NON OMNIS MORIAR MEMORIE DI JERONIM RADANJVET Tënët Ān Martirîje Ndônjë Ghēr Së Lipsi
Total Page:16
File Type:pdf, Size:1020Kb
NON OMNIS MORIAR MEMORIE DI JERONIM RADANJVET Tënët ān martirîje ndônjë ghēr së lipsi. III Jeronim Radanjvet Jeronim Radanjvet (1814 – 1903) IV III “Le parole sono a volte sofferenze da sopportare”; IV Foto tratta dal libro: La diversità arbëreshë. - Vol. III. - Amministrazione Provinciale di Cosenza – 2003. 1 BREVE PREFAZIONE L’opera autobiografica che vi presentiamo è stata pubblicata dal Radanjvet con il itotlo di Autobiologia. Si divide in quattro libri, che vanno dal 1814, anno della nascita del poeta sino al 1848 anno del suo definitivo ritorno nella sua “bella Makij, di 600 anime, senza Giudice, senza Sindaco, senza Gentarmi, ov’era nato libero e schivo d’imperio”. L’opera risulta così strutturata: “Composta quando il De Rada era oramai ottantenne (…) è divisa in quattro libri, che furono pubblicati nell’arco di almeno due anni: Autobiologia. Primo Periodo, Cosenza, Tipografia Municipale di E Principe, 1898; Autobiologia. Secondo Periodo, Napoli, Stabilimento Tipo-Stereotipo E Di Gennaro e A. Morano, 1899; Autobiologia. Terzo Periodo, Napoli, Stabilimento Tipo-Stereotipo F. Di Gennaro e A. Morano, 1899; Un Periodo della sua Autobiologia, s. 1. e s. d. (ma il tipo di carta ed i caratteri usati sono gli stessi della Tipografia Municipale di E Principe di Cosenza e il libro vide probabilmente la luce nel 1899). Il Primo Periodo è formato da ventotto pagine e non presenta alcuna divisione interna in capitoli. Il libro narra gli avvenimenti che vanno dal 1814, anno della nascita del poeta, fino all’estate del 1838, anno della morte del fratello Costantino. Qui l’autore parla della sua infanzia, dei suoi studi scolastici a San Demetrio Corone (1822-1833), degli studi universitari a Napoli (1834-1836) e del suo ritorno in Calabria (1836-1838) a causa dello scoppio del colera. Il Secondo Periodo, diviso in quattro capitoli e composto da ventiquattro pagine, va dall’autunno del 1838 al 1844, cioè dal ritorno del poeta a Napoli, dove lavora dapprima presso lo studio dell’avvocato Conforti e poi in casa del barone Spiriti, fino alla fallimentare insurrezione di Cosenza. Il Terzo Periodo, composto da cinque capitoli e venti pagine, parla di ‘alcuni incontri importanti avuti dal De Rada nel corso degli anni 1844-1846, come quello con il poeta francese De Lamartine, con l’archivista Tommaso Pace e con la sua futura moglie Maddalena Melicchio. L’ultimo libro dell’opera, diviso in sei capitoli e formato da ventiquattro pagine, è interamente dedicato agli eventi del 1848 a Napoli, dalla proclamazione a gennaio della Costituzione all’insurrezione del 15 maggio che portò alla restaurazione del potere monarchico.”V “L’Introduzione” alla vita del De Rada così come “l’Appendice cronistorica su Giriamo De Rada” (presente alla fine delle memorie del poeta) l’abbiamo affidata ad un suo parente, Michele Marchianò (1860/1921)VI Le note presenti nell’Introduzione sono del Marchianò. Mentre le note numerarie nell’Autobiologia sono nostre e quelle evidenziate in lettere sono le note del De Rada. Ora, spero ci perdonerete, se ci permettiamo di ricordare il nostro poeta con delle nostre misere e brevi considerazioni sulla sua vita e sulle sue opere (se mai siamo in “grado” di farlo) Pensiamo che al di là della mitizzazione, la grandezza del (nostro) poeta Radanjvet non è tanto dovuta alle “sue” opere, ma nell’aver dato voce a quanto era silenziosamente racchiuso nelle viscere e nel cuore del nostro popolo. Quindi non maestro ma discepolo attento e diligente dei palpiti del nostro “sangue disperso”. La grandezza del nostro Radanjvet stà nell’essersi auto- esiliato in un piccolo e misero villaggio, come Makij, e l’aver vissuto corpo a corpo, cuore a cuore con la nostra gente: l’aver condiviso, la nostra sofferenza, il nostro dolore, la nostra miseria: “arrivando a raccogliere ghiande per maiali per un pezzo di pane secco da mangiare” (Norman Douglas). Sta nell’aver rifiuto le seduzioni del mondo: i salotti letterari (napoletani, francesi e quant’altri dell’epoca) con la coscienza che tutto passa e che “te bota na gharronen V Girolamo De Rada, Opera Omnia – VIII – Autobiografia – pag. 37 - Edizione e introduzione di Michelangelo La Luna – Rubbettino Editore – 2008; VI Michele Marchianò, L’Albania e l’opera del De Rada, pagg. 19 – 53 – Trani – 1902. Ricordiamo che il Marchianò scrisse quest’opera quando ancora il poeta Radanjvet era ancora in vita. Per una migliore conoscenza biografica del Marchinaò si veda il pdf “Dritemi Inzot” (I Signori Illustri)” presenti nel nostro sito; 2 shokt e vëlezërit, kronjet e katundi inë”VII. La grandezza del Radanjvet sta nell’abnegazione nell’aver posto tutto il suo (allora) considerevole patrimonio al servizio di un ideale: innalzando i sentimenti per una nostra patria (perduta) l’Arberia e ri-dandoci una lingua per un futuro veramente nostro. La grandezza del nostro poeta sta nel fatto che nonostante la scelta dell’esilio per Makij è riuscito a superare non solo i confini e le barriere geografiche (poste del luogo), ma anche quelle del pensiero “chiuso” (tipiche dei piccoli luoghi e/o comunità sperdute) ed essersi “innalzato” nelle vette più alte del mondo (della poesia), senza per questo cadere nell’auto- esaltazione, ma dandoci un esempio “vivendo romanamente e sostenuto da una grande fede” (Michele Marchianò). E la grandezza del nostro poeta stà anche in quanto noi non siamo stati in grado di capirlo e di amarlo. E a noi rimane “si një kë pamë e na qëntroi ndë gjì”VIII I tuoi makkioti P.S. Ai critici letterari e/o di ogni sorta, agli intellettuali, agli studiosi e agli improvvisatori del De Rada, che da sempre si sono affannati ad usare (e purtroppo ancora usano) il suo nome, le sue parole per – come comunemente si suol dire – “farsi belli”, ma che nel proprio intimo non amano il (nostro) De Rada, li invitiamo a far proprie le parole che amava dire, in questi casi, l’artista albanese, Ibraim Kodra: “Per favore lasciate stare in pace il De Rada con i suoi amici”. Grazie. Cortile di Casa De Rada (2007) VII “Di noi sepolti un giorno si dimenticheranno i compagni, i fratelli, le fontane e tutto il nostro paese”: Il Milosao c. VII, v. 9/11; VIII “Come uno che vedemmo e ci è rimasto in cuore”: Il Milosao” Canto della figlia di Cologrea; 3 HANNO SCRITTO SU UN POETA “Chi vuol vedere il compimento della moderna poesia romantica, legga i Canti di Milosao del sign. Girolamo De Rada” Victor Hugò “Non è solo un poeta grande e irripetibile, albanese ed europeo. Egli è uno dei creatori della poesia perduta, uno di coloro che in mezzo all’oscurità ha tenuto accesa la lampada della poesia e della cultura albanese, allorquando l’Albania, immersa nelle tenebre, aveva tanto bisogno di lui. E assieme a quella fiammella, Jeronim Radanjvet ha tenuto vivo il sogno albanese per la libertà e il sogno del ritorno dell’Albania nel continente moderno in Europa… Questo colosso della poesia e dell’amore fa parte di quei missionari che hanno restituito alla patria le carte perdute della nobiltà per questo il suo nome, così come la sua opera saranno immortali nei secoli.” Ismail Kadarè “Da un misero paese (Macchia) sperduto nella Calabria, senza possibilità di mezzi di comunicazioni, si leva una voce che sa farsi ascoltare, che sa far intendere le ragioni e i diritti della patria d’origine… Ma la sua gloria maggiore viene, a mio parere, dalla lingua. Il De Rada è il creatore della lingua letteraria arbereshe. Non già che egli abbia creato o inventato un linguaggio, ma senza dubbio ha posto su solide basi il patrimonio linguistico del suo paese, patrimonio che è il vincolo più insigne della nazionalità di un popolo ed è il primo elemento costitutivo di una nazione.” Francesco Solano “Senza l‟opera poetica, politica e spirituale del De Rada, i nostri Padri si presenterebbero ai posteri quali poveri derelitti.” Giuseppe Schirò “Disgustato dalla chiassosa e difficile confusione di Napoli, si ritirò a soli 34 anni nel villaggio Macchia e più di ogni altra cosa, egli amò il suo ritiro a Macchia… Aveva l‟età di un patriarca, 88 anni! Vi si mostreranno, a Macchia, gli alberi sotto cui era solito riposare, il paesaggio solatio che egli amava, persino le pietre su cui sedette; vi si narreranno gli episodi della sua povertà, una miseria cui si stenta a credere. Durante gli ultimi mesi spesso era grato anche di una crosta di pane, in cambio della quale offriva un sacchetto di ghiande, che raccoglieva con le sue mani, per i maiali del donatore. Un abbandono simile, causato da un‟indefettibile lealtà verso il proprio ideale, non è più valutabile per le sue forme miserevoli: diviene esaltazione per chi lo soffre. (…) E consumò il suo patrimonio per la causa albanese, fino a raggiungere la più squallida povertà... E se nel 1902 ventun giornali si battevano per la causa albanese (diciotto nella sola Italia e uno persino a Londra) il merito va tutto a lui.” Norman Douglas (in “Vecchia Calabria”) “ L’amore per la patria è diffuso in tutto il poema come un pulviscolo luminoso. In quest’opera (il Milosao) si fondono due Albanie, l’Albania ideale, la patria degli avi, la Terra Madre ed il frammento di Albania, l’Albania in miniatura ricreata con tanto amore dagli esiliati, i profughi albanesi venuti in Italia che, per cinque secoli difesero dall’assimilazione quest’Albania trapiantata in terra straniera… E se nel finale (del poema) il protagonista (il Milosao) si pone la domanda: E’ la vita un sogno?, la saggezza popolare afferma la continuazione della vita che costantemente si rinnova. Il protagonista muore, ma i compatrioti, i compagni proseguono la sua opera….