Margarete Buber-Neumann
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Margarete Buber-Neumann. PRIGIONIERA DI STALIN E HITLER. Società editrice il Mulino, Bologna 1994. Edizione originale: "Als Gefangene bei Stalin und Hitler. Eine Welt im Dunkel", Herford, Busse & Seewald, 1985. Copyright 1985 by Verlag Busse & Seewald, Herford. Traduzione di Marisa Margara. INDICE. Nota biografica. "Magarete Buber-Neumann, testimone del proprio secolo", di Victor Zaslavsky. 1. Prologo alla tragedia. 2. I dannati della terra. 3. Vita quotidiana in Siberia. 4. Tra timore e speranza. 5. Consegnati ai nazisti. 6. Ravensbrück. 7. L'abisso. 8. I morti e i sopravvissuti. 9. Il dono della libertà. 10. Ritorno a casa NOTA BIOGRAFICA. Margarete Thüring è nata a Potsdam il 21 ottobre 1901. Ancora negli anni della scuola entra nel movimento giovanile «Freideutsche Jugend». Precocemente legata a Rafael, figlio del filosofo ebreo Martin Buber, nel 1921 si trasferisce con lui a Heidelberg, dove entrambi aderiscono alla gioventù comunista, poi a Jena e da ultimo presso i suoceri a Heppenheim. Dalla loro breve unione, terminata nel 1925, nascono due figlie che nel 1928 saranno affidate al padre e più tardi seguiranno i Buber in Palestina. Intanto nel 1923 la sorella Babette ha sposato Willi Münzenberg, uno dei principali organizzatori del Comintern. Nel 1926 Margarete entra nel Partito comunista tedesco, e dal 1928 lavora nella redazione berlinese del periodico del Comintern «Inprekorr». Nel 1929 si unisce a Heinz Neumann, dirigente del partito e dall'anno successivo deputato al Reichstag. Ma la stella politica di Neumann si offusca presto: isolato nel partito, nel 1932 viene richiamato a Mosca, inviato come delegato del Comintern in Spagna e, alla fine del 1933, definitivamente «sganciato». Fino al 1935 i due vivono precariamente tra Zurigo e Parigi poi, in sostanziale isolamento, a Mosca; qui nell'aprile del 1937 Neumann è arrestato: di lui non si saprà più nulla. L'anno dopo è la volta di Margarete, che viene condannata a cinque anni di lavoro forzato da scontare nella colonia penale di Karaganda, nel Kazakistan. Nel 1940, in seguito al patto Ribbentrop-Molotov, come altri cittadini tedeschi detenuti in Unione Sovietica è riconsegnata ai nazisti: fino alla fine della guerra rimarrà internata nel lager di Ravensbrück. Nel dopoguerra Margarete Buber-Neumann è vissuta per qualche tempo a Stoccolma, dove ha scritto e pubblicato questo libro (1948), presto tradotto in una dozzina di lingue (ma mai in italiano); si è poi stabilita a Francoforte dove ha sposato il giornalista 1 Helmut Faust e ha fondato e diretto per due anni (1951-52) la rivista «Aktion». In quegli anni di guerra fredda fa scalpore la sua deposizione al processo Kravchenko (Parigi, 1949), reiterata l'anno dopo al processo Rousset, circa l'esistenza di campi di prigionia in Unione Sovietica. Tra gli altri suoi libri sono da ricordare "Da Potsdam a Mosca" (1957), che integra il presente volume per gli anni fino al 1937, e "Milena, l'amica di Kafka" (1963), dedicato alla compagna di prigionia a Ravensbrück Milena Jesenská. Margarete Buber-Neumann è morta il 6 novembre 1989. MARGARETE BUBER-NEUMANN, TESTIMONE DEL PROPRIO SECOLO. Ho sempre avuto con questo libro della Buber-Neumann un rapporto così personale che non riesco a prendere una posizione distaccata neanche per scriverne l'introduzione. La mia generazione, nata in Unione Sovietica nello spaventoso decennio tra le purghe staliniane degli anni '30 e la fine della seconda guerra mondiale, fu derubata due volte. La prima, quando i nostri genitori, e anche i nonni, non ci parlavano mai della storia delle nostre famiglie. Non c'era famiglia, infatti, che non avesse qualche macchia pericolosa: poteva essere l'origine sociale sbagliata, un'occupazione non gradita alle autorità, una inopportuna posizione politica in passato, un'amicizia da dimenticare. Per non trasmettere le colpe dei vecchi alle nuove generazioni, i genitori non parlavano della storia famigliare, non rispondevano alle domande e ci proteggevano tagliando ogni legame personale con il passato. Una seconda volta, quando, dopo la morte di Stalin, i superstiti dei campi di concentramento cominciarono a tornare, e neanche loro volevano parlare delle proprie esperienze. Nel caso della mia famiglia, una delle zie aveva avuto il marito fucilato con l'accusa di trockijsmo e, divenuta pertanto moglie di un nemico del popolo, aveva come tale trascorso una quindicina d'anni in vari campi della Siberia e del Kazakistan. «Come è stato? Raccontami», le chiedevo con insistenza dopo il suo ritorno. «Non osare toccare questo argomento», rispondeva invariabilmente la zia e usciva infuriata dalla stanza. Era del tutto inutile insistere. Anche la mia professoressa di filosofia aveva scontato quindici anni nei campi siberiani. Io e un mio amico eravamo i suoi allievi prediletti e lei ci invitava di tanto in tanto a casa sua per prendere il tè e parlare di Kant. Le rivolgemmo la stessa domanda solo per ricevere la risposta già nota: «Per il nostro bene comune non dobbiamo parlare mai di quegli anni». Noi giovani studenti universitari avevamo già imparato a non credere all'assordante propaganda ufficiale, ma dovevamo vivere in un'atmosfera soffocante di vuoto, circondati da dicerie e da voci la cui fondatezza non potevamo mai verificare. Fortunatamente proprio in quel periodo iniziò la pratica che più tardi fu chiamata "samizdat": qualcuno copiava a macchina le poesie preferite di qualche poeta proibito o traduceva un libro straniero per diffondere poi fra gli amici tre o quattro copie dattiloscritte. Era il dicembre del 1954, ricordo la data, quando un amico mi prestò un dattiloscritto, dicendo «solo per una notte», la formula usata per i libri di massimo interesse. Era il libro di Margarete Buber intitolato "Prigioniera di Stalin e Hitler". Per me e per molti dei miei amici fu proprio questo libro, non l'evasivo rapporto di Chruscëv al Ventesimo Congresso del P.C.U.S., a darci una prima idea chiara non solo dei tempi dei nostri genitori, ma anche della «condizione umana» del mondo in cui stavamo entrando. Margarete Buber-Neumann era nata nel 1901 nella benestante famiglia borghese Thüring di Potsdam, noto centro della «prussianità» tedesca. Come la sorella maggiore Babette, Margarete da giovane diventò una comunista convinta, e la vita delle sorelle seguì una traiettoria simile. Babette sposò il famoso comunista Willi Münzenberg, amico di Lenin e uno dei fondatori del Comintern. Münzenberg era uno dei capi dei servizi segreti del Comintern e ne dirigeva l'ufficio di propaganda. Durante le purghe degli anni '30 entrò in conflitto con Stalin e nel 1940 pubblicò in Occidente una lista di nomi di importanti comunisti tedeschi uccisi dalla polizia staliniana. Da quel momento il suo destino fu segnato. Nello stesso anno, durante la fuga dalla Francia occupata dalle truppe naziste, Münzenberg morì. Fu probabilmente ucciso dagli agenti di Stalin, anche se il suicidio non può essere totalmente escluso. 2 Margarete nel 1921 aderì alla gioventù comunista e nel 1926 entrò nel Partito comunista tedesco. Nel 1922 sposò Rafael Buber, il figlio del famoso filosofo ebreo-tedesco Martin Buber. Nel 1925 si divise dal marito che più tardi emigrò con le loro due figlie in Palestina. Margarete diventò collaboratrice del centro-stampa comunista e si occupò professionalmente di politica. Su richiesta del partito ospitò tra l'altro nel suo appartamento a Potsdam il futuro capo del Comintern Georgi Dimitrov durante il suo soggiorno clandestino in Germania. Nel 1929 Margarete diventò la compagna di uno dei capi del Partito comunista tedesco, Heinz Neumann. Dopo l'ascesa di Hitler al potere i Neumann dovettero emigrare, trovando rifugio a Mosca. Non c'era posto peggiore per un dirigente comunista come Neumann che ancora nel 1932 aveva contestato la linea del partito, dettata da Stalin, di rottura con i socialdemocratici. A Mosca i Neumann vissero per qualche anno nel famoso hotel Lux riservato ai comunisti stranieri collaboratori del Comintern. Stalin covò sempre un sospetto, addirittura un evidente disprezzo sia per il Comintern, che chiamava la «bottegaccia», sia per tutto il complesso dei comunisti stranieri, internazionalisti e cosmopoliti. Pochi abitanti dell'hotel Lux, a parte un piccolo gruppo di stalinisti a tutta prova, sono sopravvissuti alle purghe degli anni Trenta. Heinz Neumann fu arrestato nell'aprile del 1937 e condannato a morte, anche se nel gergo della giustizia staliniana la sua sentenza si chiamava «dieci anni di reclusione senza il diritto di corrispondenza». Dal giorno dell'arresto, Margarete non vide più il marito e non ricevette alcuna notizia affidabile sulla data, il luogo e il modo della sua morte. Dopo mesi e mesi di ricerche tra le prigioni di Mosca nel vano tentativo di trovare traccia del marito, la Buber-Neumann decise di cercare di uscire dall'URSS. Ma tutti i comunisti stranieri, e in particolare gli abitanti dell'hotel Lux, dai capi del Comintern ai giovani collaboratori, dal momento in cui entravano in Unione Sovietica diventavano prigionieri degli organi di sicurezza sovietici. I loro passaporti erano ritirati dalla polizia segreta che li restituiva solo su espressa autorizzazione del vertice del Comintern o dei leader sovietici. Nel suo libro sul marito Babette ha raccontato come Münzenberg, alla fine del 1936, anticipando l'imminente arresto riuscì a convincere Togliatti, che dirigeva il Comintern durante l'assenza di Dimitrov, che la situazione in Spagna richiedeva la sua partenza per l'Europa, e a strappargli l'autorizzazione a riavere il passaporto. Münzenberg partì il giorno stesso per Parigi, guadagnando così qualche anno di vita. Margarete Buber-Neumann cercò di seguire la stessa tattica per riavere il proprio passaporto, ma evidentemente le mogli degli ex-dirigenti arrestati non avevano più alcun valore e lei, che era già stata da tempo sfrattata dall'hotel Lux, non riuscì a essere ricevuta da qualche capo del Comintern. Così arrivò il suo turno: nel 1938, un anno dopo l'arresto di Heinz Neumann, fu arrestata anche lei.