Archivio Tiziano Tessitori

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Archivio Tiziano Tessitori Archivio Tiziano Tessitori Soggetto produttore Date esistenza: Sedegliano, 13 gennaio 1895 – Udine, 19 aprile 1973 Storia: Tiziano Tessitori nasce a Sedegliano (Udine) da Giacomo Tessitori e Domenica Pressacco. L’ambiente d’origine è quello del medio Friuli, una pianura a carattere agricolo fortemente condizionata, a cavallo del secolo, dalla carenza d’acqua e dall’incremento del fenomeno migratorio. Il padre, uno dei numerosi piccoli proprietari che lavorano direttamente i propri campi, è persona non di cultura, ma molto attiva nella vita sociale del paese (fabbricere e consigliere del Comune e della Latteria sociale). La formazione scolastica lo allontana da casa che è ancora un ragazzo: su sollecitazione del parroco di Sedegliano, frequenta il Seminario di Cividale del Friuli, quindi, dal 1908, continua gli studi liceali nel Seminario arcivescovile di Udine. Tra gli insegnanti due sono le personalità che ne segnano maggiormente la crescita morale ed intellettuale: in un clima ben più rigido e conservatore di quello dei primissimi anni del Novecento - quando il dibattito sul rinnovamento della cultura cattolica aveva potuto esprimersi liberamente - Giuseppe Ellero e Pio Paschini lo educano all’ apertura verso tutti gli aspetti della cultura moderna, gli trasmettono l’interesse per la storia (in particolare per quella religiosa), gli insegnano la metodologia della ricerca scientifica. Lo scoppio della guerra e l’arruolamento interrompono il percorso di studi, mentre continuano l’ impegno nei circoli di Azione cattolica e la collaborazione con i giornali cattolici locali. Nel febbraio 1919 nasce a Udine il Partito popolare. Tessitori, congedatosi dall’esercito nell’estate, vi aderisce e fin dall’inizio affianca Agostino Candolini, membro del Comitato provinciale provvisorio, nel promuovere il progetto di un’organizzazione dei lavoratori di tipo cooperativo che comprenda i settori del credito, del lavoro, del consumo. L’attenzione è focalizzata sulle trasformazioni in atto nella società e nella struttura economica del paese, ed in particolare su quelle che riguardano la piccola proprietà ed i lavoratori del settore agricolo. Ad ottobre si costituiscono ad Udine l’«Unione cooperativa provinciale di consumo» e la «Federazione mezzadri e piccoli affittuari»; Tessitori e Candolini sono eletti nel Comitato direttivo di quest’ultima e, sino al 1920, si dedicano quasi esclusivamente alla campagna per la riforma dei contratti agrari e per 1 l’adesione della popolazione contadina ai programmi dell’organizzazione. La propaganda è condotta direttamente, visitando il territorio, e dalle pagine degli organi di stampa del Partito popolare e delle leghe bianche, « Il Friuli» e «La Nostra Bandiera» (dal gennaio 1921 «Bandiera Bianca»): sono oltre trenta i comizi tenuti dal senatore nell’inverno 1919-1920, per lo più in paesi della Bassa friulana, ed altrettanti gli interventi pubblicati dai due periodici. La prima assemblea delle leghe bianche (Udine, 14 marzo 1920) e l’elenco delle stesse pubblicato da « Il Friuli» nello stesso periodo rendono conto del lavoro svolto; dall’aprile cominciano quindi le trattative con la rappresentanza padronale, l’ «Associazione agraria friulana», che si concluderanno il 13 luglio 1920 con la sigla dei nuovi patti colonici. Durante questa contrattazione, all’interno del Partito popolare emerge la tensione tra le posizioni di coloro che appoggiano l’operato dell’organizzazione sindacale e di coloro che ne chiedono un maggiore controllo e, soprattutto, una maggiore aderenza alle direttive dell’organo politico. Nel congresso provinciale del Ppf (Udine, 5 agosto 1920) Tessitori, allora segretario dell’Unione, ritira le dimissioni presentate in precedenza come reazione alla mancanza di sostegno da parte del Partito, ma non rinuncia a ribattere alle accuse rivolte al sindacato e a lanciare un appello per un azione coerente delle due componenti, politica e sindacale, del movimento cattolico. Le elezioni amministrative che si svolgono nell’autunno del 1920 gli assegnano un posto nella Deputazione provinciale, alla cui presidenza viene eletto Candolini. In questo periodo l’intensa attività svolta come deputato – è rappresentante delle associazioni degli operai, contadini e emigranti presso l’Ufficio provinciale del lavoro, rappresentante della Deputazione nel Consorzio Ledra-Tagliamento, membro di numerose commissioni costituite per lo studio di questioni relative alla disoccupazione, all’istruzione, all’edilizia popolare, al pubblico impiego, al commercio e allo sviluppo delle reti idrica ed elettrica – affianca quella di sindacalista finalizzata, dopo la riforma, all’organizzazione delle cooperative agricole mandamentali. L’anno seguente si apre con due eventi importanti nella sua vita politica e personale: viene candidato alle elezioni politiche del maggio 1921 e si celebra il matrimonio con Lucia Gori. Nonostante l’elezione al governo (è il più giovane deputato d’Italia) la crisi interna alla sezione provinciale del Partito, che emergerà chiaramente durante il congresso del 10 aprile 1922, lo vede allontanarsi sempre di più dalle posizioni della maggioranza. Sulla vecchia questione del rapporto tra Unione del Lavoro e Comitato direttivo incidono ora tensioni riconducibili ad un clima politico in cui si fa sempre più pesante la pressione fascista; a ciò si aggiunge il dissenso verso la decisione di assumere la direzione della redazione udinese del quotidiano «Il Popolo Veneto», organo di stampa dei popolari veneti, in un momento in cui la sopravvivenza dei giornali cattolici locali è messa in forse dal mancato sostegno della Banca Cattolica. Nel maggio 1922 decade dall’incarico di governo, 2 perché non viene approvato il provvedimento che convalida l’elezione dei deputati con meno di trent’anni. Il legame con i popolari si va sempre più deteriorando, tanto da mettere in crisi anche l’incarico di presidente dell’Unione. Nei mesi successivi garantisce il proprio sostegno alle leghe impegnate in una nuova battaglia contro le associazioni padronali (giugno-luglio 1922), ma sta maturando una scelta decisiva: a settembre esce dalla redazione de «Il Popolo Veneto», a dicembre lascia il partito e tutte le cariche amministrative che aveva assunto come rappresentante del Ppf. In una generale situazione di incertezza delle forze cattoliche, che a livello nazionale e locale discutono i modi e i limiti della collaborazione con il governo fascista, Tessitori si avvicina agli ambienti cattolici più propensi al compromesso ed accetta, nel 1923, di far parte della Giunta provinciale amministrativa liberal-fascista. In realtà è un ultimo tentativo di trovare uno spazio di conciliazione, perché nel marzo 1924 abbandona definitivamente la vita politica e concentra le proprie energie sull’attività professionale, avviata nel 1923 dopo il conseguimento della laurea in giurisprudenza. Nel decennio successivo, oltre che nelle aule di tribunale, le sue capacità oratorie si esercitano su alcuni temi sociali e storico-religiosi profondamente sentiti, in primo luogo il valore educativo del cristianesimo antico, in cui vede un riferimento ideologico fondamentale. Scrive su giornali locali e nazionali – tra cui la rivista letteraria «Il Frontespizio» di Giovanni Papini - collabora con la Scuola cattolica di cultura di Udine e partecipa a conferenze e convegni dedicati alla formazione culturale e religiosa della società civile. Attraverso questa attività, in cui ha trovato il pieno appoggio dell’autorità ecclesiastica, si riavvicina al mondo cattolico locale (del 1933 è l’iscrizione all’Associazione dei laureati cattolici, del 1934 quella all’Azione cattolica). Alla fine della guerra Tessitori rientra nel dibattito politico affrontando una questione centrale per la nazione e per il nostro territorio, la riforma dello Stato centralizzato e dell’autonomia del Friuli. L’idea non è nuova per la classe intellettuale friulana, che già in epoca risorgimentale aveva manifestato l’esigenza di dare un’identità politica e amministrativa alla Patria del Friuli, cioè quell’entità geograficamente collocata tra i fiumi Livenza, a ovest, e Timavo a est, definitasi in epoca medievale come il territorio soggetto al Patriarca del Friuli e, in seguito agli sconvolgimenti politici dei sec. XVIII-XIX, confusa all’interno del più ampio territorio lombardo- veneto. Nella situazione di incertezza creatasi al confine orientale con la conclusione del conflitto e in un clima di ripresa culturale in cui trova molto spazio il tema della friulanità (nella letteratura, nelle scuole, nell’attività delle associazioni culturali) Tessitori enuncia in alcuni articoli, apparsi sul quotidiano del Comitato di liberazione nazionale, «Libertà», a partire dal luglio del 1945, il suo manifesto per l’autonomia friulana: la regione è un’entità di interessi, di economia, di linguaggio, di tradizioni, di caratteri spirituali per cui si avvera un complesso di vita definito e caratteristico, onde si è avuta un’autodefinizione spontanea e tradizionale che la mancanza d’ogni amministrazione a carattere 3 regionale non è riuscita tuttavia a negare o ad annullare. Una di codeste entità regionali è la nostra Patria del Friuli (Autonomia del Friuli. Postilla a Piero Pascoli, in «Libertà», 6 gennaio 1946). Siamo agli inizi di un lunghissimo percorso (1945-1962) che porterà alla nascita del Friuli-Venezia Giulia come regione autonoma separata dal Veneto e che gli varrà l’appellativo di “padre” della Regione. Il 29 luglio del 1945 fonda l’Associazione per l’autonomia friulana, nella convinzione che
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