Padovanino, Fautore Di Una Rea- Zione Accademica E Tizianesco-Classicistica Agli Eccessi Della Pittura Tardomanierista

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Padovanino, Fautore Di Una Rea- Zione Accademica E Tizianesco-Classicistica Agli Eccessi Della Pittura Tardomanierista P Paál, László (Zám 1846 - Charenton 1879). Studiò all’Accademia di Vienna. Una mostra tenuta nel palazzo del ghiaccio di Monaco (1869) gli rivelò l’arte di Courbet e dei pittori di Barbizon. Nel 1870 si trovava nei Paesi Bassi; successivamente operò a Düsseldorf. Invitato da Munkác- sy, suo amico, si recò nel 1873 in Francia dove visse fino alla morte. I suoi paesaggi, influenzati dalla scuola di Bar- bizon, hanno una sobria veemenza che rammenta l’arte di Munkácsy, e si segnalano per il tono sincero e tragico e l’esecuzione sobria e accurata: In fondo al bosco, 1873; Pioppo, 1875 (Museo di Budapest). È pure rappresentato nei musei di Düsseldorf (km) e dell’Aja (Mesdag). (dp). Paalen, Wolfgang (Vienna 1905 - Messico 1959). Formatosi presso Julius Meier-Graefe e Hans Hofmann, studiò pittura in Italia e a Berlino prima di stabilirsi in Francia nel 1928. Attratto sulle prime dal gruppo Abstraction-Création, aderì nel 1935 al surrealismo. Notato da Roland Penrose e Chri- stian Zervos in occasione di una mostra alla Gall. Vignon (Parigi 1934), fu ammesso a collaborare ai «Cahiers d’art». Dal 1938 praticò il procedimento del fumage (in- terpretazione delle tracce lasciate dalla fiamma di una candela), da cui trasse effetti assai vicini a quanto più tardi verrà definito «astrattismo lirico» (Autofago, 1938: Parigi, coll. priv.). I suoi dipinti sono una sorta di incubi fantastici ove compaiono forme disarticolate, personaggi disincarnati (Paesaggio pietrificato, 1938: Parigi, coll. Le- febvre-Foinet; Combattimento tra i principi saturnini III, 1938: Parigi, coll. Jacques Tronche). Ha partecipato all’il- Storia dell’arte Einaudi lustrazione dei Canti di Maldoror di Lautréamont (1938). Stabilitosi nel Messico nel 1939, vi organizza, insieme al poeta Cesar Morro, l’Esposicion internacional del Surrea- lismo, presso la Gall. de Arte mexicano (febbraio 1940). La sua rivista «Dyn» (da dinatica: secondo P l’energia del possibile artistico), sei numeri della quale usciranno tra il 1942 e il 1944, ne segna l’allontanamento dal surrealismo, nel quale egli scorge un nuovo accademismo. Lo influenza allora l’arte degli Indios, che conosce bene (Selam Trilogy, 1947: Parigi, coll. J. Dupin). Assente alla Mostra surreali- sta (Gall. Maeght, Parigi 1947), torna a Parigi tra il 1952 e il 1954 ed è rappresentato nelle retrospettive del movi- mento. Nel 1959, sugli altopiani del Messico, si suicida con un colpo di rivoltella. Un’importante retrospettiva della sua opera viene organizzata a Parigi nel 1970 (Gall. Villand e Gall. Galanis). (rp). Pacchia, Girolamo del (Siena 1477 - post 1533). Non ancora del tutto definito dal punto di vista biografico, fu spesso confuso con Gia- como Pacchiarotti. Fu dapprima sensibile alle influenze umbre, in particolare da Perugino e da Signorelli (Ascen- sione: Siena, chiesa del Carmine, per la quale è stata pro- posta la data 1512) e si aprì in seguito all’influenza del Sodoma, di Girolamo Genga e del classicismo fiorentino. Le opere migliori appartengono tutte a una fase già avan- zata della sua attività, segnata anche dall’influenza di Raffaello: la Madonna col Bambino e santi del Museo di Capodimonte a Napoli; l’analogo soggetto della collezione Chigi Saracini a Siena e, nella stessa città, l’Incoronazione della Vergine in Santo Spirito (1515-16 ca.); gli affreschi nell’Oratorio di Santa Caterina in Fontebranda e dell’Oratorio di San Bernardino (1518), per il quale di- pinse anche un cataletto; l’Annunciazione della Pinacote- ca. (sr). Pacchiarotti, Giacomo (Siena 1474-1540 ca.). Sotto questo nome si raggruppava- no un tempo anche i due corpus di Girolamo del Pacchia (restituito al legittimo artista da Milanesi, nel 1906) e di Pietro Orioli (quest’ultimo finalmente scisso e definito stilisticamente solo di recente). In seguito ai dati emersi dalla ricerca documentaria, la sola opera certa del P è l’af- Storia dell’arte Einaudi fresco con la Madonna col Bambino e santi del Palazzo Co- munale di Casole d’Elsa, poiché le poche altre opere men- zionate dalle fonti in Siena sono andate perdute. (scas). Pacchiarotto, Giacomo → Orioli, Pietro pace Forma ridotta per «strumento di pace». Oggetto liturgi- co, generalmente una tavoletta con una immagine sacra, che veniva utilizzato per portare la «pace», ovvero il bacio prima della Comunione. Il nome dello strumento deriva dal tradizionale saluto ebraico, adottato dai primi cristiani quale segno di fraternità e riconciliazione e man- tenutosi nella liturgia romana e occidentale sino al sec. xiii. Lo strumento di p non è mai stato precettivo; originatosi per motivi devozionali, fu introdotto durante il sec. xiii in sostituzione del bacio e dell’abbraccio di pace effettuato al momento dell’Agnus Dei cui faceva se- guito il bacio della patena, di un reliquiario o della teca per ostie. La p comparve in Inghilterra attorno alla metà del sec. xiii, in Francia agli inizi del xiv e suc- cessivamente in Germania e in Spagna. Durante il sec. xiv questi oggetti acquistavano grande diffusione e talora, per accrescere il sentimento devozionale, inglobavano pic- cole reliquie. A Roma la p risulta adottata dal sec. xv, so- stenuta soprattutto dagli ordini religiosi. Dopo la grande diffusione incontrata nei secoli xv-xviii, questo tipo di oggetto è oggi prevalentemente decaduto dall’uso. Le p piú antiche erano in pietra, legno o terracotta mentre dal Quattrocento prevaleva l’impiego del metallo che consen- tiva la replica a stampo in numerosi esemplari. Piú rare ri- sultano le decorazioni di carattere pittorico eseguite su di un supporto in vetro, rame, legno e tela e realizzate ad olio, smalti, niello. L’iconografia si orienta generalmente sul tema della Pietà (Crocifissione, Deposizione, Resur- rezione) ma anche sulle feste liturgiche o sui santi patroni. Circa la tipologia si possono evidenziare tre raggruppa- menti principali; la tavoletta quadrata con eventuale cor- nice: l’oggetto può avere sul retro una maniglia (ad uso di impugnatura o di sostegno), oppure un gancio con una ca- tenella per tenerla sospesa in sagrestia o per issarla su un’asta e offrirla al bacio dei fedeli od anche due piedini anteriori; la tavoletta avente struttura architettonica, Storia dell’arte Einaudi secondo il modello della pala d’altare, anch’essa con mani- glia o catenella; il medaglione rotondo, eventualmente su fusto, tipologia prevalentemente di area tedesca del xv- xvi secolo. (svr). Pace, Michelangelo → Campidoglio, Michelangelo Pace, Ranieri del (Pisa 1681 - Firenze 1737). Stilisticamente collocabile nell’ambito della cultura rococò, recepisce anche influssi Veneti alla Sebastiano Ricci. Formatosi inizialmente a Pisa presso il cognato Jacques Perry, si trasferisce in se- guito a Firenze presso Pietro Dandini e A. D. Gabbiani. Influenzato maggiormente da Giovanni Sagrestani al punto da mostrare uno stile tanto simile da aver indotto piú volte in confusione, P collabora a diversi cicli di affre- schi a partire dal 1709 (decorazioni in Palazzo Bargagli Petrucci e della villa di Poggio a Scaglia; Oratorio di Sant’Agostino a Firenze; Gloria di san Benedetto e san Dalmazio in San Dalmazio a Volterra; Dio Padre e angeli in San Jacopo Soprarno a Firenze). Tra le altre sue opere certe si ricordano San Domenico brucia i libri degli Albigesi firmato e datato 1716 per il refettorio di Santa Maria No- vella a Firenze, il Riposo durante la fuga in Egitto (1726- 29) in San Giuseppe a Pisa e il Sacrificio di Ifigenia (Stra- sburgo, coll. priv.). Recentemente meglio studiato anche dal punto di vista biografico grazie al ritrovamento dei documenti di nascita (che rispetto a quanto asserito dalle fonti ne risulta ritardata di quasi trent’anni) e morte. (apa). Pacea, Ion (Horopani (Grecia) 1924). Si è formato all’Istituto di belle arti di Bucarest. Ha partecipato alla Biennale di Ve- nezia (1966), all’Esposizione AIPA di Tokyo (1966), alla Biennale di San Paolo (1969) e a molte collettive a Parigi, Londra, Roma, Torino, Praga, Dresda, Atene. Autore di ritratti e di composizioni dove l’austerità della rappresen- tazione e la forza quasi scultorea dei volti ricordano il suo maestro, Camil Ressu. Le forme depurate dagli elementi caratterizzanti fanno spesso oscillare le sue composizioni fra naturalismo e astrazione. I dipinti astratti di P tradu- cono le forme organiche in valori pittorici. La composizio- Storia dell’arte Einaudi ne è retta dalla corrispondenza tra i colori piú che dalla struttura delle forme, e le immagini si organizzano me- diante la sottile risonanza dei toni e l’orientamento dei piani. I quadri sono animati da un ritmo centrifugo. Le opere di P si trovano nel mn d’Arte di Bucarest e in colle- zioni private. (ij). Pacecco → De Rosa, Francesco Pace di Bartolo (documentato ad Assisi tra il 1344 e il 1368). Tra gli allie- vi di Giotto Vasari cita un Pace da Faenza cui attribuisce le decorazioni ora perdute nella cappella di Sant’Antonio Abate in San Francesco ad Assisi. Dalle opere di ambito umbro attribuite al pittore per affinità con la Maestà af- frescata per l’Ospedale della Confraternita di Santo Stefano ad Assisi nel 1344, si evince il sostrato padano che ne anima il linguaggio colorito e bizzarro (Madonna tra due angeli: San Ruffino, mc). Un’ultima notizia del 1368 lo cita attivo alle decorazioni per la tomba del cardi- nale Albornoz (Assisi, San Francesco) dove è forse anche collaboratore di Andrea de’ Bartoli (cappella di Santa Ca- terina: ivi). (sr). Pacheco, Francisco (Sanlùcar de Barrameda 1564 - Siviglia 1654). Rimasto orfano ancora molto giovane, venne allevato a Siviglia da suo zio, il canonico Pacheco, erudito e membro influente dell’Accademia di Mal Lara. P apprese la pittura nella bottega di Luis Fernández copiando Pedro de Campaña e Luis de Vargas; l’impronta «romanista» del suo stile non è esente da una certa accademica freddezza riscontrabile in opere come l’Apoteosi di Ercole (1604: Siviglia, Casa de Pilatos).
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