Università Degli Studi Di Catania Catania E I Sindaci
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE TESI DI DOTTORATO DI RICERCA IN PENSIERO POLITICO E ISTITUZIONI NELLE SOCIETÀ MEDITERRANEE XXIV CICLO CARMELO LA ROCCA CATANIA E I SINDACI DEL SECONDO DOPOGUERRA PERCORSI POLITICI E AMMINISTRATIVI COORDINATORE E TUTOR CH.MO PROF . GIUSEPPE ASTUTO 0 INDICE INTRODUZIONE 1 Le Istituzioni e la politica 3 2 La ricerca e le fonti 11 1° CAPITOLO La fine della guerra 1.1 Lo sbarco degli alleati 16 1.2 Si ricomincia… 20 1.3 La rinascita dei partiti 25 1.4 Catania e le aspirazioni separatistiche del MIS 33 2° CAPITOLO Dal Podestà al Sindaco 2.1 Dal Sindaco dell’età liberale al Podestà 40 2.2 Gli ultimi Podestà di Catania 42 2.3 …il Sindaco 47 3° CAPITOLO Le elezioni del 1946 3.1 Si vota! 61 3.2 Le “amministrative” a Catania 68 3.3 Il nuovo Consiglio comunale 73 3.4 Le 136 preferenze di Pittari 76 3.5 Un monarchico liberale 82 3.6 La D.C. resta ancora a guardare 85 4° CAPITOLO Magrì e La Ferlita 4.1 La Democrazia Cristiana 90 4.2 Le elezioni del 25 maggio 1952 93 4.3 “La politica per Catania… 97 4.4 Un Sindaco per sette anni 104 4.5 La Ferlita… lascia 111 1 5° CAPITOLO Da Papale a Nino Drago 5.1 Novembre 1960 116 5.2 Il Piano Regolatore Generale 125 5.3 Lo scandalo edilizio 128 5.4 La sindacatura Drago 132 6° CAPITOLO I Sindaci di Drago 6.1 Giuseppe Gulli 140 6.2 Il Pigno ha sete 145 6.3 Tra politica e sport: Marcoccio 153 6.4 Le elezioni del 15 giugno 1975 160 6.5 Le nuove giunte Magrì 166 6.6 Le ultime amministrazioni Magrì 173 6.7 Salvatore Coco 176 6.8 Angelo Munzone 182 7° CAPITOLO Bianco… per caso 7.1 Il professore Mirone 187 7.2 Si scioglie il Consiglio 190 7.3 Bianco… per caso 195 7.4 Ritorna la D.C., ma… 200 7.5 Direttamente Bianco 204 Conclusioni 208 Bibliografia 214 2 INTRODUZIONE 1. Le Istituzioni e la politica Dall’inizio del XIX secolo nasce l’interesse per la città occidentale come istituzione politica, come tipo particolare di organizzazione del potere, e – come sostiene Weber – essa è senza dubbio il risultato concreto e reale di un’‹‹innovazione sostanzialmente rivoluzionaria›› 1. Contestualmente le antiche forme di autogoverno cittadino oligarchico e patrizio sono superate dall’introduzione del nuovo sistema amministrativo locale di derivazione rivoluzionaria e di impronta napoleonica 2. Il successivo crollo del sistema politico napoleonico non comportò l’abbandono complessivo dell’assetto amministrativo preesistente e il ripudio assoluto della dottrina giuspubblicistica che ne era a fondamento. Ragioni essenzialmente politiche e motivi strumentali spinsero i sovrani della Restaurazione, pur respingendo in toto le opzioni ideologiche e il quadro costituzionale del periodo francese, a mantenere sostanzialmente in piedi la ben oliata macchina amministrativa con i suoi più delicati, efficienti e già sperimentati rouages : prefetti e sindaci, innanzitutto. A tale fascino non si sottrasse neppure il Regno di Sardegna. La legislazione del nuovo Regno d’Italia, in cui fu trasfusa quella sarda per semplice osmosi, in un susseguirsi di diverse ma affini leggi sulle autonomie locali che si alternarono nel corso della seconda metà dell’Ottocento, ricalcò pertanto, in maniera pressoché totale, il predominante modello francese e acquisì pienamente il sistema 1 P. Rossi, La città come istituzione politica: l’impostazione della ricerca , in Modelli di città. Strutture e funzioni politiche , a cura di P. Rossi, Torino 1987, p. 7. 2 P. Aimo, Il centro e la circonferenza , Milano 2005, p. 212. 3 prefettizio e accentrato in cui il sindaco rappresentò il centro motore e propulsivo dell’ente locale. Da sempre, quindi, il sindaco nel sistema amministrativo del nostro Stato, prima Regno d’Italia e poi Repubblica, ha rappresentato la figura istituzionale di maggiore riferimento in relazione soprattutto al rapporto diretto che egli instaura con i cittadini, e questo rapporto si è maggiormente, e di recente, solidificato in considerazione – fra l’altro – della legislazione oggi vigente che ne prevede l’elezione per suffragio diretto. Per arrivare all’attuale meccanismo elettorale, in vigore dal 1993, il percorso è stato alquanto lungo e laborioso, ed è facile intuirlo pensando che all’indomani della proclamazione dell’Unità d’Italia, proprio per l’osmosi della legislazione che era in vigore nel Regno di Sardegna, il primo cittadino di ogni città, o paese che fosse, era nominato dal Re. L’iter effettuato in proposito è abbastanza noto e il ripercorrerlo non rientra in questo lavoro. Basta comunque ricordare che i sindaci diventarono elettivi, nel contesto dei consiglieri comunali e da parte dello stesso consiglio, solamente nel 1889, con la riforma amministrativa comunale e provinciale realizzata da Francesco Crispi, quando l’ordinamento amministrativo centralizzato, intrecciato in modo stretto con l’assetto politico e costituzionale, fu parzialmente modificato anche sotto la spinta di istanze progressiste, quale per esempio l’ampliamento dell’elettorato. ‹‹Certo, il corpo elettorale – ha scritto Gaspari – continuava a essere molto limitato, in particolare di sesso maschile e appartenente a una fascia di reddito piuttosto alta, ma l’elezione da parte del consiglio rese possibile l’emergere di ampie e consistenti energie progettuali decisive per il progresso della società locale e nazionale insieme, nonostante i timori di derive rivoluzionarie, soprattutto al Nord, e reazionarie, soprattutto al Sud›› 3. 3 O. Gaspari, L’Italia liberale , in O. Gaspari-R. Forlenza-S. Cruciani, Storie di Sindaci per la Storia d’Italia , Roma 2009, p. 4. 4 E’ evidente che il ruolo attribuito dalla legge al sindaco ha subito con il tempo delle notevoli trasformazioni. Si è passati, infatti, da quello di semplice rappresentante dello Stato, tipico del periodo napoleonico, in cui prevaleva la funzione di ″delegato del Governo ″, a quello di primo cittadino, esercitato durante l’età della Restaurazione e negli anni immediatamente successivi, in cui l’ufficio si articolava in maniera più complessa, accentuandone il carattere di magistratura paterna. Nel corso dell’Ottocento e del Novecento, si rinvengono forti richiami al ruolo morale del sindaco, alla valenza mediatrice della sua carica pubblica e alle numerose virtù private richieste. Sembrerebbe più privilegiata – rispetto al passato – la sua qualità di capo dell’ente municipale, di magistrato imparziale, dotato di sicuro prestigio e d’indiscussa autorevolezza. L’esordio – poi – dei partiti di massa, la conquista del criterio dell’elettività e la polarizzazione dello scontro politico, a livello urbano, hanno accentuato la sua natura di capo di una maggioranza consiliare e favorito il consolidamento della leadership 4. E se i comuni furono le istituzioni che risposero più delle altre alle richieste di riforme sociali cui seguirono le grandi trasformazioni del ‹‹rinascimento municipale›› 5, i sindaci – prima di sinistra, cui si aggiunsero successivamente anche quelli liberali, compresi i più conservatori – organizzarono congressi e manifestazioni, oltre che per chiedere risorse e riforme, soprattutto per affermare la centralità delle funzioni e dei problemi delle città presso le istituzioni centrali dello Stato e l’opinione pubblica, costituendo nel contempo l’Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci) e dando conseguentemente vita ad un insieme di modelli di pubblica amministrazione, attivi sul piano nazionale, ma autonomamente promossi dagli stessi comuni. Lo sviluppo del Paese e la modernizzazione dell’amministrazione pubblica avvennero quindi anche grazie alla spinta dei comuni durante l’età giolittiana 6. 4 P. Aimo, Il centro e la circonferenza , cit., pp. 248-249. 5 O. Gaspari, L’Italia liberale , cit., p. 4. 6 O. Gaspari, L’Italia dei municipi: il movimento comunale in età liberale (1879-1906) , Roma 1998, pp. 3 ss. 5 Dopo l’affermazione dei riformismi, i comuni – purtroppo – dovettero misurarsi con i gravissimi problemi della guerra e del dopoguerra, affrontandoli e cercando di superarli, in particolar modo quelli relativi all’assistenza da fornire ai propri cittadini che ritornavano dalla guerra o che, già emigrati, rientravano dall’estero perché avevano perduto il lavoro nei paesi usciti sconfitti durante guerra mondiale. La vitalità espressa dai comuni nei primi decenni del XX secolo ebbe una battuta d’arresto con l’avvento del fascismo che iniziò la sua ascesa conquistando subito i municipi e, successivamente, trasformandoli prima in enti autarchici e quindi in enti ausiliari dell’amministrazione dello Stato. Gli organi collegiali ed elettivi degli enti locali – comuni e province – furono sostituiti da un soggetto monocratico e le amministrazioni comunali pertanto furono private non solo del sindaco, ma anche del consiglio e della giunta. La nuova istituzione cui fu affidato il governo e la gestione del comune fu il podestà che assommava conseguentemente le funzioni degli organi soppressi e che gestiva l’istituzione soprattutto in funzione delle direttive del partito. La fine della guerra e il ritorno alla democrazia ″restaurarono ″ la figura del sindaco nel panorama politico ed amministrativo locale, anche se in merito mancò un’immediata produzione legislativa specifica e si applicarono per molti anni tanto le vecchie norme del periodo liberale, riviste e corette a seconda delle varie occasioni, quanto quelle del T.U. fascista, compatibili con il nuovo sistema democratico. Infatti l’insieme normativo di riferimento era costituito da un regolamento del 1911 e dal T.U. delle leggi comunali e provinciali fasciste che era stato emanato con il R.D. 3 marzo 1934 n. 383 per sostituire, anche se parzialmente, il precedente T.U. del 4 febbraio 1915 n. 148. Poiché il T.U. del 1934 non contemplava la regolamentazione degli organi rappresentativi collegiali che erano stati soppressi dal regime, dopo l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana fu richiamato in vigore, proprio per le disposizioni relative alla funzionalità di tali organismi, il già citato T.U.