Il Carcere Rieduca Se Il Lavoro È Vero Di Francesco Seghezzi E Michele

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Il Carcere Rieduca Se Il Lavoro È Vero Di Francesco Seghezzi E Michele Il carcere rieduca se il lavoro è vero di Francesco Seghezzi e Michele Tiraboschi Avvenire, 30 dicembre 2015 Un forte impegno ideale e progettuale quello di chi ha collaborato agli Stati Generali sulla esecuzione della pena promossi dal Ministero della Giustizia. I lavori sono praticamente terminati. Molti gli esperti e gli addetti ai lavori coinvolti. Fatica tuttavia ancora a decollare il dibattito pubblico sulla situazione dei detenuti nelle carceri. Ancor più oggi, in una situazione di crisi economica e occupazionale che pare relegare gli “ultimi” in un limbo di indifferenza e sofferenza. Il ministro della Giustizia Orlando, proprio sulle pagine di Avvenire, lo scorso 18 dicembre ha ripreso le parole del recente messaggio per la giornata della Pace in cui il pontefice affronta in un importante passaggio il tema delle condizioni delle carceri. È positivo il dato, ricordato dal ministro, sugli aspetti “quantitativi” della capienza delle carceri, è importante però guardare anche alla qualità dei periodi di detenzione e quello che accade una volta scontato il periodo di pena. Lo stesso Papa ha centrato l’attenzione sulla “finalità rieducativa della sanzione penale”. Ma come avviene oggi questa rieducazione, se avviene? Ci aiutano alcuni numeri, in primis quelli sulla recidiva, ossia su quanti ex-carcerati tornano a delinquere una volta scontata la pena. I dati ufficiali sulla recidiva dicono che il 68,5% degli ex-detenuti commettono reati dopo essere usciti di prigione, numeri più realistici parlano dell’80% e oltre. Al contrario i detenuti che durante il periodo in carcere hanno la possibilità di lavorare, hanno una percentuale di recidiva inferiore al 10%. Con il lavoro si aprono importanti opportunità di socializzazione e reinserimento, ma si apre anche un percorso individuale della scoperta di sé, della propria identità, e della relazione con l’altro. Da sempre si riconosce come il lavoro possa rispondere alle esigenze rieducative della esecuzione della pena che l’articolo 27 della nostra Costituzione sancisce. Il problema si pone però guardando i numeri di coloro che lavorano oggi nelle carceri italiane. Su una popolazione carceraria di 53.623 persone, solo 2.324 hanno una opportunità di conoscere il lavoro vero (poco più del 4%). Sono circa 12.000 invece i detenuti che lavorano alle dipendenze dell’amministrazione carceraria senza tuttavia grandi possibilità di professionalizzazione e imparare un mestiere. Altissimo il tasso di disoccupazione, oltre il 95%. Per lavoro vero intendiamo un lavoro del tutto corrispondente a quello di una persona libera con un datore di lavoro esterno (in Italia spesso una cooperativa sociale): un mestiere, insomma, che impone specifiche mansioni a cui corrisponde una equa retribuzione. Al contrario la maggior parte dei detenuti che oggi lavorano è ‘assuntà dalla amministrazione carceraria per svolgere, per poche ore, quelle mansioni interne alla prigione poco o nulla qualificanti chiamate ancora con nomi più che novecenteschi come lo spesino, lo scopino e lo scrivano. Lavori pagati non con un vero salario, ma con una misera mercede e che poco hanno a che fare con il mercato del lavoro che i detenuti incontreranno una volta scontata la pena. Dietro alla necessità di risolvere questa grave situazione, che ha conseguenze sia sui detenuti che, a causa della recidiva, sull’intera società, vi è una idea della persona e del lavoro che è oggi ancor poco diffusa. Spesso il detenuto è definito unicamente per il suo sbaglio, per il reato commesso. E il carcere è unicamente il luogo fisico in cui si è condannati a scontare la pena. Un luogo quindi che serve unicamente a impedire il contatto tra il mondo esterno e colui che ha sbagliato, in chiave di protezione della società in contraddizione con il bene e la centralità della persona stessa. Se, per tutti noi, il lavoro è uno degli aspetti centrali della vita e della nostra crescita attraverso una identità professionale e non sono una variabile economica, ciò, a maggior ragione, vale per il detenuto. Negare il diritto al lavoro non equivale infatti a sanzionarlo per il delitto che ha commesso ma privarlo uno degli aspetti salienti della vita: la relazione con le persone e con la realtà. Nulla a che vedere con la rieducazione di quello che spesso si ritiene un malvagio o unAltraCittà primitivo. Si tratta dell’educazione della persona, di tutte le persone, attraverso il lavoro. Anche e a maggior ragione quelle persone che hanno sbagliato e che vedono nel lavoro una occasione di recupero del senso della vita e di riscatto sociale nella relazione con gli altri. Per questo il lavoro da prospettare ai detenuti deve essere un lavoro vero, non occasioni fittizie e di dubbia qualità. Tanto meno ipotesi di lavoro in cambio di sconti di pena che, oltre a essere di dubbia legittimità rispetto ai princìpi costituzionali di retribuzionewww.altravetrina.it sufficiente, finirebbero per snaturare quella dimensione educativa e formativa propria del lavoro inteso non solo come scambio, ma come relazione tra persone. Esistono molte esperienze interessanti nel nostro Paese, soprattutto grazie a quelle cooperative sociali animate da persone che ogni giorno impegnano tempo, pazienza e risorse per consentire ai detenuti italiani, tra mille ostacoli e difficoltà, una possibilità in più di incontrare il lavoro vero. Un primo sforzo potrebbe essere quello di iniziare a guardare a ciò che già accade e, forti dei risultati, favorire la massima diffusione dei modelli virtuosi in una ottica di sistema anche attraverso coraggiose sperimentazione. Su tutte i percorsi di apprendistato e alternanza scuola lavoro anche in considerazione del basso livello di scolarizzazione dei detenuti. L’anno della Misericordia da poco aperto dal Papa potrebbe essere l’occasione migliore per fare qualcosa di concreto per chi in passato ha sbagliato e sta pagando, affinché la pena non sia una vessazione inutile e non continui oltre le mura del carcere. Catania: lavori socialmente utili per 50 detenuti La Sicilia, 29 dicembre 2015 Nell’arco del prossimo anno 50 detenuti verranno impiegati per lavori socialmente utili nel territorio del Comune di Catania. Lo prevedono due convenzioni sottoscritte stamane dal Comune del capoluogo etneo sia con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Ufficio di Esecuzione penale Esterna) - che con il Tribunale. Le due convenzioni sono state firmate dal sindaco Enzo Bianco, dal presidente del Tribunale Bruno Di Marco e dal direttore dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna Letizia Bellelli alla presenza dell’assessore alla Legalità, Verde e Ecologia Rosario D’Agata. "Il comune di Catania - ha detto Bianco - dà molta importanza a questo atto. La pena secondo la Costituzione deve avere sempre un valore rieducativo. Abbiamo già sperimentato in questa direzione con i minori soggetti a restrizione ottenendo un ottimo risultato anche grazie alla collaborazione con la Scuola Edile. Pensiamo di utilizzare queste persone per la manutenzione del verde dei parchi cittadini e degli edifici comunali e per pulire i muri dalle scritte". "Faremo un’accurata ricerca e valutazione insieme agli uffici preposti per indirizzare al meglio ogni singolo individuo. Ovviamente non è prevista nessuna remunerazione. Sono orgoglioso - ha aggiunto - che la città di Catania sia tra le prime a realizzare un progetto di questo genere. Sono particolarmente contento che si parte in questi giorni: Natale è per tutti e lo è innanzitutto per coloro che si trovano in stato di sofferenza. Ringrazio il presidente di Marco e la direttrice Bellelli per averci dato la possibilità di realizzare questo importante progetto". Ivrea (To): oltre 50 detenuti per il progetto "Cambio di rotta" La Sentinella del Canavese, 29 dicembre 2015 Sono oltre una cinquantina i detenuti della Casa circondariale che nel 2014/15 hanno partecipato al progetto Cambio di rotta, finanziato dalla Compagnia di San Paolo e promosso dalle Politiche sociali del Comune in collaborazione con enti locali, consorzi, cooperative, Asl e aziende dell’eporediese. "Possiamo dire - ha detto l’assessore Augusto Vino - che Cambio di rotta, l’ultimo realizzato in continuità con i precedenti dal Comune, è stato un progetto di successo, che ha raggiunto i suoi obiettivi e, con i vari progetti, abbiamo costruito una competenza da mettere in campo per futuri progetti". Daniela Teagno dell’Università di Torino, dopo l’esposizione del progetto da parte della coordinatrice Luisa Delfino e Rosalina Bagna, ha reso noti i risultati dei 54 questionari dei detenuti impegnati nei vari laboratori: 3 di legatoria, 3 di falegnameria, 8 di comunicazione e nei 14 tirocini di cui 1 interno al carcere e 13 sul territorio. I detenuti interessati (l’80% italiani) hanno detto di essere molto soddisfatti per il 33%, soddisfatti il 21%, poco soddisfatti il 3%. "Sono stato in una azienda agricola - ha raccontato un ex detenuto - poi, grazie a quello che ho imparato, ho avviato insieme a mia moglie un’attività che ancora funziona". Alle critiche sul fallimento delle politiche a favore del mondo carcerario fatte dal garante per i diritti dei detenuti Armando Michelizza, è stato risposto che il budget per le iniziative dell’Uepe (Ufficio Esecuzioni Penali Esterne) passa nel 2016 dal 3 al 7%, che le misure alternative al carcere sono in crescita, e che la competenza della Casa circondariale passa dal prossimo anno da Biella a Torino. Allo Zac, dopo la presentazione, il mercatino con prodotti realizzati dai detenuti, tra i quali i prodotti di legatoria e rilegatura esposti e messi in vendita dall’associazione Evasioni Creative, manufatti in legno presentati dai volontari penitenziari. AltraCittà Milano: le ostie si sfornano in carcere di Agnese Pellegrini Famiglia Cristiana, 29 dicembrewww.altravetrina.it 2015 Nel penitenziario di Opera, alle porte di Milano, tre uomini condannati per omicidio impastano le particole: "Sono il frutto della nostra redenzione". Un chilo di farina doppio zero, tre cucchiai ("belli abbondanti, però!") di amido e una caraffa d’acqua. Ciro versa gli ingredienti, meticoloso. Ha gli occhi celesti, il sorriso ampio e un irresistibile accento napoletano.
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