Il Catalogo Degli Oggetti Di Sommo Pregio Per La Storia E Per L'arte Appartenenti a Privati

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Il Catalogo Degli Oggetti Di Sommo Pregio Per La Storia E Per L'arte Appartenenti a Privati Corso di Laurea Magistrale in Storia delle Arti e Conservazione dei Beni Artistici Tesi di Laurea Il Catalogo degli oggetti di sommo pregio per la storia e per l’arte appartenenti a privati. Un’indagine sulle collezioni italiane tra il 1891 e il 1903. Relatore Correlatore Ch. Prof. Maria Chiara Piva Ch. Prof. Sergio Marinelli Laureanda Maria Chiara Scuderi Matricola 850714 Anno Accademico 2015 / 2016 Ai miei genitori Giovanni e Margherita, che mi hanno trasmesso il valore del bene comune. In tutte le trascrizioni dei testi originali, le espressioni in corsivo, stampatello maiuscolo, grassetto o sottolineate non sono mie ma sono proprie dei documenti. INDICE INTRODUZIONE (I) CAPITOLO I La storia della tutela dei ‘beni culturali’ negli anni del liberalismo nazionale: il dibattito sulla stampa (1) · La divulgazione delle nuove idee di tutela attraverso le riviste (5) · Guido Carocci: questioni di Stato e di catalogazione su «Arte e Storia» (11) · L’«Archivio Storico dell’Arte» e la «Nuova Antologia»: Domenico Gnoli fra letteratura e storia dell’arte (17) · L’Attività editoriale di Adolfo Venturi: la ricerca storico-artistica fra l’Università e il Ministero (28) CAPITOLO II La «grossa questione» della catalogazione delle opere dei privati: dal dibattito parlamentare sulla nascita del Catalogo alla sua abolizione (35) · La difficile genesi di un Catalogo restrittivo: il dibattito parlamentare con il Ministro Michele Coppino (35) · Le donazioni alle Gallerie Nazionali: i due casi della Tempesta del Giorgione e della Natività di Correggio notificate in Catalogo (47) · Leggi estere sulla conservazione dei monumenti: l’avanguardismo italiano e la proposta del Ministro Pasquale Villari (54) · Un progetto ambizioso quanto utopistico: un Catalogo pubblicato e poi rinnegato (64) CAPITOLO III Le liste ministeriali e i criteri di scelta delle opere per il Catalogo: un’analisi sulla storia del gusto (74) · La corrispondenza tra il Ministero e gli enti periferici: il controllo degli Ispettori regionali sul territorio del Nord Italia (74) · Un’ipotesi sulla storia del gusto nelle collezioni private italiane a cavallo fra Ottocento e Novecento (99) · Diverse tipologie di esiti collezionistici per differenti intenti di tutela (110) APPENDICE DOCUMENTARIA ·Il Catalogo degli oggetti di sommo pregio per la storia e per l’arte appartenenti a privati ·Liste ministeriali contenenti collezioni d’arte di privati dell’Italia del Nord elencate in ordine alfabetico per città all’interno delle regioni · Carteggio fra il Ministero della Pubblica Istruzione e gli Ispettori regionali FONTI, BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA Introduzione Con questa ricerca ho affrontato il tema della tutela relativamente alle opere d’arte e di antichità nelle collezioni dei proprietari privati italiani a cavallo tra Ottocento e Novecento, analizzando le esigenze che hanno portato uomini di politica e di cultura ad unirsi in un impegno congiunto per realizzare tra il 1891 e il 1903 il Catalogo degli oggetti di sommo pregio per la storia e per l’arte appartenenti a privati. Obiettivo della tesi è stato indagare il complesso ruolo svolto dalle istituzioni negli anni in cui è stato stilato il Catalogo, nonché capire quali sono stati i principi informatori che hanno guidato la Commissione incaricata a redigere il Catalogo e qual era la storia del gusto corrente che ha portato a fare alcune scelte ed altre esclusioni. Infine, qual è stata la reazione dei collezionisti privati alla possibilità di vedere le loro opere inserite in un catalogo restrittivo, fortemente selettivo, che doveva contenere poche opere considerate di un’importanza tale per la storia e per l’arte da non permetterne in nessun caso la vendita all’estero. Il Catalogo, almeno nelle intenzioni del legislatore, avrebbe consentito allo Stato italiano di godere del diritto di prelazione in caso il proprietario avesse voluto disfarsi delle opere iscritte e di controllarne in modo decisamente ferreo la circolazione. Partendo da uno spoglio sistematico dei periodici di cultura e storia dell’arte più in vista nell’Italia post-unitaria, come L’«Archivio storico dell’arte», poi trasformato in «L’Arte», «Arte e Storia», la «Nuova Antologia», «Il Marzocco», ho analizzato il clima culturale degli anni ’80 e ’90 dell’Ottocento, dal quale emerge un’esigenza sentita di una legislazione unitaria in materia di tutela e la necessità di divulgare lo studio della storia dell’arte con la fondazione di un corso universitario apposito, come avverrà nel 1901 all’Università «La Sapienza» di Roma, con la prima cattedra italiana di storia dell’arte data ad Adolfo Venturi. L’analisi di queste fonti primarie, insieme agli scritti sulla legislazione dei beni culturali che hanno avuto la loro fortuna critica dagli anni Settanta del secolo scorso, mi hanno permesso nel primo I capitolo della tesi di ricostruire il quadro storico nel quale si formò non solo il Catalogo, ma anche la prima legge organica di tutela del 1902. Oltre gli studi sul Catalogo di Enzo Borsellino e Federica Papi1, ho continuato le mie ricerche soprattutto presso l’Archivio Centrale di Stato di Roma, reperendo nuova, fruttuosa documentazione che ha contribuito, con inediti documenti diretti, a chiarire quali professionalità e personalità furono coinvolte nella catalogazione. Sono emerse in particolare le paure più frequenti dei collezionisti privati, il più delle volte restii a mettersi a disposizione per far conoscere le proprie collezioni, timorosi di veder limitati i loro diritti di proprietà con il temuto Catalogo. In questo modo, ho potuto analizzare i diversi interessi che animarono le parti: sia da un punto di vista storico-artistico e conservativo, interesse principale del Ministero, sia da un punto di vista sociale se, come pare, l‘attenzione dei collezionisti privati era rivolta principalmente a mantenere alti i loro diritti di proprietà, in un contesto storico e sociale in forte mutamento. Il ricco fondo «Direzione Generale Antichità e Belle Arti» dell’Archivio Centrale di Stato, è stato fondamentale per ricavare la documentazione necessaria per capire il funzionamento di quest’organo affiliato al Ministero della Pubblica Istruzione, e nello specifico per avere informazioni sulle modalità usate dal Ministero per controllare il patrimonio artistico privato sparso in tutta Italia. Come sottolineato da Matteo Musacchio2, che ha inventariato l’Archivio delle Direzione generale delle antichità e belle arti per gli anni compresi tra il 1860 e il 1890, l’utilità del fondo è dimostrata dall’uso che ne fanno professionalità diverse quali archeologi, architetti e storici dell’arte, come «fonte preziosa per indagare su continuità e cesure della politica culturale dello stato liberale, poi fascista e infine democratico rispetto alla conservazione del patrimonio artistico e archeologico del Paese»3. La consultazione del fondo mi ha permesso, infatti, di analizzare diversi aspetti relativi alla questione del Catalogo e all’azione di tutela del Ministero della 1 E. Borsellino, F. Papi, Dagli elenchi delle raccolte private alla notifica delle opere d’arte. Il progetto di legge di Pasquale Villari e le origini del catalogo nazionale dei ‘beni culturali’ privati in Italia agli inizi del Novecento, «Annali di critica d’arte», 9, 2013, pp. 43-72. 2 M. Musacchio [a cura di], L’Archivio della Direzione generale delle antichità e belle arti (1860- 1890), Roma, 1994. 3 Ibidem. II Pubblica Istruzione, che si occuperà della salvaguardia dei beni storico-artistici e archeologici fino alla fondazione del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali. L’aspetto della valenza politica del Catalogo è stato argomento del secondo capitolo della tesi, dove ho analizzato il dibattito parlamentare che ha animato gli anni in cui fu Ministro della Pubblica Istruzione Michele Coppino, promotore della catalogazione delle opere dei privati con un disegno di legge sulla tutela dei monumenti che si sviluppava da quello già proposto dal suo predecessore Cesare Correnti. Gli interventi in aula dei Senatori, reperiti sempre presso l’Archivio Centrale di Stato4, mostrano uno spaccato dell’Italia liberale, divisa tra la volontà di tutela degli interessi dei privati cittadini e lo sviluppo del moderno concetto di ‘bene comune’, che doveva essere espressione del Catalogo. Ho approfondito poi l’impegno del Ministro Pasquale Villari sullo stesso tema: sarà solo con il suo arrivo alla Minerva, infatti, nel 1891, che inizierà, dopo anni di auspicio, l’attività vera e propria di catalogazione, dando adito ad una fitta corrispondenza tra il Ministero e i vari prefetti provinciali, ispettori regionali, eruditi locali, direttori di musei, biblioteche e archivi, ai quali si chiedevano informazioni più specifiche sulle collezioni private. Dopo questa prima fase di lavoro, è stato illuminante leggere le risposte degli organi addetti alla tutela sparsi in tutto il Regno: con un’analisi approfondita del carteggio, nel terzo capitolo della tesi ho potuto studiare più specificamente quali fossero le conoscenze degli enti periferici e come questi si muovessero per le investigazioni. Dallo studio di alcuni casi specifici, compiendo un lavoro di riordinamento delle fonti per una corretta utilizzazione delle stesse, ho potuto trarre le mie conclusioni circa la storia del gusto - che ha visto una predilezione particolare per il Rinascimento locale e per la geografia artistica più in generale, come si può dedurre anche dal Catalogo finale - e l’interesse che ha animato la Commissione addetta alla scelta delle opere di sommo pregio. Il materiale
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