Matteo Veronesi Il Critico Come Artista Dall'estetismo Agli Ermetici
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See discussions, stats, and author profiles for this publication at: https://www.researchgate.net/publication/46092588 Il critico come artista dall'Estetismo agli Ermetici Book · July 2006 Source: OAI CITATIONS READS 0 346 1 author: Matteo Veronesi Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca 3 PUBLICATIONS 0 CITATIONS SEE PROFILE All content following this page was uploaded by Matteo Veronesi on 27 November 2016. The user has requested enhancement of the downloaded file. Matteo Veronesi Il critico come artista dall’estetismo agli ermetici D’Annunzio, Croce, Serra, Luzi e altri © Copyright 2006 Azeta Fastpress Distribuito da: Libreria Bonomo di A. Zama e c. sas via Zamboni 26/a - Bologna - tel. 051.22.15.10 www.libreriabonomo.com [email protected] Stampato presso Eurocopy – Bologna giugno 2006 in copertina: Frantisek Kupka,"La via del silenzio"1900 ca. Narodni Galeri, Praga La traduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione con qualsiasi mezzo (compresi i film, i microfilm, le fotocopie), nonché la memorizzazione elettronica, sono riservati per tutti i paesi Capita come in certe cattedrali: se se ne è rimasti fuori, non si può dirne nulla, ma, una volta entrati, ci si trova a partecipare al culto senza nemmeno averlo voluto. Jean Starobinski, "La Nouvelle Revue Française", settembre 1955 INTRODUZIONE Quella che segue vuole essere un’indagine intorno alle diverse espressioni e declinazioni, nella cultura letteraria italiana, del paradigma del critico come artista e come scrittore, della concezione che vede la critica come genere della letteratura e come forma d'arte almeno relativamente originale ed autonoma: critica creatrice insomma, “critique créatrice”, secondo la definizione duttile e sfaccettata che ne dava il Thibaudet della Fisiologia della critica . Anticipazioni parziali, per quanto essenziali, di questa prospettiva di studio, invero su di un piano più teorico e metodologico che storiografico, si trovano peraltro in alcune pagine, che si avrà modo di richiamare nel corso di questa stessa introduzione, di Anceschi e di altri esponenti di rilievo della "scuola di Bologna" 1. Una compiuta analisi delle ragioni che hanno indotto gli studiosi a lasciare tendenzialmente in ombra, se non proprio ad ignorare totalmente, questo aspetto essenziale e fondante della modernità letteraria otto-novecentesca, potrebbe avere un interesse e un'ampiezza quasi altrettanto rilevanti quanto quelli che spettano allo studio stesso dell'argomento. Credo si possa affermare, indulgendo ad un certo schematismo, ricorrendo ad una consapevole quanto inevitabile generalizzazione, e senza implicare alcun intento polemico, che le ragioni di questo silenzio (rotto solo dalle voci, piuttosto isolate e neglette, degli stessi esponenti, e nel contempo difensori e teorici, della critica "creativa", "poetica", "collaboratrice") siano da ricondurre alle diverse concezioni e metodologie critiche succedutesi nel corso del Novecento. Pare ormai superfluo insistere sull'inadeguatezza della metodologia crociana a cogliere le valenze e i problemi della modernità letteraria. Credo, però, che le ragioni dell'incomprensione crociana siano da rintracciare non solo o non 2 tanto in certe rigide antinomie, peraltro presenti e operanti nella metodologia del philosophus additus artifici (poesia e struttura, poesia e non poesia), quanto piuttosto nella scarsa attenzione prestata agli "elementi di calcolo, d'intelligenza, di conoscenza tecnica che sono presenti nell'operazione dell'artista" 2 e che si riflettono, coerentemente e lucidamente, nelle poetiche, esplicite o implicite, che la accompagnano, e, dall'altra parte, alla speculare componente attiva, originale, creativa, in certo senso "poetica", che può essere ravvisata - alla luce, si potrebbe dire, dell’"argomento di reciprocità" ben noto agli studiosi e ai teorici della retorica - nelle modalità e nelle forme dell'atto critico. Per Croce - il cui sistema sembra, nel complesso, ricalcare e contrario , e solo per negarla, questa reciprocità di creazione artistica e riflessione critica -, se da un lato la "sentenza", comune a Mallarmé e al suo discepolo Valéry, "che nell'arte sia 'immanente la critica'" riduce "l'arte ad un atto logico contraddittorio e imperfetto, (…) così insidiando e in effetto abolendo l'autonomia della forma fantastica e intuitiva dello spirito" 3, dall'altro il lavoro del critico consisterà non già in una riscrittura, in una mimesi emotiva e stilistica (o meglio, diremmo oggi con Barthes, una "anamorfosi", o se si vuole una "anasemia" o una "anatematizzazione", per avvalerci di un lessico decostruzionista) dell'opera oggetto della sua indagine, in una resa, attraverso i mezzi analogici ed evocativi offerti dalla pagina scritta, delle reazioni e delle risposte (da cui non è possibile eliminare un certo elemento di soggettività) destate dal contatto con essa, ma piuttosto in una definizione e in una delucidazione dei suoi contenuti e delle sue valenze, umani ed espressivi, alla luce di categorie etiche ed estetiche preesistenti, preliminarmente e chiaramente definite, in cui far rientrare ed entro cui ridurre, anche a costo di palesi forzature, ogni espressione e ogni forma dell'arte. In questo senso, l'insofferenza del filosofo per i "frigidi e insipidi paradossi" con cui, a quanto si legge ancora nel passo di Letture di poeti sopra richiamato, il poeta della Jeune Parque si era "degnato" di "soccorrere" l'"arido razionalismo" e il "freddo calcolo" cui era improntata la poetica mallarmeana nasce dagli 3 stessi presupposti che lo inducono a manifestare, pur se in modo più pacato, la sua perplessità di fronte alla critica "poetica" e "geniale" degli esteti italiani che saranno oggetto di alcuni paragrafi di questo lavoro, e che agli occhi di Croce si rendono responsabili dell'"ibridismo" e dell'"artificiosità" a cui va soggetto il loro "miscuglio (…) di impressioni iperbolizzate, di escogitazioni analogiche, di sottigliezze immaginifiche e di riflessioni intellettive" 4. Chi volesse trovare, fra le estetiche di matrice idealistica del primo Novecento, una teorizzazione in certo modo conciliabile con un'idea del critico come creatore, dovrebbe semmai rivolgersi a Gentile, che, partendo da presupposti in fondo non lontanissimi da quelli di Croce, e distinti da essi più che altro sul piano terminologico (non più il binomio di "intuizione" ed "espressione", ma quello, schiettamente hegelo-desanctisiano, di "contenuto" e "forma"). Nella conferenza G enio, gusto, critica , la critica appare come una accesa e viva attività, come un interno moto dello spirito e della soggettività che deve, al proprio culmine, arrivare ad oltrepassare, o a fondere in una superiore sintesi creativa, quei dati storici e linguistici che ne costituiscono i materiali e i presupposti, e per questa via "raggiungere tale forma d'interpretazione o pensamento dell'opera d'arte, ossia del pensiero dell'autore, che questo pensiero non stia più innanzi a lui come qualcosa di oggettivo, bensì immedesimato con la soggettività animatrice. (…) Allora il critico entra anche lui in quel che si può dire lo stato di grazia dell'artista, in cui ferve e tumultua la vita con le sue forze creatrici". Basta rileggere gli scritti gentiliani di critica letteraria, soprattutto quelli danteschi e petrarcheschi, per trovarsi di fronte ad un pensiero e ad una scrittura che tendono, come quelli degli autori esaminati, a trascendere e a bruciare la freddezza dell'erudizione e della dimostrazione razionale con la fiamma viva dell'"energia creatrice". Per quanto superata e lontana possa apparire oggi, al nostro sguardo immanente e secolarizzato, l’angolatura visuale del neoidealismo, certi passaggi della Filosofia dell’arte offrono un suggestivo sostegno ad ogni forma di soggettività interpretativa: la natura e la materia della realtà 4 come dell'arte non sono che "sistema della nostra esperienza legato al suo centro, che è il soggetto", che è l'"autocoscienza infinita", intrisa di razionalità e di passione, di consapevolezza e di entusiasmo, insita nel nostro essere uomini. È interessante seguire le sottili acrobazie concettuali, gli equilibrismi logici, i compromessi e le parziali concessioni a cui andarono incontro i teorici che, muovendo da un retaggio crociano mai completamente rinnegato, e a cui restavano legati, si direbbe, da una sorta di coazione, ma volgendosi, nel contempo, ad una più attenta ed equa percezione del moderno, dovettero inevitabilmente confrontarsi - pur se marginalmente, en passant , come di sbieco, quasi volessero aggirare o dilazionare un confronto diretto - con il rapporto che unisce (mi si perdoni lo schematismo formulare) la componente critica e autocosciente della creazione all'elemento originale, creativo, in senso lato "artistico", della critica. Si consideri, ad esempio, la riflessione del Binni, dalla Poetica del decadentismo (il fondamentale studio del '36, coevo, si noti, all'anceschiano Autonomia ed eteronomia dell'arte , in cui la nozione di poetica tocca, peraltro, un più alto grado di spessore speculativo e di efficacia ermeneutica) a Poetica, critica e storia letteraria , la cui prima edizione risale al '63. In entrambi i libri del Binni, è già attiva e operante una nozione di "poetica" intesa come "consapevolezza critica che il poeta ha della propria natura artistica", come "programma" relativo ai "modi secondo i quali si propone di costruire" 5, come "consapevolezza attiva dell'ispirazione (…) intimamente attinente allo stesso operare poetico"; consapevolezza, nondimeno,