Il Movimento Giovanile Della Democrazia Cristiana Da De Gasperi a Fanfani (1943-1955)
Total Page:16
File Type:pdf, Size:1020Kb
Università degli studi di Parma Dottorato di ricerca in Storia Ciclo XXVIII IL MOVIMENTO GIOVANILE DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA DA DE GASPERI A FANFANI (1943-1955) Coordinatore: Prof.ssa Elena Bonora Dottorando: Andrea Montanari Tutor: Prof. Giorgio Vecchio 1 2 3 INDICE Introduzione p.6 1. Tra fascismo e Repubblica (1943-1945) 1.1 La questione giovanile alla nascita del nuovo partito p.13 1.2 La Resistenza a Roma e la nascita de «La Punta» p.25 1.3 La formalizzazione organizzativa p.39 1.4 Le diverse realtà regionali p.60 1.5 I rapporti con il Fronte della Gioventù p.78 2. I primi passi nell'Italia repubblicana (1945-1948) 2.1 Il primo Convegno nazionale dei Gruppi giovanili Dc p.103 2.2 I rapporti internazionali p.113 2.3 Roma, Assisi, Firenze p.125 3. La parentesi dossettiana (1948-1952) 3.1 Le elezioni del 18 aprile; nuovi stimoli e nuove direttive p.141 3.2 Gestione e conseguenze del risultato elettorale p.152 3.3 Da Sorrento a Ostia p.191 3.4 Il Congresso di Ostia. Malfatti delegato nazionale p.204 3.5 L'esperienza del «San Marco» p.223 4. Verso sinistra. I Gruppi giovanili e la Base (1952-1955) 4.1 Dai «Gruppi giovanili» al «Movimento giovanile» p.244 4.2 La Base e il Movimento giovanile p.262 4.3 Da Colombaia a Helsinki p.279 4 Conclusioni p.297 Fonti archivistiche – abbreviazioni p.300 Fonti a stampa p.301 Bibliografia p.303 5 Introduzione All'indomani della fine della guerra il compito che attendeva la nuova classe dirigente era quanto mai impegnativo. Per vent'anni l'Italia era stata governata da una dittatura che in alcune fasi aveva incontrato un certo grado di consenso in alcuni settori della popolazione. Il problema dell'eredità del regime era particolarmente grave per le generazioni più giovani che avevano conosciuto solo la propaganda del regime e conoscevano poco o nulla delle tradizioni politiche dell'Italia liberale. Ed infatti anche agli osservatori del dopoguerra proprio il rapporto con questa generazione era apparso cruciale1. Tutta la cosiddetta generazione di Mussolini era cresciuta all'interno delle organizzazioni fasciste e la mobilitazione politica di massa della gioventù aveva certo lasciato dei segni, pur senza ottenere i risultati sperati dal regime di dar vita ad una nuova classe dirigente fascista2. Indubbiamente per alcuni giovani la partecipazione alle organizzazioni e alle iniziative del regime aveva significato avere un canale di maturazione personale che partendo da un'interpretazione rivoluzionaria del fascismo si concludeva a volte sulle sponde dell'antifascismo. Si trattava il più delle volte di giovani che erano rimasti delusi dalla realtà del fascismo e avevano via via orientato le loro speranze rivoluzionarie verso l'antifascismo o si erano chiusi in una sorta di «nicodemismo» come nel caso delle vicende personali descritte dal 1 L. Mangoni, Crisi della civiltà. Gli intellettuali tra fascismo e antifascismo, in F. Barbagallo (a cura di), Storia dell'Italia repubblicana, vol. I, La costruzione della democrazia dalla caduta del fascismo agli anni Cinquanta, Einaudi, Torino 1994, p. 618. 2 Sul rapporto fra giovani e fascismo si vedano le osservazioni di L. Passerini, La giovinezza metafora del cambiamento sociale. Due dibattiti sui giovani nell'Italia fascista e negli Stati Uniti degli anni Cinquanta, in G. Levi, J.C. Schmitt, Storia dei giovani, vol. II, L'età contemporanea, Laterza, Roma-Bari 1994, pp. 386 ss. 6 famoso libro di Ruggero Zangrandi3, ma si trattava pur sempre di una minoranza. Questi percorsi non erano infatti condivisi dalla gioventù nel suo complesso, molta parte della quale verso la fine degli anni Trenta fu incline ad una sorta di apatia verso il regime. Tuttavia queste considerazioni non devono indurre a credere che la propaganda fascista fosse stata inefficace fra i giovani. Per oltre tre lustri milioni di giovani italiani di entrambi i sessi e di tutte le età furono inquadrati nelle organizzazioni giovanili del regime fascista. Indubbiamente le organizzazioni di massa del fascismo, in particolare quelle giovanili, costituirono lo strumento per realizzare la modernizzazione di un paese arretrato e ancora prevalentemente rurale. L'Opera nazionale balilla prima e la Gioventù italiana del littorio poi mutarono profondamente lo stile di vita della gioventù italiana, avviandola, su scala di massa, alla pratica dello sport, educandola alla profilassi sanitaria e all'igiene personale, fornendole pasti il cui apporto calorico era in media con quello delle popolazioni europee, avviandola alla pratica, allora sconosciuta ai più, della vacanza in località di villeggiatura e provvedendo in varie forme ai suoi bisogni materiali e culturali. Con le sue ramificazioni, l'Onb-Gil raggiunse i giovani delle province italiane più isolate, facendo sperimentare loro lo stile di vita fascista e integrandoli nello spazio pubblico dell'Italia mussoliniana. Diverse generazioni di giovani italiane, soprattutto a partire dalla metà degli anni Trenta, ebbero per la prima volta la possibilità di allontanarsi dall'ambiente familiare e di essere attive nelle organizzazioni di regime, talora con ruoli di responsabilità. Non bisogna dimenticare, tuttavia, che questa larga offerta ricreativa, culturale ed assistenziale, che costituiva il successo delle organizzazioni del regime presso i giovani, aveva anche e soprattutto un'altra finalità: quella di plasmare una gioventù completamente educata nei miti e nei valori del fascismo. L'«uomo 3 R. Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, Feltrinelli, Milano 1962. 7 nuovo» e la «donna nuova» fascisti dovevano essere individui abituati sin dall'infanzia a sottomettersi, come automi, agli ordini di un capo assoluto, venerato come il depositario della “verità”, e di un partito in nome di un'ideologia imperialista, bellicista e razzista. In altri termini, compito delle organizzazioni giovanili, nelle sue diverse articolazioni, era quello di creare il perfetto cittadino dello “Stato totalitario”. Questo obiettivo fu perseguito attraverso una metodica e pervicace azione di indottrinamento ideologico condotta, in forme e con contenuti diversi, fin dall'infanzia. Il destino tragico di quella che era stata esaltata dalla retorica fascista come la “gioventù del littorio”, che divenne nel volgere di pochi anni la “generazione perduta”, è noto. Restano da comprendere gli effetti di lungo periodo sulla vicenda nazionale successiva al crollo dell'ambizione del regime fascista di inverare il mito dell'«uomo nuovo»4. Come è noto, i fascisti opponevano al concetto di classe quello di nazione. La nozione di giovinezza era l'elemento essenziale per identificare la comunità nazionale. I giovani rappresentavano la parte “sana” della nazione e, perciò, la sola “vera” nazione. I concetti di generazione e di giovane generazione costituivano gli elementi basilari della rivoluzione fascista, così come quelle di classe e razza lo erano per la rivoluzione bolscevica e quella nazionalsocialista. La giovinezza finiva così per diventare una metafora della rivoluzione: si era giovani in quanto rivoluzionari e non viceversa5. Come ha notato Fulvio De Giorgi, nello schieramento cattolico convissero una tendenza a combattere la «retorica nera» con il «grigio acromatismo dell'antiretorica», e una di segno opposto, che confidava nella 4 Tali considerazioni sono in L. La Rovere, Giovinezza in marcia. Le organizzazioni giovanili fasciste, Editoriale La Nuova, Novara 2004, pp. 5-6. 5 L. La Rovere, Storia dei GUF. Organizzazione, politica e miti della gioventù universitaria fascista 1919-1943, Bollati Boringhieri, Torino 2003, pp. 28-29. 8 «policromia monocroma» dell'antifascismo6. Optava decisamente per quest'ultima Guido Gonella, il quale riteneva che la nuova educazione democratica dovesse essere in grado di riprodurre lo stesso stato di alta tensione ideale e di partecipazione emotiva che i giovani avevano sperimentato durante gli anni del regime. Per il futuro ministro della Pubblica istruzione confondere il senso di disorientamento dei giovani con l'indifferenza delle masse verso la politica, comprensibile reazione all'orgia retorica del ventennio, voleva dire compiere un grave errore di sottovalutazione. I giovani erano disorientati non perché rifiutassero di orientarsi, ma perché non erano in grado di farlo. La traumatica rivelazione che la loro fede era stata tradita, che gli ideali nei quali avevano creduto con «generosità giovanile» e per i quali si erano battuti celavano un immorale desiderio di conquista e si sopraffazione aveva prodotto una «spaventosa delusione», seguita dal precipitare in uno «sconfortante e senile scetticismo». Il rischio maggiore era che la «generazione infelice» diventasse una «generazione perduta», se il disorientamento, anziché costituire l'«anticamera della verità»,, fosse divenuto la «soglia della delusione» senza rimedio. Perciò, il problema dei giovani era il terreno sula quale si sarebbe misurata la capacità dell'antifascismo di adempiere fino in fondo al compito di fornire al paese non soltanto un'ideologia di comodo, alla quale aderire per conformismo o per assicurarsi, opportunisticamente, un posto nella nuova società, ma nuovi ideali di vita e nuovi valori in cui credere e lottare, nuove prospettive politiche per cui valesse la pena impegnarsi. Preoccupato dal manifestarsi di un atteggiamento di sfiducia nei nuovi partiti che era assai diffuso tra i giovani, l'uomo politico democristiano scriveva: 6 F. De Giorgi, La Repubblica grigia. I cattolici e l'educazione alla democrazia nel secondo dopoguerra, in «Annali di storia dell'educazione e delle istituzioni scolastiche», 2001, n.8, p.22. 9 Se le vecchie idee e i vecchi partiti non sono capaci di attrarli, bisognerà pure trovare, a servizio della nostra fede, formule nuove capaci di suggestionare le generazioni nuove, cioè di soddisfare le sane e insoddisfatte aspirazioni. I giovani non possono, non debbono restare fra coloro che tacciono, e il loro silenzio denuncia la nostra crisi morale. Rendiamoci capaci di dire ad essi con sincerità di cuore una parola che abbia la suggestione di una fede vissuta, ed essi potranno essere sanati dal morbo di quell'educazione negativa e distruttiva nella quale sono stati allevati dal malcostume fascista7.