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CARATTERI TERRITORIALI

Le origini e la storia

Le prime tracce dell’insediamento risalgono ad epoca romana e si riferiscono alle origini sacre del luogo, per la presenza nel territorio circostante del bosco di e dei resti del tempio dedicato alla Dea. La storia civile del paese, nella sua attuale localizzazione ha origini medioevali, cioè del IX secolo, quando i conti di Tuscolo s’impadroniscono della comunità agricola denominata Massa Nemus: una masseria la cui produzione agricola, fondata prevalentemente sulla coltivazione della vite e degli alberi da frutto, nel V secolo era in grado di soddisfare il bisogno di Roma. I Conti di Tuscolo iniziano la costruzione di un Castello e di altre opere di fortificazione ed il borgo prende il nome di Castrum Nemoris. Successivamente sotto il dominio dei Monaci il borgo si potenzia nelle sue strutture difensive, attraverso la costruzione di una torre fiancheggiata da altre minori, ed attraverso la costruzione del complesso monastico. Nelle varie fasi di sviluppo relative alla sua crescita, il paese si è organizzato secondo uno schema determinato dall’andamento orografico e dalla natura del supporto geologico sulla curva di livello impegnata dalla strada principale e sullo sperone lavico proteso sul lago a sentinella naturale dello stesso. Alla funzione difensiva era abbinata quella religiosa come testimonia appunto la presenza dei due complessi monastici, di cui uno (la Chiesa del Crocifisso) segna l’ingresso dell’abitato e l’altro (la Parrocchiale) il centro attorno al quale si accorpa la quantità maggiore di tessuto residenziale del paese diviso dal tracciato viario da un secondo aggregato edilizio, cresciuto a ridosso del Castello. Lo sviluppo successivo riguarda operazioni di integrazione edilizia che non hanno modificato l’impianto di base, ma saturando il supporto naturale, ne hanno rafforzato l’assetto, soprattutto attraverso le successive trasformazioni delle emergenze edilizie costituite dalle strutture religiose e dagli edifici rappresentativi e il potenziamento della rete viaria. I Frangipane infatti rimaneggiano il Castello e nel 1639 demoliscono l’antica Chiesa parrocchiale costruendone una più grande ed intervenendo sulla piazza antistante che da quel momento assume la funzione di fulcro per l’espansione urbana fuori del borgo medioevale. Alla fine del ‘700 il Castello subisce una nuova trasformazione per opera dei principi Braschi. All’inizio del secolo invece, i Ruspoli portano a termine alcuni interventi nel tessuto urbano, per

1 separare dal resto del paese le loro proprietà. Per evitare infatti il passaggio degli abitanti del borgo più antico attraverso il portone d’ingresso al Castello, fanno costruire una strada lungo il fianco sinistro dell’edificio così da permettere la sua totale recinzione e, con la demolizione delle case più addossate, la creazione di un grande giardino. L’apertura in epoca recente della Via Dei Laghi, infine pur non influenzando direttamente l’assetto fisico del paese, ne ha invece modificato la struttura delle relazioni esterne.

“Il territorio di fu celebre al tempo dei romani per il Tempio dedicato a Diana, meta di pellegrinaggi non solo dei Romani e dei Latini ma anche di abitanti di lontane città. Più tardi venne consacrato a Diana un nuovo Tempio sulla collina di , il carattere sacro del territorio nemorense rimane per tutto il periodo romano permettendo la consacrazione di grandi selve impenetrabili, proibite ai profani al punto che l’imperatore Calligola, per aggirare il divieto di costruire sulla terra, fece realizzare sul lago due navi con funzione di vere e proprie case galleggianti. Successivamente nel territorio nemorense si forma una comunità agricola denominata Massa nemus che l’Imperatore Costantino assegna in concessione alla Basilica di San Giovanni Battista di Albano. Una decisione di carattere politico con il quale l’Imperatore tende a potenziare la zona di influenza di Albano, la cui comunità cristiana, uscita da poco dalla clandestinità, si contrappone agli altri paesi albani di antica e radicata tradizione pagana. Passò quindi ai Conti di Tuscolo che la trasformarono in un Castrum, e successivamente Agapito, di quella famiglia, lo diede in dote ad una figlia quando andò in sposa ad un Frangipane (1090). Anacleto II, antipapa, nel 1930, lo conferì all’Abbazia di San Paolo allora unita a quelle delle Tre Fontane. Tre Bolle seguenti (1143, Anastasio IV; 1183 di Lucio III; 1191 di Celestino III) ne confermano il possesso al Monastero che sicuramente lo tenne per tutto il secolo XII. Sotto il dominio dei Monaci il borgo prende forma definitiva, su uno sperone montuoso a picco sul lago, luogo particolarmente felice perché inattaccabile da tre lati, e la comunità insediata mantiene una organizzazione di tipo agricolo. Nel secolo XIII il Castrum divenne uno dei tanti feudi dei Colonna, ed a partire da questo momento, a causa dei continui cambiamenti di proprietà, è nominato in documenti e Bolle papali.

2 In una Bolla di Alessandro III del 1255 assegnano al Castello di Nemi quattro chiese: Santa Maria, Sant’Angelo, San Gennaro e San Nicola in Valle Lunae. Bonifacio VIII nel 1297 incamera il Castello per darlo agli Orsini. Torna di nuovo ai Colonna, fino a quando, Clemente VII, antipapa, glielo toglie per assegnarlo nuovamente in enfiteusi alla famiglia degli Orsini. Il dominio degli Orsini è molto breve in quanto ritorna sotto il controllo della Chiesa nel 1379. Nel 1400 Bonifacio IX, lo assegna a Tebaldo Annibaldi, ma l’Abbazia delle Tre Fontane ne reclama la proprietà e nel 1423 lo concede in affitto a Giordano Colonna, fratello di Martino V. Più tardi nel 1428, Prospero ed Edoardo Colonna lo comprano definitivamente. In alcune storie di Nemi si fa cenno alla famiglia Capizzucchi come proprietaria del Castello nel secolo XV, ma non vi è nessun documento che ne accerti il possesso, mentre invece risulta una concessione del Castello al Cardinale Estouteville da parte di Lorenzo Colonna. Nel 1501, Alessandro VI lo concede a Rodrigo Borgia, figlio di Lucrezia e di Alfonso di Bisceglie, ma due anni dopo, alla morte del Papa, la Famiglia dei Colonna recupera il controllo del Castello. Al controllo dell’insediamento si succedono quindi i Cesarini (1550); i Piccolomini (1560); i Cenci (1563); i Frangipane (1572); ed infine i Braschi (1782), che ne mantengono il controllo per circa un secolo quando torna il possesso degli Orsini (1860). Con l’unità d’Italia l’insediamento si costituisce in Comune, e tuttavia il Castello e le proprietà contigue vengono acquistate all’inizio del ‘900 dalla famiglia Ruspoli, la quale porta a termine oltre che alcuni interventi di ristrutturazione dell’antico manufatto edilizio, altri, di riorganizzazione delle infrastrutture interne al tessuto urbano del nucleo storico dell’insediamento.”

3 Il contesto ambientale

Il territorio del comune di Nemi che costituisce il riferimento più immediato dell’abitato è il complesso orografico del cratere nemorense che, verso il meridione, presenta una interruzione segnata in modo evidente dalla frattura del Monte Alto (mt. 596 slm.). La forma della cavità dal disegno piuttosto allungato secondo un andamento NE-SO, mostra una doppia strozzatura, una sotto la città di Nemi, l’altra presso il luogo detto della Casetta dei Pescatori, sul versante settentrionale, a lato del Monte Gentile. Ciò fa ipotizzare che il cratere sia somma di più eruzioni vulcaniche avvenute in tempi successivi. L’aspetto geo-morfologico, meglio descritto nella Relazione Geologica allegata, mostra le diverse fasi di trasformazione, evidenziate dalle stratigrafie sovrapposte. Il centro storico di Nemi, opposto al Comune di Genzano, è posto su un banco di lava prominente sul ciglio craterico: sul fronte si notano le stratificazioni formatesi nel tempo nella quale si alternano lava grigia, tufi rossastri a granuli. La caratteristica geomorfologia del luogo, conferisce, salve alcune situazioni ben identificate, una sensazione di stabilità dello sperone; nel complesso si rimanda al rilievo delle situazioni in frana o oggetto di attenzione. Ma la caratteristica del territorio comunale, sono le notevoli masse verdi, che si estendono fino ai comuni limitrofi ancora oggi intatte nella parte più consistente. Nella zona della Valle del lago non occupata dallo specchio d’acqua, vanto del comune per le colture specifiche in atto (fiori e fragole), sono oggi evidenti segni di abbandono: l’attività agricola non più remunerativa per piccoli appezzamenti viene vieppiù abbandonata. I frazionamenti succedutesi nel tempo, per successioni e divisioni ereditarie hanno frammentato la zona agricola e gli agricoltori sono in gran parte emigrati altrove ove, potendo lavorare su estensioni maggiori con un clima mite, hanno potuto supplire alla crisi ingeneratasi riconvertendo le colture in modo estensivo. I Vincoli a cui è assoggettato il territorio hanno agito positivamente impedendo il degrado e l’incontrollato sviluppo, come avvenuto negli ultimi dieci anni nel contesto limitrofo dei Castelli e del vicino lago di Castel Gandolfo, ma, per contro, hanno impedito che anche gli agricoltori, ovvero i loro i figli o aventi causa, potessero pensare di poter continuare a coltivare, anche se più per tradizione e svago che per effettiva produttività, i piccoli appezzamenti di terreno residuo che sono rimasti abbandonati, preda dei rovi e pochi anni fa anche del fuoco. Si è persa non solo l’opportunità di mantenere almeno in parte una piccola attività agricola, ma

4 si è determinato uno stato di abbandono incontrollato e lesivo dell’ambiente. Sull’intorno della corona del lago, sono presenti boschi ed aree inedificate di alto valore ambientale, da tutelare e preservare, che salvaguardano l’intero comune dai centri abitati vicini: mantengano cioè intatta la sensazione di isolamento naturale rispetto ai comuni limitrofi ed alle grandi vie di comunicazione. Rispetto a queste il comune di Nemi risulta collegato alle due strade che corrono parallele a monte ed a valle dell’abitato. La ss. n°217 Via dei Laghi a monte e la ss. n°7 Via Appia a valle sono collegate dalla Via Nemorense che lambisce funzionalmente l’abitato di Nemi. Dalla parte opposta del centro storico, il Belvedere, la strada provinciale Nemi-Lago, oggi chiusa per dissesto verificatosi durante l’incendio del 1998, ed in attesa di un intervento di risanamento globale, consente di raggiungere la conca del lago e successivamente Genzano.

Il Lago

Il lago di Nemi (Nemorensis lacus) m. 316 sml, era detto dagli antichi “specchio di Diana”, perché vi si rispecchiava il bosco annesso al santuario della Dea. Il Lago che occupa il fondo di una cavità ellittica, formatasi in seguito al franamento delle sponde contigue di due crateri vicini, con gli assi di m 1800 e 1300, ha una superficie di kmq 1,74 ed una profondità massima di ml 21, che dà alle acque una suggestiva tinta di azzurro intenso. Prima del termine della discesa, un sentiero a destra che costeggia il lago, porta al suo Emissario, restaurato e rettificato in occasione del parziale prosciugamento del lago. Consta di due gallerie sovrapposte, che si incontrano a 180 m dal’imbocco (la lunghezza complessiva è di ml 1650) di cui il vero emissario è l’inferiore a percorso un po’ tortuoso. L’emissario sbocca nella Valle Ariccia a quota 295. Al termine della discesa sorge il Museo delle Navi formato da due grandi padiglioni riuniti da un corpo mediano. Il museo ospitò dal 1940 al 1944 le famose navi imperiali fatte costruire da Caligola 837-41 per i riti sacri in onore di Diana e affondate al tempo di Claudio. Attualmente oltre agli scavi presso il tempio di Diana, ed a quelli posti in essere dall’Accademia degli studi scandinavi attorno alla Villa in loc. Santa Maria, sono in corso lavori per il completamento del restauro del Museo e studi per la ricostruzione delle Navi. Il grande interesse archeologico, ambientale e naturalistico del sito dovrà essere oggetto di studi specifici, che dovranno portare alla istituzione di un “Parco agricolo-archeologico del Lago”. Sicuramente esistono i presupposti, per

5 interessare le Istituzioni all’attuazione del recupero ambientale necessario. La rilevanza dei rinvenimenti è tale che potrà consentire ai proprietari dei terreni della conca del lago di trarne vantaggi e utili senza necessariamente passare per un utilizzo edificatorio, che anzi sarà del tutto escluso sia dalle norme che si andranno ad emanare con la presente proposta di piano sia in sede di redazione dei piani attuativi. Attualmente al lago sono presenti attività turistiche rappresentate da due ristoranti, una attività agrituristica ed una sportiva presso l’esistente centro di canoa. Sarà necessario un miglioramento della viabilità sia pedonale che carrabile l’adeguamento dei parcheggi, sia nei pressi del Museo, sia nelle aree di interesse archeologico ed a supporto delle attività turistiche. Lo spirito dovrà essere quello di consentirne una adeguata rivalutazione, nel rispetto del valore ambientale ed archeologico del sito. Nemi è patrimonio dell’Umanità ed in particolare la Valle del Lago, e dovranno, ottenere, almeno si auspica, questo riconoscimento ed al tempo stesso essere oggetto di tutti quegli interventi migliorativi per consentirne la fruizione, il mantenimento, la valorizzazione e la tutela.

Il processo di formazione dell’impianto urbano

La strada di collegamento fra Nemi e Genzano, rappresenta una essenziale chiave di lettura per la comprensione dell’organizzazione urbanistica dell’abitato di Nemi. Infatti la percezione di tutti i rapporti che intercorrono tra il sistema oro-topografico e la struttura edilizia dell’insediamento sono integralmente soddisfatti dalle visuali che si aprono su questa linea di traffico. Lungo la via che si modella sulla linea di cresta del cratere vulcanico, si presentano con evidenza tutti quei riferimenti edificati, che siglano perentoriamente una struttura che si adatta al supporto naturale con un impianto a sviluppo lineare, scandito da un punto di inizio, da un termine e da poli interni dal disegno ben caratterizzato. Lo schema della città, quindi è bene evidenziato da percorsi d’ingresso all’abitato. La “testata” del sistema lineare è caratterizzata dal passaggio naturale, ad una situazione “costruita” che, per il tramite del complesso edilizio della Chiesa del Crocifisso accresce la sensazione del “salto” scalare, presentandosi netta e massiva.

6 Ci s’introduce allo spazio urbano, filtrando quasi per osmosi, attraverso una sezione stradale di piccole dimensioni, con i margini laterali privi di soluzioni di continuità, definiti da un lato, l’esterno, dall’organismo religiosa sopradetto, dall’altro, interno, da un muro di contenimento della spinta dei terreni che si affacciano sul percorso. Il successivo “punto” della linea di cammino (il Piazzale del Crocifisso) è “stazione”, “punto di traguardo delle visuali” sull’intera complessione urbana. La sua importanza si definisce nel denunciare la facies della struttura in modo sintetico; si ha così visione dell’abitato disteso sulla cresta dello sperone, con le spine edilizie sfalsate, seguendo longitudinalmente l’andamento dell’orografia con il grosso segnale del Palazzo Ruspoli che conclude la serie bassa delle schiere affacciate sul principale percorso interno della città. Nel Piazzale Roma, la “traiettoria nemorense” si biforca in due direzioni una delle quali, Corso Vittorio, che incide in modo determinato sull’apprendimento dettagliato della struttura urbanistica del paese. La seconda direzione, Via delle Colombe sale fino a raggiungere la Via dei Laghi. Su di essa si attesta il nuovo tessuto edilizio che ha visto la sua realizzazione negli anni ’60, ’70 ed ’80. Sono i “quartieri” delle Colombe, dei Corsi ed il Parco dei Lecci, che tendono a saturare l’area più pianeggiante posta a monte del centro storico e che lambisce la Via dei Laghi. Sono zone esclusivamente di edifici residenziali, tendenti alla saturazione dei lotti e scarsamente dotati di servizi. Si attestano su tracciati stradali sinuosi come l’orografia impone, carenti di adeguati spazi per la manovra dei veicoli ed assolutamente privi di aree di parcheggio: tutto ciò conferisce a questa nuova zona carattere di periferia, privandola della qualità necessaria per definirla zona residenziale.

7 I CARATTERI AMBIENTALI E PAESAGGISTICI

Relazione botanica di Bassani

La forma biologica Per forma biologica s'intende "le disposizioni morfologiche con le quali i vegetali manifestano il loro adattamento all'ambiente nel quale vivono" (Dayòz, 1971). Le Terofite (T) sono piante annuali che vivono bene in un clima caldo ed asciutto. La percentuale dei Castelli Romani è decisamente più alta (34,7%) rispetto a Nemi (25,9%) al bacino del Lago (25,8%). Nel Vallone le terofite, "le piante della buona stagione" hanno un indice bassissimo (3,5%) a riprova della grande frescura che regna in questo sito. L'umidità del Vallone e la presenza di un clima mite è testimoniato dall'alta percentuale di fanerofite (P) (34,6%) rispetto al bacino (18%), a Nemi (17,5%) ed ai Castelli Romani (11,9%). Le emicriptofite (H) sono testimoni di un clima temperato che regna ai Castelli (35,8%), a Nemi (39,6%), nel bacino (40,7%) e nel Vallone (35,8%). Poco rappresentata le Camefite (Ch), "i vegetali nani" caratteristiche di periodi estivi molto siccitosi: tale non è la realtà climatica del Vulcano Laziale. Le geofite (piante della terra) (G), sono piante perenni che svernano con le gemme nascoste nel suolo. Prediligono climi con stagione secca primaverile-estiva piuttosto lunga. Nel territorio di Nemi il periodo secco è probabilmente più breve rispetto al comprensorio del Vulcano Laziale a giudicare dagli indici delle forme biologiche (11,4% di Nemi contro 13,4% Castelli Romani). Apparentemente anomalo il dato del Vallone (21,5%) ma tra le geofite presenti alcune - come Felci, Anemoni, Ciclamini - prediligono l'ombra e l'umidità.

Il tipo Corologico Le piante mediterranee (steno, euri e montane) globalmente indicano

8 la presenza di un clima mediterraneo caldo ed asciutto nell'estate e mitigato nell'inverno. Il territorio castellano (40,9%) e quello nemese (35,2%) ed il bacino (39,0%) accolgono molte piante ad areale mediterraneo a conferma dell'influenza del clima mediterraneo su tutto l'hinterland dei Castelli. Nel Vallone – dove regna l'ombra e l'umidità - il fenomeno è mitigato come testimonia la più bassa percentuale della specie ad areale mediterraneo (19,1%). Al contrario più elevata al Vallone la presenza di eurasiatiche (45,2%) ad areale temperato rispetto a Nemi (31,2%) ed al Vulcano Laziale (26,8%). Pertanto il Vallone - rispetto al più ampio territorio nemese ed a quello dei Monti Albani - rappresenta un'isola mesoclimatica rispetto al territorio circostante mediamente più caldo ed asciutto. La presenza di tale clima è favorita dalla profonda incisura del Vallone, dalla notevole copertura arborea e dalla presenza di un ruscelletto pressoché perenne.

Specie di interesse biogeografico Fra le specie di interesse biogeografico - meritorie di tutela includiamo le

ENDEMICHE Polygonum romanum Jacq. - Subendemica Euphorbia coralloides L. - Endemica Pulmonaria vallarsae Kerner - Endemica Linaria purpurea (L.) Miller - Endemica Digitalis micrantha Roth - Endemica

BALCANICHE Quercus pubescens Willd. - Roverella Sub-pontica Castanea sativa Miller - Castagno SE - Europea Anemone apennina L. - Anemonedell'Appennino SE - Europea Esperis matronalis L. Pontica subsp. matronalis

9 Lunaria annua L. - Monete del Papa SE - Europea Sedum hispanicum L. Pontico Mespilus gemanica L. Pontica Galega officinalis L. Pontica Vicia grandiflora Scop. Pontica Lathyrus venetus (Miller) Pontico Wohlf. Acer campestre L. - Acero campestre Sub - Pontico Acer obtusatum W. et K. - Acero opalo SE - Europeo Staphylea pinnata L. - Borsalo Pontica Tilia cordata Miller - Tiglio selvatico Subpontico Cornus mas L. - Corniolo maschio Pontico Fraxinus ornus L. - Orniello Pontico Fraxinus oxycarpa Bieb. - Frassino medion. Pontico Buglossoides Pontica purpurocaerulea (L.) Johnston Symphytum tuberosum L. Subpontica subsp. modosum (Schur) Soò

Oltre le cinque endemiche - autentiche "perle floristiche" – va ricordata soprattutto Staphylea pinnata L. (Borsolo), alquanto rara sul Vulcano Laziale: quelle nemese - del bacino lacuale - rappresenta una delle poche stazioni di tutta l'area castellana. Fra le cinque endemiche e le diciannove balcaniche se ne propone l'impianto, la tutela e la diffusione all'interno dell'istituendo Giardino Botanico.

Nemi città Parco, città del Parco Per l'integrità del paesaggio vegetale - sia naturale che agrario - per la buona conservazione dell'ambiente naturale, per le ricchezze storiche

10 ed archeologiche Nemi a buon diritto può essere definita una "Città- parco". Tale asserto va riferito alle più moderne teorie di gestione dei parchi: anche Nemi - alla stregua di un parco naturale- deve essere riprogettata e gestita secondo il criterio dello "sviluppo sostenibile" all'interno di una più globale "eco-compatibilità" del medesimo. Nemi è anche città del Parco Regionale dei Castelli Romani e come tale deve attrezzarsi per una adeguata conservazione e valorizzazione dei suoi notevoli beni culturali, sia naturalistici che storico-archeologici. Si propone pertanto la realizzazione di alcune strutture necessario per raggiungere gli scopi della "sostenibilità" e della "eco-compatibilità".

Riserva Naturale “Vallone di Tempesta” I sopralluoghi svolti hanno messo in luce alcune problematiche per le quali si ritiene necessaria l'adozione di adeguati interventi di ripristino e riqualificazione dell'area del Vallone al fine di portare ad una corretta gestione e valorizzazione delle emergenze naturali presenti. Le principali iniziative di recupero riguardano i seguenti interventi: -bonifica e ripulitura dei rifiuti solidi presenti lungo il fosso; -eliminazione della vegetazione infestante con particolare riferimento ai Rovi e alla Vitalba che opprimono le specie arboree in rinnovazione; -risistemazione del sentiero presente lungo il fosso; -sistemazione del fosso nel tratto non boscato dalla zona subito sottostante alla strada per Nemi fino al Lago; -espansione della superficie boscata tramite piccoli rimboschimenti nelle aree degradate; -realizzazione di punti di osservazione faunistici e panoramici da ubicarsi sia nella zona boscata che nelle aree più prossime al lago. La fruizione turistico-naturalistica del Vallone dovrà costituire uno dei punti essenziali delle attività di gestione della Riserva e consentirà ai visitatori di scoprire ed accrescere la propria conoscenza ed il rispetto per le innumerevoli bellezze del mondo naturale. I percorsi che verranno utilizzati per passeggiate guidate permetteranno di approfondire la conoscenza delle piante del bosco, delle

11 loro esigenze ecologiche e quella diretta e indiretta degli animali attraverso l'osservazione degli stessi e delle loro tracce. La Riserva del Vallone si estende a sud fino alla strada comunale di Nemi-Lago; a nord raggiunge la via dei Laghi (SS 217) ed il tratturo delle Piagge. La superficie stimata è di circa ha 50. Se ne prevede la realizzazione secondo i disposti della L.R. 46/77.

Il Bosco Sacro di Diana. Si propone la ricostruzione del Bosco Sacro di Diana nei pressi dello omonimo tempio, utilizzando le specie arboree attualmente viventi nell'area, nel rispetto dei reperti archeologici presenti. Si potrebbe così, ridare corpo alla sacralità di questi luoghi, ove un tempo s'aggirava il re- sacerdote custode dell'Albero Sacro. Rivivrebbe così il mito del "Ramo d'oro". "Una visione di sogno di quel piccolo lago di Nemi, circondato dai boschi, che gli antichi chiamavano 'lo specchio di Diana'. Chi ha veduto quell'acqua raccolta nel verde seno dei Colli Albani, non potrà dimenticarla più, Diana stessa potrebbe ancora indugiarsi sulle deserte sponde o errare per quei boschi selvaggi" (J.G. Frazer). Nei limiti del possibile sarebbe importante ricostruire il paesaggio effigiato nel "Ramo d'oro", il noto quadro di W. Turner.

Il sentiero per l’emissario Per evidenziare il tracciato verso l'emissario e per ombreggiare il sentiero, soprattutto durante il periodo estivo, è opportuno mettere a dimora essenze arboree ai due lati del percorso.

Il Giardino Botanico In un'area da individuare - non distante dal centro urbano - ovvero nei pressi del Fontanile di Tempesta - dentro la Riserva – si potrà realizzare il Giardino Botanico delle essenze naturali presenti nel territorio nemese ed anche di altre piante rare ed interessanti distribuite sul Vulcano Laziale.

12 Tale opera è molto importante per conservare l'immenso patrimonio genetico vegetale e la "biodiversità" dell'area Castellana.

Il Vivaio Nei pressi del Giardino Botanico si suggerisce di realizzare un "Vivaio delle piante autoctone castellane" - in particolare arboree ed arbustive - per essere messe a dimora nel Giardino stesso, per opere di rimboschimento previste nell'apposito piano, per l'arredo verde urbano sia pubblico che privato.

Vallone Tempesta Caratteri generali L'area del Vallone Tempesta è ubicata in Provincia di Roma ed è compresa interamente all'interno del territorio del Comune di Nemi. Il Vallone, come del resto tutto il territorio comunale, ricade all'interno dell'attuale perimetro del Parco Regionale Suburbano dei Castelli Romani. La superficie complessiva del Vallone ammonta a circa ...... ettari e comprende le diverse aree a vegetazione naturale e pseudonaturale presenti lungo il suo bacino e ricadenti sia su proprietà pubblica che privata. Nella definizione dei confini dell'area da destinare a Riserva Naturale dovranno essere compresi anche i territori limitrofi al fosso per una profondità su entrambi i versanti di almeno 500 metri. Proprio in relazione a questa proposta verrebbero ad essere inclusi nell'area da tutelare anche parte dei boschi cedui di Castagno confinanti con il fosso. Da un punto di vista altimetrico il Fosso Tempesta è compreso tra i 610 (Fonte Tempesta) e i 320 (sponda del Lago nei pressi dei Museo delle Navi) m. s.l.m., con un dislivello complessivo di 290 m. L'area si configura come una piccola valle che attraversa in direzione S, S-W le pendici interne del cratere che ospita il bacino del Lago di Nemi, di cui il Fosso Tempesta è tributario. L'apporto idrico del fosso è di modesta entità in quanto legato principalmente alla raccolta e al trasporto delle acque meteoriche, mentre del tutto irrilevante è il contributo offerto dalle acque sorgive di Fonte Tempesta ubicata in una densa area boscata a monte del Vallone.

13 Il terreno si presenta pianeggiante solo in brevi tratti iniziali e finali, mentre lungo la maggior parte del corso del fosso le pendenze, anche se molto variabili, raggiungono spesso limiti notevoli con zone rocciose a strapiombo sui terreni sottostanti. Da un punto di vista geologico, il Fosso Tempesta, compreso all'interno del cratere del bacino del Lago di Nemi, mostra una grande complessità strutturale evidenziata dai vari tipi di prodotti presenti, venutisi a formare durante le varie fasi che hanno dato origine al "Vulcano Laziale" ed in particolare alle attività di Nemi e delle Faete.

L'esame dei caratteri vulcanologici e vulcanotettonici del cratere di Nemi (DECINI D., DE RITA D., FUNICELLO R., NARCISI B., NEGLIA M.) permette di individuare, dall'alto verso il basso, lungo il percorso del fosso i seguenti prodotti: -prodotti idromagmatici superiori di Nemi (cineriti, lapilli, pomici, ceneri, cristalli di leucite e pirosseno con forti interazioni acqua-magma); -colata piroclastica di Nemi (brecce d'esplosione contenente pomici, ceneri: cristalli di leucite e pirosseno con inclusi lavici anche di grandi dimensioni e colate grigie, litoidi, pseudostratificate e con inclusi sedimentari in parte ricristallizzati); -prodotti idromagmatici pircolastici e lavici delle Faete costituiti dalle piroclastiti dell'Attività Finale (prodotti di caduta quali lapilli, proietti temici, inclusi lavici), dal complesso Piroclastico Superiore (lave e leuciti- angitiche, melilitiche con fenocristalli femici e leuciti e piroclastiti con scorie, lapilli, ceneri e frammenti lavici), dalla Colata Piroclastica delle Faete (lapilli, scorie, pomici, cristalli di leucite e pirosseno con inclusi lavici e sedimentari a struttura caotica, e dal Complesso Piroclastico Inferiore (lave grigie leucitiche-angitiche, melilitiche alternate con fenocristalli femici e leuciti e piroclastiti con lapilli, scorie e frammenti lavici); -prodotti di alluvioni ed epivulcaniti alternati a prodotti di detrito; -prodotti di alluvioni ed epivulcaniti. L'esame petrografico (SABATINI V.) delle lave presenti lungo il Fosso Tempesta hanno permesso di riconoscere tra gli altri fenocristalli di leucite, cristalli di pirosseni e cristallini di leucite. Il clima dell'area è riferibile al tipo mediterraneo caratterizzato da inverni miti e piovosi e da estati calde e siccitose. Il regime pluviometrico di tipo marittimo è fortemente influenzato dall'esposizione della zona alle correnti umide occidentali provenienti dalla

14 vicina costa tirrenica. I dati sulle precipitazioni medie annue che fanno riferimento alle vicine stazioni pluviometriche di Velletri e Rocca di Papa si attestano su valori di circa 1200 mm di pioggia con massimi nel periodo autunnale ed invernale (oltre 400 mm per periodo) e minimo estivo (meno di 100 mm). Relativamente alle temperature l'andamento dei valori mostra una media mensile per gennaio (mese più freddo) di 7,3°C e di 24,3°C per agosto (mese più caldo) mentre le escursioni termiche sono più accentuate in estate (11,5°C in agosto) che in inverno (6,3°C in gennaio). Dai dati emersi in questa breve descrizione del clima della zona si può verificare, congiuntamente al contributo legato all'evaporazione delle acque del lago, una favorevole azione nei confronti della vegetazione. Gli unici problemi legati a caratteri climatici si evidenziano con i fenomeni di erosione del suolo legati alle precipitazioni di forte intensità che si abbattono, a volte in modo catastrofico, sulle diverse aree di elevata pendenza.

Aspetti generali La vegetazione presente all'interno dell'area del Vallone può essere inquadrata in due diversi raggruppamenti intimamente legati tra loro e caratterizzati da frequenti penetrazioni delle specie nell'una e nell'altra fitocenosi. Le due fitocenosi individuate sono: - fascia rupestre sempreverde a Leccio (Quercus ilex) - fascia del bosco misto di latifoglie decidue Q.T.A. (Quercus, Tilia, Acer). La lecceta si caratterizza per il temperamento spiccatamente xerofilo ed eliofilo, mentre il bosco misto di latifoglie presenta un tipico comportamento mesofilo e sciafilo. Nelle zone più fresche ed umide compaiono tra le altre alcune specie tipicamente igrofile quali il Pioppo tremolo e il Salicene, mentre poco comune è la presenza del Castagno e della Roverella. La disposizione della vegetazione lungo il fosso è legata alle diverse condizioni climatiche ed edafiche presenti. In particolare sui costoni rocciosi ben esposti ed illuminati il paesaggio è dominato dal Leccio mentre all'interno della vallecola, su suoli più profondi e in un ambiente ombroso le specie più rappresentative sono il Carpino bianco, l'Acero

15 opalo, l'Acero campestre, il Cerro, il Frassino meridionale, l'Olmo, il Carpino nero, il Pioppo tremolo, il Salicene, l'Acero montano, il Nocciolo, il Biancospino, il Borsolo e l'Agrifoglio. Ai lati del fosso sono presenti estesi popolamenti cedui dominati dal Castagno e secondariamente dalle latifoglie prima menzionate. Piante di grandi dimensioni e di notevole età sono presenti in modo sparso all'interno dell'area; tra le specie che raggiungono ragguardevoli valori di altezza e circonferenza si ricordano il Leccio, il Carpino bianco, l'Acero campestre, l'Acero opalo e il Castagno.

Da un punto di vista biologico - selvicolturale il soprassuolo forestale presente nell'area oggetto di questo studio è inquadrabile in una fustaia mista disetanea di origine naturale con piccole isole di bosco ceduo ben definibili nelle ceppale riccamente pollonifere presenti ai margini del fosso. Il bosco, specie nelle zone rocciose e a forte pendenza, è stato lasciato da molto tempo crescere più o meno indisturbato, mentre tutt'intorno viene ancora utilizzato con i tipici trattamenti del ceduo che prevedono il taglio raso con rilascio di matricine alla fine del turno (periodo intercorrente tra due utilizzazioni). Da un punto di vista dinamico la foresta si presenta in uno stato che viene definito "climax" caratterizzato cioè, da un elevato grado di equilibrio tra gli organismi vegetali e l'ambiente circostante. Sotto il profilo strettamente ecologico l'Ecosistema forestale si presenta come un sistema chiuso altamente produttivo capace di produrre e riciclare tutte le sostanze necessario per la sua crescita ed evoluzione. L'energia e la materia in arrivo, viene immediatamente recepita e trasferita dagli organismi autotrofi fotosintetizzanti (le piante verdi) agli eterotrofi (consumatori) presenti al livello delle numerose nicchie ecologiche riscontrabili nel bosco. Il ciclo di produzione ed immagazzinamento della materia organica si chiude con la complessa serie di catene di decomposizione e riciclaggio degli elementi operata da quegli organismi di difficile riconoscimento e classificazione quali funghi, batteri, alghe, acari, collemboli, insetti, ecc. Questo prezioso ed invisibile lavoro di demolizione della materia è di fondamentale importanza per la sopravvivenza del Sistema in quanto, a differenza di altri ecosistemi, come ad esempio i boschi sottoposti al taglio periodico, la biomassa organica prodotta non si allontana, se non in minima parte, dal luogo dove è stata fabbricata.

16 In relazione agli aspetti strutturali la fustaia mista disentanea di Leccio e latifoglie decidue presenta una struttura verticale abbastanza stratificata con le chiome degli alberi che occupano diverse posizioni nello spazio ed una struttura orizzontale, legata alle varie fasi del popolamento in funzione dell'età, caratterizzata essenzialmente dalle fasi di Perticaia (periodo in cui il piano dominante degli individui passa da 10 a 15-20 m con forte incremento in diametro ed altezza) e Fustaia (oltre i 20 m di altezza, l'accrescimento longitudinale diminuisce molto, continua invece quello diametrale). Scarsamente rappresentata è la fase del Novellato che va dalla nascita dei semenziali fino al raggiungimento di un'altezza di circa 2 m. Piccoli nuclei di novellarme per lo più di Acero montano, Acero opalo e Frassino sono presenti nelle piccole radure e ai margini del bosco dove le condizioni d’illuminazione permettono un discreto sviluppo delle giovani plantule. Tra le cause che ostacolano la rinnovazione delle specie forestali presenti va infine ricordata la forte concorrenza operata dalla densa rete di rovi e vitalba che sovrasta ed opprime le giovani piante. Lo stato fitosanitario del bosco risulta complessivamente buono in quanto non sono stati riscontrati sensibili danni parassitari sulla vegetazione e le uniche fitopatie presenti sono il Cancro corticale del Castagno (Eudothia parasitica), l'Oidio della Quercia (Oidium quercinum), la Grafiosi dell'Olmo (Graphium ulmi), per altro in modo puntiforme. Alla luce di queste importanti considerazioni di carattere bio- ecologico si vede come l'interesse per la conservazione del bosco del Vallone Tempesta vada ben al di là dell'inventario delle specie vegetali presenti o dei semplici ma non per questo meno importanti valori storici e paesaggistici. Quando ci si accinge a studiare e descrivere un ecosistema e quindi anche un bosco non si può prescindere dalla complessa serie di fattori dinamici, biologici ed ecologici che sono alla base della vita della stessa fitocenosi.

Importanza della conservazione del Vallone Tempesta I motivi che ci inducono a considerare il Vallone come area da sottoporre a tutela integrale è legata alla necessità di conservare i grandi valori scientifici, naturalistici, ambientali e storico- paesaggistici che

17 caratterizzano questo importante Ecosistema naturale presente all'interno del Parco dei Castelli Romani. I valori scientifici emersi anche nel precedente capitolo sulla vegetazione vengono ulteriormente avvalorati dalle importanti peculiarità genetiche (genotipiche e fenotipiche) proprie di ogni singolo organismo. Si tratta in altre parole di mantenere vivi i preziosi patrimoni genetici di ogni singolo individuo che si sono venuti a formare durante la laboriosa azione di evoluzione e di adattamento all'ambiente. La Conservazione delle specie presenti nel Vallone può essere considerata un investimento di tipo biologico ed ambientale con futuri riscontri anche di carattere economico. All'interno della superficie boscata dovranno essere individuate le piante da seme cui attingere per la produzione di individui da impiegare nei rimboschimenti e negli arredi verdi urbani (alberature, parchi, giardini, siepi, ecc.). Da un punto di vista ambientale l'importanza del bosco del Vallone si esprime attraverso l'espletamento di alcune importanti funzioni quale quella della difesa dei terreni dall'erosione a quella igienico-sanitaria che di norma caratterizzano ogni tipo di fitocenosi boschiva.' La funzione idrogeologica, di particolare rilevanza visto l'elevato grado di pendenza del terreno lungo gran parte del fosso, si manifesta tramite l'elevata capacità di trattenuta e di convogliamento delle acque di precipitazione che di norma cadono abbondantemente su tutta la zona. L'azione antierosiva del bosco si esprime attraverso la riduzione della forza battente delle piogge e del vento permettendo all'acqua di raggiungere il terreno, scorrendo in parte lungo i fusti delle piante, senza asportare gli strati superficiali e più ricchi in humus dove è a volte presente un ricco e variegato sottobosco erbaceo ed arbustivo. La funzione igienico-sanitaria è invece legata alla capacità della vegetazione di inglobare e trasformare le sostanze e i composti presenti in atmosfera, prima fra tutte la ben nota C02, composto inorganico in costante aumento, che viene impiegata dalle piante verdi durante la Fotosintesi come molecola di partenza per la produzione di ossigeno e di altri composti organici (carboidrati) di fondamentale importanza per la vita dell'intero Ecosistema. Il ruolo igienico-sanitario comporta inoltre anche il trattenimento delle polveri e delle particelle tossiche presenti nell'aria. I valori naturalistici sono espressi dalla presenza di un ricco corteggio floristico che, opportunamente valorizzato tramite la predisposizione di

18 itinerari didattici, potrà svolgere un ruolo molto importante nel campo della educazione ambientale e della divulgazione naturalistica rivolgendosi sia ai cittadini (dai bambini delle scuole agli anziani) che ad un turismo qualificato interessato a conoscere da vicino le emergenze naturalistiche della zona. Il valore storico infine è legato alla grande importanza avuta in passato dall'area che faceva parte della vasta foresta sacra "Nemus aricinum" che da Ariccia si estendeva fino al bacino del lago di Nemi. Qui il Re Nemorense e la Regina Diana (Dea della Quercia) seguivano i cicli riproduttivi dei vegetali dalla fioritura alla maturazione dei frutti ed alla nascita degli uomini. Allo scopo di conoscere meglio l'Ecosistema forestale del Fosso Tempesta si auspicano future e più approfondite ricerche sui vari meccanismi che regolano la vita degli organismi viventi ivi presenti. Per tale motivo si renderanno perciò necessari specifici studi sui caratteri microclimatici, pedologici, microbiologici, floristici, fitosociologici, forestali e zoologici, solo per citare quelli principali.

Carta dell’uso del suolo Si è fatto riferimento ai fototipi individuati nella Carta Regionale dell'Uso del suolo (Albano Laziale Fg 150 III SE; Velletri Fg 150 II SO). Tali carte evidenziano l’uso del suolo e non tanto la sua specifica composizione vegetazionale. Pertanto le singole parcelle individuate topograficamente sono state indicate cartograficamente con il metodo strutturale. Sono state riportate anche le aree urbane e coltivate. Per un ulteriore approfondimento si rimanda alla Carta della Vegetazione elaborata per il "Progetto Nemi" da Avena G.C., Fascetti S., Michetti L, Scoppola A. (1987) per conto della Facoltà di Scienze dell'Università di Roma e dell'Assessorato alla Sanità ed all'Ambiente della Provincia di Roma.

La legenda Rigato orizzontale. Legnose miste Termine generico che indica mescolanza di specie arboree.

19 L'area si presenta particolarmente eterogenea con presenza di Castagno, abbondante e, di altre caducifoglie arboree quali il Cerro, il Tiglio, l'Acero opalo, l'Acero campestre, il Frassino meridionale ed il Carpino nero ed il Carpino bianco. Caratteristici raggruppamenti di Leggio - sia arboreo che arbustivo - abbarbicati alla roccia fino a ridosso al Giardino comunale e nelle altre aree con roccia affiorante. E' in netta ripresa la lecceta incendiata nell' estate del 1989. Rigato verticale stretto. Bosco Ceduo Trattasi di bosco ceduo matricinato di Castagno con matricine (dette "guide" nei Castelli) di 18-20 anni di età, presenti - secondo le norme di polizia forestale - almeno 20 per ettaro. Accompagnano il Castagno alberi come l'Acero campestre, l'Acero opalo, il Carpino bianco, il Carpino nero ed arbusti quali il Nocciolo, il Corniolo maschio, il Sanguinello, l'Agrifoglio, la Berretta del Prete, il Borsolo, l'Orniello .... Rigato inclinato largo. Aree sottratte all'agricoltura. Trattasi in realtà di pascoli naturali e prati-pascoli seminaturali composti da numerose Graminacee. Leguminose e Composite utilizzate dagli ovini al pascolo con presenza di Leccio sui "faccialoni" - sia arboreo che arbustivo - che forma piccoli boschi "residuali", testimoni di cenosi molto più estese estirpate in epoca storica per far posto al pascolo ed ai coltivi. Presenti anche sporadiche Roverelle e qualche Castagno. Le cenosi erbacee sono distribuite prevalentemente sul pianoro denominato "Le Piagge", mentre il Leccio scende nel bacino abbarbicato alle numerose rocce affioranti.

N - Doppio rigato inclinato. Pascoli e prati-pascoli O - Rigato tratteggiato inclinato. Oliveti VO - Rigato verticale alternato a tratteggio. Vigneti-Oliveti S - Rigato verticale largo. Seminativi

Per quanto concerne i seminativi siamo in presenza di colture sia in serra (soprattutto fiori ed ortaggi) che in campo aperto. Molto diffuse sono le serre in località "II Giardino" nell'area pianeggiante o con lieve pendenza del bacino nord del lago.

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Relazione ambientale di Loret

Caratteristiche geomorfologiche ed idrobiologiche Il lago di Nemi fa parte del complesso dei Colli Albani, occupa il fondo di due cerchie crateriche contigue nelle pendici S.O. del grande vulcano laziale. Il lago è posto a 41°, 43' latitudine Nord, 0°,15' longitudine Est (monte Mario) a 320 metri sul livello del mare. La sua genesi è da ascrivere alle fasi conclusive dell'attività (III fase) del grande vulcano laziale, intorno ai 200.000 anni, quando prevale la fase idromagmatica finale per interazione degli acquiferi regionali con aree di alta termalità. Infatti l'assetto strutturale del basamento sedimentario nell'area dei colli Albani, è compatibile con l'esistenza di grossi acquiferi la cui ricarica pare dovuta al contatto idraulico con le rocce dei sistemi rocciosi periferici: , Prenestini, Lepini. L'interazione acqua-magma sarebbe stata in stretta concomitanza ad eventi tettonici che hanno messo in contatto gli acquiferi con le camere magmatiche già parzialmente svuotate. La serie di esplosioni idromagmatiche sviluppatesi hanno determinato l'attuale morfologia della conca lacustre dove si riconoscono più crateri coalescenti dei quali principalmente due, a forma subcircolare, contribuiscono a formare complessivamente un "otto" con asse Nord-Sud. Il lago attuale è alloggiato per la maggior parte nel cratere meridionale. I principali dati morfometrici, rilevati nell'agosto 1984 sono riportati nella tabella. Il sistema di alimentazione idrico è basato sul bacino imbrifero che insiste sul lago, il quale con una superficie di circa 10,281 Km raccoglie le acque meteoriche che provengono dal versante meridionale dell'apparato delle Faete e dal Pian dei Cerri. Come si vede dallo schema idrogeologico tratto da D'Alessandro et alii 1987 (1) (1.1) il lago di Nemi ha un bacino imbrifero molto modesto che manca di immissari di una certa portata. Pochi fossi riversano nel lago esigue quantità di acqua, limitatamente

21 ai periodi di maggiore piovosità. Le principali incisioni torrentizie sono infatti il Fosso di Nemi ed il Fosso Tempesta che partecipano anche al fenomeno di trasporto dei sedimenti, sabbi e silt, fino allo specchio lacustre a formare riconoscibili aggetti deltizi.

TABELLA - CARATTERISTICHE MORFOMETRICHE DEL LAGO DI NEMI

Lunghezza 1880 metri

Larghezza massima 1320 metri

Area 1,7920 Km2

Larghezza media 953,2 metri

Volume 30,482 * IO3 m3

Profondità massima 32,4 metri

Profondità media 17/0 metri

Perimetro 5,45 Km

Da Ciccacci, S. et alii - in: A.A. V.V., 1987 (1).

Le acque che si infiltrano nel sottosuolo scorrono su un piano inclinato verso S.W., la conca di Nemi, dove, un tempo, ricomparivano sotto forma sorgiva nella zona N.E. del bacino lacustre sotto lo sperone di Nemi. Queste sorgenti (le Facciate) attualmente non sono più attive a causa dei prelievi operati negli ultimi anni. Sono stati infatti realizzati molti pozzi ed opere di captazione sia da comuni (consorzio) che da privati, per scopi agricoli o per fornire acqua potabile. Molta parte di queste acque sono portate fuori dalla linea dello spartiacque e quindi perdute per il bilancio idrico del lago. Inoltre, come si può vedere dallo schema idrogeologico, le caratteristiche del bacino permettono il deflusso delle acque raccolte verso S.W. (isofreatica 325slm.), configurando quindi un sistema "aperto" che

22 alimentato nella zona settentrionale perde in quella meridionale. Il lago di Nemi è privo di emissari naturali, esiste però un emissario artificiale, oggi inattivo, costruito in epoca arcaica probabilmente per tenere sotto controllo le acque che potevano minacciare il tempio di Diana nemorense. L'emissario, lungo 1650 metri, risulta composto di 2 gallerie sovrapposte che si incontrano a 180 m. dall'ingresso posto a 320 m. slm., passa sotto il paese di Genzano, con una leggera pendenza, verso la valle di Ariccia dove sbocca a quota 295 slm. Tra il 1928 ed il 1932 l'emissario venne utilizzato per evacuare le acque nell'opera di abbassamento artificiale del livello lacustre, per il recupero delle famose navi sommerse. In conseguenza all'abbassamento di livello iniziarono le prime variazioni di trofia per il lago che raggiunse un minimo di profondità di 16 metri con una superficie ridotta del 40%. Dalla fine dei lavori nel 1932 fino al 1944 la profondità massima si ristabilì intorno al valore di 30 metri. Il lago quindi impiegò ben 12 anni per ritornare al livello originario, ed in quel periodo non erano in opera le captazioni attuali delle sorgenti di alimentazione. Il valore di recupero del livello originario è stato la base per una ricerca sul bilancio idrologico ed il tempo di ricambio delle acque. Quest'ultimo, di fondamentale importanza per valutare il tempo necessario per sostituire l'intero volume di acqua del lago, è risultato essere (teoricamente) di circa 15 anni (1).

Caratteristiche climatiche Per poter giungere ad una migliore interpretazione delle caratteristiche climatiche dell'area di Nemi, non esistendo stazioni di rilevamento in situ, verranno presi in esame i dati termopluviometrici ed anemometrici delle stazioni di misura prossime alla zona e di più lungo funzionamento. Per i dati termopluviometrici ci si è basati sulla stazione di rilevamento di Velletri (325 metri slm.). La stazione ha funzionato per 38 anni ed i dati sono stati aggiornati fino al 1976 (la distanza planimetrica tra Velletri ed il lago di Nemi è di circa 7 Km).

23 I dati anemometrici sono stati registrati nella stazione di Latina e nella stazione di Ciampino. I diagrammi termopluviometrici (termoudogrammi), ottenuti dall'integrazione dei dati del servizio idrogeologico del Ministero dei Lavori Pubblici mostrano un costante aumento della temperatura da gennaio- febbraio a luglio-agosto e quindi una successiva caduta altrettanto regolare. La temperatura massima si osserva nei mesi di luglio-agosto con 24,3°C (media mensile), mentre la minima nel mese di gennaio con 7,3°C (media mensile). Le escursioni termiche risultano più rilevanti in estate che in inverno. Dall'analisi dei dati termometrici la zona in esame rientra, da un punto di vista esclusivamente termico, in un clima temperato mediterraneo, caratterizzato da un clima temperato caldo, con prolungamento della stagione estiva e con inverno mite (EREDIA 1942; MENNELLA 1972). L'analisi pluviometrica concorda con le conclusioni sopra espresse indicando una diminuzione quasi regolare delle precipitazioni dal periodo invernale a quello estivo; il massimo di piovosità stagionale ricade nell'arco dei mesi autunnali con una media di 437 mm. Il valore minimo delle precipitazioni mensili è ad agosto con 22 mm, il massimo in autunno con 173 mm in novembre. La presenza poi dei rilievi del vulcano laziale, a poca distanza dal mare, può provocare il fenomeno fisico delle piogge "orogenetiche" dovute a vari fattori tra cui la condensazione, sulle pendici meridionali più alte, dei vapori umidi provenienti dal mare. Tenendo conto di questi dati, il regime pluviometrico dell'area può essere definito di tipo marittimo, caratterizzato dalla prevalenza delle precipitazioni nel periodo autunnale e primaverile (Bandini 1931; Tonini 1959). Nel diagramma di Fig.3 le due curve, quelle cioè relative alla temperatura ed alla piovosità, costruite sui valori delle tabelle , vengono a sovrapporsi nel periodo estivo, e delimitano un'area proporzionale alla durata ed all'intensità del periodo secco, rimarcando così il periodo di aridità estiva che caratterizza le zone con clima di tipo mediterraneo (Tomaselli R. et alii, 1973). I dati anemometrici, vedi diagramma di Fig.2, costruiti sui rilevamenti della stazione di Latina, indicano una prevalenza generale dei venti dei

24 quadranti meridionali, in autunno inverno prevalgono i venti provenienti da sud-est, in primavera ed estate sud, sud-ovest; l'incidenza dei venti settentrionali è minima, quindi nella zona giungono prevalentemente venti umidi provenienti dall'area tirrenica portando influenze bioclimatiche di origine subtropicale mediterranea e nord-africana.

Storia delle ricerche idrobiologiche sul lago di Nemi Le prime ricerche risalgono al Rizzardi (1894) che, in seguito ad uno studio sul plancton, riportò alcune osservazioni sulla fauna e sulla fisionomia generale del bacino. Il lago risultava limpido, le sponde boscose e disabitate a causa della malaria; la vegetazione era composta da Scirpus lacustris, Myriophillum spicatum, Lemna gibba. Il fìtoplancton comprendeva 25 specie di Diatomee e lo zooplancton 9 specie di Cladoceri e 5 di Copepodi; sui fondi e lungo le rive si trovava inoltre il crostaceo Palaemon lacustris ed il granchio Telphusa fluviatilis. La fauna ittica era composta da: Latterino (Atherina sp ) Spinarello (Gasterosteus aculeatus). Tinca (Tinca tinca). Barbo (Barbus barbus), Scardola (Scardinius erytrophtalmus), Cavedano (Lauciscus cephalus), Anguilla (Anguilla anguilla), Carpa (Cyprimus carpio), Cefalo (Mugil cephalus), Roviglione (Rutilus rubmo), Capociuolo (Blennius fluviatilis). Erano inoltre presenti molti uccelli acquatici. Dal 1922 al 1945 il lago venne studiato più volte da Volterra D'Ancona (1924 a, b; 1925; 1926 a, b; 1927; 1929; 1931; 1933; 1938), DAncona (1933) e D'Ancona & Volterra D'Ancona (1931; 1933- 1935- 1936;1937:1940). Le loro ricerche riguardarono il plancton pelagico con particolare riguardo ai Cladoceri. Studi chimico-fisici sulle acque furono inoltre compiuti da Maldura(1939). Tali studi rilevarono inizialmente una fisionomia caratteristica di ambienti lacustri a basso grado di trofia, con valori di ossigeno elevati in tutta la massa d'acqua, contenuto dei nutrienti nei limiti della normalità e pH tendente alla neutralità. Nel periodo 1928-1932 il lago fu parzialmente svuotato in seguito al recupero delle navi romane costruite da Caligola (37-41 d.C;) per le feste in onore di Diana Nemorense.

25 In conseguenza all'abbassamento di livello, si instaurarono rapide variazioni di trofia, con caduta dei valori di ossigeno, aumento di ammoniaca, comparsa di idrogeno solforato sul fondo. La profondità minima raggiunga fu di 16 m., la superficie ridotta al 40% ed il volume al 75% rispetto alle condizioni iniziali. Le caratteristiche fìsiche del bacino furono quelle di un tipico lago mesotrofo a bassa profondità, con ipolimnio freddo d'inverno e riscaldato durante l'estate. Dalla fine dei lavori (nel 1932) fino al 1943 la profondità massima si stabilì intorno al valore di circa 30 m. e negli anni successivi il lago sembrò mantenersi in equilibrio tra precipitazioni ed evaporazione. Dal 1940 furono effettuate altre ricerche sul lago, in particolare sul fitoplancton (Marchesoni 1940; 1949) e sui Rotiferi (Parise 1958; 1960; 1962) e sporadiche osservazioni da parte del Laboratorio Centrale di Idrobiologia di Roma sul popolamento ittico del lago con alcuni rilevamenti del contenuto di ossigeno. Nel 1969 durante uno studio sull'allevamento del Coregone (Coregonus lavaretus) svolto dallo Stabilimento Ittiogenico di Roma, le condizioni del lago risultavano ancora soddisfacenti; ma già nel 1970 si notò un abbassamento dei valori di ossigeno. Nel luglio 1974, in seguito ad una massiccia fioritura di Cianoficee (principalmente Oscillatoria) ed alla loro successiva decomposizione, si instaurarono nel lago processi putrefattivi, con conseguente riduzione del contenuto di ossigeno, sviluppo di idrogeno solforato ed iniziale moria di pesci (soprattutto Coregoni). In seguito a tali fenomeni venne richiesto l'intervento del Laboratorio Centrale di Idrobiologia, dello Stabilimento Ittiogenico e la collaborazione dell'Istituto di Zoologia dell'Università di Roma. Le ricerche svolte dal 1974 al 1977 mettono in evidenza una forte alterazione della fauna ittica (Ferrero e Gelosi 1977 in stampa) e del popolamento planctonico (Stella, Ferrero, Margaritora 1978). Si è studiata inoltre la composizione della fauna bentonica dal febbraio 1976 all'ottobre 1978. Tali studio hanno confermato la forte alterazione del lago provocata da agenti inquinanti (Loret E. Tesi di Laurea; 1978-1979;Bazzanti M., Loret E. 1982). Nel 1981, rimandando il problema politico del recupero del lago, la Provincia di Roma finanziò ulteriori studi commissionati all'Università di

26 Roma "La Sapienza" che durarono fino al 1984 e furono pubblicati nel 1987.

Trofia lacustre ed inquinamento organico Gli ecosistemi acquatici sono caratterizzati da un continuo scambio di materia (e di energia), tra la componente abiotica e biotica, che determina condizioni di equilibrio dinamico attorno ad uno strato stazionario (grado di trofìa) ben definito. Questo stato è in funzione sia della velocità dei processi interni al sistema, sia alle forze esterne che agiscono sul sistema stesso. Le fluttuazioni indotte dalle forze esterne al sistema vengono tollerate solo quando esse rimangono entro limiti accettabili e tali quindi da non superare le capacità assimilative del corpo idrico e minacciare il suo stato naturale. Definire quali sono le condizioni naturali per un lago è molto complicato, sono in gioco infatti molte variabili fisiche, chimiche e biologiche; si può però, per semplificare, riassumere schematicamente, nelle sue componenti principali, la struttura di un ecosistema lacustre. Come è noto un lago è una raccolta di acqua temporanea (in tempo geologico), che costituisce un ecosistema in quanto in esso vivono in equilibrio piante ed animali. Gli organismi lacustri vengono suddivisi in tre categorie secondo la posizione da loro occupata nella catena alimentare: i Produttori, Consumatori e Demolitori che vivono in stretta relazione con l'ambiente fisico e chimico dell'acqua. La principale fonte di energia da cui trae sostentamento tutto il sistema è quella solare. La luce è uno dei fattori primari che condizionano la vita di un lago. Gli organismi vegetali, produttori, tramite la fotosintesi e le sostanze minerali disciolte nell'acqua, vivono e si riproducono. Gli organismi consumatori, raggruppati in più anelli successivi, vivono in posizione intermedia nella catena, utilizzando direttamente gli autotrofi od altri consumatori come cibo e divenendo a loro volta materia organica. Il terzo anello della catena alimentare di un lago, quello degli organismi decompositori, opera principalmente in presenza di ossigeno, trasformando la materia organica in sali minerali direttamente utilizzabili

27 dagli organismi produttori. L'ossigeno quindi oltre ad essere indispensabile per la vita vegetale ed animale è l'elemento necessario per una buona demolizione organica. L'ossigeno disciolto nell'acqua ha una doppia origine. La parte più importante e costante proviene dagli scambi gassosi con l'atmosfera; scambi favoriti dall'azione dei venti, delle correnti del lago, ed in modo particolare dalla bassa temperatura. L'altra frazione di ossigeno proviene dalla attività fotosintetica delle alghe e macrofite acquatiche. Per ciò che riguarda la diffusione dell'ossigeno in tutta la massa di acqua, grande importanza hanno il regime termico ed in generale i fattori climatici. Durante i mesi invernali, a causa della bassa temperatura che agisce sulla densità dello strato d'acqua epilimnico e dell'azione dei venti, si attua un rimescolamento completo che porta a condizioni di omeotermia; in tal modo l'ossigeno si distribuisce in tutta la massa d'acqua. Alla nostra latitudine i laghi, durante l'estate inizio autunno, presentano il fenomeno della stratificazione diretta: con una zona superiore (epilimnio) riscaldata ed una zona inferiore (ipolimnio) più fredda, separate da uno strato di acqua intermedio detto termoclino. La stratificazione estiva costituisce quindi una barriera per la diffusione dell'ossigeno negli strati inferiori. Sui fondi l'ossigeno presente è continuamente consumato dall'attività respiratoria e dai processi biologici di ossidazione delle materie organiche; funzioni che, nei laghi in condizioni naturali, possono essere espletate anche nei mesi estivi. La frazione di materia organica autoctona che circola nel ciclo biologico di un ecosistema lacustre in equilibrio si conserva pressoché uguale nel tempo. Piccole variazioni quantitative, dovute ad apporto di materiale esterno, vengono solitamente assorbite dal sistema senza grandi mutamenti. Per capacità di autodepurazione di un lago, si intende la possibilità di demolire tutta o quasi la sostanza organica presente in esso. Il materiale organico biologicamente ossidabile viene attaccato e mineralizzato dai microrganismi decompositori. Questo processo per i composti dell'azoto può essere schematizzato

28 in due distinti momenti: nel primo si ha l'ossidazione dell'ammoniaca a nitriti, nel secondo la trasformazione dei nitriti a nitrati. L'ammoniaca, solitamente presente nei laghi in piccole quantità, è il primo prodotto formato nella demolizione organica; la sua presenza nell'acqua è proporzionale all'intensità del processo di decomposizione. Alcune specie di batteri sono specializzati nel compito di staccare i gruppi NH2 degli amminoacidi; già a questo stadio l'NH3 che si forma, a grande diluizione, può essere fissato dalle alghe unicellulari. Nei periodi di stratificazione estivo-autunnale l'ammoniaca proveniente dalla demolizione della sostanza organica sui fondi tende ad accumularsi nell'ipolimnio contemporaneamente all'impoverimento di ossigeno. Solo alla ripresa della piena circolazione dell'acqua si attua una distribuzione uniforme nel lago e riprendono quindi i processi di nitrificazione. Gli organismi responsabili della ossidazione dell'ammoniaca a nitriti sono i batteri autotrofi del gruppo Nitrosomonas e Nitrosococcus, mentre per il passaggio da nitriti a nitrati sono responsabili quelli del gruppo Nitrobacter. Altri gruppi di microrganismi agiscono nel ciclo del fosforo organico. Il fosforo, sotto forma di fosfati organici, presente nelle spoglie di organismi morti e materie organica nei sedimenti, viene rimosso e riciclato dai batteri del genere Pseudomonas, Bacterium e Chromobacterium. I sali di azoto e fosforo, che sono alla base della catena alimentare, svolgono la loro azione direttamente sugli altri anelli successivi. E' in base alla disponibilità di questi due elementi che le acque di un lago vengono ad assumere capacità produttive diverse. Si possono riassumere i principali caratteri chimico-fisici e biologici dei laghi a progressivo grado di trofia nel seguente schema:

1) Laghi oligotrofi a) Molto profondi, acque dell'ipolimnio fredde; b) nutrienti relativamente scarsi, humus scarso o assente; e) capacità riproduttiva bassa; d) materiale organico in sospensione e sul fondo scarso;

29 e) contenuto in ossigeno elevato anche in profondità; f) capacità demolitoria completa.

2) Laghi eutrofi a) Poco profondi, acque fredde nell'ipolimnio assenti o scarse; b) nutrienti abbondanti, scarso humus; e) capacità riproduttiva alta; d) materiale organico in sospensione e sui fondi abbondante; e) ossigeno nei laghi stratificati scarso o assente sul fondo;

f) capacità demolitoria insufficiente.

3) Laghi mesotrofi Laghi con condizioni intermedie tra un bacino oligotrofo ed uno eutrofo. Nel quadro delle modificazioni trofìche, questo tipo di lago rappresenta una fase che in condizioni naturali può durare molto a lungo. Le variazioni di quantità di nutrimenti e di ossigeno restano, nella zona ipolimnica, entro limiti accettabili per un buon svolgimento delle attività funzionali della fauna e della flora lacustre. Lo stadio mesotrofo consiste solitamente in uno stadio di equilibrio produttivo ed è la condizione più "matura" per un lago.

4) Laghi distrofi Laghi particolari, contenenti una sostanza in assoluto predominio su altre riducendone le capacità produttive. a) Piatti a temperatura variabile; b) nutrienti scarsi, humus abbondante; e) capacità produttiva bassa; d) materiale organico sul fondo o in sospensione abbondante; e) ossigeno nelle acque profonde quasi o completamente assente; f) capacità demolitoria insufficiente.

Come è noto, i laghi tendono ad invecchiare ed estinguersi naturalmente, in quanto vengono continuamente riempiti sia dadetriti

30 trasportati dal dilavamento dei terreni circostanti, dall'avanzamento delle rive, ecc. (materiale alloctono), sia da materiale che si forma nel lago stesso (autoctono). A causa dei movimenti molto lenti delle acque lacustri, le sostanze organiche tendono a sedimentare ed in casi di ecosistemi con bassa capacità demolitoria sui fondi, esse giocano un ruolo determinante sulla diminuzione progressiva della profondità media del lago. La morfometria del bacino è in relazione indiretta, quindi, sia al processo produttivo che alla sua capacità demolitoria. In genere i laghi molto profondi, sono più giovani geologicamente dei laghi meno profondi; contemporaneamente un lago molto profondo con acque fredde è di solito poco produttivo o oligotrofo; un lago poco profondo, molto produttivo o eutrofo. La successione ecologica naturale tende cioè a passare, molto lentamente nel tempo ed in funzione della morfometria, dal lago allo stagno, alla palude, quindi alla terraferma. La successione trofica procede dal lago ultra-oligotrofo attraverso vari livelli al lago-stagno generalmente molto produttivo. Questo fenomeno, che naturalmente richiede molto tempo (nell'ordine di migliaia di anni), può essere accelerato e modificato nel suo corso naturale da interventi di origine antropica (caso più frequente: inquinamento da sostanza organica). Le conseguenze di una immissione massiva e continuata di liquami, provenienti da insediamenti umani, provoca un accumulo sui fondi di ingenti quantità di materie organiche che il lago non riesce a mineralizzare completamente. L'ossigeno ipolimnico, soprattutto nei periodi di stratificazione termica, si riduce fino ad esaurirsi. In tal modo alla flora batterica aerobica si sostituisce, nei fondi, una flora anaerobica, con processi prevalentemente di tipo putrefattivo. Compaiono sui fondi metano, idrogeno solforato ed ammoniaca (quest'ultima prodotta mediante meccanismo inverso alla nitrificazione e che opera in assenza di ossigeno). Si determinano in tal modo carenze estive di ossigeno ipolimnico anche nei laghi profondi, arrivando a stabilirsi nei casi più estremi una anossia per l'intero ciclo annuale (meromissi biogenica) (Tonolli 1973). La disponibilità di grandi quantità di nutrienti si riflette anche sui vari

31 livelli produttivi del lago. Si osserva inizialmente un incremento della produzione primaria, con relativo aumento della biomassa algale (in casi di eutrofia spinta particolarmente di Cianoficee). Modificazioni nella struttura delle biocenosi avvengono anche a livello del popolamento zooplanctonico, bentonico ed ittico. In particolare, gli effetti dell'eutrofizzazione sulla fauna bentonica comportano cambiamenti sia qualitativi che quantitativi con una diminuzione del numero delle specie ed un aumento del numero degli individui. In uno studio su un lago mediamente eutrofizzato, in Svezia, Jonasson (1969) riportava la composizione del benthos: la fauna littorale era composta da un totale di 10,810 individui/m2 con 33 specie (o gruppi di specie) rappresentate; quella profonda solamente da 5 specie, con densità fino ai 20,000 individui/m2. Si notava quindi una riduzione qualitativa dei popolamenti bentonici profondi in funzione alle mutate condizioni biologiche. Nei laghi dove la deossigenazione ipolimnica è particolarmente accentuata, in rapporto ad una forma grave di inquinamento organico, si osserva oltre all'impoverimento qualitativo anche una forte riduzione numerica della fauna profonda, instaurandosi, molto spesso, un netto contrasto con la maggior varietà e ricchezza di organismi della zona superiore. In definitiva una immissione di fosfati o Azoto o di altri composti eutrofizzanti andrebbe esclusa in maniera categorica per qualsiasi lago. Bisogna inoltre aggiungere che i tempi di ricambio dei laghi non solamente sono molto lungi, ma soprattutto teorici (IRSA 1971) ed ancora che le condizioni di stratificazione termica in cui il lago può trovarsi possono determinare notevoli limitazioni all'effettiva capacità di smaltimento, sempre nel caso della presenza di un emissario funzionale.

Cenni sulle principali caratteristiche chimico-fisiche Le più importanti caratteristiche chimiche per il controllo della qualità di un corpo d'acqua sono: 1) contenuto in ossigeno 2) contenuto in sali di Azoto 3) contenuto in sali di Fosforo.

32

1) Ossigeno: Poiché in estate le acque superficiali (epilimnio), che sono più calde, "galleggiano" su quelle profonde (ipolimnio), il rimescolamento completo della massa d'acqua è possibile solo in inverno quando la temperatura si uniforma anche per azione cinetica del vento. E' dunque solo in inverno che le acque profonde recuperano l'ossigeno consumato; inoltre il suo valore in termini di % di saturazione è legato ai valori di temperatura assunti dalle acque. Per il lago di Nemi si è visto che la stratificazione termica con la comparsa di un "termoclino" è netta e costante per un esteso periodo di tempo, generalmente da aprile a novembre. In questo periodo le acque profonde sono del tutto prive di ossigeno.

2-3) Sali di Azoto e Sali di Fosforo: E' inutile vederli separatamente (in questa sede) in quanto i valori di entrambi superano, per la gran maggioranza dell'anno i valori limite comunemente usati per la classificazione trofica (vedi Sakamoto, 1966). Non si può, in ogni caso, non sottolineare che tutta la letteratura limnologica indica nel Fosforo uno dei principali fattori limitanti che determinano lo sviluppo dell'eutrofizzazione lacustre. La fonte principale (tolti gli scarichi urbani) è soprattutto nel dilavamento operato dalle acque piovane sul terreno agricolo, ciò causa l'asportazione di concimi artificiali (minerali) a base di fosforo, azoto e potassio, impiegati per aumentare la produzione. Senza parlare degli altri parametri comunemente presi in considerazione (nelle investigazioni idrobiologiche), l'analisi chimica mette in evidenza l'estremo degrado delle acque del lago di Nemi, interessato da un carico inquinante di molto eccedente le capacità di autodepurazione. Il lago, quindi, risulta inadatto per qualsiasi dei possibili usi delle acque: ittico, industriale, potabile.

33 Tabella -Variazioni quantitative del Fosforo (µg/litro) (da Carunchio & Rolle, 1987).

1982 1983 gennaio 9-44 25-33 febbraio 5-103 32-37 marzo 48-177 51-55 aprile 105-136 81-87 maggio 92-839 109-116 giugno 202-618 324-393 luglio 51-714 389-414 agosto 92-744 344-365 settembre 91-131 294-307 ottobre 72-99 126-137 novembre 67-126 74-82 dicembre 5-70 30-35

Tabella – criteri di classificazione lacustre secondo parametri chimici: A) Classificazione per contenuto di "Nutrienti" (Sakamoto, 1966) LAGHI P tot. µg/l N tot. µg/l Oligotrofi 2-20 20-200 Mesotrofi 10-30 100-700 Eutrofi 10-90 500-1300 B) Classificazione per contenuto di ossigeno ipolimnico (E.P.A., 1974) LAGHI O2 % di saturazione Oligotrofi >80 Mesotrofi 80 -10 Eutrofi <10

34 Cenni su alcuni parametri idrobiologici indicatori dello stato di trofia ambientale

FITOPLANCTON

Riassumendo i dati in letteratura, le caratteristiche essenziali dei popolamenti fitoplanctonici del lago di Nemi indicano una condizione di forte eutrofizzazione delle acque provata da: 1) composizione dei popolamenti caratterizzata dalla dominanza delle Cianoficee, con una presenza numerosa e costante tutto l'anno (tranne marzo e aprile quando prevalgono le Diatomee) che tende a divenire monospecifica per Oscillatoria limnetica; 2) presenza confermata di specie indicatrici di eutrofìa quali Oscillatoria rubescens e Aphanizomenon ovalisporum (responsabili delle "fioriture" eccezionali verificatesi negli anni precedenti); 3) diversità biotica molto bassa (indice di Shannon Weaver < I nel periodo estate-autunno); 4) densità numerica dei popolamenti molto elevata e limitata ai soli livelli superficiali (la biomassa è quasi del tutto assente nell'ipolimnio nel periodo estivo-autunnale).

ZOOPLANCTON

II Plancton del lago di Nemi è stato più volte oggetto di studio da parte dell'Istituto di Zoologia dell'Università di Roma "La Sapienza" e dell'Istituto Ittiogenico della Regione . Malgrado la mancanza di dati precisi nel periodo posteriore al 1943, la valutazione dei fenomeni evolutivi hanno messo in evidenza condizioni ancora normali dal punto di vista trofico fino al 1974. A partire da questo periodo, in seguito a fenomeni di fioritura di Cianoficee e morie di pesci, è iniziato un nuovo ciclo di ricerche che hanno messo in evidenza sensibili cambiamenti nella composizione della fauna planctonica in risposta alle modificazioni della qualità dell'acqua del lago. Si osserva una netta predominanza dei Rotiferi sia dal punto di vista qualitativo che da quello quantitativo (soprattutto Keratella cochlearis e Keratella quadrata, indici di elevata trofia), ed una significativa

35 diminuzione dei Copepodi e soprattutto dei Cladoceri. In tutti i Crostacei planctonici sono state inoltre notate, insieme a formazioni di gocciole oleose all'interno del corpo, alcune malformazioni causate da sporangi ed ife fungine di Ficomiceti epibionti e parassiti, che limitano di molto i movimenti degli animali (Stella, Ferrero, Margaritora, 1978). Questi fenomeni, unitamente ai cambiamenti avvenuti nella struttura della comunità zooplanctonica, mettono in risalto le alterazioni biologiche avvenute nel lago, che è in uno stato di avanzata eutrofizzazione.

ZOOBENTHOS

Nel lago di Nemi, le categorie sistematiche presenti nel macrobenthos profondo si riducono solamente a due: Oligocheti e Chironomidi. La presenza di questi ultimi è ridotta sotto i 10 metri di profondità ed è limitata ad alcuni individui di Chironomus plumosus, pressoché l'unico genere reperito a -20 metri. Alla massima profondità (-31 metri), non sono presenti larve di Chironomidi in nessun periodo dell'anno. La fauna profonda è nettamente dominata dagli Oligocheti. La struttura della fauna bentonica e la sua distribuzione alle varie profondità è quindi in stretta relazione con le condizioni chimiche delle acque ipolimniche. Il basso contenuto di ossigeno sui fondi (accentuato nei mesi estivi), la presenza di ammoniaca e idrogeno solforato, limitano la fauna del lago soprattutto alla zona sovrastante. Dagli elementi raccolti nelle ricerche condotte nel lago di Nemi: rarefazione della fauna macro bentonica nella zona profonda (dai -10 ai - 31 metri), presenza di forme particolarmente resistenti alle modificazioni ambientali provocate da apporti esterni emerge chiaramente che il processo di deterioramento in atto si è riflesso pesantemente sulle biocenosi bentoniche. La comunità bentonica del lago di Nemi mostra palesemente una fisionomia che si ritrova in ambienti lacustri in condizioni ben lontane da quelle naturali. A questo riguardo, la presenza pressoché esclusiva del Chironomide

36 Chironomus plumosus e di alcune specie di Oligocheti (Limnodrilus hoffmeisteri, Tubifex tubifex e Potamotrix hammoniensis) nella zona profonda stanno ad indicare condizioni di accentuata eutrofizzazione (Brundin, 1958; Brinkurst, 1966; Gizinski, 1967; Brynkurst&Cook, 1974).

FAUNA ITTICA

A completare il quadro idrobiologico del lago, i dati forniti dallo Stabilimento Ittiogenico della Regione Lazio (Dott.ssa Ferrero) sulla della pesca, industria una volta fiorente nel piccolo lago. Le specie ittiche interessate, prima dell'esplodere dei fenomeni di eutrofizzazione, erano quelle tipiche delle nostre zone centro-meridionali: Luccio, Tinca, Carpa, Scardola, Latterino, Persico reale, Anguilla. Nel 1940 era stato introdotto, con successo, il Coregone, notoriamente pesce di acque limpide ed ossigenate che forniva rendimenti nel pescato fino a 2 quintali per ettaro. Dai primi anni 70 iniziarono segnalazioni di alterazioni nei pesci, nell'inverno 1974 i Coregoni erano sotto peso e misura, nel 1975 e 1976 avvennero morie che decimarono quasi totalmente la fauna ittica. Tutte le semine ed i tentativi di ripopolamento, un tempo praticati periodicamente e con successo, dal 1976 ebbero scarso esito e furono interrotti nel 1979. In questi ultimi anni si è cercato di rivitalizzare l'industria ittica con l'introduzione di specie molto resistenti all'eutrofia ed alle elevate temperature: dall'Argentina è stato introdotto sperimentalmente un aterinide Odonthestes bonariensis detto Pejerrey, il quale riesce a sopravvivere solo nelle acquesuperficiali. Nel 1982 è stato introdotto un certo quantitativo di una specie di cefalo (Mugil sp.) adatto all'utilizzazione della sostanza organica in eccesso.

VEGETAZIONE ACQUATICA

Nei laghi in condizioni di trofia accettabili i popolamenti macrofitici tendono a costituire cinture concentriche continue a partire dalla zona di riva con zonazioni caratteristiche controllate dallo spessore del corpo d'acqua e dal substrato.

37 La seriazione classica parte da terra con ampi tratti ad elofite (Arundo, Phragmites, Scirpus, Tipha, ecc.). Un popolamento a macrofite, in condizioni naturali, produce una serie di benefici per il corpo d'acqua da non sottovalutare: 1) produce ossigeno per fotosintesi aumentando così le capacità autodepurative dell'ambiente; 2) fornisce un sostegno per gli organismi sessili, una grande superficie per l'ancoraggio dei batteri del periphyton e per gli insetti di acqua dolce; 3) fornisce un habitat per gli avannotti proteggendoli dalla predazione; 4) agisce da FILTRO NATURALE trasformando sostanze inorganiche in organiche, rallentando i processi di inquinamento. Purtroppo il lago di Nemi presenta una successione macrofitica molto impoverita e discontinua, in questo piccolo lago le comunità di macrofite acquatiche sono limitate alla zona litorale controllate non solo dall'andamento geomorfologico delle rive e dalla scarsa qualità dell'acqua ma anche dai col tivi che, in questi ultimi anni, si sono allargati a spese della linea di riva. Tuttavia anche se impoverita la flora acquatica contribuisce a testimoniare la precaria qualità delle acque. Ne è indice, in particolare, sia la scarsa vitalità di Potamogeton perfoliatus e Myriophyllum spicatum (specie indicatrici di acque in condizioni di meso-eutrofia) sia l'impossibilità di sviluppo delle cenosi oltre i 4-5 metri.

Raccomandazioni per il risanamento del lago Lo stato di salute dell'acqua è da considerarsi cattivo per le seguenti ragioni: 1) Ossigenazione sufficiente solo nel periodo (breve) invernale, altrimenti assenza di ossigenazione ipolimnica; 2) Contenuto in sali nutrienti (fosforo e azoto) ancora eccessivo; 3) Mancanza di un ricambio adeguato; 4) Produzione fìtoplanctonica alta; 5) Macrofite del litorale ridotte ed appartenenti a specie indicatrici di inquinamento; 6) Popolamento bentonico ridotto qualitativamente con poche specie indicatrici di eutrofizzazione spinta ma quantitativamente ben rappresentate; 7) Popolazione ittica soggetta a morie stagionali ed a infezioni;

38 8) Odori sgradevoli provenienti dal materiale organico sul fondo; 9) Presenza di acido solfidrico nei fanghi di fondo. In un eventuale piano di risanamento e recupero del lago di Nemi deve essere messa in evidenza la necessità di passare da un concetto di acqua, intesa solo come un pratico ricettore di fattori inquinanti e comoda fonte di approvvigionamento ad un concetto di corpo idrico inteso nella sua complessità di ecosistema naturale. Una corretta gestione del lago prescinde problemi politici e deve essere in grado di intervenire sulle caratteristiche fisionomiche chimiche e biologiche. A grandi linee un piano di risanamento potrebbe prendere in considerazione due modi principali di intervento: il primo diretto al settore fisico-naturale comprendente il corpo d'acqua principale (lago) e la falda acquifera sotterrenea (problema eminentemente tecnico); il secondo tipo di intervento diretto nel settore socio-economico comprendente le componenti civili ed agricole (componenti antropiche) che gravano sul lago con richieste di acqua potabile (captazione sorgenti) ed al tempo stesso come scarico nel corpo idrico di sostanze diverse che ne hanno alterato la qualità (problema politico). E' soprattutto quest'ultimo settore che pone problemi e contemporaneamente mostra evidenti segni di "schizofrenia". Se da una parte la componente socio-economica richiede all'ecosistema lago un alto livello di qualità dell'acqua (uso potabile, pesca, turismo, balneazione, ecc.), dall'altra richiede di poter continuare ad immettere prodotti di rifiuto (per decenni e fino a pochi mesi fa acque luride) che in definitiva ne alterano la qualità stessa. In ultima analisi sembra evidente che tra questi tipi di richieste si dovrà operare una scelta riflettendo sul fatto che il lago non tornerà certo a condizioni del tutto naturali in pochi anni. Sicuramente tutti gli studi condotti sui laghi hanno messo in evidenza come le suddivisioni amministrative territoriali, i confini comunali ad esempio, sono scarsamente rispondenti alle caratteristiche idrografiche dei bacini lacustri. La soluzione migliore sarebbe saltare le conflittualità di competenze burocratiche diverse e costituire una sola autorità per l'ecosistema lago che abbia il controllo del bacino imbrifero e della falda acquifera sotterranea. La zona così individuata per Nemi, facilmente cartografabile, ricade

39 nel Parco Regionale dei Castelli Romani che, una volta attivo e fornito di personale tecnico e direzionale adeguato, potrebbe iniziare a prendere provvedimenti operativi appropriati per un vero recupero del lago. Per il lago di Nemi superate attualmente, con l'apposito collettore, le immissioni fognarie provenienti dai centri urbani, che immettevano quasi il 50% dei "nutrienti", rimane il grosso problema del carico inquinante agricolo. Gli ultimi studi compiuti sul lago sottolineano come la qualità residua di nutrienti prodotta dal solo dilavamento dei terreni agricoli, all'interno del cratere, risultano essere non compatibili con lo stato di trofia del lago, vista la sua piccola superficie e prendendo in considerazione il valore del rapporto profondità media/tempo di ricambio (teorico). Il carico ammissibile calcolato per il fosforo, ad esempio, risulta essere di circa 235 Kg/anno (Beccari ecc. 1987), tuttavia sia le ricerche degli autori citati che le analisi conoscitive condotte tra gli agricoltori della valle di Nemi (per una ricerca sull'applicazione di metodi di agricoltura biologica) hanno evidenziato concimazioni minerali eccessive che superano di molto le entità delle asportazioni.

BILANCIO CONCIMAZIONI Su 5,05 ha di fiori

N P K g/m2 g/m2 g/m2 Distribuzioni 25 27 19 Asportazioni 40 12 51 Differenze -15 +15 -32 In pratica su circa 5 ettari vengono distribuiti in eccesso circa 800 Kg di fosforo pari a 150 kg/ha (Ramazzotti L. 1987), quantità totale prossima a quella riscontrata dallo studio della Provincia dell'82-84 che risulta essere di 175 Kg/ha di fosforo per anno. In totale, riprendendo ancora i dati delle ricerche del 1987 (Beccari e Rolle 1987), togliendo il carico degli insediamenti civili ed aggiungendo quello dovuto al terreno non coltivato, nel lago continua l'immissione (13310) Kg/anno di Azoto; ovvero per il solo fosforo circa 1410 Kg/anno in più al carico teoricamente ritenuto ammissibile. In un futuro prossimo questo carico dovrebbe essere drasticamente

40 ridotto con una razionalizzazione dell'uso di fertilizzanti e pesticidi (detti anche presidi sanitari) e pratiche agricole adeguate come il ripristino di siepi, terrazzamenti, cinture arboree, ecc. (da specificare in una relazione particolareggiata). Per accelerare inoltre il recupero delle acque, con sistemi poco costosi, non sarebbe da sottovalutare il ripristino del livello lacustre fino alla quota di sfioro dell'antico emissario artificiale che dovrebbe necessariamente essere messo nuovamente in funzione. Si potrebbe praticare così, in periodo di stratificazione termica, anche l'emunzione selettiva delle acque profonde che andrebbero convogliate direttamente nell'emissario (acque di esportazione), sempre tenendo costante il livello delle acque. Tale pratica forse troppo sbrigativamente considerata di "scarso interesse" da alcuni autori, "considerato l'elevato volume di ipolimnio e lo scarso apporto di acque dall'esterno nel periodo estivo" (Beccari e Rolle, 1987) potrebbe al contrario essere di notevole aiuto a diminuire il tempo di rinnovo delle acque (e conseguente ricambio) se solo si prendesse in considerazione la necessità di ripristinare le immissioni di acqua sotterranea, oggi completamente captate per usi civici ed agriculturali. Questo è uno dei problemi più spinosi, forse problema più politico che tecnico. Come accennato precedentemente, nel bacino imbrifero, le acque di origine meteorica si raccolgono e si infiltrano per via sotterranea raggiungendo il lago nella zona N.E. In questa zona, una volta ricca di sorgenti tanto da meritarsi il toponimo "le Sorgenti", l'acqua sotterranea viene completamente captata da numerose opere di perforazione e viene esportata in ben sei comuni: Nemi, Genzano, Lanuvio, Ariccia, Albano, Velletri. Nel calcolo del bilancio idrico del lago si è osservato che le quantità di acqua sottratte con le captazioni delle sorgenti pari a circa 1319,8 mm/annue "quasi eguagliano gli afflussi meteorici diretti sul lago, praticamente annullandoli" (Ciccacci, S. 1987). Il problema delle falde acquifere è che per poterle "sfruttare" è necessario pensare anche alla loro ricarica, il che richiede tempi spesso lunghissimi. Soprattutto in questi ultimi anni la ricarica delle falde pare assicurata solo da periodi in cui le precipitazioni sono più abbondanti della media, ne fanno fede i ricorrenti approfondimenti delle perforazioni per captazioni

41 pubbliche e private. In pratica nel sistema dell'acquifero vengono prelevate mediamente più di 2,000,000 m3/anno di acqua che non raggiunge più il lago. Mettendo in conto il fatto che, tranne Nemi, questi comuni hanno incentivato una forte crescita urbanistica e demografica immigrativa con i loro PRG e che con l'aumento della popolazione sono cresciute le richieste di acqua, lo sfruttamento del sistema di alimentazione di questo lago si è fatto ancora più massiccio. Così, in periodi climaticamente sfavorevoli, si osservano abbassamenti del livello del lago anche di vari metri. Per mutare questa incresciosa situazione bisognerebbe capire che non è razionale pretendere il ripristino delle condizioni di naturalità per il lago e continuare allo stesso tempo i prelievi. Attualmente prevedere almeno la riduzione del 50% delle captazioni (sicuramente per il periodo necessario al ripristinare del livello di sfioro) da parte del consorzio dei comuni, sarebbe un segnale per l'applicazione di una seria politica di salvaguardia ambientale. In definitiva si potrebbe quindi ipotizzare un sistema di controllo delle acque che, una volta ripristinato il livello primitivo (livello emissario) intervenga sulle captazioni, riducendole o intensificandole per mantenere un flusso di ricambio (lavaggio del bacino) attraverso l'emissario artificiale. Come da tavole allegate i lunghissimi tempi di recupero ambientale previsti potrebbero notevolmente accorciarsi. Se inoltre si mettessero in opera contemporaneamente altri sistemi tra i quali: - ripristino della compattezza della cintura di macrofite (elofite e \cf1 \cf2 rizofite) acquatiche; - costruzione di una cintura di rimboschimento costiero; - ricostruzione dei terrazzamenti agricoli con sbarramenti di siepi; - ricostruzione del bosco nell'intera cintura dei versanti del cratere e la protezione dagli incendi.

Riassumendo: 1. indirizzare tutti i futuri insediamenti umani, soprattutto industriali e/o artigianali fuori del bacino del lago; 2. prevedere forme di agricoltura alternativa nelle zone dei coltivi;

42 3. prevedere il controllo e/o chiusura dei pozzi privati; 4. sperimentare la riduzione al 50% degli emungimenti delle sorgenti da parte dei comuni del consorzio; 5. effettuare il controllo del livello delle acque raggiungendo lo sfioro con l'emissario; 6. conseguentemente al punto 5 operare il deflusso superficiale delle acque nel periodo invernale ed eventualmente l'emunzione selettiva dall'ipolimnio nel periodo di stratificazione; 7. consentire l'esportazione delle acque dal bacino solo per quelle provenienti dalle operazioni al punto 6. e non variare il livello raggiunto. Si raccomanda nel frattempo di controllare le prese d'acqua dei privati per i seguenti motivi: A. evitare danni alla cintura dei canneti (oggi molto evidenti); B. verificare l'entità delle captazioni in relazione al progetto di ripristino del livello lacustre; C. eventualmente far approfondire le tubazioni per captare solo acque ipolimniche effettuando così, praticamente, una forma di emunzione selettiva.

43 Sezione Dislivello Dist.Graf. P% Sez. Dislivello Dist.Graf. X5000 X5000 A-A’ 75 24 62,5 A’-A’’ 30 22 B-B’ 75 40 37,5 B’-B’’ 30 25 C-C’ 148 80 37 C’-C’’ 30 24 D-D’ 168 40 84 D’-D’’ 30 17 E-E’ 150 38 78,9 E’-E’’ 30 24 F-F’ 150 49 61,2 F’-F’’ 30 64 G-G’ 125 22 92,5 G’-G’’ 55 31 H-H’ 225 91 49,4 H’-H’’ 80 182 I-I’ 175 67 52,2 I’-I’’ 80 162 L-L’ 200 80 50 L’-L’’ 30 31 M-M’ 175 68 51,4 M’-M’’ 30 21

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47 Relazione storico-archeologica di Gabriela Lenzi.

Generalità La presenza di testimonianze archeologiche databili, quasi senza soluzione di continuità, dalle prime fasi della preistoria laziale al medioevo, attesta l'importanza del territorio oggetto di questa indagine nella storia dei Colli Albani. Se rinvenimenti attribuibili cronologicamente al Neolitico ed a varie fasi dei periodi del bronzo e del ferro laziale (Rif. Cart. nn. 9, 21, 42, 2, 3, 14; 6, 16, 29, 32, 35) testimoniano la frequentazione del bacino nemorense sin da età antichissima, l'area (fino alla conquista romana facente parte del territorio di Aricia ) riveste un ruolo fondamentale nelle vicende del Latium vetus soprattutto a partire dalla fine del periodo regio quando, intorno al 500 a.C. circa, sulle rive settentrionali del lago viene dedicato a Diana Aricina (il cui culto locale ha però certamente origini più antiche) uno dei più importanti santuari federali della regione, centro politico e religioso della "rifondata" lega latina (Rif. Cart. n.40). In base alla datazione ormai più comunemente accettata, nello stesso periodo va posta la costruzione dell'emissario (Rif. Cart. n.25), opera di alta ingegneria idraulica, per motivi funzionali e religiosi probabilmente legata alla fondazione del santuario, ma forse anche parte integrante di una grandiosa opera di bonifica integrale della sottostante Valle Ariccia. In età medio-repubblicana, dopo lo scioglimento della lega latina nel 338 a.C., il culto di Diana perde la sua importanza politica, acquisendo connotazioni salutari e femminili; il santuario però continua ad essere un centro religioso assiduamente frequentato e dotato di un ricco tesoro sacro, come ci attestano le fonti e la monumentale ristrutturazione di fine II - inizi I sec. a.C., che innalza l'impianto nemorense al livello dei coevi grandiosi complessi santuariali del Lazio (Palestrina, Tivoli, Terracina). Alla fine dell'età repubblicana, anche nell'ambito del bacino lacustre di Nemi, come nel resto dell'ager Albanus, si assiste alla costruzione di numerosi impianti di tipo residenziale (alcuni dei quali frutto della trasformazione di precedenti stanziamenti agricoli), qui generalmente disposti su terrazze sostruttive digradanti verso il lago o su declivi collinari (resti in località Le Piagge, S.Maria, Monte Canino, Orti di S.Nicola). Tale fenomeno è senza dubbio da collegare alla posizione particolarmente favorevole di questo territorio, sia dal punto di vista naturalistico (feracità del suolo, ricchezza di acque sorgive, clima

48 temperato, bellezze paesaggistiche) che topografico (la vicinanza con l'Appia, asse viario portante di tutta la regione, consentiva rapidi e comodi collegamenti con Roma). Fino in età imperiale avanzata, ma soprattutto nel periodo giulio- claudio, tutta l'area nemorense gode di una particolare fioritura: alcuni degli impianti residenziali tardo-repubblicani vengono restaurati ed ampliati, come la villa in località S. Maria, probabilmente già appartenuta a Cesare e poi passata al demanio; alcune zone dell'area sacra, forse ormai parte della proprietà imperiale, subiscono ulteriori ristrutturazioni monumentali e abbellimenti (documentabili fino al periodo adrianeo); le rive lacustri vengono in più punti rinforzate con un complesso sistema di banchine e palizzate lignee (Rif. Cart. n. 20); ed alla megalomania di Caligola si deve la costruzione dei due grandiosi "palazzi galleggianti", recuperati dal fondo del lago negli anni venti (dopo una lunga serie di infruttuosi tentativi) e purtroppo andati distrutti verso la fine della seconda guerra mondiale. Con l'età costantiniana, il bacino lacustre e le sue adiacenze, ormai definiti massa Nemus, entrano a far parte della diocesi suburbicaria di Albano Laziale. Un sepolcreto databile tra il V – VI sec. d.C., rinvenuto in località Orti di S. Nicola (Rif. Cart. n. 14), testimonia la continuità di occupazione del territorio in età paleocristiana. Al XII sec. risalgono poi le prime attestazioni documentarie della presenza di edifici di culto, generalmente affidati alla cure di piccole comunità conventuali annesse, sorti lungo le rive del lago (S. Maria, S. Nicola, S. Michele Arcangelo: degli ultimi due sono ancora visibili i resti) e proprietà dei Cistercensi del monastero di S. Anastasio alle Tre Fontane. Le stesse bolle papali testimoniano inoltre, già in questo periodo, l'esistenza del primo nucleo insediativo del futuro abitato di Nemi sulla rupe dove attualmente sorge il centro storico.

Storia degli studi Sebbene il territorio in esame sia stato oggetto di interesse, anche se limitato ad alcuni complessi monumentali da sempre noti o visibili ( emissario, navi, santuario), già a partire dal XV sec. quando compaiono alcune rapide, ma attente annotazioni nei Commentari di Enea Silvio Piccolomini (Enea Silvio Piccolomini, papa Pio II, I Commentarii, a cura di Luigi Totaro, Milano 1984, coll. 2240, 2242), tuttavia ancora per tutto il XVIII e parte del XIX sec. non abbiamo che descrizioni di rinvenimenti più o meno casuali di strutture o materiali venuti in luce soprattutto nelle aree del santuario, della villa in località S. Maria o provenienti dalle navi;

49 osservazioni e descrizioni sommarie dell'emissario ed inconcludenti polemiche fra gli studiosi, nonché spesso fantasiose ipotesi, sulla collocazione del santuario o sull'uso e l'attribuzione delle navi imperiali. Un articolo del Rosa, pubblicato nel 1856 ( P. ROSA, Relazione dei ruderi esistenti in prossimità del lago di Nemi come i più corrispondenti al tempio di Diana Nemorense, MonInst, 1856, pp. 5 - 8, tav. II), può essere considerato il primo, ed ancora per lungo tempo l'unico, contributo scientifico sul territorio, portando alla definitiva identificazione del santuario con i resti esistenti in località II Giardino. Qui a partire dal 1885- 86 fino al 1924-28, vennero intrapresi scavi più o meno sistematici (e purtroppo, almeno nel caso di quelli ottocenteschi, generalmente finalizzati al recupero di oggetti preziosi più che alla reale comprensione delle strutture venute in luce) che causarono la dispersione della maggior parte dei materiali rinvenuti in collezioni e musei esteri, nonché in raccolte private. In quest'ultimo caso le relazioni di scavo pubblicate per lo più sulle Notizie degli Scavi di Antichità (anni 1885, 1887, 1889, 1895, 1931), restano pressoché l'unica e preziosa testimonianza di molti oggetti di grande valore storico e artistico ormai scomparsi. Nel 1910 e nel 1948 vedono rispettivamente la luce le opere del Tomassetti (G. TOMASSETTI, La campagna romana antica, medioevale e moderna, II, Firenze 1975, 2.a ed., p. 307 ss.) e del Galieti (A. GALIETI, Contributi alla storia della diocesi suburbicaria di Albano Laziale, Città del Vaticano 1948, pp. 148-149, 217 ss., 261 ss.) che costituiscono uno strumento fondamentale per la conoscenza della storia del territorio in età medievale. In tempi più recenti meritano di essere ricordate altre due opere: un accuratissimo studio monografico dell’Ucelli (G. UCELLI, Le navi di Nemi, Roma 1950) sulle navi imperiali, ormai quasi unica attestazione dei preziosi cimeli completamente distrutti nel 1944 da un incendio (e già da lungo tempo, prima del definitivo recupero negli anni '20, oggetto di indiscriminate razzie che anche in questo caso portarono alla dispersione all'estero dei molti materiali così rinvenuti); ed una attenta indagine del Coarelli (F. COARELLI, I santuari del Lazio in età repubblicana, Roma 1987, p.165 ss.) sul santuario di Diana, di notevole interesse sia per le osservazioni di carattere storico - religioso, che per quelle archeologico - topografiche. Da ultima, come unico tentativo di descrizione globale (anche se incompleta) dei resti ancora visibili sul territorio, va menzionata l'opera del Devoti (L. DEVOTI, Campagna romana viva. Speculum Dianae. Il Lago della Selva Aricina oggi di Nemi, Frascati 1987) troppo spesso però

50 mancante di scientificità. Si tratta, come si è visto, di ricerche frammentarie ed incomplete, non sufficienti per una conoscenza approfondita degli aspetti storico - archeologico - artistici del territorio.

Proposte d'intervento Obiettivo, quindi, della presente Variante Generale al P.R.G. è di permettere, attraverso una vincolistica attiva sulle aree notoriamente di interesse archeologico, la predisposizione di progetti di scavo e di indagini ricognitive di superficie che consentano, da un lato, l'acquisizione di dati scientifici utili per una più globale comprensione della situazione della zona in età antica e, dall'altro, una fruizione delle presenze archeologiche esistenti controllata e coordinata nell'ambito di un intervento di tutela e riqualificazione del territorio. Tale obiettivo può essere raggiunto mediante la realizzazione di progetti di area che prevedano per le aree ad esempio di: "Le Piagge e i Pini di Tempesta" (sub area S 1a): - ricostruzione, per quanto possibile, delle perimetrazioni dei singoli impianti residenziali ed individuazione all'interno di queste dei vari corpi di fabbrica. "Via Virbia e il Tempio" (area S 8): - destinazione dell'area a Parco archeologico. - scavo e ripristino dei tratti esistenti di basolato del clivus Virbii, finalizzati alla ricostruzione del tracciato di quest'ultima parte del percorso della via antica che dall'Appia conduceva al santuario nemorense. - rimessa in luce delle strutture già scavate e reinterrate alla fine del secolo scorso nell'area del grande terrazzamento inferiore del santuario e saggi di scavo finalizzati all'individuazione di ulteriori corpi di fabbrica nell'ambito della stessa area, che consentano una migliore comprensione del suo assetto nelle diverse fasi edilizie. - preliminare indagine ricognitiva di superficie nella zona sovrastante a Nord il terrazzamento suddetto per l'individuazione e la perimetrazione di una probabile terrazza superiore, nel cui ambito è quasi certamente da ricercare l'edificio di culto principale del santuario, per il quale eventualmente si prevede un intervento di scavo estensivo. - rimessa in luce del piccolo teatro e degli ambienti adiacenti ad esso, già scavati e successivamente ricoperti negli anni '20 nella zona ad

51 Ovest del grande terrazzamento inferiore. - per tutte le strutture già emergenti e per quelle eventualmente rimesse in luce nel corso di nuovi scavi si prevedono lavori di sistemazione per una adeguata fruizione turistica. Tali interventi porterebbero alla ricostituzione dell'unitario antico sistema clivus Virbii - santuario - teatro. "Porta Virbia" (area S 7): - recupero e ristrutturazione del Museo delle Navi, nell'ottica di una sua riqualificazione funzionale come punto di raccolta ed esposizione selettiva dei reperti di scavo o di superficie provenienti dalle aree circostanti (prima fra tutte quella del santuario) ed eventualmente da altre zone archeologiche del territorio in esame, tra cui almeno una parte di quei materiali dispersi, durante il corso degli anni, in altre collezioni museali o private italiane ed estere. Nell'ambito di tale recupero funzionale si prevede anche la destinazione di uno spazio per eventuali esposizioni provvisorie che illustrino il lavoro svolto nei cantieri di scavo operanti sul territorio, e non accessibili al pubblico, aggiornando i visitatori sullo stato di avanzamento delle ricerche. "Lungo lago dell'Emissario" (area S 1O): - destinazione dell'area a Parco archeologico. - controlli sullo stato di conservazione dell'incile dell'emissario. - eventuale ripristino dello stesso con adeguamenti (p.e. illuminazione) finalizzati alla fruizione turistica. - indagini ricognitive di superficie su tutta l'area comunemente attribuita alla villa imperiale, miranti a stabilire i limiti dell'antico impianto. - interventi di scavo nella suddetta area finalizzati all'identificazione dei singoli corpi di fabbrica e ad una ricostruzione più precisa delle diverse fasi edilizie del complesso, già testimoniate dalle fonti e dalle varie tecniche murarie impiegate nelle strutture attualmente emergenti. - adeguamenti del complesso per una opportuna fruizione turistica.

1. CUNICOLO Loc. Fontana Tempesta

Cunicolo scavato nel banco roccioso, attualmente sfociante in un

52 abbeveratoio che sembrerebbe realizzato in parte con laterizi romani di recupero (1). E' molto probabile che si tratti del cunicolo dell'acquedotto che, alimentato dalla sorgente di Fontana Tempesta, percorreva tutto il ciglio occidentale del lago assicurando il rifornimento idrico agli insediamenti di Monte Gentile e del sottostante versante lacustre.

1. Misure del cunicolo: alt. m. 2,50; largh. m. 0,50.

Nel primo tratto visibile, la volta risulta rinforzata con malta.

2. MATERIALE CERAMICO PREISTORICO Loc. Fontan Tempesta: altura adiacente la fonte ad E.

Frammenti di ceramica di impasto, rinvenuti in superficie, che risultano inquadrabili nell'orizzonte cronologico del bronzo finale (XII - XI/X sec. a.C. circa)(1).

1. Cfr. P. CHIARUCCI, Colli Albani, preistoria e protostoria, Doc. Alb., Is., 5, 1978, p. 154.

3. MANUFATTI PREISTORICI

Asce in bronzo del tipo ad alette rinvenute, probabilmente alla metà del secolo scorso, in un punto imprecisato della cavità craterica (1). Acquistate in quello stesso periodo da un collezionista inglese, furono poi vendute nel 1908 al dove attualmente si trovano (2). Inquadrabili cronologicamente nel periodo del bronzo medio (XVI - XIV sec. a.C. circa), i due reperti facevano probabilmente parte di un ripostiglio costituito da sole asce forse finalizzato all'accumulo di metallo. Se da un lato risulta chiara la valenza economica di un simile accantonamento, dall'altra resta da verificare l'ipotesi di un suo significato religioso, eventualmente connesso con i culti delle acque come sembrerebbe suggerire la zona stessa di rinvenimento (3)

1. Non è stato possibile nemmeno verificare se nei pressi della riva o sulle alture adiacenti.

53 2. Nn. Inv. W.G. 1059, 1060.

3. Si cfr. in proposito e per un'analisi più approfondita dei reperti C. GIARDINO, II ripostiglio di Nemi, Doc Alb, II s. 7, 1985, p. 7 ss.

4. AMBIENTE, BLOCCO DI PEPERINO, FRAMMENTI FITTILI Loc. Pontecchio.

Resti di un ambiente a pianta rettangolare (1) con copertura a doppio spiovente, realizzato in calcestruzzo con scaglie di peperino e malta grossolana. Attualmente risulta interrato all'esterno ed in parte reso impraticabile all'interno dal crollo parziale della copertura. Nelle vicinanze si conserva un blocco di peperino (2) e su tutta l'area circostante sono rintracciabili frammenti di materiale edilizio (tegole, coppi, laterizi, cubilia) e di ceramica di età imperiale. Sebbene piuttosto scarsi, i resti sono tuttavia indicativi della presenza di un complesso forse a carattere residenziale, situato su questa altura che gode di una posizione particolarmente panoramica e di notevole interesse paesaggistico.

1. Largh. m. 1,80; lungh. misurabile m. 3,50; alt. m. 1,45.

2. m. 1,28 x 0,46 x 0,20. Altri blocchi simili, ormai obliterati dalla vegetazione, furono visti qualche anno fa dopo un incendio.

5. TAGLIATA STRADALE Sentiero Nemi - Fontana Tempesta

Tratto di sede stradale di circa m. 50 di lunghezza e m. 4,80 di larghezza appositamente intagliata nel banco roccioso. Il manufatto, che con buone probabilità può essere attribuito ad età romana, verrebbe a confermare l'esistenza di un percorso viario, già ipotizzato, che collegava direttamente il santuario nemorense con quello di (1).

1. Crf. L. MORPURGO, in Mon Linc XIII, 1903, col. 316.

54 6. SITO PROTOSTORICO Localizzazione generica nei pressi di Fontana Tempesta

Grotte naturali con tracce di frequentazione umana databili alla III fase dell'età del ferro (770-730/20 a.C.) (1) .

1. Cfr. CHIARUCCI, art. cit., pp. 165-166.

7. CUNICOLO Sentiero Nemi - lago: nei pressi di un fontanile situato lungo il margine del sentiero

Speco di cunicolo con volta a sezione ogivale scavato nel banco roccioso (1). Dopo essersi inoltrato per circa tre metri nel fianco del monte con andamento a questo ortogonale, il manufatto devia sulla sinistra di circa 90°; in questo punto è visibile un cunicolo secondario che si innesta nel principale a m. 0,80 di altezza dal piano di calpestio di quest'ultimo. E' possibile che il cunicolo sia stato realizzato in età antica e che facesse parte di un sistema più ampio che assicurava il rifornimento idrico a questo versante lacustre ed al santuario.

1. Largh. m. 0,82; alt. m. 2,55 (parziale interro).

8. CUNICOLO Sentiero Nemi - lago

Speco di cunicolo scavato nel banco roccioso (1) visibile sul lato a monte del sentiero. L'insolita copertura a profilo rettilineo anziché curvilineo è dovuta probabilmente alla presenza, al di sopra di quelli tufacei, di strati di roccia lavica di più difficile lavorazione. L'andamento del cunicolo è ortogonale al declivio craterico e l'imbocco è stato successivamente chiuso fino ad una certa altezza con un muretto.

55 E' probabile la realizzazione in età antica del manufatto che verrebbe così ad inserirsi nella rete di cunicoli realizzati per il rifornimento idrico di questo versante lacustre (cfr. n. 7).

1. Largh. dell'imbocco m. 1,15; largh. interna dello speco m. 0,65; alt. m. 1,70

9, 21, 42. MANUFATTI PREISTORICI

Selci lavorate attribuibili al Neolitico, rinvenute in tre punti non localizzabili del bacino lacustre (1).

1. Purtroppo la genericità delle descrizioni e la mancanza di documentazione iconografica di questi materiali, rinvenuti nel secolo scorso, non consentono una localizzazione esatta nè alcuna ipotesi di datazione precisa, cfr. L. NARDONI, in BPI, 1876, p. 793; 1878, pp. 97-98; ID.,in Bull Inst, 1880, p. 52 ss

10. MURO SOSTRUTTIVO Versante NE del bacino lacustre: sulla terrazza sovrastante il deposito idrico dell'acquedotto di Nemi.

Muro sostruttivo in calcestruzzo di selce che corre parallelamente al declivio per una lunghezza misurabile di m. 16,50 (alt. m. 2 circa; largh. m. 1,80). Forse la struttura è da mettere in relazione con l'antico sistema di captazione e conduzione delle acque provenienti dalla sorgente delle Facciate di Nemi (cfr. n. 11).

11. STRUTTURA MURARIA Versante NE del bacino lacustre: zona sovrastante le antiche mole.

Struttura muraria in calcestruzzo di selce, avente andamento parallelo al declivio craterico, ben visibile per una lungh. di circa m. 50 ed un'alt. di circa m.2. Il muro sembra però proseguire verso S al di sotto della fittissima

56 vegetazione e forse raggiunge, dopo circa 80 metri, due vecchie cabine di convogliamento dell'acqua (i c.d. "formali"). Nei pressi di queste è visibile un'altra struttura, addossata al pendio e non identificabile, realizzata con scapoli di selce e materiali antichi di recupero. Il muro in calcestruzzo, che sembra avere funzione sostruttiva, è forse da porre in relazione con l'antico sistema idrico collegato alla sorgente delle Facciate di Nemi (cfr. n. 10).

12. ROMITORIO DI S. MICHELE ARCANGELO Zona sovrastante le Mole di Nemi, a ridosso del versante meridionale della rupe su cui sorge il castello

II romitorio è situato in una grotta naturale che, probabilmente durante il medioevo, subì una parziale sistemazione (1). Ancora oggi vi si accede attraverso l'antico ingresso chiuso, alla fine del secolo scorso, con un cancello per impedire l'accesso e l'uso indiscriminato dell'ambiente e preservarlo da ulteriori vandalismi. L'interno (2), pavimentato con lastre rettangolari di peperino e coperto da una volta irregolare a sesto ribassato, è suddiviso in due zone: la prima, a pianta approssimativamente ellittica, destinata ai fedeli; la seconda, di forma tricora, costituente il presbiterio al quale si accede attraversando una balaustra in muratura. L'abside centrale è occupata da un altare a mensa sormontato da un ciborio, entrambi marmorei, che, pur essendo in parte realizzati con materiali di recupero romani, possono essere datati rispettivamente all'età bizantina e romanica. Il fondo del ciborio era poi chiuso da un bassorilievo medievale raffigurante S. Michele che, trafugato nel secolo scorso, è stato sostituito da un grossolano affresco con lo stesso soggetto attualmente in posto. Sulla parete a destra di chi entra e nelle due absidi laterali del presbiterio, sono ancora in parte visibili (sotto una scialbatura probabilmente effettuata nel periodo di riutilizzo a scopi rustici del romitorio a partire dal XVIII sec.) tre degli affreschi commissionati alla fine del '400 da alcuni devoti, i cui nomi (e in un caso anche la data di realizzazione) vengono indicati in iscrizioni dipinte poste sotto le immagini. Vicino all'ingresso sono raffigurati S. Pietro e S. Bernardino, nell'abside sinistra la Crocifissione e nell'abside destra una Madonna in trono con Bambino affiancata da S. Sebastiano e da una figura più piccola di santo non riconoscibile (3). Sebbene sia possibile individuare una mano più

57 frettolosa e grossolana nell'affresco del Calvario ed una più abile negli altri due, si tratta comunque, in entrambi i casi, del prodotto di un’arte popolare che usa un linguaggio formale ormai desueto. Merita però un'attenzione particolare la scena della Crocifissione per due caratteristiche interessanti: una riguarda l'uso tipico della chiesa greco-ortodossa, ispirato ad una leggenda orientale, di raffigurare il teschio di Adamo nelle viscere del Calvario; tale immagine, con le numerose didascalie greche poste accanto alle figure, sembra indicare l'influenza di reminiscenze bizantine, se non si debba addirittura pensare al rifacimento di un affresco bizantino originale, come sembrerebbero suggerire alcuni particolari stilistici. Il secondo motivo di interesse è suscitato dallo sfondo della scena: non si tratta infatti di Gerusalemme, ma della conca nemorense in cui sono raffigurati elementi paesaggistici ed architettonici oggi scomparsi (altri ancora forse potrebbero essere individuati rimuovendo la scialbatura). Sebbene alcuni indizi suggeriscano che la consacrazione della grotta al culto cristiano sia avvenuta anteriormente al XII sec., il primo documento diplomatico che ci attesta l'esistenza della chiesa è una bolla di papa Lucio III del 1183, con cui si conferma ai monaci di S. Anastasio alle Tre Fontane il possesso del castello di Nemi e delle sue dipendenze tra cui figura, appunto, la chiesa di S. Angelo. Le altre notizie sulla storia della cripta-oratorio non sono però anteriori alla metà del XVII sec.; esse ci attestano il suo passaggio alle dipendenze della parrocchia di Nemi e, intorno al 1600, l'affidamento in custodia ad una serie di eremiti che risiedevano in una piccola casa attigua alla grotta. La chiesetta era officiata solo per le feste di S. Michele l'8 maggio e il 29 settembre: in occasione di quest'ultima ricorrenza, che era la più solenne e rimase in uso fino all'abbandono dell'eremo, il parroco ed i fedeli di Nemi vi si recavano in processione, percorrendo un impervio viottolo che scendeva dal paese ancora oggi praticabile. Intorno al 1700, in seguito al deperimento della grotta per dissesti naturali, chiesa ed eremo, evidentemente ritenuti non più sicuri, furono abbandonati finendo in totale rovina (4).

1. Ben visibili ancora i segni lasciati sulle pareti dagli strumenti da lavoro.

2. Per una descrizione più particolareggiata della struttura e degli affreschi, in parte ancora visibili, che la decorano si rimanda ad una attenta analisi del Galieti che visitò il romitorio una cinquantina d'anni fa, cfr. A. GALIETI -Contributi alla storia della diocesi suburbicaria di Albano Laziale, Città del Vaticano, 1948, p. 261 ss. In un recente soprallugo effettuato nel romitorio, è stato possibile accertare che il suo stato di

58 conservazione non è troppo peggiorato rispetto a quando lo vide il Galieti, se non per un consistente aumento dei depositi calcarei sulla volta e le pareti che rendono ormai quasi del tutto illeggibili gli affreschi.

3. Forse anche l'abside centrale era affrescata, prima che vi fosse collocato il ciborio.

4. Dalla chiesa vennero asportati il bassorilievo sull'altare, l'acquasantiera marmorea e la decorazione musiva sull'architrave del ciborio.

13. MOLE Loc. le Mole di Nemi

Si tratta di sei edifici, in differente stato di conservazione, in cui fino agli inizi del secolo si effettuava la macinazione del grano. La costruzione più a valle corrispondente alla prima mola è, secondo testimonianze orali, la più antica, forse risalente al XVII sec. In essa si conserva ancora una macina integra in pietra vulcanica e sono ben visibili il canale di immissione dell'acqua, due vasche di raccolta ed il canale di emissione. L'edificio, come quello sovrastante e ad esso collegato dalla seconda mola, è quasi interamente obliterato dalla vegetazione. Gli altri quattro edifici, tutti situati lungo il margine destro del sentiero che dalla zona di S. Nicola sale a Nemi, risultano più o meno diruti, variamente articolati e non sempre riconoscibili nelle singole parti. Si notano nelle murature materiali antichi reimpieghi (soprattutto laterizi) e vari frammenti di macine per il grano come quella sopra descritta. Purtroppo, allo stato attuale delle indagini, sembra che la documentazione relativa alle mole, di cui ultima proprietaria fu la famiglia Ruspoli (1), sia andata completamente persa. Esse rivestono, comunque, un notevole interesse storico e monumentale e meritano un adeguato restauro che le restituisca, valorizzate ed in migliore stato di conservazione, al paesaggio nemese.

1. Una piccola lastra marmorea con lo stemma della famiglia era ancora visibile, fino a qualche tempo fa, sulla porta di uno degli edifìci.

14. SITO PREISTORICO E SEPOLCRETO CRISTIANO Loc. Orti di S. Nicola (già contrada Molino): proprietà Luigi Camelli (ex proprietà Pésoli).

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Si tratta di sei grotte artificiali, di forma e dimensioni piuttosto irregolari, scavate nel banco di scorie e lapilli a diverse quote dall'attuale piano di campagna (1). All'interno di queste e nel terreno ortivo antistante, nel febbraio del 1884, furono messe casualmente in luce alcune sepolture cristiane a cappuccina con scarsi materiali di corredo, e si rinvennero tracce, probabilmente di frequentazione, di età preistorica (2). La presenza di un sepolcreto di età paleocristiana (V o VI sec. d.C.) è forse da collegare con la donazione costantiniana della massa Nemus alla basilica di Albano (3).

1. Alcune delle grotte sono ora utilizzate come rimessa per attrezzi agricoli e risultano ingombre di materiali di vario genere che impediscono la lettura di eventuali tracce archeologiche superstiti.

2. Cfr. NSc, 1884, pp. 238-239; 1895, pp. 436-438; De ANGELIS D'OSSAT, Grotte cimiteriali antiche presso Nemi laziale, Not. di Archeol. Storia ed Arte della R. Deput. di St. Patria, sez. Velit., 1° sem., 1943, p. 37 ss. (con inquadramento fotografico e geologico del sito). Per un boccale cordonato con corpo a botticella di impasto (forse ascrivibile alla facies di Grotta Nuova o al bronzo tardo) che, con pochi altri resti, costituisce l'unica testimonianza di età preistorica del contesto, si cfr. GIARDINO, art. cit., p. 13. Per le iscrizioni funerarie cristiane su una soglia in marmo ed una in peperino riutilizzate come lastre di copertura di due fosse sepolcrali, cfr. CIL, XIV 2224 a e 2224 b.

3. Cfr. GALIETI, op. cit., p. 1 ss. e p. 24.

15. VILLA ROMANA E CHIESA MEDIEVALE DI S. NICOLA Loc. Orti di S. Nicola

Distribuiti su una vasta area, si trovano sia strutture e ambienti di età rom., probabilmente relativi ad un complesso residenziale con piccolo impianto termale, che pochi resti della chiesa e del convento medievali di S. Nicola (1). I manufatti romani sono in opera reticolata o laterizia, tecniche murarie che indicano almeno due fasi costruttive dell’impianto attribuibili alla fine dell'età repubblicana e, probabilmente, alla prima età imperiale (2). All'estremità settentrionale del piccolo promontorio è visibile un muro

60 in reticolato, forse di terrazzamento, che ad una certa altezza sul livello del lago corre parallelamente alla linea di costa per alcuni metri (3) Poco più a S., all'incirca sullo stesso allineamento, sono presenti due ambienti a pianta rettangolare, coperti con volta a botte, disposti ortogonalmente fra loro ed adiacenti per un lato, ma non comunicanti (4) i vani, realizzati in calcestruzzo con paramento in reticolato di selce testimoniato da un piccolo lacerto superstite, erano probabilmente concamerazioni cieche sostenenti i piani superiori di un edificio, come sembrerebbe indicare una porzione di pavimento in cocciopesto visibile sulla volta parzialmente lesionata di uno degli ambienti. L'andamento del terreno circostante sembrerebbe inoltre suggerire l'esistenza di altre strutture interrate, indicata peraltro anche dall'abbondante presenza in superficie di materiale edilizio frammentario (cubilia, frammenti di lastre marmoree, tessere musive bianche, ecc.). Ancora più a S, in prossimità del fosso di scolo dell'abitato di Nemi, sono visibili altri resti murari in reticolato di selce e laterizio, la cui articolazione ed identificazione non risultano molto chiare (5). Tuttavia, la presenza di due cunicoli (di cui uno forse interpretabile come praefurnium) e di un muro con intercapedine potrebbe indurre ad ipotizzare la pertinenza di queste strutture agli ambienti riscaldati di un piccolo impianto termale. Nell'ambito della stessa proprietà, si conservano anche i resti della chiesa medievale di S. Nicola, e forse del convento annesso, che almeno in parte dovettero impostarsi, riutilizzandole, sulle strutture di età romana (6). E' possibile che questo edificio di culto, intitolato al vescovo di Mira, sia stato eretto dopo l'editto costantiniano (7), tuttavia il primo documento che ne attesta l'esistenza è una bolla dell'antipapa Anacleto II del 27 marzo 1130 (8). Successive bolle papali ed un documento dell'Archivio della Curia vescovile di Albano del 1569 (alla cui diocesi questa chiesa, come le altre di Nemi, apparteneva) testimoniano la continuità di vita del complesso religioso almeno fino al XVI sec. (9). Infine nella proprietà del sig. Luigi Cumelli, situata poco a S del fosso, sono visibili alcuni frammenti di elementi architettonici marmorei variamente reimpiegati per i quali è ipotizzabile la provenienza dal vicino complesso monumentale di S. Nicola (10). Una ruota di macina integra in pietra vulcanica (11) potrebbe invece provenire da una delle antiche mole situate poco più a N di questa zona (cfr. n. 13).

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1. La maggior parte delle strutture è interessata da crolli e da consistenti interri probabilmente in parte causati dai forti smottamenti di terreno verificatisi, in questa ed altre zone del lago, in seguito all'abbassamento del livello delle acque effettuato negli anni Trenta per il recupero delle navi imperiali. Si cfr. in proposito G. UCELLI, Le navi di Nemi, Roma, 1950, p. 58, figg. 56-57.

2. Si cfr. un bollo laterizio frammentario, rinvenuto in questa zona durante alcuni lavori agricoli, databile alla fine del I sec. d.C. (CIL, XV 365 a).

3. E' attualmente impossibile accedere alla struttura e verificarne le dimensioni a causa dell'intricata vegetazione che la circonda. Sulla riva sottostante è visibile un grosso frammento di pavimento in opus spicatum probabilmente crollato dal livello superiore.

4. Misure parziali a causa dei crolli e del forte interro che ingombra gran parte dell'interno dei due vani: m. 1,50 x 3, alt. m. 0,70; m. 2,90 x 2 circa, alt. m. 1,70

5. Anche perché, trovandosi le strutture in una proprietà privata in cui è stato consentito solo un rapido accesso, non si sono potute effettuare misurazioni, una più attenta osservazione né una completa documentazione fotografica. Quest'ultima può essere, però, parzialmente integrata da alcune fotografie realizzate anni fa dal Devoti: cfr. L.DEVOTI, Campagna Romana viva. Speculum Dianae. Il lago della Selva Aricina oggi di Nemi, Frascati 1987, figg. alle pp. 150,153,154.

6. Fra questi resti il più consistente è un muro costruito per lo più con materiali di recupero (laterizi e cubilia, di selce) provenienti dalle strutture di età romana. Il paramento è costituito da una sorta di opera listata realizzata alternando due ricorsi di laterizi a circa cm. 35-40 di muratura in cubilia e scaglie di peperino e selce con uso abbondante di malta grossolana. La struttura è conservata per una lungh. di m. 10,70 ed un'alt. max visibile di M. 3,50.

7. Forse l'intitolazione a S. Nicola, il cui etimo significa "vittorioso sul popolo", non fu scelta a caso, ma con l'intento di testimoniare la vittoria del cristianesimo sull'antico culto pagano di Diana.

8. Con essa si concedevano e confermavano tra l'altro al monastero di San Paolo sulla via Ostiense "ecclesiam sancti Anastasii de fundo Aquas Salvias cum Ecclesia Sancti Nicolai et aliis ecclesiis, quae sunt in massa quae dicitur Nemus &", cfr. I. P. MIGNE, Patr. lat., 179, col. 693.

9. Per questi documenti si cfr. GALIETI, op.cit. pp. 149, 255-257.

10. Si tratta di: un frammento di colonna scanalata in marmo bianco, parzialmente interrato (lung. visibile cm. 36); un frammento di elemento architettonico di forma approssimativamente cilindrica in marmo bianco (lung. cm. 56); una lastra marmorea frammentaria di forma rettangolare, con un incasso rettangolare ad una estremità ed uno circolare a quella opposta (soglia?, cm. 60 x 42,, spess. cm. 5).

62 11. Diam. cm. 133, spess. cm 11.

16. FONDO DI CAPANNA Localizzazione generica a SE del lago

Fondo di capanna scavato nel banco roccioso attribuibile all'età del ferro (III fase ?). Altri manufatti simili situati nella zona sono andati distrutti con la trasformazione della mulattiera Genzano-Nemi in SS Nemorense (1).

1. Cfr. P. CHIARUCCI, art. cit., p. 165. Variante Generale al P.R.G. di NEMI

17.VILLA Loc. Monte Canino: via delle Fornaci, proprietà Passeri.

Strutture in opera quasi reticolata di peperino e selce o in reticolato di peperino sono visibili in alzato nell'ambito della proprietà ed in sezione, per circa 70 metri di lunghezza, nel terrapieno che in questo tratto affianca ad O via delle Fornaci (1). Un lungo muro in opera quasi reticolata con rivestimento in signino, dal quale si dipartono ortogonalmente ad intervalli non regolari piccoli setti murari forse delimitanti una serie di vani aperti sulla fronte, potrebbe aver costituito la parete di fondo di un ninfeo (2). Ad O di questo e sullo stesso allineamento è presente un'altra struttura in reticolato di peperino, nella quale si aprono tre piccole nicchie semicircolari disposte ad una certa altezza dal piano di spiccato (3). Sulla superficie di tutta l'area sono presenti, in quantità considerevole, frammenti di materiale edilizio, di decorazioni architettoniche marmoree (lastre di rivestimento e cornici modanate), di ceramica (impasto, vernice nera, anforacei, sigillata) e tessere musive bianche ed in pasta vitrea. Sono inoltre rintracciabili una colonnina frammentaria di peperino parzialmente interrata (4) e due blocchi parallelepipedi sempre di peperino, venuti in luce durante alcuni lavori agricoli in un terreno situato ad E di via delle Fornaci (5).

63 In base ai resti osservabili, si può ipotizzare la presenza in quest'area di una villa di vaste dimensioni, il cui impianto risalirebbe all'età repubblicana, ma che probabilmente, almeno a giudicare dal materiale ceramico di superficie, ebbe continuità di vita in età imperiale.

1. Alcune di queste strutture risultano tagliate dalla strada, altre corrono parallelamente ad essa.

2. Lung. totale del muro m. 40 circa, alt. visibile (interro) m. 2 circa-orientamento 280°N.

3. La struttura si trova in parte in una proprietà privata confinante con la proprietà Passeri; poiché non è stato possibile accedervi, le misurazioni effettuate sono solo parziali: lungh. m. 20 circa, alt. visibile (intero) m. 2 50 circa. Le nicchie misurano m. 0,80 di largh. e m. 0,90 di alt.

4. Diam. cm. 36, lungh. cm. 60.

5. Misure: m. 1,10x0,43x0,50; 1,17x0,52x0,37

18. MILIARIO Km 31,670 dell'Appia Nuova

In questo punto, in cui la statale per breve tratto corre tangente al tracciato dell'Appia Antica (il cui basolato qui si conserva per circa 100 metri di lunghezza) è ancora visibile in situ la XIX colonna miliaria della via romana, rinvenuta nel 1910 in occasione di alcuni lavori stradali (1). L'iscrizione, attualmente quasi illeggibile, ricorda un restauro dell'imperatore Nerva del 97 d.C. (2).

1. Cfr. A. GALIETI, in: BullCom., 1946-48, p. 121 con bibliografia precedente. Il Galieti non rintracciando in una prima osservazione il numero delle miglia indicato nell'epigrafe pensò, in base ad un complicato calcolo delle distanze, che si trattasse del XVIII miliario, seguito in questa ipotesi dal Tomassetti e dallo Ashby, cfr. A. GALIETI, in BAAR, 1911, p. 139; TH. ASHBY, The in the Classical Times, London, 1970 2a ed., p. 198; G. TOMASSETTI, La campagna romana antica, medievale e moderna, II, Firenze, 1975 2a ed., p. 334.

2. Cfr. AE, 1911, 66. Per la questione relativa ai miliari dell'Appia posti da Vespasiano e rinnovati da Nerva cfr. G. DI VITA EVRARD, in QuadAEI 18, 1990, p. 73 ss.

64 19. STRUTTURA MURARIA Loc. Licino: presso il ristorante "La Fiocina"

Struttura muraria appena affiorante sul piano stradale sterrato della circumlacustre orientale (1). Per quanto visibile, sembra si tratti di due allineamenti paralleli di scapoli irregolari di selce, delimitanti uno stretto spazio intermedio (intercapedine ? canaletta ?). Il manufatto resta di incerta interpretazione e di difficile collocazione cronologica.

1. Lungh. visibile m. 7,90, largh. m. 0,50.

20. PALIZZATE E BANCHINA Versante meridionale del lago: località Licino e Spiaggetta

Reti pertinenti ad una banchina in opera quadrata di peperino e ad un complesso sistema di palizzate lignee, entrambi venuti in luce con il parziale prosciugamento del lago effettuato per il recupero delle navi imperiali (1). La maggior concentrazione di blocchi della banchina è visibile lungo la spiaggetta sottostante il cimitero di Genzano: solo un breve tratto di m. 7,50 circa, distante dall'attuale linea di costa 10 metri, presenta i blocchi ancora in opera su tre filari (per un'alt, tot. di m. 2), disposti irregolarmente per testa e per taglio su un doppio allineamento; sia questi che i blocchi franati hanno dimensioni e forme molto variabili (2). Per un'estensione di circa 200 metri sono poi visibili, sia in acqua che sulla riva, le travi lignee della palizzata (3) e grossi nuclei del calcestruzzo di riempimento dei cassoni, formati da un articolato sistema di palificazioni, disposte parallelamente ed ortogonalmente fra loro su vari allineamenti. Altri resti delle palizzate individuati negli anni Trenta in vari punti del lago (S. Nicola, Pantane, presso la seconda nave) non sono più rintracciabili. Palizzate e banchina ebbero probabilmente funzione di contenimento della sponda e di sostegno di una via circumlacustre (4). D'altro canto,

65 però, l'aspetto monumentale dell'impianto porta a non escludere anche un'ipotesi funzionale avanzata con molta cautela dall’ Ucelli: il potente sistema sostruttivo sarebbe servito a contenere le variazioni di livello del lago quando, grazie alla costruzione dell'emissario, questo venne trasformato in bacino di accumulazione per la regolare irrigazione dei terreni in Valle Ariccia (5).

1. Cfr. G. UCELLI, op. cit., p. 119 ss.

2. Durante i lavori di recupero delle navi, si rinvenne in questa zona anche una piccola imbarcazione quasi completamente schiacciata dai blocchi della banchina.

3. Le travi (di cerro, quercia e abete) emergono attualmente dal terreno per un'altezza variabile da cm. 40 a cm. 60. Ben conservata a tratti anche l'argilla di riempimento delle intercapedini, formate dai doppi allineamenti di travi, impiegata per ottenere l'impermeabilizzazione della zona circoscritta.

4. Il Coarelli, trovando affinità fra la banchina in esame e quella domizianea del lago di Albano, ritiene che anche qui a Nemi essa sia da mettere in relazione con la presenza della villa imperiale, cfr. F. COARELLI, Dintorni di Roma, Bari,1981,p.103.

5. Cfr. G. UCELLI, op.cit., p. 56, nt. 10. In realtà bisogna tener conto che, se tali ipotesi può essere accettata per la banchina in opera quadrata, l'uso del calcestruzzo come riempimento dei cassoni della palizzata esclude che questa possa essere coeva alla costruzione dell'emissario, la cui datazione è ormai comunemente fissata nell'ambito del V sec. a.C. (cfr. n. 25).

22. CUNICOLO Loc. S. Maria: circa 70 metri a S dell'incile dell'emissario

Cunicolo costituente il pozzo d'attacco per lo scavo della galleria dell'emissario (1). Il primo tratto, in forte pendenza, è lungo circa 100 metri ed è coperto da volta a tutto sesto irregolare (largh. m. 0,80, alt. m. 1,20). All'altezza di un camino verticale a pianta rettangolare comunicante con la superficie, inizia il secondo tratto, di altezza variabile, che dopo circa 85 metri in lieve pendenza raggiunge l'asse della galleria principale, nella quale si innesta circa 1 metro al di sopra del livello dell'acqua. Dopo l'apertura della galleria dalla parte del lago, il cunicolo venne probabilmente utilizzato per la manutenzione.

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1. Cfr. G. UCELLI, op. cit., p. 48; ID, L'emissario del lago di Nemi, "Le meraviglie del passato", 1954, p. 395.

23. AULA ABSIDATA Loc. S. Maria

Resti in opera mista di una grande aula absidata, notevolmente interrata ed in gran parte ricoperta dalla vegetazione (1). L'esedra si articola in quattro nicchie semicircolari; sono visibili le tracce di un piano intermedio, forse un corridoio anulare, mentre della volta di copertura si conservano solo gli attacchi. Le pareti terminano in alto con modanature e cornici aggettanti realizzate in laterizio. All'emiciclo si affiancano due corpi avanzati coperti da volte a botte. La struttura (ninfeo ?) potrebbe costituire uno dei corpi di fabbrica di una grande villa disposta su terrazze digradanti verso il lago, alla quale forse appartengono anche altri resti presenti in loc. S. Maria (nn. 24, 26, 27, 28) ed altri ancora, ormai non più rintracciabili, messi in luce nella stessa zona e nelle vigne attigue verso S, fino al confine della proprietà Sforza-Cesarini (2). Le tecniche murarie impiegate riportano almeno a due fasi costruttive del vasto complesso, collocabili tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C. Dalle fonti ci è noto (CIC., Att. VI, 1, 25; XV, 4a, 5; SUET, Caes., 46) che Cesare possedeva una villa in prossimità del lago nemorense, villa che forse costituì il primo nucleo della proprietà imperiale nella zona includente, secondo un'ipotesi del Coarelli, anche il santurario (3). Con adeguate ristrutturazioni, probabilmente l'impianto repubblicano continuò ad essere utilizzato almeno fino all'epoca di Vitellio (TAC., hist., IH, 36) o dei Flavi. Possiamo pertanto proporre, anche se solo a livello di ipotesi, l'identificazione dei resti in loc. S. Maria con la villa imperiale nemorense.

1. La struttura viene a trovarsi in una proprietà privata in cui non è stato possibile accedere. Le dimensioni di seguito indicate sono state pertanto ricavate da un rilievo parziale eseguito in scala 1:100 dalla Soprintendenza Archeologica per il Lazio nel 1983, mentre la descrizione è tratta da NSc, 1888, p. 194 e da DEVOTI, op. cit., p. 25 ss. Misure dell'abside m. 21 di largh., m. 17,50 di prof.

67 2. Cfr. NSc, 1888, pp. 194-196, 393-394; Arch. Sopr. Lazio, Nemi a.d., doc. n. prot° 497 .E. 11 del 27/07/1911.

3. Cfr. F. COARELLI, I santuari del Lazio in età repubblicana, Roma, 1987, p. 181.

24. STRUTTURE MURARIE Loc. S. Maria

Resti di strutture murarie, disposte ortogonalmente e parallelamente alla riva, realizzate in calcestruzzo con paramento in reticolato di selce (1). Ipotizzatele una loro pertinenza all'impianto repubblicano della villa imperiale di cui restano considerevoli avanzi in questa zona.

1. Le strutture ortogonali alla riva, che risultano tagliate dal sentiero circumlacustre, sono distanti fra loro m. 4 circa ed hanno uno spess. di m 1,20 ed un'alt. visibile di m. 0,75/0,80; la struttura parallela alla riva e conservata per una lungh. di m. 12 ed un'alt. di m. 0,80.

25. EMISSARIO Loc. S. Maria

Incile dell'emissario costituito da un breve corridoio, rivestito in grossi blocchi di tufo, che immette in una camera a pianta trapezoidale, ugualmente in opera quadrata di tufo, coperta con volta a botte in una fase successiva a quella della costruzione. La camera è dotata di diaframmi in pietra, di cui restano in posto alcuni frammenti, con fori circolari disposti regolarmente per impedire il passaggio di materiali fluitati (1). Da qui, uno speco tortuoso di esigua sezione conduce ad una galleria rettilinea che, dopo 1653 metri, sbocca in Valle Ariccia (2). Lo scavo dell'emissario venne avviato contemporaneamente dalla parte del lago e della valle (3); l'irrilevante differenza finale, sia in planimetria che in altimetria, dei due tratti di galleria, testimonia le notevoli capacità tecniche dei costruttori. Numerosi, lungo il percorso, i pozzi verticali per l'areazione e la manutenzione, come in altri manufatti romani di questo tipo (4). II "sistema emissario" prosegue con altri tronchi che mostrano

68 caratteristiche diverse: il canale all'aperto in Valle Ariccia di 2100 metri, il tortuoso cunicolo che attraversa la dorsale meridionale della conca aricina lungo 600 metri ed il ripido canale sotterraneo di 15 chilometri circa fino allo sbocco del Fosso dell'Incastro presso Ardea (5). Resta insoluto il problema della datazione precisa del manufatto, strettamente legato alle finalità della sua costruzione. Il silenzio delle fonti in proposito costituirebbe per alcuni la prova indiretta che la ciclopica impresa fu compiuta in età preromana; in effetti, la tecnica di costruzione, specialmente quella degli archi in grandi conci irregolari della camera d'imbocco, rivela caratteristiche notevolmente arcaiche, facendo propendere per una data forse anteriore a quella della costruzione dell'emissario di Albano (risalente ai primi anni del IV sec. a.C.). Tale datazione potrebbe in qualche modo confermare l'ipotesi che l'opera sia stata realizzata dagli abitanti dell'Ariccia preromana, con lo scopo di trasformare il lago in bacino di accumulazione per la regolare irrigazione della valle aricina, preventivamente bonificata con lo scavo del cunicolo a meridione (6). Conforterebbero ulteriormente tale ipotesi alcuni espedienti tecnici attuati nella camera di imbocco (ed ancora ben visibili), che probabilmente consentivano il controllo del deflusso delle acque (7).

1. La camera e alta m. 5,50; la largh. è di m. 2,34 nel punto più ampio e di m. 0,62 m quello più stretto. E' possibile che i diaframmi venissero utilizzati anche per regolare il deflusso delle acque mediante opportuna chiusura o apertura dei fori.

2. II lungo percorso presenta solo tre deviazioni: la prima realizzata in un momento successivo per sostituire un tronco occluso da una frana; la seconda e la terza eseguite in fase di costruzione per aggirare estese zone basaltiche.

3. Ancora visibili i segni lasciati dagli strumenti da lavoro nella direzione dei due opposti avanzamenti.

4. Ad esempio gli emissari di Albano e del Fucino

5. Occasione per uno studio approfondito dell'emissario, da sempre noto ma oggetto solo di cenni generici e descrizioni incomplete, fu il ripristino effettuato in occasione del recupero delle navi imperiali, cfr. G. UCELLI, op. cit., p. 45 ss.

6. II prosciugamento della palude aricina e la creazione di un bacino di accumulazione nella conca nemorense costituirebbero, pertanto, il più antico esempio di bonifica integrale.

7. Cfr.nt.51

69

26. CISTERNA Loc. S. Maria

Grande cisterna parzialmente costruita in trincea nel declivio craterico nel senso della longitudine (1). La pianta è rettangolare, suddivisa in due navate coperte con volta a botte da una fila di sette pilastri quadrangolari su cui poggi archi a sesto acuto. All'interno setti e contrafforti sono addossati a ciascun lato lungo un contrafforte ad ogni lato breve, mentre la parete a valle presenta anche nove contrafforti esterni (2) La struttura è realizzata in calcestruzzo con scapoli di selce paramento interno in reticolato, mancante solo nella parete longitudinale addossata alla roccia; il rivestimento in signino presente ovunque fino all'imposta delle volte, forma i consueti cordoli negli spigoli e smussa gli angoli. Sulla volta della navata a monte si aprono due pozzi circolari con paramento in reticolato (di cui almeno uno forse destinato all'immissione dell'acqua), mentre in quella a valle sono presenti due aperture rettangolari (probabilmente utilizzate per transitare operai e materiali), chiuse già in antico con calcestruzzo ad ultimazione dei lavori. Lo stato di conservazione della struttura è buono; solo in un punto la volta ha ceduto. Notevole l'interro (circa 1 metro) che non consente di stabilire se il piano pavimentale fosse inclinato (3). E' probabile che la cisterna, la cui capacità è stata calcolata intorno ai 1000 m3, fosse alimentata dalla sorgente di Fontana Tempesta e rifornisse la villa imperiale che sorgeva in questa zona. E’ proponibile, pertanto, una datazione al I sec. a.C., forse con rimaneggiamenti nel I sec. d.C.

1. Impossibile attualmente osservare la struttura perché completamente obliterata dalla vegetazione. Si cfr. pertanto L. DEVOTI, op. cit., p. 18 ss.

2. Misure: lungh. m. 34,30, largh. m. 7,70, alt. max visibile m. 5; lato dei pilastri m. 1,20.

3. Anche questi dati sono stati ricavati dalla descrizione contenuta nell'opera del Devoti, la cui prima edizione risale ormai ad una decina di anni fa DEVOTI, Speculum

70 Dianae. Antiche memorie sulle rive del lago di Nemi, Roma 1980, p. 10 ss.

27. SOSTRUZIONE Loc. S. Maria

Poderoso muro sostruttivo contraffortato (lungh. m. 200 circa) (1), realizzato in opera quasi reticolata. Circa metà della sua estensione si apre, ortogonalmente ad esso, una galleria (con le pareti rivestite in reticolato di selce e volta a tutto sesto nel primo tratto ed a sesto ribassato nel secondo) in cui a sua volta si innesta un condotto fognante a cappuccina. Anche questa struttura può considerarsi parte dell'impianto della villa probabilmente di proprietà imperiale, nella sua fase repubblicana (cfr. n. 23).

1. I cinque contrafforti ancora visibili sono larghi m. 1,10 e distano fra loro m. 3,10.

28. AMBIENTI Loc. S. Maria

Resti relativi ad ambienti in opera mista databili al I sec. d.C. e probabilmente pertinenti all'impianto della villa imperiale (1). Nei dintorni si vedono, sotto la fitta vegetazione di rovi, grossi frammenti di calcestruzzo e di signino, tessere musive bianche e nere, frammenti di laterizi.

1. Le strutture si conservano per un'alt. di m. 1,60/2,00 e per una lungh. che oscilla fra m. 2,60 e m. 10 circa.

29. NAVI IMPERIALI

Nello specchio d'acqua antistante il versante nord-occidentale del lago, a cavallo degli anni Trenta, furono tratti dal fondo del lago i relitti di due navi monumentali di età imperiale.

71 La lunga serie di tentativi di recupero, iniziata nel 1446 ad opera di Leon Battista Alberti su incarico del cardinale Prospero Colonna, per il carattere depredativo delle varie imprese, comportò la continua espoliazione dei materiali facilmente asportabili con grave danno per l'incolumità degli scafi (1). Inoltre, gran parte degli oggetti così recuperati finì dispersa in collezioni private e vari musei europei; solo alcuni di quelli tratti in superficie da Eliseo Borghi nel 1895 furono acquistati dal Museo Nazionale Romano. Finalmente nel 1927, attuando un progetto di recupero già proposto nel 1896 dall'ing. Malfatti, si effettuò il parziale prosciugamento del lago per mezzo di due impianti idrovori che convogliarono le acque nell'emissario, per l'occasione ripulito e reso nuovamente funzionalmente. Nel settembre del 1929 emerse la prima nave, che fu tratta in secco e protetta da un capannone; nell'ottobre del 1932 emerse anche la seconda nave che venne portata a riva a fianco della prima. Così giacquero, cominciando a deteriorarsi fino al 1936 quando finalmente trovarono giusta collocazione nel nuovo museo appositamente progettato dall'archi. Morpurgo (2). Purtroppo un devastante incendio doloso sviluppatesi durante la notte del 31/05/1944 (forse appiccato in circostanze mai chiarite dalle truppe tedesche in ritirata) causò la fatale rovina degli scafi e di parte delle decorazioni; si salvarono solo quei reperti mobili che, per volere dell'allora soprintendente Salvatore Aurigemma, erano stati trasportati al Museo Nazionale Romano (3). Le "navi" dell'imperatore Caligola (4) erano in realtà dei galleggianti a fondo piatto di eccezionale grandezza, adatti alla navigazione lacustre ed a sostenere vere e proprie costruzioni in muratura. Il fasciame in legno di pino degli scafi era esternamente rivestito di lana catramata, a sua volta ricoperta di sottili lamine di piombo fissate con chiodi di rame, rinvenuti in gran numero. Sulla prima nave recuperata, di dimensioni minori (m. 71,30 x 20 x 2), era quasi sicuramente presente un impianto termale; a poppa dovevano trovarsi gli ambienti chiusi, mentre a prua (dove si rinvenne una concentrazione di elementi decorativi) probabilmente si ergevano edicole e padiglioni. Il secondo scafo (m. 73 x 24 x 2,50), in peggiore stato di conservazione del primo mancando il ponte e parte del rivestimento in lamine di piombo, presentava una perfetta simmetria di prua e poppa che permetteva agili spostamenti nel piccolo specchio lacustre, grazie alla semplice inversione di marcia dei timoni; questi si trovavano all'estremità

72 di una balaustra, o aposticcio la cui funzione resta incerta (punto di appoggio dei remi o camminamento esterno del natante). Il rinvenimento di elementi decorativi marmorei e fittili e di cerniere per porte e finestre testimonia la presenza di ambienti e padiglioni riccamenti adornati anche su questa nave. Di grande interesse per lo studio dell'architettura navale antica, fu il recupero, oltre che degli scafi, anche di numerosi macchinari ed attrezzature di bordo: la noria, la pompa a stantuffo, un rubinetto bronzeo a spina d'acqua (forse destinato con le fistule plumbee ad un impianto di acqua corrente a bordo), il bozzello della seconda nave utilizzato per il deflusso dell'acqua dai ponti, le piattaforme girevoli per il sollevamento di grossi pesi, i timoni. Inoltre, a circa 200 metri dalle navi, si rinvennero nel 1930 anche due ancore: una lignea con ceppo fisso di piombo ed una in ferro con guaina di legno a ceppo mobile che destò grande sorpresa fra gli studiosi, perché si riteneva che questo tipo fosse stato inventato dalla marineria inglese nell'Ottocento. Ricchissime dovevano essere, come già accennato, le decorazioni che abbellivano le navi: oltre i mosaici, i marmi policromi, le antefisse e le lastre fittili a rilievo, le tegole di bronzo dorato, ne sono testimonianza le cassette bronzee che rivestivano le testate di travi e timoni, decorate con teste ferine e di medusa o con mano tesa apotropaica, ed una balaustra formata da erme bifronti di menadi e satiri accoppiate a sileni, collegate da transenne. Alcune delle monete rinvenute proverebbero che le navi restarono in uso almeno fino al periodo neroniano. Poi, dopo il loro abbandono, saccheggiate (5) e senza più manutenzione, affondarono. Molte sono le ipotesi, più o meno fantasiose, proposte dai vari studiosi sull'uso delle navi; la più probabile è che si trattasse di veri e propri "palazzi galleggianti" destinati a feste acquatiche, del tipo che conosciamo non solo per lo stesso Caligola (SUET, Cal.,37), ma anche per Nerone e Domiziano (TAC., ann., XV, 37; PLIN., Paneg., 82, 1-3) (6).

1. Dopo quello dell'Alberti, gli altri tentativi di recupero vennero effetuati nel 1535 da Francesco De Marchi, nel 1827 da Annesio Fusconi, che si immerse con una rudimentale campana batiscopica, e nel 1895 da Eliseo Borghi che, su incarico del principe Orsini, riprese le ispezioni ed i sondaggi per mezzo di un palombaro, arrivando all'individuazione sicura della seconda nave.

2. Anche se la sistemazione definitiva, con tutti i materiali recuperati dal fondo del lago,

73 si ebbe solo nel 1939. Il "Museo delle Navi Imperiali del lago di Nemi" fu il primo museo appositamente costruito in funzione del materiale esposto e costituisce un interessante esempio di architettura tardo-razionalista italiana.

3. Quali l'ancora a ceppo mobile, i bronzi, le attrezzature e gli impianti di bordo. Nel 1953 il museo fu riaperto ed accolse questi materiali insieme a due modellini in scala 1:5 delle navi, realizzati dal Genio Navale di Castellamare di Stabia. Ma lo stato di degrado dell’edificio costrinse ad una nuova chiusura nel 1963, con il trasferimento in deposito presso il Museo Nazionale Romano della maggior parte dei materiali. Nel dicembre del 1988 si è inaugurata la parziale riapertura del museo, dove però tuttora mancano gli oggetti più preziosi ed interessanti (quali ad esempio i bronzi decorativi ed il vasellame) che si trovano ancora al Museo Nazionale Romano, ai Musei Vaticani e al British Museum.

4. L'iscrizione C. Caesarìs Aug. Germanic, presente su cinque fistule plumbee rinvenute nel 1895 e nel 1929 a bordo della prima nave, ed alcuni bolli laterizi hanno consentito tale attribuzione.

5. Nel luglio del 1930, sotto la chiglia della prima nave, si rinvenne una piccola imbarcazione carica di materiali asportati da questa e che probabilmente era affondata per l'eccessivo peso del carico trasportato.

6. Bibliografia essenziale sulle navi: UCELLI, op. cit. (con ampia bibl. precedente) e da ultima G. CAPPELLI, Materiale decorativo delle navi di Nemi, DocAlb, IIs., 3, 1981, p. 63 ss.

30. CISTERNA

Resti di una piccola cisterna parzialmente costruita in trincea nel declivio craterico (1). La pianta è rettangolare, suddivisa in due navate con volta a botte per mezzo di due pilastri quadrangolari che determinano tre passaggi a piattabanda (2). La struttura è realizzata in calcestruzzo con scapoli di peperino e tufo, rivestito da paramento in reticolato solo all'esterno della parete a valle (l'unica costruita completamente in muratura), mentre all'interno è direttamente rivestilo in signino ed intonaco (di cui restano tracce notevoli), che formano il consueto cordolo negli spigoli. Nella parete N, al di sotto della volta, si apre un foro quadrangolare (cm. 50 x 30 circa) forse utilizzato per l'immissione dell'acqua. Per quanto riguarda lo stato di conservazione, appare integra la

74 navata a monte, tranne che per un piccolo crollo della volta all'estremità SO; interamente crollata, invece, è la volta (di cui si conservano solo gli attacchi) della navata a valle, dove è andata parzialmente distrutta anche la parete esterna. Il pavimento, infine, è ricoperto da un consistente interro. E' probabile che la cisterna, databile tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C., fosse alimentata dalla sorgente di Fontana Tempesta, e forse in qualche modo collegata al complesso della villa imperiale in loc. S. Maria.

1. Cfr. L. DEVOTI, op. or., pp. 40-41.

2. Misure: lungh. m. 9,50, largh. m. 5,50, alt. max visibile m. 2,50; largh. Della navata m. 2,25; pilastro m. 0,80 x 1,20.

31. BASOLATO S.P. n. 79/b Via. di Diana

Tratto di basolato lungo circa m. (1). Nel 1973 era ancora visibile la crepidine in selce del margine stradale verso il lago. Si tratta del basolato dell'antico clivus Virbii che, staccandosi alla sinistra dell'Appia, conduceva al santuario di Diana.

1. Cfr. Arch. Sopr. Lazio, ARI/IH A. C. 6. 014

32. CHIESA DI S. MARIA Loc. S. Maria: presso la Casetta dei Pescatori

Qui sorgeva la piccola chiesa di S. Maria, la cui esistenza è attestata per la prima volta in una bolla di papa Lucio III del 1183, con la quale si conferma ai monaci di S. Anastasio alle Tre Fontane il possesso del castello di Nemi con le sue dipendenze. Dal 1579 al 1637 la chiesa, a cui era precedentemente annesso un romitorio, fu tenuta in custodia dai Cappuccini che però, in quell'anno, si trasferirono nel nuovo convento fatto erigere per loro da Giuliano Cesarini a Genzano (1) portando con sé anche il bei trittico bizantino con

75 l'immagine della Vergine (detta di Versacarro) e degli Apostoli Pietro e Paolo. Il quadro, oggetto di viva devozione da parte della popolazione di Nemi, dopo molte suppliche, fu ad essa restituito in quello stesso anno e collocato nel 1645 in una nuova chiesa (oggi detta del Crocefisso), fatta appositamente erigere dal marchese Mario Frangipane, dove ancora oggi si trova (2).

1. Per la costruzione della nuova sede vennero utilizzati in gran parte i materiali del vecchio convento, causandone la totale distruzione. E' per questo che, eccettuate due cisterne ancora funzionanti negli anni Quaranta, non resta più alcuna traccia dell'antica chiesa e del suo convento presso la riva del lago. Per una minuziosa esposizione delle vicende storiche riguardanti S. Maria si cfr. GALIETI, op. cit., pp. 217 ss. e 256.

2. Purtroppo però incompleto, poiché nel 1975 le immagini laterali del trittico (S. Pietro e S. Paolo), separate da quella centrale nel 1811, sono state trafugate da ignoti ladri

33. BASOLATO Loc. La Varca

Piccolo tratto del basolato del clivus Virbii visibile in sezione in un terrapieno all'interno di una proprietà privata. Il tracciato stradale antico si trova qui ad un livello superiore di circa 3 metri ed arretrato di circa 10 metri verso monte rispetto all'attuale via di Diana che infatti da questo punto, e fino all'area del santuario, non coincide più col percorso del clivus come nel tratto precedente.

34. BASOLATO Loc. La Varca

Breve tratto di basolato con orientamento a 30°N, ben conservato per una lungh. di m. 2 ed una largh. di m. 1,80 circa. Numerosi i basoli divelti visibili nei dintorni, erratici o reimpiegati nelle macere circostanti. Il basolato è pertinente al clivus Virbii

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35. STRUTTURA IN CALCESTRUZZO Loc. La Varca

Piccolo rudere quadrangolare, ridotto al solo nucleo in calcestruzzo con scapoli di selce, di un edificio non identificabile (sepolcro ?)

Alt. 3,20 circa dall’attuale piano di calpestio (interro notevole).

36. BASOLATO Museo delle Navi Romane di Nemi

Resti di basolato conservati sia all'interno che all'esterno del museo, aventi orientamento 250° N. I tratti visibili all'interno dell’edificio, lunghi m. 16,50 e larghi m. 2,45, conservano entrambe le crepidini in selce ed un marciapiede basolato come il piano stradale. Il tratto esterno, visibile per una lungh. di m. 10,50 ed una largh. Di m. 2,40, è invece privo di crepidini. Si tratta di alcuni resti del Clivus Virbii o Aricinus che, staccandosi alla sinistra dell'Appia probabilmente all'altezza dell'attuale abitato di Genzano, conduceva al santuario di Diana percorrendo il versante occidentale e settentrionale del bacino lacustre (1). II punto di distacco e la prima parte del clivus non sono noti, mentre è possibile seguirne il percorso, grazie a tratti di selciato e tagli nella rupe, lungo la moderna via di Diana (S.P. n. 79/b) che, per circa 2 Km fino alla Casetta dei Pescatori, ripete il tracciato antico (2). Oltre a questi resti ed a quelli visibili internamente ed esternamente all’edificio museale, ci è noto probabilmente il tratto terminale della via, messo in luce durante gli scavi effettuati nel 1885 nell'area del santuario. Qui il clivus correva parallelamente al lago NO del grande terrazzamento, con una sede stradale larga m. 6,10 che presentava due pavimentazioni sovrapposte e risultava affiancata su entrambi i lati da una fila di pilastri in peperino distanti fra loro m. 5,15 e, su un solo lato, da un marciapiede largo in media m. 1,50 (3).

77 L'esistenza di portici laterali, facilmente ricostruibili per la presenza dei pilstri, ha indotto ad ipotizzare che ci fosse stata l'intenzione di creare, nella parte adiacente all'area sacra, una sorta di via tecta per le processioni solenni (4).

1. E' questa la via a cui probabilmente si riferisce Strabone (V, 3, 12) quando indica la posizione del santuario e che viene descritta da alcuni autori antichi come una strada molto frequentata dai pellegrini e per questo sempre affollata di mendicanti: cfr. MART., Ep. II, 19, 3-4; Ep. XII, 32, 10; GIOV., Sat. IV, 117-118; PERSIO, Sat. VI, 55- 56.

2. Questo lungo tratto fu visto in migliore stato di conservazione da alcuni studiosi del secolo scorso: cfr. W. GELL, The topography of and its Vicinity, London, 1846, II, pp. 114-116; A.NIBBY, Analisi storico-topografica-antiquaria della Carta dei dintorni di Roma, Roma 18492, p. 397: L. MORPURGO, op. cit., coll. 314-316; TOMASSETTI, art. cit., p. 315

3. Cfr.NSc, 1885, p.227

4. Cfr. COARELLI, op. cit., p.173

37, 38, 39. MATERIALE CERAMICO PROTOSTORICO Località La Valle e II Giardino

Materiali ceramici databili alla fine del VII sec. a.C., la cui tipologia e disposizione hanno indotto ad ipotizzare la presenza in questa zona di un deposito votivo che, significativamente, verrebbe a trovarsi nell'area del futuro santuario 7(1).

1. Cfr. P.G. GIEROW, The Iron Age Culture of Latium, II, 1, Lund, 1964, pp. 361-364. In base a tale ipotesi, si potrebbe pensare di localizzare già in età protostorica in quest'area, e non altrove come proposto, la sede del culto di Diana.

40. SANTUARIO Loc. Il Giardino

I pochi resti attualmente visibili del santuario nemorense sono attribuibili ad un rifacimento tardo-repubblicano (1) Si tratta di poderosi

78 muri in opera incerta di tufo articolati da nicchioni triangolari, come quello che sostruisce l'ampia platea verso il lago, o semicircolari, come quelli che la circondano in corrispondenza dell'angolo nord-orientale; di un basamento di edificio templare (portato di recente nuovamente in luce al di sotto di un casale moderno), situato nel settore nord-occidentale della terrazza, costituito da un podio di blocchi di peperino con modanature a kyma reversa (2) a cui si sovrappone una muratura in calcestruzzo rivestita in blocchi posti per testa e per taglio; infine, di un portico monumentale con colonne in opera incerta e mista sostenenti una trabeazione dorica in peperino, rinvenuto durante recenti indagini (1989) intraprese dalla Soprintendenza Archeologica per il Lazio nell'angolo nord- orientale del santuario (3). La storia dei rinvenimenti e degli scavi (più di rapina che scientifici) nell'area del santuario inizia alla fine del secolo scorso (4) e purtroppo registra la dispersione della maggior parte dei materiali rinvenuti in collezioni e musei esteri (Palma di Majorca, Copenaghen, Boston, Nottingham, Parigi), mentre rimangono in Italia solo alcuni reperti attualmente conservati a Nemi (Palazzo Ruspoli, Museo delle Navi Romane) ed a Roma (Museo Nazionale Romano, Museo di Villa Giulia). Le campagne di scavo effettuate nel 1885-86 da Sir John Savile Lumley e Luigi Boccanera, nel 1886-87 e nel 1895 da Eliseo Borghi e tra il 1924 e il 1928 da Edoardo Gatti della Soprintendenza alle Antichità di Roma, rivelarono ampi settori del grande terrazzamento (5). Anche se la documentazione, soprattutto quella grafica, degli scavi ottocenteschi è purtroppo assai carente, i dati in nostro possesso sono però sufficienti almeno per tentare una ricostruzione nelle grandi linee della storia edilizia di questo settore (6). Le strutture più antiche finora messe in luce, realizzate in muratura a sacco con paramento in opera incerta di tufo piuttosto regolare, non sono databili anteriormente alla fine del II o agli inizi del I sec. a.C. Pertanto, il primo impianto del santuario a noi noto è quello del periodo tardo- repubblicano, che comportò la realizzazione di grandiosi rifacimenti a cui si deve l'attuale aspetto monumentale del complesso. Venne creato un vasto terrazzamento rettangolare (m. 300 x 150) sostruito sulla fronte da un poderoso muro a nicchioni triangolari e delimitato lungo tutto il lato di fondo e la metà posteriore di quelli lateriali da una sorta di podio sopraelevato sostenente un grande portico dorico a colonne; questo era chiuso posteriormente da un muro, articolato in una serie continua di nicchioni semicircolari, destinato a sostenere la spinta della collina retrostante e probabilmente anche una terrazza superiore

79 vista e rilevata dal Rosa alla metà del secolo scorso (7). All'interno della grande platea gli scavi misero in luce una serie di strutture, sempre pertinenti a questa fase dell'impianto, che risultano spesso di difficile interpretazione. Nel settore nord-occidentale era situato un grande edificio a pianta rettangolare molto allungata (m. 30 x 15,90), apparentemente suddivisa in tre settori da muri trasversali (8), con pronao a colonne scanalate di peperino rivestite di intonaco e podio in blocchi di peperino modanato nella parte inferiore (cfr. supra) (9). Alcuni ambienti probabilmente di servizio si disponevano lungo il lato breve nord- occidentale, dove si rinvenne anche il tratto finale porticato del clivus Virbii (10), mentre un altro portico attraversava obliquamente la terrazza, in apparenza diretto verso il grande edifìcio sopra descritto (11). Alla fine del I sec. a.C. o agli inizi dell'età augustea (12), sono riconducibili alcune trasformazioni attuate nel portico nord-orientale dove, chiudendo lo spazio compreso tra il muro di fondo e le colonne, venne creata una serie di celle donarle (13). In età giulio-claudia si registrano altri interventi in questo stesso settore: uno dei sacelli viene restaurato e probabilmente destinato ad altro uso, poiché vi trovano posto numerose statue ed erme-ritratto (databili dall'età tardo-augustea-tiberiana a quella claudia), alcune delle quali riferibili ad attori che forse esercitarono la loro professione nel piccolo teatro situato ad O dell'area sacra. Un'ampia esedra semicircolare con tré nicchie viene poi ricavata ad O del precedente sacello, forse per essere adibita al culto imperiale poiché, molto probabilmente al suo interno, si rinvennero una statua di Tiberio ed una testa di Germanico (14). Sempre alla prima età imperiale si deve ricondurre, in base alla documentazione epigrafica, la costruzione su tutta l'area della terrazza di numerosi sacelli, alcuni dei quali dedicati a divinità orientali come Iside e Bubastide (15) l'Artemide Persiana (16). Se con l'età giulio-claudia, ed in particolare con Caligola, il santuario visse la sua fase di maggior splendore monumentale, interventi imperiali e dediche ad imperatori sono attestati epigraficamente fino ad Adriano (17); un passo di Appiano (bell. civ., V, 24, 97), inoltre, ci testimonia che il santuario era considerato ancora particolarmente ricco in età antonina e sappiamo che esso rimase in uso almeno fino al III sec. d.C. Delle fasi edilizie del complesso precedenti la ristrutturazione tardo- repubblicana non si hanno tracce monumentali. L'antico culto locale di Diana va forse già collocato sulla riva settentrionale del lago, e non altrove come da alcuni proposto, alla fine del

80 VII - inizi del VI sec. a.C., in base a quanto sembrerebbe suggerire la presenza di materiale probabilmente votivo qui rinvenuto (18). Testimonanze letterarie ed archeologiche indicherebbero la fondazione del santuario vero e proprio, come centro politico-religioso della lega latina, intorno al 500 a.C.(19). Dallo scioglimento di questa nel 338 a.C., il culto andò sempre più perdendo la sua importanza politica ed acquisendo piuttosto connotazioni salutari e femminili, come indicano chiaramente i numerosi denari rinvenuti, databili tra il IV ed il II sec. a.C. Modellini fittili templari e lastre in bronzo, decorate a rilievo con motivi geometrici e vegetali, testimoniano per l'età medio-repubblicana l'esistenza di un tempio di tipo etrusco-italico "aperto", quale ci viene descritto da Vitruvio; iscrizioni, numerose monete di coniazione campana e materiali di ogni genere attestano, inoltre, l'ininterrotta ed intensa frequentazione del centro religioso anche in questo periodo (20). Ad O dell'area sacra, nel I sec. a.C., fu costruito un piccolo teatro che ebbe rifacimenti nel II e nel III sec. d.C. L'edifìcio, venuto in luce nel 1924 durante alcuni lavori agricoli e successivamente scavato dalla Sovrintendenza alle Antichità di Roma (21), aveva la cavea rivolta verso N ed era circondato da una serie di ambienti, tra cui un ninfeo nel quale si rinvennero alcune fistule plumbee con il nome di due personaggi forse identificabili con i proprietari del complesso. E' probabile, infatti, che, da un certo momento in poi (forse con Caligola), l'impianto residenziale di proprietà imperiale, di cui doveva far parte il teatro, sia passato in proprità privata (22). Le piccole dimensioni dell'edificio (diam. della conca m. 28), ed analoghi esempi inseriti in lussuose ville tardo-repubblicano o imperiali, ne confermano il carattere privato e probabilmente un uso limitato a spettacoli collegati con il culto di Diana (forse anche il duello rituale del ).

1. Per lo più le strutture venute in luce durante gli scavi del 1895 e degli anni Venti sono state successivamente interrate: cfr. NSc, 1895, pp. 106-108, 206, 232, 324, 424-436; MORPURGO, art. cit., coll. 297-368; EAD., in NSc, 1931, pp. 237- 305).

2. Conservato per una lungh. di m. 3 ed un'alt, di m. 2,20.

3. Le colonne del portico, conservate per un'altezza di oltre 2 metri, sono rivestite di intonaco rosso a finte scanalature; la trabeazione è costituita da capitelli ad echino schiacciato e da architrave a metape e triglifi. Fra il colonnato ed il recinto a nicchioni

81 semicircolari del lato lungo di fondo, è inoltre venuto in luce un muro intermedio realizzato con la stessa tecnica edilizia, in cui si aprono passaggi regolari e che risulta collegato al portico di un tetto. I resti possono essere datati alla fase tardo- repubblicana del complesso e ad un restauro adrianeo, confermato da un'iscrizione dedicatoria rinvenuta nel 1871 tra le volte franate del portico, cfr. EphEpigr, IX, 651.

4. Prima di quel periodo si ha notizia di un solo scavo commissionato nel 1637 dai Frangipane, allora signori di Nemi, che portò al rinvenimento di materiale fittile votivo: si cfr. J.G. GRAEVIUS, Thesaurus, Venezia 1732-1737, XII, pp. 752-757.

5. Per l'ampia bibliografia relativa a questi scavi si cfr. G. CAPPELLI, Note sul tempio di Diana a Nemi, DocAlb, II s., 9, 1987, note 14-31.

6. Si cfr. in proposito COARELLI, op. cit., p. 165 ss. anche per le interessanti considerazioni di ordine storico e religioso sul complesso nemorense.

7. Cfr. P. ROSA, Relazione dei ruderi esistenti in prossimità del lago di Nemi come i più corrispondenti al tempio di Diana Nemorense, MonInst, 1856, pp. 5-8, tav.II. A parte la testimonianza del Rosa non abbiamo altre notizie ne elementi archeologici che ne confermino l'esistenza. Secondo il Coarelli però, la presenza di un terrazzamento superiore potrebbe risolvere il problema della posizione del tempio principale (ancora non identificato tra gli edifici della platea inferiore), che meglio verrebbe a collocarsi sullo sfondo dell'intero complesso a conclusione dei percorsi processionali; nonché il problema della sua particolare pianta a cella trasversale descritta da Vitruvio (de arch., P/, 8, 4),giustificabile solo in condizioni limitate di spazio, quali potrebbero essere quelle di una terrazza superiore addossata al colle. Inoltre, ".... un impianto costituito da terrazzamenti successivi, con caratteristiche e funzioni diverse, ma integrati in un'unica successione prospettica e gerarchica che si concludeva con il vero e proprio luogo di culto" collocherebbe a pieno diritto il santuario nemorense nel novero dei grandi santuari laziali di età tardo-repubblicana, cfr. COARELLI, op.cit., pp. 171-173.

8. Gli unici due rilievi dell'edificio esistenti risultano non solo. molto schematici e di difficile lettura, ma anche discordanti, cfr. J.F. PULLAN, in Archaeologia, 1887, pi. VII e G.H. WALLIS, Catalogue of Classical Antiquities from the Site of the , Nemi, Italy, Nottingham, 1891.

9. Sembra sicuro il carattere cultuale dell'edificio (probabilmente un sacello), ma la sua posizione decentrata e marginale e la mancata corrispondenza con la descrizione vitruviana del tempio porterebbero ad escludere una sua identificazione con l'edificio di culto principale, cfr. nt. 86

10. Cfr. n. 36.

11. Secondo un'ipotesi del Coarelli basata sui dati letterari, la terrazza inferiore era destinata principalmente ad ospitare il lucus (inteso come radura tagliata entro un bosco, avente connotazioni sacre) che doveva costituire l'elemento essenziale del

82 santuario, cfr. COARELLI, op.cit., pp. 173-174.

12. Per il Coarelli il santuario sarebbe stato incluso nella proprietà nemorense di Cesare, poi passata al demanio imperiale. Con Caligola, la parte della villa adiacente ad O l'area sacra sarebbe stata ceduta a privati e, alla sua morte, Claudio avrebbe concesso l'intera proprietà, santuario incluso, alla famiglia dei Volusii Saturnini, cfr. COARELLI, op.cit., pp. 180-183.

13. Di una conosciamo il nome del committente, M. Servilius Quartus, ricordato nell'iscrizione musiva pavimentale, il quale dedica a Diana tutto ciò che era contenuto nella cella stessa (evidentemente ex voto). Sulle celle donarle in generale e su questo sacello e le numerose statue ed erme-ritratto in esso rinvenute si cfr. M.G. GRANINO CECERE, in Rend Pont Acc, 1988-89 pp. 131-151.

14. Cfr. in proposito GRANINO CECERE, art. cit., nt. 47 anche per l'eventuale presenza di una terza statua (Druso minore ?).

15. CIL, XIV 2215. In età imperiale, soprattutto con Caligola, si diffuse il culto di Iside.

16. Cfr. COARELLI, op.cit., pp. 178-181.

17. Un'iscrizione con dedica a Vespasiano (CIL, XIV 4191) ed un'iscrizione che attesta un restauro adrianeo ad un sacello (EphEpigr., IX 651).

18. Cfr. nn. 37-39.

19. Data che peraltro concorderebbe con quella ipotizzata per la costruzione dell'emissario, la cui presenza risulta indispensabile per evitare gli allagamenti della spianata prospiciente il versante lacustre settentrionale.

20. Anche per le fasi arcaica e medio-repubblicana si cfr. COARELLI, op. or., pp.

21. Cfr. L. MORPURGO, Nemi- Teatro ed altri edifici romani in contrada "La Valle", NSc, 1931, pp. 237-305. Durante gli scavi si rinvennero anche numerose statue e teste marmoree, oltre a quattordici lastre in marmo decorate a bassorilievo con maschere teatrali, armi e motivi vegetali, la cui destinazione non è stata chiarita.

22. Cfr. nt.91.

41. AMBIENTI VOLTATI Loc. Le Grotte

Resti di quattro ambienti in calcestruzzo a pianta rettangolare, coperti da volte a botte, adiacenti ma non comunicanti fra loro (1). L'interro, che raggiunge l'imposta delle volte, non consente di verificare la presenza del rivestimento interno di signino, lasciando incerta

83 l'interpretazione della struttura (cisterna?ambienti sostruttivi?).

1. Lungh. m. 14, largh. da m. 2,50 a m. 3,50.

43. AMBIENTI VOLTATI S.P. Nemi - lago : versante NO del bacino lacustre

Due ambienti a pianta quadrata (1) coperti da volta a botte, adiacenti ma in antico non comunicanti fra loro, costruiti completamente in muratura (calcestruzzo di selce) all'interno di una trincea praticata nel declivio craterico, rispetto al quale i vani si dispongono ortogonalmente. Al centro di entrambe le volte è presente un foro pressappoco circolare (diam. m. 0,80 circa) che sembra essere stato chiuso, almeno da ultimo, in età moderna. Sulle pareti interne sono ancora visibili scarse tracce di intonaco non idraulico. L'interro, per quanto è stato possibile verificare, risulta notevole e maggiore in uno dei due vani, probabilmente per il filtraggio dell'acqua (tuttora esistente) dal terreno soprastante la volta. E' ipotizzabile la presenza di un terzo o forse quarto ambiente, adiacente e ugualmente non comunicante con quelli visibili, se si considera lo sviluppo di circa 22 metri di lunghezza del muro esterno di facciata. Il riutilizzo fino in tempi relativamente recenti dei due vani descritti (forse come ricovero per il bestiame) ha comportato la creazione di un varco sormontato da piattabanda sulla fronte di uno di essi (attraverso il quale ancora si accede all'interno) e di una finestrella quadrangolare in ciascun ambiente, lo sfondamento parziale della parete divisioria e la costruzione di un vascone-abbeveratorio con parapetto in laterizi in uno dei due vani(2). Resta incerta l'identificazione del manufatto: se da un lato, infatti, l'interpretazione delle aperture circolari sulle volte come bocche di immissione per l'acqua può indurre a pensare che si tratti di una cisterna, dall'altro l'assenza di intonaco idraulico, l'orientamento degli ambienti, nonché il fatto che essi non siano comunicanti farebbe escludere questa ipotesi e propendere piuttosto per una loro funzione sostruttiva (3).

84 1. Un ambiente è a pianta quadrata con il lato di m. 5 ed ha un'alt., dall'attuale piano di calpestio al cervello della volta, di m. 3,15. L'altro misura m. 5,45 x 5 di superficie e m. 2,90 di alt, sempre calcolata a partire dall’interno.

2. Questi si presentano attualmente ingombri di resti di attrezzi agricoli, assi di legno e residui di varia natura

3. In questo caso i fori circolari potrebbero aver costituito l'accesso per operai e materiali ed essere stati poi chiusi a costruzione ultimata. Forse riaperti col tempo in seguito a crolli, furono nuovamente chiusi durante la fase di riutilizzo dell'impianto. Non è stato possibile, comunque, verificare la presenza di eventuali strutture sul terrazzamento sostruito dagli ambienti, perché reso impraticabile dalla fittissima vegetazione.

44. VILLA Loc. Le Piagge

Resti di una grande vasca a pianta rettangolare e, per quanto visibile, absidata almeno su uno dei lati brevi (1). E' realizzata in calcestruzzo con paramento interno in reticolato di peperino e nella parte inferiore, in ricorsi di tufelli; ancora ben conservato risulta il rivestimento idraulico in cocciopesto. E' ipotizzabile l'identificazione del manufatto con una fontana forse pertinente ad un ninfeo. A poca distanza, altre strutture in reticolato di peperino, relative ad ambienti variamente articolati, sono appena visibili sotto la fitta vegetazione che ne impedisce la misurazione ed una più attenta osservazione. Su tutta l'area in esame sono rintracciabili frammenti di laterizi, di ceramica, di intonaco dipinto e tessere musive; il terreno mostra, inoltre, un andamento che lascerebbe intuire la presenza di altre strutture interrate. E' ipotizzabile la pertinenza dei resti ad un complesso, forse a carattere residenziale, che ben si collocherebbe in una zona eccezionalmente panoramica come quella delle Piagge e che conserva, d'altronde, altre testimonianze archeologiche di simili impianti (cfr. nn. 46- 47-48).

1. Sebbene il manufatto sia al momento quasi completamente interrato è stata possibile la sua individuazione grazie ad uno scavo candestino che ha interessato parte di uno

85 dei lati lungi e dell'abside, ed in virtù di una traccia che le strutture formano sul terreno che le ricopre. Lungh m 14 largh m 5,80, alt. misurabile m. 1,67, spess. della parete parzialmente messa'in luce m. 0,80.

45. POZZO E CUNICOLO Loc. Monte Gentile: proprietà Guidoni

Pozzo quadrato (lato m. 1) scavato nel banco di peperino e foderato con laterizi, comunicante con un cunicolo che corre circa 4 metri al di sotto dell'attuale piano di calpestio. E' possibile che il cunicolo sia relativo all'acquedotto che, alimentato dalla sorgente di Fontana Tempesta, assicurava il rifornimento idrico degli insediamenti di Monte Gentile e delle Piagge (cfr. nn. 44, 46, 47, 48), nonché di tutto il versante lacustre occidentale (soprattutto della villa imperiale in Loc. S. Maria).

46 - 47 - 48. VILLA Loc. Le Piagge

Resti di strutture murarie in reticolato rivestito di intonaco dipinto ed in opera vittata, materiale edilizio frammentario, frammenti di lastre marmoree di rivestimento e di intonaci dipinti, notevoli quantità di ceramica sigillata ed a vernice nera, tessere musive. Tali avanzi, estesi su vasta area e segnalati sin dagli inizi del secolo, inducono ad ipotizzare la presenza sul pianoro di uno o più impianti residenziali, forse del tipo a terrazze digradanti verso il lago, databili genericamente (in mancanza di dati più precisi) all'età repubblicana (I sec. a.C.) ed alla piena età imperiale (1).

1. Cfr. AA.VV., Il recupero della navi di Nemi. Proposte della Commissione nominata da S.E. Il Ministro della P.L, Roma, 1927, pp. 17-18; Arch. Sopr. Lazio, Nemi III (non classif.): comunicazione non firmata del 1919; fase. loc. "Piagge" (non classif.): comunicazione di P. Chiarucci del 26-03-1972; Nemi XI, fasc.loc. "Piagge" (non classif.): comunicazione non firmata del 1973; Nemi, fase. loc. "Piagge" (non classif.): relazione del soprintendente Ciotti non datata; AL/I 3 010: comunicazione di P. Chiarucci del 24-03-1978.

86 STRUTTURA URBANISTICA

Inquadramento territoriale

Il comune di Nemi appartiene all’ambito territoriale denominato Colli Albani-Castelli Romani che comprende 18 comuni per una estensione complessiva di 50.000 ha e su cui risiede una popolazione di circa 300.000 abitanti. L’omogeneità di quest’ambito si basa su caratteristiche fisiche, morfologiche, culturali e produttive che l’hanno contraddistinta nei secoli e che tutt’oggi continuano a permanere. L’insieme dei centri storici, ricchi di cultura e di testimonianze antiche assolutamente uniche, la speciale connotazione ambientale, l’origine vulcanica, restituisce l’immagine di un paesaggio inequivocabile. La sua estensione abbraccia le pendici dei colli verso il litorale per rinchiudersi ai confini della Valle del Sacco, includendo interamente il Parco Regionale dei Castelli Romani con i laghi vulcanici di Albano e Nemi. Nemi si attesta sulla direttrice Appia confinando con i territori di Ariccia, Rocca di Papa, Velletri e Genzano e condividendo con Albano, Castel Gandolfo e Lanuvio l’organizzazione urbanistica ed economica. La maggior parte di questi centri, infatti, seppur senza soluzione di continuità, hanno raggiunto la saldatura degli abitati, trasformandosi in un unico centro. Il sistema dell’accessibilità all’area castellana presenta una struttura viaria molto fitta, sebbene sotto-dimensionata rispetto alle esigenze registrate negli ultimi decenni, che hanno visto uno sviluppo economico e residenziale più rapido rispetto agli adeguamenti infrastrutturali. La struttura viaria si basa sugli antichi tracciati, oggi le Statali Appia e Tuscolana oltre alla Via dei Laghi, che ha generato una sorta di spartiacque tra le due grandi aree dei Colli. La linea su ferro è rappresentata dalla ferrovia in concessione che dal centro di Roma raggiunge Ciampino, da cui si sfioccano due rami in direzione Tuscolana e Appia fino a Velletri, senza però raggiungere e collegare il centro ed il territorio di Nemi. Infatti la maggior parte degli spostamenti avviene su gomma e prevalentemente su mezzo privato.

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La dinamica demografica e del patrimonio edilizio

L’area dei “Castelli Romani” ha una popolazione complessiva di circa 315.000 abitanti, ed include diciotto comuni, di Albano Laziale, Castel Gandolfo, Ariccia, , Nemi, Lanuvio, Velletri, Lariano, Frascati, Monte Porzio Catone, Monte Compatri, Rocca Priora, Colonna, San Cesareo, Ciampino, Marino, Rocca di Papa e Grottaferrata. I dati relativi alla popolazione residente rilevati dal censimento ISTAT del 1997, evidenziano come l’area castellana sia caratterizzata dalla presenza di centri abitati con una media di 10.000 e 20.000 abitanti, con punte sopra i 35.000 abitanti nei comuni di Albano L., Marino, Ciampino e Velletri 48.500 abitanti. Soltanto due, Nemi e Colonna, i comuni al di sotto dei 5.000 abitanti. Dall’analisi delle fasce d’età si rivela un andamento omogeneo nell’intera area dei Castelli Romani dove la fascia d’età prevalente risulta essere quella adulta che va dai 31 ai 60 anni, seguita dalla fascia 14-30 e quindi dagli oltre 60 anni. Quanto sopra pone in evidenza che nell’area Castelli Romani è presente prevalentemente una popolazione adulta per circa il 43% della popolazione totale. Inoltre l’area castellana, oltre ad essere una conurbazione residenziale e di attività economiche e produttive, annovera un consistente numero di presenze turistiche legate alla realta delle seconde case, almeno nei centri più naturalistici e ricadenti nel Parco dei Castelli Romani. Lo studio approfondito dell’andamento demografico del comune di Nemi per il periodo 1982-2000 evidenzia una crescita demografica continua. Sebbene contenuta nell’incidenza percentuale che si attesta su una media del +1,45%, conta un passaggio da 1.382 abitanti del 1982 a 1.826 abitanti del 2000 pari a 444 abitanti in circa 20 anni, con punte di rilievo nel 1999 con il +2,3%, nel 1987 con il +2,6% e nel 1994 con il +4,5% .

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