VERDEA Codice Iscrizione Registro Nazionale: Sinonimi Accertati: Colombana Bianca, Colombana Di Peccioli O San Colombana, Bergo, Dorée D’Italie
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VITE Famiglia: Vitaceae Genere: Vitis Specie: Vitis vinifera L. Nome comune: VERDEA Codice iscrizione Registro nazionale: Sinonimi accertati: Colombana bianca, Colombana di Peccioli o San Colombana, Bergo, Dorée d’Italie. L’accessione denominata Cellino rilevata in località Predappio alta (FC), l’accessione denominata Angela romagnola presente nella Collezione 1975 di Tebano di Faenza (RA), alcune accessioni denominate Uva della Madonna presenti in Romagna. Sinonimie errate: Denominazioni dialettali locali (indicare la località): Rischio di erosione: Data inserimento nel repertorio: Ultimo aggiornamento scheda: N. piante Anno Accessioni valutate presenti d’impianto 1) Azienda Pelagatti, Fontevivo di Ponte Taro –PR 5 1980 circa Alcune piante franche di piede riprodotte da materiale di famiglia 2) 3) Luoghi di conservazione ex situ: Collezione 1975 Tebano di Faenza (Materiale proveniente ). Collezione 2007 Tebano di Faenza – RA (Materiale replicato dalla collezione 1975; accessione Verdea Pelagatti proveniente da Fontevivo di Ponte Taro – PR). Vivaista incaricato della moltiplicazione: Apice del germoglio alla fioritura Schema della foglia media Foglia Grappolo CENNI STORICI, ORIGINE, DIFFUSIONE Si tratta probabilmente di un’uva molto antica, che a seconda delle località ha assunto denominazioni diverse, pertanto esistono diverse sinonimie ormai accertate e altre probabilmente ancora da verificare. L’antichità del vitigno, col nome di San Colombana, è documentata dalla novella CLXXII di Franco Sacchetti (1390): il piovano dell’Antella di Firenze sente che messer Vieri de’ Bardi fa venire magliuoli di Vernaccia da Corniglia (uva di gran pregio) e trova il modo di sostituire, nottetempo, queste talee con materiali prelevati in “certe sue pergole d’uve angiole e verdoline e sancolombane e altri vitigni”. Questo testimonia che nel trecento le pergole di uve angiole e sancolombane erano già in uso. Interessante la lezione seicentesca del Soderini che delinea la duplice attitudine delle san colombane e attesta la presenza anche in Emilia Romagna di uve molto simili a queste, dette uve d’oro. Scrive infatti Soderini: “Le sorti dell’uva giustamente si distinguono in due maniere, e la prima di queste è quella che ordinariamente si consuma per cibo; le quali per se sole è opinione, che sebbene possan fare buon vino, siccome elle sono buon uve e prodotte da vitigno di buona ragione, tuttavia ne fanno poco; ma in effetto quello ch’elle fanno, è buonissimo, sebbene sieno in paesi e luoghi cattivi. Così ho sperimentato io, e massimamente dell’uve san colombane, le quali fanno un vino simigliantissimo dell’acqua, come quello che viene delle vigne del Reno …”. In un altro passo, poi, si legge: “Ora a voler fare il vin dolce, che sia naturalmente dolce, bisogna la prima cosa porre le viti in paesi che natura di quel terreno lo produca così” e scegliere le varietà “così delle bianche come delle nere, e piantare delle miglior’ ragioni che si trovi e che piacciano alla bocca e aspettino il dente e riescano dolci al sapore, come è la canaiuola la marzamina il rasone e la schiava, il mammolo nero e bianco, la san colombana, i trebbiani, e simile gergo e bergo”. Da qui si può desumere che esistevano diverse uve, ragionevolmente a duplice attitudine, simili tra loro, ma con denominazioni diverse che il Soderini riunisce nel gruppo delle San Colombane. Tra l’altro fa notare che nel Bolognese si trovano piuttosto di frequente “le uve, che chiaman d’oro”, e che “somigliano nell’ingiallare le san colombane mature smaccate, son buone in cibo e fanno gustevole vino”. Parlando poi dell’appassimento delle uve, l’Autore dice che “conviene eleggere vitigni che facciano uve da durare, come pergolese, sancolombana, trebbiano, paradisa, e tutte altre dure e sode da bastare”. Nel 1685 Francesco Redi cita la “Verdea soavissima di Arcetri” nel suo “Bacco in Toscana, ribadendo poi, nelle annotazioni al ditirambo, che “la migliore Verdea, che faccia intorno a Firenze è quella della collinetta di Arcetri. Di essa volle intendere il Rinuccini: <Lascia il Trebbiano, e la vendemmia ancora, onde cotanto Arcetri oggi s’onora>. E dopo di lui Romolo Bertini Fiorentino nelle Poesie manuscritte: <Versate ormai versate, anfore preziose in questi vetri, manna di Chianti, e nettare d'Arcetri>. I vini, che da’ nostri antichi Toscani si chiamavano vini Verdetti, erano molto differenti da quello, che si sia oggi la Verdea. Imperocchè per vino verdetto intendevano qualsiasi sorta di vino bianco, che non fosse dolce, anzi fosse brusco; …. Ma la Verdea di Toscana non è così chiamata dal sapore verdetto, ma bensì dal colore pendente al verde”. Sempre Francesco Redi, in una poesia al conte Federigo Veterani, nel mandargli alcuni saggi di vino, scrive: “E se tornate in Alemagna, dite al nostro imperator da parte mia, che se vuol gastigar quell'Ungheria e far le ribellioni ormai finite; anch’egli bea Montepulciano, e faccia nel bel mezzo di Vienna un’ampia grotta, dove sempre ognun trinchi a guerra rotta Verdea, Montepulcian, Chianti , e Vernaccia”. Si arriva al 1700, quando il Trinci (1738) definisce la sinonimia tra verdea e bergo: “L’uva verdea bianca, o come altri dicono bergo, è di qualità bellissima, … e giunta alla sua dovuta maturità diventa di un colore molto bello, lucido, chiaro e trasparente”. E la sinonimia tra Bergo e Verdea viene successivamente confermata nel Vocabolario degli accademici della Crusca (ed. 1866): “Bergo. Sost. masc. Sorta di vitigno che fa l’uva bianca e molto dolce; ed anche l’uva stessa. Lo stesso che Verdea bianca”. Alla fine del XVIII secolo (1797), l’abate Francesco d’Alberti di Villanova, alla voce Canajuòla, riporta: “Per aver vin dolce vermiglio poni vizzati dolci, e carnosi, e alla bocca piacevoli, canajola, colombana, mammolo, perugino, bergo”. Si desume quindi che esisteva anche una colombana nera. L’ottocentesco dizionario geografico del Repetti (1833) riferisce che nel territorio di Barberino, “nelle colline, nelle piagge e lungo le frane dei torrenti che scendono a libeccio nell’Elsa, (quasi tutte formate di mattajone)…., vi abbonisce pure la vite, che in cotesto terreno cresce rigogliosa e produce la dolce verdea”. Nel Vocabolario parmigiano-italiano del Malaspina (1859), alla voce Uva San Colombàn, si legge: “Uva colombana. Sorta di uva che nasce dal vitigno detto da Linneo Vitis vinifera columbana”. Acerbi (1825) tra le varietà conosciute in Toscana descrive la Verdea bianca (altrimenti Bergo bianco): “Quest’uva, matura che sia, è bellissima, trasparente e abbondante, in grappoli ora stretti, ora spargoli, e di granelli grossi, tondi, e di buccia gentile. Vuole il clima molto caldo come il Tribbiano di Spagna. Fa il vino dolce, di color bianco, che partecipa di verdognolo, poco spiritoso, ma odoroso, grato, gentile e stimabile a beversi solo. Questa specie di vino, detta Verdèa, si fa in più luoghi della Toscana, ma specialmente in Arcetri, ed è lodata dal Redi nel suo Ditirambo, e da Romolo Bertini nelle sue poesie manoscritte, …”. Nel Saggio di una ampelografia universale (1877), il conte di Rovasenda cita una Colombana bianca e una nera diffuse a Voghera, la Colombana del Peccioli osservata presso il cavalier Lawley a Poggio Secco di Firenze, e ritiene che i termini Colombana o Colombane indichino uve diverse dalle San Colombano. Alla voce “Verdea”, invece, cerca di sintetizzare le diverse sinonimie individuate da autori precedenti: tipicamente la Verdea è il vitigno di Arcetri, sinonimo di Bergo bianco, mentre secondo Origene Cinelli “Verdea Toscana” sarebbe sinonimo di Vernaccia a Sinalunga; inoltre potrebbe essere identica alla Verdise bianca di Treviso (Album ampelografico fotografico delle uve della provincia di Treviso) e al Verdiso bianco (dott. Carpenè). Alla voce “Verdea bianca” indica un vitigno presente a Voghera e in Piemonte, affermando poi che la Verdea di Alessandria non gli sembra identica a quella Toscana. Con Verdea o Verdeca indica anche un vitigno pugliese. Nel fascicolo X del Bullettino ampelografico (1879), si riportano i risultati dei lavori della Commissione ampelografica della provincia di Forlì, da cui si evince che l’Uva della Madonna presente a Forlì e Cesena è “identica all’omonima di Ancona e all’uva Santa Maria di Macerata, e di molto somiglia all’uva che nomasi San Colombano in Toscana”. Anche il Molon (1906) cerca di mettere chiarezza nelle varie sinonimie: egli afferma che senza dubbio il Tamaro ha commesso un errore considerando la Verdea del Piacentino uguale al Verdiccio delle Marche e al Verdiso del Trevigiano. Inoltre dice di tenere ben distinta l’uva del Leccese detta Verdea o Verdeca da quella del Piacentino e di denominarla più propriamente Verdeca. In quanto all’identità tra la Verdea del Piacentino e la Paradisa del Bolognese sostenuta dal Pirovano e da Zago, Molon ha dei dubbi e suggerisce di fare degli approfondimenti. L’Autore, poi, scrive che la Verdea del Piacentino era molto esportata e conosciuta all’estero come Doré d’Italie. Il Marzotto (1925) pone Verdea come sinonimo di Verdicchio giallo, ma conclude con la necessità di approfondire questa identità. Toni (1927) ci dice che all’inizio del ‘900 la provincia di Piacenza aveva notevole importanza nella coltivazione delle uve da tavola, che venivano esportate per lo più in Svizzera e Germania, oltre che a Milano e Genova, e tra queste uve la più rinomata e la più coltivata era proprio la Verdea. Fregoni et al. (2002) riportano che la Verdea era molto diffusa nel Piacentino in epoca prefillosserica, ma nel 1970 si era già ridotta a 251 ettari. Negli anni successivi questa contrazione non è cessata, tanto che, secondo i dati del V censimento dell’agricoltura, nel 2000 la Verdea era presente su una superficie di 32 ettari su tutto il territorio nazionale, di cui 29 in Emilia Romagna. ZONA TIPICA DI PRODUZIONE Piacentino, con il nome di Verdea, ma si ritiene che biotipi di questa varietà siano presenti anche in altre zone della regione con denominazioni differenti.