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DECALOGODECALOGO:: II “COMANDAMENTI“COMANDAMENTI LAICI”LAICI” DIDI KIESLOWSKIKIESLOWSKI'

Evento speciale alla Mostra di Venezia del 1989, l’opera del regista polacco, trent’anni dopo, continua a sorprendere per il suo profondo studio delle relazioni umane indagate alla luce dei riferimenti biblici. Uno sguardo morale, privo di intenti devozionali, che suggerisce di “cercare Dio in altre cose che vadano oltre Dio”.

Paolo Perrone

Decalogo 5 - Non uccidere (1988)

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Decalogo 1 - Io sono il Signore tuo Dio. Non avrai altro Dio all’infuori di me (1988) Decalogo 3 - Ricordati di santificare le feste(1988)

o non credo in Dio, ma anche non cre- di Veronica (1991) e della celebre trilogia dei dello sguardo (Le Mani – Microart’s edizioni, ad osservare. Il suo sguardo da entomologo dendo ho comunque un rapporto con colori, Film blu (1993), Film bianco (1994) e 1998), “l’inadeguatezza spesso riscontrata tra appassionato, che studia le relazioni umane “lLui. Certo, per chi crede è tutto molto Film rosso (1994), e dopo una lunga stagio- la formulazione di questi comandamenti e la esplorandone il perimetro esistenziale con la più semplice (…). Tutti i miei film nascono ne di documentari iniziata nel 1968 dopo la trama di ogni film è un primo indizio: non si freddezza dello scienziato ma sollevandone le sotto vetro: non ho mai distribuito emozio- scuola di cinema di Lodz. tratta di inscrivere un’azione nel campo di una contraddizioni con i dubbi del filosofo, ripone i ni e non ho nessun motivo per cominciare Preceduto da due lungometraggi per le sale proibizione latente per poter sanzionare il suo personaggi in ambienti chiusi, si concentra sui ora. Però il Decalogo nasce da un equilibrio poi rimontati e inseriti, in forma ristretta, nel grado di conformità alla legge. Se le situazio- primi piani, talvolta su dettagli apparentemente fra osservazione e affetto per i personaggi”. corpus dell’intera opera televisiva (Breve film ni hanno così poco rapporto con la regola, è fuorvianti che in realtà contrappuntano in forma Queste frasi, estrapolate dall’intervista di sull’uccidere, che nel 1988 riceve il Gran perché non sono destinate a illustrarla”. interrogativa l’evolversi delle vicende. Alberto Crespi a Krzysztof Kies´lowski e Kr- premio della giuria al Festival di Cannes, os- “In Kies´lowski la scelta è un’arte”, scrive an- zysztof Piesiewicz, intitolata La mia Bibbia sia Decalogo 5. Non uccidere, e Breve film La freddezza dello scienziato, cora Amiel in Kies´lowski. La coscienza dello senza certezze e pubblicata su L’Unità del sull’amore, vale a dire Decalogo 6. Non com- i dubbi del filosofo sguardo, “si può anzi dire che sia l’oggetto 19 settembre 1989, riassumono con pre- mettere atti impuri, nonostante la traduzione Che parli di un padre che perde il figlio annegato della sua arte, nel senso che il dubbio, l’atto cisione retroterra culturale, slancio metafisi- italiana Non desiderare la donna d’altri faccia in un torrente, dopo che la crosta ghiacciata ha di scegliere e la decisione costituiscono indi- co e complessità autoriale del regista (e, in riferimento, chissà perché, al nono coman- ceduto sotto i suoi piedi (Decalogo 1. Io sono scutibilmente il tema centrale della sua ope- tandem, del fedele sceneggiatore) dei dieci damento), Decalogo, a trent’anni di distanza, il Signore tuo Dio. Non avrai altro Dio all’infuori ra. Arte di vivere, anche, ossia etica. Il com- mediometraggi, ciascuno di un’ora scarsa, continua a suscitare profondo interesse per di me), di una donna con il marito in fin di vita portamento di Kies´lowski nei confronti del realizzati per la televisione polacca nel 1988, il contrasto stridente tra i riferimenti biblici di in ospedale, ma incinta di un altro uomo, che cinema e all’interno dei suoi film nei confronti ispirati per l’appunto alle leggi fondamentali partenza e le storie quotidiane narrate, in cui chiede aiuto al primario, suo vicino di casa, che dello sguardo, è completamente dettato da del cristianesimo. Un’opera, proposta come i personaggi, tutti residenti in un condominio ha in cura il coniuge (Decalogo 2. Non nomi- considerazioni di ordine morale, che vertono “evento speciale” alla Mostra di Venezia del del quartiere Stowski a Varsavia, sono costretti nare il nome di Dio invano), o dell’ex amante di sulle buone o cattive domande da porre, su 1989, che per la rilevante valenza artistica e a confrontarsi con i valori supremi dell’esisten- un uomo, sposato e con figli, che fa di tutto per buoni o cattivi modi di farlo”. E poco oltre: le vibranti istanze etico-filosofiche ha colloca- za. “Nei film di Kies´lowski questi dieci coman- riuscire a trascorrere con lui la notte di Natale “L’individuo e il gruppo, le scelte di ognuno to Kies´lowski (scomparso prematuramente damenti fondamentali non inducono a nessun (Decalogo 3. Ricordati di santificare le feste), lo e la propria responsabilità nei confronti del nel 1996, a soli 54 anni) sotto i riflettori della comportamento, non emanano norme”, scri- sguardo filmico di Kies´lowski si mantiene equi- mondo: il Decalogo si dedica effettivamente ribalta internazionale, prima de La doppia vita ve Vincent Amiel in Kies´lowski. La coscienza distante: non condanna né assolve, limitandosi a una declinazione sensibile di questi temi”.

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Sull’orlo di due precipizi Su queste stesse tracce si muovono, dunque, anche De- calogo 4. Onora il padre e la madre (in cui una ragazza in- venta una falsa lettera della mamma morta per avvicinarsi al presunto papà, da cui è attratta), Decalogo 5. Non ucci- dere (nel quale il giovane omicida di un taxista viene a sua volta condannato a morte dal tribunale), Decalogo 6. Non commettere atti impuri (dove un ragazzo tenta inutilmente di conquistare una giovane vicina di casa, dopo averla spiata dalla propria stanza), Decalogo 7. Non rubare (quando una studentessa che vive con i genitori fugge con la sorellina ri- velandole di esserne la vera madre), Decalogo 8. Non dire falsa testimonianza (su una bimba ebrea lasciata nelle mani dei tedeschi anziché essere adottata da una coppia catto- lica, incapace di tacerne la provenienza), Decalogo 9. Non desiderare la donna d’altri (in cui un uomo impotente non si dà pace dopo aver scoperto che la moglie ha un altro) e De- calogo 10. Non desiderare la roba d’altri (nel quale due fratelli ricevono in eredità dal padre, collezionista di francobolli, una raccolta preziosissima). “Se Kies´lowski è certo sfuggito al fascino degli ordini im- posti”, precisa Vincent Amiel nella sua analisi, “se né la legge, né la scienza, né la religione possono essere invo- cate senza lascare apparire le loro carenze, tuttavia l’oscu- rantismo e la rinuncia non vengono mai proposte come soluzioni. Opera dell’artista è proprio di andare a scavare il mistero, fornendo altre vie alla sensibilità, aprendo altre ferite, accusando via via la propria ignoranza”. La lonta- nanza e allo stesso la prossimità alla dottrina cristiana fa del Decalogo un’opera contraddittoria ma acuta, proble- matica ma rigenerante. “Nonostante Kies´lowski non abbia mai fatto mistero del proprio atteggiamento nei confronti delle religioni ufficiali (‘da quarant’anni non vado in chiesa’, dichiarò una volta in un’intervista)”, scrive Chiara Simonigh nel suo illuminante La danza dei miseri destini. Il Decalogo di Krzysztof Kies´lowski (Testo & Immagine, 2000), “nel De- calogo si mantiene in ammirevole equilibrio sull’orlo di due precipizi, e gran parte del fascino dell’opera deriva proprio da questo, o forse proprio dal saper andare ‘oltre’ questo. (…) In ogni film si coglie una sorta di ‘spiritualismo laico’; il Decalogo rende sensibile allo spettatore la presenza di un’entità superiore, che tuttavia appare misteriosa, impal- pabile, indecifrabile. E’ inutile cercarla in qualche rivelazione o in qualche miracolo, in un intervento provvidenziale o in un’improbabile Grazia. Esiste nel Decalogo il divino, ma si tratta, forse, di un deus absconditus più che non di un deus ex machina, o di un Dio che ‘vede e provvede’”. Krzysztof Kieslowski´ sul set

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Il disorientamento della coscienza delle cose e delle persone. In ogni episodio Questa volontà di allontanarsi dai legami con l’attenzione, la cura, l’intelligenza, la cautela, la le dottrine, disseminando però tutta l’opera di sensibilità dei personaggi non sono mai suffi- segni, indizi, premonizioni che, viene fatto no- cienti per prevenire gli accidenti, gli errori, ma tare ne La danza dei miseri destini, “spingono utili solo per riconoscerli come tali a posteriori, l’uomo a trascendere i limiti della razionalità, quando ormai una sofferta presa di coscien- ad affacciarsi in una dimensione che lo sor- za difficilmente costituirà un rimedio”. Sono i passa”, è il presupposto fondativo dell’intero “ritardi” di chi, nel Decalogo, pur interrogando Decalogo. Non a caso Kies´lowski suggerisce e interrogandosi su Dio, non trova la via del di “cercare Dio in altre cose che vadano oltre Cielo per i continui inciampi terreni. Eppure Dio”, come riportato in Kies´lowski, il volume in Decalogo 1, quando il piccolo Pawel ap- curato da Malgorzata Furdal e Roberto Turi- prende dalla zia Irena, profondamente catto- gliatto pubblicato in occasione della persona- lica, che lei e il fratello sono distanti ideolo- le del regista al Museo nazionale del cinema gicamente (pur non ipotizzando che il papà di Torino nel 1989. “Ci sono segnali che giun- di Pawel, per questo, “non creda in Dio”), il Decalogo 4 - Onora il padre e la madre (1988) gono da chissà dove”, afferma nell’intervista bambino, di fronte a chi vorrebbe inculcare raccolta a Varsavia nel 1989 (Perché siamo con delicatezza i valori religiosi affidando alla qui?), contenuta sempre in Kies´lowski, “se- fede il compito di sciogliere nell’amore univer- gnali metarazionali. Si tratta non solo di sim- sale ogni contrasto, chiede con fermezza se boli, ma di qualcos’altro, di una realtà che non per lei Dio esista davvero. La zia stringe forte il si può capire, che non si può sistemare in un nipotino tra le braccia, chiedendo a sua volta Decalogo 6 - Non commettere atti impuri (1988) ordine logico, dalla quale in sostanza non ri- a Pawel cosa sente in quel preciso momento. sulta niente, ma che costituisce un’esperien- “Ti voglio bene”, risponde il bimbo. E la don- za esaltante. E’ veramente bello. Sono segni na: “Esatto. E Lui è questo”. che provengono di là? Non lo so proprio, ma soffitto e dalle pareti della stanza; nella secon- Identica domanda, “lei crede in Dio?”, viene so che esistono nella vita di ogni giorno e io da l’uomo concentra la propria attenzione su posta in Decalogo 2 dalla violinista al medico cerco di filmarli…”. un bicchiere, all’interno del quale una vespa che ha in cura nel reparto di oncologia il ma- Soffermandosi su dettagli apparentemente cerca di salvarsi dalla morte per annegamen- rito della donna, in fin di vita per un tumore, fuorvianti, sospendendo il normale rappor- to”. La stessa impressione la si può riscon- dopo aver confessato al primario che lei è to di causa-effetto che disciplina le relazioni trare in Decalogo 5, quando la macchina da rimasta incinta quando pensava di non poter della vita quotidiana, la macchina da presa di presa fissa con crudele insistenza l’uccisione avere figli, che il bimbo di cui è in attesa non Decalogo 6 - Non commettere atti impuri (1988) Kies´lowski, cristallizzando l’azione in un miste- del taxista da parte dello scapestrato venten- è però di suo marito e che, per questo, è rioso “tempo morto”, carica così lo spettatore ne e, allo stesso modo, quando Kies´lowski disposta ad abortire. “Ho un Dio che forse di una palpitante, intima tensione, sollevando si “attarda” sui preparativi dell’impiccagione basta solo a me”, risponde il dottore. “Un Dio dubbi radicati nel profondo dell’anima e avvici- del giovane assassino. “Lo scarto apparente privato?”, chiede ancora la donna. “Sì”, am- nando il destino dei personaggi del Decalogo che ‘sente’ il pubblico in ognuno degli esempi mette il medico. E lei: “E allora oggi chieda al alle storie personali dello spettatore, ad un vis- riportati”, scrive ancora Quaglia, “testimonia suo Dio che conceda la soluzione”. suto interiore, anche solo immaginato, di forte l’esistenza di quello che verrà definito il ‘tem- “Il Dio del Vecchio Testamento ci lascia suggestione. Come scrive Massimo Quaglia po della coscienza’, dimensione al cui interno molta libertà e responsabilità”, si legge in nel saggio Il tempo della coscienza, contenuto agisce la morale laica tanto cara all’autore”. Kies´lowski racconta Kies´lowski (a cura di in Garage. Cinema, autori, visioni: Krzysztof Danusia Stock, Il Castoro, 1998), “osserva Kies´lowski (Edizioni Scriptorium, 1995), per La via del Cielo e i continui inciampi terreni come le usiamo e poi premia o punisce e cogliere la “condizione di disorientamento” in Tutti i dieci film delDecalogo appaiono, come non c’è possibilità di appello o di perdono. E’ cui è collocato lo spettatore “basterebbe cita- scrive Chiara Simonigh ne La danza dei miseri qualcosa di permanente, assoluto, eviden- re due scene relative al Decalogo 2: nella pri- destini, “un’analisi spietata dei limiti e dell’inet- te e non relativo. E’ ciò che deve essere un ma Andrzej, agonizzante in un letto d’ospeda- titudine umana, dell’incapacità di comprende- punto di riferimento, specialmente per le per- Decalogo 7 - Non rubare (1988) le, osserva le gocce d’acqua che cadono dal re, di andare oltre la superficie e l’apparenza sone come me che sono deboli, che stanno

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cercando qualcosa, che non sanno. (…). Credo che un’autorità simile esista. Come qualcuno disse una volta: ‘Se Dio non esi- stesse, qualcuno dovrebbe inventarlo’”. Kies´lowski non l’ha inventato, ma, a suo modo, insieme agli interrogativi diretti sulla sua esistenza, messi in bocca ai propri personaggi, l’ha trapiantato all’interno della sua opera: il “testi- mone silenzioso”, figura metafisica presente trasversalmente in tutto il Decalogo, tranne che nel settimo e nell’ultimo film (l’uomo del falò nel primo episodio, l’infermiere in Decalogo 2, il condu- cente di tram nella terza puntata, il giovane in canoa nel quarto segmento, l’individuo con l’asta in mano nel Decalogo 5, l’uomo con la valigia nel sesto capitolo, uno studente nell’ottavo episo- dio e l’uomo in bicicletta nel nono), è, per alcuni, l’estensione terrena dell’Assoluto, per altri, invece, la personificazione del destino. Una presenza, in ogni caso, tanto radicata nella realtà quotidiana quanto, nella visione di Kies´lowski, asettica, impas- sibile e imperturbabile, non per questo però slegata dagli eventi in cui si ingarbugliano le esistenze dei vari protagonisti. Un’au- torità, al contrario, in grado di influenzarne gli esiti, o perlomeno di spingere alla riflessione ogni personaggio con cui incrocia lo sguardo, in una sorta di comunicazione muta che si fa avverti- mento e ammonimento morale.

Un misterioso, sotterraneo ordine “Epurata dal suo aspetto rassicurante”, allora, scrive Chiara Si- monigh ne La danza dei miseri destini, “l’idea di Destino sfiora, anzi, sconfina spesso in quella di Caso. Destino e Caso nel Decalogo, diversamente dai successivi film di Kies´lowski, sono quindi indissolubilmente legati, spesso inscindibili, tanto che il pri- mo diventa, insieme al secondo, funzione ed espressione del caos apparente del cosmo, simbolo della sua inconoscibilità, del suo misterioso e sotterraneo ordine”. È questa ricorrente con- traddizione, sovrapposizione, negazione e riaffermazione a fare del Decalogo, ancora oggi, un’opera sorprendente. Ed è que- sta stessa ricognizione sulla condizione umana, dolorosa e allo stesso tempo carezzevole, illusoria e funesta ma contemporane- amente convincente e fiduciosa, a nutrire il cinema successivo del regista polacco. Un cinema acclamato sia alla Mostra di Ve- nezia che alla Berlinale che al Festival di Cannes, ricompensato da premi e riconoscimenti prestigiosi, applaudito da un pubblico ammirato dalla “freddezza appassionata” di Kies´lowski. “Mi piac- ciono gli spettatori che dicono che il film parla di loro”, si legge in Kies´lowski racconta Kies´lowski, “o che significa qualcosa per loro, e quelli che dicono che il film ha cambiato qualcosa in loro. Questi sono gli spettatori che amo. Non ce ne sono molti, ma (1988) forse ce ne sono alcuni”. Decalogo 1 - Io sono il Signore tuo Dio. Non avrai altro Dio all’infuori di me

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CANNES INGIUSTIZIE SOCIALI E PASSIONE CINEFILA

Le criticità del mondo contemporaneo in molti film in concorso sulla Croisette, a cominciare da Parasite di Bong Joon Ho, meritata Palma d’oro. Un Festival che guarda al futuro, con i premi ad Atlantique e Les misérables dei francesi di origini africane Mati Diop e Ladj Ly, ma contrassegnato dalla riflessione sul cinema diDolor y gloria di Pedro Almodòvar e Once upon a time… in Hollywood di Quentin Tarantino.

Paolo Perrone

Parasite (2019) di B. Joon-ho

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Una commedia stuta, funambolica senza pagliacci “lotta di classe” mes- e una tragedia sa in atto dai quattro senza cattivi “parassiti” dei bassifondi “Abbiamo preso decisioni (figlio, figlia, padre e madre artistiche e non politiche”, ha rispettivamente falso inse- precisato il presidente di giuria gnante di inglese, fittizia esperta Alejandro Gonzalez Iñarritu nella di arte terapia, ingannevole autista Parasite (2019) di B. Joon-ho conferenza stampa di chiusura del e improvvisata governante), poi arri- Les Misérables (2019) di L. Ly Festival, sabato 25 maggio, aggiun- va a graffiarlo affondando il grottesco gendo che “tutti i film premiati hanno in un rabbioso, sanguinoso “secondo trattato il tema della giustizia e ingiustizia atto” di rivendicazione identitaria. arginalità sociale, precarietà lavorativa, sociale. Il cinema cerca di elevare la coscienza “Commedia senza pagliacci e tragedia senza deflagrare, è un teatro di guerra tra poveri (di fondamentalismo religioso, manipola- del mondo, e l’ambizione dell’arte si riflette nel cattivi”, come sintetizzato dallo stesso Bong denaro) e ricchi (di inedia), il riassunto in im- Mzioni genetiche. Ma anche il dramma sentire attraverso le frustrazioni e gli incubi del Joon Ho, Parasite, scandito da una gestio- magini di un raggiro impossibile. Le disegua- delle migrazioni, la difesa del territorio dagli nostro tempo quale può essere il futuro. Tutto ne magistrale degli spazi interni, da scelte di glianze profonde, sembra dirci il regista su- attacchi terroristici, la forza della fede come questo appartiene al linguaggio del cinema”. regia efficaci, da interpretazioni convincenti dcoreano, non possono ricomporsi, la coe- baluardo ad ogni sopruso, l’incombenza della Parole che fotografano con nitidezza quanto e, soprattutto, da uno script riuscitissimo ca- sistenza forzata è destinata ad entrare in col- morte come ultimo atto della vita. Temi signi- emerso fin dal 14 maggio sugli schermi del pace di incrociare Ozu con Buñuel, facendoli lisione, l’ascensore del benessere non può ficativi, quelli evidenziati dai film in concorso Grand Théâtre Lumière, del Théâtre Debus- invertire il proprio senso di marcia tra “alto” e al 72° Festival di Cannes (a cui si è aggiun- sy e delle altre sale del Palais di Cannes, e “basso”. Ma le miserie umane, questo pare ta l’analisi, tutta interna al sistema cinema, di che valgono certamente per la Palma d’oro il messaggio di fondo di Parasite, non cono- ruolo, funzione e percezione delle immagini in 2019, Parasite del sudcoreano Bong Joon scono barriere economiche né provenienze movimento), spunti di riflessione acuti e per Ho. Una Palma pienamente meritata e che sociali. Accomunando tutti, disoccupati e molti versi “necessari”, tutti legati alle criticità fa il bis, sia in termini geografici (l’Oriente) che imprenditori, imbroglioni e truffati. del mondo contemporaneo, trattati con mo- tematici (l’esclusione sociale), con quella vin- dalità narrative e senso estetico diversi a se- ta lo scorso anno dal giapponese Kore’eda Migranti e banlieue: chi cerca di partire, conda della provenienza geografica e dell’o- Hirokazu con Un affare di famiglia. Vibrante chi vuole restare rizzonte culturale di ciascun autore. A sipario dramma travestito da spassosa commedia, Scorrendo il palmarès della 72ª edizione del calato sulla Croisette, una lettura ragionata con un intero nucleo parentale senza un soldo Festival di Cannes “le frustrazioni e gli incubi del palmarès di Cannes 2019 non può che in tasca, che vive in un seminterrato di Seul, a del nostro tempo” rimarcate da Iñarritu insie- rafforzare l’idea di un concorso (finalmente di prendere servizio, con false identità, nella lus- me al compito del cinema di “elevare la co- buon livello dopo anni di sostanziale mediocri- suosa villa di una ricca famiglia borghese, Para- scienza del mondo” appaiono affiorare con tà) legato a doppio filo con i cortocircuiti e le site dapprima accoglie lo spettatore con il sor- Bacurau (2019) di K. Mendonça Filho e J. Dornelles chiarezza: il Gran premio assegnato ad At- emergenze dell’attualità. riso sulle labbra, rendendolo partecipe dell’a- lantique della francese di origine senegalese

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Atalantique (2019) di M. Diop

Mati Diop, ancora acerbo nella scrittura ma di uccidere la sua insegnante; e anche la intenzionati a divorare ogni essere vivente), re, impegnati nella costruzione di una torre contrassegnato da un suggestivo realismo menzione speciale attribuita a It must be He- l’esordiente nel lungometraggio Mati Diop, futuristica, senza stipendio da quattro mesi, magico, evoca il dramma dei migranti in cer- aven evidenzia, nello stile personalissimo del fino a ieri solo stimata attrice, inAtlantique e con la giovane protagonista obbligata ad ca di un futuro in Europa; il Premio della giu- palestinese Elia Suleiman, l’ossessione del innerva di accenti visionari la sparizione di un un matrimonio combinato dopo la partenza ria consegnato al tesissimo Les misérables controllo preventivo e il presidio del territorio giovane operaio di un cantiere edile a Dakar, in mare del muratore, di cui è innamorata pur del francese Ladj Ly (ex aequo con il brasi- ad ogni angolo del pianeta, da Nazareth a in Senegal, decisosi a prendere la via del sapendo di dover sposare un altro uomo), il liano Bacurau di Kleber Mendonça Filho & Parigi a New York. mare su un barcone, alla volta della Spagna. film di Mati Diop lavora sulle stesse coordi- Juliano Dornelles) riassume con forza tutta Nell’offrire ampi margini narrativi all’incendio Il suo film, tutto al femminile e ricco di vivi- nate di un analogo cortometraggio di dieci cinematografica una giornata di tensione tra che devasta la festa di nozze della giova- de sfumature psicologico-sociali, si dimostra anni prima, dando significato e forza al ter- comunità multietnica e forze dell’ordine nel- ne protagonista, alle febbri misteriose che capace di sfuggire al rischio del folclore loca- mine “radici”. la banlieue parigina; il Premio per la migliore contagiano sia le ragazze del posto che un le (l’animismo tradizionale africano che scon- Quelle stesse “radici” che Les misérables, regia attribuito a Le jeune Ahmed dei fratelli commissario di polizia appena giunto in loco fina nella superstizione) per farsi riflessione firmato dal secondo debuttante del concor- Dardenne, come sempre rigoroso anche se e all’apparizione di morti viventi più sonnam- universale sulla ricerca di un futuro migliore, so, Ladj Ly (già co-regista del documentario meno incisivo rispetto ai capolavori dei due buli remissivi che zombie feroci (come in individuale e collettivo. Storia di revenants A voce alta-La forza della parola, anch’egli, registi belgi, mostra il percorso di radicalizza- The dead don’t die di Jim Jarmusch, dove i che si fanno “motori di giustizia” in un angolo come Mapi Diop, francese di origini africa- zione di un tredicenne islamico che decide defunti risvegliati dal sonno eterno appaiono di mondo ingiusto (con i lavoratori del cantie- ne, in questo caso il Mali, e partito pure lui

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per il suo esordio nel lungometraggio da un nome di Allah, l’uccisione della propria profes- Les Misérables (2019) di L. Ly It must be Heaven (2019) di E. Suleiman precedente corto sul tema), indaga con ten- soressa “colpevole” ai suoi occhi di apostasia sione drammaturgica sorprendente, frutto di nell’insegnamento della lingua araba. una conoscenza diretta dei luoghi di ripresa L’ossatura narrativa di Le jeune Ahmed è, (il sobborgo parigino in cui Ladj Ly è effetti- come sempre, solida: i due fratelli belgi, fe- vamente cresciuto) e di una sceneggiatura deli al loro serrato, secco stile documentari- che gronda verosimiglianza e partecipazione stico, raccontano in immagini un fanatismo emotiva ad ogni pagina, senza enfatizzazioni reticente e resistente sia ai richiami dell’imam gratuite o pregiudizi di sorta. sia alle sollecitazioni della preoccupata ma- Come Polisse di Maïwenn Le Besco, che si dre del ragazzo, sia al percorso di socialità immergva nella difficile quotidianità lavorativa proposto dagli educatori che hanno preso dell’équipe parigina di protezione dell’infanzia, Ahmed sotto la loro tutela. Muovendosi con e recuperando la radicalità “a muso duro” del- la consueta camera a mano, in un pedina- le periferie metropolitane, portata all’attenzione mento assillante dei personaggi, e non avva- internazionale da L’odio di Mathieu Kassovitz, lendosi di alcuna traccia musicale extradie- Les misérables poggia su una regia mobilis- getica, come in (quasi) tutto il loro cinema, sima e su un equilibrio narrativo sorprenden- i due autori de Le jeune Ahmed, circondan- te, equidistante da residenti suburbani neri dosi di attori non-professionisti, sottraggo- e difensori della legge bianchi, consenten- no ogni forma di intervento esterno alla loro do dunque allo spettatore un’identificazione ennesima descrizione di un’adolescenza psicologica ed emotiva non predeterminata inquieta. Non condannando né assolvendo, a senso unico. L’arrivo di una nuova recluta Jean-Pierre e Luc Dardenne lasciano ogni nella brigata anticriminale di Montfermeil, a giudizio allo spettatore, velando di inelutta- Seine-Saint-Denis, è il volano di una ricogni- bilità il loro sguardo oggettivo salvo poi, nella zione sociale attenta e sofferta che si posa sia sequenza finale, aprire (forse) una breccia su un’infanzia esposta a drammatiche riper- in un universo fino a quel momento richiuso cussioni (con un ragazzino responsabile del completamente su se stesso. Un “cambio di furto di un leoncino da un circo itinerante e un passo” decretato da un agente esterno (de- coetaneo che pilota un drone dall’alto del suo stino? provvidenza? fatalità?) tanto spiazzan- condominio, filmando arresti e abusi, a surri- te quanto passibile di ogni interpretazione. scaldare gli animi nel quartiere), sia su un’età Anche It must be Heaven affronta proble- adulta fragile e non riconciliata. Mascherata matiche contemporanee pressanti, come da muscoloso rancore, nel caso degli abitanti la tutela della popolazione da un possibile della banlieue. Coperta da ironica spavalde- rischio terroristico, il presidio delle aree urba- ria, per quanto riguarda gli uomini in pattuglia. ne a forte concentrazione abitativa e la fobia del controllo preventivo da parte delle forze Ossessioni allo specchio: fascinazione dell’ordine, negli aeroporti e nelle strade cit- jihadista e fobia attentati tadine. Ma questo fil rouge (che porta Elia Radicalizzazione islamica e fascinazione jihadi- Suleiman dal Medio Oriente in Europa e poi sta sono invece al centro di Le jeune Ahmed, negli Stati uniti, per poi fare definitivo ritorno in cui Jean-Pierre e Luc Dardenne interroga- a Nazareth) fa parte di un tessuto narrativo no frontalmente lo spettatore, messo a stretto più ampio, in cui gli stessi meccanismi del contatto con un ragazzo di tredici anni abba- fare cinema (la sceneggiatura di un nuovo gliato dagli slanci ideali di purezza vagheggiati film proposta ad un produttore parigino e a dall’imam della moschea che egli frequenta e, uno americano) viaggiano in parallelo, in un Le jeune Ahmed (2019) di L. Dardenne e J. Dardenne sospinto da una fede deviata in logiche inte- quadro generale di laconico straniamento Sorry we missed you (2019) di K. Loach graliste, deciso a commettere un omicidio nel che è tipico dell’autore palestinese e che lo

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rimanda al “mutismo colto” di Buster Keaton e Jacques Tati. Film sullo sguardo, sulla oggettività/soggettività del vedere e, al contempo, film politico, che esce dai confini della Palestina per abbracciare in una fotografia universale e surreale le derive dell’attuale esperienza umana, It must be Heaven accumula in una serie di calibratissimi tableaux vivants amarezze e disillusio- ni, complicità ed estraneità, violenze sotterranee e inquietudini latenti. Divertendo, e allo stesso tempo facendo riflettere attra- verso briciole di vita quotidiana talmente stralunate da risultare più vere del vero.

Un duplice “regolamento di conti” con se stessi Se sul piano dell’aderenza alle contraddizioni della realtà con- temporanea anche i film di Ken Loach e di Jessica Hausner hanno offerto il proprio contributo, pur con esiti interlocutori (il primo, con Sorry we missed you, aprendo crepe dolorose nel nucleo familiare odierno, minato alla base dalla carenza di ascol- to reciproco tra genitori e figli e dalla mancanza di tempo per gli assillanti e precari impegni occupazionali; la seconda, con Little Joe, andando a indagare i presunti effetti collaterali prodotti da una pianta geneticamente modificata, facendo comunque vincere alla protagonista Emily Beecham la Palma quale miglio- re interprete femminile di Cannes 2019), l’altro filone tematica- mente sensibile emerso sulla Croisette è stata la riflessione su ruolo, funzione e percezione del cinema stesso. Una “rimessa in discussione” che ha visto confrontarsi a distanza più titoli, da Frankie di Ira Sachs a Dolor y gloria di Pedro Almodòvar, da Sibyl di Justine Triet a Once upon a time… in Hollywood di Quentin Tarantino. Il settimo lungometraggio dello statunitense Ira Sachs, per la pri- ma volta invitato in concorso a Cannes, prende il nome dalla protagonista, interpretata con il consueto magnetismo da Isa- belle Huppert: una famosa attrice francese malata di cancro che, avendo scoperto di avere pochi mesi di vita, decide di tra- scorrere la sua ultima vacanza a Sintra, in Portogallo, radunando i membri recenti e passati di una vasta, allargata famiglia. Un incontro tra generazioni che, sul filo della malattia e del ricordo, vuole essere non solo un commiato esistenziale ma anche il tentativo di mettere ordine tra sentimenti e relazioni, inglobando la morte come parte integrante della vita. Pur privilegiando le persone e le loro sensibilità rispetto ai perso- naggi che mette in scena, Frankie risente della mancanza di sintesi, in una parcellizzazione del racconto che, procedendo per lo più a coppie (marito e moglie, madre e figli) fatica a coagularsi in una ne- cessaria visione d’insieme. Alla ricerca di una quotidianità ferita, ma attutita da reciproche confessioni, piccole verità, i primi baci e i fragili traguardi affettivi, Frankie è appena scosso dal senso di perdita e Dolor y gloria (2019) di P. Almodóvar

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Un’indomabile passione cinefila Problematiche individuali, quelle di Dolor y glo- ria, non così lontane (ma ben più modeste in fatto di esito qualitativo) dagli intrichi registici, relazionali e psicologici messi in campo da Ju- stine Triet in Sibyl, che, come Frankie, prende il titolo dalla sua protagonista, una quaranten- ne affermata psicanalista, ma mancata scrittri- ce, che pur di inseguire il suo sogno letterario decide di lasciare la maggior parte dei suoi pazienti e, in crisi d’ispirazione, riceve l’acco- rato appello di una giovane attrice in difficoltà, che la supplica di incontrarla per una seduta. Il film innesta due livelli di racconto: la storia personale della terapeuta (interpretata da Vir- ginie Efira), sposata e madre di due bambine ma annoiata dalla vita familiare, e quella della giovane attrice in crisi (la Adèle Exarchopoulos de La vita di Adele), incinta dopo la relazione clandestina con un celebre collega, come lei impegnato sul set di un film a Stromboli diret- to da una regista (Sandra Hüller) legata senti- mentalmente proprio al famoso attore. A Hidden Life (2019) di T. Malick Mescolando realtà e immaginazione, e cam- biando spesso registro, passando dal dram- Sibyl (2019) di J. Triet ma alla commedia e viceversa, Sibyl poggia The Whistlers (2019) di C. Porumboiu su una struttura a scatole cinesi, con le lacri- me sentimentali della giovane attrice a nutrire mosso, invece, da una lenta giostra di sepa- levigatura di un personaggio effervescente il romanzo della psicanalista, fino ad allora ri- nuovo lungometraggio del regista statuniten- razioni e riconciliazioni che talvolta sembrano mitigato dagli anni e dagli acciacchi fisici. masto in bianco, e la fantasia cinematografica se (che a Cannes ha chiesto esplicitamente dimenticare il contesto di partenza (la morte Mettendo in scena una sorta di alter ego, fa- a influenzare le relazioni della terapeuta-scrit- alla stampa di astenersi dal raccontare troppi incombente), per adagiarsi in una asettica rou- cendo riecheggiare la musica con cui è cre- trice, fino al punto di appannare e confondere dettagli del film, invito che in questa sede ac- tine appena velata di tristezza. sciuto e ricostruendo davanti alla macchina i livelli di percezione. Un incrocio suggestivo, cogliamo, seppure a malincuore) è ambienta- Anche Dolor y gloria rappresenta un tuffo nel da presa il proprio appartamento, Pedro Al- imbrigliato però dalle geometrie variabili della to nel 1969 nella “fabbrica dei sogni” di Los passato e, al contempo, un amaro bilancio modóvar, seguendo la scia dei suoi ultimi la- psiche che fanno di Sibyl un film tutto di testa, Angeles e ha a che fare, in qualche modo, esistenziale. Ma il film di Almodòvar è un per- vori, più improntati alla pacatezza verbale che denotando un’artificialità di sceneggiatura e di con l’uccisione di Sharon Tate, all’epoca gio- fetto Amarcord intriso di nostalgia dal sapore alla gestualità eclatante, riesce a far aderire messa in scena tanto necessaria allo scopo vane moglie di Roman Polanski. marcatamente autobiografico, raccontato con equilibrio ammirevole ricordi immaginari e quanto prevedibile nella sua esecuzione. In un continuo rimbalzo metafilmico, al bivio senza enfasi, con toni acquietati e passo memoria personale, incrociando il tempo pre- Assai meno prevedibile, e decisamente più tra la serialità televisiva di allora e l’arrivo au- delicato. Nei panni di un regista di succes- sente con quello passato: i primi anni ‘60, l’e- esaltante nel suo caleidoscopico slancio cita- toriale della , Tarantino, attra- so che si è lasciato alle spalle set, copioni e ducazione cattolica, la scoperta del cinema. zionistico e nella sua personalissima ricostru- verso la simbiosi umana e professionale tra carriera, recluso nel suo appartamento-mu- Opera-specchio, struggente e crepuscolare, zione storica, Once upon a time… in Hollywo- l’attore tv di successo ma sulla china discen- seo, infastidito dal mal di schiena, imbottito Dolor y gloria conferma una volta di più, in Al- od, che brilla di insegne luminose, atmosfere dente interpretato da Leonardo DiCaprio, in di medicinali e minacciato dalla depressione, modóvar, la stretta coincidenza tra cinema e hippies, riprese e battute dimenticate procinto di “sconfinare” nel cinema, e il suo Antonio Banderas (miglior attore del 72° Fe- vita, in una sorta di “regolamento di conti” con nel casetto, segna uno dei punti più alti della stuntman-autista-tuttofare impersonato da stival di Cannes) offre una performance ec- se stesso dal quale non sono esclusi errori ed carriera di Quentin Tarantino. Nutrito come lin- Brad Pitt, che vive in una roulotte con un cane cellente, tutta giocata sulla sottrazione, sulla eccessi, paralisi creative e amori perduti. fa vitale da una indomabile passione cinefila, il maggiordomo, rende omaggio all’”alto” e al

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“basso” della settima arte interpretandone i e illuminata senza sosta dalla fede. Una vera poli opposti come unica, necessaria e indi- e propria “sinfonia visiva” lunga quasi tre ore spensabile dimensione. E come in Bastardi che riporta il regista texano alle esplorazioni senza gloria, si concede la sfacciataggine di interiori dei suoi capolavori, La sottile linea proporre una “controcronaca” esilarante del rossa e The Tree of life, in cui le voci dell’a- massacro di Bel Air partendo da una con- nima, il respiro della natura e la consapevo- cezione “salvifica” del cinema riservata solo lezza di un percorso esistenziale permeato agli innamorati cronici delle immagini in mo- dallo stretto rapporto con l’Assoluto costitu- vimento. Dunque, né parodia sbeffeggiante, iscono gli assi portanti di una poetica intima né “catalogo di figurine d’epoca”, né “ope- e seducente. razione ricalco”, o meglio, tutto questo (e Ispirato alla vicenda di Franz Jägerstätter (be- anche qualcosa di più) centrifugato insieme. atificato da Benedetto XVI nel 2007), conta- Stando sempre, incondizionatamente, dalla dino austriaco padre di tre bambine che per parte dei due bravissimi protagonisti. essersi rifiutato di giurare fedeltà ad Adolf Hit- ler e al Terzo Reich, e dunque di combattere Una sinfonia visiva illuminata dalla fede a fianco dei nazisti durante la Seconda guer- Il film di Tarantino è stato, insieme a A hidden ra mondiale, venne incarcerato dai tedeschi Life di Terrence Malick, il “grande escluso” dal e giustiziato nell’agosto del ‘43, A hidden Life verdetto della giuria di Cannes 2019. Un ver- riporta nei dialoghi il carteggio scambiato tra detto coraggioso, però, occorre riconoscerlo, Franz e la moglie Fani, lui detenuto in che ha lasciato fuori dall’elenco dei miglio- attesa di giudizio a Enns e poi a ri i due maestri, anche se di età diversa tra Berlino, lei rimasta nel villag- loro, per collocare invece sotto i riflettori i due gio di montagna, tra l’o- esordienti, Mati Diop e Ladj Ly, quasi a voler stilità crescente dei delineare le coordinate future della cinemato- vicini. Lettere grafia mondiale, o perlomeno provare a trac- ciarne le prime, convincenti linee di sviluppo. La parabola sulla forza irriducibile dell’amore messa in scena da Malick in A hidden Life è però capace di farsi riflessione etica e filosofica sulla purezza perduta e, al contempo, testimonianza esemplare di resistenza civile al nazismo, real- mente accaduta

Once upon a time in Hollywood (2019) di Q. Tarantino

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Portrait de la jeune fille en feu(2019) di C. Sciamma Roubaix, une lumière (2019) di A. Desplechin

nella profonda provincia cinese tra case fati- impreziosito un altro suo bel film su una pagi- appassionate, le loro, un sostegno recipro- dai narcotrafficanti, sospettato dai suoi supe- scenti e disordinata quotidianità, evoca disli- na tragica della recente storia italiana, il rapi- co che mettendo da parte il dolore alimenta riori e intercettato da registrazioni telefoniche, velli economici e malesseri sociali all’ombra mento Moro rievocato in Buongiorno, notte. il lirismo struggente del film, scandito da un imbarcatosi sull’isola di La Gomera, nelle Ca- della Grande muraglia), Roubaix, une lumière contrappunto sonoro incessante che passa narie, dove è costretto ad imparare rapida- di Arnaud Depleschin (nel quale un commis- divise in due da Bach a Beethoven, da Händel a Dvorak, mente un antico linguaggio del posto fatto sario, durante la notte di Natale, vaga per la Tre dei cinque titoli transalpini presenti in gara fino ad Arvo Pärt, in un impasto suggestivo unicamente di sibili. L’edizione internaziona- piccola cittadina francese in cui è cresciuto,. a Cannes 2019 hanno portato a casa ricono- di note, parole e inquadrature, spesso defor- le di La Gomera, non a caso, si intitola The cercando di risolvere un caso di omicidio) e Il scimenti importanti. Oltre ad Atlantique e Les mate da obiettivi grandangolari. Whistlers, perché la lingua fischiettata cono- traditore di Marco Bellocchio. misérables, saliti agli onori della ribalta, anche sciuta solo dagli abitanti dell’isola riveste un Il film del regista piacentino risente forse della Portrait de la jeune fille en feu ha ottenuto sulla Gangster, commissari e traditori profilo decisivo nell’economia delle vicende, necessità cronachistica di ricostruire il conte- Croisette un premio significativo, quello per la Uno “scatto in avanti”, quello contenuto all’interno di un racconto allestito con atten- sto storico-politico legato al personaggio che miglior sceneggiatura. Inquadrato in una pre- nel palmarès decretato da Iñarritu e dagli zione ad ogni dettaglio e con continui scambi mette in scena, il pentito di mafia Tomma- cisa cornice storica (il 1770), ma permeato altri membri di giuria (tra cui la nostra Alice di registri espressivi, e nella filmografia stessa so Buscetta (interpretato con grande vigore da pulsioni moderne, il film di Céline Sciam- Rohrwacher, a cui non è certo dispiaciuto At- di Porumboiu, che in Politist, adjective (pre- mimetico da Pierfrancesco Favino), osser- ma, tutto incentrato sul potere dello sguardo lantique), che si è lasciato alle spalle, oltre a sentato al Certain Regard nel 2009) aveva vato nei vent’anni che vanno dai primi anni (femminile) e il grado di verità contenuto nella A hidden Life, anche un altro film meritevole già dato vita ad un incisivo focus narrativo ’80 all’anno della sua morte, il 2000, ma in rappresentazione figurativa, congiunge in un di entrare nella griglia dei vincitori, il fiammeg- sulle proprietà del linguaggio e sulle sue mo- una rappresentazione quasi shakespeariana solo profilo sentimentale una pittrice sbarcata giante La Gomera di Corneliu Porumboiu. dalità di utilizzo come strumento politico. della criminalità organizzata, dei suoi codici su un’isola remota e la promessa sposa a cui Intrigante pastiche di generi, al confine tra Un’opera importante, quella di Porumboiu, d’onore, delle sue cadute fragorose e delle l’artista deve fare il ritratto nuziale, in vista, ap- noir classico, western moderno e poliziesco a cui per affinità tematiche (il gangsterismo sue rinascite sotterranee, Bellocchio riesce punto, del suo matrimonio. Un compito tutt’al- senza tempo, condito di un sapiente gusto e la malavita in generale) e buona riuscita a comporre un ritratto umano tanto ambiguo tro che facile, poiché, rifiutandosi di posare, la citazionista e levigato in sede di sceneggiatu- artistica si affiancanoThe wild goose Lake quanto affascinante, fuori e dentro le aule di giovane dovrà essere ritratta in segreto, con la ra e dialoghi come pietra solcata dall’acqua, di Diao YiNan (in cui l’incontro tra un delin- giustizia, i maxiprocessi a Cosa Nostra e gli sola forza dell’immaginazione. il film del regista rumeno ha per protagonista quente braccato dalla polizia e una giovane interrogatori con il giudice Falcone. Non di Portrait de la jeune fille en feu è un film intimo un ispettore della polizia di Bucarest, corrotto donna che si è offerta di aiutarlo, collocato rado, ritrovando quella visionarietà che aveva e carsico che con il suo fondamento sul rap-

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porto creativo tra “chi guarda e chi è guardato” esce dai confini del XVIII secolo per approdare idealmente Mektoub, My Love: Intermezzo (2019) di A. Kechiche ai giorni nostri, a una femminilità in grado di agire libe- ramente nell’oggi proprio dopo aver messo in discus- sione le regole sociali di ieri. Operazione non dissimile, anche se trapiantata nella contemporaneità, a quella effettuata da Xavier Dolan in Matthias et Maxime, im- perniato su due amici, inseparabili fin dall’infanzia, sui quali pesano dubbi identitari sulla propria sessualità proprio mentre stanno per separarsi per alcuni anni. Sulla ricerca identitaria giovanile più libera e aperta è incentrato infine Mektoub, my love: Intermezzo, secon- do capitolo della trilogia di Abdellatif Kechiche dopo il Canto uno in concorso due anni fa alla Mostra di Venezia. Apertosi con una citazione del Corano che richiama al vero guardare e sentire, lungo tre ore e mezza, presentato senza titoli di testa e di coda, in un montaggio ancora non definitivo, il film del regista franco-tunisimo riprende personaggi, epoca e am- bientazione del primo episodio (un gruppo di giovani nell’estate del 1994 a Sète, nella Francia meridionale), accentuando ed esasperando il voyeurismo già pre- sente in Canto uno. Alla ricerca di un naturalismo senza mediazioni, con Intermezzo Kechiche sembra voler superare i limiti del cinema convenzionale abbandonando ogni minima drammaturgia per restituire, sullo schermo, il flusso di una quotidianità giovanile non regolata da rapporti di causa-effetto e osservata con estenuante morbosità: un logorroico prologo di mezz’ora sulla spiaggia as- solata, un interminabile nucleo centrale di due ore e tre quarti in una discoteca assordante, quindici minuti di sesso esplicito nella toilette del locale notturno, un interlocutorio finale in camera da letto. La descrizione di una generazione spensierata, carica di desiderio e sensualità ma anche di fragilità esistenziale, ha lasciato il posto ad un vortice sonoro e visivo incessante: i ritmi martellanti della dance, i corpi femminili filmati con at- tenzione platealmente anatomica. Inframmezzato da dialoghi vuoti, ininfluenti nell’evolu- zione delle vicende, il film di Kechiche mette a dura prova la pazienza dello spettatore per il prolungarsi esasperato di ogni sequenza, componendo un affre- sco sfiancante. Tutto in soggettiva, se si accetta l’i- dentificazione del timido fotografo Amin nell’alter ego del regista, ma in cui le nuotate e gli ammiccamenti, le danze e i drink sembrano non finire mai.

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LA “DOPPIA ANIMA” DEL CERTAIN REGARD Una sezione sempre più connotata come spazio riservato ai “nuovi sguardi”, con nove titoli su diciotto diretti da registi esordienti, ma anche come contenitore per autori più o meno affermati che non hanno trovato varchi nel concorso ufficiale. Al melò brasilianoA vida invisivel di Euridice Gusmão il Premio per il miglior film, all’interno di una selezione apparsa però meno solida rispetto al passato.

Francesco Crispino

A vida invisivel de Euridice Gusmão (2019) di K. Aïnouz

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iciotto titoli complessivi, la metà dei ce da tre titoli, tutti di registi esordienti), e da neiro negli anni ’50, il settimo lungometrag- nimo spettacolo teatrale da lui stesso messo quali realizzati da registi esordienti e una significativa rappresentanza del cinema gio del brasiliano Karim Aïnouz racconta la in scena a Berlino, il nono lungometraggio Dsette diretti da donne: sono questi i proveniente dall’area ex-sovietica (due i titoli vicenda di Euridice e Guida, due sorelle, uni- del regista catalano ne conserva sia l’am- dati che riassumono la quarantaduesima di produzione russa, uno ucraina). te da un legame viscerale, che, per colpa del bientazione (l’azione si svolge nel 1774, in un edizione della sezione fondata nel 1978 da padre, sono costrette a separarsi e a vivere bosco tra Potsdam e Berlino), sia l’arco tem- Gilles Jacob. Numeri che, a confronto con le proprie esistenze l’una all’insaputa dell’al- porale (un’intera notte, dal tramonto all’alba), quella precedente, confermano come Un Un melò tropicale tra. Narrato con sensibilità e padronanza lin- certain regard sia una sezione sempre più capace di mettere guistica, A vida invisivel è un film sull’amore caratterizzata da una “doppia anima”. Spa- fraterno, sulla sua indissolubilità, capace di Liberté (2019) di A. Serra zio riservato ai “nuovi sguardi” (ai nove lun- d’accordo sia il pubblico farsi intima riflessione sulla famiglia, sul suo gometraggi d’esordio vanno aggiunti anche che la giuria senso profondo (“la famiglia non è sangue, un’opera seconda e una terza), ma con- è amore“). Un’opera il cui merito principale temporaneamente anche contenitore per Se la selezione è sembrata meno solida ri- sta nel riuscire a coinvolgere lo spettatore autori più o meno affermati che non hanno spetto al passato pur mantenendo il proprio parlando direttamente al suo cuore e che trovato spazio nel concorso ufficiale. Una orizzonte di ricerca verso sguardi non alli- contribuisce in maniera determinante all’an- doppia anima che quest’anno non si è ben neati o provenienti da territori marginali, due nus mirabilis della cinematografia brasiliana, amalgamata come nelle edizioni precedenti, sono le opere che sono state in grado di ele- tornata da Cannes 2019 con due importanti soprattutto a causa della poca qualità delle varsi. La prima è A vida invisivel di Euridice riconoscimenti (l’altro è il Premio della giuria opere degli esordienti. Una seconda confer- Gusmão, melò tropicale capace di mettere del concorso a Bacurau). ma viene dalla presenza del cinema france- d’accordo il pubblico, che gli ha tributato Di segno completamente diverso è invece se, come sempre massiccia (otto i titoli, tre lunghi e sentiti applausi al termine di ogni Liberté, ennesima opera intermediale di Al- dei quali in co-produzione), mentre il segno proiezione, e la giuria, pronta ad assegnar- bert Serra alla quale è stato tributato il Premio della differenza è dato invece dall’importan- gli unanimemente il Premio come miglior film speciale della giuria. Trasposizione dell’omo- te ritorno del cinema statunitense (assente della sezione. Tratto dall’omonimo romanzo nel 2018 e quest’anno rappresentato inve- di Marta Batalha e ambientato a Rio de Ja-

A vida invisivel de Euridice Gusmão (2019) di K. Aïnouz

Jeanne (2019) di B. Dumont

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anche se nella versione cinematografica la ri- do di segno al discorso sulla mercificazione Bresson a Besson) incentra il discorso sulla circuiti spazio-temporali e del rovesciamento flessione sul corpo e sul suo disfacimento, sui del corpo che sostengono Salò. coerenza del proprio pensiero di fronte alle del punto di vista. fantasmi del desiderio, sembra essere spinta lusinghe e alle imposizioni del Potere che Di un livello superiore è invece Beanpole, cui fino alle estreme conseguenze. La vicenda chiede invece di conformarlo all’ideologia è andato il Premio per la miglior regia confer- vede protagonisti un gruppo di nobili francesi In una Leningrado dominante. Menzione speciale della giuria, mando così Kantemir Balagov tra le persona- che, dopo essere stati espulsi da Luigi XVI, spettrale, con Beanpole il dodicesimo lungometraggio del regista lità emergenti del cinema russo. Ispirato da La cercano di portare avanti la propria idea di de l’Humanité esprime un indubbio fascino guerra non ha un volto di donna di Svetlana libertinaggio attraverso la sperimentazione va in scena un rapporto naïve, anche se è attraversato da un intel- Alexievich e ambientato nel 1945 in una Le- di ogni pratica sessuale. Film sadiano senza dicotomico vita/morte lettualismo che spesso ne raffredda la vis ningrado spettrale, il suo secondo lungome- essere sadico, Liberté guarda all’Illuminismo espressiva. traggio è incentrato sul dicotomico rapporto materialista dell’autore de Les 120 journées In maniera diametralmente opposta l’auto- Ancor meno riuscita è sembrata l’operazio- vita/morte attraverso il rapporto vissuto da Lya de Sodome, ou l’École du libertinage da una re de Il Vangelo secondo Matteo sembra ne dell’altro affermato cineasta francese pre- e Masha, due giovani donne costrette a com- parte proseguendo la riflessione dell’autore echeggiare anche in Jeanne, secondo ca- sente nella sezione. A dispetto del meritato battere tra l’istinto di maternità e la pulsione di spagnolo sul Settecento (francese), com- pitolo, dopo Jeannette, l’enfance de Jeanne premio a Chiara Mastroianni come “miglior morte, tra i fantasmi dei propri desideri e quelli ponendo di fatto una sorta di tetralogia con d’Arc (2017), del dittico dedicato all’eroi- interprete“ di Un certain regard, Chambre delle proprie ossessioni. Dicotomia restituita Historia de la meva mort (2013), La mort de na nazionale dal francese Bruno Dumont. 212 è infatti sembrato un anodino eserci- già dai corpi in presentia (in particolare quello Louis XIV (2016) e Re soleil (2018), dall’altra Un’operazione che, tornando a trattare una zio di stile in cui Christophe Honoré mette in tanto slanciato quanto instabile della “spilun- avvicinandosi all’ultimo Pasolini senza tuttavia delle figure più saccheggiate dal cinema (da scena la crisi di una coppia dopo vent’anni gona“ Lya, ben interpretata da Viktoria Miro- assumere la chiave storico-politica e mutan- Dreyer a Fleming, da Rossellini a Rivette, da di matrimonio, attraverso il gioco dei corto- shnichenko) e da un seducente cromatismo.

Liberté (2019) di A. Serra

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con il proprio vicino di casa autotrasportatore Un uomo, sua madre, e dello scalpore suscitato quando i rispettivi la difficile relazione coniugi ne vengono a conoscenza. Non pri- vo d’interesse per la rappresentazione di un con gli abitanti territorio cinematograficamente sconosciuto del luogo: O Que Arde (al confine tra la Russia e l’Ucraina), in fon- do anche apprezzabile per l’ironia con cui Originale seppur non pienamente compiu- vengono trattate certe situazioni, il settimo to è sembrato anche O Que Arde di Olivier lungometraggio della russa Larisa Sadilova Laxe, fruttuosa coproduzione tra Spagna, tuttavia non convince per la regia anonima Francia e Lussemburgo cui è andato il Pre- e poco incisiva. mio della giuria. Ambientato nella terra d’ori- gine dell’autore, il terzo lungometraggio del regista galiziano tratta le vicende di un uomo In bicicletta O que arde (2019) di O. Laxe che torna nel proprio paese, della sua diffi- con The climb, Once in Trubchevsk (2019) di L. Sadilova cile relazione con l’anziana madre e con gli abitanti del luogo. Un lavoro affascinante nel Coup de coeur tratteggio delle atmosfere e nello sguardo della giuria con cui contempla la forza degli elementi (la pioggia nella prima parte, poi le nebbie e infi- Come già segnalato in apertura, nell’edizio- ne il grande incendio conclusivo), ma irrisolto ne 2019 sono poche le note liete tra i nove dal punto di vista narrativo. esordienti della sezione. Il migliore tra questi A chiudere la parte della selezione degli au- è sembrato The climb di Michael Angelo Co- tori non esordienti, ci sono tre opere anodine vino, Coup de coeur della giuria (ex-aequo se non addirittura deludenti. La prima (Les con La femme de mon frére), incentrato sul- Hirondelles de Kaboul) è la sbiadita traspo- la consolidata relazione d’amicizia tra Mike sizione in animazione 2D dell’omonimo best- e Kyle messa in crisi dalla rivelazione che il seller di Yasmina Khadra (pseudonimo dello primo fa al secondo sulla donna che inten- scrittore algerino Mohammed Moulessehoul) de sposare. Forte di uno script efficace e Les Hirondelles de Kaboul (2019) e firmato a quattro mani da Zabou Breitman di buone interpretazioni, l’esordio dell’attore di Z. Breitman, E. Gobbé-Mévellec & Eléa Gobé Mévellec. Ambientato nel 1998 italo-americano si fa apprezzare anche per The climb (2019) di M.A. Covino nella Kabul occupata dai telebani, narra le l’idea di regia che supporta la narrazione, drammatiche vicende di Zunaira, condan- organizzandola attraverso elaborati pianise- nata alla lapidazione ma che trova un alle- quenza che connotano le sette parti/capitoli ato nel proprio carceriere. La seconda (Nina in cui suddivisa la vicenda. Wu) è incentrata sulle vicende della giovane La seconda nota positiva viene da La famo- attrice che dà il titolo al film e ne racconta sa invasione degli orsi in sicilia, trasposizione la doppiezza attraverso un gioco di rimandi dell’omonimo romanzo a fumetti di Dino Buz- e rispecchiamenti prodotti dalle sue visioni zati pubblicato per la prima volta sul Corriere ossessive. Venato da un calligrafismo ma- dei piccoli nel 1945. L’esordio di Mattotti, uno nieristico e costruito su una messinscena dei più apprezzati fumettisti e illustratori italiani, fashion-fetish, il quinto lungometraggio di rivitalizza il racconto originario incorniciandolo finzione del birmano Midi Z rimane sempre in un cunto, ricostruisce una Sicilia magica e in superficie senza mai dare l’impressione di arcaica attraverso vivaci campiture cromati- penetrare efficacemente la materia. La ter- che e dà “profondità” ai personaggi attraverso Nina Wu (2019) di Midi Z za (Once in Trubchevske) racconta invece la un uso intelligente delle voci (come ad esem- La famosa invasione degli orsi in Sicilia (2019) di L. Mattotti relazione clandestina vissuta da una donna pio quella di Andrea Camilleri).

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Port Authority (2019) di D. Lessovitz

Nessun’altra delle restanti sette opere prime splorazione di un territorio affascinante quanto nerazionale tra una teenager e il suo vicino ad Algeri, l’esordio della quarantunenne fran- è sembrata pienamente compiuta, anche se poco rappresentato (la Crimea) e per il tentati- di casa nero a Houston, la statunitense An- co-algerina è l’ennesima variazione sul tema in qualche caso è stato possibile riscontrare vo di restituirne sia il caleidoscopio linguistico nie Silverstein racconta con poca origina- dell’emancipazione della donna in territori delle qualità. Come ad esempio in Port Au- (nel film si parlano ben quattro lingue), sia l’at- lità come l’assenza dei riferimenti genitoriali controllati dall’integralismo islamico, che qui thority della statunitense Danielle Lessovitz, tuale divisione che lo caratterizza (“la Crimea è produca la necessità di trovare delle figure trova il proprio motore narrativo attraverso la che, a dispetto di una sceneggiatura piena di la nostra Gerusalemme“). vicarie. Assenza (delle figure maschili) che è velleità da stilista della giovane protagonista incongruenze, è sostenuto da uno sguardo al centro anche di Adam della marocchina (“vestiremo tutte le ragazze di Algeri“). in grado di relazionarsi con empatia e intimi- Maryam Touzani, racconto onesto benché A chiudere la panoramica, infine, lo scialboLa tà ai corpi dei giovani protagonisti. O come in Lo scialbo La femme cinematograficamente fiacco di un’alleanza femme de mon frère della canadese Monia Summer of Changsha, noir dai tratti esisten- de mon frère, tra due donne in una società ancora inca- Chokri, attrice scoperta da Xavier Dolan, la cui zialisti in cui la regia del cinese Zu feng (che pace di comprendere lo status delle ragaz- regia s’ispira (fin troppo) a quella del suo “pig- interpreta anche il protagonista) dimostra di della canadese ze-madri. Geograficamente e culturalmente malione“. Commedia leggera, troppo “urlata“ saper gestire la narrazione e il tratteggio psi- Monia Chokri vicino a quest’ultimo, seppur più subdolo e derivativa, proprio come A vida invisivel di cologico dando il giusto rilievo alle suggestioni nell’organizzazione della messinscena, Pa- Euridice Gusmão mette al centro della nar- oniriche. Oppure in Evge del “tartaro“ Nariman Poche o difficili da rintracciare, invece, le picha di Mounia Meddour è un lavoro di razione l’intimo legame tra due fratelli, senza Aliev, che, a dispetto di uno script zoppicante note positive provenienti dagli ultimi quattro produzione francese che ha già una distri- però avere né la profondità espressiva né la e di una regia ancora acerba, è valido per l’e- titoli. In Bull, attraverso la relazione interge- buzione italiana. Ambientato negli anni ’90 raffinatezza narrativa del film brasiliano.

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QUINZAINE E SEMAINE, IL CINEMA DI DOMANI CHE VA IN SCENA OGGI

Sempre gremitissime di film e di spettatori, le due sezioni laterali del Festival di Cannes sono da sempre le aree privilegiate in cui osservare le nuove tendenze, i nuovi autori, i registi che, una volta consolidati stili e modalità espressive, troveremo in gara per la Palma d’oro o al Certain regard.

Tiziano Sossi

Alice et le maire (2019) di N. Pariser

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Guadagnino, un mediometraggio sulla settimana facendo da cavia per esperimenti ricerca interiore sulle droghe. Qualcosa di molto pericoloso, Se un terzo premio (Illy per il miglior corto- anche perché che gli infermieri sono dei ma- metraggio) ha visto l’affermazione del vie- niaci e non è facile capire, quando si è dro- tnamita Pham Thien An con Resta sveglio, gati, se la realtà circostante è quella ogget- stai pronto (in un’unica ripresa, un incidente tiva oppure se è ciò che le droghe ci fanno di tre ragazzi che dialogano e un bambino immaginare. Esperimento interessante. che fa il mangiatore di fuoco e che vende Guadagnino, dal canto suo, ormai si può per- candele: un talento visionario) e la Carosse mettere fior distar anche per un mediometrag- d’or quest’anno andata a John Carpenter e gio, così, oltre alla nostra Alba Rohrwacher, in alla sua carriera, coronata dalla proiezione The staggering girl troviamo Julianne Moore, ultra scinitllante di La cosa, alla Quinzaine si Kyle Maclachlan e Marthe Keller. Il film tratta di devono due eventi speciali, la proiezione del una crisi o di una ricerca interiore che France- nuovo film di Robert Rodriguez e di un me- sca, italo-americana, deve affrontare per colpa diometraggio di Luca Guadagnino. Con Red di un quadro che le viene portato a New York. 11 Rodriguez è tornato di nuovo ai tempi di L’opera è della madre che non vede da tempo, El mariachi, girando un film a basso budget e il viaggio in Italia ha lo scopo di far andare da partendo da un ragazzo che è in debito di lei, nella Grande Mela, la madre anziana. Un una grossa somma, 7 mila dollari, e scopre po’ come avrebbe forse fatto Antonioni, a livello che può guadagnare quei soldi in una sola psicologico nella mente di Francesca si avvia

Alice et le maire (2019) di N. Pariser

olta attenzione all’universo femminile, confronto della gerarchia municipale della cit- a cominciare dai primi due premi as- tà metafora dell’andamento politico francese Msegnati dalla giuria della Quinzaine. Il dell’ultimo decennio. premio Europa cinema label è andato infatti Ancora un film francese ad accaparrarsi il pre- ad Alice et le maire, diretto da Nicolas Pari- mio Sacd (e non poteva essere altrimenti, visto ser, al secondo lungometraggio. Dopo un non che il riconoscimento della Société des troppo convincente esordio di quattro anni fa, et compositeurs dramatiques viene assegnato Le grand Jeu (con André Dussolier), che ha a opere in lingua locale), Une fille faciledella però fatto guadagnare al regista un Prix Louis regista franco-polacca Rebecca Zlotowski. La Leduc per il miglior debutto, Pariser torna sulla giovane protagonista Zahia Dehar, sorta di Lo- tematica politica. In questo caso, al contrario lita sedicenne già paragonata a Brigitte Bardot, dell’ondulazione tra dramma e thriller del lavo- interpreta il ruolo di Naima, che guarda caso ro precedente, gioca le carte della commedia abita proprio a Cannes e che, influenzata dalla e mette in campo Fabrice Luchini. Alice, una cugina Sofia, intraprende la strada della pro- giovane esperta in filosofia, viene ingaggiata stituzione trovando come padrino un playboy da un sindaco da trent’anni in politica alla ri- miliardario. Anche in questo film si trova un cerca di innovazione e modernismo nella sua omaggio a Rohmer, stavolta diretto, al suo La città, Lione. Debitore della lezione del cinema collezionista. Ad ogni modo si tratta di un buon corposo, in quanto a dialoghi, dell’inarrivabile film, probabilmente il migliore della regista, alla Eric Rohmer, Pariser se la cava abbastanza terza prova. La materia è trattata con gusto e bene, partendo da Alice senza esperienza misura e la giovane non è una vittima sedotta e Paul, il sindaco, a corto di idee, nel porli a ma un’osservatrice attiva. Une fille facile(2019) di R. Zlotowski

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un meccanismo introspettivo delicato. Mol- parte dagli anni Sessanta, quando un uomo to stilizzato, con capi di vestiario di alta moda viene rapito dai morti viventi per lavorare in di derivazione Valentino, The staggering girl è un campo di canna da zucchero. Decenni giustamente un mediometraggio di 37 minuti più tardi, una studentessa di Haiti racconta la e non un lungometraggio che avrebbe molto leggenda funesta ai suoi amici, uno dei quali probabilmente rischiato di essere troppo diluito. ne rimane sconvolto. Molti, come al solito, i registi consolidati che Ultimo regista ben noto ai cinefili più irriduci- hanno partecipato alla Quinzaine. Il primo è bili, vincitore del Leone d’oro nel 2016 con stato Quentin Dupieux, tra i più discussi, nel The Woman who left, Lav Diaz con Ang bene e nel male. Il suo nuovo filmLe daim (Il hupa firma un altro dei suoi film estenuanti, camoscio) non sfugge allo stile allucinogeno perlomeno per gli spettatori meno esigenti e e fuori dagli schemi a cui Dupieux (conosciu- per una parte della critica, questa volta lungo to anche come Mr. Oizo nel mondo musica- 4 ore e 30 minuti. A Cannes non è mai en- le) ci ha abituati. Resta il fatto che in Italia i trato in competizione. Vi ha partecipato solo suoi film non sono mai stati distribuiti {a parte al Certaiin regard sei anni fa, a causa proprio forse il meno rappresentativo, Wrong Cops) della lunghezza dei suoi film. Ed è un pec- e quindi solo gli ammiratori più accesi hanno cato, perché sono sempre una stupenda magari potuto visionare film comeRubbe r o immersione in un effluvio creativo personale Wrong. In questo caso la presenza dell’at- e originale. Qualcosa è però cambiato nel tore Jean Dujardin, vincitore dell’Oscar per suo cinema: Season of the devil, presenta- The Artist, permetterà al film una distribuzio- to alla Berlinale dello scorso anno, parlava ne anche italiana. Vedremo. Intanto, la “follia” della dittatura di Marcos in sorta di musical, dei film precedenti non si distacca da quella e quest’anno a Cannes siamo stati introdotti del nuovo film, dove un ultra quarantenne si alla piena fantascienza, nell’anno 2034. Un allontana dalla periferia a cui appartiene per futuro dittatoriale e con la polizia formata da comprarsi una giacca di camoscio che vuole droni, che assomiglia al presente, al buio a tutti i costi, spendendo infatti tutto ciò che creato dalle eruzioni vulcaniche e dalla con- ha. Ma l’ossessione per la giacca non si fer- seguente polvere di lava, con una malattia ma all’acquisto lo porta alla pazzia omicida, sconosciuta a completare il quadro apocalit- volendo oltretutto girare un film per dimostra- tico. Prendere o lasciare, questo è Lav Diaz. re che non ce n’è un’altra uguale. Altra vecchia conoscenza, Takashi Mike e il Fantapolitica e minimalismo suo Hatsukoi. Il regista giapponese più pro- Tra i 24 titoli complessivi della Quinzaine val lifico, che gira anche tre-quattro film l’anno, la pena segnalare ancora Yves, diretto da ha superato la sessantina di titoli in carriera. Benoit Forgeard, conosciuto per Gaz de Questo lavoro è ambientato in una notte a France, un film fantapolitico che definire biz- Tokyo: Leo è un boxeur, conosce Monica, zarro sarebbe un eufemismo. Questo nuo- una ragazza drogata ma molto ingenua che vo lavoro, scelto come film di chiusura della lo coinvolge suo malgrado in una fuga da un rassegna, non è da meno: Yves è infatti un poliziotto corrotto e da una killer assatanata. frigorifero compositore. Ma andiamo per or- Il cinema di Miike è sempre costruito sulle dine: Jerem si trasferisce nell’appartamento iperboli visive, e anche in questo caso non della nonna perché sta cercando di realiz- si smentisce. Anche se meno celebre, pure zare un disco rap. Succede però che una Bertrand Bonello ha all’attivo pellicole note sorta di investigatore lo convinca a testare (come il film biografico su Yves Saint Laurent per un paio di settimane un frigorifero perché di cinque anni fa). In questo nuovo film, am- dovrebbe cambiargli la vita, offrendogli il cibo bientato ad Haiti e intitolato Zombi child, tutto The Staggering Girl (2019) di L. Guadagnino più adatto. Difatti il frigo Yves diventa “amico”

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di Jerem e finisce con l’aiutarlo per compor- 1890 tra il New Scotland e il Maine, vede i re il disco. Stravagante. due guardiani in un luogo solitario interagire Ghost tropic è invece un film minimalista gi- con la difficoltà dei diversi, rispettivi caratteri. rato in 16mm, terzo lavoro del regista belga Vincitore del premio Fipresci, The lighthouse Bas Devos, vincitore di un premio a Berlino è senz’altro un film molto interessante che cinque anni fa per il suo Violet. Il film pre- prosegue il cammino originale nel cinema sentato a Cannes è il viaggio a piedi, dal horror da parte del suo autore. capolinea della metropolitana verso casa, Restiamo nell’horror con un film dell’iraniano di una donna delle pulizie. Addormentatasi Babak Anvari dal titolo Wounds, protagoni- infatti nella carrozza della metropolitana, è sta un barista di New Orleans soddisfatto costretta al ritorno senza mezzi di trasporto del lavoro, degli amici e della sua compa- disponibili. Durante il cammino farà cono- gna Carrie (referenza a De Palma?), che scenza col mondo notturno di Bruxelles. però tradisce con Alicia. Una notte, dopo Film quasi sospirato, con una musica mol- una rissa violenta nel bar, viene lasciato da to minimalista come il film, tastiera e chi- alcuni studenti un cellulare dal quale poi tarra. Give me liberty è invece diretto dal il barista riceve strane chiamate. E’ l’inizio russo Kyrill Mikhanovsky, che ha vinto un dell’incubo. Ma il film è poco risolto nel suo premio alla Semaine de la critique tredici svolgimento. Lech Kowalski, invece, ha gi- anni fa con Sonhos de Peixe. Qui trovia- rato un documentario sulla protesta degli Red 11 (2019) di R. Rodriguez Ghost topic (2019) di B. Devos mo Vic, un russo americano che trasporta operai di una fabbrica di attrezzature auto- i portatori di handicap con un pulmino a mobilistiche che decidono di organizzare Milwaukee. E’ vicino al licenziamento, un enorme concerto per rendere pubblico ciononostante decide di trasportare suo il loro bisogno di mantenere il posto di la- nonno e un gruppo di russi a un funerale. voro. In tutta la Francia c’è stato clamore. Sulla strada decide di dare un passaggio Il titolo del film èOn va tout peter. a Tracy, una ragazza afroamericana, e da Con The Orphanage passiamo a una vi- qui la disavventura ha inizio. Una com- sione del cinema indiano nei media intelligente. confronti dei bambini rimasti orfani a Ka- Bizzarro anche il film finlandese di Jukka- bul in Afghanistan negli anni Ottanta col Pekka Valkeapaa, Dogs don’e wear controllo dei sovietici. La regista afgana pants. Juha è un cardiochirurgo, rimasto Sharbanoo Sadat ha vinto un premio a vedovo dopo la morte per annegamen- Cannes nel 2016 con Wold and she- to della moglie, che non riesce a dar- ep, qui la vicenda ruota su Qodrat, un si pace per non essere riuscito a sal- ragazzo di quindici anni che è appunto vare la propria consorte. A distanza di fan dei film di Bollywood. Curioso. Fanny anni dall’accaduto, finisce in un locale Ardant, invece, è tra gli interpreti di Per- sadomaso dove conosce la domina- drix, il film d’esordio del francese Erwan trice Mona e il film si tinge di humour Le Duc, che fino ad ora ha fatto solo nero. Curioso, ma niente di più. The li- cortometraggi. E’ la storia sentimentale ghthouse, poi, è diretto dall’americano di Pierre, capitano di polizia che dopo Robert Eggers, vincitore di un premio la morte del padre ha visto la madre, al Sundance nel 2015. Il regista, co- conduttrice radiofonica di un program- nosciuto per l’horror The Witch, qui ma intitolato L’amore è reale, passare dirige un’accoppiata molto particola- di uomo in uomo. Lui incontra Juliette, re, Willem Defoe e Robert Pattinson, una donna misteriosa che gli cambia decisamente la vita e i rapporti familiari. nei ruoli dei due guardiani del faro Le daim (2019) di Mr. Oizo The lighthouse (2019) di R. Eggers su un’isola sperduta. Ambientato nel Da una situazione di “gatto col topo” la

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vicenda si evolve in modo inaspettato. Fanny Ardant non si vede spesso, ma la sua presenza come al solito è magica. Un regista argentino che si è autoprodotto i film grazie a una cooperativa, racconta la sua storia attraverso Por el dinero, dove una troupe senza soldi mette insieme una torunée nell’America Latina e cerca di partecipare a un festival in Colombia. Il nome del regista è Alejo Moguillansky, e potrebbe riservare sorprese in futuro. Autarchico. Il tunisino Ala Eddine Slim, invece, si rifà a Stanley Kubrick e anche a Michael Ha- neke per il suo Tlamess, dove un soldato sta combattendo nel deserto del sud della Tunisia. Quando la madre muore, il soldato ha un permesso per tornare a casa, ma non rientra al fronte e comincia così una “caccia all’uomo”. Troviamo poi una donna che ha sposato un uomo ricco che scompare nella foresta. Questi due destini si incroceranno? Un film molto pretenzioso ma solo in parte riuscito.

Nuestras madres, vincitore della Caméra d’or Passiamo ora alla Semaine de la critique, dove i lungometraggi in concorso erano solo sette e tre le proiezioni speciali. Cominciamo dai premiati. Il premio Sacd è andato a un film proveniente dal Belgio,Nuestras madres, vincitore anche della Caméra d’or, che ogni anno viene consegnata al miglior esordio. Diretto da un belga originario del Guatemala, César Díaz, riflette sulle conseguenze della dittatura militare in Guatemala, che negli anni ‘70 fece nascere una guerra civile con oltre 200 mila vittime e 40 mila desaparecidos. Nel Guatemala odierno Ernesto è antro- pologo presso una fondazione che cerca di identificare proprio le persone disperse durante la guerra civile. E’ anche alla ricerca del proprio padre, che ha avuto la

Dogs don't wear pants (2019) di J.P. Valkeapää

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stessa sorte. Dal passato di documentarista, via di uscita: sono in una zona dove tutte le mano fugge da un laboratorio di disezione Vivarium (2019) di L. Finnegan Díaz costruisce un film naturalistico e di forte case sono identiche e senza abitanti, cer- e vuole ritrovare la sua casa. Nel viaggio ri- impatto emotivo. cano di allontanarsi ma alla fine si ritrovano corda la sua vita in comune col corpo fino Il Prix della Fondazione Gan è finito invece alla stessa casa n. 9 e finiscono la benzina, all’incontro con Gabrielle. La mano appartie- a Vivarium dell’irlandese Lorcan Finnegan. trovano uno scatolone con dentro del cibo ne a Nooufel, un ragazzo che ha passato la Quasi un film di fantascienza, interpretato da e il loro viaggio inizia. Davvero interessante. sua infanzia in nord Africa dove è stato felice Jesse Eisenberg, volto noto per The Social Il Prix della fondazione Louis Roederer è fino a che i suoi genitori non sono morti in un Network e per i due film con Woddy Allen To stato ricevuto dal filmWhite, white day dell’i- incidente d’auto. Dopo la tragedia lui è stato Rome with love e Cafe Society. Tom e Gem- slandese Hlynur Palmason. E’ la storia di un mandato da uno zio impietoso a Parigi, lavo- ma non sono sposati ma stanno cercando commissario di polizia in congedo che so- rando dapprima come fattorino di pizze per un posto dove vivere insieme. Lui è giardi- spetta un uomo per avere avuto un legame poi riuscire, dopo l’incontro con Gabrielle, a niere e lei insegnante. Un agente immobiliare con la moglie morta da poco in un incidente lavorare come aiuto carpentiere dallo zio di molto particolare sta portandoli all’esaspera- d’auto. La ricerca della verità lo porta ben lei. Fino a che non arriviamo alla mano taglia- zione passando da una casa all’altra. Arrivati presto all’ossessione. Opera seconda dopo ta e la storia si evolve in un incubo. Ben fatto, all’abitazione numero 9 decidono che nem- Winter Brothers, premiato a Locarno un paio molto curato, il cartone animato funziona. meno quella è adatta, ma l’agente scompare d’anni fa. Intrigante. Il premio Nespresso è Un film che però non è stato premiato, men- misteriosamente e quando i due cercano di andato a un film d’animazione,J’ai perdu tre lo meritava, arriva dal Marocco, Le mira- andarsene con l’auto scoprono che non c’e’ mon corps del francese Jeremy Clapin. Una cle du Saiint Inconnu di Alaa Eddine Maljem. Sorta di fiaba metaforica, vede un ladro sot- terrare nel deserto una borsa piena di soldi, Hatsukoi (2019) di T. Miike giusto prima di essere arrestato. Resta in prigione alcuni anni e quando esce corre a prendere la borsa, ma nel frattempo il posto dove lui l’ha sotterrata è coperto da un san- tuario dedicato a un santo sconosciuto che è meta di pellegrini da ogni dove, e intorno ad esso è stato costruito un intero villaggio. Gli altri due film in concorso erano uno dall’Al- geria e uno di una regista nata in Argentina e originaria del Costa Rica. Il primo, Abou Leila di Amin Sidi-Boumediene, è il viaggio inco- sciente di due amici d’infanzia che vogliono trovare il terrorista menzionato nel titolo at- traverso il deserto del Sahara. Ceniza Negra di Sofia Quiros Ubeda ha invece come pro- tagonista Selva, una tredicenne che si con- vince di una possibilità miracolosa attraverso una sorta di fantasma che solo lei vede. Se si muore ci si può trasformare in un lupo, una capra, un’ombra o tutto quello che si può immaginare. La sua vita col nonno e un’altra ragazza, sempre ubriaca, non è certo delle migliori e il rifugio nei sogni è la cosa più ovvia. Tra Selva ed Elena c’è un legame conflittuale, litigano spesso ma Selva mette a dormire Ele- na quando torna ubriaca. L’interprete di Selva A White, White Day (2019) di E. Sigurðsso è l’aspetto più interessante del film.

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