Pagine Sparse Prefetti Nella Storia

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Pagine Sparse Prefetti Nella Storia Donato D’Urso Pagine sparse Prefetti nella storia Roma 2006 Indice 5 L’avventura di Biagio Miraglia 13 Carmelo Agnetta prefetto garibaldino 19 Temistocle Solera non solo questore 23 Giacinto Scelsi 29 Vittorio Zoppi prefetto a Salerno 43 L’omicidio Escoffier fu un delitto politico? No, peggio! 49 Rodolfo D’Afflitto 59 Rapporti istituzionali tra prefetti e sottoprefetti nell’Italia liberale 71 Ottavio Lovera di Maria e l’organizzazione della pubblica sicurezza 87 Achille Basile 101 Una curiosa polemica contro Carlo Astengo 107 Angelo Pesce 115 Alberto Pironti 125 Giovanni Gasti 135 Francesco Crispo Moncada capo della polizia 145 Cesare Mori prefetto di ferro 151 Adalberto Mariano l’eroe del Polo Nord che diventò prefetto 157 Prefetti italiani caduti sul campo di battaglia 165 Dante Almansi 173 Enzo Giacchero 203 Bartolomeo Casalis prefetto “Niente paura!” 213 Indice dei nomi NOTA INTRODUTTIVA L’opera che qui di seguito si presenta costituisce un evento di grande rilievo. In generale è da considerarsi il prodotto di una rara sensibilità del Dott. Donato D’Urso nei riguardi della memoria storica dell’Amministrazione dell’Interno e della documentazione che ne consente la ricostruzione. Sotto quest’ultimo profilo, anzi, questo libro rappresenta un esempio virtuoso: nella convinzione, condivisa da chi l’ha promosso e da chi lo ha realizzato, che l’identità dell’Amministrazione dell’Interno, e quindi la sua stessa legittimazione culturale in tempi di così rapida evoluzione costituzionale quali quelli attuali, possa ed anzi debba necessariamente fondarsi anzitutto sulla piena conoscenza e valorizzazione della sua specifica tradizione storica. Rispetto ai precedenti “Quaderni” a carattere storiografico pubblicati dalla SSAI (Per una storia dei Prefetti(1994), Studi per la storia dell’Amministrazione pubblica italiana (Il Ministero dell’Interno e i prefetti) (1998), Pagine di storia del Ministero dell’Interno (1998), I Prefetti del Regno nel ventennio fascista (1999)), la raccolta che qui si presenta ha alcune caratteristiche di novità. Per la prima volta, infatti, si tenta qui di dar conto di momenti significativi dell’attività istituzionale di prefetti (e di un questore), ricostruendola attraverso racconti ampi e significativi nel contesto storico della loro azione. Emerge così, e diviene elemento sostanziale di ogni segmento biografico, insieme alle informazioni essenziali sul percorso professionale e culturale e alle notizie sul ruolo “esterno” (spesso di grande rilievo), anche una inedita documentazione sul contributo specifico del singolo funzionario. Emergono da questa ampia rassegna di “frammenti” biografici molti dati importanti che meritano d’essere segnalati. Il primo, evidente in quasi tutte le biografie, è la fusione tra l’attività interna al Ministero dell’Interno e l’espletamento, nelle varie epoche, di rilevanti funzioni esterne, talvolta altissime strettamente connesse a quell’expertise istituzionale e amministrativa che, in varie epoche, è stata favorita dalla naturale configurazione “generalista” degli esponenti della carriera prefettizia. Si può ben dire perciò, sotto questo primo profilo, che la biografia di gruppo delineata nelle pagine che seguono appartenga non solo alla specifica storia del Ministero dell’Interno, ma più in generale alla storia delle istituzioni e della politica dell’Italia unita. Un secondo dato: attraverso il prisma delle biografie, non è difficile scorgere in controluce i tanti mondi della burocrazia post-unitaria e avvertire il peso delle varie tradizioni amministrative, l’influenza delle “culture dell’amministrazione”. Sotto questo specifico profilo le biografie appartengono a buon diritto alla storia dell’amministrazione italiana, della quale consentono di illuminare aspetti e problemi spesso non secondari. Non si potrebbe però licenziare questa sia pur breve presentazione senza prima avere accennato ai problemi legati allo stato non sempre felice delle fonti. Al di là della serie dei fascicoli personali, la ricerca ha richiesto approfondimenti in numerosi archivi e biblioteche. L’Autore ha dovuto ricorrere ad archivi periferici, ad archivi e carteggi privati, a raccolte documentarie di altre grandi istituzioni , esaminare collezioni intere di Annuari e Calendari generali del Regno, dizionari letterari e politici, passare in rassegna raccolte di saggi, cataloghi di biblioteche, indici dei nomi di più o meno significative opere storiografiche. Non sempre invece, nonostante l’impegno dell’Autore, è stato possibile chiarire sino in fondo certi passaggi della carriera, la natura di certi rapporti interpersonali, la partecipazione a talune attività esterne. Per questi aspetti, e per altri analoghi che qui non si menzionano, la ricerca è dunque da considerarsi ancora aperta ed è anzi ambizione di quest’opera porsi come stimolo e occasione di ulteriori approfondimenti. L’avventura di Biagio Miraglia da Amministrazione civile, febbraio 2004 5 Nel bel tempo antico, quando i prefetti erano anche letterati, poeti, giornalisti, combattenti e altro ancora, Biagio Miraglia fu un po’ tutto questo. Calabrese di Strongoli nacque il 3 febbraio 1823. Studiò nei seminari di Crotone e Cariati dimostrando ingegno vivace e brillante nel commento delle sacre scritture. Abbandonò l’idea del sacerdozio pare per una passione d’amore e si trasferì a Napoli dove frequentò come esterno il collegio dei Gesuiti, poi la scuola filosofica del celebre Pasquale Galluppi. L’inclinazione per le lettere fece di Miraglia un “poeta improvvisatore” di successo. Insieme con Domenico Mauro, Giuseppe Campagna, Vincenzo Padula diede vita a un movimento letterario e politico che meritò l’attenzione di Francesco De Sanctis: «Mentre in Napoli si preparava una scuola, che dirò d’imitazione romantica, c’era in Calabria una schiera di bravi giovani che sentivano tutte quelle impressioni; ma in modo vergine e più acconcio alle loro immaginazioni, con più naturalezza. Benché venuto di fuori, chiameremo questo romanticismo naturale.» Come tanti coetanei, Miraglia aderì alla Giovine Italia di Mazzini e compì attività propagandistica anche in abito talare, tanto da destare i sospetti della polizia che finì per arrestarlo. Fu scarcerato dopo la concessione della Costituzione da parte di Ferdinando II nel gennaio 1848. Nel teatro di Cosenza, quando comparve nelle vesti di ex-detenuto politico, i presenti gli dedicarono un’ovazione e, invitato a gran voce, improvvisò dei versi, una delle cose che sapeva fare meglio. Intanto aveva anche aderito alla massoneria. Scrisse in un articolo: «Io starò chiuso e osservo tutto. Se vedrò qualcuno che aspiri a ridicole supremazie, se vedrò in carica uomini che non meritano e non godono la fiducia pubblica, io smaschererò l’intrigo, si trattasse anche di mio padre, e farò uso del tremendo potere della stampa.» Era il 1848 e già s’evocava il famoso quarto potere. Il 15 maggio di quell’anno Miraglia si trovava sulle barricate a Napoli quando le truppe regie soffocarono nella culla il neonato parlamento. Qualche tempo prima Luigi Settembrini aveva protestato perché si spostavano minerali e libri dall’edificio del Museo per fare posto alle aule delle nuove Camere, ma l’architetto che dirigeva i lavori, presago dell’avvenire, aveva risposto sollevando le spalle: «È provvisorio, non dura molto». Le settimane che avevano preceduto le prime libere elezioni erano state indimenticabili ma caotiche: «I ministri erano oppressi dalle petulanti e superbe domande di uomini che parevano ubriachi e volevano essere uditi per forza, pretendevano tutto per forza e credevano la libertà un banchetto a cui ciascuno dovesse sedere e farsi una scorpacciata» (così Settembrini nelle sue Ricordanze). Dopo la sanguinosa repressione avvenuta a Napoli, la Calabria si ribellò. Miraglia accorse nella sua terra e fu scelto per dirigere “L’Italiano delle Calabrie”, giornale del 6 Comitato di salute pubblica di Cosenza nato per difendere la Costituzione. La testata, il cui ultimo numero uscì il 30 giugno 1848, riportava gli atti del governo e, in una parte non ufficiale, articoli e proclami. La reazione borbonica uccise la libertà di stampa e costrinse Miraglia a cercare riparo a Roma sotto le ali della repubblica. Nella Città Eterna tra i patrioti calabresi c’era anche Giovanni Nicotera, futuro ministro dell’Interno. Le attitudini letterarie resero Miraglia compilatore del giornale ufficiale capitolino e collaboratore del periodico “Il Positivo”. Egli era, però, anche uomo di spada e combatté agli ordini di Garibaldi a Velletri contro le truppe napoletane che attaccavano la repubblica in alleanza con francesi, spagnoli e austriaci. La vittoria garibaldina fu tale da indurre un epigrammista a comporre, riferendosi al re Borbone, il famoso: “Venne, vide, fuggì”. Miraglia a Roma conobbe e sposò, nel febbraio 1849, Anna Merolli. Dall’unione nacquero un maschio e due femmine. La capitolazione della Repubblica Romana significò l’inizio di un esilio durato più di dieci anni, prima in Turchia poi in Piemonte. Il fervore politico e la malinconia sono evidenti in queste parole di Miraglia: «Ramingo di terra in terra finché non spunti il sole dei giorni profetizzati, io conto le ore penose dell’esilio, raccontando all’Italia i suoi fortissimi fatti. Le mie forze sono impari al gran subietto; il mio ingegno è debolissimo; ma il mio cuore, che anela di morire sopra gli spalti delle tue mura, questo cuore, o Eterna Roma, è degno di te.» A Torino il nostro patriota-poeta frequentava la compagnia di letterati più o meno illustri di lui come Giovanni Prati,
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