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Caro Papà ... Memorie Della Figlia Di Jorgen Birkedal Hartmann /' / '1, ,', ',' ( ; !/ ~/// / I, I I ' I I/ GEMMA HARTMANN 11 ' Caro Papà ... Memorie della figlia di /' Jorgen Birkedal Hartmann / '1, ,', ',' ( / / ; !/ ~// i, I i ' I i/ GEMMA HARTMANN 11 '" 1!-~-- -~7-6~· , 1 Papà compiva 40 anni quando decise con mamma di lasciare la Danimarca alla volta della Città Eterna con la sua famigliola, era il 1950. A Roma mio padre JOrgen Birkedal Hartmann, aveva già vis­ suto per due anni, dal 1933 al 1935 per motivi di studio e anche per apprendere la lingua italiana della quale aveva subito il fa­ scino indelebile sin da molto giovane. L'anno precedente, il 1932 aveva accompagnato i suoi genitori in visita a Venezia. Ospiti del conte Giuseppe Volpi di Misurata in occasione dell'a­ pertura della Biennale, del 1932, l'Italia gli era entrata nelle ve­ ne. Di un luogo ci si può innamorare e papà non poteva non tor­ nare a Roma. Dei suoi due anni romani, ci sono un infinità di racconti e me­ I morie nel suo diario, personaggi noti dell'epoca nonché della vi­ l_,1,1r l 'I/ ta quotidiana a contatto con il popolo dei romani veri, di cui ado­ rava il gergo bonario, pigro e strascicato. Così il giovane stu­ dente, aveva preso in affitto una stanza a Via Pompeo Magno 1, al primo piano in Prati, dalla finestra della sua cameretta aveva inquadrato una bella visuale sul ponte Margherita, il pigro scor­ rere del giallo Tevere; la rampa del Pincio, ed il profilo classico del Cupolone ... L'archeologo, direttore dell'istituto archeologico di Germa­ nia a Roma, Prof. Ludwig Curtius, precedentemente ordinario presso l'università di Heidelberg ed autore della nota opera sul- 365 le pitture parietali di Pompei, ed altre importanti opere sull'arte antica fu per mio padre, in questi due anni romani un preziosis­ simo aiuto consigliere ispiratore per i suoi studi greco-romani. Il professor Curtius, persona di straordinaria spiritualità, co­ noscenza e memoria, aveva un dono raro: la magia della parola, esponeva i suoi concetti anche complessi con elementare sem­ plicità, elettrizzava il suo pubblico sempre numeroso peraltro con una sottile vena ironica. Papà conobbe e stimò un'altra fi­ gura di nome Ludwig, che avrebbe poi subito un tragico destino nell'ultima guerra mondiale. Era un collezionista e grande cono­ scitore esperto d'arte antica, Ludwig Pollak, questa incredibile figura, fu professore in archeologia classica all' università di L'archeologo Axel Boethius ed il Re Gustavo VI di Svezia, esaminano Vienna, papà ne traccia un profilo molto interessante nel suo ar­ un oggetto di scavo a S. Giovenale (Roma) 1953. ticolo sulla Strenna dei Romanisti dell'anno 1985, a pag. 287- Foto Jorgen Birkedal Hartmann. 316 "Ludovico Pollak romano". Papà prese la laurea in Storia dell'Arte prima a Copenaghen rentina, e Blake, il cognome di sua madre irlandese (Dublino). Il poi a Monaco di Baviera. primo incontro tra papà e mamma fu a dire il vero, quasi un se­ Il padre, Hjalmar Hartmann, era un uomo geniale. Industria­ gno del destino. Mamma era ospite di una amica danese a Co­ le agricolo, botanico, inventore, chimico, ma anche colto umani­ penaghen, sua compagna di studi a Londra, dove mamma risie­ sta poliglotta, bibliofilo e raffinato collezionista d'arte antica. deva e lavorava, dopo la sua laurea a Roma in lettere, con Adol­ Come uomo di grande cultura, incoraggiò la scelta di studi di fo Venturi. Era il 21 Aprile 1936, ab Urbe condita mio padre. Mia nonna Gerda Godfred Christensen (figlia del pit­ MMDCLXXXIX natale di Roma, al centro di Copenaghen, all' - tore paesaggista, impressionista danese, Godfred Christensen Hotel d' Angleterre, un'amica comune fece incontrare i due gio­ 1845-1928, amò tanto l'Italia e Roma, che la rappresentò negli vani. La stessa sera, papa invitò la bella e bionda romana dagli anni 1873-'74-'75. Nei suoi paesaggi romani, c'è la magia della occhi azzurri, ad un memorabile concerto, e fatali furono le no­ luce e dell'aria, di stampo nordico). Mia nonna, che adoravo, si te per pianoforte ed orchestra di Mozart, Bach e Gabrieli, l'algi­ dilettava con il bel canto, aveva una voce cristallina e dolce. do danese, bello come il sole, capitolò la stessa sera. Da questa Spesso si tenevano piccoli concerti da camera, nella casa dei felice unione nacquero nel tempo tre figli. Il primogenito fu Lu­ miei nonni a Copenaghen, con amici melomani, ottimi pianisti, ca, di seguito Gemma, l'ultima Donatella. Mamma fu per mio non mancava quasi mai un violino ed un contrabbasso o un flau­ padre un insostituibile compagna e preziosa correttrice per i suoi to dolce, era una goduria anche per noi piccoli. scritti in italiano. La mia mamma, Roma Ethel Donati, era per metà Italiana e Il primo Natale a Roma. Non era ancora molto in uso l'abete, per metà Irlandese. Donati è il cognome della sua famiglia fio- a piazza Navona si trovavano però i pupazzi da mettere nel pre- 366 367 sepe, questo per noi bambini era una affascinante novità. Ma il Natale senza l'albero non era un vero Natale per una famiglia nordica. Andammo così alla ricerca di qualcosa che potesse so­ stituire l'abete. Papà ci raccontò come si erano organizzati gli ar­ tisti scandinavi dell'800, usavano la saggina, un graminaceo con fusto alto a forma di pannocchia, si facevano anche le scope con quel arbusto, oppure si utilizzava l'alloro, Thorvaldsen vi ap­ pendeva addirittura delle monete romane che comprava a piazza Montanara (ora demolita) dai contadini la domenica ed altri pic­ coli oggetti di scavo, che poi regalava agli amici artisti, con il brindisi natalizio. Cosi trovammo la saggina e come voleva la tradizione i bambini dovevano con dovizia, fantasia e creatività, preparare gli addobbi sotto forma di cuoricini intrecciati, angio­ Artena 1985 Papà, vincitore del premio "Daria Borghese", a sinistra don Livio Borghese, a destra l'editore Mario Palombi letti bianchi svolazzanti appesi al filo da cucito. Negli anni a se­ guire l'albero di Natale a via dei Gandolfi, era solitamente un maestoso abete, con le luci delle candele vive accese, che si niva in vacanza dal collegio danese, era una festa ed una gioia ri­ specchiavano nelle sfere di cristallo colorato, il giardino d'in­ abbracciare questo fratellone, dopo tanti mesi trascorsi dall'esta­ verno assumeva una atmosfera tutta particolare. Mani nelle ma­ te passata. ni si faceva il girotondo intorno all'albero cantando gli inni di Cosi negli anni "50"ci stabilimmo a Roma. Natale prima di aprire i pacchetti dei regali, sotto l'albero.Natu­ Dall'età di due anni papà mi aveva trascinata per i musei e ralmente avevamo già consumato il pranzo natalizio.Alla vigilia l'arte mi era entrata sotto la pelle. Roma non poteva non susci­ di Natale l'usanza era il riso al latte per primo, con sopra la can­ tare in me una infinita meraviglia, sebbene ero ancora in erba e nella e zucchero e una noce di burro, nella scodella grande si piena di nostalgia per il mio paese d'origine, le mie amichette e metteva poi una mandorla pelata, chi la trovava, riceveva un re­ la mia nonnina ... Ma ecco lo stupore per le rovine millenarie, galino, il regalo della mandorla. L'uomo nordico ha il compito di neanche immaginarselo che potessero esistere delle testimonian­ tagliare il volatile natalizio, così spettava a mio padre affrontare ze così straordinarie e antiche, le statue di marmo, gli archi di il lavoro, l'arrosto dell'oca (più tardi di tacchino) ripiena di me­ trionfo, i palazzi degli imperatori, noi in Danimarca al massimo le, prugne e castagne, con contorni di cavolo rosso cotto nel suc­ potevamo competere con qualche, seppur bellissimo castello del co di mirtillo, mele con prugne gelatina di ribes fatto in casa, pa­ mille, del '5, '6, '7, '800 e poi con ... la sirenetta. Questo era il tate arrostite ecc. Infine, il "kransekage" una sorta di cornucopia confronto che una bambina della mia età poteva immaginare, di pasta di mandorle, con sopra tante bandierine danesi, lo man­ molto seriamente. Mi ricordo la prima volta che fui portata ad dava la nonna Gerda ogni anno, insieme ai regalini di natale le Ostia antica mentre papà conversava con la Sovrintendente l'ar­ riviste per grandi e piccini, le portava Luca, mio fratello, che ve- cheologa Raissa Calza, nella memoria ho la sua testa bianca e gli 368 369 occhi di un incredibile blu. Io saltellavo gioiosa come una ca­ Vorrei aggiungere una curiosità a proposito della stanza dove pretta inebriata felice di poter calpestare l'antichissimo passato. alloggiava papà nell'istituto svedese a Valle Giulia, la vista dal­ Il primo mese della nostra nuova vita romana fu Agosto. Fa­ la finestra dava su un bellissimo prato dove pascolavano le pe­ ceva un caldo soffocante, non mi sono mai abituata alle tempe­ core, sarebbe sorta lì, l'Accademia di Danimarca molti anni do­ rature estive italiane. Passai questo tempo con mamma ad Ostia, po ... La stessa Accademia di Svezia oggi, ospita, una importan­ in una pensione deliziosa degli anni trenta "La Sirenetta". Prati­ te raccolta di libri con argomenti di varia cultura scandinava, do­ cai i primi approcci con la lingua italiana, giocando con i bam­ nata da mio padre, molto fiero che la stessa, era allora già visi­ bini sulla spiaggia, mentre papà era ospite dell'Accademia di bile su internet. Svezia. Il suo più caro amico era I 'archeologo e RomanistaAxel Papà aveva coltivato sin dal suo arrivo a Roma un sogno, Boetius, lo seguiva di frequente nelle sue campagne di scavo, creare le basi per la fondazione di un istituto danese nella città nell'alto Lazio, alle quali spesso partecipava il più aristocratico eterna.
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