a pasto. Diverse ricerche hanno provato ulteriori benefici garantiti da una dieta ricca di lupini: riducono la pressione sanguigna e migliorano il transito intestinale. Infatti, grazie alla presenza di fibra, i lupini normalizzano il processo digestivo e le funzio- nalità intestinali e sono quindi utili in caso di stitichezza, nausea e vomito. Inoltre, la quantità di zinco presente aiuta il sistema immunitario e stimola il recupero in caso di infezioni111.

Le varietà Il Lupinus albus sembra facoltativamente ma sufficientemente autofertile, con per- centuali variabili di fecondazione incrociata. Il L. angustifolius è considerato comple- tamente autogamo. Il L. luteus ha fatto rilevare fecondazione incrociata sino al 30%. Le specie americane, il L. mutabilis ad esempio, sono a prevalente fecondazione incro- ciata. I caratteri ricercati nel miglioramento genetico del lupino sono: basso contenu- to di alcaloidi (lupini dolci), spermoderma permeabile, baccelli indeiscenti, accresci- mento rapido, resistenza specifica ai parassiti. Per il L. mutabilis sembra sia possibile realizzare un miglioramento che conduca a varietà contenenti fino al 30% in olio ed al 55% in proteine. Tra le varietà senza alcaloidi che ricorrono più frequentemente nella sperimentazione sul lupino degli ultimi anni sono: “Multolupa”, “Maxilupa”, “Belicus”, “Pflugultra” e “Ultra” del L. albus; “Marri”, “Unicrop”, “Uniharvest”, “Uniwhite”, “Barn”/ del L. angustifolius. Le vecchie varietà locali italiane traevano il nome dalla zona di coltivazione, come “Lupino di Cortale”, “di Vairano”, “di Cassi- no”112.

Guida all’acquisto I lupini possono essere mangiati crudi, ma prima di essere mangiati devono essere immersi in acqua per qualche giorno per far defluire un alcaloide amarissimo; quindi, devono essere sanati, ovvero bolliti in acqua e poi salati per immersione in una sala- moia. Nella tradizione catanese di solito venivano messi in un sacco di iuta e immersi nell’acqua di un fiume per qualche giorno prima di essere salati. I marinai, invece,

111. “5 motivi per cui vale la pena mangiare più lupini”, www.huffingtonpost.it, www.huffington- post.it/2017/09/04/5-buoni-motivi-per-cui-vale-la-pena-mangiare-piu-lupini_a_23195931/ 112. S. Foti, Op. Cit. pag. 355-360.

134 Mario Liberto mettevano i lupini direttamente a bagno nell’acqua di mare. Nella tradizione contadi- na erano indicati per purificare lo stomaco dalla eventuale presenza di tenie, Oxyurus vermicularis ed altri vermi intestinali.

Conservazione La conservabilità dei lupini prodotti industrialmente è di 90 giorni per i prodotti confezionati in atmosfera protettiva, e di 180 giorni per i prodotti in salamoia. Una volta aperta la confezione è consigliabile mantenere il prodotto in frigorifero e consu- mare entro una settimana.

I lupini in cucina I semi possono essere lessati e mangiati da soli od in insalate miste oppure tostati. Oggi i lupini più che un alimento sono uno snack che possiamo trovare sulle banca- relle delle sagre e delle fiere paesane. La farina prodotta con i lupini può essere utilizzata per produrre pane, biscotti e pasta. Si possono anche preparare burger, polpette e cotolette, ecc. La maggior parte dei lupini deve essere trattata in modo da neutralizzare gli alcaloi- di che li rendono amari: ricoprire 500 grammi di lupini con 1,5 1itri d’acqua fredda e lasciarli in ammollo 12 ore; sgocciolarli, sciacquarli e ricoprirli d’acqua fresca; cuocerli dolcemente fino a quando saranno teneri, per circa 2 ore. Siccome sono molto consi- stenti, la cottura si accerta trapassandoli con la punta di un coltello; scolarli, ricoprirli d’acqua fredda e lasciarli riposare fino a completo raffreddamento; scolarli nuova- mente, ricoprirli ancora d’acqua fredda, aggiungere 30 grammi di sale e riporre i lupini in luogo fresco (ma non in frigorifero); lasciarli a bagno 6-7 giorni cambiando l’acqua salata 2 volte al giorno; quando ogni traccia d’amaro è scomparsa, conservare i lupini in frigorifero in acqua salata, chiusi in un contenitore ermetico; scolare la quantità ne- cessaria e servirli al naturale oppure irrorati con succo di limone. Nonostante il buon valore nutrizionale, i lupini oggi non sono molto considerati, anche se sono ancora proposti nelle fiere di paese e nelle sagre, soprattutto nell’Italia centro meridionale, nei chioschi o nei bar dove si servono tostati con l’aperitivo. In cucina sono utilizzati principalmente per la preparazione di minestre, insieme ad altri ingredienti. I lupini si utilizzano soprattutto come contorno e per preparare polpette di legumi e burger vegetali. Per queste preparazioni è semplicissimo usare i lupini precotti che troviamo in vendita nei negozi di alimentari. Con questi legumi si produce la farina di lupini che si usa in particolare per preparare burger vegetali, polpette vegetali, pasta, pane, grissini, farinate, zuppe e vellutate, cracker, pastelle e panature, focacce, torte sa- late. Potrete usare i lupini soprattutto come contorno, come ingrediente per le zuppe rustiche, nei minestroni e tra gli aperitivi. I lupini sono adatti ai celiaci che trovano in essi un’ottima alternativa di approv- vigionamento dei nutrienti; donano un rapido senso di sazietà, aiutano a dimagrire

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 135 nell’ambito di una dieta complessivamente bilanciata. I lupini sono deliziosi accostati alle olive, in fresche insalate, sotto forma di maio- nese (frullati con qualche cucchiaio d’olio, di senape e col succo di limone) o di farina, utile alla realizzazione di frolle, dolci lievitati e creme113. L’energia sprigionata dal lupino è di così alta qualità che ne è consigliato l’utilizzo nelle diete povere di carne e pesce, quindi di proteine, ed è quindi molto conosciuto dai vegani e dai vegetariani che lo utilizzano proprio per bilanciare i nutrienti.

Lupino e cosmesi Ultimamente il lupino è stato anche scoperto dall’industria cosmetica. L’olio otte- nuto dalla spremitura a freddo dei semi è un ottimo antirughe, antiossidante, protet- tivo della cute dai raggi solari UV. Sono tantissimi i prodotti che al loro interno hanno l’estratto di lupino, perché pare abbia un effetto altamente elasticizzante dei tessuti cutanei prevenendo l’invecchiamento e favorendo l’eliminazione dei radicali liberi. In particolare, unito a tè verde e ad altre sostanze, è un ottimo antirughe. Unguenti, maschere ed estratti di lupino sono facilmente reperibili in erboristeria114. La farina ottenuta dalla macinazione dei semi secchi può essere impiegata per cu- rare alcune malattie della pelle, oltre che come rimedio antidiabetico e vermifugo; ma nonostante i buoni valori nutrizionali, i lupini oggi non sono più molto valorizzati115.

113. “Lupini: proprietà benefiche, cosmetiche e impieghi in cucina”, www.meteoweb.eu, www. meteoweb.eu/2017/11/lupini-proprieta-benefiche-cosmetiche-impieghi-cucina/998333/#APg- q0Rwvv8fR4m2G.99 114. “In bocca al lupino”, www.slowfood.it, www.slowfood.it/wp-content/uploads/blu_facebo- ok_uploads/2014/09/legumi.pdf 115. Idem.

136 Mario Liberto CAPITOLO XVII LA SOIA (GLYCINE MAX)

Introduzione La soia è una pianta della famiglia delle Leguminose o Fabaceae originaria dell’Asia. Nonostante la soia non faccia parte della nostra tradizione alimentare, da parecchi anni la troviamo, sotto varie forme, sulle nostre tavole, soprattutto come cibo dal for- te connotato salutistico. È un alimento che può essere un utile complemento alla nostra dieta e in alcuni casi, come per chi segue una dieta vegetariana, può avere un ruolo molto importante. Ha un aspetto erbaceo e cespuglioso ed ha un’altezza di circa 1 metro. La coltivazione della soia è diffusa nel nord Italia. È una delle più importanti piante alimentari per la ricchezza dei semi in olio e, so- prattutto, in proteine. Per l’alimentazione umana si usano i semi, che possono essere consumati, interi o macinati, sotto molte forme: farina, latte, olio, salsa, tofu, tempeh, miso, tamari, ecc. Il seme fresco si raccoglie quando è giovane, prima che divenga oleoso e amidaceo. In tale stadio si può consumare sgranato o intero, o cucinare come i fagioli secchi. Per sgranarlo più facilmente, lo si può sbollentare per 5 minuti oppure cuocerlo diretta- mente con il baccello.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 137 Dalla spremitura dei semi si ricava un olio per l’alimentazione umana, usato anche nell’industria dei saponi e per produrre margarina. Dai semi schiacciati si ottiene un latte paragonabile per qualità al latte vero116.

Importanza economica La soia è un legume (scientificamente Glycine max) che viene largamente usato per l’alimentazione dell’uomo e degli animali da allevamento. Ad oggi è uno dei prodotti alimentari più coltivati nel mondo. La produzione mondiale si attesta attualmente a circa 353 milioni di tonnellate117. I più grossi produttori di soia sono i Paesi asiatici, come Cina, India e Giappone nei quali la soia è utilizzata essenzialmente per l’alimentazione umana. Altri produttori, come Stati Uniti, Brasile e Argentina, impiegano la soia per fare mangimi destinati all’allevamento. In Europa è stata prima coltivata come curiosità botanica con il nome di “pisello cinese” o “fagiolo giapponese”; nel XIX secolo è iniziata invece la coltiva- zione su vasta scala. Attualmente i maggiori produttori mondiali sono gli Stati Uniti. La soia italiana risponde alla crescente domanda di proteine vegetali in Europa, proponendo soia di qualità, di origine controllata, NO OGM, secondo i principi di sostenibilità. «In Italia, oltre un milione di tonnellate di soia è garantito ogm free. La soia, infatti, sta facendo breccia nel carrello della spesa dei consumatori, che essendo sempre più attenti alle etichette, premiano i prodotti a base di soia italiana»118.

Storia La grande enciclopedia delle Erbe asserisce che: “Secondo la tradizione cinese, la soia fu creata da Hou Tsi, il dio della coltivazione agricola. Egli, però, fece in modo che la pianta crescesse solo su una collina disabitata, e del tutto sconosciuta all’uomo. Un giorno alcuni mercanti furono assaliti da dei banditi e si rifugiarono proprio su quella collina. Lì rimasero alcuni giorni e, vinti dalla fame, decisero di assaggiare i se- mini di una pianta che non avevano mai veduto. Quei mercanti si resero subito conto di aver fatto una scoperta sensazionale e, tornati a casa, fecero conoscere a tutti la soia. Secondo la leggenda giapponese, invece, la soia sarebbe nata dalla dea del cibo, uccisa dal dio del mare. Dal suo corpo sarebbero stati generati il miglio, l’orzo e la soia” 119. La soia è originaria dell’Oriente, in particolare del Giappone dell’Indocina e di Gia-

116. Bertino Andrèe e Valla Fredo, “I Vegetali: curiosità, leggende e meraviglie”, Editrice Piccoli, Cremona, 1997, Pag. 107. 117. Fonte FAO Dati 2017. 118. “Boom della soia non ogm in Italia: superati i 400 mila ettari e i 40 euro/quintale”, www.ilnuovoagricoltore.it, www.ilnuovoagricoltore.it/boom-della-soia-non-ogm-in-italia-supe- rati-i-400-mila-ettari-e-i-40-euroquintale/ 119. AA. VV, “La grande enciclopedia delle Erbe”, © RL Gruppo Editoriale, Santarcangelo di Ro- magna (RN), 2010, pag. 305-429.

138 Mario Liberto va. Il suo nome deriva da , uno dei suoi tanti nomi antichi120. Un libro di medicina scritto cinquemila anni fa dal filosofo Honaudi parla delle buone qualità della soia. L’imperatore cinese Shen-Nung, vissuto all’incirca nello stesso periodo, istituì la Festa delle Cinque Piante, proprio per onorare riso, soia, sorgo, frumento e miglio: i princi- pali alimenti del popolo. In Cina la soia la si fa risalire ad almeno 13000 anni, cosa che ne fa una delle piante di più antica coltura. “I fagioli di soia sembrano potersi collegare agli esseri umani fin dai primi insedia- menti sorti nel nord della Cina”, afferma Gary Crawford, dell’Università di Toronto Mississauga, coautore dello studio. “La soia sembra essere una pianta che si adatta bene a un habitat sottoposto all’impatto dell’uomo. A sua volta l’uomo ha comincia- to presto a imparare la gustosità e l’utilità della soia”121. Per i cinesi la soia è considerata tra i cinque semi della vita, insieme con il riso, l’orzo, il frumento e il miglio. La soia in Europa è arrivata solo a partire dal XVII secolo, per opera di un botanico tedesco. Introdotta negli Stati Uniti all’inizio del XIX secolo, la coltura intensiva si affermò a partire dagli anni Trenta. Durante la prima guerra mondiale i soldati austriaci mangiavano soia nel loro rancio. Una parte importante della produzione mondiale della soia è destinata all’alimentazione degli animali d’al- levamento sotto forma di farine o panelli. Una parte è usata anche come fertilizzante, nonché per usi industriali (cosmetici ecc.). La storia della soia e il suo utilizzo non hanno una grande tradizione in Occidente, dato che questo alimento giunse in Euro- pa solo verso la metà del Settecento a opera dei Gesuiti. Inoltre, fino all’inizio del XIX secolo, la pianta fu conservata negli orti botanici e nei giardini da esposizione come una rarità esotica. Più in generale ai giorni nostri questo legume è usato per moltissimi derivati: salsa di soia, germogli di soia, latte di soia, farina di soia, dai quali poi derivano altrettante varietà di prodotti alimentari122. Ed anche miso, olio, fiocchi, lecitina di soia, pane di soia, carne di soia, tamari e shoyu.

120. Bertino Andrèe e Valla Fredo Op. Cit. 121. “5500 anni fa la prima domesticazione della soia”, www.lescienze.it, www.lescienze.it/ news/2011/11/21/news/retrodatata_la_prima_domesticazione_della_soia-677430/ 122. “Le proprietà e i benefici della soia”, www.viveresano.net, www.viversano.net/alimentazione/ mangiare-sano/proprieta-della-soia/

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 139 Aspetti nutritivi Per la Grande Enciclopedia delle Erbe123, la soia è capace di dare vita a circa quattro- cento prodotti, ognuno con caratteristiche e proprietà diverse. La soia, più digeribile di altri legumi, è quasi completamente priva di carboidrati mentre è ricca di minerali, vitamine e fibre che aiutano l’intestino pigro. La soia contiene circa il 40% di proteine, più di qualunque altro vegetale. Si tratta di proteine di alta qualità, perché contengono tutti gli amminoacidi essenziali che il corpo umano deve introdurre dall’esterno con la dieta. Sono proteine di qualità simile a quelle della carne ma hanno il pregio di non contenere colesterolo. Le proteine della soia hanno un discreto profilo amminoacidico con un valore bio- logico inferiore a 75, ed un rapporto di efficienza proteica di 2,1. La soia, oltre a contenere il 40% di proteine, di cui il 9% di amminoacidi essenziali, contiene grassi per circa il 20% che per la loro quasi totalità (90% circa) appartengono alla categoria dei grassi insaturi. La proteina della soia, la glicinina, ha un alto valore biologico che è più elevato che in qualsiasi altro alimento vegetale; inoltre è ricca di lisina, triptofano, metionina e cistina, tutti amminoacidi essenziali per il metabolismo degli organismi viventi superiori. È anche una buona fonte di fosforo, potassio, vitamine del gruppo B, zinco, ferro e vitamina antiossidante E. Grazie alla presenza di calcio, favorisce la mineralizzazione delle ossa prevenendo l’osteoporosi. Il ricco contenuto di fibre rendono utile la soia per regolare l’intestino. La soia facilita il transito intestinale, regolarizzando l’apparato digestivo. Avendo un basso indice glicemico, la soia e i suoi derivati regolano la glicemia. Contiene poi acidi grassi polinsaturi omega-3, che proteggono l’apparato cardiovascolare. Grazie ai suoi amminoacidi essenziali e alla lecitina, una miscela di grassi, per la maggior parte fosfolipidi, aiuta a contrastare il colesterolo e a ridurre il rischio di ate- rosclerosi e infarto. Avendo un basso indice glicemico, la soia e i suoi derivati regolano la glicemia; è stato anche osservato un ruolo nella regolazione del senso della sazietà. Questo legume è una fonte di fitoestrogeni (isoflavoni), composti che possono essere utili in menopausa per riequilibrare le carenze ormonali. I semi di soia, essendo depurativi e diuretici, sono indicati per chi soffre di proble- mi renali e contengono un oligonutriente, il molibdeno, che ha un ruolo fondamen- tale per la formazione di enzimi utili al fegato124. L’interesse per le proprietà benefiche della soia ebbe inizio quando alcuni studi epidemiologici condotti su popolazioni asiatiche misero in luce una minore incidenza di alcune forme tumorali come il cancro alla mammella, al colon e alla prostata. Si ipotizzò quindi l’esistenza di una relazione tra consumo di soia e ridotta incidenza di

123. AA. VV, Op. Cit. pag. 305-429. 124. “Cuocere i legumi in pentola a pressione”, www.blog.spadellandia.it, blog.spadellandia.it/ cuocere-i-legumi-in-pentola-a-pressione/

140 Mario Liberto questi disturbi e patologie. La soia protegge inoltre l’organismo femminile dalle malattie cardiovascolari ab- bassando la pressione arteriosa ed il colesterolo, migliorando l’elasticità delle arterie e combattendo i radicali liberi. Purtroppo tutti questi effetti benefici sono ancora in attesa di conferma. Anche i germogli sono commestibili, ma con il nome di “germogli di soia” vengono generalmente commercializzati i germogli di fagiolo mung (Vigna radiata) e non del seme di soia. L’industria alimentare moderna fa largo uso della lecitina estratta dalla soia come agente emulsionante (E322). Il latte di soia è una bevanda ricca di proteine, povera di lipidi e di calcio e senza colesterolo, mentre l’olio di soia è un eccellente olio alimentare, facilmente digeribile contenente una proporzione assai equilibrata di acidi grassi omega-6 e omega-3. Gli acidi grassi insaturi sono relativamente sensibili alla temperatura e possono generare delle catene policicliche (Benzopirene) potenzialmente cancerogene alla temperatura delle fritture per uso culinario, uso che deve pertanto essere evitato. La media nell’olio di soia è la seguente: acidi grassi saturi 16%; acidi grassi monoinsaturi (omega-9) 24%; acido linoleico (omega-6) 53%; acido α-linoleico (omega-3): 7%125. La farina di soia, da utilizzare miscelata ad altre farine, con il suo 40% di proteine e il 20% di grassi insaturi, rappresenta un apporto alimentare importante soprattutto per i vegetariani126. “È importante sapere che la soia cruda contiene una sostanza proteica l’antitripsi- na, cioè una sostanza in grado di inibire l’attività enzimatica della tripsina e quindi l’utilizzazione dei preziosi amminoacidi che contiene, oltre ad altri fattori ad azione allergenica e antitiroidea; queste sostanze nocive, tuttavia, sono disattivate a tempera- tura superiore agli 85 °C. Per la corretta utilizzazione del seme, pertanto, è indispensa- bile una sua adeguata cottura”127. La soia viene usata anche per produrre il tamari, una salsa scura che è ottima per condire insalate, riso e verdure128.

Le varietà La soia comprende diecimila specie diverse per dimensione e colore. La soia può essere gialla, verde, nera e rossa nella qualità più pregiata, ed è consigliata in tutti i problemi renali. Quella verde (che non è altro che la soia gialla raccolta prima della maturazione completa e fatta germogliare per 4-5 giorni) è importante per il suo alto contenuto di magnesio di cui è ricca la clorofilla, concentrata in grosse quantità nel germoglio che è lungo una ventina di centimetri. La soia gialla, molto meno usata a

125. AA.VV., “Il grande libro degli alimenti”, Op. Cit., Pag. 166, 167. 126. AA. VV., “La grande enciclopedia delle erbe”, Op. Cit., Pag. 305-429. 127. AA. VV, “La grande enciclopedia delle erbe”, Op. Cit., pag. 305-429. 128. Idem.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 141 causa della lunga cottura che deve subire, è senza dubbio la più preziosa e versatile delle tre129. La soia nera è benefica per reni e milza130.

Guida all’acquisto La soia può essere acquistata sotto varie forme. Innanzitutto possiamo acquistare la soia in semi e trattarla in modo analogo ai fagioli o ai ceci, aggiungendola a minestre e zuppe. Dai semi è possibile estrarre il latte di soia che costituisce una alternativa per chi soffre di intolleranza al lattosio ma non vuole rinunciare a un bicchiere di latte. Dal latte di soia è possibile ottenere il tofu, chiamato anche impropriamente for- maggio di soia, che è ormai facile da trovare anche nei supermercati. Ha una consi- stenza gommosa ed è praticamente inodore e insapore: proprio per questo è adatto a essere aggiunto a piatti di ogni tipo, dalle insalate agli antipasti ai dolci, a cui apporterà tutte le virtù del legume. Ogni popolo che coltiva soia ha dato vita ad una serie di derivati che caratterizzano intere nazioni: il tempeh è di origine indonesiana è fatto con la soia gialla fermentata ed è chiamato anche “carne di soia”. La cucina giapponese utilizza lo shoyu, la comune salsa di soia, e il tamari, una salsa più salata dello shoyu. La soia, insieme al mais, è la pianta su cui si è maggiormente sviluppato il mercato dei vegetali transgenici, o organismi geneticamente modificati, gli OGM. Oggi, buo- na parte della soia in commercio è OGM: per essere sicuri di evitare il transgenico, si dovrebbero scegliere prodotti bio o biodinamici131. Se non volete mangiare prodotti transgenici, dovete leggere con attenzione le etichette delle confezioni per verificare che sia esplicitamente specificato “non contiene OGM”. Questa attenzione non è ne- cessaria per i prodotti biologici perché in questo tipo di agricoltura i prodotti OGM sono vietati132. La lecitina di soia è una sostanza naturale che fu isolata per la prima volta dal rosso d’uovo nel 1850 da Maurice Gobley. La lecitina ha una composizione chimica molto complessa e le sue proprietà emulsionanti le permettono di formare una sospensione di colesterolo nel sangue diminuendo significativamente il rischio di aterosclerosi, infarto ed ictus cerebrale133. Il suo impiego è anche utile in quello alimentare; infatti, è ottima come emulsionante ed esaltatore di aromi (gelati, biscotti, dolciumi ecc.) e in campo industriale come ingrediente per la produzione di vernici e di gasolio eco- logico. Nei prodotti da forno l’aggiunta di farina di soia migliora i valori nutrizionali

129. Idem. 130. Remigio Baldoni e Luigi Giardini, “Coltivazioni erbacee”, Pàtron editore, Bologna, 1986, 408. 131. Art. Cit., blog.spadellandia.it/cuocere-i-legumi-in-pentola-a-pressione/ 132. Pier Francesco Lisi, “101 buoni alimenti che si prendono cura di noi”, Newton Compton Editori, Roma 2011, Pag. 159, 160. 133. “Soia”, www.adocnazionale.it, www.adocnazionale.it/soia-2/

142 Mario Liberto aumentando il contenuto in fibre e proteine. Il latte di soia ha un alto concentrato di proteine, ricco di acidi polinsaturi e leci- tina, consigliato agli sportivi ma soprattutto ai malati cardiaci e arteriosclerotici, in quanto impedisce il formarsi di depositi di colesterolo e di grassi sulle pareti delle arte- rie. Inoltre è consigliato come lassativo, rafforza l’apparato digerente, è alcalinizzante ed è quindi indicato in gravidanza, durante 1”allattamento perché migliora la qualità e la quantità del latte prodotto, per i diabetici perché povero di amidi, nei problemi di ipertensione, arteriosclerosi, anemia, per i neonati allergici al latte materno ecc.134

Conservazione della soia “La farina di soia è priva di glutine, perciò non lievita. È 2-3 volte più proteica e, se non sgrassata, 10 volte più grassa della farina di frumento. La farina di soia sgrassata si conserva a temperatura ambiente, mentre quella inte- grale si deve tenere in frigo perché irrancidisce rapidamente.

La soia in cucina “La farina di soia si usa soprattutto per addensare le salse o per confezionare torte, muffin e biscotti, che rende nutrienti. Poiché non lievita, non può sostituire comple- tamente la farina di frumento. Inoltre, per il suo sapore assai pronunciato, è opportu- no usarla in quantità ridotte. Se ne può ricavare un succedaneo del caffè che si ottiene dai semi torrefatti, ma- cinati e messi in infuso appunto, come il caffè, di cui ricordano in qualche modo il sapore”135. Il seme di soia fresco, così come gran parte delle leguminose e alcuni cereali, con- tiene fattori antinutrizionali quali inibitori della tripsina e acido fitico. Perciò per la preparazione della soia, dopo averla sciacquata, tenetela in ammollo per diverse ore, meglio se tutta la notte. L’acqua di ammollo dovrà essere buttata via mentre la soia andrà cucinata per circa 2 ore o fino a quando non risulterà morbida. La fermenta- zione e la cottura neutralizzano l’azione di queste sostanze, quindi è obbligatoria una cottura accurata dei fagioli di soia. Inoltre, la soia cotta è più digeribile e più facilmen- te assimilabile. Molti degli alimenti dei popoli asiatici a base di soia come il tamari, il latte e il tofu, vengono fermentati; questo processo inibisce i fattori anti nutrizionali che sono con- seguenza disattivati. Il latte di soia (o filtrato di soia) si estrae dal suo seme. L’utilizzazione del seme di soia ad uso alimentare è molto differente e dipende dai gusti; può essere consumato fresco, allo stato secco, frantumato, germogliato, arrosti- to, macinato (farina), pressato (Olio) e fermentato (Miso, Salsa di soia, Tempeh). La soia è eccellente per la preparazione di zuppe e minestre; non si spappola e conferisce

134. AA. VV., “La grande enciclopedia delle erbe”, Op. Cit., pag. 305-429. 135. Idem.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 143 al piatto il suo inconfondibile sapore di nocciola. Il seme secco richiede almeno 3 ore di cottura, e addirittura da 7 a 9 ore per alcune varietà. I semi sono cotti quando cedono facilmente alla pressione della forchetta. È necessario utilizzare una maggior quantità d’acqua rispetto alle leguminose e durante la cottura sorvegliarne il livello, perché la soia ne assorbe in abbondanza. Per la cottura nella pentola a pressione, cuocere i semi di soia senza coperchio fino all’’ebollizione, così da poter eliminare la schiuma, poi abbassare la fiamma allo stabi- lirsi di un modesto sobbollimento. Inserire allora il coperchio e, raggiunta la pressio- ne, far cuocere per 30 minuti, il tempo necessario per semi di soia tenuti preliminar- mente a bagno. Semi e acqua di cottura non dovranno riempire la pentola a pressione per oltre un terzo della capacità136. L’accostamento cereali/leguminose è alla base dell’alimentazione vegetariana, in Cina, come in India. Due tecniche possono massimizzare l’assorbimento dei principi nutritivi delle leguminose: la prima, usata soprattutto in India, consiste nel lasciare a mollo i cereali e i legumi, stimolando così la germinazione, che nello specifico miglio- ra la capacità di assorbimento del ferro; la seconda, tipicamente cinese, mira a servire i piatti con salse fermentate (salsa di soia per esempio)137.

Il Tofu o formaggio di soia Il Tofu o formaggio di soia, morbido o denso, ha pochi grassi saturi (15%) mentre è ricco di grassi insaturi (80%); è privo di colesterolo, ricco di vitamine B1, B2, E, calcio, fosforo, ferro, potassio, sodio ed è inoltre alcalinizzante e facilmente digeribile: per tutte queste caratteristiche si rivela un ottimo alimento per i malati con problemi circolatori, di cuore e di arterie, oltre che per gli anziani, i diabetici e i bambini in genere138. Questo alimento, chiamato doufu in Cina, paese da cui proviene, è prodotto da oltre 2.000 anni e ha un ruolo importante nella cucina asiatica. I giapponesi lo sco- prirono intorno all’VIII secolo e lo chiamarono tofu; grazie a loro è conosciuto nel mondo occidentale. «Il tofu si ricava dalla lavorazione del latte di soia con l’aggiunta di un caglio “sala- to”. Ha un processo di lavorazione simile ai comuni formaggi, poiché è ottenuto dalla coagulazione del latte di soia e ha un contenuto proteico affine a molti latticini freschi (intorno ai 14 grammi di proteine per 100 grammi). Si tratta di un prodotto 100% vegetale con un contenuto di grassi prevalentemente insaturi, circa 8 grammi per 100 grammi di prodotto, e un contenuto energetico che si aggira intorno alle 130 calorie

136. AA.VV., “Il grande libro degli alimenti”, Ed.Giunti, Milano, 2014, pag. 166, 167. 137. Fumey Gilles e Etcheverria Oliver, “Atlante mondiale della gastronomia”, Antonio Vallardi Editore, Milano, 2010, pag. 11. 138. Idem.

144 Mario Liberto per etto. A seconda della tecnica di lavorazione, si possono ottenere diversi tipi di tofu. Al momento dell’acquisto preferite prodotti di origine biologica, che saranno OGM free e privi delle sostanze chimiche utilizzate nella coltivazione intensiva della soia»139.

Soia e cosmesi La soia per la sua versatilità di preparazione, ma soprattutto per gli usi e le modalità di utilizzo, è tra i legumi che vengono utilizzati come alleati per migliorare la propria bellezza. Infatti, gli estratti di questo legume, sono tra gli ingredienti più utilizzati in cosme- tica. «Sono inseriti nei prodotti viso e corpo perché proteggono dai radicali liberi e dalle infiammazioni cutanee, dunque dal crono e dal fotoinvecchiamento. A garantire que- ste performance della soia sono soprattutto gli antiossidanti isoflavoni, dei fitormoni attivi, specie grazie alle molecole genisteina e daidzeina. In particolare, la genisteina stimola la produzione di collagene ed elastina: per questo ha un effetto ricompattante e tonificante»140. La soia, in cosmesi, può essere utilizzata sotto varie forme, tra cui l’olio di soia che può essere ottenuto per spremitura a freddo, oppure tramite solventi chimici. “L’olio di soia estratto per spremitura si trova nei negozi di alimenti bio. L’olio di soia reperibile nei supermercati è il risultato dell’estrazione tramite solventi chimi- ci”141. Su Tuttogreeen Maura Lugano spiega che «l’olio di soia a livello cosmetico è usato soprattutto, da solo o unito a creme o altri olii vegetali, come sostanza antismagliatu- re. Grazie agli isoflavoni combatte le smagliature e la disidratazione dei tessuti perché forma uno strato idrolipidico protettivo che ostacola la perdita di liquidi». «L’olio di soia protegge la pelle dagli agenti esterni, dai raggi solari, dalle infiam- mazioni, aiuta la produzione di collagene e di acido ialuronico e combatte l’elastasi, cioè l’enzima che attacca il collagene. Poiché è povero di vitamina E, per fare un tratta- mento antismagliature che sia anche elasticizzante, occorre miscelare l’olio di soia con l’olio elasticizzante per eccellenza, che è l’olio di mandorle dolci, oppure con l’olio di

139. “Tofu: “il formaggio” che viene dalla soia”, www.salepepe.it, www.salepepe.it/news/benesse- re/tofu-formaggio-viene-dalla-soia/ 140. Borellini Umberto, cosmetologo, docente della Scuola superiore di medicina estetica Agorà di Milano. “Soia: preziosa alleata di bellezza”, www.starbene.it, www.starbene.it/bellezza/corpo/ soia-benefici-bellezza/ 141. “Quello che c’è da sapere sull’olio di soia: usi, benefici e avvertenze relative a questo olio ve- getale” www.tuttogreen.it, www.tuttogreen.it/olio-di-soia-proprieta/

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 145 rosa mosqueta»142.

Trattamento per il corpo Ingredienti: 50 ml di olio di soia, due cucchiaini di olio di rosa mosqueta. Preparazione: in una ciotola si mescolano i due oli; quando sono ben amalgamati si applicano sulla pelle pulita, nei punti critici o su tutto il corpo, a seconda delle esi- genze. Si lascia in posa per quanto più tempo si può, comunque non meno di 20 minuti, poi si rimuove l’olio rimasto in eccesso con un asciugamano morbido143.

Per idratare e nutrire i capelli Ingredienti: un cucchiaio di olio di soia, due cucchiai di olio di ricino. Preparazione: In una ciotola si uniscono i due ingredienti e si mescolano per farli amalgamare. Si fa intiepidire lievemente il composto a bagnomaria e poi si applica sul- la capigliatura massaggiando bene in modo che l’impacco venga bene a contatto con i capelli ma anche con il cuoio capelluto. Si lascia in posa per circa mezz’ora; quindi si procede al normale shampoo144.

Massaggi e la cura della pelle La soia si usa anche per i massaggi e la cura della pelle del corpo, in quanto aiuta ad attenuare e prevenire le smagliature, mantenendo il derma giovane. Inoltre svolge una buona azione idratante, creando un film protettivo sulla pelle in grado di rallentare la disidratazione della cute, migliorando quindi tono ed elasticità. Spalmato sulla pelle del viso e del corpo la protegge dagli agenti esterni, dai raggi solari, dalle infiammazio- ni e al contempo aiuta la produzione di collagene e di acido ialuronico, combattendo l’elastasi, l’enzima che attacca il collagene.

Curiosità L’olio di soia si usa anche in agricoltura per creare degli efficaci antiparassitari e può essere impiegato come biodiesel; inoltre si impiega nell’industria chimica per la preparazione di vernici, lubrificanti, adesivi, resine o plastiche145.

142. Idem. 143. Idem. 144. Idem. 145. “L’olio di soia, tutti gli usi”, www.cure-naturali.it, www.cure-naturali.it/articoli/rimedi-natu- rali/erboristeria/olio-di-soia-proprieta-usi.html

146 Mario Liberto CAPITOLO XVIII COME SI CUCINANO I LEGUMI

L’uso gastronomico dei legumi è estremamente vario, possono essere utilizzati per realizzare zuppe, stufati, risotti, insalate, ecc. Quasi tutti i legumi, soprattutto le fave e i piselli, possono essere consumati verdi, conditi con po’ di sale, olio, formaggi ed erbe aromatiche o particolari salse, formaggi e salumi:, si tratta di piatti facenti parte della cultura regionale del Lazio, della Sicilia e della Puglia. In molte regioni accom- pagnano i piatti di carne, salsicce, ortaggi e uova. Insomma, ogni regione ha i propri piatti tradizionali. Il piatto che soddisfa i palati dei buongustai è la “zuppa di legumi e cereali”, che può essere preparata con la pasta, preferibilmente corta, spezzettati, ditali, pici, ecc., (ogni regione ha la sua combinazione) o utilizzando fette di pane tostato, meglio se raffermo. Ecco le fasi.

Fase di ammollo Ci sono due tecniche per l’ammollo: quello lento e l’altro rapido. È fondamentale comunque che l’acqua utilizzata per l’ammollo sia abbondante poiché i legumi si gon- fiano e raddoppiano il loro peso e triplicano il loro volume.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 147 Ammollo tradizionale • esaminate i legumi eliminando eventuale sabbia, ghiaia o altri frammenti di materiali vari; • sciacquateli e rimuovete le bucce che si staccano; • mettete i legumi in ammollo in una ciotola per diverse ore (8–10) o tutta la notte; • scolateli, eliminate l’acqua d’ammollo, ripetete per almeno un paio di volte; • procedete con la ricetta prestabilita.

Ammollo rapido Questo metodo vi eviterà di mettere in ammollo i legumi per una notte intera. • esaminate i legumi eliminando eventuale sabbia, ghiaia o altri frammenti di materiali vari; • sciacquateli e rimuovete le bucce che si staccano; • mettete i legumi in una pentola capiente e copriteli con circa 5 centimetri di acqua fredda; • mettete la pentola sul fuoco e portate a ebollizione, poi fateli sobbollire per due-tre minuti; • togliete dal fuoco e coprite con un coperchio; • lasciate i legumi in ammollo, coperti per un’ora, poi scolateli. Ricordate che alcuni legumi vanno fatti bollire ulteriormente per almeno 10 minuti per de- gradare le tossine.

Cottura legumi La cottura dei vari legumi dipende essenzialmente dal tipo di legume e dalle varietà impiegate. In genere le lenticchie vanno cotte per circa un’ora, mentre le altre varietà di legumi per 2-3 ore. • Mettete i legumi in una pentola (c’è da dire che i risultati migliori si ottengo- no utilizzando la tradizionale pentola di terracotta che distribuisce il calore in maniera uniforme e moderata), coprite con abbondante acqua fredda e portate a bollore; la quantità d’acqua dovrà essere all’incirca il triplo del volume dei legumi utilizzati; • raggiunta l’ebollizione abbassate la fiamma che dovrà essere appena percepibi- le; • eliminate la schiuma che si è formata in superficie; • aromatizzate aggiungendo una foglia di alloro e uno spicchio d’aglio, oppure in base alla preparazione anche una carota a pezzettini, una costa di sedano e

148 Mario Liberto qualche pomodoro; • proseguite la cottura per circa 2 ore e mezza; • durante la cottura non bisogna mescolare i legumi per non rovinarli.

La cottura nella pentola a pressione I legumi cotti nella pentola a pressione devono raggiungere l’ebollizione a pento- la scoperta per poter eliminare la schiuma, poi si ridurrà l’intensità della fiamma la- sciando sobbollire e si chiuderà con il coperchio, calcolando i tempi di cottura dal momento in cui sarà stata raggiunta la pressione. Evitare di cuocere i legumi secchi in grande quantità poiché, cuocendo, aumentano di volume, raddoppiano o addirittura triplicano la quantità iniziale, inoltre bisogna evitare di cuocere a fiamma alta. Terminata la cottura occorre far raffreddare la pentola. È sempre bene controllare la pulizia del regolatore di pressione e della valvola di sicurezza per scongiurare il ri- schio di blocco; se il regolatore di pressione o la valvola di sicurezza si bloccano, cosa alquanto rara, spegnere il fornello e pulire le valvole con cura. Trasferire immediatamente la pentola sotto il getto dell’acqua fredda e pulirli con cura. Fare attenzione alla quantità: ogni pentola a pressione presenta al suo interno una tacca che indica il volume massimo raggiungibile dal contenuto inserito all’interno.

I legumi cucinati con il forno a microonde La cottura nel forno a microonde ti permette di dimezzare il tempo di preparazione delle lenticchie. Per questo devi solo lavare bene le lenticchie, mettile in un conteni- tore adatto per il forno a microonde, versa dell’acqua fredda (usa le stesse proporzioni come per le lenticchie lessate) e copri con un coperchio o della pellicola alimentare (attenzione, usa sia il coperchio sia la pellicola alimentare adatta alla cottura al mi- croonde). Cuoci le lenticchie per 20 minuti alla potenza di 500W. Una volta pronte, aggiungi un pizzico di sale e un filo d’olio.

Come conservare i legumi cotti Le leguminose secche si conservano anche un anno senza perdere il loro valore nu- tritivo se tenute in un contenitore a chiusura ermetica in un luogo fresco e asciutto. Evitare di riporre nel medesimo legumi acquistati in tempi e luoghi diversi. I legumi cotti si conservano circa 5 giorni in frigorifero e fino a 3 mesi nel congelatore chiusi in contenitori ermetici oppure in appositi contenitori coperti però con la loro acqua di cottura.

Alcuni accorgimenti per migliorare la cottura dei legumi Durante la cottura bisogna evitare di aggiungere sale o sostanze acide (come limone o aceto) prima che i legumi siano quasi cotti: questi ingredienti possono infatti osta-

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 149 colare l’intenerimento delle bucce. Il consumo di quantità rilevanti di legumi può provocare lo sviluppo di gas inte- stinali (flatulenza) e altri disturbi digestivi. La causa va ricercata nella presenza nei legumi stessi di particolari carboidrati (raffinosio, stachiosio e verbascosio) che non vengono eliminati con la cottura e non possono essere digeriti, in quanto nel nostro intestino mancano gli enzimi specifici in grado di attaccare quelle molecole, le quali quindi sono degradate ad opera della flora batterica intestinale, con produzione di gas. Per questo motivo i legumi vanno cotti a lungo, poiché il calore distrugge questi fattori rendendoli digeribili e assimilabili. Nei bambini la cellulosa presente nella buc- cia esterna dei legumi può provocare, durante lo svezzamento, meteorismo e diarrea: l’inconveniente può essere superato preparando passati o purè, che rendono possibile la somministrazione dei legumi ai neonati a partire dal 5°-6° mese di vita. È opinione comune, al fine di abbreviare i tempi di cottura, poiché rende i legu- mi più teneri distruggendo una parte di tiamina, di aggiungere bicarbonato di sodio all’acqua di cottura o di ammollo, in realtà questa somministrazione rende difficol- tosa l’assimilazione degli amminoacidi e spesso modifica il sapore dei legumi; inoltre l’elevazione della temperatura favorisce la decomposizione del bicarbonato di calcio che si deposita sul fondo e sulla superficie dei legumi contenuti nella pentola, indu- rendone la superficie e ottenendo così un effetto contrario. Il sale deve essere aggiunto solo a fine cottura, perché ne allunga i tempi di cottura e indurisce i legumi. Alcuni di essi non devono essere mescolati dopo l’ebollizione, per- ché si attaccherebbero al fondo del tegame; se nel corso della cottura si rende necessa- ria l’aggiunta di acqua, dovrà essere bollente. Lardo e olio accompagnano spesso i le- gumi secchi; se possibile, però, è preferibile aggiungerli soltanto alla fine della cottura.

Come abbinare i legumi La prima regola da adottare è quella di non associare alimenti contenenti elevate quantità di purine come carne e frattaglie con i legumi; questo abbinamento è con- troindicato per uricemici e gottosi. L’abbinamento legumi e cereali ha origini antiche. Nonostante i nostri anziani non avessero conoscenze di dietetica e di scienza dell’alimentazione, in qualche modo han- no anticipato, inconsapevolmente, le nostre conoscenze. La loro associazione porta a un piatto completo ed equilibrato con contenuto proteico “globalmente” di alto valore biologico ma anche glucidico e calorico. Pasta e ceci, riso e piselli, zuppe di pane e legumi costituiscono piatti unici della no- stra tradizione di buon valore nutrizionale e di costo contenuto. In pratica, tenendo conto della maggior ricchezza proteica dei legumi, è ideale una combinazione costitu- ita per 2/3 da cereali e per 1/3 da legumi.

150 Mario Liberto CAPITOLO XIX LEGUMI: LE PIÙ FAMOSE RICETTE D’ITALIA

Nel territorio italiano la biodiversità di legumi, e anche la fantasia delle numerose massaie, cuoche e cuochi d’eccezione nei secoli hanno creato una cucina davvero insu- perabile. Ogni legume presente in un territorio ha favorito la nascita di specifici piatti che la tradizione gastronomica italiana è riuscita a salvare. Sono circa 1000 i piatti legati ai legumi italiani; di seguito si riportano alcune delle ricette più significative dei territori regionali.

Crapiata (Basilicata) La crapiata, in dialetto “crapiet”, è un antichissimo piatto della tradizione conta- dina materana. Si tratta di una ricchissima zuppa di legumi e cereali contenente: ceci bianchi, cicerchie, lenticchie, piselli, fave intere, fagioli borlotti, fagioli cannellini e grano decorticato. In molti aggiungono alla fine anche la martella, che è una spezia fresca tipica della regione. La crapiata di Matera è ottima anche fredda, specie durante la stagione estiva.

Ingredienti (per 8/10 persone) 100 g di farro, 100 g di grano, 100 g di ceci, 100 g di piselli secchi, 100 g di cicerchie, 100 g di fagioli, 100 g di lenticchie, 100 g di fave secche con la buccia, 600 g di patatine novelle, 3 cipolle, 5 coste di sedano, 10 pomodorini tondi e piccoli, 4 carote, 6 spicchi

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 151 d’aglio, olio extravergine di oliva q.b, sale q.b, peperoncino o pepe (facoltativi) q.b.

Preparazione Pulite, sbucciate, lavate le carote e fatele a pezzi; sbucciate le cipolle e taglaitele in 4 o 6 pezzi (dipende dalla grossezza); mondate il sedano, levate i filamenti, lavatelo e dividete le coste in 3 o 4 tronchetti, sbucciate l’aglio e lavate i pomodorini. Dopo che i legumi già ammollati hanno cotto per 3/4 d’ora, aggiungete gli altri ingredienti, comprese le patatine novelle sbucciate, nella pentola. Cuocete ancora il tutto per al- tri 45 minuti–1 ora, mescolando ogni tanto e aggiungendo ancora acqua calda se vi accorgete che la zuppa si asciuga troppo. Una volta che la cottura è terminata, servite la capriata calda nelle singole scodelle con l’aggiunta di un filo d’olio extravergine di oliva sul piatto di portata.

Panelle (Sicilia) Le panelle vengono preparate impastando farina di ceci, acqua, sale e prezzemolo. Successivamente l’impasto viene appiattito e tagliato a piccoli rettangoli che vengono fritti in abbondante olio di semi. Le panelle risultano ancora più saporite se consu- mate calde e cosparse con sale, pepe e succo di limone. Servono ad imbottire il panino per fare uno spuntino veloce oppure vengono servite come antipasto assieme ad altre leccornie.

Ingredienti (per 4 persone) 200 g di farina di ceci, ½ litro di acqua, olio extravergine di oliva, prezzemolo, sale e pepe q.b.

Preparazione Prendete una pentola e versateci l’acqua. Versate quindi la farina di ceci setacciata ed il sale mescolando con una frusta per non far creare grumi. Poi cucinate a fiamma media e mescolate per non fare attaccare al fondo. Quando il composto comincerà a bollire, continuate a mescolare ancora per una decina di minuti, poi togliete dal fuoco. Aggiungete il prezzemolo tritato (o semi di finocchio) e il pepe e versate in uno stampo unto con un po’ d’olio. Spalmate l’impasto su delle tavolette di legno e ritagliatelo a losanghe. Non appena il composto si sarà solidificato, ribaltatelo su una padella con olio extravergine d’oliva caldissimo. A cottura completa, quando la doratura è leggera, mettete fuori le panelle con un mestolo forato e adagiatele su di un contenitore o su del pane condendole con sale, spezie e limone.

Imbrecciata (Umbria) Questa zuppa di legumi e cereali, vera specialità eugubina, (territorio dell’antica Ikuvium Gubbio), prende il nome di ‘breccia’, ghiaia, con evidentemente riferimento alla varia granulometria dei suoi ingredienti, legumi e cereali. La lista degli ingredienti

152 Mario Liberto comprende le più tipiche varietà di granaglie, ma altre potrebbero essere aggiunte, come la cicerchia o la roveja, due legumi di antica storia, anche questi ormai confinati in alta montagna. L’imbrecciata è l’antitesi del fast food.

Ingredienti (per 4 persone) 50 g di fagioli borlotti, 50 g di fagioli cannellini, 50 g di ceci, 50 g di lenticchie, 50 g di orzo perlato, 50 g di farro perlato, 200 g di patate, sedano, carote e cipolla, cotica di prosciutto, brodo vegetale, olio extravergine d’oliva, sale e pepe.

Preparazione In una pentola di adeguata capienza si proceda alla preparazione di un soffritto con gli ortaggi tagliati a cubetti, riservando lo stesso trattamento anche alla cotica di prosciutto. Aggiungere legumi e cereali, mescolando perché si rivestano bene del con- dimento, quindi coprire con abbondante brodo vegetale bollente e lasciar sobbollire per un’ora circa. Alla fine si regoli di sale e pepe.

Ribollita (Toscana) La ribollita, piatto di sopravvivenza della cucina contadina Toscana, ha radici sto- riche antiche. Pare, infatti, che la sua origine risalga al periodo medievale, quando in assenza di stoviglie (piatti e posate), i signori dell’epoca si facevano servire le carni in particolari focacce di pane azzimo, che dopo l’uso abbandonavano sulle tavole. Le focacce successivamente venivano utilizzate dai servitori, i quali, per rivitalizzarle le bollivano in pentoloni pieni d’acqua con l’aggiunta di verdure omaggiate dalla Prov- videnza. Nasceva così il classico piatto toscano della ribollita. Nei secoli questa preli- batezza gastronomica si è andata modificando e soprattutto codificando, ottenendo così uno dei piatti più interessanti della cucina contadina toscana. Un piatto che si preferiva preparare soprattutto il venerdì, giorno in cui si mangiava di magro. Pane, verdure, erbe, legumi, ecc. divennero gli ingredienti di questa prodigiosa pietanza che non ha una vera e propria lista di ingredienti ma essi vengono lasciati alla bravura, alla fortuna e alla fantasia di chi prepara questa nobile portata.

Ingredienti 500 g fagioli cannellini, 500 g cavolo nero, 500 g cavolo verza, 200 g di bietola, 3 carote, 1 cipolla, 600 g pane toscano raffermo (meglio se cotto a legna e tostato), olio extravergine toscano, sale e pepe q.b., un cucchiaio di concentrato di pomodoro.

Preparazione In una capiente casseruola fare appassire la cipolla in circa 8-10 cucchiai di olio, aggiungere la carota tagliata a cubetti piccoli e cuocere per circa 10 minuti. Diluire il concentrato in acqua tiepida e versarlo nel tegame, unire cavolo nero, verza, e bie- tola tagliati a listarelle, salare e fare stufare le verdure. A questo punto passare con

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 153 il passaverdure circa la metà dei fagioli cotti con la loro acqua di cottura ed unirli al resto delle verdure e cuocere il tutto per circa un’ora e mezza (se necessario aggiungere acqua). Infine tagliare il pane sottile (vi consiglio di utilizzarlo tostato) aggiungerlo in casseruola assieme al resto dei fagioli e finire di cuocere per altri 15 minuti circa. Fare freddare. Versare in una padella un goccio di olio e qualche mestolo di minestra di pane rimestare continuamente fino a che si forma una “crosticina” e servire irrorando di buon olio extra vergine di oliva toscano.

La Mes-Ciüa o Mesciüa (Liguria) Zuppa ligure di legumi e farro.

Ingredienti 150 g di ceci secchi, 150 g di farro, 150 g di fagioli cannellini, pepe e sale q.b.

Preparazione Mettere a bagno in abbondante acqua fredda 150 grammi di ceci secchi e 150 gram- mi di fagioli cannellini secchi, separatamente, per circa 12 ore. Sgocciolare i ceci e sciacquarli sotto acqua corrente. Metterli in una casseruola grande, coprirli con ab- bondante acqua fredda e cuocerli a fuoco basso per almeno 2 ore, partendo dall’ebol- lizione (eliminare la schiuma che si forma in superficie con un mestolo). Trascorso il tempo indicato, unire i fagioli, dopo averli sgocciolati, e cucinare per un’altra ora. Infine, sciacquare accuratamente 150 grammi di farro e versarlo nella casseruola con i legumi; quindi proseguire la cottura per altri 40 minuti o per il tempo indicato sul- la confezione, unendo poca acqua bollente o brodo caldo se il liquido di cottura si consumasse troppo. Insaporire la mesciua con sale e pepe poco prima di terminare la cottura. Condire con 2 cucchiai di olio extravergine di oliva. Suddividere la zuppa in piatti fondi o in ciotole individuali, profumarla con una macinata abbondante di pepe e servirla, a piacere, irrorandola con un filo d’olio extra vergine crudo.

Calzagatt (Polenta e Fagioli) (Emilia Romagna) Il “Calzagatt” è un piatto tipico della tradizione dell’Emilia Romagna, e si prepara con ingredienti poveri: polenta e fagioli insaporiti con pomodoro e pancetta. Il piatto si presta a due varianti: una in cui la polenta si serve morbida ancora calda e l’altra invece si lascia intiepidire in maniera tale che diventi più solida.

Ingredienti 380 g di farina di mais giallo, 400 g di fagioli borlotti già cotti, 60 g di pancetta dolce di maiale, 200 g di polpa di pomodoro in scatola, 40 g di cipolle, 1 spicchio di aglio, 10 g di prezzemolo, 2 cucchiai da tavola di parmigiano reggiano, 100 ml di brodo ve-

154 Mario Liberto getale, 1,5 l di acqua, 3 cucchiai da tavola di olio extravergine di oliva, 2 prese di sale.

Preparazione In un tegame versare tre cucchiai di olio d’oliva e fare rosolare la pancetta tagliata a piccoli cubetti con un trito di cipolla e aglio a fuoco medio-basso. Dopo circa 10-15 minuti aggiungere la polpa di pomodoro e il prezzemolo tritato. A metà cottura della salsa unire i fagioli sgocciolati con il brodo e fare cuocere fino a quando non si sarà dimezzato il liquido. Salare e pepare. Intanto che i fagioli cuociono, portare a bollore l’acqua con una presa di sale, versare a pioggia la polenta e mescolare continuamen- te fino a cottura. Ci vorranno alcune decine di minuti, regolatevi con il tempo di cottura indicato sulla confezione. Infine spegnere il fuoco, aggiungere il formaggio e mescolare. Servire la polenta calda con i fagioli come condimento.

Lagane e ceci (Basilicata) Lagane e ceci rappresentano uno dei piatti principali della tradizione gastronomica della Basilicata. Il piatto, in generale, è tipico della tradizione contadina meridionale, più precisamente di quella lucana, cosentina, del Cilento e napoletana (lagane e cic- ciari, lagane e cirici, lagane e ceci). Le lagane sono delle tagliatelle più larghe.

Ingredienti 300 g di ceci secchi, 400 g di pasta fresca o fatta in casa (lagane), 2 spicchi di aglio, 30 g di sedano (1 gambo), 1 mazzetto di salvia e rosmarino, 1 presa di sale, 1 pizzico di pepe bianco, ½ cipolla, strutto per rosolare, peperoncino in polvere. Per la pasta fatta in casa occorrono 180 g di farina di semola di grano duro e 80 g di farina 00.

Preparazione Mettere i ceci a bagno la sera prima in acqua. La mattina seguente sciacquare e mettere a cuocere in acqua fredda con l’aggiunta della cipolla, uno spicchio d’aglio, il sedano, un mazzetto di salvia e rosmarino legati con dello spago da cucina. Quando i ceci hanno raggiunto il giusto grado di cottura, toglierne la metà e schiacciarli con una schiumarola, rimetterli nella pentola con i ceci interi e lasciarli cuocere a fiamma bassa per ancora 5 minuti. Ora preparare le lagane che sono simili a delle tagliatelle larghe. Mettere la farina sulla spianatoia, fare la fontana, versare al centro un pizzico di sale e impastare con tanta acqua tiepida quanto basta per ottenere una pasta liscia; lavorare energicamente ancora per qualche minuto, poi usando il matterello, stendere la pasta facendo una sfoglia sottile. Lasciare asciugare un poco e tagliarla a lagane. In una pentola di acqua salata e bollente cuocere le lagane, scolarle al dente, versare la pa- sta in una terrina e unire i ceci (ben scolati). In una padella con dello strutto rosolare uno spicchio d’aglio e un pizzico di peperoncino, mescolare insieme le lagane e i ceci e

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 155 servire questo piatto leggero saporito e molto gustoso.

Cavatelli pugliesi con le fave (Puglia) Cavatelli o cavatieddi o cecatelli sono una sorta di conchiglie o gnocchetti preparati con semola di grano duro e acqua, tipicamente pugliesi, ma presenti anche nella tra- dizione abruzzese, molisana e lucana. Nella tradizione pugliese alcuni di questi ingredienti sono parte di un fine pasto conosciuto con il nome di “sopra tavola’’: è infatti consuetudine consumare le fave fresche crude a tavola in accompagnamento al formaggio semistagionato denominato marzotica, dal tipico odore erbaceo primaverile (Marzo-Marzotica) e di fieno fresco che caratterizza il latte da cui viene fatto.

Ingredienti 200 g di fave fresche, ½ cipolla bianca, 400 g di pasta (cavatelli di grano duro), 30 ml di olio extravergine d’oliva, 1 mazzolino di menta, 100 g di ricotta marzotica, 1 pizzico di sale.

Preparazione Affettare la cipolla e farla soffriggere in padella in olio caldo, aggiungere le fave e farle cuocere a fuoco medio per circa 10 minuti rigirandole spesso. Aggiustare di sale. Frullare circa una metà delle fave e tenerle da parte. Lessare la pasta al dente e saltarla in padella con le fave, aggiungere acqua di cottura se necessario e la menta tritata. Aggiungere infine una manciata di ricotta marzotica grattugiata e amalgamare il tutto per un minuto. Disporre la crema di fave calda a specchio sul piatto, quindi la pasta al centro aiutandosi con un coppa pasta. Guarnire con scaglie di ricotta marzo- tica e un ciuffo di menta fresca.

Zuppa di cicerchia alla marchigiana (Marche) La zuppa di cicerchia è un piatto della cucina marchigiana.

Ingredienti 320 g di cicerchie, 1 spicchio di aglio, 50 g di lardo di maiale battuto, 20 g di pomo- dori, 3 g di sale, 1 g di pepe nero.

Preparazione Mettete a bagno la sera prima la cicerchia. Al mattino, gettate via l’acqua in cui è stata a bagno e risciacquate le cicerchie in acqua corrente. Quindi lessatele togliendo con una schiumarola le piccole bucce che verranno a galla. Salate le cicerchie solo al termine della cottura. A parte, fate soffriggere il lardo battuto o la pancetta, aggiungete 2 cucchiai di salsa di pomodoro, sale e pepe. Scolate le cicerchie e unitele al soffritto; aggiungete nuova

156 Mario Liberto acqua bollente e fate bollire per 10 minuti. Se volete una zuppa più cremosa, frullate una parte delle cicerchie ed aggiungetele al resto 5 minuti prima del termine della cot- tura. Servite con crostini di pane tostato ed un filo d’olio extravergine d’oliva.

Pasta e fagioli alla veneta (Veneto) Questo piatto veniva preparato per Natale.

Ingredienti 60 g di farina di grano tenero, 40 g di farina di grano duro o semola, 1 peperoncino rosso piccante in fiocchi, 1 uovo, 400 g di fagioli borlotti, 1600 ml di acqua, 2 caro- te, 1 cucchiaio da tavola di concentrato di pomodoro, 30 g di cotenna di maiale (un pezzo da 2 cm), 1/2 cipolla, 50 g di guanciale di maiale (a fette da 5 mm), 2 foglie di alloro, 1 pizzico di salvia essiccata macinata, 1 pizzico di rosmarino secco, una presa di sale grosso, 1 pizzico di pepe nero, 1 cucchiaio di olio extravergine d’oliva.

Preparazione Sciacquate i fagioli e metteteli in ammollo per una notte (circa 8 ore) in abbondan- te acqua fredda. Scolateli, metteteli in una pentola capiente e ricoprite con l’acqua. Aggiungete le carote pelate tagliate a pezzettoni, il concentrato, una presa abbondan- te di sale grosso, 1/2 cucchiaino di salvia e rosmarino (se non li avete macinati, mettete 3 foglie medie della prima ed un rametto del secondo) e la cotenna. Fate cuocere a fuoco basso, facendo sobbollire per un’ora abbondante, finché i fagioli sono teneri, ma compatti. Preparate la pasta fresca. Fate la fontana con le farine mescolate al peperoncino su una spianatoia, unite l’uovo al centro ed impastate fino ad ottenere un panetto compatto. Coprite a campana per almeno mezz’ora. Spolverate bene la spianatoia e stendete finemente la sfoglia, quindi tagliate dei quadrotti di circa 1,5 centimetri di lato e teneteli da parte. Tagliate a listarelle il guanciale e tritate finemente la cipolla. Rosolate in una padella (non troppo piccola, dopo dovrete aggiungerci parte dei fa- gioli) il guanciale e quando inizia a diventare traslucido (e avrà rilasciato parte del grasso) unitevi la cipolla e l’alloro, fate dorare, poi aggiungete tre cucchiai d’acqua e lasciate stufare per qualche minuto a fuoco basso, quindi spegnete. Quando i fagioli saranno cotti togliete dalla pentola la cotenna (ed eventualmente le spezie e gli aromi rimasti intere) e circa 2/3 dei fagioli. Unite questi ultimi al guan- ciale con la cipolla e mescolate (sempre a fuoco spento). Frullate quel che è rimasto nella pentola: il brodo, 1/3 dei fagioli e le carote. Rimettete sul fuoco medio, unitevi il contenuto della padella (fagioli interi con guanciale e cipolla) e, appena giunge a bollore, i maltagliati al peperoncino. Lasciate cuocere per qualche minuto, quindi spegnete il fuoco, fate riposare una decina di mi- nuti; quindi servite accompagnando con un buon olio e del pepe nero da macinare al

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 157 momento. Questa zuppa è ancora più buona se preparata in anticipo, cucinando per pochissimo tempo la pasta, in modo che tutti i sapori si leghino e diventino ancora più intensi.

Zuppa di fave alla siciliana

Ingredienti 500 g di fave in baccello, 50 g di cipolle, 5 cucchiai da tavola di concentrato di po- modoro, 30 g di mentuccia in foglie, 2 pizzichi di peperoncini piccanti, 1 pizzico di sale, 6 cucchiai da tavola di olio extravergine d’oliva, 1 pizzico di pepe nero.

Preparazione Sbollentare le fave per circa 15-20 minuti (nel caso abbiate quelle surgelate). Se avete quelle fresche procedere con un soffritto a base di fave, cipolla tritata finemen- te, 4-5 cucchiai di olio, un pizzico di peperoncino. Dopo 5 minuti di cottura unire il concentrato leggermente diluito in acqua, qualche foglia di mentuccia spezzata a mano. Regolare di sale e pepe. Allungare con poca acqua tiepida, circa 1/2 bicchiere. Cuocere per 15 minuti, poi spegnere la fiamma. Riunire il tutto in un bicchiere per mixer ad immersione con 2 cucchiai di olio. Frullare per 2 minuti. Servire la zuppa completata da foglie di mentuccia fresca.

Fave e cicorie (Sardegna)

Ingredienti (per 2 persone) 120 g di fave secche, 420 g di cicoria di campo, aglio fresco, olio extravergine di oliva, prezzemolo 5 gr.

Preparazione Dopo aver tenuto a bagno le fave per una notte intera, ricoperte interamente di acqua, cuocerle per circa un’ora ed aggiungere nello stesso recipiente le cicorie condite con un filo d’olio.

Ceci stufati (Sardegna)

Ingredienti (per 1 persona) 80 g di ceci secchi, 40 g di cipolle, 40 g di carote, 15 g di sedano, salvia, rosmarino, aglio fresco, prezzemolo, 5 g di olio extravergine di oliva.

Preparazione Mettere a bagno i ceci per 12 ore, lavarli e lessarli in abbondante acqua. Fare un trito con cipolla, carota, sedano, salvia, rosmarino, aglio e prezzemolo e soffriggere il

158 Mario Liberto trito in un filo d’olio. Stufare il tutto con poco brodo di cottura dei ceci, aggiungere quindi i ceci e cuocere per 20 minuti aggiungendo all’occorrenza altra acqua di cottu- ra dei ceci. Condire con l’olio extra vergine di oliva crudo e servire146.

Pasta e Ceci (Sardegna)

Ingredienti Pasta 80 gr, ceci secchi 25 gr, rosmarino, aglio fresco, olio extravergine di oliva 5 gr.

Preparazione Mettere in acqua tiepida i ceci, lasciandoli ammollare una notte. Scolarli e lessarli in acqua per circa due ore. In un tegame, mettere l’olio, un trito di aglio e rosmarino, lasciare insaporire e versare i ceci con parte della loro acqua e lasciare cuocere ancora un’ora e mezza. Unire la pasta e appena cotta servire la minestra.

Minestrone cun is gerdas, un piatto autunnale classico in Sardegna Il minestrone cun is gerdas: un tempo piatto della cucina povera, oggi quasi un lusso se fatto con le verdure fresche e magari anche bio. Nel film di Scola “Una gior- nata particolare” Emanuele fervente fascista, entra in cucina, scoperchia la pentola sul fuoco e vede il minestrone. Allora si rivolge ad Antonietta (Sofia Loren), la moglie, e dice: «Oggi nun c’avevi voja de fa n’c…o, eh!».

Ingredienti Fregola sarda 150 gr, pomodori maturi 300 gr, finocchietto selvatico 200 gr, fagioli secchi 80 gr, ceci secchi 80 g e fave secche 80 g (tutti precedentemente tenuti a bagno per 12 ore); lardo 70 gr, prezzemolo 50 gr, cipolle 1 di media misura, carote 1, sedano 1 gambo, aglio 1 spicchio, carne di maiale 150 g di cotenne fresche, carne di maiale 1 piedino e 1 orecchio, is gerdas cioè ciccioli, pecorino, pepe, sale, pane civraxiu.

Preparazione Carote, sedano, cipolla, prezzemolo e aglio vengono fatti appassire finemente trita- ti, nell’olio extravergine di oliva. Si aggiungono i pomodori tagliati e setacciati. Quin- di si aggiunge al soffritto il lardo tagliato a dadini. Si uniscono anche l’orecchio, il piedino e le cotenne dopo averli fatti passare su una fiamma per eliminare le setole. A questo punto un po’ per l’aroma, un po’ per le sue proprietà digestive si aggiunge il finocchietto tagliato a pezzetti e infine ceci, fave e fagioli ben scolati dall’acqua di vegetazione. Si uniscono due litri d’acqua fredda sale e pepe e si lascia cuocere per circa due ore a fuoco lento. A circa 20 minuti dal termine della cottura si versa la fregola, e si mescola ogni tanto. Quando le parti del maiale saranno quasi cotte, si scolano, si

146. “L’importanza dei legumi nella dieta: le ricette migliori”, www.castedduonline.it, www.ca- stedduonline.it/limportanza-dei-legumi-nella-dieta-le-ricette-migliori/

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 159 tagliano a striscioline e si rimettono in pentola per ultimare la cottura. Infine, a fuoco spento si aggiungono “is gerdas” i ciccioli, ovvero ciò che rimane dalla preparazione dello strutto, che ovviamente nella cucina contadina era impensabile buttare. Si di- spongono due fette di civraxiu, precedentemente strofinate con uno spicchio d’aglio condite con olio e sale e abbrustolite, sul fondo di capienti ciotole e si versa il mine- strone caldissimo. Completerà il piatto un’abbondante spruzzata di pecorino.

Il minestrone dei Centenari d’Ogliastra

Ingredienti (per 4 persone) 1/2 tazza di fave secche, 1/2 tazza di fagioli secchi, ⅓ di tazza di ceci secchi, 7 cuc- chiai di olio extra vergine di oliva, 1 cipolla media gialla o bianca, 2 carote medie, 2 zucchine, 2 gambi di sedano, 2 cucchiaini di aglio, 1 tazza di passata di pomodoro, 3 patate gialle medie, 1 mazzetto di finocchio, 1 mazzetto di prezzemolo fresco tritato, foglie di basilico fresco q.b, 2/3 tazza di fregula sarda, 1/2 cucchiaino di sale, 1/2 cuc- chiaino di pepe nero.

Preparazione Mettere a bagno fave, fagioli e ceci in una grande ciotola di acqua per almeno 8 ore (per una durata che va fino a 16 ore, quindi dalla sera prima e per tutta la notte). Scolare l’acqua e risciacquare bene. Scaldare 3 cucchiai di olio d’oliva in una grande pentola a fuoco medio-alto. Aggiungere la cipolla, le carote, il sedano e soffriggere, mescolando spesso, per circa 5 minuti. Aggiungere l’aglio e far cuocere per altri 20 secondi circa. Unire passata di pomodoro, patate, finocchio, prezzemolo, basilico a fagioli e ceci scolati continuando a mescolare. Aggiungere acqua sufficiente (da 6 a 8 bicchieri), in modo che il tutto resti sommerso da un dito d’acqua Aumentare il gas e portare a ebollizione. A questo punto ridurre il gas al minimo e fate continuare a bollire lentamente, senza coperchio, fino a quando i fagioli diven- tano teneri (occorre circa un’ora e mezza), aggiungendo acqua se necessario o se la miscela diventa troppo densa. A questo punto aggiungere e mescolare la pasta, il sale e il pepe e, se necessario, ag- giungere ancora acqua se la zuppa vi sembra troppo densa. Continuare a sobbollire, sempre senza coperchio, fino a quando la pasta è cotta, per circa 10 minuti. Versare 1 bel cucchiaio di olio d’oliva in ogni piatto e dividere il minestrone secon- do le porzioni desiderate, aggiungendo se volete 1 cucchiaio di formaggio grattugiato. Questa è la ricetta base, poi si possono variare i legumi, aggiungere cavoli, cavolfio-

160 Mario Liberto re, fagiolini, broccoli, persino zucchine147.

Fagioli con le cotiche (cucina laziale). Già ai tempi degli Etruschi si usavano i fagioli tritati, come condimento da gustare insieme alla carne di maiale, presumibilmente proprio con le cotiche. Poi ovviamente i fagioli con le cotiche divennero un piatto tradizionale dell’antica Roma, tradizione culinaria tramandata fino ai giorni nostri.

Ingredienti 300 g di fagioli gialli secchi, 1 cipolla, 300 g di cotiche, olio extravergine di oliva, vino bianco, 500 g di pomodori pelati, 1 gambo di sedano, 2 carote, sale, pepe.

Preparazione Fai ammollare i fagioli per una notte intera, quindi butta l’acqua e lavali con acqua corrente. Metti a bollire le cotiche e puliscile; realizza un fondo di cottura con un buon olio extravergine d’oliva, sedano, carote, cipolla, i pomodori pelati, sfumando con del vino bianco secco; aggiungi i fagioli e le cotiche, aggiusta con pepe e sale; attendi fino alla cottura dei fagioli e servi aggiungendo ancora un goccio di olio extravergine148.

Zuppa di fave alla calabrese – Fave a fratto La zuppa di fave alla calabrese – conosciuta localmente con il nome di fave a “frat- tu” o fave a fratto – è un composto morbido e cremoso, ottenuto facendo disfare le fave secche cotte a puntino e ridotte in crema dalla cottura stessa. È abitudine servirle con della cicoria ripassata in padella, con aglio, olio e peperoncino e una generosa manciata di pecorino grattugiato, ingrediente fondamentale della cucina calabrese. Il dolce delle fave e l’amarognolo della cicoria creano un connubio gustoso, delicato e speciale. La zuppa di fave alla calabrese – o fave a fratto – è un piatto ideale per le giornate fredde, è un piatto unico completo e perfetto per chi ama i piatti semplici.

Ingredienti 250 g di fave secche, acqua, uno spicchio d’aglio, olio evo, sale q.b.

Preparazione Sciacquare le fave in abbondante acqua corrente, trasferirle in una terrina capiente e coprirle di acqua. Lasciare in ammollo le fave per tutta la notte (o per almeno 8-10 ore). Una volta reidratate, trasferire le fave in un tegame capiente, coprirle d’acqua e cuocere a fuoco lento, con un po’ di olio e uno spicchio d’aglio, fino a quando non si

147. “Minestrone dei Centenari di Sardegna!”, www.sardegnainblog.it”, www.sardegnainblog. it/14668/minestrone-centenari-sardegna-ricetta/ 148. “Ricette tipiche della Tuscia: Fagioli con le cotiche”, www.mangiare.moondo.info, mangiare. moondo.info/ricette-tipiche-della-tuscia-fagioli-con-le-cotiche/

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 161 saranno letteralmente ridotte a crema. Se occorre, durante la cottura, aggiungere un pochino di acqua calda. Quando le fave saranno diventate una vera e propria crema e avranno assorbito tutta l’acqua di cottura, spegnere il fuoco e servire con un’ab- bondante manciata di pecorino e dell’olio extra vergine di oliva a crudo. Per ottenere una crema liscia ed omogenea, è possibile aiutarsi con un frullatore ad immersione: frullare il tutto prima di condire e servire.

Fasolada o fasolia soupa149, piatti storici della Grecia antica ancora attuali Non sappiamo in che cosa consistessero esattamente i legumi bolliti che i due vec- chi contadini Filemone e Bauci, nelle Metamorfosi di Ovidio, si preoccuparono di servire ai loro imprevisti e divini ospiti, Giove e Mercurio, che scesero sulla terra e si fecero invitare a cena. Forse i due vecchietti prepararono una buona zuppa di legumi, magari di fagioli, secondo la ricetta seguente, che ancora oggi in Grecia si continua a cucinare e qualche volta viene offerta ai turisti nelle trattorie. Una cosa è certa: i fagioli che essi usarono non erano gli stessi che adoperiamo noi, perché i nostri provengono dalle Americhe.

Ingredienti 500 g di fagioli bianchi, 4 carote di media grandezza, un mazzetto di prezzemolo, 2 cipolle medie, 300 g di olio, sale e pepe.

Procedimento Far cuocere per 5 minuti in acqua bollente salata i fagioli (precedentemente lasciati in ammollo per 12 ore). Scolarli e metterli in una casseruola insieme con le carote tagliate a rondelle sottili, il prezzemolo tritato finemente e le cipolle a fettine. Coprire d’acqua, aggiungere l’olio e il pepe, aggiustare di sale. Far bollire fino a quando i fagioli saranno teneri. L’aggiunta di una tazza di salsa di pomodoro, che gli antichi ignorava- no, benché filologicamente scorretta, aggiungerà ancor più sapore alla zuppa.

149. Anna Ferrari, Op. Cit., pag. 43, 44.

162 Mario Liberto CAPITOLO XX LEGUMI PER VEGANI E VEGETARIANI

Dieta vegetariana e vegana: come assicurarsi tutte le proteine necessarie La RDA di proteine, ovvero la dose giornaliera consigliata, è fissata in condizioni normali a 0,8 grammi per ogni chilogrammo di peso corporeo. Per quanto riguarda i vegetariani l’assunzione delle proteine avviene attraverso l’assunzione di uova e latti- cini. Nel caso dei vegani invece, come suggerisce la Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana, è sufficiente assumere nell’arco di una giornata cereali (pane, pasta, riso, ecc.), legumi (fagioli, lenticchie, ceci, ecc.) per avere gli amminoacidi necessari nelle giuste quantità e proporzioni. Un’ottima combinazione alimentare che possono facil- mente utilizzare vegetariani e vegani per sopperire al problema dell’apporto completo degli amminoacidi è proprio quella di unire insieme cereali (integrali) e legumi, va- riando il più possibile ovvero alternando riso con le lenticchie, pasta e fagioli, bulgur e ceci, miglio con i piselli, ecc. Le ricette e le combinazioni che si possono gustare sono molte e diverse fanno parte delle nostre tradizioni culinarie del passato, sono le specia- lità delle nostre nonne150.

150. “Dieta vegetariana e vegana: come assicurarsi tutte le proteine necessarie”, www.greenme.it, www.greenme.it/dieta/dieta-vegetariana-vegana-proteine/

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 163 Couscous con le lenticchie151

Ingredienti (per 2 persone) Un bicchiere di couscous, acqua calda q.b., olio, sale, una scatola di lenticchie bio, una radice di zenzero, aglio, due cipolle, rucola fresca, salvia fresca.

Preparazione Preparate il couscous nel modo più semplice e più light: mettetelo in una cioto- la fonda, poi versatevi un po’ d’acqua bollente. Aggiungete un pizzico di sale e olio, mescolate rapidamente, coprite con un coperchio o un piatto e lasciate riposare: il couscous cuocerà da solo con l’acqua calda. Alla fine dovrete solo sgranarlo con la forchetta, assaggiarlo per capire il grado di cottura (eventualmente aggiungete ancora poca acqua calda) e il grado di sale. Cuocete le lenticchie: scolatele dal loro liquido, fatele saltare velocemente in padel- la con olio e un trito di aglio e zenzero. Aggiustate di sale. Tagliate la cipolla a fette, sbollentatela un minuto in acqua calda bollente, scolatela e mettetela ad asciugare in padella con pochissimo olio. Non fatela cuocere troppo, in modo che resti croccante. Ora non resta che unire gli ingredienti, aggiustare di sale e servire: se vi piace, ag- giungete ancora un po’ di salvia fresca tagliata a mano e un mazzetto di rucola fresca e croccante.

Burger di verdure152

Ingredienti (per 4 burger) 200 g di patate, 150 g di carote, 50 g di zucchine, olio extravergine d’oliva, rosmari- no tritato, pangrattato, sale e pepe, curcuma.

Preparazione Le verdure per la preparazione di questi burger vegetali possono essere lessate o stufate con acqua ed un cucchiaio d’olio per una ventina di minuti circa. Potranno altrimenti essere cotte al vapore finché non si saranno ben ammorbidite. Con l’aiuto di un passaverdura realizzate una purea con ciascuna di esse ed in seguito amalgama- te i composti con l’aiuto di un cucchiaio all’interno di una ciotola, aggiungendo un cucchiaino di curcuma ed un cucchiaio di rosmarino tritato, più eventuale pangrat- tato per ottenere un composto più consistente. Prima di formare i vostri burger con le mani, salate e pepate. Passate ciascuno di essi in olio e pangrattato ed infornate a

151. “Couscous invernale con le lenticchie”, www.mammafelice.it, www.mammafelice. it/2014/03/05/couscous-invernale-con-lenticchie/ 152. Marta Albè, “15 ricette di burger vegetali”, www.greenme.it, www.greenme.it/mangiare/ve- getariano-a-vegano/burger-vegetali-5-ricette/

164 Mario Liberto 180°C per 20 minuti circa.

Burger di lenticchie153

Ingredienti (per 4 burger) 180 g di lenticchie verdi secche, olio extravergine d’oliva, origano tritato, salvia fre- sca, pangrattato, sale, pepe.

Preparazione Le lenticchie verdi non necessitano di ammollo prima di essere cotte, quindi potre- te procedere direttamente con il lessarle per circa 20-25 minuti in acqua non salata, accompagnate da alcune foglie di salvia, che oltre ad insaporirle le renderanno anco- ra più digeribili. Una volta che le lenticchie saranno pronte, scolatele e frullatele nel mixer incorporando anche le foglie di salvia utilizzate nella cottura ed aggiungendo un cucchiaino di origano tritato, un cucchiaio di olio extravergine d’oliva, sale e pepe. Frullate il tutto e trasferite il composto ottenuto in una ciotola. Iniziate con l’aggiunta di un cucchiaio di pangrattato e mescolate. Aggiungetene ancora due o tre cucchiai fino ad ottenere un composto facilmente lavorabile con le mani. Foderate una teglia con carta da forno, formate con le mani delle palline e disponetele su di essa, schiac- ciandole fino ad ottenere la forma e lo spessore desiderato per ognuno dei vostri bur- ger. Cuocete in forno a 180°C per 20 minuti e servite. Ottimi da gustare, magari con l’aggiunta di un po’ di maionese vegan.

Insalata mediterranea154

Ingredienti Ceci, olive nere, cetrioli, pomodorini, peperone giallo, yogurt e menta.

Preparazione Scoliamo i ceci, sciacquiamoli. Mettiamoli in una ciotola con cetriolo tagliato a fettine, olive nere snocciolate, peperone giallo tagliato a tocchetti ed eventualmente melograno in chicchi e formaggio feta. Aggiungiamo qualche fogliolina di menta e basilico freschi. Possiamo condire con olio, sale e pepe, oppure con una salsina di yogurt greco con- dito con menta, succo di lime, sale e pepe.

153. Idem. 154. Marta Albè, “15 ricette di burger vegetali”, Art. Cit.

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 165 Burger di ceci155

Ingredienti (per 4 burger) 350 g di ceci lessati, olio extravergine d’oliva, noce moscata in polvere, erba cipollina tritata, prezzemolo tritato, pangrattato, sale e pepe, curry.

Preparazione Schiacciate i ceci con una forchetta, se sono abbastanza morbidi, oppure passateli al mixer con un filo d’olio ed aggiungendo acqua tiepida quanto basta fino ad otte- nere una purea non troppo liquida. Trasferite il composto all’interno di una ciotola ed amalgamando con un cucchiaio aggiungete le spezie (un pizzico di noce moscata e mezzo cucchiaino di curry) e le erbe aromatiche tritate (quantità a piacere). Salate e pepate. Regolate la consistenza del composto aggiungendo due o tre cucchiai di pangrattato, dividete il composto in quattro parti, formate delle palline e schiacciatele dopo averle disposte su di un piatto o su carta forno. Dorate in padella o cuocete in forno a 180°C per 20-25 minuti.

155. Idem.

166 Mario Liberto CAPITOLO XXI SEMI NUTRIENTI PER UN FUTURO SOSTENIBILE

I legumi, questi semplici e umili alimenti di straordinaria generosità si sono adattati in tutti i contesti territoriali sopportando, per secoli, inverni rigidi, siccità, ambienti acri e inospitali. Ribattezzati dalla FAO come “nutrienti per un futuro sostenibile” hanno “soste- nuto i centenari italiani” e non solo. Il recupero dell’enorme variabilità genetica delle leguminose, può costituire una risorsa preziosa per l’agricoltore che può selezionare le varietà più adatte alle muta- te condizioni climatiche delle sue comunità e dei suoi territori. Questo gioverebbe soprattutto ai Paesi in via di sviluppo, dove i legumi vengono consumati quotidia- namente perché rappresentano spesso l’unica fonte di proteine. Promuovere la pro- duzione e il consumo di legumi in queste aree significa salvaguardare la piccola agri- coltura a livello famigliare e di villaggio e quindi incoraggiare le economie locali. Le proteine vegetali sono da tempo al centro dell’attenzione della Politica Agricola Co- mune (suddivise in due grandi categorie: colture proteiche (pisello, fave, favino, lupi- no, soia, erba medica, ecc.) destinate prevalentemente ad uso zootecnico e leguminose da granella (fagioli, lenticchie, fave, piselli, ceci, ecc.) per uso umano. L’opportunità più concreta per sostenere ed incentivare la produzione di proteine vegetali è stata offerta con la Riforma della PAC 2014-2020, che ha inserito le colture proteiche e le leguminose da granella tra le colture a cui possono essere concessi gli aiuti accoppiati (aiuto legato al tipo di coltivazione). Ulteriori spinte produttive in ambito PAC provengono da incentivi previsti per l’applicazione del greening (paga-

Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani 167 mento ecologico) e dalle misure contenute nei nuovi PSR, in particolare dai pagamen- ti agro climatico ambientali che si adattano perfettamente alle coltivazioni proteiche. Sarebbe auspicabile mettere a punto una strategia per evitare di ridurre le importazio- ni di legumi che spesso pregiudicano la qualità d’utilizzazione. Secondo l’Ismea per i legumi secchi il nostro paese dipende fortemente dalle importazioni, che coprono circa i tre quarti dei consumi degli italiani. Nell’ultimo biennio gli acquisti hanno superato le 300.000 tonnellate annue, per una spesa di circa 225 milioni di euro. Ne consegue che il passivo della bilancia commerciale nel 2014 ha superato i 220 milioni di euro. Nel 2015 il saldo si è leggermente ridotto (207.593 euro), grazie alla riduzione dei valori medi unitari. Le esportazioni al contrario rappresentano solo il 15% della produzione nazionale. Negli ultimi anni hanno sfiorato quota 20.000 tonnellate, cui sono corrisposti introiti per circa 17 milioni di euro. “In riferimento alla concessione dell’aiuto accoppiato, vi è da notare che nel primo biennio di applicazione della nuova PAC 2014-2020 non tutti gli Stati Membri han- no risposto secondo le aspettative; su 28 Paesi solo 16 hanno previsto la misura per le colture proteiche e solo 3 Stati Membri (Grecia, Spagna e Romania) hanno concesso l’aiuto accoppiato alle leguminose da granella” (Ministero delle politiche agricole ali- mentari e forestali).

Una nuova politica europea in favore delle leguminose È indispensabile che l’Unione europea, in particolare l’Italia, metta in atto una po- litica di recupero e valorizzazione dei legumi che come gioielli sono disseminati in ogni lembo di terra italiana attraverso azioni che servano; per incrementare l’impiego dei legumi nell’alimentazione umana, nel quadro di una rinnovata dietetica, sia di- rettamente che mediante preparazione di precucinati o di prodotti iperproteici (IV Gamma e oltre); per l’alimentazione animale; per quelle aree interne del Mezzogiorno che non hanno alternative colturali più valide; per un incremento di colture da rin- novo azotofissatrici, in considerazione del progressivo aumento dei costi dei prodotti chimici. L’uso dei legumi come colture di copertura, nei sistemi di colture consociate, cioè piantandoli tra altre coltivazioni o come parte di sistemi di rotazione, può ridurre l’erosione del suolo e contribuire a controllare infestazioni e malattie, riducendo l’u- tilizzo di pesticidi chimici in agricoltura; per migliorare la fertilità del suolo e favorire la biodiversità; per favorire lo sviluppo di diverse specie ed ecotipi, alcune delle quali, come la fava e la cicerchia, anche in territori aridi come le isole, è possibile coltivarle quale fonte di azoto dei terreni in sostituzione delle concimazioni azotate chimiche; per far conoscere la qualità nutrizionale dei legumi e favorire un maggiore impiego come ingredienti dei nostri piatti quotidiani (architravi della Dieta Mediterranea); per incentivare la ricerca degli Istituti di Genetica vegetale, della Meccanica agraria cercan- do di mettere in atto un’adeguata tecnica colturale, meccanizzando, possibilmente, le varie fasi produttive; per obbligare le istituzioni preposte ad utilizzare i legumi nella

168 Mario Liberto ristorazione di scuole di ogni ordine e grado, ospedali, mense militari, ecc.; per indire una giornata annuale dei legumi italiani con manifestazione di promozione, vendita e degustazione; per dare degli aiuti alle aziende agrituristiche, fattorie didattiche, men- se, ecc. che promuovono piatti con i legumi. D’altra parte, nell’ultimo decennio, grazie alla riscoperta della Dieta Mediterranea, l’uso dei legumi secchi è ha sempre più trovato nuovi estimatori che hanno scoperto un loro ruolo più importante nella dieta dei paesi industrializzati, anche perché le loro proprietà sono state riconosciute pienamente in linea con le attuali raccomandazioni dei nutrizionisti. Anche nei paesi in via di sviluppo, questi alimenti, che hanno rappresentato da sempre la base dell’alimentazione per gli adulti, vengono attualmente raccomandati dalle organizzazioni internazionali (FAO, OMS) anche per l’alimentazione infantile. Tutti questi fattori hanno rinnovato l’interesse per la coltivazione dei legumi in molte zone; in particolare, nel bacino del Mediterraneo sono stati avviati progetti agronomi- ci e di miglioramento genetico per una crescita quantitativa e qualitativa delle legumi- nose da granella, alimenti vecchi come il mondo, ma attuali. Con lo slogan “Semi nutrienti per un futuro sostenibile” le Nazioni Unite hanno fanno un passo decisivo verso un messaggio chiaro: la produzione di proteine animali per tutto il mondo, compreso quello in via di sviluppo, non è più sostenibile e la si- tuazione potrebbe decisamente peggiorare in futuro. I dati parlano chiaro: se anche i paesi emergenti adotteranno gli stili di consumo “carnivoro” dell’Occidente, non ci saranno abbastanza terre emerse per poter allevare animali da reddito, e l’allevamento, come mostrato chiaramente nel documentario “Cowspiracy”, è la prima reale causa di inquinamento mondiale. Pertanto, è indispensabile rivalutare queste gloriose ed eroiche varietà che per secoli ci hanno sostentato, salvaguardando questa preziosa biodiversità che oggi giorno si va depauperando, riproponendo sulle nostre tavole questi nobili legumi ricchi di virtù, di rusticità ed essenzialità, “Legumi sostenibili, buoni per buongustai, vegetariani e vegani”.

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ISBN 979-12-80244-00-0

Finito di stampare nel novembre 2020 da Edizioni Momenti via Guastella, 52 92016 Ribera

www.edizionimomenti.it