Matteo MANDALÀ ISMAIL KADARE TRA LA VERITÀ DELL'arte E L
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STUDIA ALBANICA 2016/2 Matteo MANDALÀ ISMAIL KADARE TRA LA VERITÀ DELL’ARTE E L’INGANNO DELLA REALTÀ 6.– L’inverno del “loro” scontento (1973-1975) Per ammissione di Kadare, suffragata dalla moglie Helena, tra la fine degli anni Sessanta e i primi del decennio successivo, nell’opificio dello studioso erano in lavorazione più progetti, dei quali soltanto i due di cui ci siamo appena occupati riuscirono a vedere la luce, mentre la definitiva stesura degli altri e la loro pubblicazione – vuoi a causa delle coercizioni esterne, vuoi per una deliberata scelta dello scrittore –, furono procrastinate ben oltre la seconda metà degli anni ’70, quando in rapida successione apparvero riuniti in diverse raccolte nella forma di racconti brevi1. Tra questi ultimi meritano una menzione speciale due romanzi che, pur ispirati da vicende “moscovite”, per motivi diversi hanno ricoperto un ruolo molto importante per il futuro dell’opera e, si aggiunga, della vita di Kadare. Il primo è Muzgu i perëndive të stepës, che nel 1970 (dunque prima della pubblicazione di Kronikë) era già quasi ultimato2. La sua importanza è notevole perché, rievocando dalla medesima prospettiva critica l’altra tappa fondamentale della formazione del giovane artista, si configura come il naturale continuatore di Kronikë: se in quest’ultimo veniva rivisitata l’esperienza estetica primigenia e intuitiva preadolescenziale, in Muzgu saranno discussi con sagace maturità e anche con particolare gusto surreale per il grottesco alcuni paradigmi fondamentali dell’arte narrativa modernista, quali i concetti di tempo e di spazio, il ruolo 1 Helena Kadare, Kohë e pamjaftueshme. Kujtime, Shtëpia botuese “Onufri”, Tiranë, 2011, f. 354-355. 2 Helena Kadare, Kohë e pamjaftueshme. Kujtime, Shtëpia botuese “Onufri”, Tiranë, 2011, f. 247. 4 Matteo Mandalà dell’autore, l’influsso del potere politico sulla letteratura, l’arte come strumento di liberazione delle coscienze. Il secondo romanzo è Dimri i vetmisë së madhe, anch’esso “concepito” in quello scorcio temporale, ma destinato a subire, immediatamente dopo la sua pubblicazione nel 1973, processi sommari che soltanto i tribunali ideologici e quelli religiosi hanno saputo istruire contro le opere narrative giudicate moralmente “insane”. Un destino striato da attacchi virulenti che, non solo obbligarono Kadare a rivedere radicalmente il testo per approntarne una seconda edizione apparsa nel 1978 con il titolo Dimri i madh, ma che sono continuati ancora dopo l’avvento della democrazia in Albania, quando ci si aspettava un atteggiamento critico più consono alle prerogative delle scienze ermeneutiche. In questa sede, è ovvio, non si potrà dar conto compiutamente della ricezione di questo romanzo, anche se è indubbio che ad esso vanno ricondotte l’origine degli sciami sismici che, nel bene e nel male, a frequenti e cicliche ondate scuoteranno l’intero decennio degli anni ’70 e che nel corso degli anni ’80 registreranno ancora echi sensibili. Va detto, a scanso di equivoci, che il romanzo tratta un tema – la rottura dei rapporti economici e politici con l’Unione Sovietica guidata da Krušev – che non solo ebbe grande importanza per la storia dell’Albania comunista, ma che gioco forza obbligava a mettere nel centro della scena narrativa la figura di Enver Hoxha, il protagonista indiscusso che provocò quella clamorosa svolta indotto più da machiavelliche ragioni di potere personale che da idealistiche ragioni filosofico-ideologiche. Ciò detto, è essenziale richiamare l’intento che Kadare ha ripetutamente dichiarato di avere voluto perseguire, e cioè di analizzare letterariamente quel grande evento fratricida per farvi emergere ragioni sufficienti per convincere Hoxha nei primi anni ‘70, per un verso, a promuovere una rottura analoga con la Cina, della quale l’Albania era un’alleata sin dalla sua uscita dal Patto di Varsavia, e per un altro verso, a indirizzare il piccolo paese balcanico verso la sua naturale destinazione, che nella illusione alimentata da Kadare era l’Europa. Per riuscire in questo suo intento, secondo il parere di Liri Belishova che fu illustre protagonista e vittima di quelle vicende, in Dimri i vetmisë së madhe «Ismail Kadare e përdori Enver Hoxhën… për të paraqitur një tablo të Shqipërisë, jo ashtu siç e Ismail Kadare - tra la verità dell'arte e l'inganno della realtà 5 deshironte»3. Dal canto loro, le valutazioni di illustri studiosi russi non differiscono da questa verità del romanzo: se Nina Smirnova ravvisa nella occidentalizzazione ricercata di Dimri la deliberata volontà di Kadare di dare un’immagine europea di Tirana in contrasto con l’alterità rappresentata da Mosca e dall’Unione Sovietica4, Aleksander Rusakov ritiene che «nuk ishte aspak rastësore, por kishte për qëllim t’u tregonte shqiptarëve se vendi i tyre i takonte Perëndimit» 5 . Il tentativo kadareano, tuttavia, di far indossare “una maschera” correttiva al dittatore per smussarne l’esacerbato stalinismo si rivelò fatalmente fallimentare, quantunque i successivi fatti storici avrebbero dato ragione alla lungimirante profezia dello scrittore: negli anni 1977-78 l’innaturale alleanza con i cinesi si sarebbe frantumata non meno miseramente di quella con i sovietici e la scelta del regime di votarsi a una chiusura autocratica piuttosto che di aprirsi all’Occidente, avrebbe decretato il lento e inesorabile declino dell’intero paese. Queste rapide precisazioni si sono rese necessarie in via preliminare per tracciare la strada ad una corretta e ancorché breve esegesi del più controverso romanzo di Kadare: lo sono sia perché in parte illuminano le intentiones dell’autore e del testo, sulle caratteristiche estetiche del quale torneremo, sia perché, specialmente oggi che in Albania vige un consolidato sistema di libertà, dovrebbero esortare il lettore a valutare l’opera letteraria iuxta propria principia, assumendo a vantaggio della propria interpretazione le numerose regole pragmatiche consigliate nei vari momenti da grandi scrittori. Tra queste, ad esempio, per impostare una prudente e accorta intentio lectoris si dovrebbe imparare a distinguere tra il “cielo azzurro” e “il fango” che i romanzi, a detta di Stendhal, riflettono contestualmente come in uno specchio. Se ciò avviene, si guadagna fuori di metafora il senso della preziosa lezione ammonitrice di Vargas Llosa: «nelle società perfettamente democratiche la storia e la fiction dovrebbero 3 Ismail Kadare-Denis Fernàndez Recatalà, Katër përktyesit, Botime Onufri, Tiranë, 2004, f. 155. 4 Cfr. Nina Smirnov (Нина Смирнова), “Pasthënie” in Ismail Kadare, Surovaja zima (Суровая зима), “Hudozhestvjenaja literatura”, Moskva, 1992. 5 Cfr. Aleksander Rusakov (Александр Русаков), “Eksperimenti mësimdhënës i Ismail Kadaresë” (Поучительный эксперимент Исмаиля Кадаре), in Res Philologica-II, Филологические исследования, Сборник статей памяти академика Георгия Владимировича Степанова, издательство Петрополис, Sankt-Peterburg 2001. 6 Matteo Mandalà essere separate e distinte», perché «è nelle società totalitarie che la storia e la fiction si scambiano di posto» 6 . Anche se è doloroso ammetterlo, non si può omettere il fatto che ancora oggi questa distinzione non venga affatto effettuata da chi potrebbe liberamente farla vivendo in “società perfettamente democratiche”: il che, confermando che non è ancora cessato il perverso lavoro dei censori di attribuire all’opera d’arte le responsabilità che, invece, spettano esclusivamente alla storia, legittima la seguente parafrasi del verso del Riccardo III che ha ispirato i titoli dei romanzi di Kadare e del nobel John Steinbeck: Now is the winter of “their” discontent. Ad un esame impassibile di Dimri i vetmisë së madhe, oltre agli evidenti ammiccamenti ad alcuni principi del realismo socialista, emergono numerosi altri aspetti che confermano il fatto che questo romanzo segni un punto di non ritorno dell’indirizzo assunto dalla poetica kadareana in quel periodo. Questo romanzo, insieme al suo gemello Koncert në fund të dimrit, che apparirà soltanto nel 1981 dopo l’anticipazione del 1978, rivela il costante interesse di Kadare nei riguardi dei grandi avvenimenti che coinvolsero i destini politici e civili dell’Albania, lasciando intravedere stranianti ricorsi storici che non potevano sfuggire all’occhio dello scrittore. Già la scelta dell’argomento non fu semplice né più agevoli furono le condizioni che gli permisero di attingere alle fonti archivistiche, sulle quali vigevano ferree regole di controllo. La discesa nei sotterranei dell’archivio del Comitato centrale, discesa che mutatis mutandis richiamava quella che Dante compì negli “inferi” per rivelare i segreti delle più orrende atrocità commesse dagli uomini in vita, costituì l’esperienza più esaltante dal punto di vista dell’artista ormai proiettato, vuoi per indole naturale del suo estro vuoi per meditata opzione estetica, a cogliere la dimensione “irreale” della realtà di cui era testimone. A questa fase, ancor più che nel “magico” mondo dell’infanzia trascorsa ad Argirocastro, risale la prima espansione dei mondi di invenzione con cui Kadare predilesse l’applicazione della tecnica narrativa che, secondo Pavel, in letteratura si riscontra esplicitata nei fenomeni della mitizzazione e dello straniamento: lo scrittore proietta l’evento 6 Mario Vargas Llosa, La verità delle menzogne. Saggi sulla letteratura, traduzione italiana di Angelo Morino, Rizzoli, Milano, 1992. Ismail Kadare - tra la verità dell'arte e l'inganno della realtà 7 «su di uno sfondo mitico [al fine di] conferirgli una determinata prospettiva, collocarlo a una