I Media Occidentali e “l’altra” Europa – Amplificando l’Oriente Gëzim Alpion

L’articolo di Gëzim Alpion, “Western media and the European ‘other’ – images of in the British press” è stato pubblicato in inglese per la prima volta nel 2005. Vi proponiamo in italiano una versione dello studio pubblicato in inglese nel 2008, anno in cui Albania News ha assicurato il permesso dell'autore di pubblicare lo studio.

ALBANIA NEWS

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03/02/2012 i. Introduzione

L’Orientalismo di Edward W. Said ha rinvigorito come non mai il dibattito sull’immagine così prevenuta dell’Oriente in Occidente.

Nella prima parte dell’articolo, dopo aver evidenziato il significato dell’opera di Said, identifico alcune debolezze e limiti dell’approccio Saidiano quando argomenta che, così come il Vicino e il Medio Oriente anche altri paesi e regioni nel mondo hanno una sgradevole immagine in Occidente, a causa di una continua demonologia sia accademica che mediatica. Concentrandomi in particolare sulla copertura della stampa che hanno avuto ricevuto in Occidente, a partire dall’inizio del diciannovesimo secolo, i Balcani, ed in particolare sull’Albania.

Nella seconda parte del saggio, sostengo che l’Occidente ha tradizionalmente denigrato gli “altri” Europei tanto quanto i “non Europei”, in conseguenza di una frammentazione culturale, storica e politica del continente europeo: questa continua ad avere dei risvolti negativi per l’Albania, i paesi vicini e sul piano generale, per l’Unione Europea. Nella terza parte del saggio, analizzando il contenuto di diversi articoli apparsi nella stampa inglese tra il 2001 e il 2006, l’obiettivo dello studio è focalizzato sulla sconvolgente tendenza di denigrare , tendenza che rivela un approccio Euro-centrico e post- imperiale, presente tra i media Occidentali nei confronti degli europei “estraniati”, come gli albanesi.

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ii. Amplificando l’Oriente

Nell’introduzione del grandemente apprezzato libro del 1978, “Orientalismo”, Edward W. Said afferma che la vita di un Arabo-Palestinese in Occidente, specialmente in America, è sconfortante. Said era un campione devoto della causa palestinese ma la sua affermazione di cui sopra, così come il libro in questione, non era ispirata dal semplice patriottismo o nazionalismo. È un punto che lui ha potuto reiterare in maniera puntuale durante tutta la sua vita, specialmente nella prefazione dell’edizione del 2003:

«Voglio tutt’ora affermare che questo libro, e generalmente il mio lavoro intellettuale, sono stati resi possibili grazie alla mia vita da accademico universitario… Con tutti i suoi evidenti riferimenti terminologici [Orientalismo] rimane un libro sulla cultura, sulle idee, sulla storia e sul potere, piuttosto che sulle politiche medio-orientali tout court. Dall’inizio è stato questo il mio punto principale e rimane tuttora molto evidente e chiaro».

In questo libro, Said è certamente esonerato da ogni possibile accusa di patriottismo. Complessivamente, quel che lui sostiene in tale opera è principalmente come l’Oriente e gli orientali, specialmente gli arabi musulmani, sono stati, e ancora lo sono, mal rappresentati agli occhi del mondo occidentale a partire dai tempi della spedizione del 1798 di Napoleone in Egitto, fino ad oggi. Secondo le sue stesse parole:

«La rete fatta di razzismo, di stereotipi culturali, di imperialismo politico e di ideologie disumane che circonda una persona di provenienza araba o musulmana, è davvero molto forte. È proprio questa rete che sembra essere una punizione del destino per ogni Palestinese. Le cose per lui si sono complicate, quando ha sottolineato che nessuna persona accademicamente coinvolta nelle faccende del vicino Oriente e dunque, nessun “Orientalista” negli Stati Uniti si è mai identificato culturalmente e politicamente con gli Arabi. Certo, ci sono state identificazioni su vari livelli, ma non hanno mai assunto una forma “accettabile” quanto ad esempio, l’identificazione dei “Liberals” americani con il Sionismo. Ciascuna di queste forme di identificazione è stata danneggiata radicalmente perché associata alla religione oppure ad altri screditati interessi politici e/o economici (Compagnie petrolifere; Arabisti del Dipartimento di Stato, ad esempio).

La situazione difficile Saidiana è sentita in Occidente non solo dai Palestinesi o dagli Arabi (Musulmani o Cristiani). Questa rete di razzismo, stereotipi culturali, imperialismo politico e ideologie disumane limita la vita di un qualsiasi straniero in Occidente che provenga da altre razze “inferiori”.

La degradazione “dell’altro” europeo in Occidente non accade solo per scopi religiosi, Said spesso suggerisce nella sua opera. L’immagine negativa dell’Oriente in Occidente potrebbe avere qualcosa a che

I Media Occidentali e “l’altra” Europa – Amplificando l’Oriente Pagina 3 fare con l’Islam, eppure la fede Islamica è l’ultimo motivo per cui paesi orientali, specialmente il Medio Oriente, vengono spesso mal rispecchiati nella letteratura rivolta agli Occidentali.

Inoltre, contrariamente alla convinzione di Said, la denigrazione dell’Oriente da parte degli Occidentali iniziò effettivamente non all’inizio del diciannovesimo secolo, bensì nell’anno 32 a.C. quando Ottaviano Augusto si incoronò re di Egitto, esattamente un secolo dopo il 146 a.C., quando la caduta di Cartagine segnò l’ascesa di Roma in uno status di superpotere.

I Romani invidiarono il successo degli Egiziani durante i quasi 3500 anni di dominio del Faraone e per far tacere l’orgoglio di questi ultimi, furono brutalmente iconoclastici. Fu questo il periodo in cui per la prima volta l’Occidente iniziò i saccheggi e furti contro le culture e le civiltà “inferiori”. Con il pretesto dell’eresia, Roma sterminò tante popolazioni in Egitto e in tutto il Medio Oriente, compresi coloro che si erano convertiti al cristianesimo.

Con l’avvento dell’Islam nel settimo secolo d.C, i paesi occidentali europei, ormai convertiti al cristianesimo, usavano la religione come un pretesto per esercitare il loro potere sul Medio Oriente e sul mondo islamico in continua espansione.

Le crociate indicano chiaramente il grado in cui il devoto Occidente era pronto a usare la religione per giustificarsi dei saccheggiamenti e delle rapine nell’Oriente “infedele”. Anche il Portogallo e la Spagna fecero uso della religione per colonizzare i pagani in entrambi gli emisferi. Il cristianesimo offrì una cortina di fumo anche a poteri Europei come la Gran Bretagna, la Francia, Danimarca, Olanda, Belgio e Germania perché potessero legittimare la loro politica coloniale e convincere l’opinione pubblica del “peso portato dall’uomo bianco per civilizzare i ‘barbari’- come dice Rudyard Kipling in una sua sconosciuta frase.

Se l’Islam è l’unico motivo per cui l’Occidente si trova ad essere contro l’Oriente, allora ci si potrebbe aspettare un’attitudine amichevole da parte dei poteri Europei nei confronti di ogni paese cristiano che geograficamente non sia collocato in Occidente. Ma questo caso non c’è mai stato. I portoghesi, gi spagnoli, gli olandesi e i danesi ad esempio, durante gli ultimi cinque secoli si sono comportati crudelmente sia nei confronti dei convertiti al cristianesimo del lontano Oriente e dell’Asia Sud Orientale, che nei confronti di coloro che rifiutarono di accettare la religione degli Europei.

Possiamo dire lo stesso circa il modo in cui i colonizzatori dell’Europa occidentale trattavano i latino americani. Nonostante il fatto che tutti i paesi di questa regione adottarono la fede degli invasori, difficilmente furono trattati con clemenza. E nemmeno la loro immagine poté migliorare negli occhi dei padroni europei durante tutto il periodo di colonizzazione. Ancora oggi, in occidente, l’immagine di paesi come il Peru, il Brasile, l’Argentina e la Colombia è simile alla loro immagine di colonie. Sono paesi che in occidente sono geograficamente muti. La loro immagine in occidente non è diversa da quella di un qualsiasi altro paese orientale.

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Oggi i paesi non occidentali vengono criticati in gran parte dai media. Facendo riferimento all’impatto negativo di tale rappresentazione dell’Est e specialmente del vicino oriente sull’immagine delle persone provenienti da tali paesi e culture, Said nota:

«La televisione, i film e tutte le altre risorse dei media hanno forzato una generalizzazione informativa. Finché si tratta dell’oriente, la generalizzazione e gli stereotipi culturali hanno intensificato l’immagine di un “oriente misterioso” trasmessa dalla demonologia accademica e immaginativa del diciannovesimo secolo»

.

La televisione, i film e tutte le altre risorse dei media hanno avuto lo stesso impatto negativo anche su altri paesi non occidentali come i latino americani, i quali vengono altrettanto pregiudicati dagli occidentali tanto quanto gli orientali. Riferendosi alla costante copertura negativa che i media dedicano a tali paesi, Richard S. Hillman sottolinea che:

«attitudini, valori, credenze riguardanti il comportamento politico, lavorativo e la vita in generale rimangono ampiamente fraintesi da molti. I media hanno messo in primo piano problemi come la corruzione politica e l’instabilità; i traffici di narcotici e i problemi di immigrazione; oscurando così i tentativi di promuovere la democrazia, il commercio, lo sviluppo, il turismo e la collaborazione tra i paesi».

Nella sua “discussione” con l’occidente, Edward Said sembra trascurare l’importante fatto che i poteri Europei hanno una lunga tradizione nel denigrare regioni e paesi i quali sono geograficamente, storicamente e politicamente parlando, parte dell’Europa. Una di queste regioni sono i Balcani, uno di questi paesi è l’Albania.

Pubblicato su Albania News il 16 Dicembre 2011

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iii) Pregiudizio Razziale nei confronti dei Balcani

Nel pensiero occidentale i Balcani sono sempre stati visti come “la brutta appendice” dell’Europa, una regione dove le tensioni etniche e i conflitti sono endemici.

Negli ultimi duecento anni, diversi leader europei hanno spesso espresso la loro cattiva opinione riguardo la penisola balcanica. Negli anni a partire dal 1820, ad esempio, il Cancelliere, tedesco di nascita, dell’Impero Austro-Ungarico, il Principe Klemens von Metternich, conosciuto come “il vetturino dell’Europa”, mise in chiaro il fatto che per quanto lo riguardava, i Balcani non facevano parte dell’Europa. Citando le sue parole: “L’Asia inizia dalla Landstrasse”, la strada che iniziava da Vienna con direzione verso il Sud Est e verso l’Ungheria.

Alla fine del diciannovesimo secolo, “Il Cancelliere di Ferro”, Otto von Bismarck, uno dei fondatori dell’Impero tedesco, sosteneva che i Balcani non valevano nemmeno le ossa di un solo granatiere della Pomerania.

Ugualmente, diversi leader Europei si sono espressi in maniera dispregiativa nei confronti dei Balcani e degli altri paesi centro europei. Bismarck, ad esempio, non ebbe alcun scrupolo nel dire che l’Albania era soltanto un’espressione geografica: non esiste una nazione Albanese”

L’Arciduca Franz Ferdinand considerava l’arrivo degli ungheresi in Europa come “un atto di cattivo gusto”.

Generalmente gli Europei dei paesi occidentali non considerano europei le popolazioni che vivono nei Balcani europei. Nonostante il loro contributo al “ generale progresso della civilizzazione europea”, questi europei “esterni” continuano ad avere un’immagine negativa in Occidente. Ci sono vari motivi per questo: geografici, etnici, religiosi, economici e politici.

Il dominio dell’Europa occidentale e la sua negativa opinione dei Balcani, hanno la loro origine al tempo dell’Impero Romano. La vittoria di Roma contro Gent, l’ultimo re illirico, nel 169 a.C., segnò l’inizio della colonizzazione dei Balcani. Dall’annessione dell’Illiria da parte dei Romani, a prescindere da alcuni periodi di auto-governo, gli Albanesi hanno sempre vissuto sotto una costante occupazione.

L’arrivo di massa degli Slavi nei Balcani a partire dal quinto secolo d.C. in poi, significò che la regione diventò uno spazio conteso dove nazioni-tribù combattevano continuamente per il territorio. I conflitti nei

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Balcani, a partire dagli inizi della migrazione slava, hanno da sempre riguardato, e tutt’ora riguardano, l’estensione del territorio, la colonizzazione, il consolidamento e la protezione dei confini etnici.

Questo continuo conflitto etnico determinava agli occhi degli occidentali un’immagine affatto simpatica dei Balcani. I conflitti tra i diversi e i simili gruppi etnici nei Balcani, hanno fatto sì che gli abitanti di tali regioni fossero facili bersagli per i forti poteri coloniali, sia dell’occidente che dell’oriente. È stato questo in particolare il caso degli Ottomani, nel quattordicesimo secolo, quando la loro avanzata nella penisola balcanica fu facilitata dalla mancanza di unità tra i principi dei diversi gruppi etnici.

Nonostante i valorosi tentativi di unirsi contro il comune nemico, inizialmente nel 1389 e poi negli anni tra il 1443 e il 1468, i leaders delle nazioni balcaniche erano troppo divisi per formare un fronte comune contro i turchi. Il vecchio motto romano divide et impera è stato abilmente usato dai turchi durante tutta la loro lunga permanenza nei Balcani. L’impero Austro-Ungarico era ugualmente desideroso di approfittare delle forti rivalità tra i paesi balcanici.

I popoli balcanici hanno anche sofferto a causa di vari scismi che – a partire dal quarto secolo d.C. – hanno caratterizzato il cristianesimo e delle decisioni di carattere religioso che sono state prese in particolari momenti della loro storia.

Nel caso degli Albanesi, un considerevole numero si convertì all’Islam dopo la morte del loro eroe nazionale Skanderbeg nel 1468. Una conversione resa possibile parte per coercizione, parte per corruzione e parte per convenienza dei locali governanti, che intendevano conservare il loro potere: questo ebbe un impatto pregiudizievole per l’immagine degli Albanesi in Occidente.

Le potenze europee hanno considerato l’Albania come una colonia turca per circa cinque secoli, soprattutto perché ritenevano erroneamente – ed ancora oggi lo credono – che tutti gli Albanesi siano musulmani.

L’Occidente ritiene l’Albania come un paese musulmano, e questa percezione è stata ancora più rafforzata sin dalla fine del diciannovesimo secolo da una forte propaganda serba, che descriveva gli Albanesi come dei “aderenti fanatici” alla fede islamica e, quindi, in quanto tali, come “non europei”.

Alcuni documenti recentemente resi pubblici dal Governo degli Stati Uniti d’America rivelano che, durante la Guerra Fredda, sia l’Occidente che l’Unione Sovietica si riferivano all’Albania come un “un paese musulmano”, malgrado la posizione atea assunta dal governo comunista nel 1967.

A seguito della disintegrazione dell’Impero Ottomano agli inizi del ventesimo secolo le potenze europee non esitarono ad intervenire nei Balcani per i loro propri interessi. La decisione di spezzettare i Balcani, e

I Media Occidentali e “l’altra” Europa – Amplificando l’Oriente Pagina 7 specialmente l’Albania nel 1913, rimane tuttora uno sfacciato atto di prepotenza internazionale avviato dai potenti stati europei a spese di una delle nazioni più antiche d’Europa.

La smembrata nazione albanese è un costante ricordo della ferita provocata nel cuore del continente europeo, che difficilmente scomparirà completamente, a meno che gli odierni leaders occidentali non ammettano gli orribili calcoli errati dei loro predecessori colonialisti, per i quali l’integrità territoriale e la sovranità di alcune piccole nazioni non è mai esistita.

L’influenza delle potenze occidentali diminuì considerevolmente durante la Seconda Guerra mondiale e specialmente durante la Guerra Fredda. Eccetto la fortunata situazione della Grecia, grazie al supporto finanziario degli Stati Uniti nel 1947, che successivamente fu essenziale per l’integrazione della Grecia nella Comunità Europea, tutti i paesi dell’area balcanica adottarono il sistema comunista.

La Guerra Fredda fu essenzialmente un inconciliabile conflitto ideologico, nel quale le differenze tra l’Ovest e l’Est erano viste come una manifestazione della battaglia tra il “buono” e il “cattivo”. Nella forte sfida tra due sistemi sociali opposti – il capitalismo ed il comunismo – l’immagine dei Balcani ne soffrì ulteriormente.

La fine della Guerra Fredda nel 1989 riportò fece affiorare di nuovo la vecchia questione sull’”Essere europei” o “Non essere Europei” dei Balcani. Fu solo allora che i Balcani, dopo vari decenni di propaganda comunista e di isolamento, riuscirono a vedere la loro immagine negativa in Occidente, immagine resa ancor più negativa dopo la violenta disgregazione della Jugoslavia negli anni ’90.

Per quanto riguarda l’Albania,la sua immagine fu grandemente danneggiata dall’esodo nei primi anni ‘90 verso l’Italia ed altri paesi occidentali di numerosi Albanesi impoveriti dagli anni del regime, e dalle turbolenze civili a causa dei dolosi schemi piramidali del 1997.

Pubblicato su Albania News il 23 Dicembre 2011

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iv) Crisi di Identità

Dopo il collasso del comunismo e la violenta frammentazione della Jugoslavia, ogni nazione balcanica era intenzionata a entrare nell’Unione Europea. Fino ad ora, solo la Slovenia nel 2004, la Romania e la Bulgaria nel 2007 sono riuscite a far parte di questo gruppo in continuo incremento. Alcuni dei paesi balcanici che ancora attendono il loro ingresso nell’Unione Europea ritengono che questo ritardo sia causato dalla loro immagine negativa in Occidente. Ecco perché questi speranzosi candidati sono così desiderosi di distaccarsi dai Balcani.

La tendenza di presentare se stessi come “non-balcanici” è particolarmente forte nei paesi membri dell’UE – la Grecia e la Slovenia – ed anche in quelli le cui speranze sono state frustrate come la Croazia: molti Croati si sentono offesi se gli stranieri considerano la loro nazione come parte dei Balcani.

L’avversione dei Croati nei confronti dei Balcani sembra essere aumentata in conseguenza di un consiglio a loro rivolto da parte dei fautori dell’ingresso nell’ Occidente. Uno di questi è in Gran Bretagna Brian Gallagher, il quale ha ripetutamente consigliato ai Croati di distaccarsi dai Balcani.

Nel suo articolo “Aderirà la Croazia ad una NATO Balcanica?” pubblicato su Hrvatski Vjesnik il 26 Luglio 2002, Gallagher elogia gli Sloveni per la loro capacità nel distaccarsi dal “problema regione”. Secondo le sue parole, “semplicemente dicendo di ‘no’, la Slovenia ha evitato tutte le assurdità della regione ed è sfuggita all’immagine balcanica.”.

Attraverso la sua percezione di un’agenda “nascosta” della NATO per creare quello che lui chiama una “NATO Balcanica Occidentale”, Gallagher conclude affermando che la NATO considera la Croazia come parte dei Balcani, cosa che ne può compromettere l’immagine. Argomentando il fatto che la Croazia e la Serbia non sono due paesi dalla simile mentalità, Gallagher rimprovera il governo croato per la sua ingenuità:

«Perchè la Croazia è legata a questi problemi tra paesi? È Zagabria inconsapevole della pessima immagine che questi paesi hanno nell’Unione Europea? I media inglesi, spesso istericamente, continuano a trasmettere storie di delinquenti albanesi in Gran Bretagna. Il generale Sylvester, Comandante della NATO in Bosnia-Erzegovina, parlando del terrorismo ha definito nella rivista TIME“ permeabile” il confine BiH. Un’immagine del genere significa che la Croazia non farà mai parte né della NATO né dell’UE su base individuale. Ma finirà sicuramente in qualche struttura “Balcanica Occidentale”.

L’Unione Europea mette le cose in chiaro nel suo sito internet. L’UE “incoraggia i paesi della regione di comportarsi bene l’uno con l’altro e collaborare in maniera paragonabile a quella dei paesi della Comunità”.

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Una “Unione Balcanica Europea”, in altre parole. E questo non farà altro che impoverire economicamente la Croazia. Molti investitori porteranno i loro capitali in altri paesi più “sicuri”, non legati a fragili economie come la Serbia.

E se ci sono conflitti in Serbia o altrove, il turismo ne potrebbe soffrire. La Croazia si deve allontanare da questa sorta di Unione Balcanica Europea, invece che immergersi a capofitto in essa».

Gallagher fa bene ad incoraggiare i Croati riguardo la «sconcertante immagine» di tutti i paesi balcanici in occidente, ma lo stesso sembra avere una idea limitata riguardo le origini di tale immagine.

Mentre i turbolenti anni ’90 difficilmente hanno fatto sì che gli occidentali si affezionassero ai balcanici, la loro immagine come “incivili” è rimasta impressa in occidente da almeno due secoli.

Pubblicato su Albania News il 30 Dicembre 2011

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v) L’Archivio Esotico

A partire dal diciannovesimo secolo, l’Occidente conosceva i Balcani principalmente attraverso gli scritti di viaggiatori occidentali, diplomatici ed esperti militari residenti nella regione. Ci sono stati anche casi in cui scrittori occidentali hanno scritto sui Balcani senza mai averci mai messo piede, costruendo così quello che K. E. Fleming chiama “i finti mondi balcanici”.

Nel ventesimo secolo questi mondi “finti” sono stati pubblicati nelle opere di Georges Remi (conosciuto come Hergé), Agatha Christie e infine nei recenti romanzi di J. K. Rowling. Nelle prime due opere gli scrittori usavano nomi finti per i loro paesi Balcanici (‘Syldavia’ e ‘Borduria’ in Sceptre d’Ottokar/ King Octobar’s Sceptre: Tintin visits an Exotic Country pubblicato nel 1939) di Hergè e ‘Herzoslovakia’ nel libro di Christie The Secret of Chimneys pubblicato nel 1925; Rowling non ha alcun scrupolo nel menzionare l’Albania nel suo Harry Potter e la camera dei segreti (pubblicato nel 1998) e in Harry Potter e il calice di fuoco (pubblicato nel 2000) come un paese dove il “malefico scuro Lord” e i suoi fedeli seguaci trovano un perfetto nascondiglio.

Mentre l’Occidente ha un archivio abbastanza vasto di opere letterarie nelle quali i Balcani e l’Albania sono rappresentati principalmente come “incivili”, ad eccezione degli ultimi decenni, negli ultimi tre secoli gli studiosi occidentali hanno difficilmente considerato l’Albania, e le altre nazioni della penisola balcanica, meritevoli di ricerche accademiche.

Così come K. E. Fleming nota nel suo articolo pubblicato nel 2000 “Orientalismo, i Balcani e la storiografia Balcanica”, non esiste alcuna storia del ‘Balkanismo’ come materia universitaria.

Nella stesso saggio, Fleming sostiene che, diversamente da Orientalismo, gli studi sui Balcani sono quasi sempre stati di “pseudo accademici”. Possono essere considerati un lavoro autonomo di “specialisti” che, nel caso di eventi come la disgregazione della Yugoslavia, si sono interessati alla vicenda perché tali conflitti contemporanei la rendono “attuale”.

Io stesso ho scritto da qualche parte che, nel caso dell’Albania, alcuni di questi “creatori” di immagine occidentali si trovano per caso a parlarne e non come risultato di lunghe ricerche sul popolo che compone tale nazione, sulla sua cultura e sulla sua storia.

In molti casi, questi “specialisti” dell’occidente dovettero vivere all’estero per evitare la “cattiva” pubblicità nel loro paese, come fu il caso di Lord Byron, oppure per consiglio medico, come nel caso di Edith Durham.

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L’Albania ha offerto a viaggiatori del diciottesimo, diciannovesimo e ventesimo secolo come Byron, Durham, Roland Matthews, Karl May, Franz Nopcsa, militari inglesi che operavano in Albania ed anche in altri paesi balcanici durante la II Guerra Mondiale e più recentemente, Paul Theroux, Robert Carver, Marianne Graf, A.A. Gill e Mike Carter loro un’opportunità di incontrare l’esotico, il primitivo ed anche l’incivile alla soglia dell’Europa Occidentale.

Non è una coincidenza che per la maggior parte di questi ‘esperti’, quel che più è di particolare interesse non è l’Albania civile, ma la sua parte più arretrata. Non le fiorenti città e paesi con un ricco patrimonio culturale, storico, civile e naturale come Tirana, Scutari, Korça e Vlora, bensì alcuni villaggi distanti e meno sviluppati, specialmente dell’Albania del Nord.

Seguendo l’esempio di Durham e Nopcsa all’inizio del ventesimo secolo, scrittori contemporanei come Carver e Graf concentrano quasi esclusivamente la loro attenzione su questa regione dell’Albania per raccontare così ai lettori occidentali le loro sensazionali scoperte su una vita retrò basta su primitivi costumi. Alcuni dei temi preferiti di questi cacciatori dell’ esotico sono la (in albanese “parola d’onore”), il Kanun di Leke Dukagjin, le vendette di sangue e le promesse vergini. Argomenti del genere hanno la priorità in opere biografiche di personalità albanesi, come la Geraldina degli Albanesi: la biografia autorizzata (1987) di Gwen Robyns; e in alcuni scritti su Madre Teresa da studiosi come Eileen Egan e Kathryn Spink.

Il romanziere americano Paul Theroux una volta disse che scrivere libri di viaggio è un’attività innocua. Questo è vero quando si tratta degli autori di questo genere letterario e i lettori ai quali si rivolgono: dopo tutto, la maggior parte degli autori di libri di viaggio pubblicati in occidente sono occidentali!

Finché queste opere di viaggio sono scritte in Occidente e pubblicate appositamente per i lettori occidentali, allora è vero che tale attività, la scrittura di viaggio, è innocua.

Ora l’Occidente possiede ora un ampio archivio di opere sull’Albania grazie ad opere di autori che hanno visitato l’Albania ; o che, pur non avendo mai messo piede nel paese, hanno descritto un viaggio virtuale nel luogo ‘esotico’, come fu per lo scrittore tedesco Karl May e più recentemente nel libro della scrittrice spagnola Susana Fortes El Amante Albanés (L’Amante Albanese, 2003).

E proprio questo “archivio esotico” è responsabile dell’immagine prevalentemente negativa che questo paese ha attualmente agli occhi del mondo occidentale.

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L’immagine dell’Albania come ‘primitiva’, ‘incivile’, ‘pericolosa’ ma pur sempre divertente da visitare, prevale al giorno d’oggi nonostante il fatto che questo angolo dei Balcani non è più ormai un paese isolato dal resto del mondo.

È il risultato di una tendenza di descrivere questo posto solamente in bianco e nero. Così l’Occidente ignora ogni aspetto positivo dell’Albania nel passato, e soprattutto dopo il crollo del regime comunista nel 1991. Qualsiasi cosa riportata sull’Albania, perfino una partita di calcio, deve essere messa sul piano politico proprio per enfatizzare l’arretratezza del paese.

Nel suo articolo alquanto confuso ‘Erba buona e giustizia privata’, che fu pubblicato nel ‘The Observer’ il 25 marzo del 2001, Simon Kuper coinvolge il lettore in un racconto che ha a che fare più con la ‘primitività’ del paese ospite, la corruzione, i carri trainati da asini che le persone presumibilmente usano per viaggiare fino a Tirana per vedere le partite internazionali e gli omicidi commissionati, che con l’incontro calcistico tra l’Albania e l’Inghilterra.

Riferendosi ad una foto scattata alla squadra inglese prima del calcio di inizio partita, sempre nel 1989, Kuper non può contenere il suo stupore quando nota che nella foto ‘Bryan Robson, Peter Shilton, John Barnes e Gary Lineker sembrano non avere alcuna idea di trovarsi nello stato più strano d’Europa!’. La squadra inglese, a quanto pare, aveva deluso sia Kuper che il pubblico inglese per il loro aspetto ‘normale’ pur trovandosi in un paese così ‘anormale’ e circondata da tifosi ‘anormali’.

Questo tipo di letteratura così spregiudicata, sensazionalistica ed esotica sull’Albania, così come gli spazi dedicati dai media a titoli scandalistici sono entrati a far parte della ‘norma’, in Occidente e particolarmente in Inghilterra.

Gli articoli citati in questo capitolo sono stati pubblicati in giornali e riviste inglesi dal 2001 e fino al 2006. La motivazione di questa selezione è legata al fatto che durante quegli anni l’Albania ha avuto una stabilità politica e che la legge e l’ordine sono stati rispettati nel paese.

Molti albanesi hanno potuto constatare una crescita dei loro risparmi e un significativo miglioramento del loro standard di vita. Grazie alle maggiori opportunità di lavoro e ai salari più alti, gli Albanesi andati in vacanza nel 2004 hanno speso 560 milioni di dollari.

Tutti gli indicatori economici dimostrano il duro lavoro del Governo albanese per seguire le indicazioni dell’Unione Europea su varie materie, come la politica monetaria e la gestione dell’economia.

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L’Albania ha un ruolo positivo per quanto riguarda la collaborazione tra gli Stati Balcanici. Recentemente il Consiglio Balcanico dei Ministri della Cultura, fondato a Copenhagen il 31 marzo del 2005, è stato ideato di un Ministro albanese. Il Governo albanese ha dato inizio anche ad altri progetti per incoraggiare gli scambi interculturali e migliorare i rapporti commerciali con ogni paese balcanico.

I traguardi dell’Albania sono stati fatti rilevare da alcuni studiosi occidentali. Secondo le parole di James Pettifer e Miranda Vickers:

L’Albania ha subito una notevole e senza precedenti trasformazione politica, sociale ed economica da quando nel 1991 è emersa dalle macerie della più dura forma di comunismo mai esistita. All’epoca, un’intera popolazione colpita dalla povertà dipendeva completamente dagli aiuti alimentari provenienti dall’estero e il paese era in uno stato avanzato di disintegrazione. Nonostante ciò, entro un anno, l’isolamento internazionale dello stato albanese ebbe termine, così che le maggiori potenze occidentali si affrettarono a stabilire delle relazioni diplomatiche con questo impoverito, ma strategicamente importante stato balcanico.

Nonostante le acute agitazioni politiche interne durante la seconda metà degli anni ‘90, l’Albania gradualmente riuscì a diventare un rispettato partner dell’occidente. Durante la crisi del Kosovo [nel 1999] il paese ha dato prova di essere un valoroso alleato della NATO. Conseguentemente agli attacchi dell’11 settembre negli Stati Uniti, l’Albania si è risolutamente unita alla ‘Guerra al Terrore’, monitorando con fermezza le azioni di individui e gruppi islamici nel paese. L’Albania ha inoltre contribuito con suoi militari alle coalizioni guidate dagli Stati Uniti, nelle guerre in Afghanistan e Iraq.

Nonostante questi positivi sviluppi l’Albania, così come altri paesi dei Balcani, continua ad apparire nelle prime pagine dei giornali occidentali, e specialmente nei media britannici, per motivi negativi. La conclusione di Richard Hillman, prima menzionato in questo articolo, che i media si occupano di argomenti sensazionalisti, come la corruzione e l’instabilità politica; il traffico di narcotici e i problemi della immigrazione e che trascurano tutti i tentativi di promuovere la democrazia, il commercio e lo sviluppo; il turismo e la cooperazione regionale: questo è valido non solo per l’America Latina ma anche per l’Albania ed altri stati dei Balcani!

Per molti giornalisti inglesi che si occupano dell’Albania, la sua identità e la sua immagine sono ormai irrevocabili ed immodificabili. L’Albania era e rimarrà ‘il paese più povero e più isolato d’Europa’.

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Ecco alcuni dei titoli che riguardano il paese, pubblicati recentemente nei principali giornali inglesi come The Times, The Sunday Times Magazine, The Indipendent, The Observer and The Guardian: ‘La selvaggia frontiera’; ‘Roccie e luoghi difficili’; ‘Le strade inglesi sotto il controllo di bande albanesi’; ‘Criminali balcanici organizzati meglio di noi: Blunkett’; ‘Baraccopoli in Albania costruita su una tossica bomba a orologeria’; ‘Si ritorna a casa: un figlio su sei venduto ai trafficanti’; ‘Le strade della disperazione’; ‘Benvenuti a Tirana, la capitale europea dell’inquinamento’; ‘Guerra partigiana nella baia del paradiso in Albania’; ‘L’Europa segreta’; ‘La terra dimenticata dal tempo’ e ‘Viaggi durante una crisi di mezza età’.

Non c’è da sorprendersi che titoli del genere invitano gli inglesi a riflettere bene prima di decidere di fare un viaggio in Albania. Questo implicito consiglio, molto enfatizzato dai reporter inglesi, arriva principalmente dal Ministero degli Affari Esteri.

È così che Esther Addley inizia il suo articolo ‘Benvenuti a campo Tirana’, pubblicato nel The Guardian dell’11 marzo 2003:

Pianificate un viaggio in Albania? Se sì, il Ministero degli Esteri ha alcuni avvertimenti da darvi. «La sicurezza pubblica è migliorata molto in Albania… ma la violenza e il crimine rappresentano ancora un serio problema in alcune aree’», si legge nel sito web del Ministero. «Bevete solo acqua imbottigliata e latte UHT. Le attrezzature mediche (in caso di incidenti o emergenze) sono molto scarse. Non raccomandiamo l’utilizzo delle strutture dentistiche».

Si avvisa in particolare di stare attenti all’epatite, alla rabbia (dato il gran numero di cani randagi) e all’encefalite di zecca («Consigliamo ai viaggiatori di tenere coperte le aree del corpo quando si trovano vicino agli arbusti e di autoispezionarsi regolarmente per qualche segno di zecca»). In effetti, conclude, meglio salvi che ammalati: assicuratevi che la vostra assicurazione medica copra l’evacuazione tramite elicottero, giusto in caso dovesse accadere il peggio.

Il sito del Ministero degli Affari Esteri è anche segnalato in numerosi altri articoli di giornali inglesi sull’Albania.

Nel suo pezzo ‘Vorrei tu fossi quì’, che è stato pubblicato nel The Guardian dell’11 agosto 2003, ad esempio, Tim Dowling sottolinea che il Ministero degli Esteri attira l’attenzione sulla « ampia diffusione di armi da fuoco» e sconsiglia fortemente i viaggi al nord-est del paese.

L’informazione procurata a Dowling da un’altra fonte sull’Albania, difficilmente risulta essere più incoraggiante della prima:

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Il sito web di The Lonely Planet mette in guardia i turisti su «rapine a mano armata, violenze, assassini da malfattori, e furti di automobili »; invita i visitatori ad «evitare gli affollati raduni di persone» e dice che è sconsigliato viaggiare al di fuori delle grandi città o in qualsiasi luogo durante la notte. Questo paragrafo pieno di ipotesi sconvolgenti manca nell’ultima edizione della guida sull’Europa Orientale (sic), ma il libro insinua che «poliziotti corrotti potrebbero estorcervi dei soldi» e la parola ‘banditismo’ è usata incidentalmente.

L’Albania non appare meglio di così in nessun’altra guida di viaggio online ed alcune semplicemente ignorano totalmente il paese.

Il 13 luglio 2003, Andrew Muller scrive nel The Indipendent on Sunday che l’Albania non è citata nella Guida Approssimativa dell’Europa Orientale attualmente in commercio e anche la guida L’Europa Centrale ed Orientale di Fodor non la menziona.

La mancanza di informazione sull’Albania e il pessimo quadro descritto da siti come The Home Office oppure The Lonely Planet distolgono i turisti dal visitare il paese.

Non c’è stupirsi se sono in molti in Occidente a condividere l’opinione di Muller quando afferma che «andare in Albania è come saltare sulla coda di un leopardo che dorme: nessuno lo farebbe».

Non sono rari i casi in cui i reporter britannici riferiscono ed accettano senza critiche le poche informazioni sui viaggi in Albania e si basano su quelle informazioni per elaborare i loro articoli.

In tali articoli si fa riferimento, spesso senza alcuna coerenza, ad alcune ‘bizzarre’ e ‘primitive’ abitudini o tradizioni degli albanesi. Elementi che gli autori si procurano sulla base di informazioni fornite da quell’archivio ‘esotico’ sull’Albania prima citato.

Non sono rari i casi in cui i giornalisti inglesi scrivono come se niente fosse, articoli sull’Albania senza aver consultato nemmeno un libro erudito sulla storia del paese.

In realtà, nessuno di loro ha un corredo informativo sufficiente per poter fare valutazioni accurate sulla situazione in Albania o nei Balcani. I giornalisti inglesi che coprono di regola la regione sono spesso incaricati di scrivere occasionalmente un articolo, ma nessuno di loro ha mai studiato in una Università nei

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Balcani, nessuno di loro parla una lingua balcanica e forse, quel che conta di più, è che spesso scrive di quel paese o di quella regione senza mai averci messo piede personalmente.

Tutto questo, mi ricorda l’ex ministro inglese per l’Europa, Keith Vaz, che era anche responsabile per i Balcani.

Poco dopo la caduta di Slobodan Milosevic, ho partecipato ad una riunione con il Ministro Vaz a Birmingham, nel corso della quale gli domandai perché il governo inglese proclamava come un grande successo la mal concepita rivoluzione serba nell’ottobre del 2000, considerando che Vojislav Kostunica, che succedeva a Milosevic come presidente della Yugoslavia, era e rimane tanto ultra-nazionalista quanto il suo predecessore sulla questione sull’indipendenza del territorio albanese del Kosovo.

A questa domanda, il Ministro replicò: ‘La regione balcanica, come Lei sa, è una regione molto difficile’. Quando Vaz si dimise a fine del 2001, è risultato che durante i suoi quattro anni in qualità di Ministro responsabile per i Balcani, non aveva mai visitato la regione.

È poco opportuno che alcuni giornalisti inglesi, che riportano le notizie del mondo al pubblico inglese, pensino che loro possano offrire un quadro realistico ed imparziale di un paese come l’Albania basandosi esclusivamente su obsolete informazioni derivanti da uffici governativi, guide di viaggio e scrittori di viaggi scandalistici e pieni di pregiudizi.

Questo tipo di reportage a distanza, così come nel caso di Esther Addley e del suo frettoloso articolo ‘Benvenuti al campo militare Tirana’ sono di gran lunga responsabili per la perenne misera immagine riservata all’Albania dai media britannici.

L’immagine dell’Albania non migliora certamente anche in articoli scritti da scrittori che sono così coraggiosi da raccogliere la sfida di intraprendere un viaggio in questo ‘pericoloso’ paese.

La reputazione dell’Albania come paese ‘insicuro’ spesso raggiunge livelli maniacali nel Regno Unito.

‘Quando dissi ai miei amici – educati, di larghe vedute e cittadini del mondo – che sarei andato a visitare l’Albania’, Andrew Muller scrive nell’ articolo precedentemente citato, ‘le loro risposte iniziali erano istruttive: “Baghdad non era abbastanza pericolosa?”; “Posso disporre del tuo appartamento nel frattempo?”; “Portami un, em… cavolo?”.

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I servizi che la maggior parte dei giornalisti inglesi inviano da Tirana o da altre zone dell’Albania non fanno altro che confermare la cattiva immagine che questo paese e la sua popolazione hanno in Gran Bretagna. Tim Dowling ha ragione quando conclude che quasi ogni informazione da lui consultata prima di partire per l’Albania nell’agosto del 2003, sembra avere lo scopo di inculcare paura.

Mentre tanti reporter inglesi possono essere ‘scusati’ per non aver scritto nel migliore dei modi le descrizioni del paese dai loro uffici di Londra, Dowling scelse, dopo la sua visita in Albania, di dipingere un quadro molto cupo della situazione.

L’articolo ‘Vorrei tu fossi qui’ fa trasparire in vari passaggi la mancanza di oggettività di Dowling e la sua scarsa conoscenza del paese.

‘In Albania,’ egli scrive ‘ammirano Norman Wisdom come se fosse un’icona culturale’. Wisdom considerato un mito dagli albanesi da quando l’attore visitò il paese dopo la caduta del comunismo è sottolineato da quasi tutti i reporters inglesi sull’Albania.

Trovo abbastanza ragionevole dunque che presunte forme maniacali come questa non sarebbero di sicuro sfuggite all’attenzione di qualcuno come Dowling, il quale è senza dubbio molto abile a riconoscere le eccentricità culturali di un paese, siano queste reali o inventate!

Quello che Dowling ha ancora da apprendere è che in Albania, ogni straniero di qualunque professione, è accolto col tappeto rosso. Vengono accolti con questo stesso spirito anche stranieri che nei loro paesi sono probabilmente persone comuni.

In quanto reporter con un mandato, non è sorprendente che Dowling evidenzi altre strane abitudini degli albanesi come la loro abitudine di muovere la testa in modo particolare per dire sì e dire no’.

L’osservazione che più apprezzo nel suo articolo è quella che testimonia la sua esperienza di linguista par excellence.

Gli Albanesi, egli scrive, ‘parlano due lingue, il Tosco e il Ghego’. Questa informazione potrebbe dare ai lettori occidentali l’idea sbagliata che questi non sono due dialetti della stessa lingua madre, ma piuttosto due lingue del tutto differenti.

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Dowling è un tipico giornalista che vuole sbalordire e che va all’estero non per parlare della vita reale delle persone con problemi reali, aspirazioni reali e traguardi reali, ma solo per cercare lacune, macerie, bunker, vetri rotti, ferri attorcigliati e specialmente gente che ‘porta fuori le mucche come se fossero cani’.

Forse perché non confidava sufficientemente nella sua abilità di riportare il lato ‘squallido’ dell’Albania con assoluta accuratezza e autenticità, oppure perché sentiva che le parole non sarebbero state abbastanza da convincere il lettore inglese di quanto sia ‘disastrato’ questo angolo dei Balcani, Dowling si è servito della capacità artistica del fotografo Dan Chung del giornale The Guardian, per documentare la sua storica visita.

L’articolo è accompagnato da tre fotografie. Nella prima, Dowling è seduto da qualche parte sulla costa adriatica di Durazzo, con un sorriso compiaciuto stampato in viso, di fronte a un bunker di cemento armato, una mucca e molta immondizia sparsa intorno.

La foto, dalle dimensioni di un poster, occupa tutta la prima pagina del The Guardian ed ha come titolo: ‘La mia vacanza in Albania’.

La seconda foto, questa in bianco e nero, mostra Dowling all’entrata di un altro bunker.

Nell’ultima foto, che occupa più della metà della terza pagina, Dowling siede con un’aria ancora compiaciuta in riva al mare circondato principalmente da macerie, pietre coperte da muschio e, ovviamente, altra immondizia. Questa volta il titolo recita: ‘Molto spazio accanto al mare: la spiaggia a Durazzo è costituita quasi solamente da polvere, macerie, vetri rotti e ferri contorti”.

A questo punto, un qualsiasi lettore inglese che avesse pensato di andare in Albania per un po’ di sole, mare e sabbia avrebbe decisamente scartato l’idea a causa dell’articolo di Dowling e delle foto pubblicate, specialmente dell’ultima.

Per l’ignaro lettore inglese, gli edifici mostrati nello sfondo della terza foto sembrano non avere alcun lungomare che valga la pena visitare, e tanto meno attrezzature per bagni di sole o per nuotare.

Così come altri luoghi turistici in Albania, Durazzo è stata danneggiata a causa dell’ inquinamento e di un rapido incremento di costruzioni, spesso abusive.

Il pessimo ritratto con il quale Dowling e il suo fotografo descrivono Durazzo, tuttavia, non rappresenta minimamente il suo lungomare e le chilometriche spiagge dorate che si estendono lungo la costa.

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È chiaro che il giornalista e il fotografo del The Guardian non sono andati in Albania per scoprirla da se stessi, bensì per andare a caccia di immagini che si sarebbero perfettamente adeguate a quanto avevano sentito dire sul paese, prima di arrivarvi.

Nella loro missione giornalistica con lo scopo di documentare solo lo squallore dei paesi non occidentali, i reporter come Dowling trovano spesso dei volenterosi aiutanti tra gli abitanti, che – sia per la loro ingenuità, sia in ragione dei loro patologici complessi di inferiorità nei confronti di un qualsiasi visitatore che giunga dall’Occidente, oppure a causa della loro giustificata frustrazione per via della incontrollata corruzione – raccontano ai giornalisti occidentali proprio quello che questi desiderano ascoltare.

Pubblicato su Albania News il 6 Gennaio 2012

I Media Occidentali e “l’altra” Europa – Amplificando l’Oriente Pagina 20

vi) La morte del giornalista

Il giornalismo come quello di Dowling di rado propone servizi di fantasia, e pertanto risulta poco stimolante dal punto di vista intellettuale.

Applicando l’approccio decostruzionista di Derrida ad un testo giornalistico intenzionalmente derogatorio e sensazionale, si hanno dei risultati interessanti, sorprendenti ed anche scoraggianti. Una volta completato, un testo letterario, qualsiasi testo, indipendentemente da chi lo abbia scritto, può assumere significati e interpretazioni molteplici.

Un articolo di giornale invece, spesso sembra avere una sola ed unica dimensione. Per un lettore occidentale, lo stile, il lessico e le foto che accompagnano articolo di giornale sono familiari da almeno un paio di secoli.

Per quanto riguarda gli organi di stampa britannici, l’Albania è sempre stata e ancora è uno stato arretrato, povero ed enigmatico, così come i Balcani restano “una bomba che sta per scoppiare da un momento all’altro”; le locali economie sono definite “poco funzionali”; i leaders regionali sono considerati “politici immaturi e corrotti” e tutta la penisola è come un “vaso di Pandora” da dove tutti possibili mali fuoriescono per poi arrivare in Occidente, e in particolare in Gran Bretagna: droga, commercio di esseri umani, riciclaggio di denaro, prostituzione, assassini, killer professionisti e l’elenco continua.

Il testo del giornale parla chiaro, non concedendo ai lettori alcuna possibilità di interpretarne autonomamente il contenuto. Alcuni giornalisti inglesi, così sembra, sono “morti”.

Comunque, la “morte” di questi autori è diversa dalla “morte” dell’autore come percepita da Roland Barthes.

L’autore-giornalista appare “morto” perché l’articolo diffamatorio è un genere non più attuale. Alcuni reporters in Occidente sembrano avere una povera esistenza anche perché i loro articoli non sono né informativi, né intellettualmente stimolanti.

Il giornalista, adottando lo stile criptico di argomentare di Barthes, “non scrive” un “testo”. L’articolo di giornale non ha bisogno di un autore. Il testo esiste anche senza di lui o lei e l’autore non è capace di aggiungervi un nuovo significato.

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La cosiddetta “morte” del giornalista-autore non comporta necessariamente la nascita del lettore indipendente, come Barthes sosteneva nel caso dell’autore letterario.

In questo caso al lettore non è data alcuna possibilità di interpretazione autonoma né tantomeno originale. Il testo dell’articolo, e le foto che lo corredano, non fanno altro che rinforzare il giudizio del lettore, quello che egli per anni, decenni e perfino secoli, è stato abituato a sentirsi dire riguardo all’identità e alla posizione dell’Albania o degli altri “minori” paesi balcanici.

Il lettore non ha più un servizio di un vero giornalista, ma di uno “scrittore-ombra”, che a sua volta è incapace di spezzare quel “modello” e il cui scopo è quello di continuare a divulgare storie allarmanti circa questi paesi e d i loro abitanti.

Pubblicato su Albania News il 13 Gennaio 2012

I Media Occidentali e “l’altra” Europa – Amplificando l’Oriente Pagina 22

vii) Il prezzo di un giornalismo con pregiudizi

Queste cronache fatte di pregiudizi sono destinate a nuocere all’economia del paese, specialmente nel settore del turismo. Inoltre, contribuiscono a diffondere l’ingannevole impressione ai lettori occidentali, agli uomini d’affari e agli investitori in Occidente che l’Albania non abbia fatto alcun progresso dalla caduta del comunismo e che inoltre non sia in grado di avviare una vitale industria turistica.

Il governo albanese è sempre stato cosciente della pessima immagine che il paese ha nell’estero. Ma, solo di recente, comunque ha cercato di fare qualcosa di concreto per correggere la situazione.

Il 23 febbraio del 2005 il quotidiano albanese ‘Biznesi’ riportava che il Governo albanese aveva chiesto alla McKinsey & Company di contribuire al miglioramento dell’immagine del paese per attirare così più investimenti dall’estero. Secondo Ulrich Frincke, il Direttore Regionale di McKinsey per i paesi del Sud-Est d’Europa, la collaborazione tra la sua agenzia di consulenza di management e l’Albania si prevede possa portare al paese investimenti per più di 300 milioni di dollari l’anno.

La decisione del Governo albanese di chiedere consiglio ad una così prestigiosa agenzia di consulenza manageriale fu oggetto di derisione da parte del reporter Robert Shrimsley.

Il suo articolo, “Tirana ci ha visti”, apparso sul Financial Times il 3 Marzo 2005, è abbastanza lungo ma ho voluto riportarlo lo stesso perché sostengo che reiteri molti degli argomenti pregiudizievoli – e in qualche caso ostili – che l’Albania spesso riceve dalla stampa inglese:

«Il Governo albanese ha chiesto a McKinsey di sviluppare una strategia per migliorare l’immagine del paese all’estero e attirare così visitatori stranieri. Per: Il Gabinetto Albanese Da: McKinsey, Ufficio di Zagreb Oggetto: Rinnovo dell’immagine In seguito alle nostre discussioni dello scorso mese vi presentiamo i nostri piani preliminari per promuovere l’immagine dell’Albania presso gli investitori esteri. Siete già consapevoli che si rendono necessari cambiamenti strutturali. Il rinnovo dell’immagine difficilmente si realizzerebbe se non fosse in qualche modo incoraggiato e rafforzato da una buona idea innovativa. La corruzione dei funzionari dell’amministrazione fiscale e delle licenze sarà anche una forte tradizione nel vostro paese, però in un certo senso si scontra con la modernizzazione e lo sviluppo. Forse conoscete già la vecchia barzelletta tedesca che incoraggia i businessmen: “Volate pure in Albania, le vostre macchine sono già lì!”. Per quanto spettacolare questo possa sembrare, non è probabilmente l’immagine che vorreste trasmettere. Il requisito che tutte le Mercedes espongano una valida fattura di acquisto sul finestrino, potrebbe far miracoli nel vostro paese.

Una volta che tutte queste misure siano state prese, saranno necessari cambiamenti “di facciata”, che a loro volta aiuterebbero la nascita di una nuova e diversa Albania.

Come inizio, noi vi consigliamo un cambiamento di nome. “Albania” è dell’altro secolo e sembra risalire

I Media Occidentali e “l’altra” Europa – Amplificando l’Oriente Pagina 23 indietro agli anni di re Zog. Dovreste trovare qualcosa che renda l’idea di una nazione tecnologicamente avanzata. Dopo aver consultato diversi esperti di marchi, noi raccomandiamo il nome “aPod”. Questo evoca un’immagine molto più vivace, specialmente se gli U2 fossero i prescelti per scrivere il vostro nuovo inno nazionale.

Infine, troviamo che niente potrebbe stimolare di più gli investitori quanto una pacifica rivoluzione, preferibilmente accompagnata da qualche colore simbolo o qualche altro oggetto. Il valore pubblicitario di una rivoluzione, se poteste organizzarla, sarebbe immenso!

“Arancione”, “rosa”, “di velluto” e “dei cedri” sono già stati utilizzati, ma il rosa salmone è gradevole e ha un felice associazione con il lavoro. E grazie alla diffusa e globale ignoranza della politica albanese, probabilmente non ci sarà nemmeno bisogno di soppiantare l’attuale amministrazione visto che si ricicla facilmente nel potere ancor prima che tutta la stampa estera arrivi a Tirana!

Un nuovo responsabile delle comunicazioni potrebbe essere altrettanto d’aiuto. Alastair Campbell sarà disponibile dal prossimo maggio. Secondo gli standard albanesi, egli potrebbe risultare un po’ brutale, ma il suo background è molto valido così da assicurare una grande copertura mediatica alle riforme, così che ci vorranno anni prima che la popolazione realizzi che non si può tener fede alle tante aspettative.

Quando gli è stato chiesto cosa l’avesse motivato a scrivere un pezzo del genere, la risposta di Shrimsley è stata: “Il mio articolo era una piccola nota divertente posta verso la fine di una lunga colonna del giornale che illustrava la decisione di ricorrere alla McKinsey’.

Shrimsley non vede niente di sbagliato nella costante diffamazione che paesi come l’Albania ricevono da parte della stampa inglese, perché, come dice lui, “secondo la mia esperienza, i paesi devono assumersi le loro responsabilità per il trattamento che ricevono dalla stampa”.

Shrimsley ha di certo le sue opinioni. Sarebbe assurdo vedere paesi come l’Albania, o veramente, ogni altro paese che ha una costante copertura negativa sulla stampa inglese, semplicemente come “vittime”.

Non si può smentire che esiste una diffusa corruzione in Albania, che i politici albanesi non hanno ancora compreso il concetto di “leale opposizione”, che c’è ancora molto da fare perché sia le persone che ci vivono che gli stranieri si sentano al sicuro, che le infrastrutture del paese hanno ancora tanta strada da fare prima di eguagliare gli standard occidentali e infine, è altrettanto vero che la qualità dei servizi medici è a portata di ogni cittadino.

Paul Brown ha ragione quando nel suo articolo del The Guardian del 27 Maggio 2007, definisce Tirana come “La capitale europea dell’inquinamento”. C’è da dire però, che l’Albania ha fatto una serie di considerevoli progressi a partire dalla dichiarazione d’indipendenza del 1912 e in particolare dalla caduta del comunismo, sedici anni fa. Sminuire gli sforzi che questa piccola nazione antica sta facendo per riuscire a far parte della grande famiglia dei paesi sviluppati, non è semplicemente una “nota divertente”; è uno scherzo di pessimo gusto.

Questo tipo di scherzo à la Shrimsley ha significativamente contribuito a rafforzare l’immagine prevalente in Occidente dell’Albania come il “cuore dell’oscurità”.

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Shrimsley, naturalmente, non è l’unico giornalista britannico che aggiunge qualche nota di “umorismo” nei suoi articoli. E non è nemmeno l’unico reporter che non si rende conto del perché il pubblico non si mette a ridere leggendo articoli del genere, che appaiono così frequentemente sulla stampa inglese. Un paio di anni prima della pubblicazione della “lettera che fa ridere” di Shrimsley sul Financial Times, un altro giornalista inglese, Charles Rae, si sentiva alquanto frustrato perché “dei guastafeste privi di alcun senso dell’umorismo” non riuscivano a cogliere il lato comico di Mr. Uomini’, una parodia pubblicata sul The Sun, il 21 gennaio 2003.

“Abbiamo inventato sette personaggi nello stile di quelli preferiti dai più giovani, Mr. Uomini e le Signorine, in modo tale da rispecchiare le loro vite nella moderna Inghilterra” spiega Rae, autodefinitosi come Mr. Comico. Due di questi personaggi “preferiti” sono stranieri: Mr. Asilo Richiedente e Mr. Gangster Albanese. Ecco come il secondo è ritratto da The Sun:

Mr. Gangster Albanese Mr. Gangster Albanese non si trovava bene in Albania, così ha deciso di vivere in Inghilterra. Esce con Mr. Spacciatore e Mr. Asilo Richiedente. Quasi sempre preferisce fare le stesse cose che fanno loro. Però, Mr. Gangster Albanese ha un lato gentile - lui ha invitato tutte le sorelle dei suoi amici a casa sua. Ha persino offerto loro un lavoro. Ha messo tutte le sorelle dei suoi amici in una casa comune dove poi ha invitato molti uomini a venire e a visitarle perché non si sentissero sole. Questi signori si divertivano talmente tanto che iniziarono a pagare Mr. Gangster Albanese per visitare la casa. Sfortunatamente, nessuna delle povere ragazze non vedeva un soldo. Mr. Gangster Albanese incassava tantissimo.

L’umore mediatico e soprattutto “innocuo” dei giornalisti Rae e Shrimsley continua da troppo tempo ed è di gran lunga responsabile per il costante disprezzo da parte di alcune persone, disprezzo che in termini economici si traduce in una grossa perdita di entrate da parte di potenziali investitori esteri, i quali, giustamente, non intendono intraprendere una qualsiasi attività né assumere rischi non necessari in nazioni che sono sempre definite incorreggibili. “Proviamo a fare alcuni accostamenti di parole”.

Andrew Mueller invita i lettori del The Indipendent on Sunday nell’introduzione del suo articolo ‘I veri colori di Tirana’, uno dei pochi articoli della stampa inglese dove non c’è alcuna intenzione di denigrare gli albanesi:

Io dico ‘Albanese’, tu dici... Gangster? Asilo richiedente? Prostituta? Persino ci sono dei fiumi infetti di virus in costante riproduzione in Africa che hanno una migliore immagine pubblica dell’Albania. In effetti, nei cortili scolastici londinesi, l’aggettivo “albanese” è diventato un espressione comune di qualsiasi cosa che si possa descrivere come scadente, fuori moda o criminale.

La nazione albanese e la stragrande maggioranza dei bravi cittadini albanesi all’estero che rispettano la legge, devono molti ringraziamenti ai loro concittadini criminali espatriati per questa ingiusta punizione ed umiliazione collettiva da parte dell’Occidente.

Alcuni individui irresponsabili, quindi, non debbono essere visti come rappresentanti di tutti gli albanesi. Non tutti i cittadini occidentali si comportano bene all’estero. Eppure quando dei teppisti tifosi inglesi mettono in atto distruzioni all’estero, nessun giornalista inglese li vede come la personificazione dell’intera

I Media Occidentali e “l’altra” Europa – Amplificando l’Oriente Pagina 25 popolazione inglese. Ma quando si tratta dei gangster albanesi, gli “spiritosi” reporters inglesi sono desiderosi di ricorrere ad articoli scandalistici, senza nessuna prova di fatti, veri o inventati, etichettando così tutti gli albanesi come dei criminali. Questo tipo di servizi giornalistici non vuole tanto informare o far divertire i lettori britannici, i quali sono molto più mentalmente raffinati di quanto i giornalisti e i direttori di giornale inglesi possano credere. L’intenzione bensì, è quella di stimolare ancora di più la pessima immagine esistente.

Di regola, i giornalisti occidentali che scrivono sull’Albania o su altri paesi ex-comunisti, vedono la “corruzione” come un problema “indigeno”. Oltre a criticare solamente i politici corrotti e gli uomini d’affari albanesi, alcuni giornalisti inglesi “dai sani principi” e i loro colleghi occidentali, farebbero un grosso favore alla povera Albania se potessero anche concretamente nominare e rimproverare nei loro servizi i loro leaders corrotti. E non solo quelli albanesi.

Di maggiore importanza sarebbe se questi giornalisti così “coscienziosi” facessero ancor più un favore ai loro stessi paesi, avendo il coraggio e l’integrità professionale di nominare e disonorare quei politici occidentali e i più noti imprenditori, i quali assolvono o addirittura aiutano direttamente i politici e gli imprenditori nei paesi come l’Albania.

La corruzione in Albania è certamente dominante, così come nel resto dell’Europa dell’Est, ma non sarebbe una cattiva idea se i giornalisti occidentali risalissero alle fonti di questa metastasi della corruzione, tanto in Oriente che in Occidente.

James Pettifer e Miranda Vickers, identificano altri motivi per i quali gli albanesi sono stati ritratti così negativamente dai media inglesi nel periodo 2001-2006. Sottolineando il ruolo decisivo del governo Blair nel far fallire il tentativo da parte di Milosevic della pulizia etnica degli albanesi nel Kosovo, che raggiunse il culmine con la loro espulsione di massa nel 1999, Pettifer e Vickers sostengono che nella burocrazia inglese vi sono ancora molte persone che non hanno mai rinunciato alla loro ‘Psicologia Yugoslavista Britannica” e alla tacita o esplicita approvazione dei crimini di guerra serbi in nome della loro opposizione all’Islam nei Balcani.

La vera preoccupazione dei filo-serbi nel Ministero degli Esteri inglese e nei Servizi segreti (MI6) non è l’Islam: essi si intromettono nelle politiche dei Balcani perché sono desiderosi di “proteggere l’egemonia serba nella regione”. Questa è la ragione del perché sono determinati nel sabotare l’indipendenza del Kosovo.

Per realizzare questi obiettivi contro il Kosovo e la nazione Albanese, gli inglesi filo-serbi si servono dei media inglesi. Così la macchina di propaganda “anti-albanese”è stata avviata a Londra negli ambienti della polizia e dei servizi segreti, con storie di cui si nutrono gli “amichevoli” giornalisti accentuando la presunta ed alquanto esclusiva minaccia della “Mafia albanese”.

L’impiego di alcuni ex poliziotti di Milosevic come ‘consulenti esperti’ negli Uffici centrali nazionali di polizia internazionale come l’Interpol sta a significare che la “demonizzazione” degli albanesi è divenuto un obiettivo primario anche per i media in paesi come Francia, Grecia, Italia e Stati Uniti d’America. Questo però, non vuol dire che tutti i giornalisti occidentali godano nell’infangare gli albanesi. Ugualmente, non tutti i reporters occidentali erano pronti ad applaudire “la ampiamente falsa rivoluzione” dell’ottobre

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2000 a Belgrado.

I giornalisti che si mostravano critici nei confronti dell’interpretazione che l’Occidente diede alla “rivoluzione” di Belgrado e alla gestione del problema del Kosovo, non ebbero alcun dubbio che la “disobbedienza” non sarebbe stata tollerata. Questo spiega perché questi giornalisti “furono allontanati per quanto possibile da posizioni di servizio di informazione nella regione” e furono sostituiti da personaggi più “accondiscendenti”.

Il diretto coinvolgimento di alcuni funzionari del Ministero degli Affari Esteri, dell’Esercito inglese e dei Servizi segreti (MI6) nella campagna mediatica contro gli albanesi dopo il 2000 è un inquietante esempio di censura dietro le quinte, che nei media britannici non è controllata. Sfortunatamente, questo tipo di censura è una caratteristica dei media nel mondo occidentale.

Pubblicato su Albania News il 20 Gennaio 2012

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viii) I Media e i doppi Standards

Il Regno Unito, a quanto sembra, è ossessionato dalla correttezza politica e questo vale anche per i media inglesi. In Gran Bretagna non si può diffamare o parlar male di qualsiasi nazione. Questo trattamento “preferenziale” è riservato solo a paesi come l’Albania, che ancora non hanno un sistema mediatico proprio, forte e indipendente e altresì un’elite di studiosi che possa affrontare mediocri e mal intenzionati giornalisti occidentali o studiosi con pregiudizi il cui obbiettivo è quello di denigrare qualsiasi “altro” che non sia conforme alle “norme occidentali” e incapace di difendere la propria immagine.

Più recentemente, i doppi standards dei media britannici, per quanto riguarda il trattamento dei diversi paesi, erano evidenti nell’articolo di A. A. Gill sull’Albania “La terra dimenticata dal tempo” pubblicato sul Sunday Times Magazine del 23 luglio 2006. Secondo il punto di vista di Gill, l’Albania è “buffa… una battuta finale, un paese Gilbert e Sullivan, una Ruritania di briganti e vendette, un regno di pantomima” e gli albanesi sono ‘bassi e con visi da furetto e dalle gambe tozze e leggermente arcuate, come quelle dei pony di Shetland’.

Proprio come Dowling, Gill non può fare a meno di mostrare le sue superbe doti linguistiche. Ma a differenza di Dowling, Gill non presta attenzione ai dialetti albanesi. Quello che Gill considera come unicità della lingua albanese è che questa lingua è “un codice fatto apposta per i criminali” e “pateticamente, foneticamente buffo”.

L’articolo di Gill ha profondamente indignato un gran numero di lettori albanesi ed occidentali, che hanno scritto al Sunday Times Magazine per protestare.

Uno degli albanesi che contattò il giornale è stato Lavdrim Terziu, direttore del giornale con sede a Londra, Albanian Mail. Nella sua risposta a Terziu Robin Morgan, direttore del Sunday Times Magazine, adotta un tono piuttosto accondiscendente e fa una sorta di predica a Terziu e ad altri lettori non abbastanza “raffinati” per un “colpo da maestro dello spirito inglese”, che non tutti comprendono e specialmente coloro che hanno la sfortuna di non essere nati in Inghilterra. Non c’è da stupirsi, se Terziu e i suoi colleghi albanesi non rimasero per niente sorpresi dall’atteggiamento arrogante, a loro avviso, del direttore Morgan.

Terziu contattò anche la “Commissione per i reclami contro la stampa” a Londra, soltanto per sentirsi dire:

[Gill] aveva diritto di riportare un punto di vista negativo e di condividerlo con i lettori del giornale, i quali sarebbero stati consapevoli, visto il modo in cui è stato presentato, che l’articolo rappresentava la sua posizione soggettiva piuttosto che essere una indiscutibile esposizione dei fatti.

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Se si adottasse la perversa logica della Commissione, in tal caso, anche un razzista fanatico come Hitler sarebbe autorizzato a manifestare apertamente il suo giudizio negativo sugli Ebrei e condividerlo con i suoi sostenitori, i quali, come la storia ci racconta, non avevano scrupoli nell’adottare la sua “posizione soggettiva” per trasformarla in una “assoluta approvazione di fatto”. Il verdetto secondo cui “la Commissione era soddisfatta che il giornale avesse dimostrato che il giornalista aveva abbastanza materiale su cui basare le sue osservazioni e conclusioni riguardo il paese” trasmetterà senza alcun dubbio un messaggio sbagliato ad altri giornalisti inglesi altrettanto mediocri e razzisti quanto Gill.

Il messaggio, cioè, che è concesso scrivere che quello che gli albanesi fanno all’estero è “in gran parte illegale” e che, eccetto Madre Teresa, gli altri sono internazionalmente “malfamati”.

I lettori inglesi, ovviamente, non sono facilmente abbindolati da uno scrittore di secondo rango come Gill, lo stile di scrittura del quale è considerato essere la personificazione dello spirito inglese solamente da un piccolo numero di direttori come Morgan.

Ci si chiede se Gill o Morgan avrebbero avuto lo stesso coraggio di scrivere e fare una difesa di articoli scritti in termini così offensivi, contro altre persone e specialmente su coloro che hanno una posizione di alto livello nella gerarchia delle nazioni oppure contro altre nazioni, grandi o piccole, con un maggiore “status” o “peso” nello scenario internazionale, diverso da quello della “insignificante” Albania?

La risposta a questa domanda è data da Noel Malcolm di All Souls College, Università di Oxford, una delle personalità che ha scritto al Sunday Times Magazine per protestare contro l’articolo di Gill:

Immaginate se Gill avesse scritto la seguente frase: “Gli Ebrei sono brutti, con un grande naso. La loro storia dimostra che sono a tutti gli effetti una barzelletta – una massa di perdenti. Credono in qualcosa chiamata la Torah, che è un manuale su come tirare pietre alla gente fino alla morte. Molti Ebrei fuori dall’Israel sono occupati in affari equivoci e nell’usura”. L’avresti pubblicato? Nonostante ciò, hai pubblicato un articolo equivalente sugli Albanesi. Certo, i tuoi lettori abituali potranno capire che Gill è un giornalista politico autonomo, il quale pensa che offendendo le persone in massa sia un utile mezzo per acquistare pubblicità.

Ma ci sono molti albanesi rispettabili, che lavorano duramente, qui ed anche altrove, i quali non ne sono al corrente e che saranno profondamente delusi e turbati nel vedere una tale farragine di pregiudizi e di disinformazione.

Riportando l’ultimo concetto di Malcolm, James Doherty non usa mezzi termini nella sua lettera di protesta al Sunday Times Magazine, quando elenca alcune della ragioni per le quali l’Albania non ha tutte le responsabilità per i mali sociali che le vengono attribuite:

I Media Occidentali e “l’altra” Europa – Amplificando l’Oriente Pagina 29

L’Albania ha dato i natali a personalità di livello internazionale: filosofi, accademici, scienziati, Papi (Clemente XI) e, infine, star di Hollywood. Il problema dell’Albania è che essa si trova tra paesi dai quali proviene la prostituzione e quelli che la consumano. Se noi occidentali mettessimo in pratica almeno una parte di tutta la decenza che predichiamo, l’Albania non sarebbe un terreno favorevole per le organizzazioni di malavita che sostengono la prostituzione: dalla Mafia Italiana al consumatore inglese!

Ho lavorato nei Balcani per più di 20 anni e, a parte le minoranze criminali, gli Albanesi sono le persone più generose, degne di fiducia, gran lavoratori e affettuose nei Balcani.

Sembra che ancora ci siano scrittori e giornalisti che credono che la civiltà sia un privilegio, una virtù, un diritto concesso da Dio e un destino appartenente a un selezionato gruppo di nazioni. Per quanto riguarda paesi come l’Albania, quelli ad essa vicini ed altri piccoli paesi in via di sviluppo nel mondo, il massimo che possono fare è vegetare ed ammirare a distanza i traguardi dei pochi “civilizzati”, senza alcuna speranza di raggiungerli.

Alcuni scrittori in Occidente, apparentemente, non possono nemmeno sopportare l’idea che “un paese primitivo” come l’Albania, possa mai essere civilizzato. Probabilmente pensano che la “civilizzazione” dell’Albania sarebbe una perdita per la civilizzazione stessa perché senza un paese “grezzo”, “grossolano”, “selvaggio” come l’Albania non ci sarebbe nessun mezzo per gli Occidentali di sapere cosa significhi essere “incivili”.

Giornalisti inviati speciali, che indagano su scandali, come Simon Kuper, Tim Dowling, Jocasta Gardner, A.A. Gill e Mike Carter e reporters obiettivi come il corrispondente ambientale del The Guardian, Paul Brown e Andrew Mueller, sono consapevoli che l’integrazione dell’Albania nell’Unione Europea non è più un’ambizione irrealistica per il paese.

Questo è il motivo per cui nel maggior numero di articoli apparsi sulla stampa inglese sull’Albania negli ultimi sei anni, i lettori sono esortati con insistenza a visitare il paese presto piuttosto che tardi. Se dovessero ritardare il loro viaggio verso l’Albania, dovrebbero dare la colpa solo a loro stessi.

Perfino Tim Dowling riesce a vedere uno spiraglio di luce alla fine del suo viaggio-verso-l’inferno. “Se volete visitare l’Albania” consiglia Dowling agli ignari lettori del The Guardian “fatelo adesso, non sarà così per sempre” .

Più recentemente l’appello sulla stampa inglese a visitare il paese è stato ripetuto da Duncan Campbell. Nel suo articolo “L’Europa segreta”, anche questo pubblicato sul The Guardian il 19 Marzo 2005, Campbell

I Media Occidentali e “l’altra” Europa – Amplificando l’Oriente Pagina 30 consiglia “a chiunque fosse mai venuta l’idea di visitare l’Albania, è meglio che ci vada adesso, prima che diventi come ogni altro paese”.

Fino a quando arriverà il momento nel quale l’Albania sarà diventata “come ogni altro paese” (leggi come l’Occidente), sembra improbabile che tanti giornalisti inglesi possano mantenere altro interesse per l’Albania e gli altri paesi dei Balcani, se non a mantenere viva il più a lungo possibile la loro “immagine ‘esotica”.

Winston Churchill osservò una volta che i Balcani producevano più storia di quanto potessero mai digerire. Questo forse è vero. Ma è anche vero che i media occidentali, e specialmente la stampa inglese, trovano poco allettante l’idea di rompere la lunga tradizione di adoperare un linguaggio che spesso manifesta le sfumature dell’Orwellian Newspeak, quando si dipinge e rappresenta “l’altro”, incluso “l’altro” europeo.

Edward Said sostiene che l’identità è un processo di sviluppo continuo e non deve mai rimanere statico. L’identità di paesi e nazioni è abbastanza fluida ma, se questa non viene rispecchiata nei media, il risultato non sarà semplicemente la cattiva informazione ma, ancor peggio, la disinformazione.

Agendo secondo morale, i giornalisti occidentali possono rendere il loro inestimabile contributo per rendere l’Europa unita.

Pubblicato su Albania News il 27 Gennaio 2012

Note

E. W. Said, Orientalism, London: Penguin, 2003, p. 27.

Ibid., p. xii.

Ibid., p. 27.

For more information on the denigration of Ancient Egypt by Rome see in this book ‘Foreigner Complex’.

Said, op. cit., p. 26.

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O. Halecki, Borderlands of Western Civilisation: A History of East Central Europe, New York: Ronald, 1952, p. 3. For more information on the negative image of the Balkans in the West see L. Wolff, Inventing Eastern Europe: The Map of Civilization on the Mind of the Enlightenment, Stanford, California: Stanford University Press, 1994; M. Todorova, Imagining the Balkans, New York and Oxford: Oxford University Press, 1997; V.

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Goldsworthy, Inventing Ruritania: The Imperialism of the Imagination, New Haven and London: Yale University Press, 1998; and G. Alpion, Mother Teresa: Saint or Celebrity?, London and New York: Routledge, 2007; New Delhi: Routledge India, 2008; Rome: Salerno Editrice, 2008.

See D. Dauti and E. Robelli, ‘Një gjeneral mban peng Kroacinë’, , 4 April 2005.

B. Gallagher, ‘Will Croatia join a Balkan NATO?’, Hrvatski Vjesnik, No. 927, The New Generation English Supplement, 26 July 2002.

Ibid.

For more information on J. K. Rowling’s references to Albania as a country harbouring the evil ‘Dark Lord’ and his followers see in this book ‘Images of Albania and in English literature – from Edith Durham’s High Albania to J. K. Rowling’s Harry Potter’.

See K. E. Fleming, ‘Orientalism, the Balkans, and the Balkan Historiography’, The American Historical Review, Vol. 105, Issue 4, October 2000, pp. 1218-33, (accessed 7 November 2004).

See in this book ‘Images of Albania and Albanians in English literature’, op. cit., and ‘Oh! not Calcutta’; and G. Alpion, ‘Baron Franz Nopcsa and his ambition for the Albanian throne’, BESA Journal, Vol. 6, No. 3, Summer 2003, pp. 25-32.

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See B. Hoxha, ‘Turizmi, shqiptarët prishën 560 milionë $ jashtë’, , 22 March 2005; A. Korkuti, ‘Shqiptarët, 560 milionë dollarë jashtë vendit në 2004’, Shekulli, 22 March 2005; and J. Llupo, ‘Shqiptarët, 583 milionë euro për pushime jashtë’, Shekulli, 28 January 2007.

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T. Dowling, ‘Wish you were here’, The Guardian G2, 11 August 2003, p. 2.

E. Addley, ‘Welcome to camp Tirana’, The Guardian, 11 March 2003, p. 7.

Dowling, op. cit., p. 2.

Ibid.

A. Mueller, ‘Tirana’s true colours’, The Independent on Sunday, 13 July 2003, p. 17.

I Media Occidentali e “l’altra” Europa – Amplificando l’Oriente Pagina 32

Ibid.

Ibid.

Dowling, op. cit., p. 2.

See R. Williamson, ‘Interview with Gëzim Alpion – Fallen hero: how the clown prince of Albania got right up the nose of his greatest fans’, Sunday Mercury, 9 September 2001, pp. 45, 46; and A. A. Gill, ‘The land that time forgot’, The Sunday Times Magazine, 23 July 2006.

Dowling, op. cit., p. 2.

Ibid.

Ibdi., p. 3.

R. Barthes, ‘The Death of the Author’, in R. Barthes, Image, Music, Text, Trans. S. Heath, London: Fontana Press, 1990, p. 148.

The author wrote to Robert Shrimsley on 6 April 2005.

Robert Shrimsley’s e-mail to the author of 8 March 2005.

C. Rae, ‘Mr Moaner and pals rap Sun’s spoof’, 22 January 2003, p. 7.

Ibid.

Mueller, op. cit., p. 17.

Pettifer and Vickers, op. cit., pp. 246-7.

Ibid., p. 247.

Ibid.

Ibid.

Ibid.

Gill, op. cit.

See A. Lalaj, ‘The Times fiton të drejtën për të ofenduar – Vendimi i PCC – thikë me dy presa’, Albanian Mail, 23 October 2006.

See ‘Press Complaints Commission Report: 73 Adjudication’, 22 September 2006, (accessed 23 October 2006).

See Gill, op. cit.

N. Malcolm’s and J. Doherty’s letters were published in the Sunday Times Magazine on 30 July 2006.

Dowling, op. cit., p. 3.

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Titolo originale: Western media and the European ‘other’ – images of Albania in the British press. Tradotto per Albania News da Altina Hoti. Redatto da dott. Franco Tagliarini

Biografia

Gëzim Alpion : Nato in Albania, si è laureato all’Università del Cairo e ha conseguito il dottorato all’Università di Durham (Inghilterra).

Attualmente è docente di Sociologia presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Studi Internazionali presso l’Università di Birmingham, Regno Unito. Alpion è uno dei maggiori esperti di Madre Teresa. Inizialmente pubblicato da Routledge di Londra, New York e New Delhi, il suo studio controverso “Madre Teresa: Santa o Celebrità” (2007 & 2008) è stato pubblicato in italiano da Salerno Editrice a Roma nel 2008.

Altre pubblicazioni di Alpion includono due collezioni di saggi, “Foreigner Complex” (2002) e “Encounters with Civilizations: From Alexander the Great to Mother Teresa”.

Il tanto atteso nuovo studio su Madre Teresa “Dark night of the soul” sarà pubblicato nel 2013.

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