Ferdinando DE SIMONE

LA DONNA E LA SCIENZA o LA SOLUZIONE DEL PROBLEMA SOCIALE

di

SALVATORE MORELLI

Due volte Consigliere Comunale del Municipio di Napoli e Deputato al Parlamento Italiano 3a Edizione, Napoli 1869

Da me interamente riveduta e corretta

A Clara e Rebecca, le mie nipoti

Carovigno 2019

Questo libro è di proprietà esclusiva delle mie nipoti, Clara e Rebecca Lotti, figlie di mia figlia Domenica. Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione.

2 3a ED. DE LA DONNA E LA SCIENZA (Napoli 1869)

PREFAZIONE

Napoli, Martedì 5 Ottobre 1869. Giorgio Asproni, come scrive nel suo DIARIO POLITICO 1855-1876, ritornando a casa sul tardi, incontra Salvatore Morelli che gli confida d'essere im- pegnato con la stesura della terza edizione de La donna e la scienza. (Vol. V: 1868-1870, p. 411) Lo stesso Asproni, Domenica 17 ottobre 1869, incontrava Azaele Ventrella ["Uomo politico pugliese vicino anche a Mazzini, membro onorario del Comitato Centrale dell'Alleanza Repubblicana Universale con sede a Napoli". in https://journals.openedition.org/laboratoireitalien/1283], che era rimasto scandaliz- zato della vanità che Morelli mostrava nel suo libro la Donna e la Scienza, mettendo nel titolo d'essere stato consigliere municipale di Napoli. (Ivi, p. 416) Negli ultimi 2 righi del testo morelliano, è precisato: "Scritto in Lecce il 1858", e "Rive- duto a Napoli il 1869." Si aggiunge che la 1a e 2a Edizione riportano entrambe: "Da Lecce il Settembre del 59".

Ora che mi è caduto sotto la penna, per dirla alla Morelli, faccio presente che la 3a Ed. è differente dalle 2 precedenti in particolare per due motivi: - primo perché Dio viene sostituito con il genio della natura, il genio dell'universo, il genio dei secoli, il genio dei cristiani; suprema intelligenza; - secondo, perché ha in più La Pedagogia della Scuola Materna.

E faccio altresì presente, quel che aveva scandalizzato il Ventrella, più che una vanità è un dato di fatto assai rilevante della vita di Morelli, perché non se ne può, a mio avviso, co- gliere appieno la straordinaria figura, negligendo l'essere stato uomo politico di rinomanza nazionale e internazionale. Penso sia utile mettere in luce altre particolarità della vita vissuta del Nostro. Una, ce la racconta egli stesso, allorché, riferendosi alle scientifiche discussioni avute con il comprovinciale Giuseppe Libertini, suo carissimo amico, dice che si era fissato sull'impor- tantissimo argomento della riflessione (sistema e/o metodo) e di avervi associato ancor più il pen- siero della donna, quando lo stesso Libertini annuncia che "la madre mia - sono le sue parole - se n'era già morta abbattuta dal dolore della mia condanna, dal seviziante sprezzo e dalle mi- serie che gli uomini del governo facevano pesare sull'intera mia famiglia!" (3a Ed., p. 6, Nota 1) Si rende noto che, il 17 Aprile 1849, Morelli fu condannato dalla Gran Corte Criminale di Lecce a 8 anni di relegazione per infrangimento, per solo disprezzo, delle immagini del Re e della Regina, situate nel corpo di Guardia di Carovigno, e per discorsi e fatti pubblici contro la persona del re allo scopo di spargere malcontento contro il Governo. Condanna, confer- mata il 17 Agosto 1849. Gli effetti sconvolgenti di questa sentenza di condanna si riversarono anche sulla sua famiglia, provocandone letteralmente la rovina economica. Come ho già scrit- to in altra opera, Morelli non era colpevole del crimine ascrittogli: assolutamente innocente, fu vittima sacrificale della reazione borbonica.

Un'altra particolarità, la si rinviene nelle parole con le quali Morelli risponde agli aspri at- tacchi, mossigli dalla classe clericale romana: "Se i preti di Roma ed i fanatici loro seguaci pensassero, che anch'io fra tutti fui credente - se sapessero non essere rimasto alla mia famiglia impoverita dalle tirannidi che un solo fi- glio prete in sostegno dell'onorando mio vecchio Genitore, e che non pertanto convinto dei mali che questo stato di cose arreca all'umanità, desidero ardentemente una trasformazione sa- lutare, anche col sagrificio dei miei più intimi e di me stesso son certo che sapendo questo se- guirebbero il mio esempio, ed invece di maledirmi mi stenderebbero la mano, per uscire tutti dalla posizione umiliante ed incerta in cui l'organizzazione sociale fondata sopra un falso si- stema ci ha trascinati". (3a Ed., pp. 167-169) 3 Si nota che Morelli, nemico maledetto dal papato e dalla chiesa di Roma, nasce a Carovi- gno da famiglia religiosa, credente e praticante. E qui, nella Chiesa Madre, viene battezzato e cresimato, come del resto tutti i suoi fratelli (Salvatore Morelli, quartogenito di 15 figli). Si aggiunge che il fratello prete è Don Francesco Morelli (Carovigno, 4 Febbraio 1831 - Corato-Bari, 15 Aprile 1879), un valente sacro oratore.

Un'altra infine attiene alla vita parlamentare: "Quando leggiamo che una libera assemblea derideva l'oratore che per la prima volta muoveva lamento sulla condizione oscura e miserevole della donna, allora ci è forza conchiu- dere che la rivoluzione dell'89, se contentò le passioni politiche, non soddisfece le promesse della scienza". (3a Ed., p. 274) Si osserva che la libera assemblea è il Parlamento Italiano, e l'oratore deriso è proprio Salvatore Morelli. [Si veda in proposito, il § 2.18. del 2° Volume de La vita documentata di Salvatore Mo- relli].

Riprendendo il discorso, si rappresenta che esattamente 150 anni dopo la pubblicazione a a della 3 Ed. dell'opera magna morelliana, mi trovo, sulla falsariga della 1 Edizione (da me ri- veduta e corretta nel Dicembre 2015), a riscriverla con lo scopo di renderla più fruibile, più com- prensibile e più semplice, arricchendola soprattutto di note esplicative, riferendo autori e fonti (titolo dell'opera, volume, pagina, luogo e data di edizione) da cui Morelli avrebbe ricavato le citazioni. I brani e le frasi citati dal Morelli, li traggo direttamente dagli originali rinvenuti on line o dai testi scritti, e vengono riportati nella lingua originale insieme con la mia traduzione, se in francese o in latino. Nel testo, il segno grafico (?), posto dopo una parola, un nome, una frase o periodo, se- gnala l'erroneità di quello che Morelli ha detto. In parentesi quadre, e con il corpo 10, seguono le correzioni. In parentesi graffe con numerazione progressiva da {1} a {64}, sono segnate le Note, inserite da Morelli a piè di pagina e da me invece, in ordine numerico progressivo, tutte alla fine, con la indicazione della pagina del testo e la corrispondente pagina dell'edizione digitalizzata: p.e.: {1}(p. 3 ==> 108/405).

Il libro è così articolato: - CAPITOLO PRIMO. Introduzione. - CAPITOLO SECONDO. La donna, procreatrice dell'uomo. - CAPITOLO TERZO. La donna, educatrice dell'uomo. - CAPITOLO QUARTO. La donna, motore perpetuo dell'uomo. - NOTE. - ANNOTAZIONI AGGIUNTIVE. - SITO-BIBLIOGRAFIA. In principio dei capitoli, è messo il SOMMARIO che sintetizza le argomentazioni morel- liane, a ciascuno di essi inerenti. N.B.: Le annotazioni aggiuntive, da me segnate nel testo con (n), da (1) a (42), da intender- si come una sorta di APPENDICE, sono semplici note esplicative all'opera morelliana. Ho tralasciato, perché a mio avviso non necessitante di annotazioni e chiarimenti, il CEN- NO CRITICO SULLA VITA DELL'AUTORE E DELL'OPERA del professore Virgilio Estival (Parigi, 1835 - Parigi, 18 Settembre 1870), che occupa le pagine V-XCIX di questa edizione. Invito pertan- to il benevolo lettore a fare riferimento al testo scaricabile on line al seguente indirizzo: https://books.google.it/books/about/La_donna_e_la_scienza_o_La_soluzione_del.html?id=KukxAQAAMAAJ&redir_esc=y

* p. 1 ==> 106/405. Nella INTRODUZIONE, trattando della genesi del libro, Morelli formula la tesi secondo cui: la rigenerazione della società avviene tramite la rigenerazione della fami- glia; il mezzo idoneo per questo sublime scopo è la scienza; l'organo trasmissivo più efficace, 4 la donna. Il nesso donna e scienza si pone pertanto come la felice soluzione del problema so- ciale; e il sistema della riflessione come l'unico mezzo metodico spontaneo per insegnare la scienza alla donna e ai fanciulli. Viene così delineato il cammino virtuoso del pensiero morelliano ai fini della soluzione della questione delle questioni: sistema della riflessione => scienza => emancipazione della donna => rigenerazione della famiglia => rigenerazione della società. In altre parole, il sistema della riflessione produce la vera scienza; con la scienza si emancipa la donna; la donna emancipata rigenera la famiglia; la famiglia così rigenerata, rigenera, a sua volta, la società della quale è cellula vitale.

Per Morelli, la donna è come l'ultima parola del genio della natura, l'ultimo atto delle sue creazioni, e in quanto tale è la sintassi che assomma in sé la completa armonia dei suoni articolati dalle labbra del creatore, l'indice del libro che sintetizza i concetti più marcati del suo autore. E i due sessi sono costituiti nell'identità duale della stessa natura: sono cioè simili ed eguali in tutto ciò che determina la personalità umana, che è unico e medesimo. L'unità origi- naria si mantiene nelle forme organiche, e varia soltanto nell'ordine sessuale. La scienza appartiene alla donna in quanto inalienabile diritto di natura, e in pari tempo per diritto di conquista. La scienza da dare alla donna e ai fanciulli non è però quella compli- cata e inaccessibile dei filosofi, la scienza delle astrazioni, bensì quella di tutti e di ciascuno, la scienza del senso comune che si acquista con la riflessione, cioè con il ripiegarsi dello spiri- to su se stesso, e sui propri fenomeni. La rovinosa condizione nella quale è oggidì la donna, caratterizzata da ignoranza e cecità, è solo il portato della irriflessione. Se i giovani d'oggi si disgustano della scuola, sì da frequentarla meccanicamente come il colpevole che va al patibolo, se si disamorano dell'insegnamento scolastico, è perché non ne ricavano alcun profitto: per il cattivo metodo, per le coercizioni dei regolamenti, per la con- dotta degenere dei professori, che ripetono alla lettera sempre le stesse cose senza distinzione né di luoghi né di tempi. Concludendo, Morelli specifica la triplice missione della donna: (pro)creare, educare e muovere l'uomo dacché nasce finché muore, significando con ciò la triade programmatica che svilupperà nei capitoli successivi.

** p. 45 ==> 150/405. La donna procreatrice è l'argomento del 2° Capitolo. Ella ha in sé la potenza creatrice, afferma anzitutto Morelli. E se creare è fare qualcosa dal nulla, che secondo la teologia è prerogativa esclusiva della divinità, nondimeno lo è anche della donna al cui genio, cioè alla cui facoltà creatrice, è affidata la misteriosa fattura dell'es- sere umano. Morelli afferma altresì che la creatura umana, opera esclusiva della donna, è modificabile in cento guise a seconda delle condizioni che determinano lo spirito della madre. In altre paro- le, la generazione avviene conformemente al tipo ideale che la donna si forma nella mente. Tutto quindi, secondo l'ispirazione della madre: se ella trae ispirazione da un bel tipo, darà al- la luce un bel bambino; se da un tipo brutto, un bambino brutto. Ciò stante, è indeclinabilmente necessario ch'ella venga illuminata dalla scienza: non quella astratta del cattedratico, ma quella semplicissima che si ricava dalla riflessione sui fatti propri. Con la scienza, conclude Morelli, la donna adempirà degnamente l'atto creativo della generazione e, migliorando la specie umana, rileverà tutto il gentil sesso dal decadimento spi- rituale che lo caratterizza.

*** p. 88 ==> 193/405. L'argomento del 3° Capitolo è la donna educatrice dell'uomo.

5 Se per ben procreare i figli, la donna necessita d'essere istruita con la scienza, afferma Morelli, allora non può che esserne lei la educatrice. Chiamata naturalmente ad alimentare il neonato con l'allattamento, deve anche alimentarlo spiritualmente, nutrendone mediante l'i- struzione lo spirito, che si sviluppa in armonia con la vita organica. Morelli ritiene esservi una istintiva preordinazione della maternità allo sviluppo della mente. Per cui, l'amore della madre si configura come un elemento imprescindibile della per- fetta educazione. E le donne insegnanti sono le più idonee a impartire l'istruzione elementare. Comunque il sacro diritto di educare la prole, è un privilegio che è concesso alle donne dalla natura, e nell'esercizio di tale privilegio risiede la vera gloria. L'aver generato, ci tiene a precisare Morelli, non è titolo onorifico, che conferisce cioè onore, in quanto pure la pecora, la gatta, la cagna generano. E nel generare, la madre dell'uo- mo non si distingue, per così dire, dalla femmina degli animali che partorisce. La natura fa l'essere animale, l'educazione determina i caratteri umani in quell'essere che il concepimento ha preliminarmente abbozzato. La madre dell'uomo si differenzia, sublimandosi, da quella dei bruti unicamente per la missione nobilissima di educare la prole. LA NATURA FA L'ANIMALE, L'EDUCAZIONE FA L'UOMO! Ora, se pesa sulle spalle della donna, in quanto madre, una così grande missione, qual è il metodo, quale il sistema di cui ella debba servirsi per conseguire adeguatamente lo scopo che l'ordine razionale delle cose ha prefissato? La risposta non può che essere quello della riflessione, che bisogna però insegnarglielo se vuol essere madre e maestra secondo la coscienza del secolo. Ecco perciò LA SCUOLA MATERNA CIVILE PROMISCUA GRATUITA OBBLIGATORIA CON LA SCIENZA DEL SENSO DEL SENSO COMUNE; ecco quello che rimane da fondare e istituire ovun- que si abbia interesse a mantenere su solide basi l'esistenza sociale. La Scuola materna, o meglio, la Pedagogia della Scuola materna, per quanto concerne, stricto sensu, l'istruzione, è da Morelli organizzata nei seguenti obiettivi e/o elementi metodo- logici e didattici: a) Elementi metodici b) Tempo dell'insegnamento c) Conoscenza di se stesso d) Studio del corpo e) Il Calendario del lavoro o l'economia della produzione f) Igiene organica g) Igiene Morale h) La religione della scienza i) Nozioni di lingue j) Nozioni del mondo esterno k) Nozioni di storia l) Nozioni politiche e amministrative m) Il Galateo della libertà n) Nozioni di matematica elementare, fisiologia, e scienze fisiche

Correlativamente, vien dato rilievo alla necessità di elevare, economicamente e social- mente, la classe dei maestri, la parte più nobile della nazione; e anche alla necessità di una Costituente Intellettuale al fine di determinare i caratteri della scuola materna, e investirla dell'autorità necessaria perché possa appieno compiere la sua funzione civilizzatrice. Infine, secondo Morelli, per il tramite della scuola materna civile, si sottraggono le donne e i fanciulli al prete, e si ottiene, come dev'essere, la separazione dello Stato dalla Chiesa.

6 **** p. 219 ==> 324/405. Il 4° capitolo attiene all'essere la donna motore perpetuo dell'uomo, ossia principio e causa del suo agire, dalla nascita alla morte. Dice Morelli esservi nella donna la forza dell'ispirazione, il cui fondamento ideale è motivare l'uomo a fare il bene e il male. Se si presta attenzione all'operare dell'uomo, si vede facilmente che egli tende alla beati- tudine, i cui elementi costitutivi sono: il vero, quale entità astratta assoluta, sorgente e princi- pio della intelligibilità; e la donna che, nel mondo degli enti finiti, incarna concretamente l'immagine più perfetta della natura dal punto di vista artistico e morale. La donna, quindi, incarnazione della bellezza e della moralità; ma è altresì partecipe dell'essere universale, e se l'uomo che per una anomala consuetudine le si ritiene superiore, nondimeno istintivamente, alla prova dei fatti, si rivela a lei chiaramente inferiore, e ubbidien- te in modo servile. A ogni modo la donna sa che lo partorisce, lo alimenta, lo educa, e che per tanto bene debba esserle soggetto, secondo un rapporto di dipendenza proprio come quello che intercorre tra l'effetto e la causa. Praticamente la donna, con la gentilezza e con la forza del sentimento, lo dirige e lo domina dall'alba al tramonto della sua esistenza. Ciononostante, gli scaltri nelle male arti dell'usurpazione, cercando di mascherar legitti- mità con l'esercizio brutale della forza fisica, onde non averla come antagonista, predicano il suo essere debole per assumerne la tutela e assoggettarla al proprio volere. Sindacandone la coscienza e rappresentando, così mentendo, una autorità che non hanno, la debellano e ne usurpano il posto. Di qui l'impellente necessità dell'educazione della donna mediante la scienza, perché sia ispiratrice di bene, e al tempo stesso del riconoscerle la personalità giuridica, perché partecipi responsabilmente e produttivamente alla vita sociale. LA CAUSA DELLA DONNA È LA CAUSA DELL'UMANITÀ. La questione dell'emancipazione della donna - spiega Morelli - si risolverà, tra l'altro, quando i filosofi, invece di formulare tesi sulla quadratura del cerchio, sulla trisezione dell'angolo e sulle assurdità teologiche, sprecando inutilmente il loro tempo, indirizzeranno la loro attività a questo serissimo e importantissimo argomento, radice di un bene duraturo e universale. Al presente, il suo stato di nubile è un equivoco: ha, e non ha i diritti; è, e non è persona. Ma è nello stato matrimoniale che la donna si ritrova con maggiori e più dure limitazioni. In antitesi con la Rivoluzione Francese, la rivoluzione, per così dire, morelliana, logica- mente consistente, viene edificata su 4 fondamentali pilastri programmatici: Libertà, Solida- rietà, Distribuzione, Responsabilità; non disgiuntamente però da una radicale riforma legisla- tiva, moralizzatrice ed emancipatrice, che riconosca alla donna gli stessi diritti dell'uomo, e le dia la scienza perché possa compiere adeguatamente la sua triplice missione. Conclude Morelli col dire alle donne che se vogliono la loro posizione giuridica, se la de- vono conquistare, e le invita a immischiarsi nell'azione rivendicatrice, a propugnare il proprio diritto propugnando la libertà e l'unità della patria, ad associarsi con le consorelle e a procla- mare, con la Religione della scienza, l'esaltazione del proprio sesso. *§* RIFLESSIONI PERSONALI "O buoni o tristi che sieno i libri; o ree o giuste le opinioni, sempre ci è da cavarne frutto, sia rettificando l'errore del passato, sia giovandosi delle verità che contengono." (p. 116 ==> 221/405) La domanda che sorge spontanea, e che rivolgo primariamente a me stesso, riguarda qua- le frutto abbia io ricavato dalla lettura e analisi testuale dell'opera morelliana. Più che il correggere e rettificare gli errori, mi è stato utile l'essere indotto a riflettere sul- la vita e sul mondo, e in particolare sulla DONNA e DIO.

7 La donna e la maternità La donna non è una cosa, è una persona, afferma categoricamente Morelli. E allora, per- ché assimilarla a un animale per quanto concerne la generazione? La maternità umana non va disgiunta dalla cultura; quella animale è del tutto istintuale. Ciò che è istinto e natura nell'essere umano, è sempre sussunto dallo stesso nella sua sfera culturale. Motivo per cui, non è possibile nelle cose di questo mondo discernere ciò che attie- ne alla natura da ciò che attiene alla cultura. La maternità, seguendo io convintamente il pensiero morelliano, deve essere proclamata dal punto di vista culturale, e gridata ai canonici quattro venti, come cosa affatto sacra e su- blime, non religiosa ma civile e sociale, perché connessa con la sopravvivenza della società e con la vita del nuovo nato che di per sé è già persona, da trattare perciò non come un mezzo, bensì sempre come fine in sé secondo l'imperativo categorico di Kant. Quindi, bando assoluto alla surrogazione di maternità o gestazione per altri/e o surrogazione gestazionale o gestazio- ne d'appoggio (utero in affitto). La donna che (pro)crea, non può considerarsi produttrice di figli: il che è assolutamente innaturale e bestiale!

La donna essere perfetto. Dice anche Morelli che la donna, "nella categoria degli esseri finiti, presenta in concreto la immagine più perfetta della natura dal punto di vista artistico e morale" (p. 221 ==> 326/405) Tesi non condivisibile, perché, per la donna, come del resto per l'essere umano in genere, vige il principio che per natura si è ciò che si è, né perfetti né imperfetti, né belli né brutti, né buoni né cattivi ecc.. Ella sarà la persona che sarà, solo conformemente alle scelte che farà, per l'appunto, per- sonalmente nel suo farsi (storico). Gli attributi che di solito si predicano, in modo apprezzativo o spregiativamente (p.e., l'es- sere dolce e gentile, l'essere frivola e scurrile), della donna, non appartengono a lei in quanto donna, ma in quanto persona nella sua individuale esistenza, hic et nunc, avente nome e cognome. E per di più i predicabili umani - sia per l'uomo che per la donna - hanno statisticamente una di- stribuzione normale o gaussiana. Commettono un peccato logico, grave e mortale, le donne che, nel rivendicare i propri di- ritti, lo fanno esclusivamente come donne. Lo dovrebbero, invece come persone e cittadine, perché il non riconoscere i sacrosanti e inalienabili diritti loro spettanti, è un delitto di lesa di- gnità umana e, ciò stante, un attentato all'equilibrio e all'esistenza stessa della società. Ragion per la quale, dovrebbero essere reclamati a voce univoca da tutti indistintamente, uomini e donne. In pari tempo, dovrebbero, in quanto donne, pretendere a gran voce l'istituzione di una nuova specie di reato, da inserire nei Codici, e precisamente il delitto di lesa femminità, ovve- ro l'argumentum adversus foeminam, non dissimile dall'argumentum adversus hominem della logica classica, contro coloro i quali nei pubblici dibattiti e non, con atteggiamenti, compor- tamenti, allusioni, espressioni verbali e/o gestuali ecc., attentino alla dignità della persona in quanto donna.

La donna e la prostituzione. Le voci prostituzione, prostituire e prostituirsi, ricorrono in tutto 8 volte (rispettivamente, 6, 1, 1). La voce lupanaio, 3 volte. Tra i mali affliggenti la società, quali l'analfabetismo (3/4 della popolazione), l'emigra- zione, il brigantaggio, la camorra ecc., Morelli pone la prostituzione della donna, della quale, in nota, dice di commuoversi perché creata ordinariamente dalla miseria e dall'ignoranza. Della donna propugna insistentemente: "La emancipazione da uno stato d'ingiustizie e d'incertezze che la rende bersaglio alla prepotenza scostumata, la quale finisce per condurla od al martirio od alla prostituzione". (p. 248 ==>353/405)

8 E contro i governi sedicenti civili, i quali, lamenta Morelli, mentre la questione sociale incalza la povera donna a prostituirsi per vivere, non avvertono cogente e impellente l'obbligo di porvi rimedio mediante la diffusione dell'istruzione e del lavoro. Parimenti, la stessa civile Europa ha l'obbligo - sostiene infine Morelli - di intraprendere una crociata salvatrice contro harem e lupanari che prostituiscono infamemente la donna. Ora, la prostituzione, un tempo legalizzata (tassa, patente, postriboli di stato), oggi che non lo è, dilaga esponenzialmente senza limitazioni spazio-temporali, in tutte le ore e in tutti i luoghi, alla luce del sole e al buio della notte. È ormai tempo che la donna, anzitutto come donna, e poi come cittadina, levi alta la sua voce contro il sistema che fa questo scempio. A mio avviso, fermo restando gli adempimenti costituzionali da parte dello Stato in ordine all'istruzione e al lavoro come predicava Morelli, è tempo che venga affermata, in proposito, la libertà di scelta delle donne unitamente alla connessa legalizzazione, sostituendo al cosiddetto più antico mestiere del mondo la nuova professione del secolo. Di per sé la prostituzione non è né un male né un bene, lo diventa invece rispetto a criteri, norme e principi fissati dai viventi, come p.e. dai parlanti per quanto concerne i fatti di lingua. Occorre però che sia convenientemente regolamentata e normata, assicurando a chi la profes- sa ogni possibile tutela: sanitaria, giuridica, previdenziale, assistenziale, sindacale, assicurati- ve, e altresì di salvaguardia della propria sicurezza fisica.

La donna madre maestra Oltre all'emancipazione della donna e all'istruzione civile, pubblica, promiscua, gratuita e obbligatoria, Morelli ha a cuore anche la sorte della classe dei maestri e delle maestre, che de- finisce la parte più nobile della nazione. È però indispensabile - a suo avviso - scegliere i buoni maestri, apprezzarli e remunerarli bene, perché i mali che produce un maestro ignorante sono di tal natura da falsare il processo educativo e rendere infelici intere generazioni. Una delle ragioni per le quali è imbestialita l'umana società, pensa Morelli, sia appunto quella di non aver voluto ben compensare i maestri, stimando la loro augusta opera al di sotto del lavoro del contadino o di qualunque altro umile mestiere. Il che è assolutamente condivisibile; ma non lo è la tesi secondo la quale il maestro dev'essere madre o donna. In verità ciò che si vuole dal maestro non è che sia madre, ma che sia materno; che sia competente e sappia il fatto suo; che sia ricco di didattica, cioè di metodi e strategie didattiche da scegliere e applicare secondo le modalità apprenditive degli alunni; che sia responsabile, in grado cioè di dare risposte adeguate alle domande di formazione che gli provengono dall'uten- te discente; che senta, per così dire, la vocazionalità (amore e passione) all'insegnamento e sia dotato di empatia; ma soprattutto che sappia mantenere la disciplina, perché la maggior parte (il 75%) delle energie psico-fisiche del docente, vengono spese proprio nella gestione disci- plinare della classe. Inoltre, il rapporto docente-discente non può connotarsi di altra valenza (p.e.: familiarità, affettività, intimità) che non sia quella dell'alterità: il docente è altro dal discente, e il discente è altro dal docente; e questo dev'essere sempre tenuto in conto. Il rapporto educati- vo non è im-mediato, ma mediato, mediato dall'autorità (o meglio, autorevolezza) della fun- zione che il docente deve esercitare con il debito distacco dal discente. Di conseguenza non è accettabile che si debba - come sostiene Morelli - affidare, fino a 7 anni, l'educazione dei figli alle donne insegnanti perché in esse è più verosimilmente presente l'istinto della maternità. L'equazione morelliana: maternità = educazione, è per me impropo- nibile. Come è pure improponibile che, se la madre non ha l'attitudine, sia giustificabile affi- dare l'educazione ad altri. Ma non devono essere entrambi i genitori a educare la prole? E infine queste altre affermazioni: - L'unico essere chiamato sulla terra alla solenne missione dell'insegnamento è la madre. La

9 donna deve essergli madre e maestra. La mia opinione è invece questa, che la donna insegne- rà non in quanto madre, né in quanto donna, ma solo in quanto insegnante, all'uopo educata, istruita e formata. - nessun altro che la madre può e deve essere l'educatrice dell'uomo; - la madre, illuminata dalla luce della scienza e ispirata nel bene, deve essere l'unica educa- trice del figlio. Relativamente a queste due affermazioni, si fa presente Morelli formula malamente la spiegazione mediante il sillogismo ipotetico deduttivo tollendo tollens: "Se avesse stimato che la donna non fosse atta alla educazione del figlio, avendolo gene- rato, e quindi fattolo necessitoso come di cibo organico, così anche di alimento spirituale, lo avrebbe circondato di dottori per dargli la scienza; ma la storia ci dice che il povero Nazareno rimase sempre con la madre, nè andò ad alcuna scuola, dunque egli voleva insegnar pratica- mente, che la madre, e null'altro che la madre rigenerata a virtù sia la vera educatrice dell'uo- mo!" (p. 115 ==> 220/405) Riporto qui quanto da me scritto nella Analisi logica, retorica e linguistica de La donna e la scienza (1a edizione), Carovigno 2018: "Rappresentiamo il ragionamento di Morelli, utilizzando la notazione della logica simbo- lica: [(p ¬ q) . ̴ q ] ¬ ̴ p p = antecedente = proposizione logica q = conseguente = proposizione logica . = connettivo logico = congiunzione "e" ̴ = connettivo logico = non ¬ = connettivo logico = implica In altre parole: se l'antecedente implica il conseguente, e questo è falso, allora l'antece- dente è falso. SE p "Se [Dio Padre] avesse stimato che la donna non fosse atta alla educazione del fi- glio, avendolo umanato, e quindi fattolo necessitoso come di cibo organico, così anche di ali- mento spirituale" IMPLICA q "lo avrebbe circondato di dottori per dargli la scienza" E (la storia ci dice che) ̴ q "il povero Nazareno rimase sempre con la madre, né andò ad alcuna scuola" ALLORA ̴ p "è falso che Dio Padre stimasse la donna non atta all'educazione del figlio", vale a dire: "egli volea insegnar praticamente, che la madre, e null'altro che la madre rigenera- ta a virtù sia la vera educatrice dell'uomo" In via preliminare si osserva che l'espressione o qualità "rigenerata a virtù" non fa parte delle premesse, per cui indebitamente è posta da Morelli nell'inferenza conclusiva. E poi, a prescindere dall'antropomorfismo caratterizzante questa visione morelliana, si obietta che la connessione tra antecedente e conseguente trae la sua validità soltanto dall'essere Dio Padre onnisciente e onnipotente. Ma se Dio è se stesso, qualsiasi scelta univoca o dicotomica che gli si vuol attribuire, è apriori priva di valore, assolutamente nulla. Per cui la falsità del conseguente, non può mai portare alla falsità dell'antecedente, che inficia, appunto, l'onniscienza e onnipotenza di Dio.

Morelli è altresì in contraddizione con se stesso, perché se da una parte presenta e spiega come naturale, costitutivo ed essenziante della donna il suo essere (pro)creatrice, educatrice e motore dell'uomo dacché nasce finché muore, dall'altro lo storicizza e attualizza allorché dice che: "La coscienza del secolo la riscuote e le dice: tu che fai l'uomo carne, devi farlo anche spirito! come dice al cittadino: se vuoi salvarti volgiti alla donna, rendila maestra come l'hai fatta madre dei tuoi figli - fa che ella ricordi a te ed insegni ad essi, che l'ignoranza volontaria è suicidio, è delitto di lesa dignità" (p. 136)

10 In altre parole, questa coscienza del secolo doveva essere vigile e attiva già al sorgere dell'umanità, e non soltanto nel secolo XIX. Come si concilia quanto sopra riportato con ciò che Morelli scrive successivamente, e cioè che "la donna assumerà abilmente [con il sistema della riflessione] nella scuola materna la vera educazione dei figli cui è missionata dal sovrano volere della natura." (p. 206) [N.B.: La coscienza del secolo e il sovrano volere della natura risultano essere del tutto asincroni.]

La donna religiosa. La donna è più religiosa dell'uomo, dice Morelli, perché più attinente alla natura. La geni- trice si può dire in intimità con Dio, mentre gli altri non lo vedono, né possono vederlo se non alla lontana, giammai in modo diretto, ma solo vagamente e velatamente. Il suo seno è come il primo tempio nel quale l'uomo innalza per la prima volta la mente alla venerazione e al culto. Ecco perché la donna è più religiosa dell'uomo. Ella avverte più da vicino l'alito dell'onnipotenza e i benefici del soprannaturale, quindi sente per lui il più lirico entusiasmo, ed è più incline alla preghiera onde averlo come coadiutore allorché esplica la sua potenza (pro)creatrice. Ora, mettendo tra parentesi la questione se questa religiosità sia da annettere all'indole naturale della donna o al semplice condizionamento culturale, vale a dire alla sua educazione, non si può negligere quanto ella sia stata, sin dalla notte dei tempi, maltrattata e bistrattata dalla Religione fatta Stato. "Se Prometeo - precisa Morelli - dopo aver rubato il fuoco sacro al Cielo, fu dannato a stare trentamil'anni ligato alla rupe, e non pertanto l'iracondo Giove tra breve tempo lo eman- cipava; la donna pel famoso frutto vietato ha pianto anch'essa lungamente, nè può immaginar- si che lo debba di vantaggio sotto gli occhi d'un mondo diretto e governato dal sentimento della carità che ne perdonava le colpe e ne comandava il rigeneramento colla elevazione della donna ebrea." (p. 43 ==> 148/405) Avverso quelle donne, sedicenti femministe, che oggi hanno sprecato, e di certo spreche- ranno in futuro, inutilmente il tempo della loro esistenza, nel voler caparbiamente cambiare il genere dei nomi, esclamiamo con Morelli: < 340/405) Le donne di buona volontà dovrebbero oggidì innalzare la bandiera del proprio risorgi- mento religioso, e seguitare a rivendicare, con l'energia e la pervicacia del nostro Morelli, la propria emancipazione dalle catene bibliche, chiedendo formalmente al Papa di indire un CONCILIO ECUMENICO: - per la santificazione di Eva, la prima donna, alla quale non si può imputare alcunché, né tanto meno il peccato originale, perché meritevole invece di gloria imperitura per aver com- piuto invece una grande opera: felix culpa, diceva Sant'Agostino, perché l'umanità ha potuto godere dell'Incarnazione del Figlio di Dio; - per una rilettura emendativa della Genesi, in particolare dei versetti: "[16] Signore Dio diede questo comando all'uomo: <> (https://www.maranatha.it/Bibbia/1-Pentateuco/01-GenesiPage.htm), da intendersi il divino comando non in termini perentori, ma ordinatori, ovvero come sempli- ce affermazione del diritto e del principio del libero arbitrio; - per l'accesso al sacerdozio di tutte le donne, perché non si comprende come mai, se una donna (Maria di Nazaret) ha generato il Cristo, una donna non possa esercitare la funzione sa- cerdotale: ciò che deve chiedersi al sacerdote non è se sia maschio o femmina, bensì se sia moralmente e mentalmente sano, non pervertito psichicamente, dotato di umiltà, semplicità, povertà di spirito, e alla fine se abbia la vocazione;

11 - per la proclamazione della donna come <> di Dio, proprio come Gesù Cristo (Vd. Marco, 1,9-11. "Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto"), per- ché a lei, madre, è legato il destino dell'umanità e del mondo. Se Dio si è servito di una donna per l'incarnazione del Figlio suo prediletto, perché la Chiesa non può servirsi della donna co- me apostola speciale per continuare l'opera del Figlio di Dio?; - per l'abolizione del celibato e nubilato ecclesiastico, non essendo un dogma di fede, ma pu- ramente una norma tradizionale, già di per sé irrazionale e incomprensibile; - e infine per rendere alle donne, urbi et orbi, l'aureola gloriosa degli eroi e dei martiri.

In pari tempo, la donna deve innalzare la bandiera del proprio risorgimento storico- culturale, richiedendo a tutti gli spiriti colti la riscrittura dei libri di storia che, chissà per- ché!?, non hanno preso in considerazione e/o esplicitato la partecipazione delle donne agli eventi e avvenimenti storici, anche importantissimi. Così, per esempio, ci chiediamo quale e quanta parte abbiano preso le donne, positivamente o negativamente, alle crociate. Ci chiediamo anche quale sia stata la riflessione filosofica sulle donne. In particolare, riguar- do a Kant, sarebbe interessante sapere se le 12 categorie dell'intelletto umano siano costitutive anche di quello della donna. Scrive il filosofo di Königsberg che "la legge dice dell'uomo nei suoi rapporti colla donna: Egli deve essere il tuo padrone (egli sarà la parte che comanda, la donna quella che ubbidisce). Ma questo non deve essere considerato come contrario all'egua- glianza naturale dei membri di una coppia, perché questo dominio si fonda soltanto sulla su- periorità naturale delle facoltà dell'uomo su quelle della donna, nell'intento di procurare l'interesse comune della famiglia e il diritto al comando, che ne deriva per l'uomo; perciò que- sto dominio può essere derivato dallo stesso dovere dell'unità e dell'uguaglianza relativamente al fine." (Emanuele Kant, La metafisica dei costumi, Paravia, Torino 1923. p. 100 ==> 108/239. https://archive.org/details/KantMetafisicaDeiCostumiPartePrima)

Praticamente, la cultura e la coscienza del secolo, per dirla alla Morelli, deve imprimere nella mente dell'uomo novello un'altra categoria dell'intelletto, quella afferente alla filosofia delle donne: genitivo da intendersi come oggettivo, avente cioè per oggetto le donne e quello che si dice su di esse; e come soggettivo, avente per soggetto la donna che appunto filosofa e produce opere filosofiche.

Dio. Relativamente a Dio, risulta incomprensibile il perché della sostituzione morelliana della voce Dio, di immediata comprensione, con perifrasi di non agevole intendimento, quali: il ge- nio della natura, il genio del secolo o dei secoli, il genio dell'universo, il genio dei cristiani, l'ente impersonale o sopraintelligibile, la logica della natura (in luogo del mio genio) o la na- tura, l'invisibile, colui che tutto muove. Questo genio o ente, dove sta? È immanente o tra- scendente. È Lui che ha creato il mondo? E se no, il mondo è increato? E, poiché sovente lo si tira in ballo nelle cose di questo mondo, in che modo opera e a che pro? Secondo il Nostro noi abbiamo la certezza logica d'un sopraintelligibile, perché passando di causa in causa, arrivati agli elementi semplici, per spiegare l'universo diciamo: c'è una su- prema intelligenza e non altro. Per me è inconcepibile che non si possa passare di causa in causa all'infinito. Quando ero giovane, e mi ponevo il problema di dio, io già sentivo in me come irragionevole, una stortura assurda, il non poter procedere di causa in causa all'infinito, e che di conseguenza doveva ammettersi una causa incausata. Tutto sarebbe, secondo me, già risolto, se si accogliesse l'i- dea di un universo infinito, e infinito il nesso causale, effetto-causa. Ora, poiché - come egli dice - non si deve strappare violentemente dal cuore degli adulti e dei vecchi la fede religiosa, e né negare all'uomo nascente la conoscenze di Dio, perché sosti-

12 tuire o cassare il nome di Dio? Mi pare che, così facendo, Morelli sia incappato nella mede- sima difficoltà della bertuccia della favola che, irritata contro la sua immagine riflessa dallo specchio, ruppe questo in mille frantumi, moltiplicando così quella stessa figura che credeva far scomparire. Avendo perciò ammessa la libertà di coscienza, e lasciando a ognuno la libertà di credere come vuole, il nome di Dio non poteva, né può, certo rovinare il suo impianto ideale o concet- tuale. *§* Morelli, seduto sulla sponda del fiume della vita, ha visto scorrere i mali e le piaghe che affliggono la società e l'umanità. E ha pensato non utopiche riforme, né rivoluzioni culturali, ma semplicemente così: Se l'umanità, nel suo farsi storico, ha scelto per così dire l'uomo di genere maschile, inve- stendolo dell'autorità di dominare e governare il mondo, ora l'umanità, visti gli esiti deplore- voli, dal punto di vista morale, sociale e culturale, di siffatto dominio e governo, dovrebbe in- vestire l'uomo di genere femminile di pieni poteri per edificare una società, una cultura, una storia mulierocentrica al posto dell'attuale fallimentare maschiocentrica. Scrive Morelli: "La coscienza del secolo ... dice al cittadino: se vuoi salvarti volgiti alla donna, rendila maestra come l'hai fatta madre dei tuoi figli." (p. 136 ==> 241/405) E noi, a chi dobbiamo rivolgerci per la gestione del mondo e, nella fattispecie, della cosa pubblica? La risposta è semplice: né all'uomo in quanto uomo, né alla donna in quanto donna, bensì al redivivo Salvatore Morelli che esercitò il mandato consiliare al Municipio di Napoli e par- lamentare alla Camera dei Deputati a Firenze e poi Roma, avendo, già laureatosi a Napoli in Giurisprudenza, dimostrato di possedere una notevole intelligenza della realtà umana e socia- le, d'essere assolutamente onesto e coscienzioso, non mosso da ambizione di potere, e di avere a cuore la sorte dei più umili (le donne, i fanciulli, i proletari), e soprattutto di aver vissuto in- tensamente, avendo trovato qualcosa per cui morire: l'emancipazione della donna. E morì il Nostro nell'estrema indigenza, felice però d'aver vinto la sua la causa, la causa della donna, che era, è e sarà, la causa dell'umanità. E noi a ragion veduta gridiamo con lui: "Sì, è vero! ha vinto!" E in che modo dobbiamo rivolgerci? Semplicemente con il voto del cittadino consapevo- le di sé come elettore attento e responsabile, che esercita il suo diritto di voto in assoluta liber- tà, e soprattutto negando il proprio assenso a chi ha dimostrato nei fatti incapacità, immorali- tà, disonestà. Di qui la necessità imprescindibile dell'educazione e istruzione dell'uomo "citta- dino", come del resto esclamato dallo stesso Morelli: "Questa pace e questa civiltà si avranno solo nei fattori educativi diretti al movimento au- tonomo delle facoltà umane, la cui mercè può e deve moralizzarsi il costume, facendo sorgere il libero cittadino dal libero fanciullo!" (p. 291 ==> 396/405) *§* Conclusivamente, Morelli, chi era? che aveva di speciale, di unico, di superiore? Morelli era anzitutto una persona assolutamente pura, e di mente e di cuore. E aveva una dote straordinaria, quella di saper cogliere incongruenze e contraddizioni. E le ha colte nell'ordinamento giuridico, nella organizzazione della società e della famiglia, nella gestione della cosa pubblica. E le ha denunciate a viva voce e per iscritto, con ardimento e pervicacia, sicuro d'essere nel giusto e nel vero. Ha vissuto, per così dire, alimentandosi di puro spirito, assumendo la sua vita come un impegno morale e civile, lottando per l'emancipazione e la rigenerazione della donna, imper- niando la sua azione parlamentare, politica e sociale, tra l'altro, sull'universale diritto-dovere all'istruzione e al lavoro, innalzando sempre l'alto vessillo della onestà morale e intellettuale, della libertà di pensiero e di coscienza, della dignità dell'essere umano, e principalmente dell'essere donna.

13 Comunque, la grandiosità di Morelli non sta tanto nell'aver detto, quanto piuttosto nell'a- ver fatto olocausto di sé, della propria vita alla causa della donna, alla unità della patria, alla pace nel mondo, al progresso dei popoli.

Nondimeno non posso negligere il peccato logico-concettuale (e non religioso) commes- so, a parer mio, da Morelli, allorché ha visto e trattato la donna come donna, e non come esse- re umano. Per esempio, riguardo all'Igiene organica, disciplina specifica da insegnare nella Scuola Materna, Morelli dice che "non dovrebbe ignorarsi specialmente dalle ragazze, che la lordez- za scema bellezza, e la mondizia è mezza dote!" (p. 155 ==> 260/405) Sorge spontanea la domanda: non è l'igiene organica un dovere assoluto di tutti, indipen- dentemente dal sesso? La donna, dice ancora Morelli, "è l'ultima parola del genio della natura; l'ultimo atto delle sue creazioni!" Per il cosiddetto genio della natura, la donna e l'uomo non possono che essere equivalenti dal punto di vista della creazione: sono entrambi, quelli che sono. Perché annettere per natura alla donna attributi che sarà la cultura, la storia, la società a predicarli? Sulla terra non esistono diritti inalienabili, né dell'uomo né della donna; tutto è storia e cultura; la vita è una giungla, nella quale si deve lottare per vivere e sopravvivere: ecco i po- stulati o assiomi che devono illuminarci in via vitae, come direbbero i latini. Giustamente diceva Morelli alle donne che "il mondo è di chi se lo sa prendere!" E ag- giungeva: "Se volete la vostra posizione giuridica, dovete conquistarvela!" (p. 292 ==> 397/405)

INSOMMA CHI O CHE COSA È LA DONNA? La donna: è l' essere umano che non è, che non ha l'essere (l'esser cioè quella che è), ma un dover-essere, e un non dover-essere. Per la Genesi, la donna neanche è substantia individua, ma solo parte di un tutto. "Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse: "Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata tolta". La stessa Genesi imputa alla donna la colpa del primo peccato, quello originale: "Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acqui- stare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture." [La Bibbia di Gerusalemme. http://www.gesudivinolavoratore.org/files/bibbiadigerusalemme.pdf ]

Tuttavia, come dice Morelli, Dio scelse l'umile donna di Nazareth per l'incarnazione del figlio suo prediletto. A tanto infinito onere però non ha corrisposto un onore infinito. La rappresentanza terrena del Dio dei cieli, di certo sofferente di miopia morale e teolo- gica, ha visto nella donna solo la peccatrice originale, e non la donna divina di Nazareth. Ep- pure le due entità umane sono assolutamente inscindibili. Se Eva non avesse, per così dire, peccato, non avremmo avuto la Madonna, né potuto godere della felicità della colpa (felix culpa) del mistero dell'Incarnazione.

Eva, tra l'altro, non è solo la prima donna, ma anche la prima madre, e senza di lei non ci sarebbe stata né l'umanità, né Maria di Nazareth, né Gesù.

14 Non si comprende, infine, come dal male immenso compiuto dalla prima donna, abbia avuto origine l'immenso bene della Vergine Maria! Ora, se è la Chiesa di Roma a sancire come dogma (o verità di fede) l'Immacolata Conce- zione, allora perché non dogmatizza la sacralità della maternità, e quindi la sacralità della donna? Senza la donna e la sua maternità, non esiste, né sarebbe esistita, né esisterà l'umanità, la vita e il mondo.

Quand'ella nasce, si può dire che non viene alla luce, bensì al buio del carcere, messa quindi in catene, catene culturali, storiche e sociali, e deprivata della libertà di esser quella che è. DOVER ESSERE Lo stesso Morelli le attribuiva il dovere, cioè la missione di procreare, di educare e di muovere l'uomo. "Ella viene sulla terra per proseguire il processo creativo!" (p. 63 ==> 168/405) E la donna ha procreato, non uno o due, ma 10, 15, 20 figli, come al tempo di Morelli, 4°genito di 15 fratelli. Quand'ero piccolo, negli '60 a Carovigno vi era una donna che aveva partorito ben 21 figli, come cosa affatto naturale. Per di più, le sue creature dovevano essere maschi, a immagine e somiglianza del padre. E l'uomo - come precisa Morelli -, la genitrice doveva farlo bello di forme, ed elevato d'intel- letto. La prole, la madre doveva non solo allattarla, ma anche alimentarla spiritualmente: cioè, istruirla ed educarla. E infine muoverla, ossia esercitare su di essa un'influenza motivazionale al bene o al male.

La donna morelliana doveva in pari tempo essere: - dolce e gentile, come il sesso; - il profeta, il sacerdote, il sapiente, l'educatore, il magistrato, il guerriero della casa; - la mente demiurgica riordinatrice, che ci risolleverà a durevole potenza civile; - la profetica sibilla da cui la novella umanità dovrà attingere gli oracoli della via; - piena di grazia, e quindi acculturata, arricchita cioè culturalmente perché una grazia senza cultura è una grazia disgraziata; - pietosamente civile, che cova in cuore nobiltà di sentire, carità sociale, fede espansiva, ragione illuminata; E sottostare infine alla suprema legge del pudore: avere cioè la virtù, in particolare quella del- la verginità, la gemma più cara della pudibonda giovinezza, che ella sacrifica per divenir ma- dre.

NON DOVER ESSERE. La donna morelliana non doveva essere: - degenere tirannetta, cui nel seno Nè amor del giusto, nè pietà s'alberga; che cova in cuore non fuoco di basse ambizioni, non egoismo crudele, non ipocrisia bugiarda, non pregiudizio cieco; - frivola, scurrile, intemperante, meretrice; - logorroica e curiosa (nel senso di leggera e pettegola); - lurida e putente, perché la lordezza scema la bellezza, e la mondizia è mezza dote.

Lo spazio vitale esistenziale della donna era già bell'e definito, o meglio, predefinito: - le scelte di vita, oscillanti tra due estremi: Eva (la peccatrice originale), e la Madonna (la donna virtuosa, umile, santa e divina); - il dover-essere e il non dover-essere, non già l'essere qual si vuol essere. Sobbarcata a grandi oneri già prima di venire al mondo, la donna li assume schiacciata dalla pressione familiare, sociale, culturale, storica, e non ha né tempo, né modo, per fare le

15 scelte che una persona nel pieno possesso delle sue facoltà e capacità, cioè libera e cosciente, consapevole e responsabile, deve nel suo farsi, per esistere ed essere quella che ella stessa sceglie di essere, non già quella che altri vogliono che sia. Ciò che intendo dire è che l'essere donna deve essere una libera scelta della donna stessa, in quanto persona: ecco la prima rivoluzione dei tempi moderni. E al contempo, ecco la se- conda: la persona donna deve essere trattata come donna, cioè come altra dall'uomo. E rico- noscere nelle disuguaglianze naturali una ragione di equilibrio: che è proprio la tesi morellia- na. Il Morelli che è in me, obietterà che la natura umana è immutabile, ragion per cui la don- na è quella che è al presente, come lo era in passato, e l'onere del dover, e non dover essere, lei lo prende su di sé senza stento, perché istintivamente e nel fatto [l'uomo] le dimostra chia- ra la sua inferiorità con una servile ubbidienza.

Pongo termine alle mie riflessioni, dando risalto alla sentenziosità dello stile, a quella particolarità morelliana di compendiare il pensiero in massime o sentenze, che qui di seguito si riportano in ordine alfabetico di prima parola. Chi si fa piccino e debole, trova il grande ed il forte che lo debellano. (p. 191 ==> 296/405) Chi uccide l'uomo o si propone di ucciderlo premeditatamente è assassino - chi logora il suo ingegno a creare chassepot (fucile a ripetizione), mitrailleusse (mitragliatrice) ed altri infami mezzi di distruzione dell'uomo, è nemico dell'umanità, come ne è benemerito chiunque lavora per conservarne la vita e migliorarne la sorte. (p. 124 ==> 229/405) Come uomo avrò potuto ingannarmi nel determinare il più ed il meno, ma ho la coscienza che il mio concetto della Scuola Materna sia l'unico ed il più agevole mezzo per organizzare saldamente ed universalmente la scienza della verità e della libertà. (p. 218 ==> 323/405) Da un canto la ignoranza del dritto genera la debolezza, dall'altro la coscienza della forza genera il dritto. (p. 191 ==> 296/405) Egli è terra, e come la terra dà spine e triboli se inculta, così l'uomo esala corruzione se ineducato, e dà frutti omogenei alla semente che riceve, se si modifica con la cultura educati- va. (p. 100 ==> 205/405) Ella ha dritto ad avere un uomo, come l'uomo à dritto ad avere una donna. (p. 26 ==> 131/405) I popoli come i fanciulli imitano quel che vedono fare ai governi, ed a misura che questi presentano nei loro atti esempi d'immoralità e di ferocia, così essi si pervertono maggiormen- te. (p. 122 ==> 227/405) Il guardiano della donna non debbono essere il padre, la madre, i fratelli, il marito, il pre- te, il magistrato, dev'essere la coscienza, la coscienza del dritto e del dovere, del giusto e dell'onesto, che ne regola meglio d'ogni altro i passi, avendola sempre con sé, seguendola pe- rennemente. (p. 26 ==> 131/405) [Per quanto concerne la donna] Il maledirne i vizi senza apportare i rimedi atti a purifi- carla, è lo stesso che voler conquistare il cielo con la bestemmia, che è la parola della dispera- zione! (p. 42 ==> 147/405) [Il] principio sorreggitore che prevarica la naturale forza del dritto per lasciar campo libe- ro al fittizio dritto della forza ... (p. 75 ==> 180/405) Il suo seno è come il primo tempio, nel quale l'uomo per la prima fiata innalza la mente alla venerazione ed al culto! (p. 64 ==> 169/405) In tutte le epoche si è fatto sempre il bene e la grandezza di pochi, bisogna fare un pochi- no il bene di tutti. (p. 284 ==>389/405) L'andar solamente superbe per aver generato i figli, non è titolo all'onorabilità. Tutte le femine degli esseri animati generano! La pecora, la gatta, la cagna anche generano, ed in que- sto dinamismo la madre dell'uomo si confonde precisamente con esse. (p. 97 ==> 202/405) L'ignoranza volontaria è suicidio, è delitto di lesa dignità umana. (p. 136 ==> 241/405)

16 L'uomo il quale finora imparò a nascere ed a morire, deve imparare a vivere. (p. 136 ==> 241/405) La libertà non è assoluta, è relativa alla legge fisica, alla legge morale, ed alla legge intel- lettuale. Una libertà che fosse o contraria o ribelle a queste leggi sarebbe il male, sarebbe l'a- narchia. Nella stessa guisa che non può dirsi all'uomo: tu sei libero di uccidere il tuo simile, di cacciare la scintilla da due poli negativi, e di asserire che due e due fanno cinque, nella stessa guisa e per me le medesime ragioni si è arbitro di dirgli: tu sei libero di rimanere ignorante per non divenire l'uomo ragionevole come devi essere, quando l'esperienza e la ragione hanno co- statato essere, questa posizione anormale, la sorgente del disordine e del malessere della so- cietà. (p. 143 ==> 248/405) La natura fa l'animale, l'educazione fa l'uomo. (p. 100 ==> 205/405) Nell'ordine delle cose quel che si deve si può, giacché la natura nulla ha imposto che non sia adeguato alle forze della vita. (p. 202 ==> 307/405) Nella Scuola Materna si deve insegnare il Galateo della libertà e della dignità, ossia quel Galateo, il quale determinando i criteri del buon costume nel senso morale della natura uma- na, faccia l'uomo come deve essere, né padrone né schiavo, ma cittadino rispettoso del diritto e del dovere, cittadino che riconosca nelle disuguaglianze naturali una ragione di equilibrio, e non già di sostegno al dispotismo d'immorali prepotenti. (p. 200 ==> 305/405) Niuno agisce senza un fine, quindi nel fine che si propone trovasi fuso il principio della utilità. (p. 75 ==> 180/405) Non è possibile che quel che è lecito all'uomo debba essere illecito alla donna, e quel che è morale per uno debba ritenersi immorale per l'altra. (p. 25 ==> 130/405) Pel senso comune non è codardo colui che si rifiuta di battersi, ma chi non ha il coraggio di fronte ad una brutale provocazione, a mantenere la sua normale posizione di uomo ragio- nevole, e rinunziando a questo che è l'unico titolo di onore, delega la sua sorte e quella del simile al cieco giudizio d'un pezzo di ferro qualunque. (p. 125 ==> 230/405) Quando mi darete l'insegnamento della libertà, allora io vi consentirò la libertà dell'inse- gnamento! (p. 144 ==> 249/405) Quella comunissima unione, verbigrazia, dell'uomo e della donna da chi prende nome? Non dal primo, ma dalla seconda, si dice matrimonio e non patrimonio, perché essendo questa diretta alla riproduzione, dovea aversi maggior riguardo alla donna, che ne assume la parte primordiale. (p. 71 ==> 176/405) Si è scrupolosi a statizzare i mezzi dell'industria e della ricchezza materiale, perché non si deve fare altrettanto per la parola, che ha sì gran parte alla luce ed alla ricchezza del pensiero? (p. 178 ==> 283/405) *§* RINGRAZIAMENTI Ringrazio il prof. Mimmo Lotti, già docente di Italiano presso la Scuola Media "S. Morelli" di Carovigno, che ha compiuto una lettura completa dell'opera, sottolineando refusi e impreci- sioni, e suggerendo consigli, integrazioni e rettifiche. Con l'incomparabile sua professionalità e competenza, ha dato un valore aggiunto a questo lavoro, sì da renderlo importante e merite- vole di attenzione.

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CAPITOLO PRIMO

§. 1° SOMMARIO Genesi del libro. La donna decaduta per l'ignoranza. Essa nella sua normalità è l'ultima parola del genio della natura. Opinione di G. Mazzini. Opinione di George Sand {?}. Unità di persona e di tipo tra l'uomo e la donna variante solo nell'indirizzo sessuale. La donna, indebolita dall'educazione, fu presso tutti i popoli vittima della prepotenza virile. Prova storica di questo fatto doloroso. Origine e mali della gelosia. Condizione umiliante e ridicola a cui l'idolatria ha condotto la donna. Che cosa è l'onore, e pericolo di riporlo in ciò che ella ha di più passibile. I falsi giudizi che sono la radice dei mali vecchi e nuovi, furono sempre il prodotto della irriflessione. L'irriflessione germinò {v.tr. non com. Dare origine a qlco., farlo nascere} gli erronei sistemi ieratici e filosofici che si estendono dal Bramismo sino al Cattolicesimo, da Platone a Gioberti e a Hegel. Rovine prodotte dalla scuola ontologica del Gioberti e dalla scuola dell'astrattismo. La durezza dei metodi che negano la verità, giusti- fica la ripugnanza dei giovani al sapere. Aspirazione del secolo alla riflessione sulla natura concreta. Con questo sistema che dà la scienza a tutti, la donna sarà emancipata dai pregiudizi clericali, che ne han fatto sempre uno strumento ai fini di stato. La scienza le appartiene per inalienabile diritto di natura, le appartiene per diritto di conquista. Le appartiene per natura e per conquista, perché ha lucidissimo l'intelletto, e dopo tanti secoli di mar- tirio deve godere il frutto dei propri dolori, per rispondere alla triplice sua missione sociale di crear l'uomo, edu- carlo, e muoverlo dacché nasce finché muore. (p. 1 == >106/405)

1.1. INTRODUZIONE Meditando con profonda afflizione sulle sciagure individuali e sociali nei 12 anni di pena politica, espiata per il riscatto della dilettissima patria, mi formai secondo logica il convinci- mento dell'urgenza di un nuovo processo educativo più conforme alla giustizia e alla civiltà; e anche il convincimento che la società non si rigenera se non rigenerando la famiglia; che il mezzo più efficace per raggiungere questo scopo supremo, è la scienza, e che la donna è il suo organo di trasmissione più diffusivo ed efficace. Motivo per cui intitolai questa mia opera con due nomi che ispirano simpatia, la donna e la scienza, nei quali viene riposto il segreto di ri- solvere felicemente l'arduo problema della vita, che oramai si impone (come una minaccia e come un pericolo permanente) alle monarchie, alle oligarchie e alle malordinate repubbliche. A ciò m'incoraggiava la benevolenza di taluni miei carissimi amici, i quali, nel preannun- ciare loro la formula esplicativa di quest'ideale nell'opuscolo che accennava al sistema della riflessione come mezzo metodico, unico e spontaneo, per insegnare la scienza alla donna e ai fanciulli, mi indussero ad applicarlo praticamente all'istruzione dei due figlioletti sennini (giu- diziosi e dai modi cortesi). E comunque, s'intende con questo nuovo metodo chiudere l'era passiva e sterile della memo- ria, e aprire quella attiva e feconda dell'intelletto; abbattere l'ipse dixit e proclamare il libero esame; e infine rendere - come vuole la giustizia riparatrice del secolo - comune a tutti, senza distinzione di classe sociale, di sesso, di età, l'intelligibile riservato finora esclusivamente ai sapienti. Di certo non poteva scoraggiarmi l'indifferentismo di coloro che accoglievano la mia voce non dissimilmente da quella dell'uomo del deserto che gridava: raddrizziamoci ai sentieri del- la verità! [vd. Luca 3,4] Ciononostante, avendo nell'animo la fede di chi sfida pregiudizi millenari per compiere una nobilissima missione, mi confortai all'incoraggiante consiglio di poche anime elette, le cui aspirazioni non mirano a presentare i propri figli in società, dotati unicamente della inettitudi- ne dell'essere animale, mascherata con uno strato superficiale di pure apparenze, esteriorità e finzioni, come di solito fa chi fallisce lo scopo dell'educazione (il primo di tutti i doveri), ben-

18 sì a volerne nobilitare lo spirito con la ricchezza durevole della scienza, ascoltando con ardore tutto ciò che ne rende spedito il conseguimento. {1} Pertanto la buona volontà con la quale, più di ogni altro, qualche egregia madre ha ab- bracciato il verbo (la verità, la ragionevolezza, la saggezza) della vita intellettiva, mi ha indotto a studiare sempre più certe facoltà peregrine (rare, originali, singolari) che la cecità dei tempi non ha intravisto nella donna, e a esporre i fatti che vi sono inerenti nel modo più agevole possibile alla univer- sale intelligenza, vale a dire a tutti indistintamente. Per la qual cosa, se questo mio lavoro sta- rà per fruttare un tantin di bene, lo devo attribuire in gran parte a quelle signore che, rifuggen- do animosamente (con coraggio) dal vecchiume delle vecchie scuole, accettarono di buon grado, e incoraggiato, le speculazioni ideali sulle quali spesso richiamai accademicamente il loro ma- schio, virile giudizio. Ora, volendo sviluppare sempre più nella mente della donna i germi (quanto è o può essere capace di ulteriore sviluppo; principio, origine di qualche cosa) della verità e della giustizia, è necessario che l'affranchi dai falsi criteri non solo del suo animo, ma anche di gran parte del genere umano, rincretinito dall'errore; perché, quantunque abbia una chiara percezione del vero e del bene, e veda che il mondo va in rovina, pur sapendo discernere gli ostacoli che si oppongono allo sviluppo del pensiero e dell'affetto, la consuetudine di attenersi fermamente agli usi tradi- zionali, e accettare le cose come sono e non come dovrebbero essere, la porta spesso a seguire il cieco andazzo che ha prostrato (umiliato, avvilito, mortificato) il gentil sesso al punto da imputa- re a lei il crimine di inettitudine alle discipline (alla scienza, o meglio, alla conoscenza), al punto da costringerla all'immobilità, alla monotonia e stazionarietà della vita domestica: praticamente a piangere, a cucire e filare. Invece, se la donna si ripiegasse su se stessa, e si persuadesse che i rapporti vitali dell'esistenza a lei conferiscono una signoria sistematica, cioè una grande in- fluenza e potere su quanto la circonda, allora giungerebbe di certo a stimare più equamente la potenza concentrata nella sua preziosa individualità. Si astenga dunque, la donna, dall'incessante doglianza che isterilisce l'animo femminile, tanto da impossibilitarla a rappresentare la difficile parte che ella deve giustappunto interpre- tare nel teatro del mondo. Sollecitino, le più animose, con il loro maschio esempio le compa- gne ad acquistare coscienza di sé e della propria forza. La donna non è affatto quell'essere vile che l'umanità smarrita ha voluto finora assoggettare all'imperio del maschio orgoglioso, la cui titolarità risiede unicamente nel monopolio abituale della forza intellettiva e muscolare, incar- nato nel dispotismo legislativo. E assolutamente non è quel sepolcro imbiancato che abbagliò i sensi di uno scrittore patrio, il quale ebbe la medesima sventura di tutti gli spiriti umoristici che, sopraffatti da impressioni estrinseche, non si discostarono dall'immagine esageratamente romantica della donna, negligendo di fatto i termini della sua esatta definizione. Immagini erronee, smentite dai fatti, e solo la logica dei fatti può dare all'intelletto la giu- sta idea dell'essere donna. Che cosa è dunque la donna innanzi agli occhi del buon senso, risa- lente al platonismo tradizionale? È l'ultima parola del genio della natura, l'ultimo atto delle sue creazioni! In quanto tale, è la sintassi che assomma in sé l'armonia completa dei suoni articolati dalle labbra del creatore; è l'indice del libro che sintetizza i concetti più marcati del suo autore. Pensieri rimarchevoli sulla donna vengono splendidamente espressi nei Doveri dell'Uomo (13 Aprile 1860) dall'illustre Giuseppe Mazzini (Genova, 22 Giugno 1805 - Pisa, 10 Marzo 1872). Non potendoli tutti, mi limito solo a questo: "V'è un Angiolo nella Famiglia che rende, con una misteriosa influenza di grazie, di dol- cezza e d'amore, il compimento dei doveri meno arido, i dolori meno amari. Le sole gioie pu- re e non miste di tristezza che sia dato all'uomo di goder sulla terra, sono mercé quell'Angiolo, le gioie della Famiglia. Chi non ha potuto, per fatalità di circostanze, vivere, sotto le ali dell'Angiolo, la vita serena della famiglia, ha un'ombra di mestizia stesa sull'anima, un vuoto che nulla riempie nel core! ed io che scrivo per voi queste pagine, lo so. Benedite Iddio che creava quell'Angiolo, o voi che avete le gioie e le consolazioni della Famiglia. Non la tenete

19 in poco conto, perché vi sembri di poter trovare altrove gioie più ferventi o consolazioni più rapide ai vostri dolori. La famiglia ha in sé un elemento di bene raro a trovarsi altrove, la du- rata. Gli affetti, in essa, vi si stendono intorno lenti, inavvertiti, ma tenaci e durevoli siccome l'ellera intorno alla pianta: vi seguono d'ora in ora: s'immedesimano taciti colla vostra vita. Voi spesso non li discernete, poiché fanno parte di voi; ma quando li perdete, sentite come se un non so che d'intimo, di necessario a vivere vi mancasse. Voi errate irrequieti e a disagio! potete ancora procacciarvi brevi gioie o conforti; non il conforto supremo, la calma, la calma dell'onda del lago, la calma del sonno della fiducia, che il bambino dorme sul seno materno. L'Angelo della Famiglia è la Donna. Madre, sposa, sorella, la donna è la carezza della vi- ta, la soavità dell'affetto diffusa sulle sue fatiche, un riflesso sullo individuo della Provvidenza amorevole che veglia sull'Umanità: sono in essa tesori di dolcezza consolatrice che bastano ad ammorzare qualunque dolore. Ed essa è inoltre per ciascun di noi l'iniziatrice dell'avvenire." {2} (Doveri dell'Uomo. Cap. 6. Doveri verso la famiglia, p. 41. www.liberliber.it/)

Ecco la donna, e quest'opinione non è il parto di una mente stravagante, ironica o bizzar- ra, ma della più grande mente e del più grande cuore del mondo. A ben considerare, essa si fonda sul complesso delle facoltà razionali, perfettamente e completamente sviluppate, che noi designiamo con il nome di natura umana {3}, e altresì sui 2 Testamento - Antico e Nuovo -, della cui difesa vanno boriosamente superbi i sopraffattori della società umana. Perciò d'ora in poi le donne non devono più impiccinirsi, perché già abbastanza grandi e interessanti, considerando la complessività dei loro pregi naturali, cioè la globalità dei loro caratteri distintiti e costitutivi, per non dover sottostare ai pregiudizi dell'uomo che ha calcato il sentiero della vita non a piè fermo (cioè non audacemente), bensì scivolando senza posa da un abisso all'altro, lungo la china dell'errore. E tale è anche l'opinione, assai incoraggiante e veri- dica, di una delle più celebri pensatrici che rendono onore, nel tempo attuale, alla Francia e all'umanità intera: Daniel Stern, Esquisses morales et politiques, Paris 1849. Chapitre III. De la femme, pp. 29-30: "Il me déplaît que les femmes pleurent si abondamment. Elles sont victimes, disent-elles; mais victimes de quoi? de leur ignorance qui les rend aveugles, de leur oisiveté qui les livre à l'ennui, de leur faiblesse d'âme qui les retient captives, de leur frivolité qui leur fait accepter toutes les humiliations pour une parure, de cette petitesse d'esprit surtout qui borne leur activi- té aux intrigues galantes ou aux tracas domestiques. Pleurez moins, ô mes chères contempo- raines! La vertu ne se nourrit point de larmes. Quittez ces gestes, ces attitudes et ces accens de suppliantes. Redressez-vous et marchez; marchez d'un pas ferme vers la vérité. Osez une fois la regarder en face et vous aurez honte de vos gémissements. Vous comprendrez que la nature ne veut point de votre immolation stérile, mais qu'elle convie tous ses enfans à une libre expansion de la vie. Elle ne se sert de la douleur que comme d'un aiguillon au progrès. Votre inerte mélancolie, vos vains soupirs et vos douleurs futiles sont contraires à l'énergie de ses desseins". {4} Mi duole che le donne si struggano in lacrime. Esse dicono di esser vittime! ma vittime di che? Della loro ignoranza, che le rende cieche; del loro ozio, che le abbandona alla noia; della loro debolezza d'animo, che le fa schiave; della loro frivolezza, che fa loro accettare tutte le umiliazioni per una parure (insieme di gioielli - collana, bracciale, anello, orecchini - realizzati con materiali e fattura analoghi e destinati a essere usati insieme); e soprattutto della miseria di spirito, che limita la loro attività agli intrighi galanti, o alle seccature domestiche. Piangete meno, o mie care contemporanee! La virtù non si nutre di lacrime. Lasciate questi gesti, questi atteg- giamenti e questi toni da supplicante. Levatevi, e marciate; marciate con passo fermo verso la verità; osate una volta di guardarla in viso, e avrete vergogna dei vostri gemiti; comprenderete che la natura non vuole affatto il vostro sterile sacrificio; che invece essa invita tutti i suoi figli alla libera espansione vitale, e che si serve del do- lore come pungolo del progresso. La vostra inerte melanconia, i vani sospiri, e le futili doglianze sono contrari all'energia dei suoi disegni. [Daniel Stern, Esquisses morales et politiques, Paris, Chez Pagnerre, Libraire, 14 bis, Rue De Seine, 1849. Chapitre III. De la femme. pp. 29- 30 - archive.org/stream/esquissesmorale00stergoog#page/n7/mode/2up. Vd. anche Esquisses morales - Pensées, Réflexions et Maximes par Daniel Stern - Troisième édition revue et augmentée - Paris 1859, pp. 45- 46 - archive.org/ Marie Catherine Sophie, contessa d'Agoult, nata viscontessa di Flavigny, nota con lo pseudonimo di DANIEL STERN (Francoforte sul Me-

20 no, 31 dicembre 1805 - Parigi, 5 marzo 1876), scrittrice francese.]

Motivo per cui, dopo queste sentite parole che ne determinano con precisione la grandez- za ideale, non è bene, né giusto, che la donna giudichi sé minore di se stessa, perché quel pri- mato che in apparenza l'uomo esercita su di lei, altro non è che una usurpazione della forza sul diritto, un grossolano controsenso che ripugna alla logica indagatrice del vero. I due sessi sono costituiti nell'identità (duale) della stessa natura, sono simili ed eguali in tutto quel che determina la personalità umana, che è unico e medesimo. Difatti, l'unità originaria è mantenuta nelle forme organiche, e varia solo nell'ordine ses- suale. I sensi, per esempio, organi essenziali alla vita del corpo, adempiono in entrambi i sessi le medesime funzioni. L'intelletto, la volontà, la fantasia e la memoria, che circoscrivono le potenzialità dello spirito, sono pari nell'uomo e nella donna: fanno, per così dire, funzionare il pensiero in modo non dissimile sia nell'uomo che nella donna. La tradizione biblica ci dà documenti incontrovertibili in ordine a questa identità di natu- ra dei due sessi, e io tralascio di riportarli perché troppo noti e popolari. Per la qual cosa, i saggi latini, considerando questa identità che assimila e riduce a unità i due sessi, compresero entrambi in un solo nome. La lingua di Cicerone, nella parola homo che valse a significare il maschio e la femmina - l'uomo e la donna -, riversò l'idea nascosta di questa originaria ugua- glianza di natura. Ciononostante, nella vita pratica il destino dei due sessi venne scisso, e alla donna cui spettava un'equa reciprocità, soltanto perché non sviluppata nelle attività del corpo e della mente, si fece patire la sorte malaugurata che la preponderante forza bruta impose sempre ai deboli e infelici. {5} Sicché, in tutti i tempi e presso tutti i popoli, la donna fu sempre capitis deminuta, ossia priva di personalità giuridica. La Tracia, la Babilonia, la Fenicia e l'Armenia la ritennero co- me cosa del fisco che serviva a impinguare le casse (le finanze) dello stato, per cui fu soggetta al- la prostituzione pubblica prima che fosse venduta all'asta a un padrone che doveva farle da marito, al quale competeva anche il diritto assai iniquo di rivenderla o di disfarsene con la morte. Tale sprezzo rendeva le babilonesi refrattarie ai legami coniugali a tal punto da credere essere, la fedeltà in amore, insopportabile e contraria alle leggi di natura. Gli Ebrei, quando erano sazi e stufi della moglie ["Tutti conoscono l'acqua della gelosia, che gli Ebrei erano usi a far bere alla donna sospetta d'adulterio, onde riconoscere il vero." (p. 73), Melchiorre Gioja, Elementi di filosofia Ad uso dei giovanetti, Esposti da Melchiorre Gioja, Quarta edizione italiana sulla terza eseguita in Milano. Riveduta corretta ed accresciuta dall'autore. Tomo I. Napoli 1827. Digitalizzato Google. // Cfr. NUMERI 5, 12-31 in LA SACRA BIBBIA Edizione Cei], le facevano bere l'acqua della gelosia, una specie di ranno (soluzione di cenere di legno e acqua bollente per lavare i panni, liscivia) benedetto dal sacerdote, che gonfiava la disgraziata (l'infelice, la sventurata) uccidendola in un attimo. E il mari- to ebreo aveva altresì il diritto di ripudiare la moglie per aver cotto troppo la carne. In Lidia (antica regione dell'Asia Minore, corrispondente all'odierna Anatolia occidentale), la figlia non aveva nulla da pretendere dal padre ed era condannata a procurarsi la dote prostituendosi. In Asia, e specialmente in In- dia, la donna valeva meno di un mobile: dacché nasce, ancora oggi, si avvezza alle catene, co- stringendola a tenere i piedi in calzari di ferro per impossibilitarla a fuggire e sottrarsi così, com'è consuetudine del luogo, alla tirannia del marito. Per questo motivo è tenuta, la notte, incatenata come una bestia feroce presso la casa. Se invecchia durante il matrimonio, il marito la strangola. Se il marito muore prima di lei, la mo- glie deve essere immolata sulla sua tomba, anche per mano del proprio genitore, e, in alcuni luoghi, seppellita viva. Presso i Parti, l'uomo godeva del diritto di vendere la moglie o di di- sfarsene con la morte; e parimenti il figlio nei confronti delle proprie sorelle. In Egitto, i ma- schi non assumevano affatto l'incarico di provvedere al mantenimento dei genitori di cui era- no eredi: tale incombenza gravava sulle donne diseredate (escluse dall'eredità), che l'assolvevano col mercimonio dissolutore (distruttore) del loro povero corpo. La Grecia e Roma, riportando nella famiglia la dissolutezza - inevitabile conseguenza - delle false filosofie, credevano di venerare Venere e le altre lascive divinità pagane con la

21 prostituzione della donna, che, comprata come schiava, dopo aver procreato i figli, poteva es- sere cacciata e uccisa impunemente. Gli Arabi erano soliti uccidere le femmine di troppo che nascevano in famiglia. Gli antichi Germani e gli antichi Galli dichiararono la donna schiava dell'uomo: cosicché, alla morte di costui, la uccidevano sul suo sepolcro perché potesse ser- virlo nell'altro mondo come lo aveva servito, finché viveva, con improbe fatiche (dure, pesanti e in- grate). E questo è in uso presso gli Arabi che si abbandonano all'inerzia nelle loro tende, affi- dando alla povera donna i lavori più pesanti, più faticosi, cioè quelli che richiedono una gran- de fatica fisica. Nel deserto, il padre per cinque colonnati (nome di alcune monete spagnole d'argento fatte co- niare dall'imperatore Carlo V e dai suoi successori, dette così per il tipo delle due colonne con il motto Plus ultra) vende la propria figlia a chi la compra per avere, non già un'anima degna del suo affetto, bensì un corpo confa- cente ai suoi materiali interessi. Per comprendere poi la miserevole condizione nella quale versano le donne orientali a causa del sensualismo islamico e della gelosia barberesca (degli abitanti della Barberia, antico nome dell'Africa nordocc.), basta leggere quanto riferisce il viaggiatore Filippo Pananti: "Un Bey Governatore di una Città aveva una bellissima moglie, che molto amava. Aven- do inteso l'arrivo d'un gran pittore volle procurarsi il ritratto di colei, che formava la passion del suo cuore. Parlò al pittore del suo desiderio, e gli promise larghissime ricompense. L'arti- sta rispose, che si stimerebbe felice se la sua opera potesse meritare il di lui gradimento. La- vorate dunque con tutta diligenza, gli disse il Bey, e quando avrete finito il ritratto portateme- lo senza tardare. Voi non avete, riprese il Pittore, che a farmi veder la persona, di cui deside- rate il ritratto. Come? interruppe irato il Signore: tu pretenderesti ch'io ti facessi veder mia moglie? E come volete dunque ch'io possa dipingere una persona, che non ho mai veduta, ri- spose il Pittore. Ritirati, esclama il Bey con gli occhi di fuoco, e coi labbri tremanti: se io non posso avere il ritratto della mia moglie che offrendola a' tuoi occhi, gradisco cento volte più di rinunziare al piacere, che mi era prefigurato. Il Pittore non potè far intendere la ragione al ge- loso, e fu fortunato di non essere stato gettato dalle finestre." {6} [La gelosia barbaresca, pp. 311-312. In Avventure e osservazioni di Filippo Pananti sopra le coste di Barberia, Firenze, Presso Leonardo Ciardetti, 1817 - Digitalizzato Google.] Un altro, per gelosia, impediva alla moglie di nominare cose di genere maschile. E i me- dici sono obbligati per lo più a tastare i polsi delle donne coperti da un velo. Tali barbarie rendono l'uomo meno sicuro, perché l'amore supera i triplici muri che circondano l'harem, e penetra negli appartamenti isolati, dove l'orgoglio e la gelosia hanno imprigionato la bellezza. Giustamente la natura si vendica di questo dispotico imperio che fa della donna una misera schiava. In Inghilterra la donna è condotta dal marito al mercato con una corda al collo per essere venduta. Presso talune nazioni del Nord, le mogli sono schiave del marito, e appena compiono i 40 anni, cessano di essere madre di famiglia e vengono sostituite con mogli giovani. {7} In Francia, Italia, Austria e presso altre nazioni d'Europa, eccezion fatta per le donne del- le classi alte che cominciano a trattarsi bene e a ben educarsi, alla generalità si impongono le limitazioni medievali della gelosia. Per cui, senza educazione intellettuale, con ingerenza fur- tiva ed estralegale nei movimenti sociali (forme di aggregazione che perseguono l'obiettivo della difesa, la promozione o il mutamento di un fatto avente connotazione sociale e/o politica), la vita della donna in questi paesi è un vero contrabbando! Entrando nelle case di taluni, vi si trovano mariti e parenti barbari (inumani, crudeli) che maltrattano e battono (picchiano, bastonano) le donne nel modo più vile e indecente. I governi monarchici che negano alla donna la personalità giuridica e i diritti di cui gode l'uomo, non esitano a imprigionarle anche per sospetti politici, mentre quando si tratta di partecipare alle elezioni o di fruire delle altre prerogative dello statuto, le ritengono incapaci.{8} Ma ciò di cui dovrebbero maggiormente vergognarsi i governi sedicenti civili, attiene alla questione sociale che costringe la povera donna a prostituirsi per vivere, mentre invece do- vrebbero essere loro a porvi rimedio con la diffusione dell'istruzione e del lavoro; e intanto

22 col pretesto della salute pubblica, le assegnano la scellerata destinazione dei lupanari, uffi- cialmente regolamentati e usufruiti con tasse arbitrarie, che tra le altre spese alimentano na- scostamente il più lurido satellizio (: seguito di guardie del corpo / corteo di ministri o cortigiani. GDIU. Tommaseo-Bellini: "Raro anche nel ling. scritto. Più satelliti insieme; come Ministero, i Ministri. In S. Agost.") delle polizie. Ed è veramente ridicolo che quando il cesarismo (sistema politico autoritario basato sul potere personale di un sovrano) vuol dimostrare al papato la barbarie del suo regime, e trascinarlo a ri- forme liberali, esso poi lo stravinca a perfidia mediante queste istituzioni immorali e libertici- de, alla cui perversità del governo romano non è ancora giunta, ma che comunque è la causa prima della degradazione della donna, e nemico naturale della sua dignità e benessere morale. [N.B.: perfidia = perversità = papato] In tutti i paesi del mondo, dominati da qualsivoglia legge e da qualsivoglia istituzione re- ligiosa, sebbene la donna in apparenza sembri essere rispettata, quel rispetto è tuttavia solo nominale, perché l'ignoranza la fa essere spesso soggetta alla sorte crudele (oppressioni, tribola- zioni, angherie, afflizioni) dei deboli, e la rende impotente a raggiungere il vero bene cui è desti- nata. Infatti, presso i popoli che si ritengono più civili per l'influenza del cristianesimo, la don- na, quantunque si veda unita, sacramentalmente, in coppia con l'uomo e immune dalle antiche crudeltà di neroniana ferocia come presso i pagani, nondimeno: - se si considera attentamente l'incapacità legale attribuitale; il diniego all'agire civile e sociale, motivo per cui non sono di sua pertinenza gli affari pubblici del proprio paese; la de- privazione del sapere, cioè dell'istruzione, giudicata necessaria dal sillabo al fine di mantener- la cieca e ignorante, contravvenendo così allo spirito del vangelo, che mirava a rigenerarla con la luce della verità e dell'educazione; - se si considera altresì attentamente l'imperio (il dominio, la supremazia) del marito che, pur non potendo al riguardo vantare alcunché, toglie alla moglie la consolazione di perpetuare il proprio nome nel figlio, frutto esclusivo del suo ventre, negandole il diritto che, in quanto madre, ha sulla propria creatura e che i romani concedevano anche alla femmina degli anima- li: partus sequitur ventrem {9} [in realtà la frase latina significa che il nascituro segue il ventre, ovvero, in termini legali, chi fosse nato da una schiava avrebbe seguito lo stesso destino, divenendo anch'egli schiavo], e che con la forza bruta le impe- disce di esplicare liberamente la facoltà del pensare, dicendo in forma di proverbio: parola di donna, simbolo di inettezza (assoluta incapacità, scarso valore, dappocaggine), vale a dire che le paro- le delle donne sono stupidaggini, e non meritano ascolto; - infine se si considera attentamente questa incapacità fittizia, priva cioè di realtà, qual è il sentimento civile che la condizione della donna può ispirare? Quale fiducia può ella avere nelle proprie forze, vivendo sotto l'esecrabile sconsideratezza di coloro che la rendono sogget- ta a due opposte spinte: - quella della natura, suprema legislatrice, che le intima di insorgere (ridestarsi dall'inazione, da uno stato d'inerte passività) e comandare; e quella della società corrotta e prepotente che le in- tima di soffrire e ubbidire; - quella della natura, che affidandole la procreazione, la vuole in contatto stretto con lo spazio e il tempo, con le cose e con il prossimo, al fine di attingere da questi l'ispirazione per insegnare la vita reale alla prole; e quella della società corrotta che negandole la coscienza delle proprie forze, la rimbecillisce, la fiscaleggia per quanto concerne gli atti intimi con la più ingenerosa maldicenza, le imputa ogni contatto, ogni opera, ogni estrinsecazione (del sen- timento, della volontà, del pensiero, della parola), ne circoscrive lo spazio vitale nella casa e nella chiesa come in una prigione, sotto la vigilanza perpetua del carceriere cattolico, che le impone servilità e pazienza minacciando l'inferno e il purgatorio? Se in quell'orribile stato, ella si accontenta della compagnia di un cane o di un prete, allo- ra può stare tranquilla, senza che gli ipocriti che credono santa l'immobilità infeconda e la stupida ubbidienza, si occupino di lei. Ma se si riscuote dando retta alla voce della natura, se si piega agli istinti della ragione e 23 della libertà, e reclama il diritto di conversare, lavorare e agire, la legge dei sospetti è là pron- ta a fulminarla con un indecente spionaggio, rendendola lo zimbello di tutte le conventicole. Cosicché, se il riscuotersi dall'inerzia fu per convinzione razionale o per spinta emotiva, ella non ha per ritirata che la tomba del convento; se invece fu per coazione del senso (sensuale) o della povertà, il rimedio dei governi è condannarla al postribolo! Ma perché tanto scempio della donna? Si dice che offese l'onore della famiglia, che infranse la legge morale della società. Se la donna chiede ed esercita un diritto che le spetta per natura, allora non offende sicu- ramente né l'onore, né la moralità. Se una è la vita (umana, cioè dell'uomo e della donna), la sua normalità morale dev'essere anche una. Non è possibile che quel che è lecito per l'uomo sia illecito per la donna, e quel che è morale per uno sia immorale per l'altra. Questo prova a evidenza il turpe lavoro dei prepotenti che per tanti secoli cospirarono al fine di mantenere il loro potere organizzando l'inerzia, e suscitando dissidi e degradazioni nel- le famiglie. E altresì la crassa ignoranza in cui ha vissuto finora l'umanità! Mettere l'onore, parola sacra in cui viene determinato tutto il prestigio dell'ente morale, in ciò che è più passibile (: più disposto alla sofferenza), in ciò che fatalmente doveva cedere alla for- za dell'istinto, era non solo pericoloso, ma doveva essere necessariamente fomite di discordie, di delitti, e di miserie infinite. Siffatto falso criterio ha fatto versare lacrime amare all'umanità, e ha causato gemiti e ro- vine alle generazioni. Se alle leggi della natura si deve ubbidire, la donna ubbidisce alle leggi della natura allor- ché, ormai matura, esplica ed estrinseca i propri intimi desideri. Ella ha diritto ad avere un uomo, come l'uomo ha diritto ad avere una donna. Una ragione di convenienza igienica le impone di non chiederlo prima del tempo per non turbare le funzioni dello sviluppo organico; una ragione di convenienza le deve altresì impor- re, quando è maggiorenne, di seguire i consigli dei genitori se ragionevoli e se tendono alla salvaguardia del pudore e al meglio della propria fortuna; ma l'immischiarsi, con troppo fisca- lismo, della famiglia e della società nei segreti del cuore di una donna libera per impedirle di amare, è prova evidente del dispotismo feudale che corrompe ancora i nostri costumi. Il guardiano della donna non può essere né il padre, né la madre, né i fratelli, né il marito, né il prete, né il magistrato; dev'essere invece la coscienza, la coscienza dei diritti e dei dove- ri, del giusto e dell'onesto, che meglio di ogni altro regola i suoi passi, che ella ha sempre con sé, e che perennemente segue. Quand'ella ha coscienza, sa quel che deve fare e non può assolutamente offendere né l'o- nore né la moralità. L'onore, sia per l'uomo che per la donna, non consiste che nell'adempiere i propri doveri. Il che vale anche per la moralità. I doveri più stringenti sono quelli imposti dalla natura, che dà organi e facoltà con lo sco- po di farne uso conformemente alla retta ragione. Ora, di certo non è immorale la donna che vien meno ai propri doveri, e in particolare a quello dell'onore, se, dotata di intelletto, vuol pensare come pensa l'uomo, e agire di conserva (cioè di comune accordo) per il bene comune; è invece immorale l'uomo che, opponendosi ai de- sideri naturali, la condanna per false convenienze a essere uno stupido automa di scaltri gio- colieri. Non viene meno alla moralità, la donna che nel funzionamento degli organi tende a espli- care le sue forze; viene meno invece l'uomo che circondandola di pregiudizi, la brutalizza e martirizza, anziché promuoverne l'educazione che, nel rispetto delle leggi eterne e dei rapporti sociali in cui verrebbe a trovarsi, allontanerebbe dal mondo la causa prima di tutte le bassez- ze, le inquietudini ed eccitazioni che distolgono l'essere umano dai veri e più importanti inte- ressi della vita.

24 Si convenga una buona volta che l'essere scurrile (volgare, triviale) della donna, le sue in- temperanze (p.e., nel mangiare, nel bere, nell'ira, nel parlare; i. sessuale), il suo meretricio, cui è con- giunto lo stato di abiezione dell'uomo, della famiglia e della società, sono l'effetto di questo falso modo di vedere le cose, e parimenti della crassa ignoranza nella quale fu essa tenuta dall'uomo per paura di perdere l'imperio (l'autorità, il dominio, la supremazia). Solo la cecità e l'ignoranza potevano arrecare tanta rovina nel destino del gentil sesso: ignoranza e cecità, che furono sempre il portato della irriflessione (della mancanza di riflessione), cioè del non ripiegarsi dello spirito su se stesso per investigare le leggi della propria natura e circoscrivere l'ambito delle potenzialità personali. A causa dell'irriflessione: - la donna abbandonò la fonte dell'intelligibilità del reale (cioè Dio), il fine cui sempre do- veva mirare per tenere lo spirito desto (teso, pronto) al vero, e compì la prima rivoluzione che si designa con la caduta della razza umana; - si spegneva in Abele il principio del bene, e rimaneva progenitore di una lunga e infeli- ce stirpe, il principio del male, simboleggiato nel fratricida Caino; - si dimenticarono infine i veri rapporti, le vere leggi e i veri principi sui quali si doveva edificare la scienza dell'umanità (avente, come oggetto, l'essere umano; ovvero, avente come oggetto, la vera scienza che l'umanità doveva produrre mediante la riflessione). Da ciò lo scisma fatale (funesto) della mitica Torre di Babele che con la confusione delle lingue generò il disordine delle idee e l'anarchia dei fatti. {10} Da ciò, l'origine della folle aberrazione che mise al bando il vero eterno, e lo sostituì con le fanatiche invenzioni e i fanta- smi (cioè le immagini maliziose) del finito (limitato e imperfetto): - i Veda, che proclamano il Brahmanesimo (India), il cui domma fondamentale è la me- tempsicosi; - il Chu-Ching, che mette in mostra le dottrine cinesi; - le credenze dei Persiani e i misteri egiziani dell'uovo che, schiudendosi, dà la vita a Orimaze e Arimane, che comprendono il principio attivo e passivo delle generazioni, personi- ficato nella potenza spirituale di Cnef, Usiarca perché proteiforme, e proteiforme perché capo della sostanza materiale, resa spirito divino, soffio vitale, e deificata. {11} Da ciò solamente potevano generarsi il culto della cipolla e dell'aglio, il voto religioso a Laverna e a Stercuzio; l'altare alle Erinni e alle terribili Furie, e l'erronea sovrabbondanza de- gli dei del Politeismo, annoverati nelle tradizioni antiche e moderne. Da ciò, in ultimo, i tre sistemi filosofici: Atomismo, Dualismo e Panteismo, con i quali si è cercato di dare una spie- gazione arbitraria e dannosa dell'origine dell'universo. Che cosa hanno messo in campo questi tre sistemi? Quale luce di verità hanno offerto alla mente dell'uomo perché indagasse il suo vero fine? ECCOLI: - Il Dualismo presuppone una materia eterna e increata come Dio, con la quale appunto Egli formò il mondo. - Il Panteismo determinò nella reale sostanza di Dio il principio di tutte le cose; da ciò la massima dottrinale che se da Dio emana tutto, allora tutto è Dio: Dio è uomo, Dio è pianta, Dio è pietra. E viceversa: la pietra è Dio, la pianta è Dio, l'uomo è Dio. - L'Atomismo scacciò infine il supremo intelletto dal dominio delle cose e surrogò la sua ope- ra, luminosamente pensata (razionalmente fondata), con il moto cieco e deterministico della mate- ria. Per cui si ritiene che il mondo sia sorto così per caso, per fatalità, dal complesso delle par- ticelle atomiche della materia stessa, circolanti nello spazio. {12} Dunque queste ipotesi che hanno cercato di spiegare l'inesplicabile e definire l'indefinibi- le, oltre a rendere più confuse le idee tradizionali della creazione con le quali i cattolici con- trastano con forza le irrefutabili scoperte dell'antropologia; oltre a fallire nel disegno di una presunta scienza dell'assoluto, hanno anche impossibilitato le generazioni a studiare se stesse. E perciò da Socrate a Galileo, da Platone a Gioberti, da Pitagora a Hegel, non si è fatto altro che riprodurre sempre gli stessi principi, le stesse idee, sotto la falsa copertura di un non ben chiaro né definito nominalismo, sterile di risultati scientifici.

25 I tanti sistemi che nel corso dei secoli hanno avuto una posizione di predominio nel cam- po della scienza, non hanno affatto illuminato il genere umano con la luce della verità che, quale sole della mente, riscalda e feconda, perché [per l'appunto, essi sistemi] rifacimento di errori primitivi o parto di tipi esclusivi, del tutto estranei al mondo concreto. E nella erroneità del metodo, nell'esclusività del principio, nella falsità del criterio, nell'inapplicabilità delle conseguenze, hanno mostrato dei lampi isolati, i quali, dopo un fuggevole bagliore, sono scomparsi, offuscando di più l'orizzonte dell'umanità. A questo riguardo, non parlo di epoche lontane, di sistemi che interessarono le passate generazioni e delle quali non si ha che una pallida tradizione (memoria, notizia, testimonianza), forse perché il secolare lasso di tempo che ci separa dai loro autori, potrebbe far supporre che la cri- tica nei loro confronti sia esagerata; ma faccio riferimento ai fatti che cadono sotto i nostri sensi, cioè ai fatti concreti, tangibili e visibili. Richiamo quindi l'attenzione su Vincenzo Gioberti, ingegno italiano assai versatile, il cui ontologismo (: il sistema di Gioberti, per cui il principio della filosofia consiste nella conoscenza dell'ente as- soluto che crea l'esistente) invasò (infervorò, ossessionò) un'intera generazione sino alla folle esaltazione, sino al delirio, per ripiombare poi - come previsto dal mio amico Giuseppe Ferrari, filosofo geniale, (l'unica illustrazione, vale a dire l'unica persona a dar lustro e decoro all'Italia, che gli tenne dietro con il puro concetto logico della libertà) - senza luce e priva di forze nelle tenebre più dense, e non si rialzò che tramortita dopo una serie di innumerevoli sacrifici. Il male che ci affligge - e deploriamo -, il gelo (assenza di calore umano, di cordialità) che ci assidera (che cioè ci rende geli- di, privi di cordialità, di umana simpatia), da dove provengono? Di certo dal falso metodo adottato nell'investigare le leggi della nostra natura, perché Gioberti, mente fecondissima e altera, ha creduto di elevare i discepoli, ai quali dirigeva la sua parola magistrale, allo stesso rango cui era pervenuto lui dopo 30 anni di speculazione filoso- fica. Egli voleva che il punto di arrivo dei suoi lunghi studi, fosse il punto di partenza di chi doveva seguirlo: anteponeva l'intelligibile-ignoto al sensibile-noto; disperdeva il fenomeno che costituisce la certezza, e vi sostituiva l'ipotesi, l'incertezza; esautorava il principio (il comin- ciamento, l'origine, il fondamento, la causa), e dava fede (credito) al dogmatismo autoritario, che si sottrae al beneplacito (al giudizio insindacabile) della ragione umana. Insomma, Gioberti procedeva in sen- so contrario alla natura, violando la logica inesorabile della scienza nei suoi canoni più rigo- rosi. E il senso comune ha implacabilmente condannato il suo sistema che, impostosi nelle emergenze nazionali del passato, non è punto dissimile da quello che Filangieri (1753-1788) invocava nel secolo scorso. Questi, seguace del principio di autorità, emanazione della filosofia scolastica, pretende- va dai poteri temporali il miglioramento più desiderabile per il genere umano (Monarchia il- luminata). E parimenti Gioberti, il quale, sottomettendo il principio all'ipotesi cui allude la sua formula ideale "L'Ente crea l'esistente, l'esistente ritorna all'ente" ["Chiamo formola ideale, una pro- posizione che esprime l'Idea in modo chiaro, semplice e preciso, mediante un giudizio. Siccome l'uomo non può pensare, senza giudicare, non gli è dato di pensar l'Idea, senza fare un giudizio, la cui significazione è la formola ideale." (p. 151). E "Io suppongo che questa proposi- zione: l'Ente crea l'esistente, esprima una realtà." (p. 194). (Vincenzo Gioberti, Introduzione allo studio della Filosofia, Tomo Secondo, Brusselle 1844, Capitolo Quarto Della Formola Ideale.]; o, in altri termini, rinnovando, se non di nome, di fatto la filosofia scolastica, voleva che tutto il progresso sociale desiderabile in un'epoca assai esi- gente, qual è quella del XIX secolo, fosse una spontanea concessione dei governi dispotici. Filangieri che scriveva in un'epoca nella quale il diritto pubblico non era praticamente sviluppato dal punto di vista dei principi democratici, è più giustificabile. Egli trovò maggiori possibilità (opportunità) nei poteri costituiti del suo tempo al fine di ricavarne un cui bono (lett. a chi (è) di vantaggio, quindi l'utilità, il vantaggio o l'interesse considerati come il determinate di valore o motivazione). Gioberti, invece, volendo proclamare quel principio nel momento in cui la democrazia avan- zava il suo diritto a governare sul terreno politico, o meglio, sul terreno della libertà politica, vide scaturire dal suo sistema una serie di rovine che di certo una mente superiore come la sua, che le generazioni a venire onoreranno nel tempio della sapienza (scuole e università), avrebbe dovuto prevedere, stante la rivalità delle due forze in campo.

26 Non si creda però che avversando l'ontologismo, io voglia far causa comune (cioè solidarizzare) con gli psicologi, verso i quali sembra essere più condiscendente la maggioranza dell'élite in- tellettuale. Questo sistema che fa usurpare specie agli Alemanni (i Tedeschi) il primato scientifico sulle altre nazioni d'Europa, è anch'esso segnato con il marchio dell'esclusività (ha cioè l'inconvenien- te dell'essere esclusivo, riservato a pochi privilegiati). Anch'esso ha cercato di ritoccare il quadro della natura (cioè l'opera che la natura ha realizzato), attentando con arrogante sprezzante alterigia alle leggi fondamen- tali del suo disegno primitivo (cioè del suo progetto originario). No, il quadro della natura deve rimanere intatto, ed essere rispettato tal qual è, il ritoccarlo è guastarlo! Questi filosofi, nonostante la lo- ro buona fede e le più sante intenzioni, per un errore di metodo, lo hanno guastato tanto da trasfigurare, snaturare l'uomo, e fargli perdere la coscienza di sé, sia impossibilitandogli la percezione del vero, nascosto tra le nuvole, cioè tra le oscurità e indeterminatezze dell'astra- zione, sia assonnandolo (inducendolo al sonno, ovvero riducendolo nello stato di torpore o di immobilità che è proprio del son- no) con false idee, adorne di seducenti apparenze. Mi sono proprio meravigliato che una delle anime più schive tra quelle veramente italia- ne, dispiacendosi che non fosse sorta in Italia una grande mente filosofica in grado di criticare aspramente e mettere radicalmente in discussione lo scolasticume (insieme delle dottrine e dei metodi astru- si e pedanteschi che si attribuiscono alla filosofia degli scolastici), abbia poi concesso questa prerogativa agli Ale- manni. Se giustamente si deve ascrivere agli Alemanni il merito del loro immenso lavoro filo- sofico, nondimeno non si può negare all'Italia l'orgoglio dell'iniziativa scientifica dell'epoca attuale in Giordano Bruno (Nola, 1548 - Roma, 17 Febbraio 1600), in Tommaso Campanella (Stilo, Reggio di Calabria, 1568 - Parigi, 1639) e in Giambattista Vico (Napoli, 23 Giugno 1668 - Napoli, 23 Gen- naio 1744), che con spirito profetico l'aveva annunciato già dal XVIII secolo. E questo, non già per volermi attenere a quell'incivile separatismo vagheggiato dall'egoi- smo di chi vuol innalzare barriere tra i popoli, come se questi non avessero una medesima origine e un identico destino. {13} E non già perché io ammetta distinzioni essenziali tra gli uomini per cui la filosofia che investiga la natura degli Indiani, possa essere altra dalla filoso- fia che investiga la natura degli Italiani, e così, come si suol fare, denominare la prima Indiana e la seconda Italiana. No, la vera filosofia, i veri principi della scienza appartengono a tutto il mondo, e non già a questo o quel paese. Ma anche considerando l'operosità degli Alemanni che da mezzo secolo diffondono in Europa il loro pensiero filosofico, non si può per questo neppure concludere che abbiano risposto appropriatamente alla domanda di verità espressa dalla coscienza universale, perché i loro artifici astratti hanno portato all'infeudamento del pensiero (l'attività propriamente speculativa) e alla negazione della scienza. Dico infeudato il pensiero, per il fatto che non si è diffuso tra la gente comune, che non ha esposto, in modo accessibile alla coscienza del genere umano, le riflessioni della sua attivi- tà speculativa come prescrive la ragione del ben vivere, del vivere cioè secondo virtù. E nega- tiva la scienza, perché, se da un lato si grida al miracolo per la scoperta di verità straordinarie che svelano le forze latenti della natura, dall'altro l'umanità non progredisce, e per di più, nella vita reale, è presa dallo scoramento e da un senso di vuoto. È davvero odioso vedere specialmente la gioventù dei nostri giorni disgustata della scuo- la, sì da frequentarla meccanicamente come il colpevole che va al patibolo. Deriva forse da una naturale incompatibilità con il vero? Di certo, no! Il vero rappresenta l'unico obiettivo, l'unica aspirazione dello spirito umano; e se la gioventù si disamora dell'insegnamento scola- stico, è perché non ne ricava alcun profitto, per il cattivo metodo di organizzare conoscenze eterogenee, per le coercizioni dei regolamenti, per la condotta degenere dei professori quare- simalisti troppo devoti al potere, i quali non fanno che predicare il quaresimale, cioè ripetere alla lettera le medesime cose senza avvertire differenze di luoghi e di tempi (Tommaseo-Bellini). In verità, la scienza, condotta così alla sciamannata (alla buona, come vien viene; in modo non accon- cio) nella sfera dell'astrattezza, si rende inaccessibile e priva la gioventù del coraggio e della sicurezza di sé, tanto da farle credere d'essere inetta alla scienza e alla sua acquisizione. Co- sicché, non potendo raggiungere la sfera dell'intelligibile, i giovani, per non rimanere nel vuo-

27 to da cui la natura umana necessariamente aborre, si volgono al sensibile, le cui micidiali con- seguenze sono praticamente sotto gli occhi di tutti. Per dimostrare l'esclusivismo e la confusione del metodo in cui vagano le scuole, basta menzionare la sofistica distinzione dell'analisi e della sintesi. Spesso si sente dire da professo- ri rinomati: il mio metodo è sintetico, il mio metodo è analitico. L'erroneità di tali vedute, e le conseguenze funeste che ne discendono per lo sviluppo del- la verità, sono agevolmente desumibili dalla considerazione che l'analisi e la sintesi sono in- scindibili, inseparabili: due essenzialità del pensiero filosofico, finalizzate all'azione dello spi- rito, il quale non fa che unire e disunire termini logici nella simultaneità di uno stesso atto, come fisiologicamente si scorge ripetuto dalla sistole e diastole del sangue nell'azione organi- ca del corpo umano. Ora facendo diventare uno dei due termini metodo, mentre a formare il metodo sono indispensabili tutti e due, è come sminuire la forza visiva dell'intelletto e il moto normale della mente, come quando a una locomotiva viene meno una delle ruote più impor- tanti della macchina. Dunque, a che serve dire d'aver elucubrato (pensato cioè intensamente, meditato) a lungo per scoprire questa verità e questo principio, se poi di questa verità e di questo principio deve farsi un mi- stero, e non deve arrecare alcun beneficio all'universalità degli uomini, a tutti gli uomini dei quali la scienza è patrimonio? E parimenti, a che serve dire d'essere i santi padri della chiesa, i grandi filosofi, d'aver pubblicato centomila volumi, d'aver riempito il mondo di sé con i pro- dotti della mente, se poi questi prodotti sono in contrasto con le correnti di pensiero dell'epo- ca, in quanto sono l'ipotesi, l'esagerazione romanzesca, o l'esito mal riuscito di falsi concetti che espongono l'umanità al supplizio di Tantalo? ("il s. di Tantalo, la pena inflitta dalla divinità a Tantalo, mitico fi- glio di Zeus e di Plutide, condannato per le sue colpe (tra cui l'uccisione del proprio figlio Pelope per imbandirne le carni al banchetto degli dei) a essere sempre affamato e assetato, non riuscendo mai a prendere il cibo e l'acqua, che illusoriamente erano alla sua portata, ma in real- tà per lui assai lontani e irraggiungibili; l'espressione è spesso usata in senso fig. per indicare la tormentosa situazione di chi vede o ha a por- tata di mano ciò che desidera, senza poterne usufruire". Treccani, Vocabolario on line) Per evitare che ci si fregi indegnamente dell'appellativo di benefattore degli uomini, attri- buibile esclusivamente al filosofo, i rapporti che sono le leggi, che sono i veri su cui si fonda la scienza, non devono essere fittizi (falsi, artificiosi) o nascosti sotto le inestricabili formule della filosofia scolastica o tedesca, ma devono essere quelli che una persona di senso comune vede, o può vedere, riflettendo sui propri fenomeni; devono essere luce, o meglio, un fiume di luce che senza limiti scorra ovunque, e diventi presto di tutti. Se così si fosse proceduto, si sarebbero guardate le cose come sono, e definite come si deve, nel modo giusto cioè; non ci sarebbe stato il deplorevole spettacolo dell'uomo che spro- fonda nei vortici della corruzione o che abbandona del tutto l'intelligibile cui la mente aspira. Questi erano gli inizi della scuola socratica. Infatti, mediante una successione di idee semplici, logicamente interconnesse, Socrate perveniva alla soluzione, chiara e breve delle idee più complesse: questo è il metodo, ossia la sua base che l'umanità intende sviluppare, ri- piegando le generazioni sulla natura concreta tramite il sistema della riflessione, che conduce agli esiti felici del nosce te ipsum: motto, questo, dell'eccellenza filosofica della Grecia, poi laconicamente applicato dal Pope (Alexander POPE, 1688 - 1744, poeta e scrittore britannico, considerato uno dei maggiori del XVIII secolo) allorché ripeteva che il vero studio dell'uomo è l'uomo stesso. ["The proper study of man- kind is man". From Alexander Pope, An Essay on Man. As reproduced in Poetical Works, ed. H. F. Cary (London: Routledge, 1870), 225- 226 )] Concetto tratto forse da Confucio (551-479 a.C.), il quale diceva di studiare l'uomo nell'uomo, se lo si vuol correggere dai difetti. Il boscaiolo ricava dall'albero il legno di cui abbisogna per guarnire il ferro che utilizza per abbatterlo. Non dissimilmente fa il saggio, che rinviene negli uomini la maniera di con- durli. E io ardentemente mi auspico che questo sistema divenga oggetto di esame per tutte le menti pensanti, perché la riflessione è di tutti e, svolta fino a diventare il metodo abituale ed esclusivo per investigare e mettere in luce la verità, potenzierà di certo le capacità e le abilità spirituali di tutte le classi sociali che acquisiranno agevolmente la scienza, ripiegandosi su se stesse per scoprire le leggi della propria natura, e giudicare conformemente ai dettami della retta ragione.

28 Ora, se questo si raggiungerà, allora cesseranno i privilegi e le usurpazioni dell'oligarchia scientifica; allora si darà a ciascuno quello che gli spetta, e la donna che fu tenuta a invecchia- re davanti al focolare dalla sprezzante, pungente e soverchiatrice forza dell'uomo, riprenderà di fatto (cioè in termini e modi concreti) il suo stallo natio (ampio seggio destinato a persona importante: voce metonimica per importanza, prestigio), assumerà cioè il ruolo che le è connaturato, consacrando le potenze della vita unicamente al bene e all'intelligibile, e non già al male e al sensibile. La donna è potentissima, sotto qualsivoglia angolazione la si voglia considerare. Nel mondo non c'è che lei per creare e animare la vita sociale, e finché questa grande forza (della natura) è abbandonata a se stessa o è mal diretta, inevitabilmente produrrà danni gravissimi. Ma di che sarebbe imputabile il fuoco se invece di cuocere, bruciasse, quando fosse mal impiegato? E di cosa si vuol ritenere responsabile la donna se, senza istruzione e intellettiva educazione, col cuore corrotto e sotto gli effetti prodotti sul suo animo (quale sede degli affetti, dei sen- timenti) e sulla sua mente da una schiavitù millenaria, si è trovata sempre a germinare il male? E se gli uomini, invece di cercare in lei il validissimo raddoppiamento delle proprie forze, son divenuti tanti gineconomi (?) [In verità il gineconomo nell'antica Grecia era il magistrato incaricato di sorvegliare i costumi femminili per impedire un'eccessiva ostentazione di lusso, specialmente nel vestiario, e anche di controllare gli eccessi degli uomini, partico- larmente nel caso di banchetti troppo sontuosi. Per cui gineconomi, nel testo morelliano, è da intendersi antifrasticamente, cioè al contrario] che impongono alla donna - piuttosto che vietare - il lusso al fine di deliziare una comunità volta alle esteriorità, e la lasciano assorbita dal pettegolezzo e dall'intrigo? Il mondo lamenta - diceva un granduomo (iron.) - che le donne siano frivole. In verità la donna non è altra da come la si è fatta. A ben guardare, la sua educazione non è per nulla si- gnificativa ai fini di quel che maggiormente dovrebbe sapere. Pertanto, se la donna non corrisponde al fine supremo della sua nobile natura, è imputabile so- lo l'umanità che le ha negato la luce dell'intelletto. E sono altresì imputabili i filosofi, i quali, assunta la supremazia del pensiero, non hanno mai ben definito i di lei caratteri naturali né l'importanza: di contro, l'hanno avvilita e maledetta (hanno cioè invocato su di lei la condanna e il castigo di Dio), e non risollevata quanto era auspicabile. Ma maledirne (esprimere parole di odio, di condanna, di esecrazione di rabbia contro persona o cosa giudicata perversa, infausta, nociva, e sim.) i vizi senza apprestare i rimedi per estirparli, è come voler conquistare il cielo (cioè il paradiso, il regno dei beati) con la bestemmia, che è la voce della disperazione. Noi udimmo, e udiamo tuttora dal papato, che sulla coscienza della donna pesi una colpa grave. Ma di grazia qual è mai questa colpa? Qual è il processo - civile, penale, ecclesiastico - di questo crimine che, in base alle prove raccolte, stabilisce di condannarla alla degradazione eterna? La storia di tutti i tempi ci ammaestra che, per asservire la donna allo stato, improntato su un utilitarismo spregiudicato e spietato, la malizia sacerdotale, ovvero i sacerdoti con astuzia priva d'ogni scrupolo l'hanno ingannevolmente processata e condannata all'inettitudine addu- cendo come pretesto la trasgressione alla legge della prima donna. Ma ancorché (anche se) si do- vesse prestar fede, cioè credere ai maliziosi inquisitori che hanno sempre in modo scellerato utilizzato la donna come strumento del dispotismo; e ancorché (anche se) si dovesse, infine, am- mettere quest'immaginario delitto della prima donna, chi mai dopo tanti secoli può negarle il diritto di dire <>? Prometeo (personaggio mitologico greco, figlio di Giapeto, incatenato a una rupe per aver restituito agli uomini il fuoco tolto loro da Zeus), dopo aver rubato al Cielo il fuoco sacro, fu condannato a stare 30.000 anni incatenato a una rupe, e nondimeno dopo poco tempo l'iracondo Giove lo emancipava, lo liberava cioè dalle catene; la donna, invece, per aver colto il famoso frutto proibito (secondo la narrazione biblica, il frutto dell'albero del bene e del male di cui si cibarono Adamo ed Eva commettendo il peccato originale), ha pianto lungamente. Ed è inimmaginabile che debba prolungare la sua espiazione, e per giunta sotto gli occhi di un mondo diretto e governato dal sentimento della carità che ci perdonava le colpe e ci coman- dava la rigenerazione, elevando la Donna Ebraica, divinizzando cioè la Vergine degli Ebrei. Risorga dunque la donna, e riprenda il suo valore natìo (naturale, congenito, originario); risorga per non ricadere mai più, ponendosi sotto l'egida (protezione, difesa, salvaguardia) della scienza. La scienza

29 le appartiene per inalienabile diritto di natura, onde poter compiere adeguatamente la sua mis- sione. E le appartiene per diritto di conquista. Per diritto di conquista, perché è lei che ha debellato il pregiudizio, e ha vinto il senso morale dell'umanità con il dolore e il martirio. E le appartiene per inalienabile diritto di natura, essendo dotata di intelletto chiaroveg- gente per adempiere la sua triplice missione, che è quella di (pro)creare l'uomo, educarlo e muoverlo (motivare, indurre ad agire) da che nasce fino a che muore.

Ecco la triade programmatica che intendo sviluppare, ivi compreso il riconoscere alla donna, secondo giustizia e per mezzo di una legge emancipatrice, tutti i diritti di cui gode l'uomo, collegandovi idealmente la necessità di creare un'agevole formula (insieme di criteri o principi che regolano un'attività) per dare alla donna insieme con la scienza la conoscenza della vi- ta, e metterla così in grado di incivilire le povere generazioni mediante l'apostolato della sua scuola materna (: di madre e da madre, tenera, affettuosa, sollecita) nel seno stesso della famiglia da cui oggi esce quasi sempre stupida e pervertita (corrotta, depravata).

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CAPITOLO SECONDO

§. 2° SOMMARIO La donna crea l'uomo. La generazione viene secondo i tipi della mente. L'unità del tipo greco è ispirato dai monumenti. Si perfeziona quella delle bestie, e si lascia degradare la razza umana nelle varie generazioni del globo. La schiavitù domestica della donna, la sua ignoranza e la bruttezza delle figure religiose contribuiscono moltissimo alla degradazione del tipo umano. Necessità dunque d'illuminarla con la scienza. Errori dei filosofi che le negano la vita del pensiero. Prova storica e logica dell'entità della donna. La donna è più religiosa dell'uomo, perché più attinente alla natura, e il papato ne profitta per farne un'infelice idolatra sua tributaria. Dal- la nobile missione e potenza genitrice della donna si conclude con la necessità di doverle educare l'intelletto. Er- rore di coloro che ammettono nella donna più sentimento che pensiero, facendo il sentire-effetto maggiore del vedere-causa. Le osservazioni frenologiche di Lavater e di altri cadono innanzi alla logica e ai fenomeni della generazione che rivelano la potenza intellettiva della donna. L'uomo-effetto non può riportare facoltà superiori alla donna-causa. Perché l'unione dei sessi è detta matrimonio. L'inettezza a cui è condannata la donna dal papa- to, dalle monarchie e dal monopolio della scienza, incaglia il progresso dell'umanità. I matrimoni. I matrimoni dei proletari combattuti da Malthus per scopo di utilità. Il concetto dell'utilità, giusto in principio, è falsato nelle applicazioni. Non c'è vero matrimonio quando manca la fusione degli spiriti per ignoranza, e sola forza di coe- sione n'è l'interesse materiale. Per rispondere allo scopo del matrimonio, bisogna illuminare la donna con la scienza. La scienza della donna non è quella astratta del cattedratico, ma è quella semplicissima che si ricava dal- la riflessione sui fatti propri. Che cosa è la riflessione, e come deve divenir sistema di vita intellettiva per la don- na e per il genere umano. I tre momenti platonici. Falsa opinione del Vico sulla scienza. La scienza è nel concre- to. La curiosità proverbiale della donna anziché essere un vizio, rivela in lei l'istinto della scienza. Con la scienza la donna compirà degnamente l'atto creativo della generazione e, migliorando la specie, rileverà dal decadimento il proprio sesso. (p. 45 ==> 150/405)

1.2. LA DONNA, (PRO)CREATRICE DELL'UOMO Non deve destar meraviglia se alla donna attribuisco la potenza creatrice. Le religioni, al- le quali ciecamente e servilmente si affidano i destini morali, non possono opporsi a questo mio concetto (o principio). Creare è fare dal nulla qualche cosa: sebbene questa prerogativa, la teologia l'attribuisca in modo esclusivo alla divinità, appartiene nondimeno pure alla natura della donna, alla quale è affidata la misteriosa opera della procreazione. La donna forma nella sua mente il tipo ideale di uomo, si prende cura poi del feto nel suo grembo {14}, v'imprime quel tipo ideale, ne perfeziona i lineamenti, dà infine compimento al- la sua esistenza alimentandolo e modificandolo con l'alito (respiro, fiato) del suo affetto materno, sempre vivo e vitale. {15} Sono dunque le ispirazioni (l'empito creativo, fervore intellettuale e sentimentale) della madre che determi- nano nel nascituro le condizioni organiche e morali della vita. Se ella trae l'ideale da un tipo bello, farà bello il bambino; se invece da un tipo di aspetto sgradevole, lo farà di aspetto sgra- devole (deformato e storpiato). Per esempio, la maggior parte dei figli non somigliano affatto al padre; molti sono belli nonostante la bruttezza dei genitori; altri, pur da genitori di belle forme e leggiadre, nascono brutti e deformi. In ultimo si rilevano sulla pelle del bambino - viso e corpo - delle macchie, o meglio, le immagini degli animali o degli oggetti che hanno spesso così vivamente impressionato la ma- dre da causare il formarsi dei golii, cioè delle cosiddette voglie. Ora, questi fenomeni provano indubbiamente che la creatura umana è da ascrivere all'opera esclusiva della donna, che la modifica in cento modi secondo le condizioni del suo materno spirito. Perché in Grecia, l'unica nazione che conserva il suo tipo originale, la donna lo riproduce in modo uniforme, senza alterarlo come nel resto dei paesi del mondo? La risposta è questa: perché possiede sia i monumenti duraturi dei suoi eroi, sia la tradizione che vive e palpita in

31 quelle membra rese più vitali e vigorose dall'arte. Per questo la donna greca si determina a ri- produrre questi tipi che in belle forme racchiudono spiriti forti, geniali e maestosamente ner- boruti. Invece, la donna degli altri paesi, mancando di siffatti stimoli, non solo ha dato origine a generazioni che variavano nel volgere del tempo, ma, quel che più conta, ha fatto decadere l'uomo dalla condizione umana a quella dei bruti, vale a dire a quella di animali irragionevoli. L'influenza della fisiologia connessa con la omogenìa ("Generazione di simili da simili", Tommaseo- Bel- lini), fatta propria dal senso comune, ci ha resi edotti riguardo al miglioramento delle razze de- gli animali. Vengono perciò stanziate nei bilanci comunali e statali somme cospicue per sussi- di e medaglie da destinare alla perfettibilità del bestiame, e i ricchi proprietari si affaticano a rendere comoda la esistenza del bestiame in stalle lussuose, e abbellire queste con immagini adeguate che si riflettono sulla fantasia delle femmine, impressionandole (nel senso di fare viva impres- sione sull'animo, sulla fantasia, sul sentimento, appunto, della femmina) al momento del concepimento. Gli stessi ric- chi proprietari, di contro, non si curano affatto degli esseri umani (vale a dire dei propri figli), anzi con la loro condotta negligente fanno sospettare che operino per renderli brutti e abietti. Il papa, assimilandoli al più stupido animale, li chiama pecorelle; i municipi e i parlamen- ti non si curano né di come nascano da genitrici che li concepirono nella cieca fatalità del sen- so, né di come crescono: imperfetti e rachitici, nel lezzo di tuguri specialmente dei contadini e degli operai che fanno del bene, da cui le nazioni traggono la loro potenza; e da ultimo molti proprietari, economicamente dotati, non si curano di migliorare la propria discendenza, tenen- do in casa dipinti mostruosi e tipi detestabili (pessimi) dai quali la genitrice ritrae sempre qualche cosa che rende brutto il feto, cui ella rivolge - regolarmente, quotidianamente, segre- tamente - i suoi più importanti pensieri di giocondità e letizia. Eppure si dovrebbe sapere che la bellezza e la perfezione organica influiscono moltissimo sullo sviluppo spirituale, sull'attività produttiva, sul prolungamento della vita e su incontri buoni e fortunati. Licurgo [IX sec. a.C. - VIII sec. a.C. - Secondo la tradizione di Sparta, il suo principale legislatore] re- darguiva per la loro melensaggine (stoltezza, scemenza) gli uomini e le leggi tiranniche che co- stringevano le donne ad andare col volto coperto per non vedere le estetiche forme dell'umana natura e ad esse ispirarsi. "Scelgono - diceva egli - i migliori armenti onde accreditare sui mercati le loro industrie e promuovere la domestica ricchezza, mentre taluni poi sono gelosi, che le loro mogli vadano a viso scoperto, e colgano coll'intuito il bello improntato sulla figura 1 degli altri; quasi che temessero di vedere il loro paese popolato di uomini ben fatti". (?) ( ) Dunque, presso gli spartani, la procreazione era di così grande interesse che finalizzavano l'unione matrimoniale alla procreazione di figli degni della patria. Oggi, invece, non ci si ap- plica a tale missione, ma ci si volge altrove, in direzione opposta, ai piaceri volubili che sono incompatibili con la gravità (importanza, serietà) dell'avvenire. Si procrea alla cieca senza darsi pen- siero dei mali che i figli, deboli e sconci, procurano a se stessi e alla società. A quei tempi, il pubblico magistrato aveva non solo l'incombenza di registrare i nomi dei nati nei libri dello stato civile, ma anche quella di verificarne la struttura organica e, trovando- la difettosa e non adeguata al servizio della repubblica, spingersi sino alla disumana esagera- zione di ordinarne la morte, come si legge nelle memorie dei viaggi di Antenore in Grecia e in Asia: "In capo a due settimane, Demonace venne di buon'ora nelle nostre stanze ad annunziarci ebro di gioia che sua moglie aveva partorito un fanciullo, e c'invitava ad essere presenti alle cerimonie solite usarsi in tali occasioni. Appena nato, fu messo dai più prossimi parenti sopra uno scudo d'acciaio, e accanto ad esso un piccolo giavellotto o dardo, nell'atto che gridavasi ad alta voce: O sopra di lui o seco lui. Verso il meriggio, il padre tutto esultante lo portò ai le- schi (*) [(*) In tutte le più grandi città della Grecia, eranvi certi ridotti denominati leschi, ove si adunavano gli oziosi ed altre genti per ri- crearsi, sul gusto appunto de' nostri caffè moderni. In Isparta se ne contavano due, ma poco frequentati], dove otto de' più antichi ed in apparenza venerabili vecchi, capi della sua tribù, eransi adunati per esaminare la com-

32 plessione del neonato. La nutrice, gettato del vino entro una tinozza, ve lo immerse, ne lavò il corpo, e il lasciò qualche tempo in quel bagno; quindi il presentò agli anziani. Una sì perico- losa immersione aveva assopito quell'essere nascente, che ne uscì ammalato e con un serio at- tacco di convulsioni; per lo che, senza ulteriore esame, i giudici dichiararono che non potreb- be divenire giammai un uomo vigoroso, ed in conseguenza sarebbe un individuo inutile alla repubblica. Fanore mise loro in vista che la prova era incerta, e che dall'altro canto questo di- fetto di forze fisiche esser poteva vantaggiosamente compensato dalle doti dello spirito e dalle qualità morali. Quei gravi personaggi gl'imposero silenzio con uno sguardo severo e sprezzan- te; e per tutta risposta, di una voce unanime, pronunziarono la sentenza di morte contro il mi- sero bambino. A questo barbaro decreto fissai gli occhi sul padre, il quale, senza niente tur- barsi, ordinò tranquillamente a uno schiavo di trasportare suo figlio sul monte Taigeto, e di là precipitarlo, come fu eseguito, negli apoteti, baratro destinato a quest'uso disumano e crudele. <> Noi non osavamo far parola all'ospite della catastrofe orrenda della sua prole, e della bar- bare legge che sacrificava così ingiustamente. Osservando la nostra taciturnità, fu egli il pri- mo a dirci freddamente: <>. [VIAGGI D'ANTENORE NELLA GRECIA E NELL'ASIA con alcune notizie sopra l'Egitto MANOSCRITTO GRECO Trovato nell'Antica Ercolano. Versione Italiana con note riveduta e corretta sulla quattordicesima edizione francese per cura di F.*** L.*** - TOMO TERZO, MILANO DALLA TIPOGRAFIA DE' FRATELLI SONZOGNO 1826 - - Capitolo LX. pp. 638-641 - https://books.google.it/books/about/Viaggi_d_Antenore_nella_Grecia_e_nell_As.html?id=eslOAAAAcAAJ&redi_esc=y <======> p. 638

Ora, questi ricordi, spogliati dei barbari eccessi cui si spingevano quei crudeli magistrati, potrebbero dar lezione a quelli che oggi fanno l'opposto, che cioè non si curano minimamente di migliorare l'umana specie. Se i primi padri, aventi in sé gli istinti della perfettibilità, potessero tornare dall'altro mondo, son certo che inorridirebbero al vedere i discendenti, sparpagliati su tutto il globo, presentare imperfezioni rimarcabilissime nel fisico intisichito (privo di vigore e vitalità; debole e gracile) e, quel che più conta, nei tipi del volto e nel tralignamento (o degenerazione) dei costumi. Essi vedrebbero la razza caucasica (cioè del Caucaso, catena montuosa della Caucasia, regione dell'Asia occidentale in cui si trova il Caucaso) che è la più estetica, numerosa di 380 milioni di anime, estendersi dall'Europa fino all'Asia Occidentale, dai Latini e Anglosassoni ai Chirghisi (gruppo di popoli dell'Asia centrale, di lin- gua turca e di religione mussulmana sunnita, divisi in Carachirghisi e Kazaki), in una varietà di famiglie che, secondo un rapporto frazionario, decadono notabilmente dall'unità dello stampo primitivo (complesso tipico di caratteristiche). Vedrebbero anche i 253 milioni della razza mongola, nei cinesi e nei giapponesi, mantenere stazionarie le difformità dai caratteri propri del capostipite, senza alcuna nuova vi- sibile alterazione. Vedrebbero infine i 150 milioni della razza malese estendersi sulle regioni marittime, ancor più imbruttita dall'antropofagia dei Papuani (Isole di Papua Nuova Guinea, nell'Oceano Paci- fico) e degli Alfurus (Minahasa - Indonesia). E la figliolanza mutevole (instabile, soggetta a frequenti variazioni) del- la razza negra (il complesso delle popolazioni del ceppo negride o, più ampiamente, del ramo negroide) assai decaduta dall'armonia delle forme primitive. E i parecchi milioni della razza americana, non assimilabi- li a un unico tipo, dal Mozus fino al brutale Fetzeri. [Per quanto concerne il Mozus, credo siano i MOZUAS, "In- diani nel S. della Colombia, verso il 72° di long. O., fra il Yapura ed il Putumayo", p. 1459, Nuovo Dizionario Geografico Universale Stati-

33 stico-Storico-Commerciale, Venezia, Antonelli, 1826-33. Per il Fetzeri, invece, credo siano i TEHUELCHES, gli antichi abitanti della re- gione attorno al monte Fitz-Roy (3405 m), nel tratto andino della Patagonia. Tehuelche is a Mapudungun word meaning "Fierce People", che a mio avviso ben corrisponde "al brutale Fetzeri" di Morelli. Wikipedia alla voce "Tehuelche people"] In ultimo, i 10 milioni di Mulatti, Meticci e Zambos. Praticamente vedrebbero in tutto il mondo un miliardo circa di abitanti, che forniscono al filo- sofo e al legislatore una larga messe di informazioni su cui riflettere. Prescindendo dai colori che dipendono da cause estrinseche, non si può negare che lo stentato miglioramento e il decadimento nella varietà di queste razze tragga origine proprio dal fatto che non si è curato di rappresentare con le arti il tipo primigenio, e altresì dal fatto che le madri, deprivate intellettualmente, condannate all'inettitudine e non incoraggiate a mi- gliorarsi né da premi né da onori sociali, lasciano governare l'atto generativo da impressioni fortuite e giammai dalla risoluta volontà, accesa da ispirazioni creative, di fare l'uomo qual deve essere: di belle forme e d'intelletto elevato. La colpa di questo sconcio: principio, origine e causa di tristi conseguenze, è da imputarsi anche al falso orgoglio dell'uomo che, sottomettendo la donna ai propri voleri e desideri, lungi dall'impressionarla con immagini che nobilitano i nascituri; lungi dal preferire l'elevatezza (grandezza, nobiltà) d'animo degli spiriti nobili; lungi dall'ispirarla a concepirne il tipo, le ha imposto di riprodurre servilmente se stesso (vale a dire: esattamente il tipo del marito). Per la qual cosa la stirpe (o discendenza) si è rannicchiata in questa misera cerchia, appunto, familiare, e, invece di perfe- zionarne il tipo, ha imbruttito l'uomo come detto sopra, e con la bruttezza ne ha accresciuto dolori e miserie. La donna, sia perché al genio ("spirito che assiste ogni uomo dalla nascita alla morte ispirandone le azioni e tutelandone parti- colarmente la virtù generativa" - Voce Genius ii, in Dizionario di Latino. Latino-Italiano, Volume 34, La Biblioteca di Repubblica.) non si comanda, sia perché un senso di timore e d'incertezza sopravviene nel suo animo di madre, suggestionata dai malumori che solitamente si creano in famiglia se il figlio non nasce a im- magine e somiglianza del padre, il quale svolge il ruolo di coniuge non come compagno, ben- sì come signore e padrone; la donna, ripeto, è come legata a quella meschina realtà (per cui ella procrea non ispirandosi ad alcun tipo ideale, e per di più senza partecipazione emotiva e sentimentale), e quand'anche, mossa da un irrefrenabile impulso interiore, fosse nobilmente indotta a trarre le ispirazioni dal meglio, queste le vengono tronche e spezzate, cioè incomplete e disorganiche. Perciò, nell'ideale in- crocio dei tipi, nascono razze imperfette, inespressive, ibride, il cui valore vitale non è che l'e- splicita negazione (cioè l'esatto contrario di quel che dovrebbe essere) degli archetipi, che si concreta nell'inet- titudine o nella malignità impudente (spudorata, svergognata, sfacciata). Relativamente a questa questione, è tempo ormai che si alzi la voce avverso quelle mo- struose pitture di santi e madonne della chiesa cattolica, dei quali il gesuitismo ha riempito il mondo per distogliere l'animo della donna dal sentimento del bello cui è istintivamente incli- nata. L'aspirazione alla fede (alla fede religiosa, alla credenza in Dio) che, associata a immagini bruttissime, non fa che disperdere il calore assai vivo del santuario domestico, dovrebbe invece offrire ar- gomento (motivo, reale e obiettivo) al miglioramento della razza umana se armonizzasse con immagini belle: si darebbe così più impulso al sentimento religioso, e alle madri una fonte inesauribile di purissime ispirazioni (di tipi ideali). Le donne che han fior di senno (cioè molto assennate), sentono più di tutti l'importanza di questi fatti. E a ragion veduta! Se un'educazione raffinata e l'unione con mariti sommamente volen- terosi che si staccano dal pensiero comune di chi batte alle cieca questo sentiero irto di ostaco- li, non li [: questi fatti] hanno resi familiari alle bennate (di buona famiglia, di elevata condizione socia- le; ovvero che possiedono buone doti morali o intellettuali), nondimeno l'appartenenza al gentil sesso li ha resi per forza confacenti alla sensibilità femminile, molto più che a me stesso che faccio parte della metà maschile della sfera umana. Dunque, a fronte della verità di questi fatti, quale valore possono avere le ipotesi di quelli che, studiando la natura umana (cioè l'uomo) fuori di se stessa, hanno negato la scienza alla don- na? Quale valore, i pensieri ditirambici (celebrativi, di esaltazione) di un francese che nella donna non

34 vede altro se non un complesso ridicolo di organi meccanici, un'anima larvata (: una larva di 2 anima, con mere apparenze), senza intelletto, alla quale la verità suscita ripugnanza? (?) ( ) Quale valore, le idee di Cousin che difende il celibato e nega alla donna la vita intellettiva? (?) (3) Nessuno! Anzi tali bestemmie sono incontrovertibilmente confutate dalla mitologia, dalla storia e dalla logica della natura. Sono infatti in netto contrasto con la mitologia, perché il simbolo della sapienza, del co- raggio e della bellezza non è una divinità maschile, ma Minerva, genio del pensiero e dell'a- zione. Sono altresì in contrasto con la storia perché, tralasciando: - Eva e tutto il seguito delle donne bibliche alla cui forza sentimentale ben si confà (si addi- ce) lo sviluppo della mente, tanto da doverle celebrare ancora oggi; - le matrone greche e romane che, diversamente dalle belle (donne note per la loro bellezza) del Pe- loponneso, non si perdettero in cose d'amore, inghirlandando di fiori il leggiadro Cupido, ma generarono eroi e sapienti per la patria, ragion per cui dovevano avere un'intelligenza superio- re e sentimenti elevati, nobiltà e grandezza d'animo; - le prime martiri del cristianesimo che, ispirate dalla dottrina del divino profeta (il Cri- sto), tracciavano i limiti della comune intelligenza, divenivano spiritualmente più forti nelle certezze della fede, disprezzavano i nemici del vangelo che esercitavano un potere assoluto e un'autorità incontrastata con inaudite atrocità; - e tra queste Caterina [Santa Caterina d'Alessandria (287 - Alessandria d'Egitto, 305) vergine e martire. Vd. www.santiebeati.it/dettaglio/79050] che con la sua grande mente trionfò sulla dialettica dei filosofi, libe- randoli dal paganesimo e rendendoli seguaci di Cristo; - le illustri donne che formarono lo spirito dei padri della Chiesa: S. Agostino, S. Ambro- gio, S. Girolamo, e altri; - le apostole che con la loro vivissima luce intellettuale operarono conversioni, in merito alle quali si era dimostrata inefficace la voce degli stessi padri: la giovanetta Melania (Santa Melania Juniore), per esempio, convertì al cristianesimo Volusiano (che era suo zio, prefetto di Roma), re- frattario alle apostoliche pressioni di S. Agostino; - Elena che con la sua illuminata influenza convertì al cristianesimo il figlio suo primo- genito, S. Agostino; - la moglie dell'imperatore Massimo che ella battezzò ed entusiasmò, e lo stesso si esaltò a tal punto da difendere il Cristianesimo; - la versatile Pulcheria [(Costantinopoli, 19 gennaio 399 - luglio 453) - Imperatrice dell'impero romano d'Oriente dal 414, come reggente del fratello (l'imperatore Teodosio II). Venerata come santa dalla chiesa cattolica e dalla chiesa ortodossa] che a sedici anni fu filosofo, teologo, politico, e governò l'impero romano in modo esemplare, facendo sorgere nella corte pagana il sentimento della carità, emendando finanche i breviari dagli erro- ri, o meglio, dagli orrori dai quali essi (pagani) venivano ingannati e irretiti; - Clotilde che, con la folgorante intuizione dell'unità dei cristiani, ricondusse suo marito, il re Clodoveo I, sulla via della verità, fondendo in un tutto organico i Franchi con i Galli, get- tando così le fondamenta della nazione francese che ora è così potente da avere più peso, più importanza, più forza di influire, rispetto ad altre nazioni, sulle sorti dell'Europa, talvolta a sollievo, talvolta a danno dei popoli che chiama suoi fratelli; - la regina Batilde (moglie del re Clodoveo II, regina di Neustria e Borgogna, e Santa per la Chiesa cattolica) che, re- gnando con pietà materna, proclamò per prima, nei Secoli bui [periodo iniziale del Medioevo, ovvero l'Alto medioevo, che abbraccia all'incirca gli anni dal 476 al 1000 d. C. - Il concetto di Secoli bui fu concepito da Francesco Petrarca nei primi anni del XIV sec.], cioè in pieno medioevo, l'abolizione della schiavitù, erigendo a principio di diritto pubblico la massima che ogni uomo è libero; - Bianca di Castiglia [Palencia, 4 marzo 1188 - Parigi, 27 novembre 1252. Figlia del re di Castiglia Alfonso VIII e di Eleo- nora Plantageneta, e fu regina di Francia, sposa di Luigi VIII] che, al dir del Ventura, fu ammirata dagli stessi suoi nemici per le capacità di governo; - la principessa Indeconda che elevò la Spagna al rango di nazione (?) (4); 35 - Santa Berta che gettò le basi della nazionalità inglese; - Santa Margherita che civilizzò la Scozia; - Santa Matilde, regina d'Alemagna, che dopo la morte del marito (Enrico l'Uccellatore re di Germania), nel 936, governò lo Stato con virilità, cioè con fermezza e coraggio; - Santa Adelaide (Borgogna, 27 giugno 931 - Monastero di Selz in Alsazia, 16 dicembre 999), reggente del Sacro Romano Impero, che per la sua carità e saggezza fu degnamente denominata dalla storia Ma- 5 dre dei regni; (?) ( ) - le tre sorelle Trottole che in pieno medioevo insegnarono scienza dalle cattedre dell'U- niversità di Salerno, e scrissero preziosi trattati di medicina {16}; - Edvige (oggi Santa), regina di Polonia, che favorì il Cristianesimo in territorio lituano e organizzò stabilmente la nazione polacca, ora sventurata; - Clotilde che governò in Italia come re tra i re del suo tempo, e che fondò la celebre Uni- versità di Bologna - Alma Mater Studiorum, 1088) -, riservando alle donne il privilegio dell'educazione scientifica, il diritto di addottorarsi (laurearsi) e di insegnare, ad. es., come pro- fessore universitario, come fece per più anni Laura Bossi, grande pensatrice; - Caterina di Russia, mente speculativa e politica, che con la sua sete di conquista, imma- ginava la formazione di un vasto impero, dal Nord all'Oriente, lasciando in eredità ai posteri il fiero, combattivo orgoglio di compierne i disegni; - le italiane del Medioevo che nobilitarono le passioni dei figli, incitandoli a essere audaci e arditi, così da trionfare, pur deboli, sugli oppressori stranieri e sulle caste dispotiche che ti- ranneggiavano all'interno; - Madame de Staël che predicava in modo sapiente e ispirato la comunione intellettuale dei popoli, abolendo l'inveterato (così radicato da essere difficilmente eliminabile o correggibile) principio che vie- tava allo straniero di percepire un bene, nel caso specifico, intellettuale, prodotto in un altro paese, nel quale cioè non era nato e del quale non aveva la cittadinanza. In sostanza Madame de Staël affermava il principio della libera circolazione del pensiero in tutti gli Stati; - Eleonora Pimentel che sconvolse l'Europa con la maestà delle forme linguistico- stilistiche (composizioni di versi, sonetti, cantate, epitalami) e con la luce dei principi; - Rosa Bonheur, celebre pittrice di Francia;

come potranno questi signori scansare (schivare) l'attività mentale delle donne contemporanee che hanno raggiunto livelli di eccellenza nelle lettere e nelle scienze? Come dimenticare la ba- ronessa Dudevant (1804-1987, scrittrice e drammaturga francese) che con lo pseudonimo di George Sand ha pubblicato un numero grandissimo di libri restituendo alla donna il primato nell'ambito del pensiero? Come disconoscere il maschio intelletto di Enrichetta Beecher Stowe (1811-1896. La capanna dello zio Tom), tutta tesa ad abolire la schiavitù in America? Inoltre, come negare l'intelligenza politica delle principesse elevate al governo dei popoli, e specialmente quella: - di Maria Augusta di Assia che, perpetuando in Russia l'influenza di Caterina II, dette un valido appoggio alla ferrea autocrazia (governo assoluto, tirannide) di quel vasto Impero; - della regina Ranavalo, la Pietro il Grande [Pietro I, Zar di Russia (Mosca 1672 - Pietroburgo 1725)] del Madagascar (?) (6); - dell'imperatrice (Wu) della Cina che, di umili origini e assurta al trono per la sua forte tempra, svecchiò la Corte Tartara; - della regina Vittoria, che da tanti anni guida la esigente civiltà britannica. Come non inchinarsi di fronte all'intelletto cosmopolita della distinta signora prussiana As- sing, donna di pensiero e degna figlia della dotta Germania {17}, che traduce e commenta in tedesco le opere di Mazzini; e altresì della Signora Jessie White Mario, cattedratica newjorke- se, che insegnava al fiore del mondo intellettuale europeo i doveri che attengono alla infallibi- le e duratura civiltà umana?

36 Come non ammirare madame Stanton, madame Dickson, madamigella Anthony e tante altre donne illustri del nuovo mondo che favoriscono con tanto vigore la civiltà del secolo, propu- gnando il grande principio dell'emancipazione?

Come dimenticare: - Caterina Ferrucci [Caterina Franceschi Ferrucci (Narni, 26 gennaio 1803 - Firenze, 28 febbraio 1887). Scrittrice, poetessa, patriota ed educatrice italiana], di grande fama e notorietà per i suoi giudiziosi scritti sull'educazione dei figli; - Giuseppina Guacci Nobile [Napoli, 1807-1848), poetessa, educatrice, patriota]; - Virginia Pulli-Filotico [(Milano, 1800 - Portici, 1860), scrittrice e poetessa. L'opera più nota è il ro- manzo <>, edito da Le Monnier nel 1857]; - Luisa Amalia Paladini [(Milano, 24 Febbraio 1810 - Lecce, 14 Luglio 1872), colta scrittrice ed edu- catrice virtuosa.]; - Rosa Taddei [(1799 - 1869) di origine napoletana; famosa poetessa arcadica, nota anche con il nome di Licori Partenopea, p. 21, in L'ARTE DELLE DONNE. Per una Kunstliteratur al femminile nell'Italia dell'Otto- cento di Chiara Marin] - Laura Beatrice Oliva in Mancini [Napoli, 17 gennaio 1821 - Fiesole, 17 luglio 1869), scrittrice, educatrice, poetes- sa]; - Irene Ricciardi in Capecelatro [Napoli, 1802-1870), poetessa, collaboratrice del giornale <>, fondato da Bartolotti Ghedini Fanny (n. 16-IX-1820), la quale prima traduttrice instancabile, poi maestra, diede alla stampe alcuni libri di carattere educativo, uno dei quali <> ebbe l'onore della ristampa e il premio di una medaglia d'argento dalla società di pedagogia. In Dizionario Rosi, Dizionario del Risorgimento Nazionale]; - Giannina Milli in Cassone [Teramo, 1825 - 1888), poetessa, educatrice, patriota. Vd. Personaggi illustri in Terra d'A- bruzzo]; - Elvira Giampieri-Rossi [Letterata, poetessa, collaboratrice del giornale <>. Racconti, dia- loghi e commediole ad uso dell'infanzia e dell'adolescenza di Elvira Giampieri-Rossi. Vd. Strenna genovese di Giacomo Cevasco, Digitaliz- zato Google]; - e tante altre celebri poetesse e pensatrici delle quali va fiero e orgoglioso il mondo, e specialmente l'Italia, la terra del genio.

In ultimo, come negare l'intelletto delle donne, visto che anche gli annali della giurisprudenza civile d'Europa annoverano con grande onore, perché davvero singolare, la salentina Elena Dell'Antoglietta dei Marchesi di Fragagnano, il cui illustre genio oratorio tuonò nelle aule di giustizia in Napoli sino a trionfare, in cause difficili, sui più potenti avversari, e acquistare un primato glorioso tra le intelligenze giuridiche? {18}

Forse i detrattori della donna e dell'essere femminile vogliono ammettere due ordini di natura per perpetuare l'ingiusta condizione di privilegio dell'orgoglioso maschio usurpatore dei diritti delle donne? Tesi che consentirebbe loro di attribuirsi indebitamente l'esemplarità, l'essere cioè un modello da copiare, proprio come l'innanzi, cioè "l'esemplare che tengono gli scolari avanti per copiare" (P. Fanfani, p. 796. Vd. Tommaseo-Bellini, p. 461, "Innanzi. S. m. L'esemplare di una cosa che altri si tiene innanzi per copiare o imitare. 2. Per Tipo, Prototipo, Modello. 3. Innanzi, fig., dicesi Tutto ciò che può servirci di norma e di guida per condurci ne le nostre azioni."), che non ha ragion d'essere? Il tempo delle usurpazioni è ormai tramontato. A ciascuno, ciò che gli spetta. I ghiribizzi (i pensieri fantastici e strani, le idee bizzarre) svaniscono, i fatti e la storia invece rimangono per confermare i diritti di ciascuno. Ora, se nonostante la falsa scienza, la scienza degli astratti e delle astrattezze concettuali, inaccessibili anche alla mente dell'uomo-maschio, la donna si è svegliata (riscuotendosi cioè dall'iner- zia, dal torpore) alla vita intellettuale, come le si può negare la prerogativa (la caratteristica specifica, distinti- va) del pensiero? E come si può pedissequamente ripetere i falsi giudizi di Cousin, Lamennais, Comte e di tutti coloro che han concluso che il gentil sesso, cioè la donna, non ha attitudine alla scienza? (?) [Vd. Infra. Nota (2) e (3)] Questo falso opinare è in contrasto con la logica della natura che giammai si propose fini senza mezzi; e che, trasfondendo nella donna un po' della sua suprema potenza e imponendole 37 di concepire e partorire l'uomo, implicitamente le diceva: "Vai nel mondo, regna e governa in vece mia, e perpetua la mia signoria e sovranità su di esso!!" In verità questo mandato con pieni poteri impartito alla donna, mal si concilia con l'idea della prostrazione (mortificazione, umiliazione, degradazione, abbrutimento) cui si vorrebbe che fosse eternamente soggetta. Ella viene al mondo per proseguire il processo (pro)creativo. Infatti, quando deve com- piere la sua altissima missione, quando sente in sé quello sconvolgimento psicologico che at- tiva (mette in azione; dà slancio, impulso a) tutte le funzioni vitali, spezza impaziente i guinzagli patriarca- li, si libera cioè dai freni inibitori connessi con la vita e la società patriarcale, superando osta- coli e difficoltà; dominatrice degli elementi che la circondano, si disfà del passato per edifica- re l'avvenire del figlio, prezioso frutto delle sue viscere. La verginità, la gemma più preziosa della pudibonda giovinezza, è da essa sacrificata per divenire madre, come il genio dell'uni- verso (Dio) che, quando dà origine a un bene cosmico mediante cataclismi, fa assorbire (attrarre a sé, assumere in sé) all'evento cataclismico, alla nascita cataclismica di detto bene, le bellezze delle cose create. La presenza del neonato è per lei un che copre d'oblio i dolori, gli stati d'an- sia, i soprassalti (scatti bruschi della persona come reazione istintiva a un moto improvviso dell'animo), strettamente conca- tenati al cominciamento e compimento del processo procreativo. Già da fanciulla cominciò a sentire il prestigio di questa potenza misteriosa, allorché spensierata e innocente si circondò di bambole e provvide in piccolo alle masserizie (suppellettili, mobili, arredamenti, ecc.) della casa a venire. Quando poi, raggiunta la piena maturità, può riprodurre concretamente, nella vita reale, i tipi della sua brillante fantasia, e provare l'ebbrezza della creazione, invoca l'invisibile (Dio), e lo costringe a mostrarsi a lei nei muti palpiti della sua creatura. Perciò la donna che genera, si può dire essere in intimità con Colui che tutto move (Dio, motore supremo dell'Universo. Dante, La divina commedia, Paradiso, Canto I.1), che gli altri non vedono, né possono vederlo se non alla lontana e giammai in modo diretto, ma solo vagamente e velatamente. Il suo seno è come il primo tempio nel quale l'uomo per la prima volta innalza la mente alla venerazione e al culto. Ecco perché la donna è più religiosa dell'uomo, e il papato sempre approfittò di questa inclinazione per farne una infelice idolatra, sua tributaria. Ella avverte più da vicino l'alito dell'onnipotenza e i benefici del soprannaturale, sente quindi per lui un'entu- siastica gratitudine di notevole purezza e intensità. Ed è più incline alla preghiera, onde averlo come coadiutore nell'esplicazione della sua forza (virtù, potenza, funzione) generatrice. Dunque, se è così, se tanta nobiltà e potenza è nella donna, perché lasciarla confinata in una micidiale nullità? Perché non farle sviluppare l'intelletto, quando l'uomo, che è la sua ope- ra più grande, fonda unicamente su questa facoltà il suo dominio terreno? Com'è pensabile che da una forza cieca, da un corpo opaco, cioè dalle tenebre, nasca la luce? E l'uomo come può avere la luce (della scienza), se la donna, cioè sua madre, ne è priva e non ha i mezzi (modo, sistema, possibilità) per possederla? È davvero risibile l'opinione assai comune che concede alla donna una sensibilità supe- riore a quella dell'uomo, negandole al contempo la facoltà intellettiva. Ricordo d'aver riscon- trato in un'opera del Ferrarese che "la donna senta più che non pensi, e che l'uomo pensi più che non senta". [Luigi Ferrarese, Delle malattie della mente ovvero delle diverse specie di follie, Volume 1 Seconda Edizione, Napo- li 1841, (p. 98)]. Quel valoroso ingegno di Salvatore Tommasi [Salvatore Tommasi (Roccaraso, 26 luglio 1813 - Napoli, 18 lu- a glio 1888), Istituzioni di Fisiologia, 3 Edizione, Torino, 1860. Libro II. Della vita riproduttiva. Sezione Prima. Capitolo VIII, p. 526 ] condivide questa infondata opinione e, dopo aver detto altro in proposito, asserisce questo, nelle Istituzioni di Fisiologia: "Cotali differenze, quantunque non ci dessero modo di stabilire rapporti di causalità tra il fisico ed il morale, nondimeno ci fanno ragione in generale che vi debba essere differenza di grado e di modo nelle attitudini dello spirito. Onde contemplando attesamente da questo lato i due individui, osserviamo noi nell'uomo energia d'intelligenza e di volontà, e quindi naturale inchinevolezza a sapere e ad operare. Dedito alle speculazioni scientifiche, astrae dai fatti i

38 principii, contempla il passato e il presente, e stabilito un modo ideale, misura il corso degli eventi e pone in sua mente il fondamento dell'avvenire. Il pensiere, desunto più dall'idealità che dalla realtà presente, sospinge l'uomo a grandi intraprese, e fa che agogni alla gloria ed al- la fama immortale. Nella donna poi è più forza di sentimento che d'intelligenza, ed il sentimento in questa non è che un'ispirazione aggiustata e conveniente, che lo spirito desume dalle cose presenti quasi per intuito. Onde la donna trovasi più sicuramente in armonia con la natura, perchè lo spirito suo s'impadronisce agevolmente della ragione degli eventi estrinsechi; laddove l'uomo si può ritrovare spesso in discordanza col mondo esteriore, imperocchè egli opera come pensa e come vuole. In breve, l'uomo si affatica di conformare ai conati della sua libera intelligenza tutto quanto è fuori di lui, mentre la donna, interprete più sincera di quella segreta armonia e di quella legge ineffabile, che regola l'andamento del mondo fisico e del mondo morale, può rimanere tranquilla e provvida consigliatrice in quelle conflagrazioni, che agitano la società e compromettono la felicità del genere umano. (p. 526 ==> 547/1125) Da questo pure deriva, che le nobili e generose passioni, le quali sono sorrette e gover- nate da un sentimento squisito di provvedere ai danni presenti, albergano più possentemente in cuor di Donna, ed acquistano un abito esteriore di eloquentissima affabilità, il quale com- muove istantaneamente assai meglio, che i lambiccati ragionamenti di un ottimo dicitore. (?) (p. 97) [corsivo mio. Il periodo, in corsivo, non è presente nell'edizione 1860, bensì in quella del 1842. Istitu- zioni di Fisiologia di Salvatore Tommasi, Con Atlante, Tomo Secondo, Napoli 1848.] Nella donna poi su tutti i desiderii predomina quello di diventare sposa e madre; e l'amore materno pe' figli supera ogni altro affetto. Di che conseguita che se l'uomo col frutto del suo coraggio e della sua intelligenza mantiene i vincoli naturali della società, la donna invece so- stiene la piccola famiglia con la prepotenza dell'amore e con quello spirito che ella possiede in supremo grado di conciliare i dissidi domestici. (ivi, p. 526 ==> 547/1125) Non è però che non si poss'avere una donna, anzi molte donne guerriere, che lascino la gonna e prendano l'elmo e la daga; ma questo si può fare da loro degnamente ed utilmente quando la patria è in pericolo; quando il bisogno di guerreggiare è divenuto un sentimento profondo, ed universale più che un calcolo avventato di conquista oppressiva; quando si trat- ta di redimere le famiglie che compongono una società dalla forza, e da ultimo quando parla nel cuore di tutti il sentimento della nazionalità, che sia stata per avventura scissa e concul- 7 cata." (?) [corsivo mio] ( )

Fatta salva la nobiltà d'animo (i generosi sensi) di questo spirito colto, le spiegazioni sembrano essere troppo deboli per un fisiologo, ed erronee per uno psicologo. {19} Per quanto concerne la moralità della donna, vorrei domandare cortesemente ai signori che la pensano così, quale relazione essi stabiliscano tra il sentire e il vedere, tra il sentimento e l'intendimento. Se vogliono rispondermi correttamente, di certo devono dire che vi è tra i due un rapporto di causalità, perché all'intuizione intellettuale segue sempre l'ardore della volontà: se non si vede, non si sente; quindi il vedere precede il sentire e si caratterizza come causa (efficiente). Dunque, poiché non ci è dato disgiungere il sentimento dall'intelligenza, stante questa connes- sione logica, come si può negare alla donna la facoltà del pensare, l'attività psichica cioè, se le si attribuisce un'estensione e una profondità del sentire superiore a quella dell'uomo stesso? Come si può concordare su questo, che il sentimento-effetto sia maggiore dell'intendimento- causa? Questo è, come a tutti chiaro, un giudicare alla carlona; e si giudica così perché non si considerano i veri rapporti delle cose. Ci si è attenuti alle ipotesi di Gall, Lavater e Della Porta per dire che dalla struttura orga- nica del cranio delle donne si evince la loro inettitudine intellettiva. (8) Osservando la donna nello stato di inerzia in cui si fanno rimanere le sue facoltà fisiche e mo- rali, ci siamo buttati dietro le spalle (abbiamo cioè dimenticato volontariamente) il fatto primordiale della vi-

39 ta, qual è quello generativo, da cui traspare - e lo si può chiaramente vedere con gli occhi del- la mente - il disegno della natura di preordinare (predisporre), in relazione a tanta augusta nobile sacra funzione della donna, una adeguata forza di pensiero.

Infatti, la madre, dove in lei assume grande rilievo la cultura intellettuale, dà alla luce fi- gli pronti d'ingegno e inclini alla genialità, cioè dotati di vivacità inventiva e creativa. Al con- trario, da una madre ignorante, priva di cultura e/o istruzione, nascono figli taccagni (avari, spilor- ci) con bassezza d'animo e di sentimenti, e poco idonei alla vita intellettiva. Deriva forse que- sto dal fatto che la natura determini in un accoppiamento puramente sessuale le attitudini sen- za il concorso della donna, o dal fatto che la donna vi concorra di più o di meno secondo i gradi di sviluppo intellettuale, secondo la maggiore o minore luce della mente che genera maggiore o minore ardore nella volontà per formare l'uomo come essere umano (in senso pregnante, con riferimento cioè al senno, alla serietà, alla fermezza e in genere a tutte quelle qualità che si pensa siano proprie dell'uomo), e non come essere puramente animale (un organismo vivente dotato di sensi e movimento, e privo però di spiritualità)? La natura per dare alla luce il suo prodotto privilegiato, fornito cioè di qualità e doti ecce- zionali, si serve della donna come strumento atto all'uopo: quindi questo strumento deve con- tenere in sé tanta idoneità quanta ne richiede l'importanza dell'opera cui esso è deputato. Per la qual cosa vi sono due potenti ragioni per confutare gli argomenti di questi scrittori: - la prima è che la donna, dovendosi esplicare in una missione delicatissima e importan- tissima, non doveva essere abbandonata alle sole leggi dinamiche (cioè al semplice impulso naturale), ma doveva esercitare quell'imperio spirituale che risiede nell'energia speculativa dell'intelletto, cui è ordinato (finalizzato, rivolto) il sacro scopo della generazione dell'uomo; - la seconda, che la facoltà di pensare di cui è dotato alla nascita, l'uomo non può averla attinta, in quanto creatura, che dalla madre per riproduzione omogenica (: "OMOGENICO. Agg. Da OMOGENÌA." - "OMOGENIA. S. f. Generazione di simili da simili". - TOMMASEO-BELLINI); e il figlio, in quanto effetto, non può a rigor di logica riportare prerogative (proprietà, qualità ecc.) maggiori della causa. Tra i controsensi dell'umanità, questa verità si palesa anche nella vita pratica allorché si denomina matrimonio e non patrimonio la comunissima unione dell'uomo e della donna, de- rivandolo appunto da madre e non da padre. E questo perché si doveva trattare con maggiore riguardo proprio la donna che prende su di sé, fin dalla storia dell'umanità primigenia, la parte primordiale della riproduzione. {20} Ora, se questa donna è abbandonata alla sciocca e insul- sa vanità di lisciarsi, imbellettarsi e farsi bella; se ignora il suo stato, la sua missione e l'im- portanza dell'atto che è chiamata a compiere; se è sconsideratamente sensuale (incline cioè ai piaceri dei sensi, spec. sessuali) tanto da preferire lo sfogo di momentanee passioni alla gloria del pensiero che dura in eterno senza mai corrompersi; se non trova nell'uomo neppure l'ausilio di una mente illuminata che riversi su di lei la luce che le manca, quali frutti possono produrre unioni di tal fatta? Risponda per me il secolo decimonono (XIX sec., 1801-1900), il quale, mentre confidava negli uomini, a fronte dei grandiosi avvenimenti sociali che la forza delle cose e il sacrificio delle anime elette, ha visto invece masse stupide e inoperose come i pigmei della Samotracia (isola greca nel Mar Egeo settentrionale, a circa 40 km dalle coste della Tracia e a pochi km dal confine della Grecia con la Turchia), i quali abitavano nell'uovo e intendevano tagliare le biade, cioè le messi, con la scure. (9) Quest'inganno (o frode) è di certo perpetrato dalla religione del papa, dalla politica delle monarchie e dal monopolio della scienza, perché, non contando: le donne, la metà del genere umano; le plebi, la maggioranza dei popoli; i fanciulli, un sesto della popolazione; coloro che si credono dotati di potenza intellettiva per dirigere le sorti umane, non rappresentano che l'u- no per centomila (1/100.000). Ora, con una scienza esclusiva ed egoistica non coinvolgente la generalità delle persone, come si può pensare che ciascun membro della società concorra al bene comune se non ha coscienza di sé e deve muoversi non di propria spontanea volontà, ma per la spinta che gli proviene dall'esterno? I matrimoni - non sarà mai vano il predicarlo - sono la cellula, sono i fatti elementari del-

40 la vita umana: in essi germina (ha origine, si sviluppa) il bene e il male, come il nero e il bianco ag- grovigliati dal fuso delle Parche, dal fato cioè, dal destino inesorabile (con il fuso la parca Cloto filava per ogni uomo lo stame della vita, quello al quale era legato il destino di ciascuno). Se non sarà della donna la scienza splendida e feconda (nel senso che crea nel migliore dei modi ampie possibilità di sviluppo); se non si scoraggeranno con la forza del consiglio quelle unioni bizzarre, stravaganti, che trovano riscontro solo nella poesia omerica {21}; invano avremo come aspettativa sacerdoti dedicarsi alla sapienza e ope- rai alla civiltà. Scoraggiare con il consiglio senza dubbio, ma non proibire i matrimoni come pretendeva il sig. Malthus [Thomas Robert Malthus (Roocherry, 13 febbraio 1766 - Bath, 29 dicembre 1834), economista e demografo inglese, Saggio sul principio della popolazione, 1798)] avverso la classe degli infelici proletari che non potessero comprovare, se lavoravano, entrate certe per provvedersi degli alimenti necessari. L'economista inglese, non in base a principi morali, ma in base alla falsa supposizione che l'incremento della popolazione fosse, un giorno o l'altro, superiore all'incremento dei mezzi di sussistenza e ne derivasse perciò una scarsità di viveri, consigliava una giudaica ri- forma per rendere più desolante la sorte dell'infelice operaio: "Abbandoniamo dunquo quest'uomo colpevole alla pena che la natura gl'infligge. Egli ha operato contro la voce della ragione, chiaramente manifestatagli; non può accusare alcuno, deve accusare se stesso, se l'azione da lui commessa gli porta funeste conseguenze. L'accesso al pubblico soccorso delle parrocchie gli deve esser chiuso; e se la carità privata gli offre qualche soccorso, l'interesse dell'umanità imperiosamente richiede che non sia troppo abbon- dante. Bisogna fargli sapere che le leggi della natura, cioè le leggi di Dio, l'han condannato a vivere penosamente, per punirlo dell'averle violate; che non può esercitare contro la società alcuna specie di dritto per ottenerne la menoma particella di nutrimento, al di là di quanto possa procurargliene il suo lavoro; che se egli stesso e la sua famiglia sono sottratti ai tormen- ti della fame, ne son debitori alla pietà di alcune anime benefiche, le quali han dritto per ciò medesimo a tutta la loro riconoscenza." (pp. 370-371) [Thomas Robert MALTHUS, Saggio sul principio 10 della popolazione, 1868. https://archive.org/details/bub_gb_AiFNX2nqRrAC/page/n371] ( ) Dietro tale concezione si scorge l'hobbesianismo [Thomas Hobbes, 1588-1679, uno dei massimi esponenti dell'empirismo inglese, autore del famoso volume di filosofia politica, intitolato Leviatano (1651)] e il benthamismo [Jeremy Ben- tham (Londra 1748 - ivi 1832), filosofo, giurista ed economista. An Introduction to the Principles of Morals and Legislation, Seconda edi- zione, 1823] di cui, specialmente in questo ciclo economico dei commerci, ci si è troppo preoccu- pati. L'aspirazione all'utilità che configura una regola morale per l'amministrazione pubblica e privata, e il principio che ne costituisce la base, il quale prevarica la naturale forza del diritto per lasciar campo libero al fittizio diritto della forza ("come dire La ragione di chi non ha ragione" Tommaseo- Bellini), non potevano determinare altrimenti Malthus e la sua coscienza nei confronti delle po- vere classi operaie. Parlando però di utilità, deve ammettersi il principio, ma non le funeste applicazioni. Di- fatti è sempre l'utilità il movente dell'agire umano, e il nisi utile est quod facimus stulta est gloria del Venosino (?) [se ciò che facciamo non è utile, è vanagloria (cioè: non far nulla che non giovi)], si rileva nella pratica un principio assai ragionevole. [In verità il detto attribuito al Venosino, cioè a Orazio, è di Fedro: Phaedrus, Fabu- lae, Liber III, XVII. Arbores in deorum tutela "Gli alberi sotto la protezione degli dei"]. Chi, nel compiere un qualsivoglia fatto, ipocritamente dice di agire in modo disinteressato, senza scopi particolari, spec. personali, non fa che smentire l'indole umana, se stesso e la pro- pria natura. Nessuno agisce senza un fine: il fine che ci si propone e il principio di utilità sono stret- tamente connessi. Cristo e i suoi seguaci operarono per il trionfo della verità e per la salvezza degli uomini, e in questo solenne scopo ebbero il ritorno (: effetto o risultato positivo ottenuto come conseguen- za di un'azione) del loro sacrificio (nel cristianesimo, il termine è applicato soprattutto alla morte di Cristo, offerta per i peccati del mondo), cioè l'utilità della loro opera. L'operaio, il merciaio e il professore agiscono per arric- chirsi, e sulla ricchezza fondano il compenso dell'utilità che si sono posti come scopo. Per cui, il difetto dell'utilità, ciò di cui manca perché sia perfetta, non risiede nel principio, ma nelle sue direzioni. 41 In altri termini: l'utilità di per sé non è un male, la sua bontà o meno sta nelle finalità reali (d'ordine morale, spirituale, sociale o d'ordine immorale, materiale, egoistico) verso cui è diretta. Quando l'uomo non si chiude in sé nel proprio egoistico guscio, ma si fa espansivo e si affatica per un fine ideale: per l'amore della gloria, per il bene proprio e del suo simile, l'utilità che ne ricava è il ricordo eterno della sua opera che i posteri consacrano, rendono cioè degna d’onore e di memoria, nei monumenti, nella storia, sugli altari. Se poi, ignaro di sé e dei vincoli che lo legano all'ordine sociale, si limita ad accumulare ricchezze, facendo l'usurario nei confronti del suo simile, e usurpando i beni altrui con un pretesto qualsiasi e con qualsivoglia illegittimo mezzo, l'utilità si riduce a un prendere (un trarre, un ricavare un utile) d'infimo valore che degrada l'uomo, che, defunto, viene accompagnato al camposanto tra il disprezzo e la riprovazione pubblica delle genera- zioni spossessate dei loro beni. A quest'ultima categoria è da ricondursi la visione economica di Malthus. Questi, in previsione di un'utilità esteriore, intendeva abolire nei confronti della classe più numerosa nientemeno che la legge dell'amore, legge suprema che tiene in equili- brio, stabilizza e perpetua l'ordine eterno delle cose. La tendenza (disposizione e inclinazione) naturale di ogni persona onesta, che non ripone assolu- tamente il fondamento della vera morale nell'utilità materiale e nella forza bruta, contrasta con questa irragionevole crudeltà che costituisce un odioso privilegio. Io non credo che a causa del moltiplicarsi degli abitanti del globo possa venir meno l'e- quilibrio tra produzione e consumazione. È piuttosto vero il contrario: l'incremento demogra- fico, l'aumento delle nascite cioè, moltiplicherà le associazioni, darà maggiore aiuto alle forze della natura e, grazie a ciò, si accrescerà l'agio e la prosperità della vita. {22} D'altronde, non vi è alcun motivo di temere per l'avvenire del proletariato, quando si ha fede nel progresso dell'intelligenza e del lavoro, e quando peraltro si vedono i tanti ricchi cominciare dalla nudità (indigenza, miseria, povertà estrema) e passare per la squallida (avvilente, deprimente) vita del proletariato prima di imbattersi nel sorriso della fortuna. Naturalmente si deve riguardare il matrimonio come la fusione totale di due anime, come una unione assolutamente spirituale. Viene perciò meno il fine del matrimonio sia quando i due esseri si accoppiano meccanicamente per mero interesse materiale, come d'ordinario accade, sia quando si sposano prematuramente, prima del tempo cioè, quando né la luce dell'intelletto né l'ardore della volontà sono bastevoli a il- luminarli (riferito all'intelletto, che porta la luce della conoscenza, della verità, liberandoli dall'ignoranza) e a muoverli (riferito alla volontà, come capacità di volere, di scegliere e realizzare comportamenti idonei al raggiungimento di determinati fini) all'unisono per adempiere la loro così alta missione. Tranne un numero ristretto che costituisce l'eccezione, la maggioranza dei matrimoni si riduce oggidì a un'unione puramente meccanica (stretta cioè in modo automatico, senza l'intervento della volontà e dell'intelligenza individuale), non dissimile da quella di un abito con il corpo umano, o di qualunque al- tra unione di tal fatta. Pertanto, non c'è da meravigliarsi se nell'unione tra due anime che non s'intendono intimamente, che non si uniscono in un solo volere (come si sono uniti in matrimonio) sì da sostenersi reciprocamente in vista del medesimo fine cui si tende, sorgano divergenze dome- stiche, dissensi profondi, mancanza d'amore, che si configurano - in quanto effetto di una cau- sa - non come ciò che ci si augura dal matrimonio, bensì come quelle vicende dolorose, quelle avversità, quelle contrarietà d'ordine morale che, come lago che straripa, irrompono nella so- cietà ammorbandola e offuscando il sentimento di solidarietà e fraternità. Dunque, se questa esemplare unione coniugale viene meno, come ci si può aspettare che siano fondate sulla leal- tà le altre associazioni tra uomo e uomo, che sono secondarie rispetto alla prima, e né hanno mai legami e medesimezza (cioè "Medesimità", "Identità, Stato e qualità di una cosa, in tutto e per tutto uguale ad un'altra, con cui sia paragonata. Non com." Tommaseo-Bellini; Fanfani, p. 954/1721. Vd. infine L'ottimo Commento della Divina Commedia, di un con- temporaneo di Dante, a. 1829, p. 638) così intimi? I legislatori del tempo intuirono sin troppo bene questa verità, tanto da giudicare con mol- ta indulgenza l'infedeltà coniugale. Le disposizioni non gravose (da sopportare) contenute nei codici, rivelano di per sé il ta- cito convincimento dell'inesistenza di una vera unione coniugale. In altre parole: il presumere, per lo meno indirettamente, che non vi sia offesa, ossia violazione, vuol dire che all'unione 42 dell'uomo e della donna non si riconosce una valenza giuridica, un diritto certo; e se non si ri- conosce tale diritto, ciò deriva dal fatto che non si ammette tra l'uomo e la donna una vera unione coniugale, un vero legame indissolubile, l'unione intima dei loro cuori e delle loro menti. E perciò, sotto questo rispetto è assai ragionevole che specialmente la donna, centro della casa e centro vitale della famiglia, si predisponga a questo atto solenne mediante l'ausilio del- la scienza che come una bussola nella tempesta delle passioni la conduca in porto, in un porto glorioso, facendola quindi approdare alla gloria. (11) Trattando della scienza che si deve alla donna, non s'intende alludere certamente a quella complicata e inaccessibile dei filosofi che necessita, per essere appresa, di una grande mente, di lunghi studi e di un'infinità di libri, o alla falsa scienza cui le menti oneste annettono l'ori- gine dell'errore e del malessere. Se così opinassi, incapperei nello stesso circolo vizioso nel quale si perdono quegli impostori usurpatori di titoli onorifici, i quali non ritengono opportu- no proporla alla donna visto che lo stesso uomo, aggiudicata esclusivamente a sé la relativa capacità, si reputa impotente ad acquisirla, a meno che non sia tra quei pochi privilegiati d'al- tissimo ingegno. La scienza cui faccio riferimento, è la vera scienza, la scienza di tutti e di ciascuno, che scolpisce le prime immagini nella mente dell'allegra fanciullezza, e guida i vecchi che avan- zano stancamente con passo grave; che, spiegando con semplicità le leggi fondamentali della vita, mostra l'essere e il dover essere, quel che si è e quel che si deve fare per raggiungere il fine ultimo ("Fine Ultimo. T. teol. Il termine, o il Fine che l'uomo si propone nelle sue azioni, il quale non dee essere altro che Dio; e preso particolarmente vale ancora L'eterna beatitudine, la quale consiste nel possesso di Dio medesimo nel cielo." - Vanzon, p. 175/737) del nostro destino. Essa deve consistere nell'incarnazione della idea (nel rappresentare e tradurre con evidenza e concretezza il concetto astratto nella parola), vale a dire: l'idea, il vero che la parola racchiude in sé, deve avvicinarsi di nuovo al fatto da cui fu originariamente ricavata (verum in factum). Il genio dei cristiani (Dio, Ente Supremo) ce lo insegnò assai chiaramente. Egli, volendo rigenerarci, incarnò la sua parola [La Parola, Gesù Cristo, come traduzione, meno pregnante e precisa de Il Verbo, del gr. Lógos.] (et verbum caro fac- tum est) ("E il Verbo si fece carne": Vangelo secondo Giovanni 1,14.), ossia ci palesò i giudizi della sua mente nella realtà umana del Cristo. Perciò, stante l'identità oggettiva (effettiva, concreta) del finito con l'infinito per quanto concerne il vero, tutti devono persuadersi che la scienza non per altra via si può trasmettere, se non riaccostando l'intelligibile al sensibile cui si riferisce; e, in modo in- verso, se non rilevando praticamente dal sensibile l'ideale che gli è unito. Il primo scopo che la scienza deve proporre all'uomo è la conoscenza di sé, che si conse- gue tramite l'esercizio sistematico della riflessione, la quale è assai agevole, alla portata di tut- ti in quanto costitutiva dell'attività spirituale dell'uomo. La riflessione, la cui mancanza dà origine ai mali che tutti deplorano, è la stessa di cui si serve la natura per mantenere in equili- brio l'ordine universale; di cui si serve il sole per continuare attraverso la luce e il calore il processo evolutivo (il divenire universale); di cui deve servirsi l'uomo per scoprire i suoi rapporti (con il mondo e con la vita), e acquistare il sapere che gli occorre per vivere. {23} Infatti nessun'altra cosa può rendere imitatori della suprema intelligenza (che regge e gover- na il mondo) quanto il riflettere, perché essa è sempre ripiegata su se stessa - e sé in sé rigira (La 12 Divina Commedia. Purgatorio, Canto XXV, v. 75) - come dice Dante. ( ) Cosicché, in tal modo vede tutto, e perpetua le leggi preordinate al governo del mondo. Ab- bandonandosi all'irriflessione, non si sortisce altro effetto che quello di dimenticare la realtà, se stessi, e di imbattersi in un mare di fallacie (falsità, illusorietà; sofismi, vizi di ragionamento). In verità, il riflettere non consiste che nel ripiegarsi dello spirito sul concreto (ciò che è empiri- camente individuabile; che ha i caratteri di realtà, di oggettività, di determinatezza) che gli è presente. Lo spirito, come già detto ne Il sistema della riflessione (1858), può intuire (dal lat. intuēri "vedere dentro") l'oggetto, so- lo quando si stabilisce questo rapporto tra l'oggetto e la mente indagatrice. Dimodoché, per converso, non si può intuire ciò che non cade sotto la riflessione, perché, tolta la riflessione da una cosa, lo spirito non si piega su se stesso per riflettere, appunto, su di essa; 43 - se non si piega su sé stesso, non attende [lat. attendĕre "rivolgere l'animo a, stare attento a, prestare attenzione, badare a", cioè non tende con la mente a, non pone mente a, non presta attenzione a, non considera (cioè tende lo spirito)]; - se non attende, non l'esamina (non l'analizza), non la scioglie (nel senso di dissolvere: "1.b. Disunire le parti di un tutto, dividere o scindere nei suoi componenti" Treccani); - se non l'esamina e non la scioglie, non scopre, non vede i rapporti tra idea e idea; - se non vede i rapporti tra idea e idea, non le sa né unire né disunire; - se non le sa né unire né disunire, non può paragonare; - se non arriva al paragone, non può giudicare; - se non giudica, non si convince; - se non si convince, non possiede la verità; - se non possiede la verità, resta nell'ignoranza. In breve, tolta la riflessione, lo spirito è vuoto (cioè privo di contenuto, non ha nulla dentro di sé) e ignorante (cioè non sa, non conosce; è privo di cultura, d'istruzione) {24}. Ora, dopo siffatto argomentare, nessuno può negare, a rigor di logica, che il mezzo di cui deve servirsi l'uomo per scoprire la verità, obiettivo e fine cui mira la vita dello spirito, è sem- pre la riflessione e i fatti propri, cioè i concreti che gli sono presenti: essendo questi a lui più noti, più (con maggiore intensità cioè) egli si attiva per cavarne la luce che racchiudono, e quindi for- marsi nella mente proprio le idee che gli consentono di giudicare rettamente. Solo così, e non in altro modo, si acquisiscono le idee, perché l'idea è l'immagine di un oggetto, esistente o possibile. Per esempio, l'idea di calamaio, di sedia, di libro, è l'immagine che ci formiamo nel- la mente dietro l'apparizione di questi oggetti, al pari di quella che forma in sé lo specchio non appena tali oggetti a esso vengono approssimati (cioè avvicinati, accostati), e Dante, traslatando (cioè tra- ducendo dal latino) il principio aristotelico, principium nostrae cognitionis est a sensu, diceva che l'uomo "... solo da sensato apprende / Ciò che fa poscia d'intelletto degno. (13) E così afferrava l'estrema e squisita esattezza, e l'esatta verità (P. Fanfani, 1865, "appunto s.m.", p. 107/1721) del cammino regolare della mente, la quale prende le mosse dal fatto, perviene all'a- stratto, poi ritorna al fatto che a questo punto dicesi concreto, nel senso arricchito dell'idea 14 che si è rilevata, compiendo in tal modo il circolo dei momenti platonici. ( ) E perciò la scienza è l'ombra - l'immagine, la figura - delle cose che la luce della riflessione getta (fa, produce) nella nostra mente: corrispondente all'ombra che l'albero, investito dalla luce, manda sul terreno, e all'ombra che gli oggetti della stanza illuminata riproducono, la sera, sul muro {25}. Ora, l'immagine della sedia, dove si vede con più chiarezza e precisione, nell'og- getto sedia o nella sua ombra? Quand'è che si apprende meglio, quando colpisce di più nel momento in cui la si guarda isolata, oppure quando diventa concreta ricongiungendosi all'og- 15 getto sensibile da cui emana? ( )

L'agevole risposta, la si ritrova nel sapere scientifico del secolo e nelle peculiarità speciali della vita. I filosofi seguaci dell'oracolo sibillino [Tommaseo-Bellini: "Oracolo. S. m. Aff. al lat. aur. Oraculum. Ri- sposta che i Pagani credevano di ricevere dai loro Dei. 4. Trasl. Di parola venerata e creduta. 8. Per verità infallibile." // "Sibillino. Agg. Da Sibilla. lat. aureo Sibyllinus. ... Responsi, Oracoli sibillini, 2. Linguaggio sibillino, non chiaro, che affettatamente s'avvolge nel mistero. - Pa- role sibilline."] del Vico, il quale disse che la scienza risiede solo nell'astratto, ossia nell'immagine, nell'ombra staccata, e non più riconducibile, rapportabile alle cose che l'hanno prodotta; i filo- sofi, ripeto, hanno condotto l'umanità, che doveva giovarsene, in uno stato deplorevole d'igno- ranza e prostrazione (profondo abbattimento, profonda depressione fisica, morale, psichica). E si è giunti perfino a credere, seguendo lo stesso Vico, da una delle più notevoli menti speculative del nostro paese, che quanto più lo spirito si avvicina al concreto (alla realtà, oggettività, determinatezza), tanto più la scien- za si dilegua. (16) E un valente critico del Rossi aggiungeva che l'economia pubblica nella sua pratica applica- zione, è una delle scienze più immerse nella materia (intrisa cioè di materialità) e, siccome deve opera- re su elementi materiali (nel senso che ha a che fare con contenuti particolari, dati empirici e di fatto), è meno scienza 17 delle altre. ( ) Ma, di grazia, possono esserci errori così grossolani più gravi di questo? Dire che non c'è

44 scienza via via che si avvicina all'oggetto reale, è lo stesso che negarla in modo chiaro e deci- so. Se la scienza è nei veri; e i veri, nell'essere delle cose; e l'essere delle cose, in tutto ciò che esiste; perché sentenziare in modo micidiale che non c'è scienza nelle arti, nei mestieri e nei fatti concreti, maggiormente connessi con la realtà empiricamente individuabile? Se la si assomiglia (paragona) all'ombra, e quest'ombra si stacca e si proietta sullo specchio dello spirito che è la fantasia (immaginazione), allora, quando ci si approssima all'essere concreto me- diante la riflessione, quando si opera sui moti sensibili dello spirito, cioè sui propri fenomeni, consistenti nelle sensazioni che si avvertono nel percepire gli oggetti reali, maggiormente si accresce in noi la luce fiacca e indeterminata che proviene dall'ombra staccata e lontana; e maggiormente ci si sente spinti ad accettare i rapporti, le leggi, i veri che in astratto si rinven- gono nei giudizi della mente e nelle parole che li rivelano.

Perciò, finché la scienza, intesa rettamente, sarà dove dev'essere, ossia nelle leggi che de- terminano il fine di ciascuna cosa, per scoprirla basterà acquistare l'abitudine al riflettere sui minuti fatti propri. E la donna, incline per temperamento a una concentrazione malinconica e al paziente solitario lavoro dello spirito; la donna cioè ha più attitudine dell'uomo a mettere in pratica nel modo più ampio possibile il sistema della riflessione, ed essere, un giorno o l'altro, la profetica sibilla da cui la nuova umanità dovrà attingere gli oracoli della vita. La tendenza a voler sempre parlare e quella proverbiale curiosità (la curiosità è femmina) propria del gentil sesso, a lei a lungo rinfacciate come caratteristiche d'inettitudine; la facondia e la curiosità confermano l'opinione espressa e mostrano con certezza, in modo chiaro e indubita- bile, la grande missione che la donna ha di acquistare e trasmettere le conoscenze. Se non fos- se predestinata alla scienza, di cui la parola non è che la forma, non avrebbe avuto bisogno di tanta loquacità: non parlerebbe; se non fosse predestinata alla scienza, non avrebbe curiosità, non sentirebbe il desiderio di piegare (spingere, persuadere, indurre) lo spirito a conoscere la ragione delle cose. Quindi, rivolta questa sua naturale inclinazione all'intelligibile, quanto beneficio non trarrà la scienza (il pensiero), vuoi per la ricchezza delle conoscenze acquisite, vuoi per la rapidità del progresso scientifico, se la donna impiegherà utilmente la maggior parte del tem- po che ora perde davanti al focolare, per scoprire i veri che sono latenti nei rapporti delle co- se, e di cui ella ha tanto bisogno per adempiere il solenne atto della procreazione? Chi è dotato di perspicacia non comune, lo constata praticamente osservando i meravi- gliosi effetti che il sistema della riflessione produce sulle menti delle madri e delle giovanette ben educate, nelle quali si ha la prova incontrastabile non solo della scienza che si addice all'intelletto muliebre, ma della ineludibile necessità di migliorare la specie umana, e di ri- scuotere tutto il gentil sesso, di modo che, dopo tanta sventura, risorga e si levi, al vertice dei secoli, audace e battagliero per gridare alle genti: Non ignobile creta è la donna Alto cuor sente muoversi in petto, A grand'opre sublime intelletto Pur la donna dal cielo sortì!! (18)

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CAPITOLO TERZO

§. 3° SOMMARIO La donna educatrice dell'uomo. La madre che alimenta il corpo per l'unità di ordine deve alimentare anche con l'istruzione lo spirito della sua creatura. Evidenza di questi fatti nello studio dei fenomeni genetici. L'educa- zione perfetta essendo il risultato dell'amore, non può darsi completamente che dalle madri. Gli estranei educano male, perché ignorano le tendenze dei fanciulli. Responsabilità dei genitori che affidano i loro figliuoli a inse- gnanti inetti. Per l'assimilazione della maternità, le maestre sono più adatte all'insegnamento elementare. La ma- dre dell'uomo si differenzia, e si sublima su quella dei bruti, per la missione nobilissima di educar la prole. La natura fa l'animale, l'educazione fa l'uomo. I mezzi educativi non si devono cercare nella storia che falsa gli istin- ti, ma nella natura che ne conserva la verginità. Prove di ciò nel mondo greco, latino e medievale. La scuola di Gesù che veniva a compiere la rivoluzione del povero, fuorviò, riconoscendo col quod Caesaris Caesari, quod Dei Deo, i principii che dovea combattere. Prova della missione educatrice delle madri desunte dal Cristo e dalla Maria. Lo sviluppo geniale del Nazareno con la semplice riflessione sui fatti propri, dimostra che la natura è più eloquente dei libri, specialmente quando questi non rispondono all'indirizzo ideale di un nuovo principio. Scopo delle biblioteche. Scopo della cattedra. Il più semplice e il più sicuro metodo di insegnamento è il parabolico, che riveste di forme sensibili la verità. I filosofi seguaci delle scuole antiche non tennero conto del vangelo nell'elemento didattico dell'educazione scientifica e sociale. Dante fu il primo a esplicarlo nel rigore della forma. Divinazione del concetto della moralità nell'allegoria ieratica dell'inferno, purgatorio e paradiso. Poco frutto de- sunto dai criteri di Dante e di Galileo. Inutilità dei cangiamenti politici, e persistenza del duello e della guerra per la persistenza del malessere domestico che mantiene un fomite perenne di discordia nella schiavitù e ignoranza della donna. Inutile scusa dei sapienti per la tardività nella schiavitù e ignoranza della donna. Inutile scusa dei sapienti per la tardività dello sviluppo dei principi, e loro colpa nel ritardare la diffusione della scienza. Le arti stesse dimostrano che il vero si appalesi più evidente nelle forme concrete che nell'astrattismo. Trovando fallaci tutti i sistemi dalla teologia alla sofistica, dall'ironia di Voltaire, al petrarchismo monarchico medievale la scien- za delle madri dev'essere quella semplicissima del senso comune che si acquista con la riflessione sui fatti pro- pri. Giù i metodi ontologici, giù l'astrattismo, giù le dottrine religiose che abbrutiscono e corrompono l'umanità. I libri elementari. I romanzi sacri e profani di cattivo genere, esagerando le posizioni della vita, perturbano l'edu- cazione della mente e del cuore. Alle scuole e ai metodi, provati inefficaci e falsi, deve sostituirsi la Scuola Ma- terna promiscua, gratuita e obbligatoria. Con questa scuola, fondandosi il calendario del lavoro e la tradizione della scienza della riflessione in famiglia, si risolverà senza scosse l'arduo problema di non lasciare senza produ- zione e analfabeta alcun cittadino. La Scuola Materna deve educare l'uomo a vivere, deve dargli con l'attività della mente la logica e la morale del genere umano. Metodo e nozioni necessarie a questo scopo. Il Galateo della libertà. La scuola di Machiavelli corrompe col sofisma e con la menzogna; il suo ideale essendo quello dei Bor- gia è contrario alle aspirazioni giuste e generose del secolo. Necessità di elevare la classe dei Maestri. Necessità di una Costituente intellettuale per determinare i caratteri della Scuola Materna e investirla di autorità. Bisogno economico di convertire le chiese inutili, gli stabilimenti di beneficenza e le prigioni in case di istruzione e di produzione. Bisogno che questi stabilimenti siano vegliate e serviti da uomini morali e sapienti. Con la scuola materna sottraendo le donne e i fanciulli al prete, si risolve come devesi la separazione dello stato dalla Chiesa. (p. 88 ==> 193/405)

1.3. LA DONNA, EDUCATRICE DELL'UOMO Avendo già dimostrato che la donna fa l'uomo, e per questo scopo è giocoforza acquisire la scienza, mi è agevole concludere senza tema di errore che ella ne debba essere anche l'edu- catrice. Far l'uomo non implica concepirlo soltanto nella mente e formarlo in grembo, ma implica bensì perfezionarlo in modo che possa perseguire il fine cui venne preordinato. Ora, essendo la perfezione strettamente correlata con i mezzi educativi, questi devono essere necessaria- mente posseduti in modo chiaro e preciso dalla madre perché possa compiere e perfezionare la sua opera. Ella è chiamata ad alimentare il neonato, e per corrispondere a tale funzione, la natura le ha allogato nel seno la sorgente dell'alimento vitale ch'ella dà appunto al suo piccolo (allattandolo cioè) quando questi con il suo pianto le fa vibrare le corde del cuore, piegandola sollecitamente a fortificarlo nei primi passi della vita. Ella è chiamata altresì ad alimentarne lo spirito, che si sviluppa in armonia con la vita or-

46 ganica, e che al pari del corpo abbisogna costantemente di nutrimento. E che sia così, lo prova l'incontentabilità che il bambino sente, e manifesta, anche dopo aver succhiato il latte. Che cosa è mai quel pianto che lo assilla, se non mancanza di alimento spirituale? Infatti, non ap- pena la madre gli presenta un oggetto sensibile perché lo veda e lo tocchi, quantunque non gliene sveli i rapporti, nondimeno il modo particolare in cui glielo mostra, è di per sé suffi- ciente perché egli rimanga incantato, consolato, rapito: smette così di piangere e palesa il suo intimo compiacimento con un candido (genuino, innocente, sincero, spontaneo) sorriso. Questo conferma apertamente che la predisposizione della donna allo sviluppo della men- te è determinata dall'istinto, e sebbene una maldestra educazione ha del tutto tralasciato i fe- nomeni della vita infantile al punto da limitare la missione della madre alla cura dell'igiene di cui il bambino necessita, nondimeno grazie a un impulso spontaneo le prime esigenze spiri- tuali del fanciullo vengono appagate da lei che è l'unico essere cui si rivolge per prendere quelle dosi di verità che sono il solo bene che egli, reso irrequieto dall'ardente desiderio, pale- si di appetire. Questo prova chiaramente che la madre istintivamente sappia che il vero sia nell'essere (l'esistere, l'esistenza) delle cose, e la scienza sia fondata sulla cognizione dei rapporti di questo esse- re (vale a dire di ciò che esiste: ente, creatura, organismo vivente). Quindi, se per consolare il suo bambino, gli pre- senta oggetti concreti, allora ella sa già intuitivamente che l'essere, il vero e la scienza risieda- no in ciò che ha carattere di realtà, oggettività, determinatezza, e parimenti che lo spirito deb- ba alimentarsi di verità e scienza per potersi sviluppare conformemente al fine della sua natu- ra razionale. C'è di più. Nessuno, quanto la madre, sa con cognizione di causa quali siano le tendenze (attitudini, disposizioni, inclinazioni, predisposizioni, propensioni) cui il bambino debba essere incline in forza dell'ideale (cioè modello di perfezione) che, in quanto base portante, ne sorresse la procreazione (o anche, l'ideale cui ella si ispirò nell'atto o funzione generativa). Nessuno, come la madre, sa osservare i suoi quotidiani, graduali progressi sia per quel che concerne il corpo sia per quel che concerne l'anima, e nes- suno più di lei può essere legato alla sua opera, e seguire con rigore e la regola e la misura, senza eccedere né più né meno, nel somministrare con amore alla sua creatura le dosi di cibo e conoscenze (praticamente l'alimento materiale e spirituale). Quindi, chi meglio di lei può richiamare la sua attenzione sullo sviluppo di quei rapporti che si fanno propri in base al carattere personale mercé il sostrato materiale (concreto, reale) delle vere immagini che devono costituire l'habitus mo- rale della sua vita? Chi meglio di lei può cogliere l'opportunità di insegnare e far apprendere le conoscenze, se a nessun altro, se non alla madre, sta vicino il fanciullo; e se nessun altro, al pari di lei, può studiarlo meglio nel suo determinarsi fenomenico (empirico) in relazione al corpo e allo spiri- to, che si palesa non mediante il linguaggio articolato (orale, verbale, parlato; cioè il mezzo di espressione che fa uso di segni fonici ecc.), bensì mediante quello non verbale del pianto e del riso? Infine, chi più della madre può amare il suo bambino, dal momento che questi è conce- zione (concretamente: ciò che è concepito, pensiero, concetto) della sua mente, fiamma (la passione) del suo cuore, carne della sua carne e ossa delle sue ossa? Dunque, questi dati insieme alla spontaneità e facilità con cui lo spirito della madre facili- ta al fanciullo, appagandolo, l'apprendimento delle cognizioni che gli insegna, provano sicu- ramente che senza un amore intenso, diffusivo (di sé), non può esserci perfetta educazione e, poiché nell'ordine terreno tale amore si può consolidare solo nell'animo materno, nessun altro, per l'appunto, fuorché la donna-madre può e dev'essere l'educatrice dell'uomo. Gli estranei, e specialmente i celibatari (uomini in età avanzata, rimasti celibi) non lucidi di mente e non espansivi di cuore, sono meno atti a educare: - primo, perché manca loro la cognizione delle intime tendenze della creatura, e né pos- sono attingerla da chi (la creatura appunto) non ha ancora i mezzi per manifestarle con chiarezza; - secondo, perché mancano loro i dati del concepimento, i segni indicatori per valutare lo sviluppo, e l'aspirazione, il desiderio, il sentimento di vedere sinceramente perfezionata un'o-

47 pera estranea alle loro relazioni domestiche e al loro personale interesse. Eppure sarebbe ormai tempo che si facciano scrupolo di ciò, sia quelli che non ne hanno la capacità, sia quelli che, pur avendola, se ne servono per il loro esclusivo tornaconto, per cui non pensano, nella loro attività scolastica, che a torcere (volgere altrove, allontanare, deviare) lo spirito dal retto sentiero della vera scienza o a farlo diventare stupido e ignorante più di quanto non lo sia con l'affastellare (cioè mettendo insieme confusamente) cognizioni disordinate, inutili, noiose, dannose. A dire il vero, non so comprendere come mai i genitori, pur aspirando così tanto al me- glio, non si avvedano che il male peggiore risiede proprio nel non aver educatori; e che, segui- tando a dar ricchezza, prosperità e abbondanza di beni a chi in passato fece nascere malvagità, iniquità e ignoranza, mascherandole sotto le sembianze di una falsa e negativa sapienza, l'av- venire vedrà i loro figli, privi di vigore intellettuale e morale, stare ai perdoni come i ciechi di Dante che chiedono l'elemosina alle porte delle chiese nei giorni di solennità, cioè impetrare la luce desiderata, ma non ottenuta né mai ottenibile da chi a malapena (a stento, a fatica) l'assorbe 19 (recepisce) per sé, e non è capace di trasmetterla ad altri. ( )

A ben considerare, questa si palesa come colpa gravissima che bolla d'infamia i genitori anche dopo che son morti, dal momento che il loro primo dovere è la ricchezza intellettuale dei loro figli. E quando vengono meno a ciò: - o con la bugia che un patrimonio materiale equivalga all'adempimento dell'obbligo; - o per inettitudine personale all'istruzione domestica dei figli; - o per noncuranza e superficialità che li fa correi di chi indebitamente ne assume le veci; la società che sopporta il peso di esseri inutili e nocivi, ha il diritto di bestemmiare i loro morti (vale a dire: maledirli), perché essi provocano direttamente e attivamente i disordini e i tormenti che la affliggono. Dunque il padre, e d'ora in avanti specie la madre, non faccia come il cinico Diogene di Sinope [filosofo greco del sec. 4° a. C.] che andava, nel meriggio nebbioso, con una lanterna in mano per le strade di Atene cercando "l'uomo" (o meglio, "l'idea di uomo"]; non si metta cioè alla vana ricerca di maestri coscienziosi per i propri figli, anzi fino a sette anni sarà meglio affidare i figli a inse- gnanti donne, nelle quali è più verosimile l'istinto della maternità, perché siffatta fatica (appunto di maestra) la renderà degna di lode e la ricompenserà con una gloria imperitura. Qualora ella operi altrimenti, verrà il giorno che, dolendosi di sé medesima tra mille rimorsi, si sentirà for- zata dal grande esule (Dante) a ripetere con dolore (rimpianto, tristezza): Di mia semenza cotal paglia mieto. (20) L'affidare ad altri l'educazione dei figli, è giustificabile solo quando non se ne ha l'attitu- dine; nondimeno l'unica persona chiamata su questa terra a tale solenne missione, è la madre. A questo proposito, il volgo dice proverbialmente una grande verità: il figlio muto la madre l'intende, perché, tra i rapporti che si stabiliscono nell'ambito della vita sociale, quello tra ma- dre e figlio si caratterizza per l'immediatezza, cioè per la spontaneità e naturalezza dell'intimi- tà che nessun altro riuscirà ad avere, per quanto forte e intenso possa essere il suo sentimento di simpatia, allorché inanella, appunto come estraneo, una relazione sociale dopo l'altra. Tutte le volte che mi son dato a riflettere su questo importantissimo argomento, e ho visto caldeggiare tra le credenze umane quella assai irragionevole che i genitori non debbano occu- parsi direttamente dell'educazione dei figli, ma debbano bensì affidarla a estranei perché sti- mati più idonei a tale compito delicato, mi è apparsa nella mente la raccapricciante immagine di quei quadri non portati a termine dall'artista che ne concepì il disegno, e colorati nelle parti incomplete da altro pennello. In quei quadri l'ideale non è mai vivamente espresso, perché il pittore estraneo non ado- pera i colori e il pennello seguendo l'ordine naturale del processo creativo dell'opera d'arte, ma li adopera, per così dire, a nolo, per cui limita, snatura e altera il pensiero originario dell'artista. Non dissimilmente avviene nel fanciullo. Questi avrà sempre su di sé l'impronta delle co- se imparate in modo approssimativo e non conformemente alla propria natura. Per cui rispon- 48 derà sempre male alle domande che nel tempo a venire la vita inevitabilmente gli porrà; e questo fintantoché per l'ignoranza dei tempi si surrogherà la madre, disegnatrice originale, con sedicenti pedagoghi che presteranno la loro opera al solo fine di essere pagati, senz'altro interesse che quello del guadagno, e che impiegheranno, per così dire, falsi colori (colori non natu- rali) e orpelli scientifici (mezzi che esaltano le apparenze, le esteriorità e le finzioni in contrasto con la verità e la scienza). Fuor di metafora: contenuti, mezzi e strumenti, metodi e strategie, inadeguati dal punto di vista educativo-didattico. Le madri, una volta che è stato loro concesso di svolgere l'attività intellettiva, come già detto sopra, non devono curarsi solo di circondare di papaveri la culla dei piccoli [nel senso di farli dormire ricorrendo alle proprietà soporifere del papavero (utilizzando cioè semi o infusi di papavero). Papaver somniferum. Il nome scienti- fico ne sottolinea le proprietà narcotiche dovute all'azione di vari alcaloidi, principalmente la morfina, presenti nell'oppio grezzo, una sostan- za lattiginosa secreta dalla tipica capsula seminifera che caratterizza il genere Papaver.]; non devono giudicarsi impotenti a compiere l'opera che la natura ha affidato proprio a loro; ma devono piuttosto rivendicare il sacro diritto di educare la prole contro chi glielo ha impunemente usurpato. L'educazione dei figli è un privilegio, un diritto di priorità concesso dalla natura, e nell'esercizio di tale privile- gio risiede la vera gloria: esercitando tale diritto, esse assolvono la sacra missione che, consi- derando oggettivamente, cioè in sé, la fattura (l'essere creato, la creatura), le rende dominatrici sul- la coscienza del genere umano. {26} Le donne non possono andar superbe per il semplice fatto che hanno generato figli: non è questo che le rende onorabili, degne cioè di essere onorate. Le femmine degli animali generano (mettono al mondo, procreano): la pecora, la gatta, la cagna ecc. E in questa virtù, forza e potenza generativa, la madre dell'uomo non è dissimile da quel- le. Infatti, cos'altro è l'uomo, quando nasce, se non un puro e semplice animale? La natura, conformemente alle sue misteriose leggi, ha la potestà di fare solo questo, cioè l'essere animale (un organismo vivente, dotato di sensi e movimento); l'educazione poi deve determinare i ca- ratteri umani in quell'essere che l'atto del concepimento ha preliminarmente abbozzato: cioè l'essere uomo {27}. Se lo vediamo quando esce dal ventre materno, quando con un gemito fa sapere che ha iniziato il suo peregrinare terreno, non si scorge in lui che il nudo animale: nudo, sia per quan- to attiene al corpo sia per quanto attiene allo spirito, perché non ci palesa alcun segno di vita spirituale, e anche perché si deve ragionevolmente ipotizzare che debba essere qual di fuori, tal di dentro. Si supponga ora che le pure facoltà di cui è dotato per esplicarsi (realizzarsi, attuarsi) compiutamente, dovessero rimanere incolte (neglette) o circoscritte alla sfera istintuale, in questo caso non gli toccherebbe che l'attività sistematica dei sensi, confinata nel vita dei bruti. I selvaggi ai quali venne interdetto dal loro stato ogni possibilità di sviluppo morale, ven- gono assimilati ai bruti non solo nei modi di vivere, ma anche nelle forme che manifestano il senso intimo. (21) Nudi sulla nuda terra, si accoppiano brutalmente (in modo brutale, con violenza; senza alcuna delicatezza) per ri- prodursi; si nutrono per esistere (essere in vita, vivere); nessun senso ideale li preoccupa o li prende; né per ultimo valutano in modo approfondito gli effetti diretti o indiretti, a breve o a lungo termine, che la loro opera può causare nel contesto delle relazioni socio-familiari. E altresì non li preoccupa né il fatto che non si dà valore alla dignità umana, né valore scientifico a ciò che li circonda; né il fatto che non c'è nessuna applicazione o attività produttiva di risorse ci- vili; né in ultimo il fatto che non c'è nessuna conoscenza delle leggi che riconducano l'essere alle norme morali, cui conformare anche il vero, il buono e il bello: triade ideale su cui la reli- gione della scienza e dell'arte fonda il suo dominio sterminato. E né si può dire che il selvaggio alla Rousseau (rousseauiano cioè) non presentasse, dal pun- to di vista della costituzione fisica, quel meraviglioso tessuto (organico) cui sono annesse le molteplici possibilità di evolversi umanamente (cioè secondo la natura umana, considerando le facoltà proprie dell'uomo). Come organismo vivente, egli si è sviluppato in modo non dissimile dall'individuo che, avendo instaurato forme di coesistenza sociale (cioè convivendo con altre persone secondo il diritto e la giu- stizia), offre l'esito eccezionalmente positivo e gradito del benessere. Egli è potenzialmente pre-

49 disposto a svolgere i lavori più delicati che un organismo umano può fare; ha un cuore atto a sentire le più squisite affezioni; ha una mente in cui può germogliare il pensiero (la facoltà del pensa- re, l'attività psichica, la ragione, l'intelletto) e dare frutti salutari (di civiltà, di scienza ecc.); nel contempo egli però è condannato alle limitazioni di queste sue potenze e non sa fare altro che costruire per sé e i suoi una tana umida e buia, intrecciare vimini per la culla dei figli, cacciare gli animali per nutrirsi e muovere guerra all’altro da sé nel quale non sa vedere che un nemico, sia che lo su- peri in forza, sia che nello stato di debolezza si sottometta come schiavo alla sua superiorità fisica. Ora, in virtù di quali condizionamenti l'uomo nudo, l'uomo del deserto, il selvaggio debba differenziarsi dall'uomo sociale che vive tra le illusioni della civiltà e gode (può usufruire, beneficiare) dei suoi vantaggi? Perché il primo deve essere soggetto a ristrettezze sia di mente che di cuo- re, mentre il secondo, avente facoltà spirituale esaltate (potenziate, messe in risalto) e altresì in so- lido una corporatura robusta, membra ben sviluppate e una forza fisica che può far valere in svariati modi, trasforma la materia di cui ha assoluta padronanza secondo i suoi molteplici bi- sogni, governa il pensiero (l'attività psichica) e, sorretto dalla sua impulsiva prontezza nell'intende- re, compie agevolmente il lungo cammino dal finito all'infinito, ravvicinando la distanza im- mensurabile (tanto grande da non potersi misurare) del finito e infinito ed esaminando i relativi connessi rapporti? Perché il primo, cioè il selvaggio, non deve essere allo stesso livello del secondo civiliz- zato, dal momento che identica è la loro natura, e predestinati in modo similare al medesimo fine? Questi fatti si possono facilmente spiegare: la ragione sta in ciò che ho già preannunciato, quando ho detto: LA NATURA FA L'ANIMALE, L'EDUCAZIONE FA L'UOMO. Così, l'infante che non ha cultura, cresce e si sviluppa nella mera sensualità animale come il selvaggio dell'America o della Lapponia, e come lo zotico delle infime classi europee. Egli è terra, e come la terra, se incolta, dà spine e triboli (Cfr. la loc. biblica terra germinabit tibi spinas et tribulos, Ge- nesi, 3.18), così l'uomo, se non educato, diffonde corruzione; se educato, dà per mezzo dell'incul- turazione (assimilazione della cultura del gruppo sociale cui appartiene, durante il processo di socializzazione) frutti dello stes- so genere, specie e natura del seme che riceve. Quindi non sbaglierei se dicessi che è veramente madre dell'uomo solo colei che lo sa educare, avendo dimostrato in modo chiaro e indubitabile che i soli atti del procreare e nutrire non costituiscono, per quanto concerne la donna, che un degradante, umiliante parallelismo con la femmina dei bruti, degli animali privi di ragione. Ora, saggiamente mi si domanderà: se pesa sulle spalle della donna, in quanto madre, una così grande missione, qual è il metodo, quale il sistema di cui ella debba servirsi per conse- guire adeguatamente il fine che l'ordine razionale delle cose ha prefissato? Dalla storia di qua- le popolo civile si devono attingere le norme attraverso le quali formare una generazione de- gna dell'umanità? La madre non ha bisogno di ricorrere alla storia per acquisire un tale metodo educativo. La storia non ha ritratto che le consuetudini dei tempi, e gli istinti perturbati e corrotti dal dogmatismo ieratico (: sacerdotale) e dallo sviluppo pratico dei sistemi filosofici condannati dal- la ragione. Il dogmatismo ieratico, ossia le dottrine religiose - come si sa - falsano il concetto della vita umana. Esse immettono nell'uomo da che nasce i germi dell'assurdo con problemi insolu- bili; lo strappano dalla terra che lo sorregge, e su cui deve fatalmente (per volere del fato) vivere di lavoro, per lanciarlo nei cieli dove si muove ramingo, errante senza una meta precisa, come un aeronauta nel pallone della credenza, senza mai toccar nulla di certo, vanamente speranzo- so di beni impossibili e irrealizzabili. La creatura che, studiando la realtà che la circonda dac- ché viene al mondo, dovrebbe coordinare le proprie forze per produrre il necessario, con que- sto sistema bizzarro, iniquamente imposto e ciecamente accettato, si condanna a vivere nel vuoto aspettando da Dio e dai suoi santi concessioni superiori alle leggi del cosmo.

50 Se le madri sapessero che le miserie, i disonori e tutti i mali del mondo derivano da que- sto falso metodo; che gli insegnamenti del catechismo religioso dati alla prima età, da esse pagati in denaro contante per buonafede, sono una immoralità omicida, perché, come una nebbia di cloroformio, infatuano i loro figli e condannano le famiglie e le nazioni a secoli di servitù e sofferenza. Son certo che avrebbero compassione delle loro generazioni, e non ose- rebbero più iniziarne l'educazione con i dettami del fanatismo. Potrei provare questo mio convincimento con una serie di ragioni, ma per persuadere i più tenaci, domanderò: Credete voi che l'uomo sia perfettamente quel che lo fa l'educazione? Se l'educatore dell'uomo fu finora il papato: il papato alla culla, il papato alla scuola, il papato al talamo, il papato alla bara; in tutta la vita, sua balia, maestro, consigliere, tutore il papato!?; e voi convenite che quest'uomo è cattivo; volendolo quindi far buono come deside- rate, non dovete necessariamente abbandonare questo maestro fanatico, le sue false dottrine e il metodo erroneo del suo insegnamento? {28} Da quanto detto si evince con chiarezza che per quanto concerne la religione, la storia da- rebbe alle madri esempi fallaci di educazione contro cui l'umanità si ribella. Ugualmente fallaci sarebbero i sistemi filosofici ordinariamente saturati di teocratismo, che non hanno studiato l'uomo in sé per conoscerne le leggi intrinseche (insite cioè alla sua più in- tima natura), ma imposero di studiarlo ipoteticamente in astratto, fuori di sé, dando così origine, da un'epoca all'altra, a una varietà di norme educative, corrispondenti non alla immutabile na- tura umana (alla essenza dell'uomo), ma alle passioni predominanti, mutevoli, incostanti, instabili. Infatti la Grecia e Roma, alle quali importava sviluppare (far crescere, potenziare) nell'uomo la passione dell'eroismo, fin dalla nascita impressionavano l'animo del fanciullo con la visione dell'armamentario del soldato contenuto nei simboli delle armi al cui maneggio doveva eserci- tarsi. In particolare, in Grecia, corrotto il costume dall'errore filosofico, benché per istinto la donna mantenesse la dignità di madre, benché sembrasse che in virtù di questa missione i suoi diritti fossero tutelati, nondimeno un deturpante vizio assai di moda, dal quale non andò esen- te neppure il moralissimo Socrate, la privava totalmente del suo diritto naturale, e a causa di quella deturpazione si rendeva menipossente, veniva cioè a trovarsi in una condizione di infe- riorità, debolezza, impotenza; né poteva rifare quella società come era suo dovere secondo le norme originarie, ma appena appena doveva limitarsi a seguire gli istinti della maggioranza: generando per la patria, e alimentando il figlio solo dell'amor di patria. La madre greca si dava da fare solo per sviluppare nel figlio il sentimento nazionale (amore, orgoglio della propria nazione), poco curandosi che accanto a quel santissimo orgoglio cittadino, ger- mogliasse l'ignominia e l'assurdità dell'ilotismo ("Condizione, servitù degl'Iloti, o Eloti". Vanzon, p. 57/701).{29} Pertanto l'educazione familiare subordinava lo sviluppo delle facoltà individuali (connesse con l'in- tendere, il volere e l'agire umano) allo spirito di questa generale esigenza patria, cosicché la mente e il cuore, applicandosi altrimenti, non potevano non cozzare contro questa barriera insormontabi- le, e si può dire che si piegavano servilmente a questa necessità pubblica. I padri romani inseguirono quella semplicità e autenticità che una velata tradizione della prima legge [Legge delle XII tavole, duodecim tabularum leges, corpo di leggi compilato nel 451-450 a.C. dai decemviri legibus scri- bundis.] ispirava al loro generoso ardimento. Ma la madre latina, sebbene con la formula ubi tu Cajus, ego Caja [formula solenne che nella confarreatio (rito religioso con il quale si celebrava il matrimonio romano arcaico: al co- spetto di 10 testimoni, dopo aver pronunciato la solenne formula, i due futuri sposi spezzavano un pane di farro in onore di Iuppiter Fàrreus, Giove Farreo, donde il nome della cerimonia), la moglie pronunciava nei confronti del marito, assumendo l'impegno di seguirlo ovunque: "Dove tu, Caio, sei, lì io, Caia, sarò" www.simone.it/], accennando a un'uguaglianza col marito, mostrasse di mantenere una signoria in famiglia, pur essendo schiava del potere maschile, affermato con sovranità dalla legge delle dodici tavole nel Pater familias uti legassit super pecunia tutelavae suae rei, ita jus esto [Se il pater familias ha disposto circa il proprio denaro e circa la tutela delle sue cose, ciò abbia valore legale], poco o nulla del vero bene poteva far germogliare nell'animo della sua prole. I maschi, all'esterno, attendevano condiscendenti alle attività militari sotto la guida del pedagogus; le donne, invece, la cui personalità giuridica era disconosciuta (l'attitudine cioè a essere

51 soggetto di diritto), non dovevano che rimanere inette e attendere ai lavori di tessitura sotto la dire- zione della madre o di una delle parenti più strette, che si chiamava nutrice (nutrix). Quando poi la conquista mise Roma in contatto ideale con Atene, Rodi, Alessandria ecc., e lo spirito greco prevalse sulla coscienza nazionale; e quando il tempio di Apollo [Apollo, divinità dell'antica Grecia, dio di tutte le arti, della medicina, della musica e della profezia. Il suo simbolo principale: il Sole. Venerato poi anche nel- la religione romana. Patrono, in particolare, della poesia. Capo delle Muse (simbolo della poesia e delle arti).] e di Atena [dea della sa- pienza e della saggezza, e quindi simbolo della filosofia], quando cioè le arti e la filosofia diventarono il simbolo del secolo aureo della letteratura latina [Letteratura latina: periodo aureo o classico o di transizione dalla Repubblica all'Impero, dal 78 a.C. al 14 d.C. (morte di Caio Giulio Cesare Ottaviano); diviso in: periodo ciceroniano o età di Cesare, dal 78 a.C. al 31 a.C. (battaglia di Azio); periodo augusteo, dal 30 a.C. al 14 d.C.], i romani perdettero la forza militare e, preda assai vile della falsa scienza, con Tullio, Orazio e con tutte le altre prime intelligenze, divennero umile gregge del sensualismo epicureo. {30} (22) La vita così per un momento diventava pacifica e industriosa, passando dal ciclo guerriero a quello commerciale. Si sentiva il bisogno di volgersi al vero attraverso lo sviluppo delle facol- tà intellettuali; si ricorreva così agli studi dell'oratoria forense (concernenti l'attività giudiziaria e quella degli avvocati), dell'oratoria sacra e/o pubblica, e agli studi privati perché si esigeva dal cittadino un'istruzione conforme allo spirito (o cultura) dell'epoca, conformemente cioè a un bisogno di elevazione spirituale, intellettuale e morale. Ma nel caso si volesse davvero attingere una norma dai molteplici sistemi filosofici con le lo- ro funestissime falsità, e da quella setta (scuola filosofica, dottrina religiosa) dei tempi, instabile e varia, ciò non sarebbe possibile senza imbattersi nelle sentenze ambigue ed enigmatiche di una filosofia eunuca (sterile, fiacca, snervata) che dominava il cuore e la mente di questi due antichi popoli sovrani (Grecia e Roma), in qualunque modo questi avessero con la loro vocazione al dominio soggiogato per secoli popoli e nazioni che, tramite una preparazione educativa, for- nivano loro la forza territoriale e militare dell'impero; in qualunque modo - dico - abbarba- gliassero (nel senso fig. di turbare, frastornare, confondere) questa tarda ottusa negligente posterità con le loro fittizie illusorie tradizioni e con lo splendore della loro sterminata potenza. Così le corruzioni al tempo di Tiberio [Tiberius Iulius Caesar Augustus; Roma (16 novembre 42 a.C. - Miseno, 16 marzo 37. Uno degli imperatori più intransigenti verso la corruzione politica e, in genere, pubblica. Governò dal 14 al 37] furono le Colonne d'Ercole [i monti Abila e Calpe, ai lati dello stretto di Gibilterra, dove Ercole, secondo la leggenda, fissò i limiti oltre i qua- li nessun navigante sarebbe dovuto andare; in senso traslato: i limiti invalicabili], il non plus ultra (iscrizione posta, secondo la tra- dizione, sulle colonne d'Ercole e divenuta poi motto proverbiale: il limite estremo che si può raggiungere) dell'oscurantismo lati- no (direbbero i francesi: "hostilité aux 'lumières', à ce qui éclaire, illumine l'esprit", ostilità nei confronti del progresso sociale, culturale, spirituale) come l'ora più buia della notte è quella che precede la luce antelucana (cioè il sorgere del gior- no) o la tenue luminosità dell'alba. E infatti dopo quel momento, i popoli stufi dei pretoriani (guardia del corpo dell'imperatore) e dei sacerdoti, e stanchi di essere nel falso operando su elementi screditati, torcevano altrove il loro sguardo. Giove che scendeva dal cielo sulla terra per abbandonarsi alla dissolutezza e alla lascivia (accen- tuata propensione alla sensualità e alla dissolutezza), assorbiva (consumava, esauriva, sottraeva) i beni della terra di cui accresceva le miserie, ma senza rendere gli uomini partecipi delle bellezze del cielo di cui, peccando di egoismo, si dimostrava geloso. Gli uomini avevano perciò bisogno di un altro en- te, di un ente che senza pretese terrene, li sollevasse a contemplare (meditare, considerare, fissare il pensie- ro su) la verità, facendoli partecipi dei tesori della sua celata grandezza. Questo ente fu il Cristo, e la nuova dottrina che doveva dichiarare i diritti dell'uomo, ini- ziare la rivoluzione dei poveri e indirizzare alla verità, fu chiamata vangelo dalle generazioni dei padri. Non appena però il povero Cristo, con il quod Caesaris Caesari, quod Dei Deo, cadde nella contraddizione di riconoscere i principi che doveva combattere, il Vangelo da ri- velazione naturale e scienza del senso comune, passò a domma religioso e principio di autori- tà. La teocrazia, coalizzatasi con gli scribi e i farisei, con l'impero e con il monopolio degli interessi, dopo averlo allontanato, lo calunnia (lo scredita con accuse coscientemente false), gli rivol- ta contro le plebi che lo avevano chiamato redentore; ed esse plaudenti, uccide Cristo sul

52 Calvario, come il popolo francese per le medesime contraddizioni conduce Robespierre alla ghigliottina. È la logica che si vendica degli individui, come si vendica delle nazioni! {31} Intanto l'impero e la teocrazia, vincitori della rivoluzione, con scellerata ironia, fingono di amnistiare Cristo, di esaltare la vittima, ma ne formano argomento di ambiziosi guadagni; fingono di trasformarsi, ma ricostituiscono lo stato e il tempio pagano sotto mentito nome (con un falso nome), e mutano la croce, infame patibolo dei ladri, in segno di redenzione! Malgrado però questa disperata resistenza, le correnti della nuova vita aprono la strada al- la coscienza dei popoli che, respingendo ogni tentativo di riconciliazione con il passato, gli muovono guerra asprissima, sino a distruggere finanche gli archivi (: biblioteche), vasti depositi del pensiero antico. Sicuramente fu un danno, ma un danno necessario, inevitabile, perché con la nuova luce pare che in quelle testimonianze vedessero concretizzata l'aberrante opera dei falsi sistemi. Per la qual cosa, tanta barbarie assumeva un carattere salutare, come quello che si rileva nelle rivoluzioni che traducono in atto (mettono in pratica) i grandi principi, trasformando uomini e cose. Infatti, nel Medio Evo si tese a riscattare la donna, si cominciò a valutare razionalmente la personalità umana e a proclamare il principio di uguaglianza. E tutto ciò perché il vangelo, diffondendosi liberamente di bocca in bocca, aveva richiamato gli spiriti alla contemplazione di se stessi - cioè alla riflessione - e a gettarsi dietro le spalle l'elemento pagano di cui erano piene le antiche cose. Costantino e Carlomagno però si presero gioco della democrazia con la guerra e la corru- zione, al pari degli ultimi Cesari sino ai nostri giorni. Dividendo il mondo fra il papato e l'im- pero, si misero alla testa di quel grande movimento, volgendolo però al perseguimento di obiettivi di guerra e di conquista, alle Crociate cioè, che, assecondando le loro ambizioni, ne accrescevano i territori. Quindi i successori di Cristo - vale a dire il papa Silvestro I e Leone III -, che dovevano opporsi ai vizi del dispotismo, o meglio, alla prepotenza e all'oppressione del dispotismo, ed essere apostoli senza casa, patria e fortuna per compiere con la parola e l'esempio, com'era giusto che fosse, la rigenerazione del mondo intero, ne fecero poi, in forza di una codarda transazione, dei pontefici re di Roma, e degli Arvali con il nome di abati e vescovi. Il Cristia- nesimo da fonte di luce eterna qual venne proclamato, si ridusse politicamente a uno strumen- to di governo, e spiritualmente a un semplice motto di entusiasmo, o tuttalpiù un lenocinio (al- lettamento, lusinga), un modo d'essere puramente nominale (non sostanziale), all'ombra del quale do- veva poi rifiorire la favolosa letteratura di Omero e di Virgilio, il falso sacerdozio [Nel Nuovo Te- stamento ogni sacerdozio particolare è abolito, in quanto Gesù Cristo è il sommo sacerdote eterno. La Lettera agli Ebrei spiega con chiarezza che nella religione cristiana non vi è più bisogno di sacerdoti come nell'Antico Testamento, ecc.] e ogni altra cosa che la logi- ca del tempo giudicava anacronistica. {32} Cosicché lo spirito dell'apostolato religioso si convertì in spirito di guerre ambiziose, in spirito guerriero, che ben lungi dal perseguire lo scopo (del cristianesimo) in maniera fattiva, metodica e produttrice di civiltà, libertà e benes- sere conformemente al principio demiurgico (con i caratteri cioè della potenza creatrice e dell'intelli- genza ordinatrice) della giustizia sociale da cui prendeva le mosse quel gran movimento, ha ge- nerato solo violenza e distruzione. L'intelligenza non investigava, e il nobile ed elevato compito di investigare la vita interio- re era affidato alla fantasia (immaginazione) meramente artigianale (dell'artigiano, cioè, "che esercita un'arte mec- canica", Tommaseo-Bellini). L'ingenua anima dei popoli, pervasa di sentimento teocratico, confonden- do il carnefice con la vittima, aveva accettato il nuovo principio riconoscendolo come buono, come santo, come giusto, e conseguentemente predefiniva i confini della vita nel credere cie- co e nel combattere energico. L'antica versatilità nelle varie branche del sapere era divenuta immobilità, e aveva preso l'inettitudine di chi non ha più diritto alla vita. Il vangelo che concettualmente aveva in sé i di- ritti dell'uomo, seducendo (affascinando, attraendo) con l'intelligibilità della forma con cui si esplica- vano i primi semi del socialismo, piegava le coscienze a dargli asilo; i pochi apostoli che ne 53 divulgavano e rendevano popolari i dogmi, e le grandi masse che, persuase a una credenza cieca, non sentivano altro che dio e la spada (cioè la religione e la guerra, e quindi la guerra di religione): ecco tut- to ciò che formava lo spirito di quell'epoca prettamente guerriera, ed ecco in che si racchiude- va la letteratura del Trivio (il complesso delle materie letterarie) e del Quadrivio (il complesso delle materie scientifi- che), o gli elementi basilari, fondamentali da cui questa si originò e prese forma. Il Medio Evo quindi non promosse l'educazione della mente, negligendo così lo spirito, perché, essendo epoca di azione puramente estrinseca, non tollerava di sviluppare il pensiero, e il pensiero quasi sopraffatto dall'enorme ed esclusiva forza muscolare, giaceva snervato, privo d'incisività e vigore nei silenti recessi dei chiostri, nutrendosi meschinamente di quel che era scampato alla ferocia mortificante, avvilente, umiliante dei Goti e al dominio rovinoso dei Vandali. L'uomo doveva essere soldato, nient'altro che soldato. Sicché dalla chiesa e dalla reggia dei potenti traspirava una densa oscurità (intellettuale, morale, spirituale) che avvolgeva tutti quelli che vivevano nei tuguri, in abitazioni anguste e squallide, per significare quella brutale dominazione che esigeva dal cittadino-schiavo solo cieca operosità. L'ideale di tanto movimento, quantunque non esplicato, racchiudeva in sé tre germi di benessere morale: I. il primo consiste nella lezione pratica che il genio dei secoli dava al genere umano che si era allontanato dalla retta via, allorché indicava la donna come principio del bene, facendo vedere che come esso si era servito della donna per l'incarnazione simbolica del Cristo, così l'umanità doveva riconoscere in lei non la schiava né la causa efficien- te del male, bensì il principio elementare, assoluto, da cui ha origine il rinnovamento spirituale e morale dell'umanità; II. il secondo in questo, che la madre, illuminata e ispirata dal bene deve essere l'unica educatrice del figlio; III. il terzo, che l'uomo non deve apprendere la scienza nelle biblioteche, ma deve saperla investigare nella realtà della propria vita, insegnarla e diffonderla tramite le forme del- la parabola di cui è pieno il vangelo. Se la mente di quella grande riscossa, cioè il genio della natura, avesse creduto che il be- nessere radicale (totale) consistesse nell'opportunistico cambiamento di nomi e apparenze estrin- seche (esteriori), lo avrebbe rivelato di certo in altra guisa: ma si sapeva che quando l'uomo non è uomo (cioè con quelle qualità morali, intellettuali che sono proprie dell'uomo adulto), ogni tentativo di miglioramento si risolve in un nuovo affondamento; che l'uomo si deve riformare daccapo; e che la donna non potrebbe realizzare quest'opera sublime a lei affidata, se non quando, risollevata dall'abiezione del disprezzo sociale, rioccupasse il suo seggio per il tramite della luce della scienza, simbo- leggiata dalla luce misteriosa dello spirito divino, al quale il misticismo cattolico riferisce la fecondità di Maria. Se avesse pensato che la donna - e quindi la Madonna - non fosse idonea all'educazione del figlio (Gesù), avendolo fatto uomo, e quindi reso bisognoso di cibo organico e di cibo spi- rituale, lo avrebbe circondato di dottori perché gli dessero lezioni di scienza. Ma la storia ci dice che il povero Nazareno rimase sempre con la madre, né andò ad alcuna scuola. Dunque egli voleva significare questo: che solo la madre, e nessun altro che la madre, rinata a nuova vita nel segno della virtù, poteva essere la vera educatrice dell'uomo. Da ultimo, se il genio dei secoli avesse creduto che la scienza stesse nelle ipotesi dogma- tiche, nel formalismo astratto e non nel concreto empiricamente individuabile, definito e de- terminato, non avrebbe affidato a Cristo la missione di insegnarla mediante parabole, sotto forma di parabola, facile da recepire; non gli avrebbe permesso di divulgarla impiegando il linguaggio di senso comune; gli avrebbe imposto bensì il mistero; lo avrebbe circondato di professori boriosi e altezzosi, lo avrebbe provvisto infine della più grande e ricca biblioteca, unico presidio, unica roccaforte morale contro l'oligarchia scientifica. Non si vuol comunque dire che le biblioteche siano da distruggere o che non siano impor-

54 tanti. Nelle biblioteche sono depositate le opere del pensiero, le memorie storiche dello spirito dell'uomo, che le generazioni devono conservare fra le realtà monumentali più care. {33} O buoni o cattivi che siano i libri, giuste o sbagliate le opinioni, sarà sempre possibile trarre qualche profitto da essi (libri e opinioni), sia rettificando gli errori o le inesattezze del passa- to, sia giovandosi delle verità ivi contenute. Ma qui si vuol mostrare che, se non vengono formulati i criteri della vera scienza dell'uomo, della scienza di tutti, come già detto, le biblio- teche si riducono a una lettera morta (per dirla con il Tommaseo, "58. Trasl. Lettera morta, quella che non si sente avviva- ta dallo spirito dell'affetto, il quale la rende efficace, e ne' pensieri e negli atti della vita", p. 275), un mistero impenetrabile non dissimile da quello nel quale l'occhio del senso comune vede sempre avvolta la natura con il tesoro delle sue grandi verità (o leggi, appunto, naturali). Anzi sono fermamente convinto che sia più agevole per una mente riflessiva leggere nel concreto (del libro della natura, osservare cioè la natura decifrandone le leggi) e cavarne così i riposti (nascosti, segreti) sensi, scritti in un linguaggio di comune intellezione, piuttosto che nei volumi, dove le inesat- tezze linguistiche, la mancanza dei valori filologici comparati, le passioni personali degli scrittori e la differente condizione sociale e politica dei tempi, invece di recar luce di verità, avviluppano (confondono insieme) verità ed errore sino a renderli incomprensibili e a scambiarli fa- cilmente l'una per l'altro. Restino dunque le biblioteche, ma non si metta l'uomo nella condi- zione pietosa, meschina e misera di non capire che quel che si trova nei libri, fu tratto dalla natura; gli si insegni una buona volta ad attingere la vera sapienza da questa fonte inesauribile di ricchezza ideale (principi, leggi, rapporti ecc.); e non lo si condanni ad attendere l'alimento quotidiano dello spirito dagli alteri e sdegnosi cattedratici, assai restii a concederlo. La vera cattedra è il luogo ove si rende popolano (proprio della gente del popolo) il vero, la verità, la scienza. Cattedratico non può essere quel servitore della chiesa o di un governo qualsiasi che, saturato di spirito d'autorità, invece del vero sapere adopera le male arti (astuzia, inganno, raggiro) per levarsi ambiziosamente un po' più in alto di una ventina di giovani, facendo così il contrario di quel che dovrebbe, e cioè trattare distesamente e ordinatamente - ed esporre appunto ai giovani - i principi delle scienze. Deve, al contrario, essere quella persona che rende esplicito il sapere in maniera tale che tutti possano percepirlo e acquisirlo, cioè senza orpelli (artifici retorici, ridondanze lette- rarie) ladri (che rubano il retto sentire) o reticenze (il tacere volontariamente ciò che si potrebbe o si dovrebbe dire) maligne (derivanti da cattiveria, malanimo, avversione, ostilità). Ora, qual è l'insegnamento più alto se non quello proveniente dai primi inizi di quella grande rivolta che indicava agli uomini la giusta direzione da prendere? Eppure, sebbene il vangelo avesse determinato (fissato, individuato, precisato) nella parabola la migliore formula per inse- gnare la verità a tutti, nondimeno assai poco, anzi nullo, fu il vantaggio che se ne ricavò, per- ché il vangelo, divulgato in tutti gli angoli del mondo per mero interesse del potere sacerdota- le, dalla comunità umana fu considerato un libro di educazione religiosa, non di educazione scientifica, né di educazione sociale. Per la qual cosa, i filosofi che avrebbero dovuto purgarlo per eliminare le imperfezioni e gli errori dei secoli nei quali fu dettato, rimasero convinti che fosse valido solo l'antico modo di pensare e giudicare, e l'umanità, nella cui coscienza si do- vevano riversare i salutari principi evangelici, non ne ha tratto che l'amarissimo frutto di una ignoranza crassa e tormentora. Il primo a insorgere in mezzo a tanta nuvolaglia di errori, fu Dante, il genio italiano, che, sedutosi sulle sponde della corruzione sociale e riflettendo solitario su di essa, immaginò i mezzi idonei per il rinnovamento, la palingenesi dello spirito umano, se non secondo l'ultima parola della scienza razionale, almeno nella coordinazione più plausibile degli elementi ideali che il processo storico gli poneva davanti. Dante, pervaso da ispirazione artistica, trasse dal vangelo ciò che c'era di meglio. Vide i popoli, l'impero e la chiesa accaneggiarsi, infierire cioè rabbiosamente gli uni contro gli altri e affliggersi reciprocamente per la cupidigia di signoreggiare (come principe); e in mezzo a questa inimicante confusione che, impossibilitando ogni rapporto di solidarietà e fratellanza, distor-

55 ceva ogni principio di legge morale e rendeva così il cristianesimo strumento di sventura e di morte, mentre doveva esserlo di carità e vita, Dante - si rimarca - levò alta(mente) la voce come l'Omero dei Greci; scagliò arditamente l'anatema (la scomunica, bando dalla comunità religiosa) contro il vizio dominante (che, sicuro del suo tramonto, avvolgeva su se stesso il [bene (: l'indipendenza, l'autonomia, la libertà)] più prezioso delle terre sottomesse), e ricreò la denigrata virtù con la promes- sa dell'imperitura consolazione dell'avvenire, simboleggiato nei miti dei cieli (I 9 Cieli del Para- diso). Ecco la Divina Commedia, che per l'umanità fu come la creazione (ideazione, invenzione, esecuzione materiale di un'opera) di una nuova Bibbia, nella quale si intrecciano l'ordine universale (il sistema organico di leggi che reggono l'universo), la religione e la scienza mistica del poema cristiano. Dante, per farsi intendere, si servì del principio teologico dell'inferno, purgatorio e para- diso, molto in voga a quei tempi, e se ne servì non per mungere denaro dalla tasca delle pove- re plebi con il terrorismo o per santificare il carnefice Arbues (Vd. Misteri dell'Inquisizione ed altre società segrete di Spagna, Parigi 1847. Digit. Google) e condannare Savonarola e Galileo, ma per rad- drizzare il senso morale, deturpato dalla chiesa e dall'impero. Dante infatti creò l'Inferno e vi cacciò dentro tutti quelli che avevano violato le leggi eterne con l'aggravante della nefandezza della colpa o del reato, e tutti quelli che si erano co- perti d'infamia per abiezione e depravazione [falsità (falsatori di moneta, di scrittura e di ogni altra cosa), ruberia, si- monia, ruffianesimo, baratteria], cattiveria e scelleratezza mondana. Questo espediente assai saggio di infliggere una sanzione penale efficace, commisurata sistematicamente alla colpa, giovò al genere umano che imparò questo, che il primo passo da compiersi presso una società corrotta, è quello di intraprendere una decisa, energica azione di condanna che faccia viva impressione sull'animo delle persone, come accade per il bravo me- dico che vuol salvare la vita dell'infermo: la prima operazione deve essere sempre quella di intervenire chirurgicamente asportando la parte cancrenosa. Dante creò il Purgatorio, e in questa parte che riguarda la penitenza intesa come pratica religiosa di espiazione, rappresentò per mezzo di simboli chi avesse compiuto una colpa di media gravità, e fosse intenzionato a emendarsi. Creò infine il Paradiso, e su questo campo di beatitudine edificò la patria dei giusti. Pertanto, l'opera di Dante, dal punto di vista ideale, fu l'esplicazione del vangelo e, per il suo tramite, le due molle potentissime del premio e della pena che il senso morale dell'umanità aveva contrapposto alle conquiste mondane del sensibile sull'intelligibile, s'incarnarono nella storia della vita vissuta e, per mezzo delle forme elevate dell'arte, scolpite vivamente nella co- scienza delle generazioni. In quanto poi alla scienza e al modo migliore di esprimere le verità (leggi e principi), confor- mandosi al senso comune degli italiani, Dante assegnava l'esatta direzione, cioè la linea diret- tiva ("la linea del cammino retto" per dirla con Tommaseo-Bellini) alla finalità della parola: e la parola, appunto, a tale finalità deve volgersi quando non è un vaniloquio (discorso vano, vuoto, inconcludente) e vuol invece rendersi comprensiva dei giudizi della mente. Non altri che Dante sa dire molto in poco, andando con incomparabile maestria dall'a- stratto al concreto, dall'altezza dell'ontologia (cioè dalla forma ideale nella quale è l'essenza dell'ente: "(Rosm.) L'onto- logia tratta dell'ente considerato in tutta la sua estensione come è all'uomo conosciuto; tratta dell'ente nella sua essenza e nelle tre forme in cui è l'essenza dell'ente, la forma ideale, la forma reale, e la forma morale." in Tommaseo-Bellini, p. 256, alla voce "Ontologia"] all'ente concreto (cioè dall'ontologico all'ontico; dalla realtà in sé, alla realtà qual si manifesta empiricamente; dall'essenza all'esistente), e al- tresì dal sensibile all'intelligibile. In breve, Dante, mutuando dal Cristo il linguaggio figurato, si propose di perpetuarne l'apostolato morale, e dire il vero agli uomini in modo conforme alla propria natura, senza artifici concettuali, artifici retorici (eleganze stilistiche fondate solo su effetti meramente formali), astrazioni oscure (difficili da intendere e interpretare), fumose ampollosità, sostenendo sempre l'idea per mezzo del fatto, dell'esempio, per mezzo del quale soltanto la scienza può rendersi fruttuosamente popolana (nel senso del divulgare rendendola facilmente accessibile al popolo). Ma quale giovamento ha prodotto questa grande, originale opera letteraria col suo esem- pio nei cinque secoli in cui ha idealmente fatto legge (avuto cioè autorità di legge)? 56 - Quello stesso che ha prodotto il vangelo mistificato, non spiegato e non capito, perché ha riguardato esclusivamente la dottrina canonica; - quello stesso che produssero Galileo, Bacone, Cartesio e Keplero che senza posa mira- rono alla natura delle cose servendosi di una logica sperimentale, orientata appunto a verifica- re sperimentalmente la verità dei principi e delle ipotesi; - quello stesso infine prodotto dai sistemi delle mezze misure, che mascherano il più effe- rato dispotismo, ma che non sono stati capaci di risolvere i problemi dell'umanità, alla quale hanno imposto anzi nuovi obblighi morali che si assolvono con lo sterminio delle guerre e dei duelli di cui si abusa fino al ridicolo, onde l'anima gentile (capace cioè di sentimenti nobili, elevati) del Borghi scrisse con dolore in questi sentiti versi: Eh! quando fia che vincasi Sì barbaro costume? Per mezzo Europa scorrere Veggo di sangue un fiume! Veggo chi muor, chi langue! Ma germogliar dal sangue Non veggo la virtù. (23)

Sicuramente dal sangue che si versa per conto del cesarismo non può germogliare la vir- tù! Altro che la virtù!? I popoli, come i fanciulli, imitano quel che vedono fare ai governi e, a misura che questi presentano nei loro atti esempi d'immoralità e di ferocia, così essi maggiormente si perverto- no. Il ripetere questi versi mi provoca però una dolorosa emozione, e per quanto voglia io scansare la trattazione del duello e della guerra, colgo l'occasione per ottemperare a un dovere di civiltà, protestando parenteticamente contro il cinismo stomachevole che li mantiene. Fintanto che le masse popolari credevano che la guerra fosse una fatale e imprescindibile necessità, i larghi tributi di sangue e di denaro erano per lo meno tollerabili, com'erano tolle- rabili i duelli allorché il cieco entusiasmo del medio evo, falsando il sentimento dell'onore, lo sottraeva ai beneplaciti (all'approvazione) della ragione, e ne rendeva giudice esclusivo la forza brutale. Ma oggi che le convinzioni del progresso, trovano nei congressi e nei plebisciti il modo umano e ragionevole di decidere le questioni internazionali e interne: trovano cioè o nei giurì o nei magistrati la soluzione più naturale delle questioni individuali tra cittadino e citta- dino, la guerra e il duello si rendono odiosi, rivoltanti, e anche ridicoli dal lato comico di co- loro che intendono desumerne benemerenza e celebrità. Non ho mai compreso come mai l'omicidio volontario e premeditato, che è il meno giu- stificabile e il più iniquo dei crimini, possa costituire per i delinquenti un titolo di onore. Ep- pure è così: la guerra, questo duello delle nazioni, come il duello guerra individuale, non sono che omicidi premeditati, volti o alla riscossione d'un credito o alla vendetta d'un offesa. Ora come può conciliarsi, far cioè coesistere cose che sono in contraddizione, la contraddi- zione dei popoli civili che, proclamata la sovranità del diritto e della ragione, si assoggettano poi a grandi sacrifici per mantenere in piedi la scuola dell'omicidio nelle caserme degli eserci- ti permanenti? E che assegnano ai figli la funesta missione di uccidere i loro simili? Come conciliare infine i giudizi divergenti dei cittadini che, calpestando la civiltà col disprezzo della legge morale e sociale, mentre trovano regolarissimo che il magistrato pubblico sia buono a vendicarli se sono uccisi, storpiati o disturbati in un modo qualunque nell'esercizio legittimo dei lori diritti, non lo credono poi abbastanza autorevole per dirimere la questione d'uno schiaffo, d'una parola pungente, o d'altro simile che si dice offesa all'onore? Per Dio, è tempo di finirla con queste mistificazioni. Bisogna che ogni cosa si metta al suo posto, che ogni cosa si chiami col suo nome vero.

57 Chi uccide l'uomo o si propone di ucciderlo premeditatamente, è un assassino; chi logora il suo ingegno a creare chassepot [: fucile a ripetizione del tipo ad ago inventato dall'armaiolo francese Antoine-Alphonse Chassepot, in dotazione all'esercito francese dal 1866 al 1874], mitrailleusse [: mitraglia- trice] e altri infami mezzi di distruzione dell'uomo, è nemico dell'umanità, come ne è beneme- rito chiunque lavori per conservarne la vita e migliorarne la sorte. In quanto ai duelli, è cosa buona studiare la scherma e tirare al bersaglio, sia per esercizio ginnico, sia per cautelarsi contro possibili aggressioni. Quantunque non si possa impedire nel caldo della passione ad alcuno di respingere l'offe- sa anche mediante la forza quando ne è potenziato: al provocatore la responsabilità! Nondi- meno se si ha la pazienza di non rispondere là per là all'offesa, non è lecito ed è immoralissi- mo ricorrere alla premeditazione d'un assassinio, quando il giurì dell'autorità sociale, obbliga- ta a vegliar l'onore e la vita dei cittadini, può solennemente soddisfare le esigenze d'una ripa- razione, più di quanto non lo possano i secondi che si prestano o a essere complici di un as- sassinio che è una grande mancanza al dovere, un offesa gravissima all'onore degli onori, o a condividere il ridicolo che si compie privatamente tra quattro mura sopra un verbale senza re- gistro, che dopo due giorni non lascia più traccia duratura dell'accaduto. Per il senso comune non è codardo chi rifiuta di battersi, ma chi non ha il coraggio, di fronte a una brutale provocazione, di mantenere la posizione normale di uomo ragionevole e, rinunziando a questo che è l'unico titolo di onore, delega la sorte sua e dell'altro al cieco giu- dizio d'un pezzo di ferro. Concludo dunque che i duelli, essendo un'offesa alla moralità pubblica, alla legge, alla giustizia e ai magistrati cui viene negata la fiducia che la società ripone nel loro ministero ri- paratore; essendo un pretesto al monopolio della forza per i meno preveggenti e per i disone- sti, che non sanno altrimenti con buone opere acquistarsi una sfera d'azione; i governi e la so- cietà hanno il dovere di colpirli sia con il maledire uno dei reati più gravi, sia con il rigore del- le pene, sia con il ridicolo di cui son degni. {34} Non minore dev'essere il dovere dei cittadini, specie delle madri, di elevare un grido d'or- rore contro la guerra, e contro le favolose armate di cui si guarniscono i governi per fomentar- la. A che pro la guerra? Perché tante armi e armate, se un supremo Eforato ("eforo, nell'antica Sparta uno dei 5 magistrati che controllavano la condotta dei re e dei cittadini" GDIU) internazionale può dirimere le controversie tra la Prussia e la Francia, tra la Grecia, l'Egitto e la Turchia, e le di- vergenze tra altre nazioni? Se un plebiscito può decidere tra Napoleone III e i Francesi, tra Guglielmo e i Prussiani, tra Francesco Giuseppe e gli Austriaci, tra gli Italiani e il Principato, perché mantenere in armi quattro milioni di giovani, che senza produrre nulla, e deviando per l'azione di una barbara disciplina da carriere più sicure e utili, causano ogni anno la spesa di tremila e cinquecento milioni? Secondo un accurato statista tedesco, licenziandone solo la metà, si risparmierebbero 1.750 milioni l'anno, con i quali si potrebbero costruire 10.000 km di ferrovie, aprire una grande scuola in ogni comune, e finalmente in breve tempo si estinguerebbe tutto il debito pubblico degli stati. Se, dismettendo la metà degli eserciti, costituiti con il pretesto della pace armata, ma con il vero scopo di sostenere un sistema di governo immoralissimo e impossibile, si consegue un così grande vantaggio, quanto a fortiori se ne conseguirà con un mutamento radicale: con l'a- bolizione totale degli eserciti e delle polizie permanenti, e con la sostituzione delle nazioni armate? Non è concepibile che i popoli paghino tante tasse e balzelli per essere migliorati, e i governi a loro volta, null'altro che mandatari dei popoli, ne tradiscono impunemente le spe- ranze spendendo quei tesori per opprimerli e corromperne il senso morale. I bilanci dei vari stati d'Europa assegnano appena appena in tutto 150 miserabili milioni all'istruzione pubblica per insegnare ai popoli a vivere, mentre poi per la guerra, che è come dire insegnar loro a morire, nientemeno l'enorme cifra di circa 3.500 milioni, l'anno. Se questo

58 sia giusto, utile e onesto, lo giudichino quei genitori che ancora conservano una coscienza in- tegra e pura.{35) E comunque anche con la soppressione degli eserciti, nello status quo, si troverebbe il modo come perpetuare la dolorosa situazione. È notissima ormai a tutti la storia del nostro secolo. Nessuno ignora gli sforzi, i gemiti, le lacrime, i sacrifici che si son fatti dalla Rivoluzione Francese fino a oggi, per sostituire agli antichi ordinamenti le nuove riforme sociali. Dall'assolutismo all'anarchia si sono provati tutti i sistemi intermedi; ma il rimedio è stato peggiore del male, perché il mondo è rimasto in pre- da dei due eterni nemici della verità, l'impero e la chiesa; perché sono sempre mancati quelli che dovevano difendere, tutelare, proteggere realmente i principi metafisici, fondanti, basilari, essenziali dei veri sistemi, e mancheranno pure fino a che un'educazione distorta occulterà la scienza e ostacolerà l'acquisizione dei criteri (cioè delle norme per discernere e giudicare; e sul piano morale, delle re- gole generali di distinzione del bene e del male) che devono mutare l'ordinamento e l'indirizzo della famiglia, nella quale si cullano (nel senso di tenere, custodire dentro di sé pensandovi spesso, con compiacimento) i destini della società intera. Quando la famiglia permette il dispotismo dell'uomo sulla donna, quando la donna cedendo all'influenza del prete si mantiene nell'ignoranza, non lavora, non produce, perde il tempo più prezioso nell'inerzia aspettando la manna dal cielo, non si posso- no eliminare le lotte, le guerre e le miserie che legittimamente scaturiscano da questo anorma- le stato di cose. Come dunque avrebbe potuto esser proficuo l'insegnamento dei precursori della scienza moderna, se le rivelazioni, per l'appunto, scientifiche rimasero soffocate nelle strettoie del mi- sticismo che formano la scuola dominante e la morale della vita comune? Vero è che forse la tardività (più semplicemente, ritardo) per quanto concerne lo sviluppo di una ri- forma metodica e sistematica ci deve sempre stare, perché i tempi dei sistemi sono i secoli, specialmente quando, espressi in forma categorica, si mantengono nell'idealismo, nell'essere ideale astratto dalla realtà, senza concretarsi in veste sensibile, indispensabile per convincere le masse popolari a praticarli (a metterli in pratica, attuarli, osservarli). Il genio insorge e certamente parla, ma i suoi pensieri, per quanto gravi possano essere e per quanta lungimirante intelligenza del- la realtà possano offrire alle persone di grande cultura (e ricchezza intellettuale), assai lentamente si trasferiscono nella vita reale perché o vi si oppone l'ignoranza delle menti o vi fa ostacolo la corruzione dei costumi. In entrambi i casi, occorre lavorare indefessamente e attendere la sta- gione della loro maturità. Ora, come nell'ordine naturale opera vanamente l'agricoltore che volesse affrettare (rendere più veloce, accelerare) la fecondazione dei semi, così opera il filosofo che aspirasse a popolarizzare subito le sue opinioni, elevando la mente dell'uomo comune alla comprensione dei suoi principi, accennati in modo oscuro e non adeguatamente e sensibil- mente espressi con fatti ed esempi. Ma per quanto si cerchi in qualche modo di discolparsi, giammai si potrà giungere a giu- stificare la pervicacia con cui si è voluto tenere in piedi la tradizione scolastica, erronea nella sostanza e feudale nella forma. Cosicché, la scienza, volendo pervicacemente rimanere nell'a- strattismo, all'atto pratico non ha apportato tanto bene quanto avrebbe dovuto. Perciò, mo- strando che la scienza si poteva acquisire agevolmente, da un lato si sarebbe acquistata la con- sapevolezza che si può raggiungere con facilità il vero cui il nostro spirito incessantemente anela; dall'altro si sarebbe lusingato l'amor proprio di tutti e di ciascuno, sì da indurli a scen- dere speditamente sul terreno fertile della scoperta. E come conseguenza di questi due van- taggi, l'umanità, confidando in un numero crescente di pensatori, e pensatrici, avrebbe affret- tato, cioè edificato più in fretta, in minor tempo, il suo avvenire. È agevole perciò inferire da quanto detto che per conseguire appieno lo scopo della for- mazione di un linguaggio idoneo alla scienza universale, che sia cioè di tutti indistintamente, come si auspica per l'educazione domestica, gli esempi non vanno cercati nei falsi sistemi di insegnamento dei secoli passati. L'ironia di Voltaire, la metafisica di Rousseau, l'ortodossia di Robespierre, il petrarchismo dell'impero e della monarchia che reprime l'istruzione pubblica

59 con l'immondo connubio dei teologi e dei sofisti, farebbero della famiglia quel che ne hanno fatto finora. La contraddizione e la lue ieratica (Vd. Gioberti: "Tempo è che gl'Italiani si riscuotano dal doloroso inganno, e ricaccino la lue gallicana oltre i monti, da cui è discesa. Il gallicanismo è pestifero all'Italia per ogni verso, e dee essere abborrito egualmente da chi ama la patria e da chi adora la religione." (pp. 208-209. Del primato morale e civile degli italiani. Tomo Primo.) di cui sono investiti, ci condurrebbe al males- sere che si vuole sfuggire. Lo stesso Dante che, per la forma chiara e concreta, proporrei ai sapienti riformatori e ai pedagoghi coscienziosi, è da ritenersi nocivo al pari del catechismo cattolico relativamente al pensiero mistico che lo accomuna con i paolotti (spreg., clericale, bigot- to, baciapile; conservatore, reazionario), della cui autorità questi si avvalgono per influenzare le nuove generazioni. Ora, tralasciando la storia, le madri possono benissimo trovare il mezzo efficace per l'e- ducazione propria e dei propri figli, imparando esse stesse - e insegnando ai figli - a riflettere sui fenomeni della vita reale, e presentando loro concretamente le verità di cui vogliono arric- chirne l'intelletto. Infatti, volendo chiarire sempre più questo mio pensiero, basta solo ricordare l'origine e lo scopo delle belle arti. Le arti, dall'uomo, a che furono finalizzate? Certamente a far comprendere il vero attraverso le forme in rilievo del bello, perché in fondo il bello non è che il vero rivestito d'immagini. Dunque la necessità di questo mezzo esplicativo (illustrativo, chiarificatore) dello spirito umano, nasce dalla stessa natura dell'uomo composta di anima e corpo, e quindi dall'intimo nesso tra le facoltà sensitive (le capacità di sentire attraverso i sensi) e quelle intellettive (di intendere e di pensare). E poiché i luminari della fisiologia e psicologia hanno dimostrato che nell'uomo il corpo preesiste allo spirito, il quale germina dallo sviluppo armonico delle sue parti, e che il sensibile precede l'in- telligibile, l'uomo perciò giammai può cogliere nella loro integrità e chiarezza idee e concetti astratti se questi non vengono opportunamente esemplificati (spiegati, chiariti servendosi di esempi), ridu- cendo l'intelligibile di nuovo al sensibile da cui essi hanno origine. Questa considerazione, rispettosa del processo naturale delle cose, spinse l'umanità pri- migenia, risalente cioè ai tempi più remoti, a creare le arti, i miti, le favole, i templi, gli altari, le immagini, i sacrifici, i monumenti e tutte le realtà concrete nelle quali l'intelligibile è tra- dotto, riaccostando così l'intelletto alla contemplazione della natura, ossia alla riflessione sui fatti concreti. Ma quale profitto se n'è realmente ricavato? Per l'universalità delle persone comuni, pochissimo bene; immensa gloria invece per i privilegiati, per le menti superiori che la (: riflessione sui fatti propri) seppero usare con efficacia e sistematicità per il proprio tornaconto e per lo sviluppo del proprio ingegno verso forme più elevate e più complesse. Ora, se questa determinazione dello spirito ha fruttato una fama im- mortale a un numero così elevato di uomini illustri, chissà quanto utile ne deriverà poi quando sarà scopo o meta educativa per la formazione spirituale di tutte le classi sociali? Dunque, si cambi il principio metodico dell'istruzione, che è il primo e più efficace mez- zo razionale dell'educazione; si riformi radicalmente il sistema dell'insegnamento, dal culto della memoria che rende l'uomo ripetitore passivo delle massime altrui, buone e cattive, si passi al culto dell'intelletto, facoltà autonoma e direttiva che lo potenzia nel processo vérifica- tif, cioè nelle operazioni di verifica. Se l'aspirazione razionale del secolo è quella di non lasciare i cittadini, nessuno escluso, senza lavoro produttivo e senza istruzione, e altresì quella di dargli, con l'attività della mente e con le nozioni fondamentali dell'antropologia, la logica e la morale del genere umano, la scuola clericale, la scuola delle ipotesi creata non solo nei seminari, ma anche nelle università e in tutti gli altri istituti vigenti, non ha più ragione d'essere. Questa scuola, infatti, dicendo all'uomo di credere e non pensare, di pregare e non lavo- rare, lo fa precisamente il contrario di quel che dovrebbe essere. Questa scuola, tra l'altro, fi- nisce per essere ingiusta, escludendo i non credenti. In un paese dove tutti pagano ugualmente 60 le tasse, nessuna classe deve incontrare ostacoli al godimento dei benefici che si procacciano ai cittadini con il denaro del comune, della provincia e dello stato. La ragione non può permettere che un sistema riconosciuto falso e rovinoso stia più a lungo al posto della verità, la quale si palesa lucidissima e si impone a tutti perentoriamente. Quindi mai più scuole clericali, mai più scuole elementari e scuole normali che ne prose- guono l'inettitudine, mistificando il sapere con il catechismo cattolico, e riducendolo al legge- re, scrivere, computare e a poche altre poverissime conoscenze del tutto estranee ai criteri del- la vita, di cui devono dotarsi le menti dei fanciulli. E mai più quei libri elementari scritti dai paolotti nell'interesse dei governi per soffocare la libertà con la propaganda di massime che conducono celermente dall'ubbidienza passiva al cinismo pratico, alla vita vegetativa nella quale si è caduti. Mai più infine l'influenza di una letteratura moribonda, senza ideale, che ri- pete cose vecchie e inutili, che sfolgora più che altro nell'esagerazione di romanzi mal conce- piti, i quali ritraggono fedelmente le favole della mitologia cristiana, esagerando così con l'e- ducazione dello spirito le posizioni della vita individuale e sociale. Ove si vogliano onorare e premiare quelli che hanno tenuto una posizione di eccellenza e di predominio nel settore della letteratura facendosi maestri delle generazioni, lo si faccia pu- re; ma, sapendoli o nati vecchi o stanchi e impossibilitati a cambiare un sistema di credenze che l'epoca ripudia, si voglia dire loro: il secolo si trasforma, il secolo cammina per la conqui- sta di un avvenire migliore, eccovi la forza e l'influenza, correte anche voi, arrestatene il pro- gresso, mettete sotto il moggio il lume della verità (fate cioè una cosa inutile, che non torna utile a nes- suno) che guida le generazioni alla terra promessa: questo è il dispotismo più micidiale, perché contro natura, circondato dalla reputazione che la coscienza pubblica è avvezza a onorare. Malgrado però i vani tentativi del sillabo e dei concili clericali, malgrado le smentite promesse e le male arti dei governi, la verità si fa strada ovunque e il secolo ne feconda la lu- ce benefica. Vedere oggi le scuole di ogni ordine e grado, o deserte o non frequentate, è la prova più evidente della loro inefficacia e della necessità altresì di trasformarle conformemen- te alle esigenze universali. Non si può più dire che c'è ancora da sperimentare il metodo sintetico o analitico, Aristo- tele o Platone, san Tommaso o Hegel, Manzoni o Mamiani, il cattedratico o il pedagogo, per- ché questi sono oramai tutti sperimentati, e oramai disgraziatamente esauriti (privi cioè di forza ed efficacia). Perciò, se si vuol essere sinceri, si deve confessare che bisogna rifare tutto da capo; e che l'unico elemento della vita sociale che ancora si deve sperimentare nella propaganda educati- va, o meglio, nella propagazione dell'educazione (opera svolta con tutti i mezzi ritenuti opportuni, al fine di diffondere la teoria e la prassi dell'educazione e dell'istruzione), è la donna. Sì, esattamente quella donna, tenuta nell'inettitudine e nell'abiezione, quella donna esclu- sa dalla fruizione dei diritti, la coscienza del secolo (il XIX sec.) la antepone secondo logica come unica ancora di salvezza nel naufragio ideale e morale verso cui le caste ambiziose han- no spinto l'umanità. La coscienza del secolo la riscuote e le dice: tu che fai l'uomo carne, lo devi anche fare spirito; e dice anche al cittadino: se ti vuoi salvare, ti devi rivolgere alla donna, rendila mae- stra come l'hai fatta madre dei tuoi figli; fa che ella ricordi a te-padre, e insegni a essi-figli che l'ignoranza volontaria è suicidio, è delitto di lesa dignità umana. In altre parole, la coscienza del secolo sancisce questo: che l'uomo, il quale finora ha im- parato a nascere e morire, deve imparare a vivere. E CHE HA DIRITTO: - di sapere chi è, e che cosa deve fare; - di conoscere se stesso come corpo e come spirito; - di sapere come conservare e far funzionare esattamente il meccanismo della vita (psico- fisica, organica, mentale);

61 - d'imparare dacché nasce a trasformare, e rendere produttiva la terra e gli elementi che lo cir- condano; - di sapere come deve trattare, e come farsi trattare dai suoi simili; - di sapere la ragione dei fenomeni che si svolgono (avvengono, hanno luogo) ogni momento sotto i suoi occhi; - di sapere quel che è lecito e quel che non lo è, quel che è giusto e quel che è ingiusto, secon- do gli esatti e precisi criteri della libertà; - di sapere cos'è questo mondo che abitiamo; - di sapere la sua storia per trarne la lezione del ben vivere, cioè del vivere secondo virtù; - di sapere come deve comunicare nel modo più appropriato coi simili; - di sapere e giudicare l'opportunità delle leggi e del governo, che sostiene con il suo sangue e con il suo denaro. Ora, perché l'uomo possa apprendere queste conoscenze indispensabili, occorre dapprima insegnarle alla donna, la quale deve essergli madre e maestra. Quindi SCUOLA MATERNA PROMISCUA, GRATUITA E OBBLIGATORIA, CON LA SCIENZA DEL SENSO COMUNE: ecco quel che rimane da fondare e istituire in qualsiasi luogo dove si abbia interesse a mantenere su solide basi l'esistenza sociale. Con questa scuola, dopo 10 anni di funzionamento, non ci sarà più bisogno di tenerne aperte delle altre elementari. Organizzando con essa in famiglia la tradizione della pedagogia della scienza, nonché il calendario del lavoro e le altre cognizioni di cui sopra, che realizza- no, in un'armonica sintesi antropologica, il sapere indispensabile d'ogni cittadino, saranno soddisfatte nel modo più semplice ed economico le esigenze educative di tutte le classi con- formemente all'unità morale della vita comune. Insomma, secondo il ragionevole sistema qui delineato, si dovrebbe invertire l'ordine erroneo osservato finora che, lungi dal promuovere lo sviluppo dell'intelligenza umana, lo ha invece ritardato. La scienza madre (origine, causa prima) collocata all'ultimo, dev'essere la prima parola dell'insegnamento; mentre la fede collocata prima, dev'esserne l'ultima. Solo do- po che abbiamo conosciuto noi stessi e il mondo, possiamo pervenire con cognizione di causa all'ipotesi religiosa; il farlo prima, come si usa, è lo stesso che rendere permanente il disordine morale da cui siamo contristati. L'ingenua madre di famiglia, che seguendo il sistema clericale stampa nel cuore della sua cara creatura i simboli e i misteri religiosi, inconsciamente la stu- pidisce, perché quei misteri sono l'assurdo. E dove entra l'assurdo, non arriva mai la verità, o vi arriva in modo lento e a gran fatica. Questo non significa che si debba strappare con violenza dal cuore degli adulti e dei vec- chi la fede religiosa, o negare all'uomo nascente la conoscenza di Dio; ma quando si è visto che dandogliela prima di acquistare le altre più intrinseche alla sua natura, egli diviene ordina- riamente stupido e immorale, quali genitori saranno così crudeli da preferire un'abitudine ro- vinosa a un consiglio ragionevole? Che male c'è se a scuola, invece di parlare del catechismo all'inizio, se ne parli alla fine come coronamento dell'edificazione morale nella coscienza dei loro figli? La nuova Scuola Materna dunque dovrebbe organizzare l'istruzione indispensabile per tutti in questo modo: - Nozioni di anatomia e psicologia. - Pratica pedagogica per sviluppare la riflessione, e trasmettere ai discenti l'attitudine a inse- gnare ad altri quel che si apprende. - Nozioni di lingua ivi compreso il leggere e lo scrivere. - Il calendario del lavoro, o norme fondamentali dell'economia della produzione. - Nozioni di igiene morale e organica, nelle quali sono contenute le regole del giusto e dell'o- nesto, del diritto e del dovere, nonché quelle che attengono allo sviluppo del corpo e alla nor- male attività fisica. - Nozioni di matematica elementare.

62 - Nozioni di scienze fisiche. - Nozioni di geografia. - Nozioni di storia. - Nozioni inerenti al sistema politico e amministrativo che governa il proprio paese. - Il Galateo della libertà.

Mi auguro che, dopo aver dimostrato il dovere delle madri di dotare i figli delle cognizio- ni necessarie, puramente necessarie alla vita, non sorgano i soliti monopolisti (del sapere) a ripetere che queste nozioni sono estranee o difficili o inutili alla donna. Ogni uomo di buona- fede deve al contrario riconoscerne la ragionevolezza, e chiederne l'attuazione razionale se- condo le connessioni sequenziali e la più semplice esposizione della materia, che la logica può consigliare. Perché delle due l'una: o s'intende fondare sinceramente la scuola della vera civiltà, e allora non deve mancare nessuna di quelle cognizioni rispondenti allo scopo; o non la si vuole fondare, e allora si cessi di burlare le generazioni con un meschinissimo e falso in- segnamento. Invece di guastare la coscienza o lasciarla insoddisfatta con precetti incompleti, svolazzanti dalla testa dei fanciulli come la cenere del memento homo, si chiudano interamen- te le scuole che vi sono, e si vada innanzi con la brutalità del cieco istinto. Si badi bene però che una società, la quale non dà i mezzi per fare i cittadini laboriosi, ragionevoli e onesti, e la- scia invece che si pervertano nell'ignoranza e nell'inerzia, allorché questi mancheranno al do- vere che fraudolentemente e di proposito non si è fatto mai loro comprendere, non potrà arro- garsi il diritto di punirli e, punendoli con atto di forza o d'autorità, assumerà innanzi al mondo e alla legge morale l'odiosa responsabilità di un'ingiusta aggressione! Se si guarda un po' alla titubanza consueta dei magistrati che applicano le sanzioni dei codici penali, e alle emozioni della società alla vista di una cattura o di una condanna, ci si persuaderà della giustezza di quanto sopra detto. Dunque, quando la legge, fondando la scuola civile, abolendo l'ingerenza governativa e clericale, nonché le Università, rimettesse alla competenza dei Comuni l'istituzione delle scuole d'ogni ordine e grado; - quando, nell'intento di organizzare l'insegnamento della libertà, si rendesse gratuito e ob- bligatorio l'elementare, obbligatorio il secondario e libero il professionale; - quando invece delle attuali, sterili scuole primarie, si creassero le Scuole Materne promi- scue nella proporzione di una per ogni 300 anime, allo scopo di educare l'uomo e la donna a saper vivere insieme, a rispettarsi, a stimarsi dacché sono bambini; - quando le si fornissero di valenti e coscienziosi maestri come possono aversi al presente di entrambi i sessi, con buoni stipendi, onorati e assolutamente responsabili del fatto loro; - quando non le si facessero mancare libri scritti in senso sinceramente liberale, senza tanfo mistico di religione; - quando le si fornissero i concreti (cioè il materiale didattico) e le macchine necessarie alla spie- gazione dei principali fenomeni della vita; - quando oltre all'insegnamento passivo s'inculcassero nelle donne le regole pedagogiche; e, come i preti che impongono la dottrina religiosa, senza la quale non permettono il matrimo- nio, si dicesse alle giovani: chi si mostra più idonea a educare la famiglia avrà un premio o i mezzi e gli onori d'una carriera sociale; - quando il legislatore fosse così leale e benefico, chi non vede nella Scuola Materna promi- scua, gratuita e obbligatoria il solo bandolo d'Arianna che può farci uscire da questo dedalo di miserie, è cieco! Ritengo superfluo dilungarmi nel dimostrare la necessità dell'istruzione obbligatoria, per- ché essa è già dimostrata abbastanza. Chi finge di sofisticarvi sopra e non riconoscerla come bisogno urgente dell'epoca, fa mostra o di deplorevole inettezza o di perfidia interessata. Or- dinariamente i governi che avversano l'istruzione pubblica, sogliono giustificarsi col pretesto che le sanzioni contro i negligenti possano offendere la libertà. Ma se non credono offenderla

63 quando conducono al carcere e al patibolo lo sciagurato che delinque per ignoranza, come possono poi esser teneri verso coloro che mantengono l'ignoranza medesima da cui hanno origine tutti i mali della società? Allorché dunque si vuole davvero rispettare la libertà, biso- gna combattere la vera causa del suo malessere, la quale risiede nell'ignoranza dei cittadini. La libertà non è assoluta; ma è relativa: alla legge fisica, alla legge morale e alla legge in- tellettuale. Una libertà che fosse o contraria o ribelle a queste leggi, sarebbe il male, l'anar- chia. Quindi, come non può dirsi all'uomo: tu sei libero di uccidere il tuo simile, di scacciare la scintilla da due poli opposti (negativo - positivo) e di asserire che due e due fanno cinque, allo stesso modo e per le medesime ragioni non si è arbitri di dirgli: tu sei libero di rimanere ignorante per non divenire l'uomo ragionevole come devi essere, quando l'esperienza e la ra- gione han constatato esser, questa posizione anormale, la sorgente del disordine e del males- sere della società. {36} Il caso che i proletari non possano mandare a scuola i figli per non sottrarli al lavoro che dà il nutrimento, non può neppure offrire argomento all'avversare l'istruzione obbligatoria, primo perché i legislatori che si mostrano teneri, cioè indulgenti e tolleranti, verso la vita del corpo, devono esserlo doppiamente verso quella dello spirito; secondo perché ai grandi stabi- limenti industriali si può imporre la scuola e per gli altri si possono creare scuole operaie, e si può ottemperare all'insegnamento nelle ore notturne o in quelle dedicate all'ozio colpevole. Spero che attorno a quest'idea si raggruppino tutti i genitori coscienziosi e sapienti, tutti i pedagoghi orgogliosi di vedersi premiati moralmente dai benefici effetti sociali dei moltissimi loro stenti e travagli.

ELEMENTI METODICI. L'agevole mezzo con cui la Scuola Materna deve sviluppare, spe- cie nelle donne, i germi dell'idealità è la riflessione: solo con questa la scienza assume una forma certa e universale, perché semplice, non complicata, e si avvale solo di pochi elementi che regolano e spiegano l'ordine della natura. La scienza nel nuovo metodo deve stabilire co- me dati abituali quelli del fine-mezzo, della causa-effetti; per mezzo di questi e di pochi altri principi ontologici (p.e.: materia-forma, essenza-esistenza, concreto-astratto, cosa in sé-fenomeno, sensibile- intelligibile, essere-divenire. Vd., in particolare, le categorie aristoteliche e le kantiane), l'umanità cesserà di vivere in un secolo poco morale perché antiscientifico, e antiscientifico perché irriflessivo. Così, non solo quelli che si danno alle opere del pensiero, ma tutti, senza distinzione di arte professata, sono abili a scoprire il vero, perché, come già detto, l'essere, il vero e la scienza sono dappertutto, in ogni cosa. Ora, applicando estensivamente il concetto, se la madre, per mezzo della riflessione può abilitarsi a conoscere le leggi della propria natura, perché non potrebbe poi trasmettere questa preziosa abitudine ai figli?

TEMPO DELL'INSEGNAMENTO. Non si pretende che debba incominciare a insegnare la pedagogia al figlio dacché nasce. Nell'essere umano, il periodo che dà inizio alla vita, non presenta che la caratteristica della debolezza. La capacità di muoversi da sé, si riduce a pochi atti automatici e al fenomeno del pianto, cui il piccolo ricorre istintivamente per la soddisfa- zione dei suoi bisogni. L'anima, obbligata all'immobilità perché priva dei servigi dei sensi, imprescindibili per aprirsi al mondo esterno, lo rende conscio solo della propria esistenza. In pratica, nel toccare il proprio corpo e gli oggetti, egli rivela non il suo determinarsi a percepirli tattilmente, ma solo il sentire di essere, di esistere. Di conseguenza, la culla è per lui come un istmo che deve metterlo in comunicazione con un nuovo mondo, il mondo della real- tà. Ogni giorno che passa, segna per il neonato una conquista nel campo (di battaglia) della vita, e a misura che si consolidano in lui le forze meccaniche (biologiche dell'organismo); a misura che i sensi si rischiarano, si fortificano e ampliano l'orizzonte percettivo, egli viene così, a poco a poco, familiarizzandosi con gli elementi del mondo esterno, e le categorie di spazio e tempo

64 che devono informare la sua attività, gli sovvengono (vengono in mente) per sostanziarsi (diventare so- stanziali, acquistare sostanza, fondamento) nella duplice sfera, appunto spazio-temporale, dell'essere. Quindi, dal sentimento (coscienza) esclusivo (particolare, speciale, unico, tipico) della propria esistenza, egli passa a tutte le modificazioni e trasformazioni cui lo sottopongono i sensi per il tramite della percezione del mondo esterno. Ecco il periodo in cui comincia a sentire la necessità dell'idea, e la madre gliela deve pro- curare, rilevandola con la riflessione da ciò che più muove (desta, risveglia, sollecita, stuzzica) la curiosi- tà infantile. L'infante è come la carta bianca, come la tavoletta incerata usata nell'antichità per scrivere, e sulla quale si trovano le prime parole o i primi segni che vi si stampano; è come una casa vuota che deve essere corredata di suppellettili. Per la qual cosa, la madre, persuasa per esperienza diretta che tutto l'ideale che gli è necessario, il figlio deve ricavarlo dal di fuo- ri, dalla realtà esterna cioè, curerà che concentri l'attenzione sulle conoscenze del mondo esterno, omogenee e organiche alla natura del proprio essere. Quando dovrà rilevare l'ombra (il segno distintivo, l'impressione), l'immagine, l'idea di un fatto con- creto, con lo sguardo fisso e intento - cioè fissandolo negli occhi - richiamerà la sua attenzio- ne sull'oggetto medesimo, del quale renderà noti: la sostanza, la forma, il fine, la causa, i rap- porti con sé (il suo mondo interiore) e con l'altro da sé (la realtà esterna). Quando poi deve comunicargli l'immagine dell'oggetto concreto sotto forma di nome, o deve ricorrere all'etimologia del nome esplicativa dell'idea o deve avere presente l'oggetto stesso da cui (tale nome) fu rilevato, per mostrargli la provenienza di quell'astratto, sviluppando sia la con- nessione cosa-nome sia quella inversa nome-cosa.

CONOSCENZA DI SE STESSO. Però, a rigor di logica, si deve assolutamente porre come scopo primario dell'istruzione la conoscenza di se stesso, e le madri, su questo conoscimento (il conoscere, il conoscersi e il loro risultato), devono orientare la riflessione dei fanciulli, perché il sentimento del proprio essere è un sentimento spontaneo, preliminare, che introduce e prece- de tutti gli altri: è il terreno su cui deve fare i primi passi per andare verso la meta designata. Operare altrimenti è come contraddire il senso più profondo e autentico della propria natura o, che è lo stesso, erigere un edificio senza le fondamenta, trascurando una conoscenza della quale tutte le altre sono succedanee, cioè a essa relative e subordinate. Cosa si direbbe di chi immaginasse fare un viaggio da Napoli a Malta senza toccare le acque del porto da cui deve muoversi, senza il contatto con ciò che gli è più immediato? E a fortiori cosa si dovrebbe dire di chi si desse ad acquisire conoscenze estrinseche e lontane, omettendo ciò che gli è intrinse- co e vicino? Quando l'uomo non conosce se stesso, la macchina umana (vale a dire l'organismo umano nel complesso dei suoi organi e funzioni) è per lui come quella di un orologio che capitasse per la prima volta tra le mani di un Cafiro [appartenente ai Cafiri, gruppo di tribù indoiranica dell'Afghanistan orientale] o di un Papuano [apparte- nente ai Papua, popolazione della Nuova Guinea, delle isole Bismarck e Salomone, situate nell'Oceano Pacifico]. Questi selvaggi, questi barbari di certo rimarrebbero meravigliati del luccichio del metallo, e di certo lo ame- rebbero in modo manifesto; ma non conoscendone l'uso, o lo lascerebbero arrugginire o si tra- stullerebbero con esso a capriccio sino a romperne in pezzi le ruote o a distruggerne il conge- gno. Così, nello stesso modo, chi vive nell'ignoranza di sé, non conosce il proprio corpo e non ne comprende la struttura e le funzioni: ama cioè se stesso in modo superficiale, unicamente per i piaceri dei sensi, o meglio, per l'apprestamento delle voluttà dei sensi; e, invece di volge- re le sue facoltà al proprio perfezionamento, senza igiene morale e fisica si lascia arrugginire nel sudiciume e nella corruzione; e, non attivandosi, come per natura dovrebbe, si rovina nel suo tempo migliore. Questo modo retrivo di agire, credo essere stato la causa efficiente di tutto il male che la società umana deplora, perché l'uomo e la donna, ignari fino all'età adulta in particolare delle prerogative della generazione (procreazione), alla cui necessaria, indispensabile conoscenza il clericalismo annette l'idea di una nefandissima colpa, non hanno saputo valutare le specifiche

65 condizioni di congruenza o incongruenza (di attinenza o ripugnanza); e si son dati alla cieca (senza riflettere) e a salti (in modo discontinuo e irregolare) a opere antitetiche alla propria stessa natura, nel profondo (cioè nella parte più intima e segreta) della quale, lungi dal rintracciare (rinvenire dopo un'indagine minuziosa) il bene, non hanno scorto altro che perdizione e corruzione. Basta dunque con le vecchie abitudini che non prendevano in considerazione l'uomo! ba- sta con i falsi concetti che gli oscurano l'intelletto, la mente, l'anima, ispirandogli grettezza e fanatismo!

LA SCUOLA MATERNA. La Scuola Materna insegni alle donne ad alimentare lo spirito dei figli con le idee precise della natura che li dota di vita, e delle condizioni intellettuali (concernenti cioè l'intelletto e la sua attività) che li nobilitano. {37} Sia per essi, qual primo pensiero, la conoscenza di se stessi: l'uomo deve anzitutto sapere che cosa egli è. Quale importanza ha il conoscere se stessi? Importa certamente l'essersi studiati tanto dal punto di vista fisico quanto da quello mora- le; tanto nelle forme e nell'espressione fenomenica (espressione che è relativa al fenomeno, a ciò che appare all'e- sperienza sensibile, a ciò che si presenta come dato immediato del reale, a ciò che è conoscibile nell'esperienza, e attraverso i sensi) dell'organismo, quanto nella forma e nell'espressione ideale (espressione che appartiene o è propria dell'idea, intesa come entità essenzialmente mentale e spirituale contrapposta alla realtà esterna) dello spirito. Per compiere questa impresa finora ritenuta quasi impossibile o trattata in modo superfi- ciale, non occorrono grandi sforzi, è sufficiente osservare e seguire il modo di procedere pro- prio della natura; e non necessita altro libro che l'uomo stesso insieme alla riflessione sui fatti (atti, azioni, opere) che si esplicano giornalmente. E poiché abbiamo osservato che, nel periodo successivo alla nascita, la mente è vuota, priva di idee, e davanti ha solo l'organismo, prima di ogni altra cosa occorre volgere il pensie- ro (l'attenzione) del fanciullo alla contemplazione ("affissare la mente e il pensiero, Considerare attentamen- te cogli occhi del corpo e dell'intelletto", P. Fanfani) di questo concreto, additandogli, nel modo che se ne renda agevole l'apprendimento, non solo le parti, ma anche le funzioni e gli scopi cui esse sono deputate.

STUDIO DEL CORPO. Per far ciò con profitto, è anche necessario che la scuola materna non si irrigidisca (cristallizzi, fissi, immobilizzi) sugli astratti tecnicismi (termini specialistici, locuzioni tecniche) di psicologia e anatomia che s'insegnano nelle scuole; ma piuttosto che passi subito all'applica- zione delle idee ai fatti, o dai fatti medesimi risalire alle idee, poiché questo è il cammino re- golare attraverso il quale si può sviluppare la facoltà di pensare e accrescere il patrimonio in- tellettuale (di conoscenze, ragionamenti, ecc.).{38} Questo metodo, quando l'ho sperimentato, mi ha fatto - le proverbiali mille volte - gongo- lare di gioia nel vedere i fanciulli, ancora balbettanti, rapiti (affascinati, estasiati) dall'ardente de- siderio che fosse scolpita nella loro vergine mente l'immagine delle cose; e ancor più inten- samente e profondamente mi sono rafforzato nel convincimento che, poiché i giudizi traggono la loro forza dal moto dell'intelletto (per il cui tramite sono formulati), l'uomo tenda istintivamente a co- noscere la vera natura degli oggetti, che sono l'obiettivo (meta, fine) delle sue virtù cogitative (fa- coltà di pensare). Pertanto, se si vuole che il fanciullo abbia cognizione (e consapevolezza) del proprio corpo, è sufficiente che la madre lo imbocchi in modo ordinato, con pacata dolcezza e soavità, gli met- ta cioè in bocca il nome delle speciali sue membra, indagando il fine cui sono deputate, affin- ché se ne formi un'idea completa che lo illumini tutte le volte che avrà bisogno di riconoscere la tale o tal'altra identità di organi e funzioni (ossia il complesso dei caratteri che ne determinano la specificità, distin- guendoli da tutti gli altri e rendendone possibile il riconoscimento). Compiuto questo lavoro sull'esterno che, in quanto più sensibile e noto, deve costituire il primo momento dell'istruzione, si passa alle celate funzioni degli organi interni, ai cui caratte- ri tipici, fondamentali, essenziali, occorre conferire evidenza e rilevo, perché il fanciullo possa essere in grado di esprimere un giudizio sui fenomeni a essi inerenti. 66 Quindi, in questa maniera, si è certi di condurlo a poco a poco alla piena cognizione del pro- prio essere organico, e di poterlo abilitare all'esame dello spirito, che nell'ordine delle cose ha più elevato valore.

STUDIO DELLO SPIRITO. Quindi, dopo che la mente comincia a esplicare (svolgere, esercitare, realizzare concretamente) la sua attività conoscitiva sul concreto essere organico, sul corpo cioè, le si può agevolmente dare un compito superiore e dirigerla allo studio delle facoltà dell'anima [Vd. Tommaseo-Bellini, "22. Facoltà dell'anima, l'intendere e il volere. O: intelletto, memoria, immaginazione. O: facoltà sensitiva e intellettiva. O: facoltà di istinto o di riflessione. O: facoltà attive e passive (tuttochè quest'ultima denominazione sia impropria)], le quali si pos- sono rendere più o meno visibili a seconda che l'astratto delle loro definizioni entri più o me- no in rapporto con il sensibile della vita reale, cioè con tutto ciò che è empiricamente esperibi- le attraverso i sensi. Quando il fanciullo osserva praticamente che tutto ciò che egli fa, è l'effetto del conosce- re e del volere, dell'intelligenza e della volontà; quando si abitua a riflettere sul fatto che ogni movimento o atto è preordinato da un giudizio, pur non volendolo, diventerà conoscitore delle leggi del proprio essere, diventerà filosofo: non già di quelli che rapiscono alla natura il fuoco sacro per collocarlo tra le nubi, ma di quelli che lo mantengono acceso sul tripode della vita reale per accrescere il bene dell'umanità. Fuor di metafora, non già di quelli che, scoperte le leggi della natura, le rendono astratte e inapprendibile per i più, bensì di quelli che le incarna- no di nuovo nella concreta realtà al fine di renderle produttive di bene per la totalità degli uo- mini. Ogni uomo è dotato di mezzi idonei per perseguire tale finalità e, qualora giunga a trova- re la metodica (la scienza, l'arte; il metodo d'insegnamento) da me indicata alla Scuola Materna per mantenere costante il flusso e riflusso (nel senso di movimento dal basso verso l'alto e viceversa) tra l'astratto e il concreto, tra l'idea e il fatto, è certo che la potrà conseguire. Perciò, o le verità sono scoperte da altri e, mettendole di nuovo a confronto con il concreto (con il contenuto dell'esperienza reale, oggettiva, de- terminata), si rettificano, si rafforzano, si confermano; o non lo sono, e allora spetta a noi la sin- golare gioia di scoprirle. Quindi, una retta pedagogia, educando prima la donna e poi il fan- ciullo ad applicarsi sistematicamente, con fermezza e diligenza, alla riflessione, arrecherà, in entrambi i casi, un beneficio allo spirito e al corpo: manterrà tra questi quell'unità e armonia cui (la donna e i fanciulli) sono diretti dalle leggi eterne per conseguire il bene tanto desidera- to, ma non raggiunto, né raggiungibile finché perdurano le false educazioni.

IL CALENDARIO DEL LAVORO O L'ECONOMIA DELLA PRODUZIONE. In contem- poranea, si deve insegnare come si regola la vita mediante il Calendario del lavoro. Oggi, in famiglia, regna e governa il calendario festivo dei preti, si perde tempo nell'inerzia, non si produce o si produce pochissimo e non tanto quanto si consuma. Quindi, per sopperire al bi- sognevole (ciò che fa di bisogno, occorrente, necessario), si ricorre abitualmente a espedienti pecca- minosi. La Scuola Materna, invece, lo deve sostituire con il Calendario del lavoro che, nel designare le varie ore del giorno e assegnandole a qualche utile esercizio, simultaneamente, del corpo e dello spirito, determina nei figli l'abitudine di riconoscere il tempo come il tesoro dei tesori, come la fonte legittima della vera moralità.

IGIENE ORGANICA. Mentre la Scuola Materna fa comprendere alla donna che cosa è l'uomo e come debba attivarsi, bisogna che le dia anche le norme per mezzo delle quali se ne deve conservare la vita. Le nozioni principali dell'igiene sono quindi indispensabili a entrambi i sessi, al fine di tenere il corpo pulito e florido come è augurabile per una generazione civile. C'è da piangere quando si vede la maggior parte delle creature con il corpo guasto (malan- dato, malato), luride e putenti (puzzolenti, maleodoranti), per la colpevole trascuratezza nelle lavan- de (lavamento, lavatura, lavaggio; il lavare, il lavarsi e il loro risultato), nella ginnastica, nell'aria, nei cibi e in tutte quelle altre piccole cose che favoriscono e vivificano la crescita dell'uomo. Eppure, soprattutto le ragazze non dovrebbero ignorare che la lordezza (la sporcizia, il sudi- 67 ciume) disabbellisce (fa perdere, scema la bellezza), e la mondizia (la pulizia) è una mezza dote! Sin da quando nasce, l'uomo è tenuto lungamente avvolto nelle fasce e già d'allora gli si rende nefasta, e gli si maledice, l'esistenza! Praticamente è come dirgli che entra in un carce- re, gli si fa sospettare che la barbarie del metodo abbia fatto degenerare l'affetto materno così da farne un barbaro custode di questo carcere. Separandolo dagli elementi con i quali la vita dev'essere ininterrottamente in relazione, si rende il fanciullo debole di corpo e facile agli ac- ciacchi. Non è certamente amore quel che fanno le madri quando bagnano nell'acqua calda invece che nella fredda i loro figlioli; quando li tengono chiusi, e li sovraccaricano di panni per non essere colpiti dall'aria; quando li avvezzano al caffè, alle bevande spiritose (che contengono una quanti- tà più o meno elevata di alcol etilico) e ai cibi che danneggiano il delicato sviluppo delle forze, arrecando così in modo preoccupante un danno alla salute. Quello è un sistema micidiale da cui ogni at- tenta educatrice deve tenersi lontana, perché l'assuefazione allo stravizzo ("Stravizio, che anche trovasi scritto Stravizzo. S. m. Disordine che si faccia nel mangiare e nel bere fuori del consueto o del bisogno, e anco in altro.", p. 717, Tommaseo- Bellini) del gusto abbrevia gli anni e porta alla dissipazione (dilapidazione, lo scialacquamento, lo sperperamento) del patrimonio; e la mancanza d'aria li rende malaticci non appena escono fuori (ad. es: a prendere una boccata d'aria) o vengono colpiti dalle folate che entrano quando si schiude la finestra del bal- cone. Una corretta igiene esige che l'uomo si avvezzi per tempo alla naturale temperatura dell'aria aperta, affinché questo indispensabile elemento non lo ostacolasse, come succede a quelli che scimmiottano espedienti insignificanti e micidiali per il benessere (psico-fisico). Si legge che una larga camera da letto non contenga aria sufficiente alla pura respirazione di un solo uomo, e intanto da noi (cioè a Carovigno, nella Terra), specialmente coloro che appartengono alla classe povera, vivono ammassati l'uno sull'altro in umidi e affumicati abituri (abitazioni piccole e misere), dove al fetore (che impregna l'aria) del sudiciume e qualche volta anche degli animali dome- stici (p.e., asini, galline ecc.) che con essi convivono, si aggiunge l'alito dei numerosi abitanti che si fa ivi denso e ne incrosta gli angoli (Cfr. Dante, Inferno 18. vv. 106-108 "Le ripe eran grommate d'una muffa, / per l'ali- to di giù che vi s'appasta, / che con li occhi e col naso facea zuffa."). O quanti morbi si scanserebbero se invece di chiudere porte e finestre con una o più bar- re, si lasciassero aperte di giorno e di notte per la circolazione dell'aria: il rubizzo (che ha un colorito rosso, denotante floridezza, energia e salute) marinaio che vive la maggior parte del tempo allo scoperto, di cui noi invidiamo (Vd. Tommaseo-Bellini, "Invidiare. [...] 7. Talora si prende in buona parte, per Desiderare, senza dolore nè astio, un bene simile a quello di che altri gode.") la sana longevità, dovrebbe persuaderci a osservare questa usanza estremamente salutare. Una regola parimenti ragionevole da osservarsi, consiste nell'adeguare il moto alle forze e il cibo alla nutrizione. È assolutamente sbagliato che i piccini nella prima età, quando si reg- gono a malapena sulle gambe, facciano spreco di forze con un moto sregolato, o che non eser- citino alcuna forma di ginnastica come accade nella vita sedentaria e monotona delle donne, per cui si rendono fiacche e deboli; è, al contrario, necessario che la madre vigili attentamente per contemperare il moto col riposo così da far loro riacquistare le forze perdute. Ed è parimenti sbagliato che essi debbano eccedere nel mangiare, sia perché tale ecce- denza tornerebbe dannosa alla loro salute, sia perché diventerebbero essi ingordi per sistema (sistematicamente) sì da dolersene poi in età adulta.

IGIENE MORALE. L'igiene morale deve condurre i discenti alla formazione dei costumi ("Costume. [...] 12. Per Abito naturale o acquistato, per cui l'uomo procede bene o male nelle sue azioni morali. ... (Tom.) Dicendo I costumi, d'una persona sola, per lo più intendiamo i morali, quel che i Fr. Moeurs." Tom.- Bel.). L'importanza poi che le generazioni hanno attribuito al costume dell'uomo (cioè alla morale, all'etica), alla coscienza del ben comportarsi verso se stessi e verso i propri simili, ne fa agevol- mente intravedere il fine ultimo; e lo stesso costume indica di per sé i mezzi da apprestarsi perché lo si possa conseguire. {39} Tutta la condotta umana è contenuta nella idea racchiusa nella parola costume, la quale, derivando da cum e sto, stas (?) [In realtà, dal lat. pop. *cons(ue)tumen, per il class. consuetudinem, acc. di consuetudo, -

68 dinis. Cfr. il fr. custume, fine XI° sec. E altresì l'it. ant. costuma], indica che consiste nell'armonica unione della vo- lontà con l'intelletto. L'intelletto, in quanto facoltà visiva, scopre il vero e lo presenta alla vo- lontà come suo bene. La volontà, in quanto facoltà espansiva ("dalla gente che dicesi colta, usasi nel fig. a de- notare uomo o anima che sinceramente e volentieri apre e comunica gli affetti propri" Tommaseo), tende a conseguire o a ri- fiutare detto bene. Quindi, finché perdura l'accordo tra intelletto e volontà, le azioni morali sa- ranno sempre conformi alla legge eterna. Quando invece quell'accordo non c'è più e la volontà, sopraffatta dai sensi, non è più il- luminata dal lume dell'intelletto, allora sussegue ciò che il senso comune chiama corruzione, volendo quasi alludere alla rottura delle due facoltà, per cui invece di conseguire il bene, na- scono quei mali che la specie umana deplora. Infatti, si supponga che l'intelletto scopra il rapporto necessario tra il soggetto ladro e l'at- tributo degno di punizione, e formuli il giudizio in questo modo: il ladro è degno di punizio- ne. Naturalmente esso con questo si acquieta, perché vi scorge il determinarsi di una legge eterna; vi scorge il vero, l'essere, che oggettiva (rende cioè oggettivo, concreto, ciò che è astratto) il suo con- vincimento riguardo alla verità e alla giustezza del giudizio. Ma se al contrario, nel presentar- lo alla volontà come suo bene, questa, invece di seguire detto giudizio, propendesse per la scelta opposta, concludendo che il ladro è degno di premio, allora scinderebbe nella coscienza il nesso logico dei rapporti, sconvolgendo così l'ordine morale prestabilito, fondato sulla di- stinzione categorica dell'essere e non essere, del bene e male, della virtù e vizio. Ecco da dove trae origine l'incoerenza della natura umana, la quale, anche se vede il bene e lo apprezza, si volge al male, e lo predilige come fine ultimo delle sue aspirazioni. (Video meliora proboque, deteriora sequor!) 24 (Vedo il meglio e l'approvo, ma seguo il peggio) ( ) Un sapiente dei nostri tempi, un illustre filosofo italiano, risolse bene tale incoerenza spiegando che vi è nell'uomo un principio (nel senso di incominciamento) morboso (il principio morboso non è che il peccato originale della teologia cattolica o il male radicale di cui parla Kant ne La religione entro i limiti della sola ragione, pp. 32-34) 25 che gli inibisce (gli vieta, gli impedisce) l'uso legittimo della ragione. ( ) Ciò è vero, anzi verissimo, perché si riallaccia alle considerazioni sopra esposte e trova la sua autenticità nelle numerose conferme della vita pratica quotidiana. Quindi se questa è la causa di tutte le umane afflizioni, se la rottura dell'unione tra l'intel- letto e la volontà costituisce la base del malcostume, collocando l'uomo al di sotto degli stessi bruti che, resi normali dall'istinto, giammai se ne scostano e ne adempiono con scrupolo i det- tami; chi non vede che una corretta educazione deve finalizzare tutte le risorse dell'essere umano al conseguimento di questo obiettivo, e non ad altro scopo che a coniugare la volontà con l'intelletto? Chi non vede che il grande magistero (la grande maestria) dell'igiene morale con- siste in ultima analisi nell'illuminare la mente perché conosca il vero e se ne innamori in mo- do che possa stabilmente ostacolare il falso verso cui l'intelletto può, suo malgrado, essere spinto dalla volontà, autonoma e potente, autoritaria e dispotica? Al vero, dunque, al vero! perché in esso vi è l'espressione dell'esistenza umana, e quando specialmente la donna nella prima età (le 4 età dell'uomo: fanciullezza, giovinezza, maturità, vecchiaia) imparerà ad apprezzarlo e a riconoscerlo come suo unico fine, si è pur certi che non devierà o, pur devian- do per un momento, avrà la forza morale di abbandonare la mala via ("Mala via ha senso fig." Tommaseo, alla voce malo, p. 595. L'espressione mala via è in Dante, Inferno, Canto XVII, v.111: "Gridando il padre a lui: <>), la cattiva strada (condotta di vita deprecabile, moralmente pericolosa) non appena sentirà i superiori richiami della coscienza. La pedagogia della Scuola materna quindi curerà diuturnamente (in modo continuato e dure- vole) di far acquisire ai figli l'habitus di unire l'essere all'essere, il non essere col non essere, a seconda che la riflessione induca praticamente il loro spirito alla unione o disunione delle idee; perché ripetendo simili atti si avrà la virtù {40}, ossia la forza di costringere la volontà a seguire la severa voce dell'intelletto e non già a lasciarsi sopraffare dal sensibile che seduce e blandisce.

69 LA RELIGIONE DELLA SCIENZA. Questa è vera religione morale, questa è dovere, i quali si creano spontaneamente nelle libere coscienze senza gli atti e i comportamenti intransigenti e vessatori del clero e le pressioni del governo. Ma se la religione è amore dell'essere finito verso la causa {41}, allora, amando il vero che nell'infinito assoluto è la causa medesima, si dà già la prova parlante (eloquente, decisiva, indiscutibile) della riverenza che le si rende. Se dovere è l'ordine tassativo, rigoroso che ci viene rivelato dalla coscienza, allora, seguendo il vero che è la luce della ragione eterna, già si adempie scrupolosamente il dovere, e non si turba (sconvolge) l'ordine prestabilito che, al contrario, riceve una morale conferma dagli atti dell'uomo. Pertan- to la donna, e per lei l'uomo nuovo così diretto al bene, assolverà gli impegni cui è chiamato ogni essere razionale, perché nel vero che si scopre, si riconosce implicitamente l'infinito e, senza volerlo, si è indotti a quell'ammirazione spontanea assai superiore alle idolatrie clerica- li. Oh! chiamino pure atei, il papa e i suoi proseliti, i liberi pensatori che rifiutano le loro su- perstizioni! L'ateismo non esiste, né può esistere: se vi è gente che lo rende possibile, questi sono i preti di Roma che feticizzano sfacciatamente l'infinito, esprimendolo in tanti modi biz- zarri, lo vendono, ne incarnano la divinità nella loro miserabile personcina e finiscono per ne- garne o per distruggerne gli attributi contraddittori che essi stessi hanno predicato (nel senso di attribuire un predicato a un soggetto). Ma l'ente è impersonale: non si rivela nella chiesa, né nei simboli artificiali delle figure, delle croci, delle ostie, nelle tradizioni bizzarre e immorali del mosaismo o del cattolicesimo romano. Egli traspare bensì dall'azione benefica della virtù, dall'umile erbetta sino alla palma, dalle vette della montagna sino al fondo delle valli, dalla bassa autonomia del verme sino all'altissima perfezione dell'uomo, dal giorno alla notte; e altresì quando con mente illuminata ci eleviamo alla contemplazione del cielo, grande poema della luce (Vd. Genesi I.3. Fiat lux "sia fatta la lu- ce", con la quale ha inizio il racconto della creazione), e adempiamo con scrupolo la legge che ci viene imposta dalla coscienza guidata dalla verità, e non compromessa dalla fede. Nel contemplare il mondo reale, vigente il principio di verificazione della scienza, non ci si può ingannare e si ha la logica certezza di un sopraintelligibile, in quanto, applicando il principio di causalità, si perviene di causa in causa agli elementi semplici e, per spiegare l'u- niverso, si dice: vi è una intelligenza suprema, e non altro. Ma le religioni della fede cieca, fondate su questo procedimento dialettico, invece, non sono altro che un vero romanzo, im- maginato per ingannare la povera plebe, desiderosa di verità. La religione della scienza (com)prova tutto - la religione della fede che ammette non solo la visione, ma la personifica- zione del sopraintelligibile, nonché la sospensione delle leggi mediante i miracoli, non prova nulla, perché, al dire di Giuseppe Ferrari, è la credenza all'incredibile, l'ostinazione che resi- ste all'evidenza, che giustifica il fanatismo, che combatte per l'errore; e si traduce nell'irra- gionevolezza che si oppone alla ragione. {42} Dai grandi dell'antichità, cui non fu estraneo lo sviluppo di questa tesi delicata; da Plato- ne, che per primo tentò la via della dialettica per dare una dimostrazione metafisica dell'esi- stenza di un ente necessario, le cui imposture egli qualificò con il nome di teologia; da Plato- ne quindi sino ad altri ingegni, ai Santi Padri della Chiesa, a Leibniz che mutò il primo nome in teodicea che ben sintetizza gli attributi dell'ente; nessun'altra cosa si confà così bene alla credenza universale quanto la scala della causalità. Tutte le più note dimostrazioni di tal fatta si riducono a cinque: - la prima si ricava dallo spettacolo dell'universo; - la seconda, dal consenso universale (consenso delle genti: criterio di verità usato dagli antichi filosofi, per cui ciò che è riconosciuto vero da tutti deve essere tale), per cui tutti hanno avuto una certa religione; - la terza, dall'esistenza del movimento; - la quarta, dal bisogno di un essere necessario; - la quinta, dalla presenza dell'idea di una perfezione infinita nello spirito umano. Ma con tutte queste argomentazioni dimostrative, fecondate (rese produttive) dalla elevatezza

70 d'ingegno di Bousset [Jacques Bénigne Bousset (Digione, 27 settembre 1627 - Parigi, 12 aprile 1704), scrittore, vescovo cattolico, teologo e predicatore francese] e di Fenelon [Fénelon, pseudonimo di François de Salignac de la Mothe-Fénelon (Château de Fénelon, 6 agosto 1651 - Cambrai, 7 gennaio 1715), religioso, teologo e pedagogo francese], il modo d'essere dell'ente rimane una ipotesi, ed essendo provato nella storia di tutti i tempi quanto sia malagevole e rovinosa la vita fondata sulle ipotesi, oggi sorge la necessità di appagare il senso morale delle generazioni mediante la certezza della scienza organizzata in famiglia dalla Scuola Materna, la quale, rea- lizzando più positivamente l'unità concettuale del finito e infinito, ed esigendo la rigorosa os- servanza della legge morale, fonderà quella libertà di coscienza che lascia, appunto, a ognuno la libertà di credere come vuole senza il bisogno delle corporazioni (religiose), le quali inuti- lizzano una vasta classe di cittadini, arrestando lo sviluppo della ragione e i progressi della ci- viltà. {43} A causa degli interessi legati a queste vecchie istituzione, i preti di Roma e i loro seguaci gridano la croce (crociata) addosso a me che li contrasto (gridare la croce, nel senso di dir male, provo- care biasimo, odio, persecuzioni contro di me). Ma questi signori sono ingiusti: i principi della civiltà sono al disopra di ogni utile di par- tito e di casta. Se i preti di Roma e i fanatici loro seguaci pensassero che anch'io fra tutti fui credente; se sapessero che non è rimasto alla mia famiglia, impoverita dalla tirannia (borboni- ca), che un solo figlio prete a sostenere l'onorando mio vecchio genitore, e che, convinto tutta- via dei mali che questo stato di cose arreca all'umanità, desidero ardentemente una salutare trasformazione, anche col sacrificio dei miei più intimi e di me stesso, sono certo che sapendo ciò, ne seguirebbero l'esempio e, invece di maledirmi, stenderebbero la mano per uscire tutti insieme dalla posizione umiliante e incerta in cui l'organizzazione sociale, fondata su un falso sistema, ha trascinato tutti. Son certo che invece di chiamarmi loro nemico, apprezzerebbero il buon volere che dimostro nel voler che tutti tornino a essere uomini dignitosi, sottratti all'ub- bidienza dell'alto clero che li fa schiavi, e che siano collocati nella legittima posizione di tutti gli altri cittadini, onde con l'ingegno e con l'opera rendersi benemeriti della società.

NOZIONI DI LINGUE. Acquistata in tal modo la determinata (particolare, specifica) e limpida cognizione di sé, e del modo di attivare e conservare l'armonia e l'unità nella duplice potenza della vita (materiale e spirituale), si presenta altresì il fenomeno del linguaggio che rivela nell'uomo il bisogno della socialità. Dante ne esprime così solennemente l'importanza: Opera naturale è ch'uom favella, Ma così o così, natura lascia Poi fare a voi secondo che v'abbella. (26)

E perciò, questa condizione necessaria si origina dalla natura stessa che la impone a causa della debolezza e incapacità dell'essere finito di provvedersi, da sé solo, dei mezzi di sussi- stenza. Quindi se gli uomini fin dalla nascita sono sollecitati da tale tendenza, da tale disposi- zione naturale, allora le donne, al pari di essi, devono apprendere nella Scuola Materna, sin dal nascere, come possano snodare la lingua (cioè che inizino a parlare, spec. con facilità e abbondanza) e scam- biare vicendevolmente con i loro simili gli enunciati (le proposizioni, le affermazioni, le sentenze, i giudizi ecc.) del sentire (sfera affettiva o etica dell'animo) e del pensare (sfera dell'attività del pensiero, della capacità d'intendere), perché si procaccino, l'un l'altro, forza e sostegno per vivere e svilupparsi. Ritengo che la qualità distintiva, la caratteristica specifica del linguaggio in genere, sia non solo espressione dell'intima natura (cioè del complesso delle qualità, tendenze, disposizioni che si considerano inna- te, preesistenti all'educazione) degli uomini, ma anche della universalità delle cose, perché, quantunque non si riscontrino nei loro segni e nelle loro voci le ritmiche composizioni del linguaggio umano, tuttavia le modalità di espressione si attagliano (si adattano, si confanno) perfettamente allo scopo del linguaggio: - i legami di coesione nei minerali; - i fenomeni dei vegetali [quali, per esempio, quelli: "che si rapportano a tutto ciò che appartiene alla vita, ed alla morte dei ve- getabili, ch'è il soggetto della chimica vegetabile. Questi fenomeni abbracciano la germinazione, l'influenza dei terreni diversi, gli ingrassi, la

71 fogliazione, la formazione del legno, la caduta delle foglie, la sfogliazione, la fiorizzazione, la fecondazione, la maturazione dei frutti e delle sementi, la nutrizione delle piante, l'ascensione del succo, l'influenza dell'aria, dell'acqua, del calore, del sole, dell'ombra, delle atmosfere va- riate sulla vegetazione, la natura del gas che esalano i vegetabili, la composizione dei loro succhi comuni e proprj, dei differenti loro materia- li; le alterazioni naturali di questi succhi, i loro cangiamenti, ed i loro passaggi successivi, la distruzione dei vegetabili morti nell'acqua, nell'aria, nella terra, la formazione dei bitumi, delle torbe, dei terricci, ed in generale tutto ciò che può rischiarare la fisica vegetabile." - pp. 285-286, in Fondamenti della Scienza Chimico-Fisica Applicati alla formazione de' corpi ed ai Fenomeni della Natura. Opera di VINCEN- ZO DANDOLO, Sesta Edizione, Volume Primo. In Venezia 1802, Digitalizzato Google.] che corrispondono a una certa, indubitata, reale manifestazione della loro propria natura; - i segni vocali e automatici dei bruti (animali, bestie) che l'uomo, stante la sua imperfezione e limi- tatezza, non riesce a intendere se non poco o nulla. Per me, tutto ciò che esiste è parola; proprio per questo ritengo fermamente che in essa sia ri- posto il grande segreto ideale della natura umana, come causa originaria, o meglio, come cau- sa e genesi della vita del mondo. La lingua dunque ha tanta importanza quanta gliene annettono le varie famiglie umane, le quali trovano in essa l'anello di congiunzione che avvicina i membri (li accomuna, e li fa sentire più simili creando un rapporto più stretto) e fonda la loro unità sul principio dell'origine comune. Tralasciando il linguaggio muto e simbolico delle cose che possiamo intendere (capire, com- prendere) solo rapportandolo al fine cui le cose sono destinate; e volendo limitarci esclusivamen- te al linguaggio che mette in comunicazione gli esseri razionali fra loro, dobbiamo calcolare in tutto il mondo circa 2000 lingue e 5000 dialetti. Insieme a questo segno inequivocabile delle prime origini e alleanze dei popoli, l'etnografia ha fornito alla scienza un metodo sicuro per scoprire la rimarchevole varietà del sentire e del pensare di ciascuno. Sicché lo si è reso il più valido ed efficace titolo per annodare relazioni e anche come soste- gno per affermare il principio di nazionalità (il diritto politico in base al quale nell'Ottocento una nazione poteva for- mare uno stato indipendente entro i suoi confini territoriali / il principio per il quale ogni nazione, in quanto fondata su radici etniche, lingua, tradizione e storia comuni, dovrebbe essere costituita in uno stato politico indipendente e sovrano), che si reclama da tutti quelli che vogliono perseguire, e conseguire, il benessere sociale in modo autonomo: pratica- mente da tutti quelli che sin dalla nascita si aprono alla vita sociale, al rapporto con gli altri e allo scambio di idee, affetti e sentimenti. L'Europa, senza dire delle altre parti del globo, annovera le lingue greche, germaniche, latine, albanesi, lettiche (della "gran nazione lettica, che comprendeva i Prussi, i Lituani, i Curi, i Livoni ecc.", in Il Politecnico, repertorio mensile di Studj Applicati ..., Volume IV., Milano, 1841, p. 589. Vd. anche De Gruyter, Wolfgang Schweickard (Ed.) Deonoma- sticon Italicum (DI), Volume II: Derivati da nomi geografici (F-L) - Digitalizzato Google), scandinave e slave, aventi con il sanscrito dell'India l'origine comune, che formano la cosiddetta famiglia delle lingue indoeu- ropee di cui fa parte anche la lingua zenda [Vd. Rivista Europea, Nuova serie del Ricoglitore Italiano e Straniero, Anno I, parte III., Milano 1838, pp. 457-459] di Persia, antica lingua iranica, la meno corrotta e la meno distante dalla comune origine. La lingua latina che nacque dalla fusione dell'etrusco, del sabino, dell'osco e più tardi del greco, non appena i romani, spirito guerriero, la imposero ai popoli conquistati, divenne lin- gua comune per la maggior parte di essi; ma, seguendo le stesse sorti del popolo romano: - inizialmente, nell'età della giovinezza (appunto del popolo romano), fu vigorosa e incisiva; - successivamente, nell'età della corruzione dei costumi, degenerò, perse vigore e forza; - infine, nell'età del declino e della caduta, decadde. E con la sua decadenza, diede origine: allo spagnolo o al castigliano in Spagna; al francese, al provenzale e all'occitanico (lingua d'Oc) nelle Gallie, in Belgio, in Svizzera, in Catalogna, ad Al- ghero (Sardegna), a Valenza, nelle isole Baleari; al portoghese in Portogallo; alle lingue romanze 27 (neolatine), alla lingua scetica (?) ( ), al romancio (lingua costituita dai dialetti ladini parlati nel cantone svizzero dei Grigioni), al ladino (gruppo di dialetti neolatini parlati nei Grigioni svizzeri, nelle valli dolomitiche e in Friuli), in Engadina (una valle della Svizzera meridionale) e nel Cantone svizzero dei Grigioni; al valacco negli Stati Danubiani (28); e all'italiano in Italia. E l'italiano è quella lingua che giustifica e reclama il parentado di 26 milioni di persone; e che ci consente, sin dalla nascita, di rapportarci con la vita ideale. Ragion per cui, perché la madre possa davvero dare inizio allo sviluppo intellettivo del figlio, è necessario che promuova lo studio della lingua patria, simultaneamente e unitamente

72 alla prima condizione educativa di cui sopra. Non già lo studio della lingua goffa (grossolana, priva di finezza) e insulsa (banale, vacua, futile) che si parla per le strade del municipio, o di quella che si uti- lizza oggidì in casa, in famiglia, per i racconti che si fanno davanti al focolare; bensì di quella che è intesa da tutta la nazione come forma idonea del sentimento e del pensiero. Un tempo imperava il malvezzo d'istruire i fanciulli esclusivamente con lingue inusate (che non sono nell'uso comune; p.e.: latino e greco). Indubbiamente questo produceva il grande svan- taggio: - di renderne ostico e stucchevole (che viene presto a noia, che produce fastidio e stanchezza) lo studio, perché mancante del fattore motivazionale ad acquisire un bene prossimo; - di rendere il discente impotente ad allargare il proprio orizzonte culturale e relazionale cui tende con la mente e con il cuore; - di togliere, anzi rubare, gli anni più preziosi agli studi più severi che rendono più pregevole l'impero (cioè l'autorità di comando, piena e assoluta; il dominio, la signoria) dell'intelletto. Credo, e spero che questo malvezzo venga abbandonato, e che le educatrici, conformemente al sistema della riflessione da utilizzare nella Scuola Materna, mettano tutto lo scrupolo pos- sibile nell'imboccare i fanciulli, nel mettere cioè loro in bocca il nome delle cose come deve essere detto e udito qui, in questo bel paese, e non già come detto e udito nelle/dalle passate generazioni. Se siamo italiani, allora dobbiamo conversare con gli italiani e vivere italianamente (secon- do il carattere, le abitudini, i costumi e la lingua degli italiani). Se è così, perché disattendere la necessità attuale di apprendere la lingua viva, intesa da tutti, per l'illusorio (ingannevole) bisogno o la falsa gloria di voler tornare a conversare esclusivamente con i morti, padri nostri? Lo studio ex professo (con cognizione di causa, con competenza) del latino e del greco, come di qualsi- voglia altra lingua disusata, è da ritenersi necessario non per le persone comuni, ma solo ed esclusivamente per i dotti nella cui mente quell'antico venerando pensiero, ormai cadavere, viene vivificato da un sentimento di riverenza quasi religiosa. Nociva è l'opinione pretesca (propria dei preti, conforme alla mentalità dei preti) di voler diffondere la ve- rità in lingua latina, da imporsi nelle scuole come studio di prima necessità. I nostri padri do- vevano studiare il latino, perché lingua d'uso dei loro tempi e unico mezzo di comunicazione sociale; ma ora vi è un bisogno opposto. Noi sentiamo invece di dover usare la lingua italiana vivente (attualmente parlata), come gli altri popoli la loro; e tanto più la dobbiamo usare, perché la lingua italiana è simbolo di emancipazione, è simbolo di libertà: nacque come reazione dello spirito nazionale contro il papato e l'impero, e si rifugiò a Firenze e qui crebbe quando Firenze era repubblicana. Quindi, se intendiamo chiamare le generazioni a essere partecipi delle salu- tari massime, come può conseguirsi ciò se tali massime si presentano sotto una veste che loro non conoscono, e di cui non sono in grado di veder con chiarezza l'idea riposta (vale a dire il concet- to, il significato essenziale che è alla base)? Se si vuol promuovere la salute delle menti e dei cuori sosti- tuendo l'educazione civile alla rediviva (tornata in vita) corruttrice scuola pagana, bisogna comin- ciare ad allontanare gli ostacoli che finora si sono frapposti, e il primo fra questi è la difficoltà naturale che lo studio esclusivo della lingua latina assolutamente comporta. Senza dubbio si deve far ricorso alle lingue madri per investigare l'etimologia; e senza dubbio è da tributarsi alle lingue madri quel rispetto che i posteri devono agli antenati; ma senza dimenticare che, a rigor di logica, è urgente apprendere la lingua italiana vivente, e avendo tempo e opportunità anche il francese e l'inglese, più usate nel commercio dei due mondi in cui entreremo fatalmente con l'apertura dell'istmo di Suez. Passando ora al modo di apprendere la lingua, è necessario rivolgere l'attenzione allo scopo di questo studio, perché dallo scopo se ne può determinare più rettamente la ragione (il fondamento oggettivo e intelligibile) dei mezzi. Si domanderà dunque elementarmente a quale scopo si apprende la lingua. Di certo si risponderà: per acquistare il mezzo idoneo per comunicare agli altri le nostre idee. Quindi, se la lingua è nella parola e questa deve significare l'idea che ha in sé, allora non

73 si può insegnare la parola al fanciullo in modo meccanico, alla maniera del cieco empirismo che non ne investiga né le origini né le finalità, ma lo si deve in modo scientifico, precisando appunto la provenienza e l'idea cui essa mira. Pochi, anzi pochissimi, hanno inteso questa verità accennata dal Vico nella sua Scienza nuova, e la maggior parte dei filologi ha trascurato lo studio dell'idea nella parola, la quale o è rimasta senza spiegazione o, trasnaturata (degenerata, mutata in peggio, o meglio, "fuor dell'uso naturale"), è stata d'intralcio alla determinazione del suo retto (giusto, esatto, conforme alla norma) significato. {44} Ragion per la quale la mente ha ingarbugliato (intricato, complicato) i suoi giudizi, e nonostante i molti stenti (le difficoltà e le fatiche che ha dovuto affrontare) e travagli (le sofferenze spirituali e i tormenti che ha dovuto patire) è affondata in un mare di fallacie. I lessicografi che avrebbero potuto districare le difficoltà cui si fa riferimento, si sono li- mitati solo a spiegare la parola dal punto di vista grammaticale, trascurando la parte ideale (l'dea, la parte sostanziale, il contenuto semantico) di cui si ha maggiore bisogno e senza la quale non si conse- gue quella utilità che una nazione deve aspettarsi dallo studio della propria lingua. E quel che più ci addolora, è il vedere una così grande ricchezza di voci perdute negli idiotismi (nelle locuzio- ni, espressioni o costruzioni linguistiche, proprie di una data lingua o di uno specifico dialetto, dotate di particolare espressività e difficilmen- te traducibili in modo letterale) dei nostri innumerevoli dialetti, senza che nessuno avesse anche ora ma- nifestato un vivo impegno a raccoglierle e situarle fra le voci bellissime che formano (rappresen- tano, costituiscono) l'incantesimo (il fascino, l'incanto, il prestigio) dell'idioma italiano. Deh! si lasci una buona volta questa negligenza peccaminosa che ci induce a mutuare (prendere da altri, quasi prendere in prestito) da oltremonte frasi e modi di dire che ci rendono stranieri in pa- tria, e ci fanno sembrare poveri quando invece non lo siamo. A questo proposito, un'alta per- sonalità francese, apprezzando più di noi la grandezza della nostra lingua, scriveva a un suo contemporaneo italiano: "Noi francesi dobbiamo dire quel che possiamo, voi potete dire tutto quello che volete". Perciò, se, per quel tanto che i nostri classici hanno scritto, è sembrato che noi possedes- simo un'invidiabile ricchezza, allora non sembrerebbe ancor più ricco questo nostro soave idioma se alle parole di grande chiarezza ed eleganza formale raccolte nei lessici, si aggiun- gessero quei modi belli ed eleganti che sono sparsi fra le plebi rozze e incolte, e che, essendo per lo più di conio latino e greco, sono legittimamente e assolutamente di nostra proprietà? Sì! lo possiamo dire: questo bene prezioso ci appartiene veramente, perché nient'altro le- gittima l'uso dei vocaboli quanto il rapporto, per così dire, discendentale (di discendenza diretta) con queste lingue. Del resto non possono comprendersi a fondo le finalità pratiche della no- stra lingua, se non si scoprono le radici dei vocaboli nel latino e nel greco; e anche perché en- trambe le lingue per tale scopo sono assai utili: però non imparacchiandole (cioè imparandole poco o male, e svogliatamente) solamente come si è fatto nel passato, né applicandosi completamente allo studio della grammatica come chi dovesse parlarle e scriverle, bensì acquistandone solo la ra- gione etimologica, perché possa servire d'aiuto nel determinare il significato preciso delle pa- role. Leopardi, Giordani, Puoti, Settembrini, del Buono, Francesco de Sanctis, Ranieri, Tom- maseo {45} e tanti altri dotti ne poterono compiere l'intero studio, meritando a ragione la lode di tutti; nondimeno non può non rilevarsi che essi non hanno affatto potenziato o migliorato la condizione della propria lingua. Di certo avrebbero reso il loro lavoro, assai coscienzioso e forte, di grande utilità per la nazione se avessero ricavato, nelle tante ore di veglia trascorse sui libri di latino e greco, quell'ideale, vale a dire il senso (il significato essenziale), riposto nel patrio idioma, non ancora scoperto né messo in luce, per arricchirne la scienza (e conoscenza). Intanto, per cooperare da parte nostra alla buona riuscita di un'impresa siffatta, bisogne- rebbe, anche se non in ciascun municipio, almeno in ciascuna provincia, che coloro i quali aspirano alla gloria delle lettere, curassero di raccogliere le voci di buona lega con cui compi- lare vocabolari secondo il principio dell'effettiva e chiara espressione della idea che il nostro tempo pretende di vedere rilevata, onde la lingua persegua le sue nobili finalità e la filologia concorra così al progresso della scienza. E tanto più che, stante l'applicazione (tecnologica) 74 delle scoperte fisiche che hanno moltiplicato i fattori (produttivi, di produzione) dell'umana attivi- tà, si richiede continuamente di coniare nuovi vocaboli tecnici derivandoli dalle lingue classi- che o viventi. {46} Si è scrupolosi nello statizzare (statalizzare) i mezzi dell'industria e della ricchezza materiale, perché non deve farsi altrettanto per la parola, che così grandemente partecipa alla luce e alla ricchezza del pensiero? Se, grazie a una grande ripresa lessicografica, si realizzasse davvero un tale progetto, al- lora ci si potrebbe davvero vantare di aver conquistato l'unità della lingua e con questa anche l'unità del pensiero che essa racchiude in sé, e quindi l'unità del fatto (cioè della concreta realtà) che spunta da siffatta unità della lingua e del pensiero. Solo così si potrebbe sostituire l'ignoranza con la scienza; la rozzezza del dialetto con la gentilezza del pretto (puro, genuino) idioma; la manifestazione sensibile di una forma verbale brut- ta e disarmonica con le forme delicate che nobilitano sia l'attività intellettiva sia la coscienza morale dell'uomo. Il che, se si verificasse, per l'istintiva aspirazione dello spirito a investigare le ragioni delle co- se, accenderebbe d'entusiasmo gli adulti per l'apprendimento della propria lingua, e ancora più gioverebbe al bambino nella prima età, quando è allo stato naturale e non ancora peggiorato (reso peggiore) dai dettami (principi, norme, regole) dei falsi metodi. Quindi, la pedagogia della Scuola Materna, almeno nelle classi bennate, curerà che le donne imparino ad abituare il fanciullo a riflettere sui fatti concreti; e, appreso il loro nome tecnico, imparino altresì a portarlo piano piano alle radici etimologiche cui esso (nome) fa capo, e dalle quali si ricava l'intelligibile di quel nome (ciò che può essere compreso non coi sensi ma col solo intelletto), ponendo in evidenza nello stesso tempo - richiamando cioè la sua attenzione su - i rapporti della cosa che si vuol denotare (causalità, finalità, modalità, relazionalità, ecc.). Sicché, in questo modo si predisporrà il bambino in tenera età ad apprendere l'esatta etimologia dei vocaboli, cioè ad acquisire mentalmente l'idea precisa che questi devono esprimere, e, dopo una breve ininter- rotta esercitazione, perverrà al pieno possesso di quel patrimonio razionale (complesso dei frutti della ragione), cui le vecchie scuole non sono mai giunte con il pedantesco lavoro di un'intera vita. Però, insieme al citato insegnamento che, per rendersi più proficuo, deve impartirsi a viva voce, oralmente cioè, non riuscirà malagevole far scomporre i vocaboli nei loro elementi co- stitutivi e con immagini scelte in funzione delle capacità apprenditive del fanciullo, fargli comprendere, mentre legge e scrive, le leggi foniche, ritmiche, ortografiche, ortoepiche, fino a che non sia in grado di esaminare i giudizi formulati ed espressi tramite l'unione di due o più voci (giudizio: operazione logica che connette, affermativamente o negativamente, un soggetto con un predicato). In tal modo si procederà senza intoppi anche con la sintassi, applicando le regole spiegate o comprovate sempre con abbondanti esempi tratti dai classici. Perciò, completata quest'ultima fase, si può dire di aver dato al fanciullo le vere, fondamentali, precise nozioni di cui ha bisogno per as- sumere a buon diritto il titolo di conoscitore della lingua patria. {47}

NOZIONI DEL MONDO ESTERNO. La donna, altrettanto agevolmente, può riuscire ad ac- quistare le cognizioni del mondo esterno. Chi pone mente al modo di procedere della natura, al metodo ch'essa segue per fissare i rapporti delle cose, vede facilmente che anche in questo studio si debba partire dal noto all'i- gnoto, da ciò che è vicino a ciò che è lontano, dal molteplice all'uno. La geografia che riassume e comprende in sé le teorie di questa trattazione, e a cui deve ricorrere chi intenda veramente possedere nozioni precise sulla struttura dell'universo e sui vari suoi partimenti: produzioni, razze, posizioni, civilizzazione, credenze religiose, indole degli abitanti, clima, costume, regime politico e amministrativo, se non di tutto o di parte del mondo, almeno del proprio paese. La geografia è una disciplina antica [Vd. Eratostene (Cirene, c. 275 a.C. - Alessandria d'Egitto, c. 195 a.C.), Ipparco di Nicea (Nicea, 190 a.C. - Rodi, 120 a.C.), Pomponio Mela (geografo e scrittore romano del I secolo), Strabone (Amasea, ante 60 a.C. - Amasea (?), 23 d.C. circa), Marino di Tiro (seconda metà del I sec. d.C. - prima metà del II sec. d.C.), Claudio Tolomeo (Pelusio, 100 circa - 175 circa), ecc.], notoriamente utile anche alle persone non raffinate

75 dall'educazione e dalla cultura, e disattente. Ma l'aver voluto battere una strada tortuosa, l'aver fatto sempre finta di non conoscere la strada maestra per la quale si doveva raggiungere lo scopo, anteponendo il soprannaturale al sensibile, l'ignoto al noto, ha fatto sì che i poveri di- scenti: - o ignari della sua importanza, ne hanno intrapreso lo studio in modo spensierato (con superficiali- tà) sino a disprezzarla; - o vi si sono dedicati con disamore (disaffezione, indifferenza) e svogliatezza (negligenza, apatia, indolenza), tanto da risultare impreparati nel campo appunto della geografia anche dopo aver compiuto l'ordinario corso di studi. Infatti, il fanciullo, cosa avrebbe potuto apprendere quando gli si mostrava l'intero globo a lui ignoto, che non trovava riscontro (conferma) in alcun tipo di noto della sua mente, né poteva essere messo in rapporto con alcuno dei reali concreti che lo circondavano, per lui significati- vi? Come avrebbe potuto orientarsi in base alla culminazione di un astro (posizione che un astro assu- me rispetto a un osservatore quando passa per il meridiano del luogo di osservazione. Ad es.:, la latitudine si misura facilmente basandosi sull'altezza della Stella Polare sull'orizzonte. Tale misura si può ottenere anche facendo la media fra la culminazione superiore e la culmina- zione inferiore di una stella circumpolare, ecc.), quando non vi era stato preparato tramite l'analisi minuziosa delle gradazioni interposte tra lui e l'universo? Anche le menti colte e perspicaci diventano impacciate quando, volendo acquistare nuove cognizioni, procedono in un modo così irrego- lare. Le stesse, benché fornite di intelligenza non comune, benché favorite da una forza genia- le che le abilita a penetrare nell'essenza delle cose fino all'elemento ultimo e indivisibile della realtà, a saper prevedere ciò che potrà accadere in futuro e quindi l'evoluzione degli avveni- menti, nondimeno devono incontrare in questo percorso ideale l'opposizione di ostacoli che richiedono il raddoppiamento degli sforzi, una notevole capacità di sopportazione e soprattut- to pazienza. Quindi, per fermare nella mente una serie sistematica di nozioni, spesso hanno dovuto impiegare la maggior parte del loro tempo, e forse anche l'intera loro vita, senza poter possedere le verità per le quali si logorarono in prolungate veglie notturne. Se dunque per il genio che non si sente impacciato di fronte a ostacoli di spazio e di tem- po, si è dovuto, a causa del metodo errato, ripetere la trita sentenza ars longa vita brevis (29), la si dovrebbe a fortiori ripetere poi per la numerosa schiera delle persone dotate di capacità mentali assai modeste e che non si distinguono per alcun pregio o qualità particolare, se, per- sistendo nel vecchio sistema, volessero tutt'a un tratto muoversi a riflettere su un ideale con- cepito dallo spirito e dall'intelletto, che non mette radici (o meglio, che non si radica) nel reale, cioè nel concreto che essi vedono e di cui hanno piena e sicura certezza! Quindi, per procedere con ordine, bisogna cominciare dall'individuo, passare poi, di gra- do in grado (un passo alla volta, a poco a poco), alla famiglia, al municipio, al circondario, al distretto, al- la nazione, alle parti del globo, fino all'universo. E altresì, far comprendere che l'individuo è parte della famiglia, la famiglia parte di un popolo, un popolo parte di una nazione, una na- zione parte dell'umanità. E infine, far acquistare con la stessa regola l'idea precisa dell'esten- sione territoriale, l'organizzazione municipale, il sistema di governo, le industrie, il commer- cio, il culto e quanto, in relazione agli argomenti predetti, può essere oggetto dell'esatta co- gnizione che ci si aspetta. Cosicché, procedendo in tal guisa, il discente in modo analogo comprenderà senza stento (senza problemi, facilmente) la complicata struttura dell'universo, l'obiettivo cui tendenzialmente mira la geografia. E in breve, con mirabile economia di lavoro, giungerà al pieno possesso della lu- ce (della scienza) che lo eleverà intellettualmente e spiritualmente: proprio ciò cui egli si at- tendeva come scopo delle sue riflessioni.

NOZIONI DI STORIA. Alla istituenda Scuola Materna, giova pure l'importante insegnamen- to della storia. La storia ha in sé la ragione segreta di tutto ciò che ci circonda, e ogni cosa che ha vita, ha la sua storia. Quella dell'uomo inizia dal momento in cui lasciò i riposi dell'infanzia, per

76 esercitare le proprie facoltà ai fini della produzione. E quindi, per quanto concerne l'essere umano, l'attività è l'unico titolo che può renderlo degno della memoria dei posteri. E la storia non ha per fondamento che quest'attività, perché oltre all'opera elementare trasmessaci dalle oscure tradizioni, quanto esiste nel mondo esterio- re, è ordinato al suo fine e, nella fattispecie, all'attività umana. Solo i giudizi distorti, concepiti e formulati nel corso dei secoli dalla scuola ieratica (cleri- cale), attribuiscono la beatitudine (la felicità assoluta) all'accidia, uno dei sette peccati capitali. Sappiamo tutti che la vita consiste nel movimento, e che vive di più, chi più si muove. Teniamo cara questa vita, perché è un bene, tanto quanto odiamo l'immobilità della morte, perché è un male. E intanto, paradossalmente, al pari del volgo, giudichiamo felici le anime inerti, oziose, inattive, che assonnano (perdono tempo) tra le lusinghe (allettamenti, blandizie) della ric- chezza e del potere, e gli splendori (magnificenza, sfarzo, sontuosità; opulenza, ricchezza) del lusso; mentre d'altra parte diamo dell'infelice all'operaio, al contadino e a chi fa il viaggio della vita a piedi: lavorando duramente e sudando per procacciarsi di che vivere. Oh! se gli italiani, comprendendo un giorno che, pur possessori della terra più fertile del mondo, vivono nella più grave penuria per difetto d'intelligenza e attività, faranno diffondere con la Scuola Materna i lumi della chimica e delle altre branche delle scienze naturali che hanno attinenza con la trasformazione e la produzione, son certo che questo basterà da sé solo per farli ricchi e felici quanto giammai lo sarebbero per altra via. A questo riguardo, la nostra civiltà è anche seconda (cioè inferiore nella scala gerarchica) a quella dei periodi storici di cui giudichiamo e critichiamo gli istituti (ad es.: giuridici, sociali, politici, culturali e sim.). Qualcuno dei grandi padri latini, di cui non mi sovviene il nome [non c'è, ma potrebbe esser- ci], per mantener desti i Romani, non voleva che fosse distrutta Cartagine, preferendo il lavo- ro funesto (che cagiona morte, lutti, rovine, dolore) della guerra all'inerzia (procedente da pigrizia, da indolenza, da torpore spirituale) sterile, infruttuosa, inconcludente. Infatti, Roma, vinta e depredata quell'emula nazione e compiute agevolmente le conquiste asiatiche, si abbandonò alle mollezze del lusso e, svigorita, cadde in un profondo avvilimento. Questo modo di pensare così impari allo scopo, ha incoraggiato la mendicità, discreditato l'eroismo, moltiplicato i bisogni, isterilendo le forze muscolari che, congiunte con le forze della natura, avrebbero accresciuto la floridezza e gli agi. Da ciò è nata la lusinga (illusione; sogno, utopia) che ogni contadino possa avere in pentola un pollo, come diceva Enrico IV [Enrico III di Na- varra, in seguito Enrico IV di Francia (1553-1610), re di Francia dal 1589 alla sua morte. "Je veux que le dimanche chaque paysan ait sa poule au pot" (Voglio che, la domenica, ogni cittadino abbia la sua gallina bollita) - Vd. p. 348 de Histoire du Roi Henri le Grand, Nouvelle Édition, Lyon 1812. https://ia800504.us.archive.org/11/items/histoireduroihe1812pr/histoireduroihe1812pr.pdf ]. E per questa ra- gione taluni, spronati a ottenere grandi fortune di cui giammai sarebbero entrati in possesso con un onesto lavoro, per farsi ricchi hanno ambito i poteri dello stato; senza merito alcuno, si sono lanciati sugli impieghi pubblici proprio come i medici allopatici che attaccano "l'organi- smo con rimedj violenti e non adatti" (p. 75) (es.: "i salassi, le coppette, l'applicazione delle sanguisughe, divenute al dì d'oggi più che altro una mania, i sudoriferi, le ulceri artificiali, i setoni, le fontanelle, gli esutorj, etc. etc.", p. 192) sino ad affrettare "la distruzione della macchina umana" (p. 191) [Samuel Hahnemann, Malattie croniche: loro vera origine, e cura omio- patica, Traduzione dal tedesco sull'edizione di Dresda e Lipsia 1828, da Giuseppe Belluomini, Tomo 1° Teramo 1832 (sino a pag. 212), To- mo II. Teramo 1836. Digitalizzato Google]; si sono dati agli spudorati scrocchi (Fanfani, p. 1408/1721, "Scrocchio, s.m. Sorta d'usura che consiste nel dare e torre a prestanza, in cambio di danaro, robe per grande e sconvenevolissimo prezzo, per doverle poi ri- vendere con notabile scapito."), alle concussioni, alle imperdonabili usurpazioni, alle usure onerose, alle taglie sulla prostituzione (cioè a taglieggiare le prostitute, a estorcere criminosamente somme di denaro con la minaccia di pro- vocar loro danni), alle falsità, all'ipocrisia, all'impostura, alle finzioni, al mercimonio della propria coscienza e a tutte le male arti (astuzie, artifici, maneggi scaltri. Vd. Il Progresso della scienza, lettere ed arti: opera periodi- ca, Anno VII. Volume XIX, Napoli 1838, p. 305: Stato Politico. Vantaggi e mali delle Capitali. "Popolazione e ricchezze fanno potenti le nazioni, e sono esse perciò il vero oggetto della politica saggia, e non di quella che raggirasi nell'infingere, nel vantaggiarsi degli errori altrui, nel mancar di fede, ne' sotterfugi e negli artifizii; si lascino queste male arti a' deboli, chè il potente non le cura e disprezza.") e inganni del mondo, lasciando la grande maggioranza operaia, cenciosa (vestite di cenci, di abiti vecchi, logori, strap- pati), dietro ai carri su cui essi salgono baldanzosi per insultare la pubblica miseria. Nel libro dei destini dell'uomo [la Bibbia] è scritto però: mangerai il pane col sudore, e

77 questa frase non si cancella, perché legge santissima alla quale tutti devono ubbidire. Chi non ereditò dai suoi antenati, chi non si creò una fortuna svolgendo un'attività moralmen- te sana (cioè improntato a onestà) e chi vive senza lavorare: o è un ladro o è un mendicante. Tutti de- vono stare lontani dai comportamenti disonesti e degradanti, perché solo l'attività del lavoro può garantire sicurezza e benessere sociale, e rendere la vita degna di lode. Promuova perciò la società con animazione (energia, forza) l'industria e il lavoro operaio al fine di distogliere le menti da tale avvilente (sconfortante, scoraggiante) linea di condotta. E si predichi nelle scuole e in ogni luogo, senza recedere mai: - che la vita del corpo sta nel movimento; - che la vita dello spirito sta nella riflessione; - che l'inerzia dell'intelletto e del cuore è un crimine di lesa dignità umana; - e che l'azione di queste due potenze improntate a saldi principi morali, è ricchezza, virtù, storia. Quindi, se la storia è forma (e materia) dell'attività umana, allora occorre che l'uomo na- scente, dovendo esplicarsi nel corso della sua esistenza in una delle pratiche maniere, ne in- tenda gli ideali (valori, principi ecc.) ai quali ispirarsi nel determinarsi, con cognizione di causa, a operare o a non operare, a far bene o a far male, a glorificarsi o a coprirsi d'infamia. Sotto questo profilo, la storia non è che una serie di giudizi concreti che hanno per sog- getto l'uomo che opera e agisce, e per predicati i suoi diversi fatti. Essa è strettamente connes- sa con la scienza speculativa (cioè la filosofia) che contiene in sé i giudizi analitici (es.: "In tutte le mutazio- ni del mondo corporeo rimane sempre immutabile la quantità della materia" pp. 205-206); "Tutto ciò che avviene dee avere una causa" (p. 206); in Opere dell'abate Antonio Rosmini-Serbati, Ideologia e Logica, Roma 1828 //Vd. infine Vincenzo Gioberti, Introduzione allo studio della filosofia, Tomo Secondo, Brusselle 1844, "La sentenza dei psicologisti, che tutti i giudizi a priori sono analitici, è vera, se si parla della cognizione riflessiva ecc.", p. 239) che lo storico deve applicare ai diversi casi concreti. Infatti, i giudizi sintetici della storia, qual fondamento e vigore possono avere dal punto di vista intellettivo, e come si possono concepire se non si presuppongono già presenti allo spirito i giudizi analitici dai quali essi devono essere dedotti, cioè ricavati per deduzione (Cfr. Tommaseo-Bellini, dedurre: "8. L'uso più com. concerne il ragionamento. Deducesi idea da idea, giudizio da giudizio, conducendo quasi la propria e l'altrui mente. ... Deducesi anco da fatti o verità gen.". E deduzione: "2. Senso intell. (Rosm.) Deduzione è quell'operazione della ragione, per la quale il giudizio implicitamente contenuto in un superiore, pronunciasi esplicitamente, come stante da sè. È immediata o sem- plice, e dicesi di quella ch'è evidentemente contenuta in un'altra come sua prossima conseguenza; e mediata, che dicesi anche argomentazio- ne o raziocinio"), e dei quali non sono che una mera applicazione? (Ecco cosa dice, p. e., Rosmini in merito all'ap- plicazione della proposizione a priori <>: "Come succede quest'applicazione? In questo modo: 1° noi percepiamo un avvenimento; 2° noi lo riconosciamo come un effetto; 3° quindi conchiudiamo ch'egli dee avere una causa, perchè quest'idea è chiamata e richiesta da quella di effetto." Rosmini, ritenendo non corretta tale progressione, dà l'ordine giusto secondo cui devono stare le diverse proposizioni intorno alla causalità: "Principio a priori: ogni effetto dee avere la sua cagione. Fatto generale: ogni avvenimento gli uomini lo considerano come un effetto. Applicazione generale del principio a priori: tutto ciò che avviene dee avere la sua cagione." ibidem, p. 207) Come si potrebbero comprendere i fatti senza aver cognizione della genesi (logica) della causa che li produsse? Ecco perché la storia non può essere disgiunta dalla filosofia, e se ciò accadesse, si avrebbero soltanto, per quanto concerne la narrazione storica, una cronaca arida e priva di vita. (30) Noi non operiamo (agiamo) se prima non pensiamo, e il giudizio della mente deve sem- pre precedere il fatto, ed esserne il principio regolatore [Cfr. Tito Lucrezio Caro, De rerum natura, IV. (Trad. di Balilla Pinchetti, Rizzoli, Milano 1953), vv. 877 e segg.: "Giacché nessuno intraprende a far qualcosa se prima la mente non ha visto che cosa vuole; e di ciò che prevede, di questo c'è un'immagine." Il che mette in risalto l'intenzionalità della mente che pensa e che vuole.]. Perciò per conoscere la ragione segreta del secondo - cioè il fatto -, bisogna investigare il primo - cioè il giudizio della mente -. Ora, se tutti gli uomini - per somiglianza (identità) di natura - seguono lo stesso processo, volendo conoscere il fine dei loro fatti che rimangono ai posteri, allora si deve rivolgere il pensiero ai giudizi astratti (cioè della mente) che lo rivelano. L'esame logico di cui sopra ci fa comprendere l'importanza della concezione del Vico, il quale fondava sulla scienza, cioè scientificamente, il principio genetico (il principio esplicativo) della storia [l'uomo può veramente conoscere solo ciò che da lui è prodotto e fatto, poiché solo in questo modo può conoscere l'esatta genesi. In altre parole: Vico costituisce "una nuova scienza, la scienza appunto dell'accadere storico. Questa è l'ispirazione centrale della Scienza nuova: una scienza della storia è possibile perché il mondo della storia è fatto dagli uomini, per cui se ne possono ritrovare i principi e le leg- gi <>. Treccani on line, Dizionario di filosofia (2009), Giambattista Vico], e riconosceva il suo ausilio come essenziale ai fini della rigenerazione (rinascita, rinnovamento radicale) 78 della filosofia. Perciò, lo spirito umano, sia che voglia attribuire - tramite il giudizio - una co- sa a sé stesso; sia che voglia connettere - tramite il giudizio - un attributo concreto con un uomo pure concreto; sia infine che voglia unire o disunire - tramite il giudizio - qualità con- crete con realtà che non esistono: deve per assoluta necessità partire sempre dai giudizi astratti (cioè i principi e le leggi della mente umana) che successivamente si applicheranno a tali specie di giudizi. Come al contrario, volendo dare corporeità e vita ai giudizi puri (principi, leggi, categorie concettuali, ecc.), è necessario applicarli al concreto da cui l'umanità li attinge (e attingerà) con una più agevole percezione. Operando altrimenti, ossia disgiungendo la filosofia dalla storia: - la filosofia sarebbe malferma, priva di fondamento, oscura e inintelligibile, giammai utile e vantaggiosa per l'uomo, che essa perderebbe di vista; - la storia sarebbe inespressiva (inefficace, insignificante, vuota), di nessuna idealità (ideale, valore e principio ispi- ratore) e di nessuna utilità per lo spirito umano. Perciò l'insegnamento della storia deve procedere, a fil di logica (cioè ragionando rigorosamente), di pari passo con quello della scienza. La stessa riflessione che investiga i rapporti delle cose, deve far scoprire al fanciullo quelle nozioni astratte, quelle categorie concettuali che si vedo- no attuate nel concreto. Cosicché egli, abituato a elevarsi con l'intelligenza a sì grande altezza, giungerà senza dubbio ad acquistare l'onorevole titolo di pensatore pratico (che ha cioè una particolare esperienza o competenza in questo preciso campo), quale fu l'anima del Vico che costrinse dal punto di vista filosofico la storia a rivelare il processo logico delle umane espressioni (manifestazioni). Parimenti, il metodo di scrivere la storia ai fini dell'insegnamento, non può che essere diverso da quello adottato finora: ciò che si fa all'inizio, deve farsi alla fine; e ciò che si fa alla fine, all'inizio; la storia contemporanea deve precedere la storia dei tempi medi (Tramater, p. 71/597, "15. Dicesi Medio tempo, Quello che è scorso dalla decadenza dell'impero romano fino a circa tutto il decimo secolo. Lam. Antic. Noi ve- diamo che ne' tempi medii sono stati questi passi palustri nella campagna vicino a Firenze."); e a questa deve succedere la storia antica. Il veder, come si suole fare oggi, iniziare lo studio della storia dalle tradizioni dei patriarchi biblici, in cui vi sono tempi, uomini, usi e costumi del tutto ignoti e favolosi, è davvero un errore intollerabile. Curi perciò, la pedagogia della Scuola Materna, che non sfugga nulla al fanciullo e che questi esamini ogni cosa con attenzione: - cominciando dalla propria casa, faccia in modo che ne comprenda l'origine, desumendola dalle cose rimarchevoli che richiamano alla memoria i genitori o i progenitori; - poi, i monumenti, le rovine, il tempio, il castello, la lapide, i sepolcri, i nomi dei cittadini il- lustri; - infine curi che siano considerati con attenzione i luoghi del paese aventi un particolare signi- ficato per gli avvenimenti, gli eventi e i fatti memorabili ivi accaduti, e che siano argomento di curiosità perché il fanciullo domandi sempre: il chi, il quando, il perché, ossia chi fece quella data cosa, per quale fine e in quale tempo. Con questo metodo si accende a poco a poco nel cuore dell'uomo il sacro fuoco del pa- triottismo, sentimento nobilissimo, che dopo quello della propria esistenza, deve precedere ogni altro, perché ciò che abbiamo di bene, di glorioso, lo dobbiamo alla terra natia che ci diede i natali, e per la cui libertà e benessere si ha l'obbligo di fare olocausto anche della pro- pria vita, che è il più grande dei tesori. La persona che ha senso civico, vede benissimo l'importanza di questo concetto come viene inteso dai contemporanei, secondo i quali l'ideale della patria si rinviene solo nella mo- dalità della nazione. Da noi, invece, essendo prevalente la tendenza all'essere retrivi, all'essere stazionari o all'essere esclusi da quel che fa grandi e temuti gli altri popoli, si è detto patria un municipio di nessuna importanza dove vivono, come il bestiame raccolto in mandria in un re- cinto appartato, poche centinaia di famiglie su una assai ristretta estensione di terreno che dà appena (non più che, non più di, soltanto) aria pura da respirare, pane di che vivere, un luogo natale e un luogo per la sepoltura, rispettivamente, a chi vi nasce e a chi vi muore. Questo infelice municipalismo (o meglio, campanilismo), questa povera circoscrizione, in che co- 79 sa farebbe differire la tana del lupo o del leone dalla patria di colui che nacque per essere il dominatore dell'universo? È noto che il leone e il lupo, nella loro appartenenza alla naturale sfera istintuale, non soffrono prevaricazione, non soffrono gli attacchi, gli assalti di chi voles- se usurpar loro la tana. Invece quest'uomo, reso vile e debole dall'ignoranza, giace indifferente di fronte all'opera profanatrice dei suoi più sacri diritti. Chi si fa piccino e debole, trova il grande e il forte che lo sopraffanno. Da un canto, l'i- gnoranza del diritto genera debolezza; dall'altro, la coscienza del diritto genera forza. Perciò chi, a causa della secolare ignoranza, si è raccolto nella meschinità [ristrettezza, grettezza, piccineria (nel modo di pensare, di giudicare, di vedere le cose)] del municipio, ha perduto anche la virile forza dell'istinto che il selvaggio conserva e custodisce nell'animo, e a causa di questo decadimento (fisico, morale, mentale) si è creduto inferiore ai dominatori stranieri. Invece, quelle genti che scientemente han- no presidiato con la coscienza di sé quel patriottismo che genera l'imponente forza delle na- zionalità, vanno baldi e temuti, come se la natura, quasi fossero dei privilegiati, li avesse dota- ti di prerogative non comuni o come se la volubilità della fortuna li avesse destinati a domina- re su tutto e su tutti. Per carità, si tolga di mezzo questo esasperato differenziarsi, così sgradito alla sana (savia, illuminata) ragione, che ristabilisce l'albinaggio ["Voce derivata dalle due parole latine Alibi Natus. T. leg. e diplomatico. Legge per la quale in uno Stato è proibito a coloro che, nati altrove, non hanno ivi la cittadinanza, di percepire in detto Stato alcuna eredità, la quale, in caso che il defunto non abbia disposto dei suoi beni, nè abbia fra' suoi concittadini alcun erede necessario, perviene al fisco. Una tal legge era una volta vigente in Francia più che in alcun altro paese, ed evvi conosciuta sotto il nome di Droit d'Aubain." (Vanzon, p. 171/897)] tra i fratelli di una stessa famiglia, quali si devono considerare proprio i popoli di una nazione. Da un punto di vista puramente concettuale, in relazione all'universalità degli esseri umani, tutti siamo uomini aventi un'identica natura, un'autonomia individuale per quanto con- cerne i nostri rapporti esterni, un'aspirazione comune al progresso, al miglioramento del no- stro essere e alla tutela dei nostri diritti comuni. Perciò: - dove vediamo che ancora sussistano e perdurino le tradizioni dell'antico carattere e tem- peramento (31), proprio e distintivo della forza e dell'energia vitale del proprio paese; - dove vediamo usi e costumi identici ai nostri; dove vediamo che si parli un linguaggio non dissimile da quello cui noi siamo abituati; - dove vediamo che mari e monti determinino confini tracciati dalla storia come legittimo dominio dei nostri padri; là diciamo che si fecondi la vera vita cui fummo destinati per esser forti e non deboli, e man- tenere la nostra posizione storica con la genialità suprema del pensiero, con la prosperità eco- nomica e con la temuta imponenza di un volere concorde, esprimente cioè il consenso unani- me del popolo, che in un giorno può fare, appunto, del popolo intero l'esercito difensore dei suoi diritti violati, e di quelli dell'umanità. D'ora in avanti ci si astenga dal credere - il che è vergognoso e spregevole - straniero, nel luogo dove siamo nati, chi vide la luce in un altro paese d'Italia, come al tempo del feudalesi- mo. Dalle Alpi a Leuca, tutti hanno diritto di sentirsi figli di una patria comune, e l'accidenta- lità, la casualità della nascita non può tener vivo l'esclusivismo [Dal fr. exclusivisme (1835): Caractère de ce qui est exclusif; exclusif (XVIIIe). Qui tend à exclure tout ce qui est gênant ou simplement étranger] al fine di erigere barriere contro l'unità dell'Italia, che costituisce la prima tappa del risorgimento politico, l'indispensa- bile energia vitale, l'indispensabile elatere organico, della nostra individualità nazionale. Quale valore avrebbero mai avuto i magnanimi e gloriosi sforzi compiuti dai patrioti per ricomporci in una sola famiglia, onde raccoglierci intorno al focolare domestico d'Italia, e fondere e ridurre armoniosamente a unità gli affetti nel sacro legame nazionale, quando gli abitanti di una città dovessero trattare in modo incivile, come si è soliti, coloro che nacquero nei municipi vicini, dicendo: voi non siete nostri fratelli, voi siete stranieri? Il cittadino romano era temuto quando superbamente diceva: civis Romanus sum, perché accennava alla forza di un impero; gli Americani, i Francesi e gli Inglesi sono anche temuti quando pronunciano solo il nome delle rispettive nazioni; e noi lo saremo del pari se, rifug- gendo le miserie (meschinità, grettezza, piccineria, ristrettezza di idee) del municipio, vedremo le madri inse-

80 gnare ai loro figli a dire: SIAMO ITALIANI! Abbiamo anche noi un posto d'onore nella grande confederazione dei popoli! I fatti della storia devono perciò mettere sempre in rilievo, far emergere cioè questo lato nobilissimo dell'ideale nazionale che lancia l'uomo nel campo della gloria, rendendolo degno di ammirazione sia presso i contemporanei sia presso i posteri. Coloro che hanno considerato la storia esclusivamente dal punto di vista morale, accu- sando la natura umana (gli uomini cioè) di non essere in grado di elevarsi spiritualmente mediante i nudi precetti, hanno pensato che dovesse essere insegnata facendo viva impressione sull'ani- mo dei discenti con racconti pratici. Ebbene, se è così, se realmente la morale sta più nell'e- sercizio dell'operare il bene che nelle metafisiche dimostrazioni del bene stesso, chi impedisce alle madri, cui la natura affida il compito di far da balia ai figli, di presentar loro, con l'elo- quenza (forza espressiva, indiscutibile evidenza, capacità di convincere, di persuadere) dell'esempio tradizionale, le norme del retto sentire e dell'onesto operare? E altresì, chi impedisce, in un contesto di più ammorbante e disgregante corruzione, di presentare loro, anziché le mistiche lascivie (lascivia: eccessiva sensualità, licenziosità, lussuria, disso- lutezza) desunte dalla Bibbia, gli insegnamenti morali che formano il nobilissimo retaggio (pa- trimonio intellettuale e morale, di cultura o tradizioni che si eredita dal passato) dei nostri progenitori? Ebbene sì, l'opera pratica delle madri e le ricche tradizioni, vivificate dal racconto orale, colpiscono meglio l'immaginazione del fanciullo, e conformano i suoi atteggiamenti allo spi- rito (al significato morale, o meglio, alle virtù) che esse (l'opera materna e le tradizioni generose) racchiudono. Esse mostrano con l'evidenza dei fatti: - fin dove può giungere l'umana attività nelle sue infinite direzioni; - quale progresso ha compiuto il pensiero nel corso dei secoli; - quali trasformazioni ha subito la materia; - come l'uomo abbia errato dal giusto sentiero ("dal diritto cammino del vero", Tommaseo-Bellini), come sia precipitato in rovina (come "abbia perso il bene acquistato", Fanfani, p. 1166), come si sia salvato (moralmente, spiri- tualmente, economicamente, socialmente). Tutto è nelle tradizioni: il bene e il male, la virtù e il vizio, le gioie e le lacrime. E delle tradizioni ha un gran bisogno il fanciullo nella Scuola Materna, in quanto elemento positivo da cui spunta la concezione della vita. Gli antichi sentirono al pari dei contemporanei l'importanza di questo particolare modo di vedere, intendere, concepire le cose. A prescindere che nello scrivere la storia, essi delinearo- no con estremo rigore la fisionomia della loro epoca storica mediante chiaroscuri caratteristi- ci, come fece il greco Polibio nella gioventù e Tacito nella decrepitezza di Roma, rispettiva- mente, nel periodo iniziale e terminale della sua storia; tra le discipline le attribuirono anche la proverbiale denominazione di maestra dei popoli (32), quasiché palesasse indefettibilmente responsi profetici in ordine alla convivenza sociale. Quindi, per l'alta considerazione nella quale fu tenuta sin dai tempi più remoti, la storia fu sempre riguardata come una necessaria branca del sapere nell'ambito dell'istruzione elementa- re. Pertanto, se si vuole che sia utile alla coscienza nel campo vastissimo delle conoscenze, si deve procedere con regolarità dal noto all'ignoto, dagli effetti alle cause, per dare ai fatti l'or- dine di successione (il susseguirsi nel tempo di fatti, avvenimenti, fenomeni) che legittima la loro esistenza e li subordina al libero arbitrio (facoltà attribuita all'uomo di autodeterminarsi, decidendo liberamente di fare o non fare qualcosa), lasciando da parte la cieca fatalità. E, ripeto, qualsivoglia teorica - cioè "scienza speculativa che dà regola alla pratica e rende ragione delle operazioni" (P. Fanfani, 1865) - rimarrebbe infrut- tuosa se l'uomo dovesse aridamente nutrirsi di concetti astratti senza il supporto reale della storia. Sicché sono dell'opinione che la storia sia assolutamente necessaria anche nella prima età. E se la si volesse trascurare o imparacchiare, come di solito accade, ai poveri discenti toc- cherebbe: - o la sorte dei ciechi che appunto privi della vista s'immobilizzano in un punto, senza poter mai entrare davvero in rapporto con gli esseri (uomini, animali, cose) che li circondano,

81 - o la sorte delle zolle (pezzi di terra) galleggianti nell'oceano, che sentono di non avere alcuna at- tinenza (affinità, relazione) con le terre dei remoti continenti. D'altronde, sebbene non sia lecito, per l'eternità del tempo, affermare con sicurezza se questa del mondo sia l'età della fanciullezza, l'età virile o l'età decrepita (l'età della avanzata senilità), nondimeno è risaputo che, per la naturale legge del progresso umano [Vd. Marie-Jean-Antoine-Nicolas de Caritat, marchese di Condorcet, noto come Nicolas de Condorcet (17/9/1743 - 29/3/1794), matematico, economista, filosofo e politico rivo- luzionario francese. Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano, pubblicato postumo nel 1795] il mondo va sempre avanti, e l'attività dei posteri sarebbe lenta e malferma se al già fatto non si aggiunges- se il da farsi. Ora, questo di certo accadrebbe se il passato ci negasse la luce dei fatti (aventi cioè il potere di liberare dalle tenebre dell'ignoranza intellettuale e spirituale) per rischiarar l'oscuro sentiero dell'avvenire; e altresì se il passato - mi si permetta la frase - non offrisse, in qualità di padre, nei fatti mede- simi che lo vitalizzarono, la materia fertile da cui trae origine l'avvenire. È degno d'essere raccomandato, sopra ogni altra cosa, questo: che i fanciulli comincino a muovere i primi passi nel campo dell'istruzione, guidati dalla storia; e alimentati con i frutti della matura esperienza di cui essa è grandemente ricca, possano attraverso la riflessione inol- trarsi nei sentieri del mondo sociale e, così ben acculturati, vivere e operare degnamente nella società di cui fanno parte.

NOZIONI POLITICHE E AMMINISTRATIVE. Che la Scuola Materna debba dare alla donna le nozioni riguardanti il sistema politico e amministrativo del paese per trasmetterle ai figli, è l'esperienza che lo comanda. Non c'è da illudersi! I governi diventano dispotici, ossia assorbono i poteri individuali dei sin- goli cittadini, e se ne servono contro la loro libertà, perché questi non li esercitano, glieli la- sciano con negligenza colpevole, e finiscono poi per essere vittima della schiavitù più abietta (spregevole, ignobile, vile). Quando invece i cittadini, dacché nascono, imparano quali sono i loro diritti e doveri, e altresì che essi sono legati al comune, alla provincia, alla nazione, come alla propria famiglia da una serie di interessi morali e materiali, che sviluppati con grande cura formano la fortuna comu- ne, e malcondotti partoriscono il disonore e la rovina di tutti, non permettono né che i governi si impongano con cattive leggi, né che si cospiri contro le buone istituzioni. È uno sciocco pregiudizio quello di credere che le donne non debbano sapere, avere cioè cognizione della vita pubblica del proprio paese. A prescindere dal fatto che ne hanno pieno diritto, in quanto cittadini contribuenti come ogni altro, le donne, assumendo la missione educatrice della famiglia, non possono né debbono scindere dal concetto della vita che trasmettono ai figli la parte più importante di esso. Quando l'educazione domestica avrà così provveduto allo sviluppo del senso politico e ammi- nistrativo delle popolazioni; quando i figli imparano dalle madre quale parte devono essi svolgere nell'azione sociale ai fini della solidarietà (del prestarsi reciproca assistenza e del comporta- mento che ne deriva) relativamente al benessere comune, oh! son certo che quel ricordo domesti- co creerà nella coscienza delle generazioni un simbolo di entusiasmo per adempiere i doveri pubblici, che una colpevole tradizione fa oggi dimenticare alle maggioranze dei popoli con pregiudizio grave della dignità, libertà e onore delle nazioni.

IL GALATEO DELLA LIBERTÀ. In ultimo, uno degli apprendimenti indispensabili per la vita sociale, attiene al sapersi ben comportare gli uni verso gli altri. Gli antichi ne riconobbero la necessità, e ne formularono le regole in una specie di codice della convenienza, che fu chiamato Galateo dal cognome dell'autore che lo partorì, la prima volta, nel Leccese, sua pa- tria, oggi non altrimenti chiamato, e comunemente insegnato. (?) [Morelli deve aver confuso l'auto- re del Galateo con DE FERRARIS ANTONIO (1444-1517). MEDICO E LETTERATO. NATO A GALATO- NE (LE). Soprannominato il Galateo. In Dizionario Biografico degli Uomini Illustri di Terra d'Otranto. - "DELLA CASA, Giovanni. Letterato (n. nel Mugello, o forse a Firenze, 1503 - m. Roma 1556), noto soprattutto per il Galateo (1558): "Trattato di Messer Giovanni Della Casa, nel quale sotto la persona d'un vecchio idiota

82 ammaestrante un suo giovinetto, si ragiona dei modi che si debbono o tenere o schifare nella comune conversa- zione, cognominato Galateo ovvero dei costumi. Vd. Lettera dedicatoria di Erasmo Gemini ai lettori] Però, queste norme che avrebbero dovuto, in modo più esplicito e senza coazione giuridica, incarnare, cioè esprimere con evidenza e concretezza nei costumi i criteri pratici della dignità, della giustizia e della libertà umana, si conformarono alla falsa costituzione sociale, manipola- ta dal papato e dall'impero per interessi di casta, e costituirono quanto vi è di passivo e di ser- vile nelle generazioni. Basti leggere attentamente il Galateo di Monsignor della Casa, che è stato finora il vangelo della buona creanza in tutte le scuole popolari, per capire la situazione eteroclita (strana, stravagante, singolare, bizzarra) del costume sociale attuale. L'ubbidienza cieca e sistematica, l'annientamento delle più nobili facoltà, le paure dell'a- nima, le limitazioni più irragionevoli, la doppia coscienza, l'ipocrisia civile: ecco ciò che tra- spira da quelle pagine, le cui funeste conseguenze risaltano ormai nelle false abitudini della vita comune. La povera madre crede che il figlio sia beneducato se sa baciar la mano, se sa inchinarsi, se sa sacrificarsi per l'ambizione di chi lo umilia e lo perverte. Povera madre, ella s'inganna! Il figlio che si ribella alla dignità della sua natura, il figlio che non sente l'importanza dei suoi diritti e s'immola con tanta leggerezza, è una vittima infe- lice dell'altrui ambizione, e finisce per cedere servilmente alle insidie di chi lo vuole coman- dare a bacchetta. Quindi, se l'uomo vive in società per avere i mezzi necessari al suo benessere e sviluppo, allora questi libri che sono in netta contraddizione con lo scopo da perseguire, devono essere bruciati, assolutamente bruciati! Invece, nella Scuola Materna si deve insegnare il GALATEO DELLA LIBERTÀ E DELLA DIGNI- TÀ, ossia quel Galateo che, determinando i criteri del buon costume nel senso morale della natura umana, faccia l'uomo come dev'essere, né padrone né schiavo, ma cittadino che ricono- sce nelle disuguaglianze naturali una ragione di equilibrio, e non già un sostegno al dispoti- smo di immorali prepotenti.

LA SCIENZA. Quanto detto in ordine all'apprendimento di queste conoscenze è parimenti ri- feribile, in quanto al metodo, non solo alle nozioni di matematica elementare, fisiologia e scienze fisiche, ma a ogni altra branca del sapere. Uno è il principio logico in tutta l'immensa serie dei rapporti dell'IO, e una dev'essere altresì la formula metodica (sistema o metodo, ovvero l'insieme organico di criteri, principi, regole, procedimenti, caratteristici dell'attivi- tà di cui trattasi) per applicarlo ai fenomeni della vita comune. Perciò, quando si arriva a possedere questa formula, ciò che sembra difficile e inesplicabi- le, acquisterà luce e chiarezza, sarà cioè evidente e intelligibile per tutti. È vero altresì che taluni crederanno priva di fondamento l'idea di dover insegnare la scienza all'uomo sin dalla nascita, perché questi, secondo i loro vecchi dannosi sistemi, non può apprenderla che all'età di 30-40 anni. Ma quale legge può permettere che, senza un crite- rio direttivo razionale (un orientamento guida), l'uomo sprechi le sue forze migliori e affronti in modo irragionevole e indeciso gli affanni e i travagli della giovinezza? Ed è infine vero che ci sarà chi obietterà: le nozioni appunto scientifiche che voi date ai fanciulli, sono ben lungi dall'essere a livello di quelle della scienza feconda di ragionamenti (processi mentali, argomentativi, illativi) di cui si avvalgono i filosofi. Questo è un errore non dissimile da tutti quegli errori che vengono commessi in grande quantità e continuamente sotto gli occhi di tutti. Se il fanciullo non è l'uomo pienamente formato sotto il profilo dell'equilibrio (stabilità interio- re, intellettuale o emotiva), della prudenza e della piena maturità dell'adulto, ma il principio dell'uomo (in nuce); se non vi è in lui la forza piena, completa, totale dell'attività, ma l'inizio dell'attività; se nessuno può farsi subito sommo come si vorrebbe (nemo repente fit summus) (33); come si potrebbe poi volere che la scienza in lui fosse completa al pari di quella che è appannaggio di un soggetto adulto, quando egli non essendo ancora l'uomo, ma il principio dell'uomo, non 83 deve illudersi di trovare in quelle prime cognizioni che una ragionevole regola, una norma da seguire per raggiungere il fine cui è diretto? Il grano che l'agricoltore semina, non è neppure il raccolto che egli si ripromette di ricavare dalla mietitura; ma se non semina il grano che l'hu- mus, fertilizzando il terreno, fa misteriosamente germinare in un'intera stagione, egli non po- trà mai sperare di raccogliere il necessario per nutrire i suoi figlioli. È vero da ultimo che a chi è scarsamente dotato di preveggenza (lungimiranza), sembrerà enormemente gravoso e difficile questo compito, e di certo superiore alle capacità di appren- dimento dei giovani; ed è ugualmente vero che si obietterà essere, i mezzi di comunicazione (es.: linguistici, verbali e scritti), insufficienti o sproporzionati allo scopo da raggiungere; tuttavia, in merito a tale questione, ho verificato praticamente la bravura di Giovanni di Maio, il quale con la sua propensione all'insegnamento, in pochissimo tempo, in modo misterioso e quasi magico, applicando il metodo della riflessione, ha messo dei ragazzini, pur senza libri, in gra- do di studiare se stessi e l'universo; e io, lavorando con questo prodigioso sistema, ne ho spe- rimentato i felici successi. Per cui concludo con fermezza che, nell'ordine naturale delle cose, ciò che si deve, si può fare, perché la natura nulla ha imposto che non sia adeguato alle forze vitali (relative alla vita e alle funzioni fondamentali di un organismo vivente); e gli istinti rivelatori del fine degli uo- mini, configurano questa sfera di forze vitali come unica causa efficiente del suo svolgimento naturale. Ogni cosa si può percepire, ogni cosa si può apprendere facilmente quando un concetto ideale e astratto s'incarna nella realtà, cioè prende corpo in un concreto reale. Infatti, quale idea è più alta del soprannaturale? E quale più di questa, considerata al disopra della logica del senso comune, è tanto difficile da raggiungere per l'intelligenza umana? Eppure volgariz- zata dalle madri nei modi agevoli del linguaggio domestico mediante i simboli del cattolice- simo, finisce per ingombrare la mente e il cuore dell'uomo sin dai primordi della sua esisten- za. Ora, se ciò che si dice superiore all'intelligenza, si rende percettibile ai fanciulli, perché dobbiamo poi supporre difficile la scienza delle cose visibili, la scienza della terra, che in fin dei conti si riduce unicamente allo studio dei fatti propri? Sia detto una volta per tutte che non è l'inettitudine dei discenti o l'inesplicabilità dei fe- nomeni, ciò che fa disamare (non amare, smettere di amare) la scienza; ma è la rigidezza dei metodi, il sistema invalso di renderla enigmatica (oscura, ambigua, misteriosa, indecifrabile), di non farla gustare, per- ché, per dirla con Dante, "non gustata, non s'intende mai" [Paradiso, Canto III, v. 39 (nessuno può intendere la dolcezza della vita eterna, se non l'assaggia)]. Operando in tal modo, davvero si mette al bando la scienza, invece di farla diventare parte della natura dell'uomo. E l'intelletto dell'uomo, della scienza, ha grandissimo bisogno. I sistemi educativi, tendenti alle ipotesi e all'astrattismo, invece di far luce sul vero, lo of- fuscano, provocando in tal modo il decadimento delle arti e della morale. Perciò il bello e il buono che esse rispettivamente rappresentano, mancando del loro fondamento, cioè del vero, si sono rivelati offensivi per il pudore e il buon gusto, e non adeguati al loro compito a causa degli eccessi della fantasia e della corruzione del cuore. Le opere artistiche, non fondate sul vero, sono diventate come quegli abiti da Bazar (di scarso valore; di prezzo modico, spesso fisso e anche unico), confezionati a capriccio, ad libitum, senza misurarli sul corpo che li deve indossare. La morale si è ridotta un puro controsenso: praticamente ha finito con l'essere in antitesi con il fine naturale dell'uomo, perché, non essendo stata individuata (determinata con esattezza) la sua per- sonalità (cioè l'essere della sua persona, la sua essenza), si è ignorato il suo vero essere. Di conseguenza in siffatta ignoranza si è scambiato spesso il diritto con il dovere, e il dovere con il diritto. La medesima assai nociva mancanza di senso morale, ha arrecato all'umanità un danno enorme, esercitando un'influenza maligna sui rapporti interpersonali per quanto attiene al ma- neggio (conduzione, gestione, amministrazione) degli affari. La verità, fatta esotica (forestiera o straniera: cioè resa oscura, incomprensibile) da una falsa filosofia, ha finito col rendersi inintelligibile anche quando biso- gnava elevarsi intellettualmente e spiritualmente.

84 Machiavelli [Niccolò di Bernardo dei Machiavelli (Firenze, 3 maggio 1469 - Firenze, 21 giugno 1527), storico, scrittore, dram- maturgo, politico e filosofo italiano] che fu il primo a elevare a sistema le finzioni e le simulazioni, ha ostacolato in maniera assai grave lo sviluppo della scienza. Quella grande mente, che avrebbe voluto forse giovare ai posteri, si fece suo malgrado apostolo della malafede e dell'inganno che la corruzione avanzante ha sempre più sviluppato nella via pratica. Egli, credendo che si potesse scalzare il male aumentandolo piuttosto che arginandolo con la forza morale e la forza fisica, prendendo ispirazione dalla ferocia dei Borgia, nonché dalla contemporaneità che di certo non era un periodo normale della vita dei popoli, mise la falsità al posto della verità, e la sua scuola, in netta opposizione al vangelo, ha intralciato il corso naturale dell'incivilimento dell'uomo. Praticamente, quell'arte che il sapiente del secolo - cioè Machiavelli - chiamava ulissea (?) [nessun riscontro della locuz. arte ulissea: a mio avviso, neologismo coniato da Morelli], fu da lui portata all'estremo limite fino a sboccare nella metafisica (teoria, dottrina) delle cospirazioni, consistenti nella te- nebrosa opera di insidiare alla vita altrui, di spogliare il simile delle sue più nobili prerogative e di disonorarlo con la sozzura dell'umiliazione, mentre in apparenza gli si tende amichevol- mente la mano, e con il sorriso sulle labbra gli si promette aiuto e protezione. Questa esiziale dottrina ha contagiato tutte le classi sociali e ha svigorito lo spirito dell'uomo fino a fargli tra- dire anche le proprie convinzioni. Al giorno d'oggi si sente (nel senso di provare sentimenti e reazioni emotive intime) in un modo e si parla in un altro: il metodo della simulazione alligna dovunque ed è applicato da tutti senza distinzio- ne di sesso, età e condizione economica e sociale, praticamente dai miserabili che vivono nei tuguri (abitazioni anguste e squallide) ai nobili all'apice della scala sociale che vivono nei palazzi; dai giovani ai vecchi; dalle donne agli uomini. Perciò, per scardinare la menzogna organizzata nella società, armata sui troni e santificata nella chiesa, per rompere l'abitudine del dissimula- re (alterando la verità) che snatura l'uomo deviandolo dalla retta via, e quindi dal suo scopo finale, è necessario rendere la verità intelligibile, manifesta, libera (cioè non soggetta al dominio o all'autorità altrui), apprendibile. Senza la verità lo spirito non è più il baricentro della vita psichica: diviene squi- librato, umile e sottomesso; al contrario, se tutelato e difeso dalla verità, acquista potenza ed energia. Facciamo dunque che questa nube dell'astrazione (filosofica, scientifica), nella quale lo studio di tanti secoli, smodatamente mistificato dalla supremazia religiosa, ha nascosto una miriade di verità, si dissolva per arricchire la terra, ovvero la concreta realtà da cui furono tratte; facciamo che si percepiscano abitualmente per il tramite della riflessione: in questo modo, l'avversione degli uomini, e in particolare quella dei giovani demoralizzati e avviliti, si convertirà in altrettanto amore, e la donna assumerà abilmente nella Scuola Materna la vera educazione dei figli, la cui missione è stata a lei affidata dal sovrano volere della natura.

Preponga la società all'insegnamento i più illuminati, i veri amici della verità e della li- bertà; dia a essi, nelle cui mani si pongono i destini dell'avvenire, gli onori e le dignità confe- rite alle alte classi (p.e.: ministri, magistrati, militari). Se un pubblico ufficiale è di scarso valore o è corrotto, i mali che produce sono ristretti e limitati, e possono essere agevolmente riparati dai successori; ma i mali che produce un mae- stro ignorante sono tali da falsare, distorcere il processo formativo e rendere infelici intere ge- nerazioni. I maestri comunque non si hanno: - primo, perché non si possono avere fintantoché non si renderà, questa missione, appan- naggio esclusivo delle donne; - secondo, perché manca la scuola didattica che li formi dal punto di vista professionale; - terzo, perché si giudica essere l'ufficio di insegnante non di primario interesse, ma se- condario; - quarto, perché coloro che vi sono deputati, non hanno mai il giusto compenso per il soddisfacimento dei bisogni vitali. {48} Soltanto se viene liberato dalla lacerante oppressione

85 del bisogno e remunerato con un compenso congruo, commisurato al lavoro coscienzioso che compie, il maestro, in quanto operaio del pensiero, potrà dedicarsi interamente all'intelligibile e prendere su di sé l'onere e la responsabilità di spendere le più belle ore del giorno a instillare idealmente il sapere nei giovani, affidati alle sue cure. Credo che una delle ragioni per la quale la società umana è imbestialita, sia appunto quel- la di non aver voluto ben compensare i maestri, stimando la loro nobile e sacra opera al di sot- to del lavoro del contadino o di qualunque altro umile mestiere. Ora, qual esito ci si poteva attendere dall'aver così colpevolmente, irresponsabilmente abban- donato e vilipeso la parte più nobile della nazione? Precisamente questo: invece di avere sapienti apostoli di verità - con le debite eccezioni -, si sono avuti ignobili ciarlatani che, imborrati, imbottiti cioè di superfluità, di conoscenze empi- riche senza luce scienziale, hanno isterilito la mente dei giovani sino a condannarli per tutta la vita alla miserevole disperazione di Tantalo [il supplizio di Tantalo, la pena inflitta dalla divinità a Tantalo, mitico fi- glio di Zeus e di Plutide, condannato per le sue colpe, tra cui l'uccisione del proprio figlio Pelope per imbandirne le carni al banchetto degli dei, a essere sempre affamato e assetato, non riuscendo mai a prendere il cibo e l'acqua, che illusoriamente erano alla sua portata, ma in realtà per lui sempre lontani e irraggiungibili; l'espressione è spesso usata in senso fig. per indicare la tormentosa situazione di chi vede o ha a por- tata di mano ciò che desidera, senza poterne usufruire. Treccani on line]. Un paese dunque: a) se vuol avvalorare la sua esistenza non con metodi repressivi che fanno ricorso alla brutale prepotenza militare (alle forze armate, all'esercito), ma con metodi educativi che promuovano le nobilissime forze del pensiero e del sentimento popolare; b) se vuol godere di un'invidiabile prosperità e di una pace duratura; c) se vuol affrancare la finanza pubblica dall'enorme spreco di milioni che si pagano agli eserciti stanziali al solo scopo di domare i soggetti privi di cultura o ribelli e asociali senza venire con ciò mai a capo della vera civiltà; deve reclutare, retribuendoli con cospicui emolumenti, uomini di scienza, e, dichiarandoli re- sponsabili delle proprie azioni, inviarli in tutti gli angoli del paese per fare opera di apostola- to, per dedicarsi cioè all'istruzione e all'educazione nella Scuola Materna. {49} Si aggiunga inoltre che oggi le scuole pubbliche e private devono promuovere, con mezzi idonei e in modo simultaneo, lo sviluppo dello spirito e del corpo. Come è una la natura uma- na e inseparabili sono queste due potenze, così inseparabili devono essere le norme educative che a esse afferiscono. Ora, se si limita l'insegnamento alla pura e semplice attività dello spiri- to, si trascura l'attività fisica, e viceversa. Quindi un'educazione conforme alla ragione, tanto per il ricco quanto per il povero, deve rendere la scuola: un lavoro illuminato (dalla luce della ve- rità e della scienza), e un lavoro produttivo, ossia deve organizzare la scuola, specialmente per i figli dei proletari, come opifici industriali in cui, lavorando secondo le proprie tendenze, si istruiscano convenientemente e, al contempo, ricavino il necessario per vivere. In questo mo- do si supera l'ostacolo della miseria che impedisce al piccolo operaio di andare a scuola, e co- sì anche si possono utilizzare le chiese inutili, gli stabilimenti di beneficenza e le prigioni che ora sono a carico dello Stato. Certa disciplina (complesso di norme che regolano la convivenza dei componenti di una comunità, di un istituto e sim., imponendo l'ordine, l'obbedienza, ecc.), imposta nelle scuole d'Europa, rende gli alun- ni simili a degli automi, sia lasciandoli inchiodati al banco per cavare la verità dai libri, sia costringendoli a imparare unicamente le arti meccaniche ("si dicono a distinzion delle liberali quelle ove più opera la mano che l'intelletto"; Fanfani, meccanico: "Arti meccaniche", p. 932) senza dare rilievo all'ideale (alla teoresi cioè). In tal modo essi conseguono lo sviluppo della manualità, ma non delle arti e abilità e/o capacità mentali: il che è assolutamente in antitesi con l'indole naturale dell'uomo, e perciò fi- nisce col non produrre in lui l'effettivo sviluppo delle sue forze complesse. L'artigiano, avendo a che fare nel suo lavoro unicamente con la concretezza e la materia- lità, vivrà sempre nell'inconsapevolezza e ignoranza dei miglioramenti che potrebbe apportar- vi qualora gli si spiegassero per esteso i rapporti (nessi, legami, relazioni) esistenti tra l'attività pratica e l'attività teoretica, tra la prassi e la speculazione (la scienza astratta). L'uomo sedicente di scienza vivrà in un idealismo sterile, lontano cioè dalla realtà delle cose,

86 perché non lo ha personalmente ricavato dal concreto, ma dall'arida voce di maestri freddi, in- sensibili o dai libri. Perciò, quand'anche costituisse per sé un patrimonio d'idee, si sentirà im- potente a procedere poi all'applicazione pratica. In avvenire, saranno inammissibili separazio- ni derivanti da situazioni di privilegio: gli uomini devono essere tutti artigiani e scienziati in- sieme. Nell'arte si rinviene la materia della scienza; nella scienza, lo spirito dell'arte. (34) Perciò materia e spirito, arte e scienza, devono congiungersi in modo inseparabile, e produrre il benessere di tutti e di ciascuno. Cosa può fare l'istituzione scolastica al giorno d'oggi, se segue un percorso metodologico anti- tetico a quello che la natura prescrive? Il tenere i fanciulli, come accade, inchiodati al banco per apprendere astrattamente le cono- scenze che i maestri somministrano con scarsezza (in modo inadeguato e insufficiente rispetto alla norma), è lo stesso che rendere vizze - cioè prive di vitalità, energia, freschezza - le loro forze (muscolari), sopprimendo la loro attività (fisica). Quando essi si muovono, perché la natura lo richiede, il maestro li punisce, condannandoli all'immobilità assoluta. Ma per Dio! la vita risiede essenzialmente nel moto, sopprimendo il moto, si uccide la vi- ta. È perciò necessario che quella forza non venga repressa, ma utilizzata; non ostacolata, ma diretta al bene. Il maestro deve essere madre, cioè tenero, affettuoso e sollecito come una ma- dre, e se non lo è perché la natura glielo ha negato, lasci che la madre svolga il compito, per- ché lei, anche se dal punto di vista teorico è all'oscuro delle leggi che governano la fanciullez- za per dirigerla al bene, nondimeno istintivamente non si spaventa, ma sorride dell'iperattività del figlio; e quando ne saprà il metodo, s'ingegnerà in modo adeguato al fine di utilizzare al meglio quel prezioso vigore giovanile. Nelle scuole popolari e in tutti i luoghi di educazione pubblica, è invalso l'uso di mettere alle costole dei discenti alcuni individui, detti prefetti (di disciplina) ("Colui che sopravveglia al buon pro- cedere di una casa o comunità. / e ne' collegi Quei che sorveglia ad una camerata." Fanfani, p. 1189/1721), con il compito di star loro sempre vicini per dirigerli, controllarli, vigilarli. A questi individui s'ispirano i fanciulli, e da essi attingono il fondamento ideale per abitudini e sentimenti. Ora, come si può fare il bene di tali educandati, se chi vi è preposto, è ignorante e corrotto? se non attende ad altro che a levare ai fanciulli parte del loro cibo e a batterli come giumenti? se non ha attitudine né a comunicar loro un'idea né a ingentilirne il linguaggio, perché alla cecità mentale unisce la goffaggine della parola volgare? Finché non si può avere la donna che all'affetto di madre aggiunga la luce della scienza, le amministrazioni devono preporre a tale ufficio i più sapienti se si vuole che simili educan- dati diventino un vivaio di persone socialmente virtuose. Negli orfanatrofi, negli asili, nelle scuole popolari, gli stessi Prefetti devono far da maestri e tener desta la loro attenzione, sia quando lavorano sia nei momenti di riposo (pausa, sosta), spie- gando a viva voce, in forma di parabola e concretamente, le cognizioni più necessarie alla vi- ta. Quale vantaggio si ricava da lezioni di pochi minuti su conoscenze astratte, di cui i fanciul- li non sentono la necessità? Come può il fanciullo svilupparsi intellettualmente con un cibo (spirituale) del tutto inadeguato e insufficiente che gli viene somministrato a piccole dosi in oscure brevissime lezioni dai maestri, se, quando questi se ne vanno, si trattengono stupidi prefetti, spiritualmente, intellettualmente, moralmente, socialmente e culturalmente deprivati: praticamente in tutta la loro cadaverica realtà? Per questi luoghi dunque si scelgano come Di- rettori e come Prefetti degli uomini sapienti e moralmente sensibili, se si vuole davvero che il denaro pubblico non sia speso inutilmente per pascersi di vizi, ma piuttosto speso proficua- mente per pascersi di virtù civiche.

Ho indicato in breve queste speciali cose al fine di determinare il metodo (o la metodolo- gia), ma la formula vera della scienza universale per la Scuola Materna deve consistere nel dare spontaneamente rilievo logico all'ideale che risulta dai concreti che si palesano allo spiri-

87 to, nello spiegare praticamente tutti i fenomeni che avvengono nella vita del fanciullo, fissan- done caratteri e leggi, non come sta scritto nel libro, o quando piace al maestro, ma come si mostrano allo spirito del fanciullo e in conformità con quello che la riflessione dello stesso, svolta nel modo dovuto, possa rintracciarvi.

Il resto di quel che occorre per organizzare tale metodo in sistema, deve essere fatto dall'autorità di una COSTITUENTE INTELLETTUALE, senza la quale, le riforme a spizzi- chi giammai giungeranno a realizzare, stante l'idea del progresso scientifico, un insieme logi- co di regole e cognizioni che, in tempi così sensibili al principio di uguaglianza, devono ren- dere tutti partecipi dei connessi benefici e vantaggi. {50} Facciano bene attenzione quelli che si sforzano tanto per migliorare i destini del mondo, perché tali destini si legano più alla scuola che alla politica; e altresì perché, se non pensano a cambiare le idee, non cambieranno mai i fatti, e fintanto che il papato avrà in mano la fami- glia, e potrà liberamente insegnare le sue false dottrine, non ci sarà possibilità di risorgimento né morale, né economico. Come uomo avrò potuto anche ingannarmi nel determinare il più e il meno, ma sicura- mente con la consapevolezza che la mia idea della Scuola Materna sia l'unico e il più agevole mezzo per organizzare saldamente e universalmente la scienza della verità e della libertà. Credo anche sia il solo modo per separare la chiesa dallo stato, giacché non è con un de- creto che possa avvenire questa grande soluzione. Se pure dite di volervi separare dalla chiesa riassumendo nello stato i poteri assorbiti dal diritto canonico, se ponete ancora la donna e il fanciullo sotto il dominio del papa, a che vale parlare di separazione se il papa governa più voi, e su di voi?

88 CAPITOLO QUARTO

§. 4° SOMMARIO La donna muove l'uomo dacché nasce finché muore. Prove ineluttabili di quest'azione e dell'influenza pe- renne della donna sull'uomo. Ragione per la quale la donna dotata di tanta forza d'imperio si considera esser de- bole. Danni che produce all'umanità il falso criterio della debolezza della donna, e utilità che può cavarsi dalle sue potenti facoltà. Perchè la femmina dell'uomo si è detta donna. Come essa impera nei vari periodi della vita. Esempi di eroismo, sapienza e virtù donnesche nei cicli storici dei secoli sino ai tempi nostri. Fatalità dell'uomo a subire l'imperio della donna e bisogno supremo di educarla alla scienza, perchè sia ispiratrice di bene. L'abban- dono e il disprezzo in cui sono tenute le donne cinesi, le rende indifferenti e brutali verso i figli. Obbligo di rico- stituire la personalità giuridica della donna, per utilizzarne le forze nel lavoro sociale. Chi deve promuovere la grande riforma dell'emancipazione della donna. Sua condizione giuridica rispetto alle leggi vigenti. Come logica conseguenza del contratto, si deve ammettere il divorzio. Per togliere lo stigma dell'infamia a una vasta classe di cittadini senza padre, la legittimità deve statuirsi col nome della madre. La tiepidezza di certe madri verso i figli, deriva dalla ingiustizia delle leggi che concedono l'onore della genitura al solo padre cui spetta esclusivamente di cognominare la prole. La moglie deve valere giuridicamente quanto il marito durante il matrimonio. Concorso necessario di lei in tutti gli atti che riguardano la vita comune. Le tendenze del secolo riparatore delle autonomie conducono logicamente all'emancipazione della donna, che è schiava e martire del pregiudizio e della prepotenza sociale. Obbligo per l'Europa civile d'una crociata per la distruzione degli Arem e dei lupanari che prostituiscono infamemente la donna. Ora che vi è la libertà del pensiero, non militano più scuse e deve gridarsi ai quattro ven- ti: rigenerazione della donna. Data la coscienza alla donna, questa, madre ed educatrice delle generazioni, rende- rà, nel giro di pochi lustri, inutili i codici e gli eserciti. Prove di questo principio desunte dall'ordine civile e pe- nale vigente. Principi su cui dovrebbe basarsi una giusta e savia legislazione. Le pene devono essere un ricosti- tuente morale. Il carcere per i giudicabili e per i condannati. La magistratura. La migliore legislazione sarà quella che dichiarerà delitto l'ignoranza volontaria, e costituirà nella scienza il principio dell'ordine e della sicurezza. Erronee opinioni di Thiers sulle cause dei rivolgimenti sociali. La rivoluzione francese cadde perché sbagliò i termini del programma. Delle egalité, fraternité e liberté, l'eguaglianza fu menzogna, la fratellanza ipocrisia, la libertà fatto, ma isolata fu debole e divenne dispotismo. Il programma d'una rivoluzione sinceramente liberale e durevole deve contenere quattro termini la Libertà, la Solidarietà, la Distribuzione, la Responsabilità. I conser- vatori di sistemi vieti e impossibili sono i veri perturbatori dell'ordine basato sulla verità e sul progresso. Il co- munismo e il socialismo malizioso spauracchio dei conservatori contro le rivoluzioni. Il comunismo esiste oggi e si esercita dal papato, dai conventi, dai governi e dalle classi che non producono a danno delle produttrici. La ri- voluzione sociale è creata appunto da questo comunismo, e darà l'equilibrio che manca alle forze ed ai dritti. Rimarrà padrone della situazione non chi inimica la verità, ma chi l'abbraccia e la organizza in quella serie di ri- forme sociali dettate all'ispirazione del libero pensiero dalle esigenze dei popoli, e della civiltà. La più urgente e la più efficace riforma deve avvenire nella costituzione della famiglia che riconosca nella donna i diritti dell'uo- mo, e le dia la scienza della vita di cui è arbitra per le tre missioni di creatrice, educatrice, e motrice perpetua dell'uomo e della società. (p. 219 ==> 324/405)

1.4. LA DONNA, MOTORE PERPETUO DELL'UOMO Do compimento al mio impegno dimostrando la terza prerogativa che ho annesso alla personalità della donna, la quale, come già detto, oltre a generare e istruire l'uomo, lo deve anche muovere, esser cioè causa del suo agire. Dopo che me ne sono occupato ampiamente, e sono riuscito ad affermare come principio inconcusso (che non vacilla, incrollabile, stabile, saldo) il dato primitivo della procreazione; dopo che ho scorto la verità in ordine all'educazione e istruzio- ne; mi è agevole concludere che vi è nella donna anche la forza ispiratrice, la forza del moti- vare e spingere l'uomo ad agire, a operare il bene e il male. Da dove scaturisce questa forza che da un lato riconosce alla donna una posizione di preminenza, supremazia e autorità, e dall'altro costituisce nell'uomo uno stato di continua e incessante soggezione? Certamente dalla stessa natura delle cose, che finora rimase latente e inosservata. Se si considera attentamente l'uomo dal punto di vista delle direzioni spirituali che egli dà alla sua vita, si scorge facilmente che egli mira alla beatitudine (felicità assoluta, stato di soddisfazione e di benessere dello spirito), i cui elementi costitutivi sono: - il vero che è l'origine e il principio dell'intelligibilità;

89 - e la donna che, nella categoria degli enti finiti, rappresenta (incarna) concretamente l'immagine più perfetta della natura dal punto di vista artistico e morale. Infatti l'uomo, in quanto dotato di qualità spirituali, si può dire che non esista, non viva e manchi a se stesso (nel senso dell'agire in modo non degno di sé) se non è attivo e operoso, se cioè non espli- ca le facoltà cogitative (pensare, riflettere), l'arbitrio (inteso come "facoltà che ha l'uomo d'operare secondo il giudizio for- mato nella sua mente, che dicesi anche Libertà e Libero arbitrio". P. Fanfani, p. 110), la fantasia, gli affetti, la volontà (in realtà, l'ispirazione: "motivo interno della volontà che incita a operare". P. Fanfani, p. 806): cosicché, tolto questo mirabile complesso di cose, esso si riduce a una pura e semplice potenzialità. Ora, chi non vede che tutto ciò è misteriosamente prodotto dal benefico influsso della donna? E chi può negare che la donna sia per lui la fonte dell'essere, del vero, del buono, del bello, della felicità, della gioia e della mestizia, della pace e della tristezza, della vita e della morte? Quindi, se nella donna vi è una così larga partecipazione (presenza, intervento) dell'essere universale, se l'essere è il vero, se il vero è la legge dell'intelletto, allora l'uomo, preso nella sua totalità, che per un'anomala consuetudine si ritiene superiore alla donna, nondimeno istin- tivamente e alla prova dei fatti si rivela a lei chiaramente inferiore e ubbidiente in modo servi- le. La donna d'altra parte sa che crea, partorisce, alimenta, educa l'uomo; e che questi, per tanto bene, debba essere a lei soggetto, e altresì mantenere nei suoi confronti un atteggiamen- to di dipendenza, non dissimile da quella intercorrente fra l'effetto e la causa. Quindi, con la gentilezza e con la forza del sentimento lo dirige e lo domina dall'alba al tramonto della sua esistenza. E perciò questo è il vero, il solo diritto d'imperio (diritto a comandare; vd. lat. ) fondato sull'amore che si origina dalla natura, perché questa, per un'opera di tal fatta, ha dotato la donna di notevoli capacità e abilità (in senso fisico e spirituale) e l'ha investita dell'unica legittima au- torità che l'uomo sulla terra accetta e riconosce senza problemi e facilmente. Nell'età lirica - la prima età, avente i caratteri propri della poesia lirica: calore, affetto, ra- pimento fantastico, intensità di sentimenti e sim. -, quando malfermo si piega istintivamente a terra (si flette, si abbassa) per ricevere da essa la forza necessaria per sostenere le battaglie della vita (ad es.: contro la malattia, l'odio, la menzogna, la violenza e sim.), la prima parola che egli pronuncia è madre. Nell'età epica - l'età mediana, adulta, avente i caratteri della poesia epica, cioè oggettiva e narrativa -, quando milita sotto le insegne della virilità, in ogni disfatta non invoca che la ma- dre. Nell'età drammatica - la tarda età, avente i caratteri della poesia drammatica, incentrata sul dramma, sulla rappresentazione di vicende dolorose e angosciose - infine, quando vecchio, nell'ineluttabile ciclo della vita, si piega nuovamente a terra sotto il peso degli anni, chieden- dole il riposo del guerriero stanco, cioè il sonno eterno (la morte), la soave parola madre è sem- pre sulle sue labbra, che applica finanche alla patria tutte le volte che la terra natia esige da lui una dimostrazione intima di affetto. Ragione per la quale, la prima signoria, il primo potere costituito nell'ordine eterno è la sovranità, connotata di sentimentalità, della donna. Gli uomini scaltri nelle male arti dell'usurpazione, cercando di mascherare (sotto ornamenti falsi e speciosi) la legittimità con l'esercizio brutale della forza fisica onde non avere la donna come antagonista (nemica, concorrente, avversaria, rivale), predicano il suo essere debole - e per dirla con lin- guaggio filosofico, le attribuiscono tale predicato, tale qualificazione, tale condizione - per poterne assumere la tutela e renderla così soggetta al proprio potere. Sindacando la loro co- scienza (la loro condotta, la loro vita privata, il loro operato) e rappresentando, mentendo, un'autorità che non hanno, le debellano (fuor di iperbole: le sopraffanno, le dominano, le piegano ai propri voleri con la violenza e la prepotenza) e ne usurpano il posto. Di grazia, in cosa consiste per questi signori la debolezza della donna, se sotto tutti gli aspetti dimostra chiaramente di avere attitudine a muoversi e muovere, ad agitarsi e agitare tutti gli elementi della vita? Se essi stessi, seguendo il criterio di quel magistrato, presidente di tribunale, che riteneva la donna causa di ogni crimine, attribuiscono i mali sociali all'amore

90 appunto della donna, con il solito ritornello: la donna cagione di tutt'i danni!, come si può lo- gicamente unire insieme l'essere con il non essere, cioè l'amore, che è impulso potente al mo- vimento dell'ordine del mondo, con la debolezza, che è negazione di tale potenza? Ah! guardiamo con un po' più di buona fede i fatti della vita, e confessiamo pure che il nostro cuore e la nostra mente sono soggetti all'influenza della donna. Come il mare accelera il moto delle onde all'apparire della luna, così il nostro cuore si agita (si turba, si eccita) allorché si scorge la bella (la donna amata) che fa della sua palma, sospirando, letto 35 (appoggia la guancia al palmo della mano). ( ) E allorché uno sguardo eloquente, una fiammella, un certo non so che di magnetico, d'in- definibile, traspira dall'angelico volto di una donna, specialmente quando essa non è una di quelle tirannette degeneri "... a cui nel seno / Né amor del giusto né pietà s'alberga" [Iliade di Omero. Traduzione di Vincenzo Monti. Libro Ventesimoquarto, vv. 55-56], bensì una di quelle persone misericordiose e ammodo (educate, gentili), che cova in segreto, dentro di sé, sentimenti nobili e non ardore di basse ambizioni, carità sociale e non crudele egoismo, fiducia nel prossimo e non falsa ipocrisia, ragione illuminata (dalla luce della verità) e non pregiudi- zio cieco (senza la luce della ragione). Quindi, per quanto concerne la donna, invece di volere che questa grande forza sia an- nientata a colpi di minacce e vituperi; invece di sacrificarla, di mortificarne la carne e lo spiri- to con le monacazioni (il farsi monaca) - mentre si sa che il celibato è un delitto, perché sopprime nei due sessi le più importanti funzioni -; sia ella governata in modo conforme alla ragione, sia educata per svecchiare la società morente a causa del vizio e della corruzione diffusa, sia santificata, elevata cioè a un maggiore grado di dignità, a un più alto valore morale e ideale, se si vuole santificato l'uomo, cioè spiritualmente elevato; cioè che la donna divenga, con la luce della mente, l'espressione vivente delle sanzioni supreme per indurre l'uomo all'adempi- mento del dovere, nel quale è riposta la felicità della sua coscienza. Quale vantaggio si ha da questo eterno litigare che pretende l'impossibile? Che cosa si ricava da una donna alla quale imperiosamente si intima di non amare? Ci vuole poco a indovinarlo! Scoraggiata dall'imperioso ordine di un'autorità presunta, ella ha promesso di reprimere i moti del cuore (emozioni, sentimenti, affetti, impulsi); sospinta invece dall'effetti- va autorità della legge di natura, ella nondimeno ama. La donna, al pari di Galileo che, mentre giurava davanti agli inquisitori del Santo Uffizio che la terra non si muoveva, diceva tra sé: << bench'io lo giuri tu pur ti muovi>> (36), la donna, con un sospiro, un cenno, un sorriso, una lacrima, rivela in modo manifesto che la confessione da lei verbalmente resa, le è stata estorta e che non basta a cancellare la suprema legge che le impone di amare; e se palesemente mostra di ubbidire ai consigli autorevoli o di sottostare al- le brusche minacce, quei consigli e quelle minacce irragionevoli sono come un mantice, che invece di spegnere, ingagliardiscono la segreta fiamma della sua passione. Ora, la donna, trovandosi nella veneranda sacra condizione di madre, esercita un dominio d'amore, che la suprema ragione dell'istinto eleva, cioè innalza a nobiltà, sulla dualità sessuale (l'esser maschio, l'esser femmina) e sugli effetti che ne derivano. Ora, come amante, mossa da ardente desiderio, soppesa (valuta attentamente) l'uomo, e lo modifica conformemente alle sue segrete voglie; sicché, come l'automa nei suoi movimenti indica la presenza nascosta del giocoliere, così l'uomo tutto preso d'amore per lei, riversa nei suoi atti l'ardore nascosto e si sente beato soltanto nel paradiso della sua bellezza (ovvero, nella bellezza sua paradisiaca): affronterebbe qualsivoglia cosa spiacevole e dolorosa, sosterrebbe ogni fatica, toccherebbe l'impossibile, l'inimmaginabile, per raccogliere da quell'anima solitaria un tanti- no, un po' di benevolenza. (37)

Da ultimo, la donna, come moglie, forma il cuore (cioè gli affetti, i sentimenti, le emozioni) della fami- glia (coniuge e figli), la cui vita terrena è da lei ideata - concepita cioè con la mente - e portata 91 a compimento attraverso una mirabile orditura di affetti; e dal centro della sovranità domesti- ca, incarica l'uomo, qual suo messaggero, di sbrigare le commissioni fuori di casa. Ed egli, appunto sottomesso al suo potere, con obbedienza cieca (totale, assoluta) lavora e provvede, va e ri- torna, trascinato dall'impellente forza di un dovere naturale: naturale perché, senza alcuna di- stinzione di spazio e tempo, naturalmente, in tutti i luoghi e presso tutte le razze, si vede lo stesso principio di dipendenza acquistare progressivamente forza e intensità. In ogni punto dei due emisferi e in ogni aggregazione di abitanti del globo, l'unità della famiglia si costituisce e contraddittoriamente si mantiene per il tramite della donna-schiava, che dispone e comanda. Dal nomade mauro [Màuro, appartenente ai Mauri, nomadi sahariani della Mauritania, regione fisica dell'Africa nord- occidentale], dal rozzamente geloso berbero [appartenente a Bèrberi, popolazioni autoctone dell'Africa settentrionale], che per l'influenza dell'Islamismo mantengono in rigorosa schiavitù la donna, sino all'aristocratico o al plebeo cristiano dell'Europa, ai quali il vangelo consiglia di rispettare la personalità della donna, si vede perennemente questo, che la rigida, rigorosa uniformità e omogeneità del pote- re dell'uomo è sempre dominata dall'arcana (occulta perché misteriosa e sacra) influenza della donna. È per questo reale dominio e per questa effettiva superiorità che, abbagliata dalla verità evangelica, la cavalleria medievale (nel Medioevo, istituzione politica e sociale, morale e religiosa, della quale facevano parte i cadetti esclusi dalla trasmissione ereditaria del feudo, i quali erano legati fra loro da un giuramento di fedeltà non a un signore, ma agli ideali di giustizia e d'onore, di difesa della fede, dei deboli, delle donne, secondo la morale celebrata dalla poesia cavalleresca - Treccani online) sostituì il mulier, vocabolo colto tra le rovine dello sfasciato impero, con il domina, don- na, signora, come oggigiorno si sente dire nei modi volgari della lingua italiana. Per cui il nome donna - nel senso di colei che domina, che signoreggia - non è dalla donna usurpato, come si vorrebbe, con la forza dei suoi ammalianti e seducenti ornamenti sessuali [cioè con l'attrat- tiva sessuale (sex appeal); con il fascino femminile, spec. sessuale]: ella lo ha ricevuto, in quanto simbolo peculiare della sua naturale e congenita potenza, dagli uomini giusti che osservano le norme giuridiche, che operano e giudicano secondo giustizia. La storia ci offre moltissime prove per abbattere la vile opinione dei retrivi nemici del progresso, principiato fondamentalmente dall'illuminarsi della donna e dall'incivilirsi della famiglia. Non possiamo dimenticare il fatto primordiale della Genesi, quando Adamo, il primo pa- dre, dannando sé, dannò tutto il genere umano. [Dante, PARADISO, Canto VII, vv. 25 e segg.: "..., quell'uomo che non nacque, / dannando sé, dannò tutta sua prole;"] Per personificare il male, non si scelse direttamente Adamo, ma Eva. Per poterlo vincere ed estirpare, s'impegnò, o meglio, si vincolò solennemente la madre Eva e, muovendo - con continue voltate - la molla del sentimento, attuando cioè sapientemente opportune strategie sentimentali, si conseguì ciò che si desiderava. Non possiamo altresì dimenticare che il genio dei secoli (Dio), volendo diffondere la sua luce sulla rabbuiata umanità, avvolta cioè dalle tenebre dell'ignoranza, del peccato, della su- perstizione, colse la Donna di Nazaret che viveva nell'umiltà, o meglio, nella virtù dell'umiltà, e ripose in Lei la summa sapientia, la prudentia della rigenerazione cristiana (nella religione cattolica, rinascita nella grazia di Dio attraverso la liberazione dalla colpa). E né possiamo cancellare dai fasti (le memorie gloriose) dell'antichità: - il sangue eroicamente versato in dieci anni di guerra tra i nerboruti Greci e i vigorosi Troiani per la questione d'onore connessa con il ratto di Elena; - l'influenza della leggiadra Briseide (patronimico usato da Omero nell'Iliade per Ippodamia, sacerdotessa troiana di Apollo. Durante la guerra di Troia, Achille la catturò e la prese come schiava e amante) su Achille, che per lei lasciava inoperosi i suoi Mirmidoni (antico popolo della Tessaglia Ftiotide del quale Achille era re, e che condusse con sé, in gran nu- mero, alla guerra di Troia) nel fervore della battaglia che decideva le sorti - e quindi la gloria o il vitu- perio delle generazioni avvenire - delle due nazioni belligeranti; - le malie della maga Circe [dea della religione greca. Presente nell'Odissea di Omero (Libri X, XI, XII) e nel mito degli Argonauti. Wikipedia] che, per mezzo degli incantesimi fatti nella sua reggia di Ponza, snervò e ri- dusse al nulla il destro Ulisse, pronto di mano e d'ingegno, e gli stanchi eroi del mondo antico. E non possiamo infine dimenticare: 92 - l'influenza della donna greca sulla sorte della propria nazione sia quando offrì alla patria i suoi eroici figli, alle Termopoli (Passo fra la Tessaglia e la Grecia centrale, fra il Monte Eta e il Golfo Maliaco, dove fu combattuta la celebre battaglia con la quale i Greci, nell'agosto del 480 a.C, tentarono di fermare l'esercito persiano di Serse) e a Mara- tona (Antica località dell'Attica (Grecia), dove fu combattuta nel settembre del 490 a.C., la celebre battaglia con la quale gli Ateniesi riu- scirono a respingere l'invasione dei Persiani.), per difendere la causa della umanità, cioè la causa della liber- tà, giustamente abbracciata da tutto il popolo ellenico contro l'oppressivo dispotismo orienta- le, sia quando Aspasia premeva sull'animo di Pericle fino a esserne la Sibilla; - l'entusiasmo che l'eroica Clelia (figura della mitologia romana, presa in ostaggio da Porsenna - 507 a. C.), e Lu- crezia (figlia di Spurio Lucrezio Tricipitino e moglie di Collatino, figura mitica della storia di Roma legata alla cacciata dalla città dell'ul- timo re Tarquinio il Superbo. Decesso 510 a.C., Roma), la stella della libertà, destarono nei guerrieri romani; - l'ira e la vendetta nazionale che l'infelice Virginia [una bella giovane di famiglia plebea di cui s'invaghì Appio Claudio durante il secondo decemvirato - leggendario personaggio femminile romano, vissuta nel V sec. a.C. - uccisa dal padre nel 44 a. C.] suscitò nell'animo dei suoi contemporanei contro lo strapotere e le insolenti depravazioni del Decemvirato; - la pietas della madre Veturia che mitigò il feroce disegno di Coriolano [Alle porte dell'Urbe, al IV miglio della Via Latina, mentre i consoli del 488 a.C., Spurio Nauzio e Sesto Furio, organizzavano le difese della città, venne fermato dal- le implorazioni della madre Veturia e della moglie Volumnia, accorsa con i due figlioletti in braccio, che lo convinsero a desistere dal suo proposito di distruggere Roma], impedendogli di farsi parricida (che tradisce la patria o cospira alla sua rovina); - e che più? L'epopea cristiana del Medioevo ci presenta, nell'immenso tafferuglio cavalleresco, 12.000 giovani ardimentosi che appena ventenni, quando l'amore è una febbre ardente, delira- rono per la donna, e si slanciarono, in lotte sanguinose, contro profanatori del santo sepolcro, [S. Morelli alla Camera dei Deputati - Tornata del 20 Giugno 1878 - dirà che "La donna è ispiratrice di eroismo oggi come lo fu pei 300 delle Termopili, come lo fu per le crociate del medio evo, ed io sono sicuro che all'ora del cimento l'angelo di simpatia che è moglie al soldato ita- liano lo spingerà animosamente alla vittoria." E nella Tornata del 1° Aprile 1870, aveva detto che nei "cicli eroici dei mezzi tempi": "Bastava giurare sulla mano d'una fanciulla per affrontare coraggiosamente la morte, come avvenne ad interi eserciti di giovanetti esaltati per le batta- glie del Santo Sepolcro."] Lo spirito evangelico non si sarebbe diffuso da un polo all'altro del globo, se coloro che furo- no i propagatori (della fede) non si fossero serviti dell'influenza femminile. L'Inghilterra, vincitrice, avrebbe di certo invaso e mandato in rovina la monarchia france- se se la Pulzella d'Orleans [Giovanna D'Arco, Jeanne d'Arc (Domrémy, 6 gennaio 1412 - Rouen, 30 maggio 1431), eroina na- zionale francese, venerata come santa dalla Chiesa cattolica, oggi conosciuta come la Pulzella d'Orléans.], accesa di entusiasmo divino [cioè di Dio (genitivo soggettivo)], non si fosse messa alla testa di un esercito, e non lo avesse in- fiammato sino a ottenere una gloriosa, trionfale vittoria, assai singolare per la forza degli ostacoli che la rendevano impossibile. Cristoforo Colombo, spirito ardito e intraprendente, non avrebbe di certo scoperto l'Ame- rica e alleato il vecchio e il nuovo mondo, se Isabella di Spagna, animo speculativo, non aves- se vinto la sciocca resistenza di re Ferdinando ad accordargli i mezzi necessari all'impresa. La Francia non avrebbe compiuto la rivoluzione se, nella via della corruzione, l'ipocrisia di Madame de Maintenon [nata Françoise d'Aubigné (Niort, 27 novembre 1635 - saint-Cyr-l'École, 15 aprile 1719), amante e moglie morganatica segreta di Luigi XIV di Francia], e di altre cortigiane non ne fecondava i germi nel mal go- verno di Luigi XIV; e nella via del patriottismo Madame Roland (Parigi 1754 - ivi 1793) non riu- niva nel suo salotto tutti coloro che composero poi il gruppo girondino alla Convenzione, esercitando su di essi grande influenza e condividendone la sorte finale. La storia d'Italia ci tramanda il nome glorioso delle donne che prepararono la Lega Lom- barda tra le mura domestiche e sostennero con entusiasmo spartano l'onore nazionale in Pon- tida [Il giuramento di Pontida sarebbe stata una cerimonia che avrebbe sancito il 7 aprile 1167 nel piccolo comune vicino a Bergamo l'al- leanza tra i comuni lombardi contro il Sacro Romano Impero di Federico Barbarossa] e Legnano [La battaglia di Legnano fu combattu- ta il 29 maggio 1176 nei dintorni dell'omonima città lombarda, e dette vita alla Lega Lombarda, presieduta da Papa Alessandro III]. La storia delle lettere e delle arti ci presenta le angeliche forme di Beatrice (Dante), Laura (Petrarca), Leonora (Tasso), la Fornarina (Raffaello) e di tante altre donne che ispirarono artisti geniali, e che preferirono all'ipocrisia delle losche (perché cieche da un occhio, e quindi guerce, o di onestà molto dubbia. Vd. Aulo Persio Flacco tradotto in prosa dal sacerdote D. Luigi Bruni, Napoli 1836, p. 134: "Lusca sacerdos, perchè donne deformi s'impiegava- no al ministero d'Iside; o perchè losca veramente; o losca rispetto a'mali costumi, mediante la metaf.") sacerdotesse d'Iside (Iside o

93 Isis o Isi è la dea della maternità e della fertilità nella mitologia egizia) di dubbia onestà, e alla stoltezza di un assai meschino orgoglio casalingo, gli slanci sublimi di una mente pensatrice e l'immortalità, o me- glio, l'eternità terrena. La rivoluzione del '48 ci presenta le splendide figure delle venerande madri dei Bandiera, dei Cairoli {51}, dei Mantegazza, della principessa Belgioioso [Cristina Trivulzio Belgiojoso (Milano 28 giugno 1808 - Milano, 5 luglio 1871), patriota italiana, partecipò attivamente al Risorgimento. Fu editrice di giornali rivoluzionari, scrittrice e giornalista] che capitanò i prodi della crociata nazionale [Nel 1848, era a Napoli quando scoppiò l'insurrezione delle "Cinque giornate di Milano". Partì subito per Milano con circa 200 napoletani che decisero di seguirla, tra gli oltre diecimila patrioti che si erano assiepati sul molo per augurarle buona fortuna. Wikipedia. Vd. anche Storia delle Due Sicilie, Volume 1°, di Giacinto De Sivo - Digi- talizzato Google, pp. 184-185]; dell'immortale Anita Garibaldi, e di tantissime altre che l'Italia annovera fra le maggiori. L'alto sentire di Madama Lincoln, di Madama Comte, ispiratrice del grande filosofo Au- gust Comte, di Madama Hugo, di Madama Quinet, di Madama Simon e di altre egregie mogli, dispiega il carattere sublime e lo sviluppo intellettuale degli spiriti eletti, loro mariti, e glorifi- ca le nazioni, come glorificano la Francia le tre simpatiche figure di Victor Hugo, di Edgar Quinet e di Jules Simon, sinceri difensori dei diritti dell'umanità. Gli annali dell'eroica Francia ci dicono che una delle più grandi rivoluzioni dei tempi moderni fu compiuta dalle smaliziate donne di Parigi senza colpo ferire. Quelle eroine, come avamposti di una grande massa, sfidarono inermi i 60.000 soldati che presidiavano il Palazzo delle Tuileries: invitandoli a tirare sui loro seni scoperti, li incantarono, e così li disarmarono, mostrando al mondo che le strategie e gli strumenti di guerra riescono inefficaci quando si er- gono a tutela della patria i seni inespugnabili, inviolabili delle donne. Nel 1860, da ultimo, il concorso (compartecipazione, contributo) delle donne italiane al Risor- gimento nazionale, fece compiere una rivoluzione incruenta e meravigliosa, specie nelle pro- vince meridionali. E se tutt'altro documento mancasse per confermare tali asserzioni, se i fatti di tutti i secoli non fornissero prove convincenti, basterebbe volgere lo sguardo sulla famiglia, sulla società e su noi stessi, o leggere e interpretare i momenti della vita in comune, per determinare, identi- ficare la potentissima influenza della donna sullo spirito dell'uomo. Infatti, chi tra i viventi si muove senza avere una donna da cui prendere l'ispirazione e verso cui convergere i moti del suo animo e del suo cuore (affetti, sentimenti, emozioni, passioni) conti- nuamente oscillanti tra due valori estremi? E se siamo paurosi, inetti e poco inclini al bene, non deriva forse questo dalla cecità e ipocrisia della donna che, essendo decaduta e mancando d'istruzione scientifica, dev'essere sicuramente attratta dal sensibile che intorpidisce la mente, lo spirito e la volontà, fino a ridurre l'uomo che necessariamente deve muovere, (come) uno che dice di no al bene? Se dunque questa donna è l'unico essere che può muovere il cuore dell'uomo, deh! sia es- sa illuminata con la luce della verità, sia essa istruita con la scienza, perché, illuminata e istruita, sarà la più benefica e la più fruttuosa emanazione (espressione e manifestazione) del mon- do morale. L'umanità ha bisogno di lei! Nei simbolici 6.000 anni di assenza, ella ha dovuto solo im- mobilizzarsi nell'inettitudine, o perlomeno è stato inevitabile che camminasse a ritroso come i granchi (cioè peggiorare, regredire). Perciò, se si vuol ammodernare il costume, rendere la scienza uni- versale, diffondere il benessere e la prosperità, allora è necessario illuminare la donna, perché lei racchiude in sé la cellula uovo, l'ovocito, da cui principia la vita dell'essere umano. Da che altro può derivare la feroce consuetudine delle donne cinesi che affogano gior- nalmente i neonati nei fiumi, distruggendo in un attimo la sacra e nobile opera dell'amore, se non dall'ignoranza che abbrutisce, se non dall'assoluta oscurità intellettuale, se non da carenza di scienza? Quale differenza può esserci tra quelle madri crudelissime e le belve divoratrici dei loro nati? Se tra quelle e le madri europee, s'intravede nondimeno una sorte migliore, e l'uomo trova almeno tutelata la vita plastica, cioè organica (38), solo perché gli sprazzi di veri- tà delle rivoluzioni hanno reso tali madri più in sintonia con le leggi di natura, quanti benefici

94 poi ne trarrà l'uomo se la donna, acquisito un sapere completo, sarà in grado di aggiungere all'alimento materiale anche l'alimento morale, allo sdolcinato ardore dei sensi anche la salu- tare luce dell'intelletto? S'illumini dunque la donna, le si riconosca la personalità giuridica e tutti i diritti connessi, così ella diverrà intrepida ispiratrice di eroismo; non si farà rammollire dalle lacrime, ma, fie- ramente guardando il dolore come un nemico che la sfida, lo debellerà con la sua potenza. (39) In questo modo ella accetterà i principi, prenderà parte ai lavori civili e, per quanto sia sempre piena di riserbo, ritegno, discrezione (cioè: benché pudica, riservata, discreta), al pari del sole che si cela dietro le nubi e delle radici sottoterra, sarà proprio dalla sua scienza (sapere, conoscenza) che sbocceranno le soavi gemme della vera civiltà. Però, fra tante belle aspirazioni, bisogna pur ricordare che il frutto del destino non cade acerbo: il frutto acerbo sta ben saldo al ramo; maturo, cade da sé senza scuoterlo. (40) Per cui è necessario che maturi, che pervenga a maturazione, e per toccare con mano que- sto periodo di luce (di salvezza, di rinascita ecc.), per conseguire questo grande obiettivo di emancipa- zione, non basta che lo si dica, occorre prepararlo con la propria opera. Ma chi deve prepararlo? Le donne, rese prive di forze (fisiche e morali) e ritenute con superfi- cialità inadeguate allo scopo, rifuggono dai clamori che i loro reclami susciterebbero nell'opi- nione pubblica. Perciò, non sanno prendervi parte come dovrebbero. È tempo comunque di sforzarsi di abbandonare l'inerzia delle false abitudini - il diritto viene prima di tutto -; la dignità umana che esse devono riconquistare, è il supremo dei tesori e non si può posporre a una stupida mollezza (fiacchezza spirituale), al quietismo dei pregiudizi senza rendersi colpevoli. Le donne devono riscuotersi; devono incominciare a chiamare male quello che i laidi (lu- ridi) padroni hanno insegnato loro essere bene; devono chiamare immoralità scandalosa l'iner- zia, l'ignoranza, la menomazione dei diritti, l'ubbidienza passiva, il ciarlatanismo, l'ipocrisia e tutto ciò che il papato ha venduto finora per buona morale. Il coraggio della verità {52} e lo spirito di sacrificio: ecco cosa ci vuole per superare, in tanto egoismo, la loro miserevole situazione; ecco cosa ci vuole per ergere contro la falsa reli- gione del papa, la Religione della scienza con la Scuola Materna civile; ecco cosa ci vuole per ritornare a esser valide nella dignità, calpestata e travisata, e con il completo suo trionfo ottenere la reintegrazione giuridica. Felici quelle donne che in nome del diritto e della moralità sono le prime a innalzare la bandiera del proprio risorgimento (rinascita morale, sociale, culturale, spirituale). Se la loro maschia (fiera, valorosa) virtù viene oggi maledetta dai sacri e profani interessati al tributo del lupanare, la storia saprà vendicarle e rendere loro l'aureola gloriosa degli eroi e dei martiri. {53} Si faccia avanti dunque chi ha pensiero e affetto, chi ha orgoglio e sentimento: le grandi cause non si vincono senza difesa! Sono certo, il giorno che le donne vorranno davvero i loro diritti, anche gli uomini preve- nuti, i quali credono che ci scapitino nella loro supremazia, si convertiranno. E i filosofi che assumono la tutela del benessere universale, non appena si riconoscerà che la causa della donna è la causa dell'umanità, sono certissimo che da quel momento, invece di formulare tesi sulla quadratura del cerchio, sulla trisezione dell'angolo e sulle assurdità teologiche; invece di promettere premi a chi traesse da libri già scritti la tale filosofia o la talaltra, il tale inefficace sistema o il talaltro; insomma, invece di sprecare tempo e lavoro in tentativi di parziale e momentanea utilità, ingannandosi e ingannando le generazioni, si volgeranno (indirizzeranno cioè la propria attività e le proprie attenzioni) a questo serissimo e importantissimo argomento, radice (origine, causa o anche inizio) di un bene duraturo e universale. La donna deve farsi libera per mezzo della scienza, e insignorirsi di nuovo delle facoltà (cioè padroneggiarle, averne un'ottima conoscenza) che le furono usurpate. Non può rimanere neutrale sul pro-

95 prio terreno, nella grande battaglia di radicale rinnovamento che l'umanità ha ingaggiato con se stessa. I legislatori devono farsi un obbligo di rivedere le leggi e i titoli costitutivi della persona- lità giuridica della donna, e di regolarne altrimenti i diritti e i doveri in rapporto all'uomo. {54} È una vergogna, e una indicibile ingiustizia, il vedere che nei parlamenti europei non si parli quasi mai della donna, e a lei si fa riferimento unicamente quando si discute dell'articolo di bilancio concernente i sifilocomi ("sifilocomio, ospedale o ricovero, oggi scomparso, riservato ai mala- ti di sifilide", GDIU). La sua attuale situazione di nubile è un equivoco: ha, e non ha i diritti; è, e non è persona. È registrata agli atti dello stato civile, eredita, quando è maggiorenne può stare in giudizio, può commerciare, può contrattare, deve pagare le imposte e subire le sanzioni come e quanto ogni altro cittadino, ma poi i suoi ineffabili dolori connessi con la generazione (procreazione), il suo lavoro molteplice nella sfera famigliare e sociale non vengono calcolati abbastanza. La sua libertà individuale è alla mercé della pubblica sicurezza se vuole esercitare i suoi più sacri diritti, i diritti del cuore anche nei limiti della convenienza sociale e senza offesa per nessuno. Le è vietato di entrare nei consigli di famiglia. Le è vietato di testimoniare negli atti autentici (notarili; cioè negli atti pubblici e privati). Le è vietato di essere maggiorenne come l'uomo a 21 anni, e maritarsi al pari di questo, senza il consenso dei genitori che capricciosamente vi si oppongono. Le è vietato di votare. È esclusa dalle professioni {55}, dalle amministrazioni, e da tutti gli uffici e onori politi- ci, nei quali si riassume l'importanza della vita del municipio e della nazione. Nello stato matrimoniale poi la donna si ritrova con maggiori e più dure limitazioni. Ma è ormai tempo che il matrimonio, quest'atto solenne che legalizza l'unione sessuale tra due per- sone, sia portato al punto di dare agio a entrambi i coniugi di esplicare le facoltà (psico-fisiche, spirituali ecc.), facendo in modo che ciascuno conservi le proprie, aventi uguale valore sulla ba- se dei principi della morale (coniugale) che li unifica. Quindi non già subordinazione della moglie al marito, che degenera spesso nell'assogget- tarsi, nel sottomettersi cioè ai capricci e agli abusi del marito; ma equilibrio e armonia delle forze, rafforzamento dell'amore, svolgimento e approfondimento dell'intesa coniugale al fine di raggiungere il fine supremo della vita in comune. Quando marito e moglie non corrispondono più (non sono all'altezza, non sono adeguati) a questo al- tissimo scopo, perché è sfumato il bagliore di una passione momentanea, e sorge fra di essi un'incompatibilità di carattere tale da rendere impossibile la convivenza, allora sorge la neces- sità del divorzio, e ciascuno dei coniugi deve cercare di completarsi con un'altra più adeguata unione sessuale. Se il matrimonio è un contratto come tutti gli altri, perché non devono da ciò derivare le normali conseguenze? Perché la volontà che arbitra (giudica di proprio arbitrio) di legare (in matrimonio) i due coniugi, non debba poi valere a scioglierli? Si teme per la sorte dei figli: ma non è meglio sottrarli a una vita disordinata e lasciare che li educhi la madre che per essi nutre maggiore affetto, o il Comune quando i genitori non ne avessero i mezzi? Che cosa ci si potrebbe attendere da due esseri, il cui ricongiungimento si giudica impos- sibile, e la cui disparità per quanto concerne il pensare e il sentire, costituisce una sorta di dualismo che condanna entrambi a rimanere imperfetti a vita tra cipigli, rancori, miserie, scandali e cento altre cause di disordine domestico?

96 Nella società attuale, la sentenza di separazione personale dei coniugi, con la quale sol- tanto si vuol mettere riparo alle incompatibilità coniugali, è una soluzione di compromesso che non rende giustizia né all'uno né all'altra: - primo perché, una volta che si è colto un motivo serio di dissenso, questo aumenta, an- ziché scemare col crescere dell'età, quando le grazie giovanili sfioriscono (perdono la freschezza, il ri- goglio e lo splendore giovanile) e la febbre amorosa (grande passione, desiderio intenso) diminuisce d'intensità e frequenza; - secondo perché, se al marito si lascia campo libero per quanto concerne i piaceri, la po- vera moglie rimane condannata al sacrificio di lunghe privazioni che le sono imposte dalla suprema legge del pudore. Perciò, in omaggio alla verità, alla giustizia e alla libertà umana, si deve sancire il divorzio, ove necessario, come misura di ordine e benessere sociale. Le stesse ragioni che rendono ammissibile il divorzio, portano a concludere che la piena rappresentanza non sta nell'uomo preso singolarmente, ma bensì nel marito e nella moglie fusi insieme dall'amore. L'uomo non è perfetto finché non raggiunge questa fusione. Perciò, considerato indivi- dualmente, avrà metà di intelligenza, metà di forza vitale, e per conseguenza dovrà essere per metà considerato in rapporto al ruolo e alla funzione che svolge nella società. Quindi, anche se, per il rispetto dovuto alla libertà, si dà valore agli atti dell'uomo di età avanzata che è ri- masto celibe, non si può, anzi non si deve, fare altrettanto con l'uomo unito in matrimonio: in siffatta condizione, gli atti dell'uomo hanno valore se compiuti in forza di una personalità giu- ridica intera, la quale appartiene congiuntamente a tutti e due i coniugi. L'uomo acquista qualcosa di serio e di solenne dal punto di vista sociale, quando contrae matrimonio, e ciò gli deriva in modo riflesso, indirettamente cioè, dalla donna con la quale si completa. Però non so spiegare come le legislazioni abbiano potuto permettere che colei che avva- lora l'autenticità della vita, debba nascondersi o tacere nei suoi atti più importanti. Cominciando dai figli nati nel matrimonio che, come già detto prima, si può dire opera più della donna che dell'uomo, il quale alla fin fine non vi pone che il lievito momentaneo, o me- glio l'elemento cellulare: le leggi stabiliscono che si debba imporre ai figli il nome del padre e non della madre, basandosi su ipotesi e negando poi i fenomeni visibili, certi, connessi con la generazione. Questa esclusione ha fatto sì che le si lanciassero contro epiteti ignominiosi; e il non dar alle madri la lusinga (speranza, promessa) di essere rappresentata dai figli attraverso la successione del nome, è certamente la causa di quella mancanza d'amore, di attaccamento, che le porta addirittura a gettar via i propri figli, o a trascurarne l'educazione. Da ciò trae ori- gine anche l'onta assolutamente priva di fondamento che pesa per tutta la vita sui figli nati da unioni illegittime. Essi, senza alcuna colpa e in una società che li guarda in cagnesco, scontano una pena immeritata. Separati dagli altri figli a causa della loro fittizia condizione di stato (civile, cioè del- la loro particolare situazione giuridica o sociale), vedono costituito un odioso privilegio a favore di coloro che furono battezzati con il cognome del padre. E, mentre le leggi proclamano bugiar- 41 damente l'uguaglianza di diritto, i gettatelli ( ) o i figli senza padre sono condannati a ricono- scere disuguaglianze tra sé anonimi e coloro che ereditano i beni e il nome del genitore. Immorale è quella legge che per mantenere iniqui privilegi, colpisce con l'infamia di ef- fimeri delitti migliaia di innocenti creature! Per mettere un freno a una siffatta condotta che provoca infelicità e tormenti, e che vero- similmente è stata la causa efficiente che ha portato a statizzare (a trasferire sotto il controllo e la re- sponsabilità dello Stato), nella sola Parigi, circa 70.000 trovatelli, l'anno; - e altresì per riordinare, conformemente alle leggi naturali, i titoli di esistenza, derivanti non dal capriccio, ma dal processo stesso della generazione;

97 - e ancora per fugare dall'orizzonte della civiltà una distinzione davvero pesante, foriera di conseguenze fatali che rendono più amara la sorte avversa di una numerosa classe di persone marcate da epiteti d'infamia, vituperi e insulti; - e in ultimo per far trionfare il giusto mezzo; se non si volesse concedere ai figli esclusivamente il cognome della madre, si dovrebbe alme- no disporre che questo titolo (il cognome della madre) sia di per sé sufficiente alla legittima- zione di un figlio naturale (cioè all'attribuzione della qualità di figlio legittimo al figlio nato fuori del ma- trimonio). Pertanto, ci sia o non ci sia il nome del padre, sia il nome della madre la prova della genitura. E sia lei a giustificare i figli, e a stendere un velo di mistero sull'origine di ciascuno, accomunando tutti indistintamente, perché legittimati spontaneamente dalla natura. Oltre a questo clamoroso errore che si rinviene nei codici che avrebbero dovuto ritenere la personalità matrimoniale specificata dal concorso indefettibile (che non può venire meno) dei due coniugi, si vede sempre l'uomo primeggiare sulla donna, tanto da statuire non già la desiderata unione matrimoniale per scambiarsi vicendevolmente aiuto e forza, indispensabili all'adem- pimento della missione comune, bensì la rinuncia perpetua della donna alla sua autonomia e la sua soggezione all'autorità dell'uomo. Cosicché, in definitiva, non si scorge affatto la co- munione di due anime su un piano di uguaglianza, su un piano di pari dignità, ma un rapporto di servitù (sottomissione, asservimento) assolutamente in antitesi con i dettami della ragione e della co- scienza. Infatti, - il marito, e non la moglie, può stipulare i contratti; - il marito, e non la moglie, può stare in giudizio; - il marito, e non la moglie, può esercitare l'elettorato attivo e passivo; - il marito, anziché la moglie, è preferito nella tutela dei figli; - il marito, e non la moglie, può amministrare la proprietà; - il marito, e non la moglie, può esercitare il diritto d'associazione; - il marito può essere libero, e la moglie deve rimanere sempre soggetta alla sua autorità, alla sua volontà, al suo arbitrio; - il marito, per quanto concerne la vita sociale, può intrattenere rapporti con chicchessia; la moglie invece ha una sfera d'azione limitata, ben circoscritta da un potere e da un'autorità usurpata. Da questo scindere così la diade coniugale che avrebbe dovuto formare una sola anima, un solo corpo e una sola intelligenza, è conseguito che la donna: - non ha funzioni di rappresentanza né in casa, né in comune, né in parlamento (naziona- le); - non ha alcuna rappresentanza negli impieghi pubblici, nelle cattedre scientifiche, lette- rarie e artistiche; - e infine non partecipa in alcun modo agli onori dell'ordine cavalleresco e accademico. Tale esclusione della donna da tutti gli uffici: - è marcatamente uno spregio pesante avverso la dignità di un essere morale; - è un sottrarre all'umanità 450 milioni d'intelligenze; - e, invocando il ciceroniano summum jus [summum ius summa iniuria (lat. "il sommo diritto è somma ingiusti- zia") Aforisma giuridico con cui si vuol dire che l'uso rigoroso e indiscriminato di un diritto o l'applicazione rigida di una norma può diventa- re un'ingiustizia. Nella forma citata, si trova in Cicerone (De Officiis I, 10), ma è sentenza più antica ... . Treccani on line], dirò che è un palese invalidamento degli atti compiuti dall'uomo (inteso come individuo di sesso maschile, o meglio, come marito) come persona giuridica. Delle due l'una: - o si considera la donna come metà dell'uomo, o meglio, dell'unità famigliare, e allora gli atti (giuridici) finora eseguiti dal marito-capo della famiglia devono ritenersi imperfetti, atte- so che la perfezione si compie con il concorso della donna, la quale non compare, tra i firma- tari, nei titoli stipulati dall'uomo durante la società (coniugale) che afferisce appunto al ma- trimonio; 98 - o si giudica la donna dotata di personalità propria, e allora essa è parte della società civi- le. E se è anch'essa cittadino, se nella sfera dei rapporti sociali ci sono pure per lei degli inte- ressi, perché non può rappresentarli e tutelarli nel modo dovuto? La logica è inesorabile, e malgrado l'ostinazione gesuita di vecchi scrittori che si ispirano alla scuola clericale che prende per leggi eterne l'eterno errore di pregiudizi rovinosi; la logica impone alla coscienza del genere umano l'emancipazione della donna con il riconoscimento completo della sua personalità. Io non intendo qui combattere la malafede di quelli che gridano che si vuol disordinare (scompigliare, turbare) la famiglia, che si vuol corrompere la donna, che la si vuol sottrarre agli uffici domestici (alle incombenze famigliari), alla rassegnazione religiosa, per perderla nelle bur- rasche politiche e civili. L'emancipazione da uno stato d'ingiustizie e d'incertezze, che la fa essere il bersaglio del- la prepotenza scostumata, la quale finisce per condurla o al martirio o alla prostituzione, e che tende a ripristinare l'ordine domestico sulle sue basi naturali, non può avere il senso iniquo e rovinoso che gli avversari attribuiscono a un atto riparatore La donna nel consorzio civile deve essere considerata né più né meno come l'uomo. Quando si marita, deve avvenire in lei quel che avviene in ogni individuo che entra in una società particolare. Conservando tutte le garanzie giuridiche, deve contribuire a propria volta allo scopo determinato dalla legge del contratto. Ove non ci sia una pregiudiziale divisione del lavoro e dei compiti, ogni assorbimento di potere da parte del marito senza il suo consenso, è un odioso dispotismo; come pure è un odioso dispotismo la violazione dei diritti del cuore col pretesto che tale violazione sia per- messa all'uomo e non alla donna. L'infedeltà alle convenzioni non è lecita per nessuno, e quando la moglie è colpevole, l'uomo che gliene dà l'occasione, se ella non adempie la legge del contratto, invece di rimpro- verarla, deve incolpare se stesso con un doloroso mea culpa. Ma si dice che la donna ha già abbastanza diritti, l'accordargliene di più sarebbe come sviarla (corromperla) e farla sdrucciolare (incorrere a poco a poco) nella corruzione. Lasciando stare su questo proposito l'autorità dei grandi: Mazzini, Garibaldi, Saffi, Catta- neo, Quadrio, Campanella; degli onorevoli Macchi, de Boni; nonché del Martinati, Brusco Onnis, e di tutte le più spiccate individualità della schiera democratica; lasciando stare l'auto- rità dell'Omero vivente della Francia, cioè Victor Hugo, di Michelet, Stuart Mill, Jules Simon (deputato, membro del corpo legislativo), e di tanti sapienti e benemeriti dell'umanità che so- stengono, chi più chi meno, largamente la reintegrazione giuridica della donna; non posso non rispondere così, che per quanto riguarda i diritti non è lecito dire che ne ha avuti abbastanza; finché non ne ha tanti quanti gliene spettano, tanti quanti gliene accorda la natura, ha sempre ragione di reclamarne il complemento, né alcuno può obiettarne l'opportunità senza violare la giustizia distributiva su cui si fonda la stabilità e l'equilibrio sociale. Si dice altresì che la donna non si può emancipare se prima non si educa, poiché è perico- loso per la società esporla agli attriti della vita civile e politica, senza le cognizioni necessarie a garantirne il pudore e la continenza (temperanza, morigeratezza, sobrietà). Questo è il sofisma di tutti i despoti. Quando sono chiamati a riconoscere la libertà e gli altri diritti dei popoli, essi rispondono: sono immaturi. Ma si obietta che, proprio per farli ma- turare, e portarli a completo sviluppo intellettuale e morale, occorre che siano investiti della pienezza dei loro diritti. Finché i popoli sono schiavi, donde attingeranno i mezzi per evolver- si? E finché le donne non sono emancipate, non sono cioè riconosciute dalle leggi come per- sone complete al pari dell'uomo, come si può pretendere dalle generazioni, avvezze a ritenerle soggette e stupide, il rispetto che è loro dovuto, e l'apprestamento dei mezzi necessari per far- le essere madri oneste, ed educatrici della famiglia e della società? Come possono acquistare le cognizioni della vita sociale, che esse stesse devono insegna- re ai propri figli, se le sfere (sociali) dove essa concretamente si svolge, sono loro interdette

99 per ipotetica incapacità? Se, presentandosi nelle officine pubbliche, nelle scuole, nelle univer- sità, un codino (persona rigidamente conservatrice, retrograda, reazionaria) qualunque può dire loro: "Indietro! La legge stabilisce che qui possono entrare, lavorare e istruirsi uomini e non don- ne>>? I popoli, come altre volte ribadito, imitano quello che vedono fare ai legislatori. Se questi daranno rilevanza e importanza alla donna con un atto di emancipazione, se mostreranno di averne rispetto e la riconosceranno capace di svolgere funzioni più ragguardevoli di quelle esplicate finora, allora i popoli, seguendone l'esempio, la rispetteranno e, perché possa corri- spondere allo scopo, sentiranno il bisogno di educarne la mente e il cuore conformemente alla missione che ella assume. Ma se la si lascia incompleta come è oggi, se si dice con i barbasso- ri (iron., persona che si dà molta importanza) che l'emancipazione della donna è una stravagante fol- lia, perché ella non deve fare altro che quello che ha sempre fatto, che non deve vivere che nell'inettezza del cucire e filare, allora quale padre sarà così balordo da spendere tempo e de- naro per l'educazione di un essere equivoco, giuridicamente indefinito e socialmente condan- nato all'inettitudine? A rigor di logica, quelli che predicano educazione, dovrebbero gridare anche emancipa- zione, altrimenti il loro desiderio si riduce a una mera ipocrisia, e alla perpetuazione della me- schina educazione clericale e di quel barbaro status quo del quale possono ritenersi soddisfatti solo i despoti. Ma si dice che è una stravaganza il volere che la moglie intervenga in tutte le faccende, quando, vivendo ella insieme con il coniuge, si presuppone che partecipi, appunto, insieme con il marito agli affari comuni; oppure che la divisione del lavoro, le cure della maternità e le condizioni speciali dell'organismo femminile esigono di circoscriverne l'azione nell'ambito della casa, anche perché le mancherebbe il tempo di occuparsi delle faccende extradomesti- che, delegate dagli usi e costumi sociali al marito che può da sé solo disimpegnarle. - Alla prima obiezione rispondo che raramente l'orgoglioso maschio chiama la moglie a prendere parte ai suoi negozi giuridici. Per la qual cosa, senza il suo concorso, il più delle vol- te, l'infelice (moglie) ha dovuto scontare le tristi conseguenze (pagare il fio) delle aberrazioni ma- ritali. Quindi il suo intervento negli affari non deve essere presunto, ma si deve vedere con- cretamente con un mandato esplicito [cioè vincolante, per cui il mandatario (il marito) s'impegna a compiere un atto giuri- dico per conto del mandante (la moglie)], sia nella firma sia in altra forma di manifesto assenso. Alle altre obiezioni rispondo che sono perfettamente d'accordo con quelli che reputano necessaria la divisione del lavoro, e che la casa debba essere governata dalla donna; ma ap- punto perché le si accorda piena autorità in questo piccolo regno, non si può volere che sia vassalla; appunto perché nella casa ella deve far germinare la vita della società, bisogna che abbia agio di studiarla in tutte le sue sfere per trasmetterne poi i criteri ai figli che la devono rappresentare. La si calunnia quando si crede che, emancipata, abbandonerebbe le cure domestiche così necessarie alla vita intima, interiore. Come il lavoro si divide in forza del contratto in una so- cietà di uomini, così rimarrà diviso tra l'uomo e la donna per il conseguimento dello scopo prefisso nella vita comune, quando essa acquista integralmente i suoi diritti. La vita domestica è per lei l'istinto, e l'istinto, se si migliora con le buone istituzioni sociali, giammai si riesce a cancellarlo. Cosa avviene allorché si proclamano gli atti politici che chiamano uguali tutti i cittadini? L'avvocato rimane avvocato; il sarto, sarto; il facchino, facchino; e ciascuno cerca di miglio- rarsi nella sfera natia. Lo stesso avverrà della donna: ella, emancipata, ossia colmata di migliori guarentigie, ri- marrà donna sorella, amica, madre di famiglia, feconda di luce, di moralità e di benessere più di quanto non poté mostrarsi finora nella condizione umiliante di schiava. Lo scrupolo (la remora) delle sue funzioni organiche, la mancanza di tempo per gli uffici sociali, e l'essere, la mente dell'uomo, sufficiente per l'amministrazione degli affari pubblici e

100 privati, si confutano da sé, perché la donna, cui l'organismo non impedisce il pesantissimo la- voro della vanga, non può non svolgere agevolmente le funzioni che richiedono più forza mentale che muscolare; la donna che con la sua sveltezza sbriga le faccende di casa in poco tempo, e impiega la maggior parte del giorno o a noiosi sollazzi o a sterili preghiere o a lavori infruttuosi, non può non avere il tempo necessario per cure maggiori. Da ultimo, circa la van- tata sufficienza dell'uomo per quanto concerne l'ordinamento domestico e pubblico, è assai nota la storia delle sue fallacie amministrative per poter escludere il concorso dell'intelligenza muliebre. La moglie, in tanto gli è compagna, in quanto è spirito pensante; e a uno spirito pensante che costituisce la sua metà, non deve, e né può, essere negato il diritto di incidere con la sua intelligenza, la sua forza d'animo e la sua volontà sulle condizioni essenziali (es.: elementi di un accor- do, patto; limitazioni, restrizioni, riserve) che attengono alla vita in comune. Qual è la ragione per la quale una donna che può essere una celebre cantante, un'abile balleri- na, una rinomata giocoliera, non possa anche essere una pensatrice che diffonda sapere dalla cattedra (come docente) e dalla tribuna (come avvocato o giudice), quando l'umanità lamenta una penuria di intelligenze, cioè di persone di grande capacità, prontezza e vivacità intellettiva? Qual è la ragione per la quale la donna che si deve stimare come compagna dell'uomo nella casa, nella piazza, nel teatro e nelle feste da ballo, si debba poi escludere dai fatti importanti che decidono degli interessi della famiglia e dell'onore della patria? Se la donna può essere regina di Spagna, regina d'Inghilterra, arbitra dei destini di intere nazioni, perché non può essere poi cittadino comune, amministratore di casa sua, e coadiutore nel governo del proprio paese? Perciò, senza esagerare nel lungo esame delle cose purtroppo note a tutti e a ciascuno, si accetti la necessità di ristabilire giuridicamente la dignità della donna. {57} Il secolo delle autonomie tende alla reintegrazione e allo svolgimento di tutte le potenze naturali perché la forza morale trionfi sulla forza fisica. E se la donna più del maschio rappre- senta la forza morale, allora, conformemente all'aspirazione razionale del secolo, se non deve prendere il sovrappiù (più del normale, del necessario, del giusto), deve rimanere, per quanto concer- ne i diritti, almeno uguale all'uomo suo compagno. L'avvenire - il certo, il grande, il temuto avvenire - è nemico spietato delle usurpazioni e delle tenebre (dell'oscurità intellettuale, morale, spirituale); e non ammette esseri che non si votino al sacrifi- cio: si arma (cioè si provvede, si munisce del necessario per combattere) contro tutto ciò che rappresenta il passa- to per difendere il diritto, per sostenere il debole, per diffondere la luce (che ci libera da una condizione negativa, che ci eleva intellettualmente, spiritualmente; cioè la luce della scienza, della ragione, del progresso, della speranza, della fede). Coloro i quali, nell'ambito del loro progetto di vita, non edificano il loro agire individuale su tali basi; coloro i cui diritti non furono mai violati; coloro i quali non furono o non voglio- no essere testimoni con la propria vita (o morte); coloro i quali risposero di no alla luce: sono fuori dell'avvenire. Ora, se la donna si trova in un decadimento degno di un bruto; se le manca la scienza per la quale tanto sospirò (d'amore, di desiderio); se è il primo martire segnato nella memoria storica dell'umanità; allora non può non partecipare, e in misura rilevante, alla co- struzione dell'avvenire. E parimenti i grandi pensatori non possono non sentirsi in dovere di gridare e proclamare ai quattro venti la sua rigenerazione morale e giuridica. Si è debellata la pirateria africana e la tratta dei negri; si alza la voce per protestare contro la schiavitù dell'uomo; si presta soccorso all'infanzia cinese; e intanto nessun'opera di aposto- lato si compie per distruggere quella vergognosa istituzione chiamata postribolo (di stato); e nessun apostolato si fa per riportare la luce della verità e della scienza dall'occidente all'orien- te, e farla rifulgere sulle schiave musulmane {58} e sulle donne di tutto il mondo. Eppure ogni altro fatto è secondario, non implica mai la grande, importante, capitale questione della donna. Proprio lei è il principio da cui hanno origine tutte le conseguenze sociali. Perciò, finché sarà cieca (priva del lume della ragione, acritica) e menipossente (in una condizione di inferiorità, debolezza, im-

101 potenza), per quanto ci si sforzi di investigare i rimedi opportuni, mai e poi mai si giungerà a estirpare il male dalla radice. Finora militò (fu di appoggio, di sostegno) la scusa della sua presunta inettitudine; e militarono al- tresì gli ostacoli temporanei e locali che impedivano lo sviluppo (l'accrescimento progressivo, il potenzia- mento) della ragione umana; ma ora che la verifica sperimentale inficia tutte le ipotesi; ora che la coscienza universale comanda che tutti, uomini e donne, devono avere pari opportunità e uguaglianza di diritti; e dispone che l'ultimo evo - l'evo moderno, evo bellicoso - del millen- nio sia speso per il trionfo della verità; il fatto che si taccia sulla sorte della donna e che si ab- bandoni proprio lei che è l'argomento più interessante della vita dei popoli - tesi che tutte le persone magnanime devono fondamentalmente condividere -, non è forse un venir meno alla propria missione, un dichiararsi ignominiosamente vericida, cioè uccisore del vero? Si gridi dunque a oriente e a occidente la rigenerazione della donna; si proclami la scien- za come l'intento più nobile di tutto il globo terrestre, perché l'ignoranza per difetto di natura è miseria (sventura), per negligenza dell'uomo è delitto (colpa grave). E se in avvenire la pubblica opinione detesterà l'ignoranza volontaria, questo suo disprezzo, questo suo sentimento di pro- fonda avversione morale, elevato a legge, porterà nel giro di pochi anni all'abolizione dei co- dici, delle polizie e degli eserciti permanenti. Son certo che di primo acchito questa asserzione sembrerà acerba (dura, crudele, severa), ma se si avrà la pazienza di approfondire gli eccessi, le esagerazioni della vita reale, l'acerbezza (acerbità) che è solo apparente, si muterà subito in verità ineluttabile. È proprio della natura umana agire liberamente quando la volontà è sottomessa all'intel- letto, e agire da schiava quando invece segue l'impulso dei sensi e della passione. Le comuni- tà, che sono un aggregato, un insieme di persone che fanno vita in comune, se si muovono per impulso della ragione, seguono la morale spontanea del proprio essere, e sono libere. Quando invece si muovono perché forzate dal timore della pena, allora danno segni palesi di schiavitù, essendo mosse non dall'intima luce della verità, ma da un'esteriore forza bruta (non guidata dalla ra- gione) che le minaccia. Per la qual cosa, se tale forza scema (diminuisce d'intensità, si attenua), esse piom- bano nell'anarchia. Cosicché, per tenere debitamente gli uomini nella sfera (entro i limiti) del do- vere e dell'ordine, e non renderli vanamente bisognosi d'innumerevoli decreti governativi, è necessario educarli e istruirli alla e con la scienza che riflette la luce della verità, e feconda gli ingegni. Nella scienza vi sono le sanzioni delle leggi eterne, la cui cognizione rende inutili i decreti dell'autorità umana. Si può pertanto concludere, senza tema di smentita, che il multorum ca- melorum onus [(2) Il numero delle opere dei giureconsulti, al tempo di Giustiniano, arrivava quasi a 2000, e, giusta l'espressione di Eunapio, servito avrebbe di carico a più camelli = Multorum camelorum onus. (pp. 3-4) Compendio_storico_del_diritto_romano], l'immensa varietà di leggi con cui sono state governate le nazioni del mondo, furono sempre il prodotto o della malafede o dell'ignoranza, perché, se si fosse acquistata cognizione certa della natura umana, o non ci sarebbero state o sarebbero sta- te invariabili per tutti i tempi e per tutti i popoli. Se fossero state la partenogenesi spontanea (naturale) di un intelletto illuminato dalla luce della scienza, le leggi avrebbero contenuto in sé solo giudizi giusti in ordine al vero destino dell'uomo, e non avrebbero ornato il bene con orpelli (cioè mascherato, celato sotto falsa apparenza) allo sco- po di occultare le segrete passioni e i peculiari interessi di coloro che le emanavano. In verità, quale paese si dichiara pienamente pago delle disposizioni governative? Quale codice preclude a contendenti e litiganti la possibilità di adire le vie legali, recando a sostegno quei gradi di perfettibilità che più si confanno alla razza umana dal punto di vista legale? Di certo nessuno, quantunque gli impostori usurpatori di titoli d'onore e rispetto, indebitamente riveriti, avessero anticipato con i mendaci oracoli della stampa mercenaria che determinati provvedimenti governativi erano un modello di perfezione per ciò che concerne la garanzia dei diritti umani. Chi è avvezzo a plaudire ai fatti e non alle parole, non può non reclamare seriamente con-

102 tro questo deprecabile andazzo volto a nascondere la verità e a dissimulare l'errore. Dagli ef- fetti è agevole trarre argomento onde giudicare assai imperfette, anzi nocive, le leggi emanate sotto l'imperio (l'autorità, il dominio, la supremazia) dei falsi sistemi filosofici che, influendo direttamente sull'intelligenza dei legislatori, ne dirigevano l'animo non già allo sviluppo autentico della sconosciuta natura umana, bensì al torpore (pigrizia, indolenza, fisica o intellettuale), all'ignavia (pigrizia, indo- lenza spirituale, viltà) e alle nefandezze (le nefande aberrazioni) di cui è fatta segno (a cui è sottoposta) la vita pra- tica. Perciò, dobbiamo attenderci veramente un ordine legale conforme all'estrinseco ("Che viene di fuori, Che direttamente non appartiene alla cosa di che si parla. (Fanf.)", Tommaseo-Bellini, estrinseco) sostegno della comu- nità umana, non appena la scienza avrà rischiarato le menti con la luce dell'essere delle cose, di cui le leggi non sono che l'eco o il riflesso, vale a dire il rispecchiamento. Allora la ragione, cioè la dottrina e scienza delle leggi (del diritto), che rivela l'esistenza del dovere e corrobora il diritto che ne consegue (praticamente: dall'adempimento dei doveri, la pretesa dei diritti), sarà immutabile ed efficace ovunque: ognuno potrà vederla da sé con il proprio intelletto; do- vrà subito conformarsi a essa senza aspettare che le passioni, nell'esercizio delle proprie fun- zioni, offuschino la mente, mutino e falsino incessantemente i giudizi, e volgano l'uomo an- che al disprezzo della stessa forza (spirituale) che, quelle passioni, presidia (protegge, tutela) mec- canicamente (automaticamente, inconsciamente). Infatti, nell'ambito del diritto penale, noi troviamo sanzioni rigorose contro i delinquenti. Presso i Greci, i Romani e in tutti i tempi della passata civiltà umana: il letto di Procuste (quello su cui il leggendario ladrone poneva le sue vittime, stirandone o tagliandone le membra se erano più corte o più lunghe del letto), il Toro di Falaride (strumento di tortura e di esecuzione nell'antica Grecia. L'invenzione dello strumento si attribuisce a Perillo di Atene, un fonditore di ottone, che propose a Falaride, tiranno di Agrigento, l'invenzione di tale sistema per giustiziare i criminali. Vd.: Dante, Inferno, Canto XXVII, vv. 7-12), la pena del trogolo {59}, le ordalie [nel diritto medievale, giudizio di Dio senza combattimento, valevole come prova giudiziaria: praticamente ogni prova rischiosa (per es.: del duello, dell'acqua bollente o fredda, del ferro rovente) alla quale veniva sottoposto un accusato, e il cui esito, considerato come diretta manifestazione della volontà divina, era determinante per ricono- scimento dell'innocenza o della colpevolezza dell'accusato stesso], la cena dei Visconti (il veleno nella cena come strumento di morte per cospirazioni, congiuri e omicidi), la gogna (collare di ferro che si poneva stretto alla gola dei rei esposti alla berlina; per estensione, la berlina stessa), il carcere, la berlina (pena infamante di origine medievale consistente nell'esporre il condannato al ludibrio pubblico, in luogo appunto esposto al pubblico, spesso sopra un palco, per lo più con l'indicazione del delitto commesso), il fer- ro e il fuoco, il veleno, le torture, le catene, le legnate, la cuffia del silenzio ["uno strumento di silen- zio, composto di varie bende di ferro circolari che serrano la testa del colpevole dalla nuca alla fronte, riunite fra loro da un'altra benda di fer- ro, che si parte in due per dar passaggio al naso, ed è terminata al di sotto da una lingua di ferro che entra nella bocca fino al palato" in Pie- monte liberale? No, brutale, di Angela Pellicciari. (Da "La Padania", 23 settembre 2001)]; il puntale, la camicia di forza, la palla, il cassone di forza {60} e per ultimo il supplizio (pena corporale che comporta gravi sofferenze e lesioni: il s. della flagellazione, il s. del taglio delle mani ecc.), senza contare le altre forme di espiazione, assai note pur- troppo, e le miserie orribili che si accompagnano allo stato penitenziale civile, cioè alla pena detentiva restrittiva della libertà personale, praticamente all'essere trattenuto (in attesa di giudi- zio) in uno stabilimento di pena. Dunque queste sanzioni penali che, come si dice, sono di competenza degli organi preposti al mantenimento del benessere sociale e civile, con l'estir- pazione della colpa, quali frutti hanno prodotto in tanti secoli, quale garanzia legale hanno of- ferto alla società umana? I frutti sono sempre stati come dovevano essere, cioè identici al germe preesistente. Per- ciò da animi corrotti, la corruzione; da delinquenti, di cui non si è illuminato l'intelletto, una nuova serie di delitti. Le garanzie legali che sono susseguite (come immediata conseguenza), non sono state altro che nuove aggressioni contro l'uomo, di cui si disconosce sempre più la natura, per- ché gli animi, divenuti più sottilmente maliziosi (cioè più astuti, più abili), appena usciti dall'oppres- sione penitenziaria, assuefatti a una vita non conforme alle norme, hanno corrotto la società e reso molto più efficace il proselitismo dei colpevoli. Quindi le pene inflitte per rinnovare la condotta morale del delinquente e per servire da esem- pio a chi per indole è incline al malfare (cioè all'agire in modo disonesto o malvagio), le pene, cioè, sono di- ventate fecondatrici di mali maggiori, aprendo un semenzaio (vivaio) di corruzione morale nel luogo in cui doveva sorgere una struttura organizzata per purificare il cuore da abiezioni, di- sonestà, turpitudini.

103 Ora, se invece di prendere i germi delle leggi dal favoloso (leggendario, mitico) diritto divi- no; se invece di mirare all'esclusiva garanzia legale di poche famiglie fortunate e dei partiti del potere, si fosse considerato l'uomo in sé, la libertà e la dignità dell'essere umano, tanti mezzi di repressione cieca e barbara, di cui si è oramai stanchi e annoiati, non sarebbero stati necessari. I legislatori, in quanto rappresentanti e non tiranni dei popoli, basando le leggi pe- nali sul principio della perfettibilità dell'uomo, avrebbero creato nelle varie gradazioni delle pene non ciò che logora e perverte la vita umana, bensì una serie di ricostituenti morali per ri- condurre i colpevoli ai confini, travalicati (trasgrediti), del giusto e dell'onesto. Quindi il pro- cesso sarebbe stato breve e pubblico, e non lungo e inquisitoriale; la pena di morte sarebbe stata del tutto abolita; la temporaneità delle pene sostitutive (sanzioni sostitutive) sarebbe stata regolata non secondo i termini inesorabili delle sentenze di condanna o secondo la grazia con- cessa dai governi, ma secondo i vari gradi di perfettibilità che emerge dalla emendazione dei rei; le carceri sarebbero state per gli imputati un luogo di sicurezza, nel quale sarebbero tratte- nuti come in casa propria senza alcuna interdizione, per i condannati poi una scuola di morali- tà mercé l'istruzione e la disciplina del lavoro produttivo. La magistratura, da ultimo, con que- sto ragionevole sistema, avrebbe avuto una retribuzione consona al lavoro e alla dignità del proprio ufficio, e non sarebbe stata l'automa servile del ministro, del procuratore generale e del carabiniere {61}, ma la sacra depositaria delle leggi sociali, responsabili dei suoi atti, e dipendente solo dalla censura di un Comitato Supremo. Un ordine penitenziale, basato sul principio della perfettibilità, non solo risparmierebbe ai popoli l'indecorosa e crescente marea di delitti che minaccia di sprofondarli nel vituperio del più sozzo dispotismo, ma, economizzando (riducendo le spese) sulla produzione, darebbe loro 2 dei tanti milioni che spendono infruttuosamente sotto il titolo di pubblica sicurezza. Nell'ambito del diritto civile, le leggi emanazioni anch'esse di un sistema ipotetico e op- pressivo, mirano alla conservazione del diritto quiritario, fonte di dispotismo e di odiosi privi- legi. I manipolatori di riforme cesaree hanno cercato di nascondere le incongruenze che vi si scorgono in relazione alle proclamate libertà politiche; lasciando intatta però l'ossatura del si- stema, non c'è voluto molto tempo per rilevare le antinomie tra il concetto fondamentale delle leggi civili e le nuove disposizioni. Il sentire che tutti i cittadini dello stato sono uguali davanti alla legge, fa supporre natu- ralmente che si sia guadagnato moltissimo di fronte alle altre legislazioni che negano tale uguaglianza. Ma la persona assennata rileva nell'idea dell'uguaglianza una derisione, confer- mata dal diverso trattamento giuridico dell'uomo e della donna; del marito e della moglie; dei figli legittimi e dei figli naturali; dei contraenti comuni che si legano e si sciolgono con la propria volontà e i contraenti delle nozze, ai quali se si accorda la facoltà di votarsi all'unione, poi è negato il potere di divorziare; chi vede, queste e altre contraddizioni si persuade facil- mente che la vera origine dei disordini sociali risiede nelle legislazioni stantie (cadute in disuso, non più attuali, prive di valore e significato), che rappresentano bisogni e costumi non più confacenti allo sviluppo della ragione e ai progressi della civiltà. Perciò, quali che siano le misure di prevenzione o le minacce, le sanzioni o i principi del- la legislazione civile, se la coscienza morale dei cittadini non è retta dalla luce della mente che la scienza vi apporta; se le misure stesse non sono dirette in buonafede a tale solenne sco- po, allora ci si dorrà sempre di scorgervi un germe di male. Quindi, a rigor di logica, non si può che ripetere questo: la legislazione tenderà veramente, stabilmente all'imparzialità e alla giustizia come proprio scopo (sarà cioè equa, giusta, conforme a validi principi morali), solo quando, semplifi- candosi nel modo richiesto dall'ordine naturale delle cose, eleverà semplicemente a delitto l'i- gnoranza e proclamerà la scienza unico baluardo dell'ordine e della sicurezza sociale. La questione che agita, e agiterà sempre il genere umano non attiene alla proprietà, ma all'essere. La proprietà non è l'essere, ma una delle sue condizioni essenziali. Il signor Thiers disse con una delle sue formule espressive che tagliano il nodo senza scioglierlo (vale a dire sfug- gendo la difficoltà senza dare risposta) che al giorno d'oggi mancano gli appigli per nuovi movimenti in-

104 surrezionali, dal momento che non si possono addurre a pretesto altre riforme oltre quelle già fatte; e, intanto, malgrado le parole di riconciliazione pronunciate con pretesa di infallibilità dal grande storico, il mondo muta, stravolgendo senza posa l'assetto politico, economico, so- ciale, morale. Egli esprime così il suo concetto: "Aussi, dans l'immortelle nuit du 4 août, toutes les classes de la nation, magnifiquement représentées dans l'Assemblée constituante, pouvaient venir immoler quelque chose sur l'autel de la patrie. Elles avaient toutes, en effet, quelque chose à y apporter: les classes privilégiées leurs exemptions d'impôt, le clergé ses biens, la noblesse ses droits féodaux et ses titres, les provinces leurs constitutions séparées. Toutes les classes, en un mot, avaient un sacrifice à of- frir, et elles l'accomplirent au milieu d'une joie inouïe. Cette joie était non pas la joie de quel- ques-uns, mais la joie de tous, la joie du peuple affranchi de vexations de tout genre, la joie du tiers état relevé de son abaissement, la joie de la noblesse elle-même vivement sensible alors au plaisir de bien faire. C'était une ivresse sans mesure, una exaltation d'humanité qui nous portait à embrasser le monde entier dans notre ardent patriotisme. On n'a pas manqué depuis quelque temps d'agiter tant qu'on a pu les masses populaires: a-t-on produit l'élan de 1789? Assurément non. Et pourquoi? C'est que ce qui est fait n'est plus à faire, c'est que, dans une nuit du 4 août, on ne saurait quoi sacrifier. Y a-t-il, en effet, quel- que part un four ou un moulin banal à supprimer? Y a-t-il du gibier qu'on ne puisse tuer quand il vient sur votre terre? Y a-t-il des censeurs autres du moins que la multitude irritée, ou la dictature qui la représente? Y a-t-il des Bastilles? Y a-t-il des incapacités de religion ou de naissance? Y a-t-il quelqu'un qui nepuisse parvenir à tous les emplois? Y a-t-il d'autre inégali- té que celle de l'esprit, qui n'est pas imputable à la loi, ou celle de la fortune, qui dérive du droit de propriété? Essayez maintenant si vous pouvez, une nuit du 4 août, élevez un autel de la patrie, et dites-nous ce que vous y apporterez? De abus, oh! certainement, il n'en manque pas, il n'en manquera dans aucun temps. Mais quelques abus sur un autel de la patrie élevé en plein vent, c'est trop peu! il faut y apporter d'autres offrandes. Cherchez donc, cherchez dans cette société défaite, refaite tant de fois de- puis quatre-vingt-neuf, et je vous défie de trouver autre chose à sacrifier que la propriété". (pp. 12-13) [De la Propriété par M. A. Thiers. Édition populaire a un franc. Paris, Paulin, Lheureux et C. Éditeurs, Rue Richelieu, 60 - 1848 - Digitaliz- zato Google.

105 sono delle Bastiglie? Vi sono delle incapacità di religione o di nascita? Vi è qualcuno che non possa arrivare a occupare tutti gl'impieghi? Vi è disuguaglianza altra da quella dello spirito, che non è imputabile alla legge, o da quella della fortuna, che deriva dal diritto di proprietà? Provate ora, se potete, una notte del 4 agosto, elevate un altare alla patria, e dite a noi cosa vi apporterete voi? Degli abusi, oh! certamente, non ne mancano, e non ne man- cheranno mai. Ma qualche abuso offerto sull'altare della patria innalzato dal concorso popolare, è troppo poco! bisogna arrecarvi ben altra cosa. Cercate dunque, rovistate in questa società disfatta e rifatta tante volte dopo l'89, ed io vi sfido a trovare a sacrificare altro che non sia la proprietà>>

Ha un bel dire il Thiers (con giudizio, una valutazione eccessivamente ottimistica e facilona) che tutto è fatto, che nulla rimanga da farsi, e che la questione al giorno d'oggi si riduca a una mera questione di proprietà. Io non sono di quelli che amano gli orrori delle guerre sanguinose, che un puro sentimen- to cristiano non potrà mai approvare. È senza patria, senza leggi e senza Lari chi la civile orrenda guerra Desidera. ... [ILIADE di OMERO Traduzione di Vincenzo Monti, Milano MDCCCXL. Libro IX, vv. 80-82 (p. 136) - Digitalizzato Google.] Ma sono invece di quelli che non s'illudono, che guardano le cose per quelle che sono, e non credono che si muti la natura, mutandone i nomi. La rivoluzione francese agitò, sommosse, rivelò al mondo gli arcani tesori di eroismo e di immenso patriottismo che fecero della Francia una delle più potenti e illustri nazioni, ma non trasformò - il vizio era nel suo programma -. Il programma della rivoluzione dell'89 fu dialet- tico (cioè mentale, avente forza persuasiva) ma non vero, né durevole. Delle tre parole égalité, fra- ternité e liberté su cui era fondato, l'eguaglianza fu menzogna, la fraternità ipocrisia, la sola libertà un fatto. Nel '48, lo stesso programma riprodusse l'impero. Quando la metafisica degli statisti non si conforma alla natura delle cose, fallisce sempre. L'eguaglianza che non è in natura, non poteva tradursi in fatto sociale, e proclamandola come si fece, disilluse le plebi, e impaurì i possidenti, provocandone la reazione. La fraternità è anch'essa una parola priva di senso, perché non corrisponde alle sanzioni morali del dovere. È una ipocrisia che simula, fra gli uomini di famiglie differenti, rapporti di legittimità che le leggi non riconoscono. Infatti, il giorno in cui l'uomo della plebe, in nome della fraternità, entra nel guardaroba del signore e ne indossa gli abiti, viene incarcerato come ladro. Le società religiose, fondate sul principio della fraternità, finiscono per essere parassite, e sono condannate alla dissoluzione dalla scienza e dal senso morale dei popoli. La libertà, la libertà soltanto è vera, ma considerata isolatamente, cioè irrelatamente, senza gli altri termini che ne garantiscano l'esistenza e lo sviluppo, finisce anch'essa per dive- nire quel male che si chiama anarchia, e per essere ripudiata. Se lo scopo della coesistenza sociale è l'interesse reciproco alla conservazione dei suoi membri, non l'ipocrita fraternità, ma la solidarietà costituisce secondo logica il punto centrale della vita comune. Devo cooperare al bene dell'altro, e astenermi dal fargli del male (nuocergli), perché nella reciprocità io ottengo lo stesso: il suo bene, e il suo male, è anche mio. Se lo scopo della coesistenza sociale è aver mezzi consoni allo sviluppo delle facoltà umane, l'uguaglianza non vi sopperisce, e qualora si stabilisse, (per l'appunto, l'uguaglianza) diver- rebbe disordine e ingiustizia. Non può esserci uguaglianza, perché le facoltà umane sono sva- riate e disuguali; e anche perché universalmente e storicamente impossibile. Invece, il fonda- mento logico di questa esigenza razionale è la distribuzione. Quando il cittadino ha dal con- sorzio civile ciò di cui ha bisogno in ordine alla sua perfettibilità, egli ha ottenuto quanto gli basta, e quel che gli si deve. 106 L'on. Giuseppe Ferrari, nel suo importante libro sulla filosofia della rivoluzione, conclude che l'accesso agli impieghi da parte delle infime classi del popolo, sia frutto dell'uguaglianza. Pur stimando l'alto ingegno del mio amico, penso invece che non c'è mai stata uguaglianza, non ce n'è e né può essercene. Al contrario tali conquiste, la rivoluzione li deve alla giustizia distributiva, che, a dispetto delle resistenze, si è insinuata nelle leggi e nei costumi del tempo. Se il principio della distribuzione divenisse stabilmente anch'esso termine (elemento considerato come parte integrante) del programma, il concetto metafisico (sostanziale, universale e assoluto) e giu- ridico dell'unicuique suum sarebbe di per sé sufficiente ad assicurare alle nazioni l'equilibrio che il principio di uguaglianza, dopo tante sanguinosissime lotte, non fece loro conseguire. Da ultimo, se la garanzia dell'ordine sociale è riposta nella responsabilità di tutti i suoi membri, allora gli statisti che la trascurano, oltre che recare offesa grave all'essere morale, as- somigliandolo all'asino, all'albero o alla pietra, assolutamente irresponsabili, tolgono anche le sanzioni su cui si fonda l'efficacia del dovere, e lasciano aperte le porte al dispotismo. Se il papa e l'imperatore che non si vergognano d'essere assimilati, a cagione della loro ir- responsabilità, all'asino, all'albero e alla pietra, sapessero che assumono la responsabilità degli assassini del loro governo e che di questo devono rendere conto davanti a un Eforato naziona- le, io son certo che tanti arbitrii (abusi della libera volontà) da cui si è funestati, non si consume- rebbero impunemente. Stante quanto detto, concludo che il programma di una rivoluzione che abbia consistenza logica, bisogna che sia fondata su questi indispensabili termini: Libertà, Solidarietà, Distribu- zione e Responsabilità. Se tutto il gran lavoro della civiltà si fosse compiuto nell'89: - non ci sarebbe stato bisogno di disfare e rifare la società tante volte d'allora in poi, come lo stesso storico pubblicista asserisce; - non si sentirebbero i perenni gemiti e le mutevoli opinioni che accennano a tutt'altro che al principio della proprietà; Ci deve essere perciò una causa segreta che perennemente smuove (fa uscire dall'immobilismo, stimola all'azione) e agita (spinge all'azione rivoluzionaria) le masse popolari. Tale causa risiede appunto nel principio sopra accennato: l'uomo deve essere spirito, e se non diventa tale, se non consegue pienamente le sue prerogative mentali e non acquista i su- premi criteri del bene e del male, elevandosi con la coscienza allo stesso livello della legge (cioè nobilitarsi, essere all'altezza della legge, in grado cioè di rispettarla), gli rimarrà sempre qualcosa da desiderare. Deriva insomma dal perché la questione è una questione d'essere, e non di condizioni parziali ed esteriori. L'Europa e il mondo intero sottostà ancora all'organizzazione del patriar- calismo (sistema di vita patriarcale) che, rendendo il padre di famiglia pontefice e re, le mogli e i figli vittime e servi, dette origine, e consolidò nelle religioni e negli stati, l'autocrazia teocrati- ca e politica, la quale vive di privilegi, di dispotismo, di ignoranza, di schiavitù e di cruenti sacrifici a danno delle maggioranze dei popoli, più benefiche perché operaie e produttrici. Se la rivoluzione dell'89, proclamando i diritti dell'uomo, li avessi trasfusi nella costitu- zione della famiglia, commisurando equamente i diritti della paternità e della figliolanza, dell'uomo e della donna; se li avesse posti a fondamento delle leggi civili e politiche dello sta- to, e avesse consacrato, nel principio della libertà e della solidarietà della vita, l'equilibrio del- le forze e il progresso pacifico e perenne delle comunità nella via del benessere, allora si do- vrebbero battere le mani al papà dei conservatori, e si dovrebbe concludere con lui: le tra- sformazioni rivoluzionarie sono inutili. Ma quando pensiamo che la rivoluzione demolì i forni, e lasciò in piedi i fornai; cacciò i gesuiti, e lasciò intatto il gesuitismo; quando vediamo che nel dettare le nuove leggi alla Francia, invece di ispirarsi ai principii proclamati, attinse alla fonte del diritto romano che i Patres conscripti (i senatori) avevano formulato sulla base delle tradizioni patriarcali e sulle dodici tavole del re pontefice Numa Pompilio, per consolidare la dispotica supremazia dome- stica e politica; quando vediamo che modificata di nome e non di fatto l'organizzazione della

107 proprietà, le successioni e l'idolatria religiosa; quando leggiamo che una libera assemblea (il Parlamento del Regno d'Italia) derideva l'oratore (cioè Salvatore Morelli) che per la prima volta lamen- tava la condizione oscura e miserevole della donna, allora è giocoforza concludere che la ri- voluzione dell'89, se contentò le passioni politiche, non soddisfece le promesse della scienza - demolì malamente e a metà - troncò i rami e mantenne le radici delle vecchie istituzioni, che rifiorirono nel risorgimento del papato, dell'impero e nel feudalismo bottegaio (gretto, meschino, venale), funesto alla morale e alla libertà più dell'abolito primitivo feudalismo patrizio. Occuparsi oggi di mantenere istituzioni che il mondo civile rifiuta e combatte, contrapporre un'ostinata resistenza alle correnti del progresso: non è opera di conservazione, ma è lievito di uno di quei terribili e inevitabili rivolgimenti che il Thiers stesso vorrebbe scongiurare. Ora questi uomini conservatori che in ogni movimento politico fanno sorgere il fantasma del socialismo e del comunismo per impaurire i possidenti così che possano contrapporre una cieca e brutale resistenza al proletariato che chiede di rinvenire, nell'era novella, le garanzie giuridiche che il dispotismo del privilegio interdisse loro per secoli; questi uomini conservato- ri non si rendono conto di screditarsi davanti alla coscienza pubblica, quando sapienti, come tutti li ritengono, per egoismo, fingono di non riconoscere le cause del malessere sociale e ri- corrono alle calunnie e alle armi per reprimere le povere masse che a ragione si riscuotono. Il comunismo non deve venire, esiste già negli ordinamenti d'oggidì: non è la rivoluzione che lo crea, ma i governi del privilegio. Se esso consiste nella illegittima partecipazione alla proprietà altrui, chi più comunista del papato, dei conventi e dell'impero che, approfittando fraudolentemente dell'ignoranza, impongono alla povera classe dei produttori i monopoli e le usure delle immorali classi dei privilegiati, le quali, inette a produrre un atomo di bene, si in- gegnano invece, e si studiano di opprimere le nazioni e deturparne la dignità? L'obolo di S. Pietro, le tasse dei sacramenti, le questue per santi che, per così dire, non mangiano, esatte con la minaccia del purgatorio e dell'inferno; una serie indefinita di tributi sui morti e sui vivi, sugli stabili (edifici, fabbricati) e sul capitale che superano l'entità economica (e la capacità contributiva) dei contribuenti, per mantenere la forza e il prestigio di pochi inutili consumatori. E come se questo non bastasse, una rete di intrighi protetti, di parassiti onorati, che devono arricchirsi a discapito del merito e della vera onestà, con cumulo di uffici pubbli- ci, con traffici disonesti, con il favoritismo negli affari che creano poche fortune e grandi mi- serie. ECCO IL COMUNISMO!!? Comunismo è quello dell'usuraio che impone all'infelice agricoltore la dura legge di ven- dere in erba i sudati suoi prodotti; comunismo è quello dei pubblici amministratori che profit- tano per sé e per i padroni delle cose poste sotto la loro tutela. Questo comunismo intarsiato di immoralità e di ingiustizie è appunto la causa del mal- contento e della rivoluzione che ribolle di nascosto. Quindi i conservatori, tra le cui fila vi so- no i veri comunisti, dovrebbero, al giorno d'oggi, avere se non altro il pudore di tacere; ma quando essi per far proseliti a favore della reazione fra gli onesti proprietari, che al pari dei proletari sono vittime della loro cupidigia, osano screditare la voce dei popoli che reclamano libertà e giustizia, incutendo spavento con il comunismo, ogni cittadino ha il diritto di rispon- dere: il comunismo siete voi, ed è per porre fine alla vostra iniqua baraonda che l'umanità ten- de a mettere le cose al loro posto naturale con i dettami del socialismo, il quale, mentre frena i parassiti, dà ragionevolmente a tutte le classi sociali le giuste e spettanti garanzie della vita di cui sono sfornite Asserire che le ere delle rivoluzioni furono chiuse dall'89, mentre il papato e il cesarismo sono oggi corruttori e dispotici quanto lo erano allora i Capetingi; mentre il monopolio e il privilegio disseccano le fonti della vita popolare non meno di quello che avveniva sullo scor- cio del XVIII secolo: asserire questo non è opera né patriottica né prudente. L'uomo di genio, sinceramente amico dell'umanità, non aspetta che avvenga lo scandalo per reprimerlo con il sangue cittadino a beneficio di una casta, e con il lutto e la miseria della

108 nazione che governa; ma investiga i principi nuovi che la forza delle cose instilla nella co- scienza delle generazioni; spia (cerca, osservando attentamente di capire, di conoscere, di avere elementi di valutazione) i bisogni materiali e morali che agitano la comunità, e li formula e soddisfa con leggi provvide, oculate e sagge. Qualora io vedessi lo spirito dei governi incedere con questo metodo di trasformazione progressiva (che avanza sulla via del progresso), allora con tutta l'anima li chiamerei conservatori; ma quando vedo invece propugnare l'ignoranza, la corruzione e l'anormalità in tutte le sfere della vita sociale all'ombra (sotto la tutela, la protezione) del gendarme e del patibolo, allora direi a Thiers e ai ciechi servitori del trono e dell'altare: Signori, voi perturbate, non conservate! Infatti come si potrebbe dire al mondo di soffermarsi dinanzi alle istituzioni di una chiesa e di uno stato che crollano per inettezza senile? Come si potrebbe imporre una fede che la scienza condanna, e un governo che non si identifica con le aspirazioni della coscienza nazio- nale? Guai se mentre le popolazioni, nella pienezza dei tempi, chiedono il naturale governo del- la giustizia, della ragione e della libertà, questi conservatori del male sorgano a soffocare le voci con la prepotenza della forza! Guai se oggi che il socialismo, quest'Annibale della povertà disprezzata, è alle porte, si voglia essere disubbidienti e riluttanti di fronte allo spettacolo di tre quarti di popolo analfabe- ta; di fronte alla discrasia (squilibrio, stato di caos) dell'emigrazione, della tratta dei fanciulli, del pauperismo (povertà dilagante), del carcere, degli scioperi, della camorra, del monopolio, del brigantaggio e della duplice prostituzione della donna e della coscienza {62}, funesta eredità del sistema personale e accentratore propugnato dai conservatori, che fomenta la grande crisi, la vera crisi d'oggi. I principi, più forti degli uomini e dell'egoismo dei partiti, li sormonteran- no sino a rovesciarli implacabilmente. Chi avrà il coraggio di seguire il secolo nei grandi problemi che gli pone davanti: 1° - sulla costituzione, redatta conformemente allo svolgimento progressivo (che procede nella via del progresso) della libertà politica e civile, individuale e collettiva delle nazioni; 2° - sulla responsabilità giuridica di tutti gli attori dello stato; 3° - sula moralità, che si determina nella giustizia distributiva con il premio e con la pena; 4° - sulla solidarietà della vita, perché ogni cittadino compartecipi mercé il proprio lavoro al diritto di esistere, e a tutto ciò che inerisce alla vita intellettuale, politica e civile della so- cietà; 5° - sulla libertà di coscienza, e sulla completa abolizione dei culti; 6° - sulla abolizione degli eserciti permanenti e delle polizie, che opprimono, corrompono e dissanguano i popoli, e correlativamente la sostituzione con una vigilanza giuridica, munici- pale e della nazione armata; 7° - sull'autonomia, comunale e provinciale con più larghi poteri elettorali, amministrativi e politici; 8° - sullo sviluppo del sistema economico tramite l'abolizione delle barriere (doganali o pro- tettive), e l'adozione di una tassa unica; 9° - sulla semplificazione della burocrazia, abolendo i ministeri e creando al posto loro 4 Direzioni di Stato, così articolate: 1. Direzione di Stato del Tesoro Pubblico; 2. Direzione di Stato della Marina; 3. Direzione di Stato degli Affari Esteri; 4. Direzione di Stato della Giu- stizia; 10° - sullo stipendio adeguato al lavoro di tutti i pubblici uffici, non cumulati né cumula- bili; 11° - sulla conversione dei luoghi pubblici di beneficenza e delle carceri in luoghi d'istru- zione e di lavoro produttivo; 12° - sulle odiose distinzioni giuridiche dei figli legittimi e dei naturali, dell'uomo e della donna; 13° - sulla istruzione gratuita e obbligatoria per le classi elementari della Scuola Mater-

109 na; obbligatoria nel metodo e nelle dottrine per le classi secondarie; libera per l'insegnamento di più alto grado. Questa ultima riforma, specialmente per me, è di importanza capitale, urgente, impre- scindibile, perché da essa dipende se le generazioni debbano rimanere nel caos di infeconde agitazioni e di deplorevoli miserie, o debbano ricostituirsi stabilmente nel loro posto naturale e, con la guida dei grandi criteri intorno al giusto e all'onesto, al diritto e al dovere, rendersi operose circa i propri destini al fine di raggiungere il benessere desiderato senza perturbare l'altrui esistenza. Sbizzarrirsi altrimenti a investigare i mezzi conservatori (che mantengono inalterata nel tempo) della società, è pura follia. Fino a quando gli uomini erano ciechi, era facile condurli al macel- lo delle guerre, e reprimerli con tanti nefandi mezzi, sussidiari (di supporto, di complemento) del patibolo, inventati dal privilegio; ma, una volta che, per mezzo di ineffabili sacrifici, si è squarciato il velo (del destino), e la luce della verità è balenata nella coscienza umana; una volta che lo spirito universale si ribella alla menzogna, odia l'ingiustizia, proclama nemici dell'umanità gli inventori di strumenti omicidi, mentre benedice i filantropi propugnatori della pace; da ultimo, una volta che le generazioni gridano: dobbiamo vivere, lasciateci vivere, in- segnateci a vivere!; quello della donna, quello dell'istruzione e dell'educazione è il pro- blema dei problemi, è il primo fra tutti che si è obbligati a risolvere, e il segreto di questa grande soluzione sta nelle due parole Donna e Scienza con cui intitolo il mio lavoro. Dimostrato fino all'evidenza (in modo chiaro e indubitabile) che la donna ha da compiere tre alte missioni: procreare l'uomo, educarlo e muoverlo, dacché nasce finché muore, la necessità della scienza della vita è per lei ineluttabile (ineludibile, inevitabile). Ora, non potendo acquistare altrimenti la scienza della vita se non quando ella è messa in condizione di partecipare alle varie sfere sociali e politiche dove questa vita si svolge, e sul cui concreto può con la riflessione scoprirne le leggi e dotarne la mente dei figli, la logica e il buon senso impongono perentoriamente di riconoscere alla donna tutti i diritti di cui gode l'uomo. Questa sua reintegrazione giuridica oltre che a cancellare (cassare, depennare) una ingiusti- zia e rendere completa la sua personalità menomata e degradata fin'a un'indecorosa schiavitù, serve anche a imporre ai genitori e alle famiglie un'educazione meno pigra, meno inetta di quella che oggi riceve, e più efficace a promuovere lo sviluppo progressivo della forza dell'in- telletto che si esplica con la luce della ragione. Finché la donna sarà in-considerata (non tenuta cioè nella debita considerazione), come lo è og- gi; finché non le viene assegnato, com'è doveroso, necessario e imprescindibile, il compito che emerge dalla posizione razionalmente impostale dalla natura in ordine alla triplice mis- sione già luminosamente chiarita, è insperabile distogliere la famiglia e la società dallo stupi- do andazzo di confinarla ignorante nella sfera dell'ago e del fuso in balia di funesti pregiudizi, e di istruirla poco o male. Per costringere dunque il senso morale della coscienza privata e pubblica, devono prima i legislatori delle nazioni civili riconoscerne la personalità giuridica, e i diritti che le competono; devono esser loro i primi a proclamarne l'emancipazione dall'igno- ranza, dai pregiudizi e da quella morale perfida che la gioca (inganna, la raggira), la deturpa e la corrompe additandole come meta suprema l'ubbidienza passiva, l'ubbidienza cieca che rende le donne, d'indole più tolleranti, infelici per tutta la vita; e le più risentite (d'indole più suscettibili, più portate a offendersi), scherno e ludibrio (derisione) della società ingiusta. Dinanzi all'autorità del provvedimento legislativo che, riconoscendo pienamente alla donna i diritti della personalità umana, la emancipasse dal sistema di vita nel quale vi è il germe del malessere suo e della società, scomparirebbero dalla coscienza della famiglia in- sieme con i falsi criteri di barbare tradizioni, poco a poco, anche le abitudini secolari, cosicché in poco tempo, sperimentandosi dai regressisti più pervicaci la ragionevolezza di questa ri- forma capitale, non si avrebbe paura di quei turbamenti cui sovente fanno esplicito riferimen- to gli interessati al vecchio regime al fine di scongiurarne l'attuazione.

110 In nome della civiltà, non perdiamo più tempo con una situazione di pianto e di vergogne, guardandola di scorcio (di sfuggita, da lontano e per un attimo) dal lato esteriore, dal lato politico: dibattiamone i gravi problemi, affrontiamone la soluzione. In tutte le epoche si è fatto sempre il bene e la grandezza di pochi, bisogna fare un po- chino il bene di tutti. Ci si trova in una perfetta babilonia, l'asse morale è gravemente spostato, non si distingue più, si confondono gli onesti e i disonesti, i rei e gli innocenti, i martiri e i carnefici. La società, non dissimilmente dai fanciulli che piangono per dolori di cui non si conosco- no le cause, attribuisce le sue angosce a questo o a quell'altro, e li calunnia e li demolisce, ma non appena quegli uomini e quelle cose non ci sono più, si accorge che il pianto persiste e che i suoi germi sono in ben altri elementi. Oggi si crea il dispotismo, e l'indomani si demolisce; si crea il costituzionalismo, e l'in- domani non è più buono; si crea la repubblica, e si finisce per rovesciarla nel sangue come ro- vinosa e inefficace. In siffatta incertezza nessuno è contento; stanno male i governi, perché, anche se avessero lucidi intervalli di onestà, prigionieri della situazione creata dalla loro persistenza in un siste- ma impossibile, non sanno più dove sbattere la testa, e sono incerti del domani; stanno male i popoli, perché, oppressi e ammiseriti, gemono e ruminano sdegni contro gli oppressori; sta male il ricco, sta male il povero, sta male il sapiente, sta male l'ignorante, sta male il soldato, sta male il prete, stiamo male tutti. Prepariamoci! Prepariamoci come vuole la legge della ragione e della libertà, indispensabili all'equili- brio morale; prepariamoci come vuole la giustizia distributiva, togliamo di mezzo, una volta per sempre, l'eterna contraddizione. Non è possibile che un regno, anche retto democraticamente, possa, stante ciò, prosperare quanto dovrebbe: - repubblica nello stato <=> papa re in casa; - libertà in piazza <=> schiavitù in casa; - statuto nazionale <=> autocrazia in casa; - presidente responsabile <=> lu tata (alias, pater familias dialettale: dialetto di Carovigno) irresponsa- bile; - uomo tutto <=> donna nulla. {63} Se la Svizzera e gli Stati Uniti d'America, pur godendo di tanta libertà, soffrono anch'essi miserie e dolori, il germe dei loro mali risiede in questa contraddizione nella quale vivono in- sieme con i sistemi dispotici. Quando certe verità vengono riconosciute da quelle menti illuminate che costituiscono la classe intellettuale (cioè l'intellighenzia) delle nazioni, per debito di coscienza, hanno cioè il do- vere morale di imporsi alle masse ignoranti che devono usufruire dei vantaggi, anche con la forza delle sanzioni legali. Se certi uomini, certi principi transitori e menzogneri, certi balzelli opprimenti si fanno subire ai popoli anche con il cannone e con la tortura, perché l'utile, l'u- manitaria, la benefica verità non debba anch'essa assumere forme coattive di fronte al pregiu- dizio riluttante dei poveri ciechi? Ma non sarebbe parimenti colpevole quel legislatore filosofo che condividesse il pregiu- dizio plebeo di dover mantenere gli errori unicamente perché rispettati per molti secoli? Nel mondo non ha diritto d'esistere che la verità, l'id quod est, il ciò che è! Ora, quando i progressi della mente umana, togliendo la maschera all'errore, lo mostrano quale sorgente del- le dolorose miserie da cui sono afflitte le nazioni, e peraltro additano loro la meta della sal- vezza nelle verità riconosciute dalla scienza, l'abbandonarsi alle negazioni è indizio certo o di deplorevole ignoranza o di perfidia codarda. Il che avverrebbe senza dubbio se si persistesse nel giudicare la donna persona a metà, la- sciandola sotto la tutela, pericolosa e degenere, della coscienza altrui, mentre si riconosce che

111 il suo spirito razionale la fa essere partecipe dei diritti, quanto l'uomo, e come l'uomo. Il che avverrebbe altresì se si volesse arrestare lo sviluppo intellettuale dei popoli, negan- do loro la scienza che indica fedelmente gli scopi della vita e i mezzi educativi per conseguirli pienamente. I tempi non si mutano che con l'educazione. In Grecia e a Roma la scienza fu di pochi, e l'ignoranza delle plebi innalzò patiboli e altari come esigevano gli interessi personali degli ambiziosi. Cicerone fu decapitato, e Socrate, avvelenato (con la cicuta). Dal Medioevo fino alla sanguinosa rivoluzione francese (in particolare Il Regime del Terrore, che ebbe inizio nel luglio de1793), si co- minciò accogliendo con favore, e si finì avversando, i più salutari concetti degli spiriti illumi- nati. La luce della verità propagata, l'aspirazione al bene di tutti gli uomini, il desiderio pale- sato di vedere concretamente nel mondo la (equa) distribuzione dei diritti, la libertà, la giusti- zia e l'onore civile fu chiamato delitto politico. Quegli stessi che se ne dovevano giovare, continuano a martirizzare fino a oggi i missio- nari e gli apostoli della fede, della verità, della libertà: non dipende forse questo da ignoranza crassa (cioè grandissima, e in cosa necessaria e importante da sapersi), che ingombra la mente (la riempie di idee, nozioni perlopiù inutili o dannose o comunque in quantità eccessiva), specialmente quella della donna che esercita un'au- torità, per così dire, da pontefice sul proprio nucleo familiare, nel sacro luogo domestico? Si introduca dunque qualsivoglia novità, si muti il diritto pubblico, si creino i parlamenti, si riorganizzino le nazioni, si chieda gridando di far scendere o di far salire cento ministri l'anno, si affranchino gli schiavi, si moltiplichino a più non posso le mezze misure (provvedimenti di compromesso, risoluzioni o espedienti inadeguati e non conclusive); ma finché la coscienza morale della famiglia non sarà illuminata dalla luce della verità, finché la donna non diverrà il profeta (che parla per ispira- zione divina), il sacerdote (che si dedica alla famiglia con dignità e fervore considerandola come una sacra missione), il sapiente (che è ricco di sapienza, avendo acquisito molte e profonde cognizioni, anche attraverso l'esperienza, la riflessione ecc.), l'educatore (che si occupa dei problemi educativi), il magistrato (che assolve la funzione di giudice), il guerriero (che lotta valorosamente contro avversità e nemici) della casa, finché non si sostituirà: - ALL'EDUCAZIONE MISTIFICATA, L'EDUCAZIONE NATURALE E AUTONOMA; - allo studio dell'astratto, lo studio del concreto; - alla direzione fredda (indifferente, distaccata, scostante, senza cordialità) dei maestri salariati, la direzio- ne della donna, perché solo lei è capace di sacrificarsi per l'uomo, dal momento che gli dà vita finché vive, sia per quanto attiene al corpo che all'anima, sotto l'influenza di una perenne ispi- razione; si facciano dunque tutte queste cose, ma saranno semplicemente dei tentativi che non daranno mai né vera civiltà, né pace duratura al mondo. Pace e civiltà: ci saranno solo in dipendenza dai fattori educativi che perseguono l'autonomia delle facoltà umane, per mezzo delle quali si possono, e si devono, moralizzare i costumi, fa- cendo nascere il libero cittadino dal libero fanciullo. Orazio, il Venosino, diceva con dolore ai Romani: <> (?) ( ) E come presentimento, intuizione e speranza in un avvenire migliore, ripeto esser d'accordo con quegli spiriti generosi che si volgono a tutelare la dignità della donna e a rigenerarla per mezzo della vera scienza, rialzandola dall'abisso della perdizione morale in cui versiamo, ge- menti e piangenti: la donna, in mezzo al caos di questo secolo d'anarchia morale, dovrà essere la mente demiurgica (avere cioè i caratteri del demiurgo, quali la potenza creatrice e l'intelligenza ordinatrice), che ci risol- leverà a una duratura potenza civile. Il giorno che s'inalba (diventa bianco; si fa chiaro) così splendidamente, sarà il trionfo della natura, la vittoria della verità e del diritto sulla menzogna e sulla forza. Possano queste sincere aspirazioni riuscire feconde e utili all'amato paese per il quale ho sacrificato l'intera vita. Benché dettate da un ingegno fiacco, credo fermamente che inciteran- no altri valorosi a far trionfare la causa della donna, e in pari tempo renderanno testimonianza della stima profonda che io devo a chi mi usava benevolenza, quando altri s'impaurivano per

112 il mio sguardo, e quando il feroce potere agonizzante mi condannava a vivere forestiero nel mio paese. Finisco non senza dire alle donne: Care Signore, il mondo è di chi se lo sa prendere. Se voi volete la vostra posizione giuri- dica, dovete conquistarvela. Profittate del momento in cui l'Italia volge a migliori destini, immischiatevi nell'azione rivendicatrice, e propugnate il vostro diritto propugnando la libertà e l'unità della patria, che prelude alla grande unità e alla libertà del genere umano, grazie al- la soppressione delle barriere e delle guerre internazionali. Prima che questa generazione finisca per cadere rovinosamente, lentamente, stupida- mente nella dannazione eterna, riscuotetevi, associatevi con le consorelle d'oltremonte e d'ol- tremare per imporre ai legislatori una legge moralizzatrice ed emancipatrice, per (at)tirare alla mensa della luce le madri operaie che vivono cieche e prostrate nei miasmi delle città e negli ardori delle campagne, e, proclamando con la RELIGIONE DELLA SCIENZA l'esalta- zione del proprio sesso, aggiungere alle virtù naturali che vi decorano, l'aureola sublime di una epopea rigeneratrice!

Scritto in Lecce il 1858 Riveduto a Napoli il 1869

113 NOTE

{1} (p. 3 ==> 108/405) Sin dal '49, quando tenerissimo giovanetto (appena 25enne) fui trasci- nato in tribunale al banco degli imputati per reati politici, mi fermentava nella mente e nel cuore il pensiero di una riforma educativa, perché già sentivo che senza ministri dispotici, de- nunciatori, inquisitori, giudici servili, gendarmi e agenti immorali, i quali fanno pure parte della famiglia del popolo, un governo non avrebbe la forza, cioè i mezzi occorrenti per tiran- neggiare (governare con metodi tirannici) e fare scempio della parte più eletta del nostro paese. Occorre- va perciò, per mutare in esseri uomini tali belve feroci, un metodo educativo del tutto nuovo. Sin d'allora scrissi un volumetto intitolato Piaghe e Speranze, nel quale disegnai le tre riforme indispensabili, che oggi sono la leggenda della mia bandiera sociale e politica. Quel volumet- to mi fu requisito dalla polizia! Quindi, legato con venti malfattori dopo la condanna alla re- legazione (confino, esilio) - la prima in tutto il regno -, fui tradotto da un carcere all'altro sull'isola di Ponza. Là ebbi agio di meditare su questo arduo argomento. Mentre m'impegnavo a patro- cinare i reduci lombardi e altri imputati di reati politici, e a scrivere per i giornali esteri artico- li denuncianti all'opinione pubblica d'Europa il regime tirannico dei Borboni, mi volsi a edu- care dei ragazzini; cercai di mettere in pratica un metodo d'insegnamento non comune; ma i miei poveri studi non corrispondevano (non erano adeguati, all'altezza) alle aspirazioni del cuore. Ciò nonostante non potevo non rallegrarmi nel vedere che per avere un po' deviato dal cammino ordinario seguito dai sedicenti pedagoghi (quelli che si spacciano per maestri di scuola), quegli isolani con- seguivano agevolmente un profitto degno di lode, conforme in tutto alle mie aspettative, de- standosi all'amore della libertà, delle scienze e delle arti, i cui germi erano stati in precedenza soffocati da tutti gli organi del governo e specialmente da quel maggiore comandante, stupi- damente feroce, il quale, per il solo fatto che una volta gli dissi che non intendevo infrangere le leggi, addirittura prese il verbo infrangere per sinonimo di Francia repubblicana, e voleva farmi assestare cento legnate. Il potere, ingelositosi, dunque, di questa propaganda civilizza- trice e dell'amore di cui mi colmavano gli abitanti dell'isola e i compagni, accusava di cospi- razione me, Mattia Valentini dell'Aquila, Enrico Muzii di Popoli, Gabriele Morelli e Stefano Mancini di Napoli, Vincenzo Rocco di Campagna d'Eboli, il Canonico Lazazzara di Castella- neta e altri reduci lombardi. Sicché, la notte del 26 giugno 1851, un'intera squadra, composta dalla Fregata Amalia e dai brigantini della Real Marina del Regno delle Due Sicilie: il Principe Carlo, il Valoroso e l'In- trepido, ci catturò con metodi terroristici e per ordine del re fummo trasferiti nel sinistro Ma- schio del Castello d'Ischia. Lì le oppressioni del tiranno portate all'estremo limite, con la crudeltà disumana di tenere gli uomini incatenati al cosiddetto puntale e di legar loro le mani da dietro, degradandoli fino a dover mangiare come fanno i giumenti con la faccia a terra, confermarono di più la mia idea della necessità di un nuovo metodo educativo. Nondimeno, non potendo mai comunicare con Poerio, Pironti, Nisco e Braico, che pur gemevano incatena- ti nel carcere di quel castello, e dai quali avrei potuto ricavare delle buone idee in proposito, la mia aspirazione rimase ancora indefinita e incerta. 18 mesi di sofferenza: incanutii anzi tem- po. Fui mandato quindi al confino a Ventotene. Qui, animato dall'influenza che i miei compagni politici esercitavano sul comandante, mentre m'impegnavo a esercitare la professione di av- vocato a beneficio degli imputati accusati del delitto di lesa maestà (a duecento dei quali nel '55, con un motto di spirito procurai la liberazione), ritenni di dover seguitare l'opera educati- va, facendo scuola gratis a quei ragazzi isolani. Difatti mi compiacqui alquanto dei giovamen- ti che sempre di più ne traevano; e per abituarli a un metodo fecondo di maggiori risultati, ne scrissi furtivamente all'onorevole Luigi Settembrini, che era rinchiuso nell'ergastolo (specie di car- cere) di S. Stefano. Il marinaio messaggero dei cospiratori mi portò dopo due giorni la gradita risposta di Settembrini come, eludendo in modo singolare la vigilanza dei carcerieri, era solito portarne anche a me e agli altri di Silvio Spaventa, di Carlo Poerio e di tutti i patrioti che lan-

114 guivano in quella e in altre prigioni. La lettera di Settembrini che ancora conservo, conteneva oltre quello che un galantuomo sa dire a un compagno di sventura, anche questa frase: si deve imparare più a riflettere che a leggere. Mi piacque, ne intesi la saggezza e l'importanza, ma non soddisfece i miei desideri. Fra le scientifiche discussioni nelle quali spesso m'intrattenevo in quell'esilio con l'amico Giuseppe Libertini, mio carissimo comprovinciale, e altri, mi ero fissato su questo importantissimo argomento e vi associai maggiormente il pensiero della donna, quando ebbi - per il tramite di Libertini - la triste notizia che mia madre era già morta, abbattuta dal dolore della mia condanna, dal brutale disprezzo e dalle miserie che gli uomini del governo facevano pesare sull'intera mia famiglia. La perdita della madre mia adorata, to- gliendomi la pace per moltissimo tempo, mi lasciò meditare un po' più profondamente sull'importanza della donna, ma fui in grado di concretizzarla in una formula che facesse pre- sagire una nuova vita, solo nell'Aprile del 1858. Il pensatore Giovanni di Maio1, venendo a relegazione su quell'isola, mi chiarì l'idea riformatrice che vagheggiavo da tanti anni. Devo dunque confessare che solo con Giovanni di Maio mi convinsi fermamente della necessità di un nuovo sistema educativo per mezzo di tre riforme emancipatrici: della donna, della co- scienza e del pensiero. Il suo intelletto, ricco di sapienza, m'invaghì (mi attrasse), e stemmo in- sieme per circa un mese e mezzo, finché non mi prosciolsero, nell'ultimo processo politico, dall'imputazione delle 300 bandiere per la discesa gloriosa di Carlo Pisacane e Giovanni Ni- cotera a Sapri. Così dopo cinque anni di penitenziale dimora su quello scoglio, cioè sull'isola di Ventotene, mi divisi con dolore da quei carissimi compagni. Giunto a Napoli, dopo due giorni fui spedito, scortato, a Lecce. I miei lo seppero e, passando da Carovigno, ultimo delizioso colle degli Appennini, mi venne- ro incontro con mezzo popolo, e fui costretto a salire su al paese da dove mancavo da dieci anni. Ma che cosa dovevo trovarvi, che potevo trovarvi, quando mi era stato espropriato (?) anche il palazzo paterno dove nacqui, quando il meglio se n'era andato per sempre con la mor- te di mia madre? Nonpertanto, il mio cuore pieno di fiducia, fortemente impressionato dall'idea di un pros- simo avvenire, rideva di compiacenza sulla sfortuna della mia famiglia. Mi compiacevo di aver adempiuto un sacro dovere, qual ogni onesto cittadino deve giudicare il proprio sacrificio per la salvezza dell'Italia. Circondato dunque dall'affetto del popolo, che è la più grande delle ricchezze, e da quello di cari amici di Ostuni, San Vito e Brindisi, mossi difilato a Lecce. Là giunto, stetti come se mi fossi rinchiuso in una specie di ergastolo: mi fu sempre proi- bito di tornare al mio paese; fui sottoposto a una tale severa vigilanza che tutti mi sfuggivano quasi fossi un lebbroso o un appestato, e per due volte che mi fermai nella farmacia di Vin- cenzo Grande, la polizia la rafforzò. Fra le tante persone però di quella civilissima città che segretamente fremevano a causa delle mie crudeli sofferenze, e di cui serbo lieta memoria, ve ne sono due che benedirò sempre, tanto quanto meritano di esserlo coloro i quali con nobiltà d'animo fanno onore all'umanità, i quali unicamente per ossequio al martirio politico offrono all'esule conforto e solidarietà nei momenti più terribili della vita. Il carissimo mio amico per- sonale Pasquale Greco e la sua gentile signora Giovanna De Angelis, che in lacrime mi ac- compagnavano al carcere quando fui catturato, ora che mi rivedono esule dopo tanti anni di pena, mi stendono, eludendo il potere, fraternamente la mano. Animato dai loro incoraggianti consigli, sorretto da qualche felice successo che sempre più mi confermava la validità del sistema (educativo), mi riproposi di fissarne con esattezza le peculiarità in un lavoro esplicativo, al fine di contraccambiare la stima e i sentimenti incalco- labili di affetto che quelle anime gentili mi dimostrarono nella sventura, e al fine anche, con la pubblicazione, di divulgarne nel paese i principi che io credo vantaggiosi per la civiltà. Di na- scosto cercai pure di mettere sulla via del vero dei carissimi ragazzini, ma ciò non poté conti- nuare a lungo, perché se ebbi l'opportunità di scrivere furtivamente questo libro, non potei né pubblicarlo, né proseguire l'insegnamento. La polizia lo aveva già saputo, e già macchinava di imprigionarmi di nuovo: come in realtà accadde. Si accrebbe la sua ira contro di me quando

115 chiamato da Francesco 2° nella sua venuta a Lecce, mi rifiutai di andarvi perché ritenevo es- ser quello un amaro sarcasmo: il figlio del re non poteva trattare con un attendibile politico, qual io veramente ero (Attendibile, nel Regno delle Due Sicilie, era la persona sorvegliata dalla polizia perché sospettata di libera- lismo). Mi catturò e dopo avermi tenuto senza fiato per 35 giorni in una specie di armadio, cioè nel tubo del campanile di San Francesco, mi fece trasferire da Lecce a Maglie, dove vidi spuntare l'alba della libertà fra le dimostrazioni di affetto dei bravi e gentili magliesi, fra i quali in special modo ricordo con animo riconoscente il distintissimo mio amico Achille Tamborino, da cui ebbi larghi segni di spontanea affezione. Sarebbe stata questa l'epoca nella quale avrei potuto, con il mio povero ingegno, portare giovamento alla patria, ma venni insieme con la mia famiglia, ingratamente e crudelmente, avversato e tagliato fuori da ogni utile lavoro, perché , amando il bene e il decoro del paese, mi opposi all'iniquo indirizzo governativo che ha vilipeso l'onore nazionale, e nove processi politici e l'onorato martirio di dodici anni in trenta prigioni, furono empiamente calpestati dai parassiti della monarchia. A me la coscienza di aver adempiuto il mio dovere, agli altri la re- sponsabilità di una immorale violenta oppressione. 1[Giovanni de Maio (Greci, 1824-1900). Sacerdote e patriota del risorgimento italiano, perseguitato politico e imprigionato per i suoi ideali politici. Sostenne attivamente il ministro Pasquale Stanislao Mancini. Fu pro-sindaco di Greci dal 1875 al 1876. Volle far incidere sulla sua tomba il celebre epitaffio dettato dal giurista irpino: A / GIOVANNI DE MAIO / PENSATORE E PATRIOTA / INSIGNE *** ALL'UNO E TRINO / FORTE INNEGGIASTI / O PRODE / DELLE LOTTE /ARCANE DEL PENSIER / CAMPION NON DOMO / MANCINI. Ha lasciato tra i suoi scritti alcune composizioni poetiche". Da it.calameo.com]

{2} (p. 12 ==> 117/405) Discorso agli Operai Italiani. (?) In realtà il brano è tratto dal Capito- lo sesto, Doveri verso la famiglia, in Doveri dell'uomo di Giuseppe Mazzini.

{3} (p. 12 ==> 117/405) Illud pro statu naturae, verum omnium agnoscimus ad quem res na- turali e completu progressu perveniunt. Citazione del Vent. (?) [In realtà: P. G. Ventura, La ragione filosofica e la ragione cattolica, Milano 1852 - Digitalizzato Google - p. 182, "5. Qualunque ente, il quale abbia nel suo nascere, nell'incominciare, un principio debole e imperfetto, tende per sua natura ad afforzarsi, a perfezionarsi, per lo svi- luppo suo, pel suo fine. Lo stato in cui nasce, in cu' incomincia, è sua condizione nativa; quello a cui tende, cui si affatica per giungere, quel- lo è condizione sua naturale: avvegnacchè la perfezione sia lo stato naturale di ogni essere perfettibile (2) <<(2) Noi riconosciamo, dice Ari- stotele, che lo stato di natura di tutti gli esseri è quello, al quale giungono per lo naturale e compiuto loro progredimento. Illum, pro statu na- turae rerum omnium, agnoscimus, ad quem res, naturali et completo progressu, perveniunt. (De repub. lib. I.2.)>>. Gioacchino Ventura, La Raison Philosophique et la Raison Catholique. Conférences Prechées a Paris dans l'année 1854, augmentées et accompagnées de remarques et de notes, par Le T. R. P. VENTURA DE RAULICA, Ancien Général de l'Ordre des Théatins, Consulteur de la Sacrèe Congrégation des Rites Examinateur des Évéques et du Clergé romain. Tome Troisième. Paris, 1855 - "Troisième Partie. 12. Nous avons remarqué ailleurs (Confér. t.I, p. 294) que tout être, ayant eu un commencement, tend, par une loi de sa nature, à se développer, à se fortifier, à se compléter, à se perfectionner; et que comme rien, disait Aristote, n'est plus naturel à l'être que l'état auquel il tend par une loi de sa nature; l'état de perfecion est l'état vrai, l'état naturel de tout être perfectibe (1). / (1) "Illum pro statu naturae rerum omnium agnoscimus, ad quem res, naturali e completo progressu, perveniunt (De Rep., lib. I, 2)". (pag. 169). Vd. anche: Gioacchino Ventura de Raulica, LA RAISON PHILOSOPHIQUE ET LA RAISON CATHOLIQUE, Conférences prèchées a Paris dans l'année 1851 par. Le T. R. P. Ventura De Raulica, Paris, Gaume Frères, Libraires-éditeurs, 1851.. "5. Car tout être ayant un principe faible et imparfait à sa naissance, à son commencement, tend naturellement à se fortifier, à se perfection- ner par son développement et par sa fin. L'état où il naît, où il commence, est son ètat natif; mais l'état auquel il tend, auquel il s'efforce de parvenir, est son état naturel; car la perfection est l'état naturel de tout être perfectible (1) - (1) <> (p. 323) E infine: Gioacchino Ventura de Raulica, Essai sur le Pouvoir Public ou Exposition des lois naturelles de l'ordre social par Le T.R.P. Ventura de Raulica. Paris, 1859 - Digitalizzato Google. "Nous reconnaissons, dit Aristote, comme l'état naturel de toutes choses, celui que le choses atteignent avec le temps et par leur dèveloppe- ment complet (1). - (1) <> (p. 121) // Aristotele, Politica, In Opere, tr. it. Renato Laurenti, Roma-Bari, Laterza, 1986, Vol. IX. "Aristotele 01... Quindi ogni stato esiste per natura, se per natura esistono anche le prime comunità: infatti esso è il loro fine e la natura è il fine: per esempio quel che ogni cosa è quando ha compiuto il suo sviluppo, noi lo diciamo la sua natura, sia d'un uomo, d'un cavallo, d'una casa." ]

{4} (p. 14 ==> 119/405) Giorgio Sand (?), ossia la Signora Anna Dupin baronessa Dudevaent. Quando i gesuiti mi confiscarono, per ordine della polizia, questo lavoro, uno dei padri revi- sori dichiarò l'emancipazione e la rigenerazione morale della donna cui io miro utopia da fol- le, e mi fecero, tra l'altro, anche attacchi d'irreligiosità, perché citavo l'illustre donna francese che, a loro dire, aveva già dodici volumi all'Indice dei libri proibiti! (elenco dei libri di cui la Chiesa, per 116 ragioni dottrinali e morali, condannava con gravi sanzioni la lettura, la pubblicazione e la diffusione). Ora che l'emancipazione della donna è all'ordine del giorno di tutti i paesi civili, cosa ne dicono i padricelli? ("† Padricel- lo. S. m. Dim. di Padre, come titolo di Religioso claustrale; e s'usa comunemente parlando di Religioso giovane di bassa statura." Tommaseo-Bellini) [George Sand, pseudonimo di Amantine (o Amandine) Aurore Lucile Dupin (Parigi, 1° luglio 1804 - No- hant-Vic, 8 giugno 1876), scrittrice e drammaturga francese. (?) In realtà l'autrice del brano riportato è la scrittrice francese Marie Catherine Sophie, contessa d'Agoult, nata viscontessa di Flavigny, nota con lo pseudonimo di Daniel Stern (Francoforte sul Meno, 31 Dicembre 1805 - Parigi, 5 marzo 1876. Il brano è tratto dall'opera: ESQUISSES MORALES - PENSÉES, RÉFLEXIONS ET MAXIMES par Daniel Stern, Troisième Édition Revue et Augmentée, J. Techener Libraire, Paris 1859. De la femme, pp. 45-46. https://archive.org/details/esquissesmoral1859ster/page/44]

{5} (p. 15 ==> 120/405) Avendo, l'illustre filosofo inglese John Stuart Mill (Londra, 20 Maggio 1806 - Avignone, 8 Maggio 1873), mantenuta la promessa fatta all'on. nostro autore con la lettera di seguito riportata, mercé l'invio cortese in questo momento d'un suo nuovo libro, testé pubbli- cato con il titolo L'assujettissement des Femmes, in cui sostiene valide argomentazioni pari al- la sua notabilissima intelligenza, ci piace corroborare con la sua autorità queste opinioni, ri- portando ciò che egli dice sull'origine della soggezione della donna. Si riporta invece il brano di cui trattasi nella traduzione di A.M. Mozzoni; segue la tradu- zione francese dall'originale inglese. <> (pp. 7-8), La servitù delle donne (Traduzione e prefazione di Anna Maria Mozzoni - https://www.liberliber.it/mediateca/libri/m/mill/la_servitu_delle_donne/pdf/la_ser_p.pdf) "Ce régime vient de ce que, dès les premiers jours de la société humaine, la femme s'est trouvée livrée en esclave à l'homme, qui avait intérêt à la posséder et auquel elle ne pouvait résister à cause de l'infériorité de sa force musculaire. Les lois et les systèmes sociaux com- mencent toujours par reconnaître les rapports qui existent déjà entre les personnes. Ce qui n'était d'abord qu'un fait brutal devient un droit légal, garanti par la société, appuyé et pro- tégé par les forces sociales substituées aux compétitions sans ordre et sans frein de la force physique. Les individus qui d'abord étaient contraints à l'obéissance par la force, y sont plus tard tenus au nom de la loi.>> pp. 14-15. // "Il n'y a donc nulle présomption à tirer de l'exi- stence de ce régime en faveur de sa légitimité. Tout ce qu'on peut dire, c'est qu'il a duré ju- squ'à ce jour, tandis que d'autres institutions, sorties comme lui de cette hideuse source, ont disparu; et, au fond, c'et bien cela qui donne un air étrange à l'affirmation que l'inégalité des droits de l'homme et de la femme n'a pas d'autre origine que la loi du plus fort." (p. 16) John Stuart MILL, De L'ASSUJETTISSEMENT des FEMMES. Traduction française: M.E. Cazelles. Editions Avatar, Paris 1992. https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k6621h/f1.image Orig. inglese: https://ia800306.us.archive.org/34/items/subjectionofwom00mill/subjectionofwom00mill.pdf

{6} (p. 19 ==> 124/405) Quel terribile sospetto del cuore che si appella gelosia, ha origine dalla poca fiducia, e dal poco rispetto che hanno fra loro i due sessi, ed è più gagliardo là dove si è più barbari. Nei paesi civili, nei quali le donne hanno una buona educazione, si esigono

117 maggiori riguardi e quindi la volgare passione della gelosia che forma lo spasimo e la tortura di tante anime, o non si conosce, o si trova soltanto in qualcuno delle classi infime. Una delle cause della discordia domestica, e di moltissimi mali che verranno cancellati dalla istruzione sarà la gelosia.

{7} (p. 20 ==> 125/405) In molte regioni regna ancora l'uso di dar legnate alle donne a dorso nudo. Varie nostre patriote, nel fervore della reazione borbonica, subirono anche la medesima funesta sventura. A nome della civiltà, della gratitudine che dobbiamo tributare a questo esse- re da cui riceviamo la vita, di quanto vi è di più nobile, si ponga fine una buona volta, e per sempre, a queste turpi azioni che, violando ("Usare violenza a persone trasgredendo norme morali e di rispetto della loro integrità fisica e dignità umana"- Treccani online) la più nobile delle creature, sono il segnale di una cieca e inqualificabile barbarie.

{8} (p. 21 ==> 126/405) Senza bisogno di andare a pescare gli esempi nel dispotismo austria- co, borbonico o cosacco, si ha una prova parlante di questo inqualificabile procedere dei go- verni nel carcere politico della Signora Giulia Caracciolo, implicata nel processo di un sogna- to (profondamente desiderato, sperando di ottenerlo) movimento repubblicano, per il quale venne in- gratamente molestato nella libera Svizzera quel venerando vecchio del Mazzini, e chiusi nelle prigioni di Napoli e di Alessandria distinti patrioti, quali: Giorgio Imbriani, Procaccini, Scar- pellini, Capo Marziale, Mola, Bizzoni, Billia, Cavallotti, Canzio, Mosto, Pantano e altri difen- sori della libertà, che aspiravano a migliorare i destini della patria.

{9} (p. 23 ==> 128/405) A questo proposito la donna potrebbe saggiamente ripetere quel che proverbialmente si dice quando uno assume i meriti di altri, o il frutto dell'altrui lavoro: <>, motto traslatato (tradotto) con amarezza dal Mantovano nei seguenti versi: "Sic vos non vobis nidificatis aves, Sic vos non vobis vellera fertis oves, Sic vos non vobis mellificatis apes, Sic vos non vobis fertis aratra boves." Così voi non per voi fate il nido, o uccelli; Così voi non per voi portate la lana, o pecore; Così voi non per voi fate il miele, o api; Così voi non per voi tirate l'aratro, bovi. [Di PUBLIO VIRGILIO MARONE Saggio per Storia Patria di Giuseppe Resti Ferrari, I.R.P.E., Mantova MDCCCLIII - Digitalizzato Goo- gle. "Capo IV. Del favore di Augusto. Vuolsi ripetere dalla poetica eccellenza quel favore, col quale Virgilio fu accolto da Augusto; quel favore, che sempre accrescendo quanto caro lo stesso Augusto il tenesse appalesava. Allorchè si condusse Virgilio la prima volta a Roma dava Augusto al popolo solenni spettacoli. Una notte, in cui cadde copiosa la pioggia, precedette il mattino destinato a celebrarli, e susseguì questo affatto sereno e ridente. Adagiandosi Augusto nella Imperiale sua sedia, fu sorpreso al leggervi quello stupendo distico, che così era concepito, e così mi fo a tradur- re: Nocte pluit tota: redeunt spectacula mane: Divisum imperium cum Jove Caesar habet. Tutta la notte piove: Surge fausto il mattin; compionsi i ludi: Diviso impero ha Cesare con Giove. Desiderava Augusto, che lo sconosciuto Autore gli si manifestasse, e tanta fu l'audacia del Poeta Batillo a presentarsi per carpirne il vanto. Dalla quale frode punto Virgilio acerbamente più non si tenne celato, ma ne diede a colui aperta mentita collo scrivere nel luogo stesso il verso: Hos ego versiculos feci; tulit alter honores; e coll'aggiungere il Sic vos non vobis, divenuto dappoi proverbiale, ad incominciamento di altri quattro, che lasciava interrotti. Affermò esse- re quegli del distico Autore, il quale sapesse i dimezzati versi finire. Ma a tanta prova non resse il vantatore Batillo, e le immaginate similitu- dini compiendo coi quattro aggiunti sempre famosi, ben tosto Virgilio fece palese la menzogna, e vindicò coll'opera il dovutogli onore. Hos ego versiculos feci, tulit alter honores. Sic vos non vobis = nidificatis aves: Sic vos non vobis = vellera fertis oves: Sic vos non vobis = mellificatis apes: Sic vos non vobis = fertis aratra boves.

118 Io me ne permetterei con altrettanti versi Alessandrini la seguente traduzione pressochè letterale. Quest'io carmi facea = gli onor altri togliea. Così voi non per voi = nidificate augelli: Così voi non per voi = portate, od agne, i velli: Così voi non per voi = colmate, od api, i favi: Così voi non per voi = d'aratro, o bovi, gravi. L'altissimo Poeta si è manifestato: Roma meravigliata gli applaude: dalla grazia di Augusto è pienamente rimeritato." (pp. 21-22)]

{10} (p. 28 ==> 133/405) Questo fatto importantissimo delle tradizioni non è ancora chiara- mente spiegato; ma esaminandolo con attenzione e rapportandolo ai fatti concreti della vita comune, stante l'identità di quei primi uomini [di quegli uomini vissuti cioè all'epoca della Torre di Babele. "La Torre di Babele, citata più volte nella Bibbia è riconducibile dal punto di vista archeologico alla grande Ziqqurat (o Ziggurat), edificio adibito a tempio caratteristico del periodo mesopotamico, iniziata nel XII secolo a.C. a Babilonia (che si trova nell'attuale Iraq) sotto l'imperatore Na- bucodonosor I." www.torredibabele.it] con i viventi (cioè i presenti, in vita), si vedrebbe facilmente come esso simboleggi null'altro che il periodo della pratica irriflessione in cui s'immerse l'umanità ribelle alla scienza.

{11} (p. 29 ==> 134/405) Gaetano Filangieri Op. [Cfr. La scienza della legislazione di Gaetano Filangieri con giunta Degli opuscoli scelti, Volume Quinto, Milano 1822, pp. 149-150: "La figura umana col capo di sparviere che rappresentava Osiride, era per gl'iniziati l'Intelligenza demiurgica, della quale Cnef o la Suprema In- telligenza si era servita per la costruzione dell'Universo. Una donna col capo ornato d'una testa di bue o delle foglie di loto, con un fanciullo in seno che rappresentava Iside che nudriva il suo figlio Orus, era per essi la materia prima, il principio passivo delle generazioni, col mondo, frutto dell'unione de' due principii. Secondo essi la parte più leggiera della materia era l'aere, quella dell'aere lo spirito, quella dello spirito il pensiero o l'intelligenza, finalmente quella dell'intelligenza Dio egli medesimo moltiforme ed Usiarca, cioè a dire Capo della sostanza mate- riale, pneumatizzata e deificata (Apul., Asclep. Dial.), ec., ec." - Digitalizzato Google]

{12} (p. 30 ==> 135/405) Do solo un accenno senza sviluppare questi sistemi filosofici dal punto di vista delle categorie speciali delle varie scuole che li produssero, e tanto meno (certa- mente neppure) voglio darmi delle arie, come si è soliti fare, indicando le teorie successivamente delineate nel corso del secolare processo storico. Faccio solo notare di sfuggita che si è perve- nuti a una sorta di esclusivismo e non si è mai compresa appieno la natura umana, perché le menti contemplatrici, per lo più assorte nei propri gabinetti ("Stanza interna, non grande, da segreti colloquii, da scrivere, da studiare, da conservare cose pregiate." Tommaseo-Bellini), non hanno esercitato in modo sistematico la riflessione sui concreti della vita reale.

{13} (p. 35 ==> 140/405) In quest'epoca nella quale si è saggiamente dato al principio di as- sociazione un valore straordinario, riconoscendolo come elemento essenziale al progresso dell'umanità; in quest'epoca in cui per mezzo delle ferrovie e le reti elettriche si cerca di strin- gere rapporti personali fra l'uno e l'altro emisfero, al fine di realizzare la comunione universa- le; in quest'epoca, dico, gli individui che sono i primi anelli della grande catena sociale, si studiano solo di (cercano solo di, s'ingegnano solo per) comportarsi da uomo vano senza giudizio, abolen- do il saluto e tutte le forme dell'amore civile. I bruti [gli animali irragionevoli, le bestie (opposti all'uomo)] s'in- contrano, si fiutano (si annusano a vicenda), si danno istintivamente un segno di riconoscimento; gli uomini invece snaturati e resi permalosi da un'educazione corruttrice, giudicano incivile e inopportuno il vecchio uso di tali affettuose manifestazioni. Questa, se mi si permette, si deve appellare civiltà barbara perché, anziché spronare l'uomo ad avvicinare a sé l'uomo al fine di aiutarsi l'un l'altro, lo scaccia, lo tratta con astio e da nemico, fino a svegliare Caino con le sue guerre di odio. Almeno, non volendo o non potendo cambiare in meglio, si aggrappi saldamente a quel poco di bene ereditato dai progenitori! Tratti il prossimo con quei modi di urbanità che con la sicu- rezza conservano un'ombra (una debole parvenza) di beatitudine della vita naturale! Si vede ormai praticamente che l'inizio della discordia fra le comunità ebbe inizio allorché si ritennero desueti (caduti in desuetudine) i saluti e le altre formule rivelatrici di amicizia. Il silenzio brusco che gli uomini al giorno d'oggi serbano gli uni agli altri, è indizio di inimicizia o di in- differenza, mentre ci saranno forse delle simpatie che gli uni non osano manifestare agli altri e che potrebbero essere fondamento non alla bugiarda fraternità che maschera nell'uomo gli istinti del lupo per divorare l'uomo, ma a quella schietta e benefica solidarietà della vita, la so- 119 la sperabile e possibile nel consorzio civile per lo scambievole sostegno e aiuto. Se non pos- siamo dunque andare avanti, stante questa selvatichezza (poca socievolezza, scontrosità, ritrosia) pagana, modifichiamo le abitudini, cominciamo a ossequiare e a non più vilipendere (colpire col nostro di- sprezzo) la donna che ci fa, ci educa e ci muove; cominciamo a manifestare, ovunque e a tutti, il nostro affetto con modi sensibili, perché così si fortifica lo spirito, orientato al vero benessere; in questo modo si esce dall'avaro egoismo nel quale siamo miseramente caduti. Solo così l'uomo può rendersi meno infelice, meno abbietto; solo così potrà scansare la giusta rampogna del patrio poeta P. de Virgiliis, che gli grida alle spalle: Dormi, dormi o vil giumento Sul tuo putrido concime! Non sognar che sei redento Poichè Dio non più redime! [Pasquale DE VIRGILIIS (Chieti 1810 - Torino 1876), scrittore e poeta, noto per le traduzioni di testi romantici contemporanei e per aver fondato nel 1836 a Chieti il Giornale abruzzese di scienze, lettere e arti. "Dopo i primi studi presso gli Scolopi di Chieti, Pasquale de Virgiliis conseguì la laurea in giurisprudenza nell'università di Napoli. Più at- tratto dalla letteratura che dalle leggi, si fece conoscere come sensibile traduttore delle opere di Byron. Protagonista nei tumultuosi eventi che videro la caduta del regno borbonico, fu eletto intendente di Teramo, mentre collaborava assiduamente alle più importanti riviste letterarie dell'epoca. Ci restano molte opere, tra cui vanno ricordate soprattutto "Una notte a Venezia" e "Una gita sul Gran Sasso d'Italia" - Online: in- fochieti.it/prg/storia/personaggi.htm / Vd. anche Treccani Enciclopedia. // I versi citati si rinvengono in Masaniello Dramma Storico di P. de' Virgilii, Bruxelles 1840, pp. 8. Notare le discordanze con quanto riportato da Morelli: "Dormi dormi vil giumento / Sul tuo putrido con- cime! / Non sperar che fii redento / Poichè Dio più non redime"] https://books.google.it/books?id=h55diD5YjnMC https://books.google.it/books/about/Masaniello_dramma_storico_di_P_de_Virgil.html?id=h73HEgNHuGoC&redir_esc=y

{14} (p. 46 ==> 151/405) Non appena ci è possibile, cogliamo l’opportunità di ricercare l'eti- mologia delle parole più significative: - primo, per spiegarle; - secondo, per mostrare la grande utilità che ne ricaverebbe la scienza, se con il preciso e pro- fetico metodo del mio amico pelasgo Giovanni di Maio, nei lessici si facesse altrettanto per le voci della lingua comune. Embrione da Embeno greco che significa entrare; e si dice così perché con l'incubazione dall'uovo si sviluppa l'embrione, quasi della forma di un bottone. Quindi, appena si manife- stano su di lui i primi lineamenti, si chiama Embrione, perché allora la cellula proliferante (che si riproduce per proliferazione, e cioè con vivace attività moltiplicativa) entra nella specie umana. (?) Feto da Fetoma greco, apparire, quasi che l'uomo in questo periodo appare perfezionato in tutti i lineamenti umani. (?) [In realtà: Embrione, dal lat. mediev. embryo(n), gr. émbruon propr. "che cresce dentro", comp. di en- "dentro" e del tema di bruo "fiorisco" Feto: dal lat. fetu(m), connesso con fecundus "fecondo" e femina "femmina". Nella specie umana, per convenzione, alla fine del 2° mese di gravidanza; nella fase precedente, si preferisce definirlo embrione.]

{15} (p. 46 ==> 151/405) Utero pare che derivi dal verbo latino Utor "usare". Ed è detto così, perché senza l'uso di questo importantissimo organo della donna, la specie umana non può af- fatto dare alla luce le sue potenze. Quindi il senso comune italiano lo ha così denominato per esprimerne l'efficacia, quasi che dicesse in modo imperativo: Utere me! (?) [In realtà dal latino uteru(m) "ventre"]

{16} (p. 58 ==> 163/405) Vedi la Collectio Salernitana del dottissimo medico Salvatore de Renzi. https://books.google.it/books/about/Collectio_Salernitana_ossia_Documenti_in.html?id=sTJMAAAAcAAJ&redir_esc=y

{17} (p. 60 ==> 165/405) Questa distinta pensatrice ha scritto pure un opuscolo intitolato La Posizione Sociale della Donna, il quale è pregevole quantunque non coincida del tutto con le vedute del presente libro. LA POSIZIONE SOCIALE DELLA DONNA di Ludmilla Assing, Milano 1866. https://archive.org/details/bub_gb_PbqxUbWkJpsC/page/n1

{18} (p. 62 ==> 166/405) Questa illustre signora leccese, assai nota a noi tutti per le sue pecu- liari facoltà intellettive e il suo carattere pietosamente filantropico, mi ha molto meravigliato

120 perché in età avanzata [nata a Monteparano, paese di origine della madre D. Saveria Basta, nel 1780; morta a Taranto il 4 giugno 1861 nella scuola pubblica aperta alle Figlie della Carità, in Piazza Castello, presso l'ex convento agostiniano (come risulta dall'estratto di morte conservato dalla famiglia Carducci). Informazioni fornite dal Prof. Piero Nastasia della Scuola Media di Fragagnano: Istituto Com- prensivo "Bonsegna-Toniolo", Sava (Taranto)] conservava una lucentezza intellettuale invidiabile dal più vi- rile dei pensatori. Per la qual cosa mi sono proposto di raccogliere notizie biografiche per tramandare ai posteri la memoria di una donna onorata (che ha cioè sempre conservato intatto il proprio onore), anticipando in questa nota il fatto sopra accennato. Ecco dunque l'onorevole giudizio che ho raccolto su di lei dal Giornale delle Due Sicilie del 21 giugno 1816: <>. Nello stesso giornale del 1816, sotto la data del 24 giugno, si trova pure pubblicato quan- to segue: <>. Ora che si ristampa questo libro la illustre donna non è più! Diciamo requie mestamente (Tommaseo-Bellini, dire un requiem: "Pregare al defunto la pace de' Giusti, Rammentarlo con pietà affettuosa".) sulla tomba, che ricorderà a' posteri il nome onorato!! [Elena nasce a Monteparano nel 1780 da Francesco Maria dell'Antoglietta e Maria Saveria Basta, sposi nel 1776. In virtù del matrimonio Francesco Maria (n. 1751 - m. 1784) è marchese (il 3°) di Fragagnano e di Montepa- rano (già baronie di Fragagnano e Monteparano, portate in dote da Maria Saveria). Dal matrimonio nascono: Marianna (n. 1776) ed Elena (n. 1780 - 1859 circa). Nel 1784 muore Francesco Maria e lascia erede la figlia primogenita Marianna, che per sanare la situazione finanziaria della famiglia, particolarmente difficile, sposa suo zio Lelio (n. 1764 - ?), fratello minore del padre, che diviene così il 4° marchese di Fraga- gnano. Maria Saveria, che apertamente si era opposta al matrimonio della figlia con il cognato, aveva escogitato l'espediente della donazione dei be- ni di famiglia a Marianna con la clausola che se avesse sposato lo zio, i beni sarebbero passati a Elena. Lelio, che era anche scaltro, non solo sposò Marianna ma fece firmare a Elena un atto di rinuncia alla proprietà. Elena, ciò nonostante, nell'estate del 1816 a Napoli, a soli trentasei anni difese in tribunale il suo patrimonio dall'usurpazione dello zio e co- gnato Lelio. - Le donne eccellenti del Salento. Lezione peripatetica per le vie di Lecce. Marisa Forcina. - Libro d'Oro della Nobiltà Mediterranea - DELL'ANTOGLIETTA. - Vincenza Musardo Talò, Monteparano, antico casale albanese, Lacaita 1991. - Fiorenza Taricone - Rossella Bufano (a cura di), Pensiero politico e genere dall'ottocento al Novecento, Amaltea edizioni 2012.]

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{19} (p. 68 ==> 173/405) Ecco quanto dice in proposito il sapientissimo Stuart Mill a pagina 49 (?) dell'opera citata. <

"Il en résulte que sur cette difficile question de savoir quelle est la différence naturelle des deux sexes, sur laquelle, dans l'état présent de la société, il est impossibile d'acquérir une connaissance complète et exacte, presque tout le monde dogmatise sans recourir à la lumière qui seule peut éclairer ce sujet, l'étude analytique du chapitre le plus important de la psycho- logie: les lois qui règlent l'influence des circonstances sur le caractère. En effet, quelques grandes et en apparence ineffaçables que soient le différences morales er intellecrtuelles en- tre l'homme et la femme, la preuve que ces différences sont naturelles ne peut jamais être que négative. On ne doit considérer comme naturelles que celles qui ne peuvent pas du tout être artificielles: ce qui restera quand on aura retiré toute particularité qui dans l'un et dans l'au- tre sexe pourra s'expliquer par l'éducation ou les circonstances extérieures. Il faut posséder la plus profonde connissance des lois de la formation du caractère pour avoir le droit d'af- firmer qu'il y a une différence, et, à plus forte raison, de dire quelle est la différence qui di- stingue les deux sexes aux points de vue moral et intellectuel. Personne jusqu'à présent ne possède cette science; car il n'y a guère de sujet qu'on ait moins étudié, eu égard à son impor- tance, aussi personne n'a-t-il le droit d'avoir là-dessus une opinion positive. Tout ce qui nous est permis, c'est de faire des conjectures plus ou moins probables, plus ou moin légitimes, suivant la connaissance que nous avons des applications de la psychologie à la formation du caractère. [...] Il y a des hommes qui pensent connaître parfaitement les femmes parce qu'ils ont entretenu un commerce de galanterie avec quelques-unes, peut-être avec beaucoup. S'ils sont bons observa- teurs, et si leur expérience unit la qualité à la quantité, ils ont pu apprendre quelque chose sur un petit côté de la nature des femmes, qui 'est pas sans importance. Mais sur le reste ils sont les plus ignorants des hommes, parce qu'il y en a peu pour qui ce reste soit plus soigneuse- ment dissimulé. Le sujet le plus propice sur lequel un homme puisse étudier le caractère des femmes, c'est sa propre femme; les occasions sont plus favorables, et les exemples d'une sympathie parfaite entre deux époux ne sont pas introuvables. En fait, c'est de cette source, je crois, que vient tout ce qui vaut la peine d'être connu. Mais la plupart des hommes n'ont pas eu l'occasion d'é- tudier de la sorte plus d'une femme, aussi peut-on, avec une exactitude risible, deviner le ca- ractère d'une femme quand on connaît les opinions de son mari sur les femmes en généal. Pour tirer de ce cas unique quelque résultat, il faut que la femme vaille la peine d'être connue, et que l'homme soit non seulement un juge compétent, mais aussi qu'il ait un caractère si sympathique et si bien adapté à celui de sa femme, qu'il puisse lire dans son esprit par une sorte d'intuition, ou que sa femme n'ait aucune confusion à lui montrer le fond de ses senti- ments. Rien n'est peut-être plus rare qu'une telle rencontre. Il y a souvent entre une femme et son mari une unité complète de sentiments et une communauté de vues quant aux choses exté- rieures, et pourtant l'un ne pénètre pas plus profondément dans les vues de l'autre que s'ils n'é- taient que de simples connaissances. Alors même qu'une véritable affection les unit, l'autorité d'une part et la subordination de l'autre empêchent qu'une confiance entière s'établisse. Il se peut que la femme n'ait pas l'intention de dissimuler, mais il y a bien des choses qu'elle ne laisse paraître. Entre les parents et les enfants, on peut voir la même chose. Malgré l'affection rèciproque qui unit réellement un père à son fils, il arrive quelquefois, au su de tout le monde, que le père ignore et même ne soupçonne pas certaines parties du caractère de son enfant, tandis que les camarades et les égaux du fils les connaissent à merveille. La vérité est que, dès qu'on est dans une position à attendre d'une personne de la déférence, on est très mal place pour trouver en elle une sincérité et une franchise complètes. La crainte de baisser dans l'opi- nion ou l'affection de la personne que l'on regarde avec rspect est si forte, que même avec un caractère très droit on se laisse aller, sans s'en apercevoir, à ne lui montrer que le plus beau 123 côte, ou sinon le plus beau, le plus agréable à ses yeux: on peut dire avec assurance que deux personnes ne peuvent avoir l'une de l'autre une connaissance complète qu'à la condition d'être non seulement intimes, mais égales. A plus fort raison, est-il impossibile d'arriver à connaître une femme soumise à l'autorité conjugale, à qui l'on a enseigné que son devoir consiste à su- bordonner tout au bien-être et au plaisir de son mari, à ne lui laisser voir ni sentir chez elle rien que d'agréable. (pp. 18-20) http://classiques.uqac.ca/classiques/Mill_john_stuart/assujettissement_femmes/assujettissement_femmes.pdf <==> pp. 18-20/80 https://archive.org/details/subjectionofwom00mill <==> pp. 41-45

{20} (p. 72 ==> 177/405) La parola madre conserva un'identica modulazione sonora in quasi tutte le lingue, il che indica derivare da una radice comune. Per esempio: la lingua italiana di- ce Madre, la francese Mere, l'inglese Mother, la tedesca Mutter, l'olandese Moder, la spagnola Mader, gli slavi Matza. Si osserva inoltre che i fanciulli di tutto il mondo, senza distinzione né di clima né di lingua, chiamano la madre Mamma.

{21} (p. 73 =0> 178/405) Omero fece maritare la bella Venere con lo zoppo Vulcano. Adesso che ci penso meglio, trovo la spiegazione di questo simbolo in quell'attrazione o scambio di polarità che solitamente avviene tra gli estremi, per cui le leggiadre donne sogliono accettare la compagnia di uomini sconci (brutti, ripugnanti, che offendono la vista o il senso estetico), come per rompere e variare la monotonia delle impressioni che ricavano dall'armonico complesso delle proprie forme quando si specchiano. Se però questo può far consolare gli uomini brutti, lascia certa- mente un vuoto nell'umanità che vorrebbe, nel modo più vantaggioso possibile per la sua spe- cie, vedere uniti i sessi: nell'ora della maturità dello sviluppo e senza mostruose deformazioni.

{22} (p. 77 ==> 182/405) È noto ormai in economia che le industrie crescono a misura che si accelera il correlato commercio; e mentre in apparenza sembra che questo nasca dalle prime, nondimeno se si esamina con acume (perspicacia, intelligenza) il suo andamento, si scorge facilmente questo, che il commercio dà origine alle industrie, dal momento che l'uomo non si determina con forza ed energia alla coltura dei campi, e né scopre mai nuovi sistemi di coltivazione, per mezzo dei quali trarre più copiosi frutti dalla natura, se non è certo di poter agevolmente ven- dere le derrate (i prodotti agrari per uso alimentare). Inoltre con il commercio la riflessione riceve nuovo incitamento a scoprire nuovi veri (p.e., leggi di produttività, leggi fondamentali della produzione agricola: la legge della produttività decrescente e la legge dell'esaurimento del suolo), al fine di corrispondere ai nuovi bisogni. L'origine (il principio) dunque del benessere in questa fase di sviluppo industriale sta nella libertà dei traffici e dei commerci. Tolti i traffici e i commerci, le industrie mancano del principio vitale, o nell'ipotesi più favorevole (o meno sfavorevole) si riducono immensa- mente.

{23} (p. 81 ==> 186/405) Vedi Il sistema della riflessione sui fatti propri scoverto come uni- co mezzo metodico a produrre la vera scienza dell'umanità prenunciato da Salvatore Morelli, Stabilimento tipografico di Alessandro Simone, Lecce 1858.

{24} (p. 82 ==> 187/405) Il Vero è l'unico bene cui aspira la mente umana. Quindi tutte le volte che essa manca del vero, avendo necessariamente bisogno di uno scopo cui mirare, inorpella il falso (cioè lo nasconde sotto false e gradevoli apparenze) e si serve del mendacio (menzogna), pa- rola certamente derivata da mendico. Però, come chi è povero va a chiedere l'elemosina per fornirsi del necessario, così chi manca del vero, cerca di sostituirlo col mendacio, affinché lo spirito non rimanga nel vuoto. Vedi lo stesso discorso di cui alla nota precedente. [Mendacio: dal lat. mendaciu(m) v. anche mendace. Mendace: dal lat. mendace(m), der. di mendum "difetto, errore". Mendico: dal lat. mendicu(m), der. di mendum "difetto".]

124 {25} (p. 83 ==> 188/405) Scienza deriva da Scientia, e questa dal latino scio; scio da sciao (σκιάω) greco che significa ombrare (?), perché il concetto astratto della mente in cui è riposta la scienza, rappresenta, quasi come un'ombra, ciò che è nel fatto che la produce, essendo que- sto, e null'altro, l'ufficio speciale dell'ombra. E siccome non c'è ombra senza l'oggetto presen- te, così non ci può essere scienza senza il fatto concreto che ne è la genesi. Tolto il fatto con- creto, è immensamente difficile che quel concetto astratto della mente possa essere da altri compreso nell'effettiva realtà del concreto medesimo che rappresenta. Ecco dunque la neces- sità di rendere agevole il metodo d'insegnamento riaccostando l'intelligibile al sensibile da cui deriva. [In realtà: Scienza: dal lat. scientia(m), der. di scire "sapere". Ombra: gr. skia ; Ombrare: (kata)skiazo. "Ora, il Curtius e l'Ascoli rannodano scire alla rad. SKA-, SKI- = sscr. CHA- CHI donde CHYATI - p.p. CHATA, CHITA- tagliare .... onde Sapere varrebbe letteralmente tagliuzzare, sminuzzare, separare le cose, e per verità che cosa è mai la scienza se non il frutto di una paziente e minuta analisi (Cfr. discernere). Altri invece compara la radice di SCI-RE con quella del sscr. ci-kè-ti, ci-no-ti osserva/re/ ." Ottorino Pia- nigiani]

{26} (p. 96 ==> 201/405) Un esempio di questa maschia virtù, io l'ho rilevato con immenso piacere nella condotta dav- vero ammirevole del mio amico e collega Antona Traversa, deputato di Massafra, e della sua distinta signora Claudia. Ricchi, più che di una grande fortuna, di numerosissima e bellissima prole, si privano d'ogni altro passeggero diletto, per allevare con nobiltà d'animo non solo i propri figli, ma anche duecento figli del popolo, ai quali, in un famoso educandato in Lom- bardia, somministrano istruzione, alimento e lavoro fino a quando non acquistino, da adulti, l'attitudine a procacciarsi onestamente il necessario da sé soli. Se tutti i favoriti della fortuna, con pari carità civile, sentissero come questi due egregi genitori la solidarietà della vita verso la povera classe operaia, la quale sostiene con i propri stenti la loro alta posizione (sociale), ne soccorressero allo stesso modo con mezzi educativi i derelitti figli, e allo stesso modo ne cu- rassero l'allevamento della prole, la questione sociale, generata dal cieco egoismo, finirebbe per essere risolta pacificamente, senza aggiungere, di rincalzo, la terribile minaccia di una odiosa guerra civile. Ciò vien detto per dimostrare che i veri conservatori ragionevoli non seggono alla destra, bensì all'estrema sinistra; non sono quelli che si affidano al prete e alla forza brutale come i retrivi del governo italiano, ma sono quelli che rispettando l'umanità ub- bidiscono alla voce della giustizia, come mostra di esserlo l'onorevole Antona Traversa, l'in- dipendente ed onesto deputato di Massafra, insieme con la egregia compagna da cui riceve le sante ispirazioni del bene.

{27} (p. 97 ==> 202/405) Il vocabolo Educare deriva da ex e duco, ducis, che vuol dire trarre l'uomo dalla sfera brutale dei sensi e volgerlo a quella dello spirito, ossia dirigerne l'intelletto al vero e la volontà al bene. Cosicché, si può dire che per mezzo dell'educazione l'uomo si transumani (secondo Tommaseo-Bellini, "trascenda i limiti dell'umana natura accostandosi ed associandosi alla divina"): di terra che egli è, si fa intelligente e legislatore della materia bruta.

{28} (p. 102 ==> 207/405) Il papato, con le sue istituzioni viete, non costituisce solo un male per i popoli, ma un male, un'onta e un pericolo per la vasta classe di quei poveri ingannati che si chiamano preti. Nessuna della sfera sociale è messa nella durissima condizione del basso clero. Questo è veramente martire, martire del potere clericale, martire del potere civile, e martire della società che pur consapevole nella sua integrità organica (sostanziale: anima e corpo, spirito e materia), negandogli il matrimonio gli impone con il celibato o l'ipocrisia in- sidiatrice o il più ineffabile dei sacrifici, e lo mantiene con l'elemosina come un mendico. I vescovi lo immolano ai sospetti dell'inquisizione; mentre nessuno può impedire a un operaio qualunque di fare il suo mestiere per vivere, un vescovo può capricciosamente dire al basso clero: ti interdico, e ti impongo di morire di fame!? I governi se ne avvalgono finché voglio, e poi lo gettano al pari di un limone spremuto, togliendogli tunica e sostanza, come avvenne in-

125 gratamente dopo la rivoluzione del 1860 alla generosa falange dell'Emancipazione Cattolica, fondata in Napoli da Gavazzi Pantaleo, Andreoli e altri, che combatte fino a oggi contro il pa- pato con il pregevole giornale l'Emancipatore, mercé l'ingegno e il patriottismo del distinto Padre Prota. I governi, rimarco, vedono violata la libertà e tutti i suoi diritti dal vescovo con il solito processo dell'ex informata coscientia, e lo lasciano sacrificare, e danno anche essi man forte a inique oppressioni, come se il prete non godesse al pari degli altri cittadini delle garan- zie degli statuti sociali. Se si aggiunge a queste considerazioni anche quella di vedere tanti uomini dabbene, tanti bel- lissimi ingegni del basso clero far la figura o di stupido o di bricconi, e assumere la odiosa re- sponsabilità della menzogna e della frode che il papato vuole che sia sostenuta a oltranza, sor- ge la necessità che i legislatori assicurino ai preti in vita una posizione plausibile con una leg- ge che li tuteli di fronte al dispotismo vescovile, e che le madri di famiglia sentano il dovere di ispirare ai loro giovani figli una carriera meno soggetta alla prepotenza, meno avversata dal progresso della civiltà e più produttrice di onesti vantaggi. La questione dei preti si intreccia con la grande questione sociale: molti di essi non farebbero i preti se la società offrisse un altro mezzo di vita più morale, più agiata e più sicura. Sono quindi meritevoli quegli uomini dabbene che hanno avuto il coraggio di abbandonare le ban- diere del papato e di affrontare per amore della civiltà dolori e privazioni durissimi, ma non si possono assolutamente condannare quelli che si mantengono preti non avendo come altrimen- ti buscarsi da vivere (procacciarsi il necessario per vivere). Le colpe di questi incoscienti strumenti della perpetuazione del medioevo, sono della società, del papato e dei governi che si giovano della loro influenza per ambizione di potere. Io, peraltro, che stimo l'uomo sotto qualunque veste, intimamente preso da un sentimento di riguardo, direi loro: preti cittadini, quando pote- te mettere in salvo la vita, staccatevi per carità da un sistema decrepito, condannato a perire dalla coscienza del genere umano. Assistendo ai parossismi della sua agonia, voi assumete di- nanzi al mondo la responsabilità dei conati (sforzi che non approdano a nulla) liberticidi, che l'ini- qua autocrazia dell'alto clero che vi tiranneggia, tenterà contro il progresso delle nazioni nell'ultimo dei concili!!!

{29} (p. 103 ==> 210/405) Gli Iloti erano, in Sparta, gli abitanti della città di Elo da essi di- strutta, o i prigionieri di guerra che al pari dei primi si mantenevano in qualità di schiavi. Nei viaggi di Antenore si racconta quanto segue su quest'antica piaga dell'umanità: "Entrati in carica i nuovi efori, salirono sul loro tribunale e promulgarono ad alta voce che qualunque Spartano poteva impunemente uccidere a tradimento gl'Iloti, fatti cadere a tal uopo in qualche insidia. Stordito da questa inumana proscrizione, ne richiesi il motivo al no- stro ospite, che ci disse: - Quest'è un'antica consuetudine tra noi, ed ogni volta che si cambia- no i supremi magistrati, sono in obbligo di emanare un proclama di tal natura. Voi sapete che gli Iloti sono nostri schiavi e destinati alla coltivazione de' nostri terreni (*) [(*) Gli Spartani davano il nome d'Iloti o Eloti, non solo agli abitanti della città di Elos da essi distrutta, ma ben anche a tutti i prigionieri che facevano in guerra.]; nondimeno aumentando di numero in un intervallo d'anni, potrebbero rendersi a noi formida- bili; perciò è loro proibito il portare veruna sorta di armi; e per porre un ostacolo alla loro propagazione, la politica necessaria alla sicurezza della repubblica esige, che si cerchi di sterminarli occultamente. Sovente i nostri giovani vanno alla caccia di quegl'infelici, lor ten- dono imboscate, gli assaltano quando meno se lo aspettano, e li tagliano a pezzi. Voi in breve sarete testimonj di un orribile avvenimento. - Di fatti non guari dopo si vide affisso un editto, che gli efori accordavano la libertà a due mila di coloro, a condizione che si portassero all'ora indicata a fare i dovuti ringraziamenti nel tempio degli Dei penati. Vi accorsero in folla, e scelti tra essi i più robusti e meglio conformati, vennero tosto come liberti coronati di festoni di gramigna. La gioia brillava sul loro volto, ed attendevano esulanti il compimento della ce- rimonia, quando all'improvviso, a un dato segno, due grandi colonne di cittadini armati di pu- gnale e di taglientissime spade, scagliansi con una iniquità senza pari addosso a que' miseri

126 inermi, e li trucidano tutti spietatamente. Le grida, i gemiti, gli ululati di quegl'innocenti tra- diti spargono ovunque la desolazione e il ribrezzo. Fanore ed io fuggiamo pieni di raccapric- cio e di terrore. - Ah mostri! ah barbari! si lasciò uscire di bocca l'incauto Fanore piangendo. Lasciamo subito questa terra abbominevole, dove le leggi più crudeli, la superbia, i pregiudizj degradano l'istinto dell'uomo. Così l'interesse e le passioni rendono ingiusta e feroce questa piccola nazione, che non ostante la sua barbarie, trova dei bugiardi preconizzatori de' suoi co- stumi e della sua legislazione ....". [Viaggi di Antenore nella Grecia e nell'Asia, Tomo Terzo, cit.. Capitolo LXXI, pp. 798- 799] Io non so cosa direbbe quest'anima delicata se dopo tanti secoli vedesse come si creano germi di epidemie ("2. Di errore, che, quasi morbo intellettuale, si vada spargendo e allargando, suol dirsi: È un'epidemia." (Tommaseo-Bellini), si improvvisano guerre nella civile Europa, e come si catturano, si bastonano, si impiccano e si mitragliano dal papato e dal cesarismo irresponsabile, felicemente regnante, non uomini avvezzi a esser considerati schiavi, ma liberi cittadini garantiti dagli statuti, solo perché richiamano i governi all'adempimento dei loro doveri, solo perché richiedono il rispet- to dei diritti, calpestati, dell'uomo!!

{30} (p. 108 ==> 213/405) Il Ventura più di ogni altro storico ritrae con vivacità questo deca- dimento del popolo romano. Se si considera con maggiore rigore il periodo in cui il cattolice- simo con i suoi vizi (7 peccati capitali) ha compromesso, nell'efficacia e nella validità, la purezza del cristianesimo in tutte le sue forme, si vedrà il paganesimo travestito e l'idolatria ribattezza- ta. Qualunque religione annessa al dispotismo dei governi politici per sostenere interessi dina- stici e oligarchici, non è, né può essere altrimenti, che un'ingannevole idolatria. [Guglielmo Ventura (Asti, 1250 circa - Asti, 1325 circa) - mercante e storico italiano. Cronista dei fatti accaduti alla città di Asti nel 1300. Il Memoriale de rebus gestis civium astensium et plurium aliorum (imprese dei cittadini astesi e di molti altri), noto come Cronaca o Memoria- le, tratta gli avvenimenti dal 1260 al 1324, in particolare della città di Asti, ma anche con riferimento agli avvenimenti di altre parti d'Italia o d'Europa. In Wikipedia]

{31} (p. 110 ==> 215/405) Identità di circostanze fra Cristo, Robespierre e Garibaldi: - tutti e tre si propongono di salvare l'uomo dalla tirannide monarchico-teocratica; - tutti e tre si propongono di difendere la causa dei miserabili contro i prepotenti; - tutti e tre perpetrano l'equivoco, s'ingannano nella scelta dei mezzi, lasciano i miserabili mi- serabili, i prepotenti potentissimi, e finiscono per essere crocifissi, decapitati, fucilati. Il Cal- vario, la Conciergerie e Aspromonte, se sono tre delitti del papato e dell'impero, tre ingratitu- dini dei popoli, sono parimenti tre vendette della logica inesorabile.

{32} (p. 112 ==> 217/405) Vedi la vita di Dante del Balbo. [Vita di Dante scritta da Cesare Balbo. Volume I. Torino, Presso Giuseppe Pomba E. C. 1839 - Digitalizzato Google https://www.liberliber.it/mediateca/libri/b/balbo/vita_di_dante/pdf/balbo_vita_di_dante.pdf]

{33} (p. 116 ==> 221/405) Si leggano due rimarchevoli discorsi, pronunciati in Parlamento sul bilancio del 1869 dai chiari miei amici Filippo de Boni e Floriano del Zio, deputati di Ba- silicata, per migliorare e rendere utili le Biblioteche Nazionali.

{34} (p. 125 ==> 230/405) Uno dei più sapienti e costanti operai del libero pensiero, l'onore- vole Mauro Macchi, mio amico e collega, ha proposto al Parlamento italiano una legge per sottoporre i duelli alle sanzioni comuni. Se i perpetuatori del male non si opporranno alla sua giusta aspirazione, spero di vedere fra breve glorificata l'Italia di una iniziativa degna della ci- viltà.

{35} (p. 127 ==> 232/405) Il Cipry, in una sua lettera alla Società d'Emancipazione delle Dame di Edimburgo, avente per oggetto Role Social de la Femme et de l'enfant, ecco cosa di- ce al riguardo: <

127 genze, e le braccia più robuste; essa carica il pesante lavoro della produzione alla debole e stanca vecchiaia; la nuova generazione divenuta soldato o marinaio non produce nulla e con- suma il fiore dell'entrata. Vi esiste un rapporto proporzionale, una quasi identità tra la forza produttiva e quella del consumo: il più atto a produrre è alla sua volta il più atto a consumare. Se la giovane genera- zione collocata nella milizia è più atta a consumare dev'esserla anche nel produrre. Mantenere l'equilibrio tra queste due forze: ecco la prima regola dell'economia veramente sociale. Or se il militare non produce niente, e per la condizione delle cose consuma più d'ogni altro cittadi- no, un disordine organico al certo con questo micidiale sistema si nasconde nel socialismo contemporaneo, da cui à origine la crisi che affligge il mondo intero. Laonde avendo oggidì l'esagerazione dei dispendi militari raggiunto il suo apogèo, ne viene di seguito che il parossi- smo di questa crisi si faccia ogni giorno sempre più inevitabile. Si pretende che le armate, e le flotte mostruose non servano che a scongiurare le guerre internazionali. No, lo scopo principale delle milizie officiali è la guerra alla democrazia, guer- ra preconcetta o fortuita, ma sempre inevitabile. Mettendo a discrezione dell'autorità il fiore della nuova generazione, vi strappa ai costumi ed ai progressi democratici tutta la forza d'a- zione, la quale raccogliendosi in un solo lato, nel lato del partito conservatore e governativo, ne succede di conseguenza un ristagno a spese dell'attività e del progresso che sono i segreti motori della democrazia. Le armate stanziali dunque non servono che a mantenere l'odio internazionale all'estero, ed il despotismo di tutto il malessere all'interno>>.

{36} (p. 143 ==> 248/405) Guidato da questi criteri, mi opposi e parlai contro la proposta di legge sulla libertà di insegnamento, presentata dall'on. D'Ondes Reggio, capo del partito cleri- cale alla Camera dei Deputati. Allora, a molti sembrò che io avessi fatto male, e il mio amico Nicola del Vecchio, che con il suo stupendo ingegno mi ha seguito insieme ai distinti giovani professori Ippolito Pederzolli, Eurico, Camillo, Filippo ed Eugenio Fazio, Buano, Fusco, Sar- no e altri nella propaganda dell'emancipazione della donna, della coscienza e del pensiero; il del Vecchio - ripeto - in un articolo sul Popolo d'Italia sostenne che non doveva aversi paura della libertà dell'insegnamento, anche quando venisse proposta dal prete di Roma. D'accordo con lui: della libertà non si deve aver paura, ma ribrezzo della menzogna che cerca insidiare con la maschera della libertà, sì! Questa e null'altra fu la sensazione che provai, nel vedere gli eterni nemici del progresso civile, proporla in Parlamento. Se il bravo del Vecchio avesse considerato un po' la situazione del paese, e la necessità della logica negli atti che come questo possono compromettere l'avvenire delle nazioni, son certo che avrebbe concluso, come conclusi io il discorso alla Camera: quando mi darete l'in- segnamento della libertà, allora io vi consentirà la libertà dell'insegnamento!

{37} (p. 150 ==> 255/405) Fra i lavori di scienza che ho visto pubblicati in questi ultimi gior- ni, e che possono davvero dirsi improntati a uno spirito degno del progresso e della civiltà dei tempi, è doveroso e giusto tributare lodi sincere all'operetta che ha per titolo Le norme educa- tive ed i doveri del farmacista, esposti dal professore Pasquale Greco di Lecce. Quest'operoso cittadino, dopo essersi adoperato a risollevare e nobilitare la sua classe (professionale), in provincia e con il suo pratico esempio, ha voluto altresì dettagliare in poche regole il fatto e il da farsi perché i vecchi farmacisti si aggiornassero e i giovani iniziassero i loro studi in modo conforme al progresso dei tempi. Egli vuole, al pari di noi, che la mente del giovane sia edu- cata: ne desidera cioè lo sviluppo intellettivo per comprendere a fondo i rapporti, il vero e le leggi su cui si basa la chimica, affinché il farmacista diventi il sacerdote della salute pubblica. Vorremmo altresì che gli altri lavorassero in egual maniera per dare agli iniziati nelle loro

128 classi precetti sani come questo pregevolissimo libro, che il Greco fa precedere alla pubblica- zione di una chimica popolare di maggiore importanza. [Vd. Le norme educative e i doveri del farmacista per servire quale pratica esplicazione al regolamento proto- medicale del Regno / esposti da Pasquale Greco. Tip. di Gennaro Cardamone, Napoli 1861]

{38} (p. 151 ==> 256/405) L'ordine dei fatti è sempre subordinato all'essere ideale, perché, come fu sapientemente detto [Vd. il Verbale della Seduta consiliare del Municipio di Napoli, riguardante il Proseguimento del bilancio del 1867 (istruzione pubblica): "[...] Dice (il Morelli) che, quantunque non seguace della scuola di Gioberti, crede opportuno ricor- dare una massima incontestabile. Gioberti riteneva che il sensibile spunti dall'intelligibile ..."] il sensibile spunta dall'intelli- gibile - o meglio, la prassi, vale a dire l'attività pratica, prende spunto (l'avvio) dall'attività teore- tica o speculativa -: praticamente l'uomo opera sempre secondo le proprie convinzioni. È quindi vano supporre che sia disposto ad agire in modo diverso, quando la sua intelligenza non ha subito alcun mutamento; quando cioè con la luce benefica della scienza all'è della mente non si è sostituito il non è [è - non è, da intendersi come essere - non essere. Quindi: quando all'essere puramente mentale, non si è sostituito il non essere (mentale), e quindi tutto ciò che è altro (dall'essere mentale), vale a dire il reale, il concreto, il corporeo]

{39} (p. 157 ==> 262/405) Che il paese abbia sete di buoncostume (comportamento conforme alla morale collettiva) e di moralità, lo dimostra il fatto dell'Inchiesta sulla Regìa dei Tabacchi. La stima della quale hanno goduto il mio amico Cristiano Lobbia e gli altri valorosi depu- tati e giornalisti che si batterono come leoni per sostenerla, mentre onora l'Italia, deve inco- raggiare le persone oneste d'ogni gradazione (sociale ecc.) a ripeterne gli esempi magnanimi. Fu per rendere un omaggio al paese e all'onore della sua rappresentanza (politica, parlamentare), che io la proposi per la prima volta. Mi si volle schiacciare con la forza del numero nel Comitato privato, interpretando la mia proposta come arma partigiana cui io giammai allusi; ma la resistenza invece di soffocare rese più ardente il desiderio della luce. L'onorevole Giuseppe Ferrari, uscendo dal Comitato, quel giorno, mi disse: <>. E la parola del grand'uomo fu una vera profezia. Oh!, se invece di vedere un cavallo di Troia, come al solito, in quella mia proposta soste- nuta con tanto calore da Sineo, Nicotera, Asproni, Mazzarella, Oliva, Laporta, Lazzaro, Mice- li, Minervini; se invece di combatterla così oscenamente, si fosse lasciata sfogare, quanto ci avrebbe guadagnato di più la giustizia, la verità e la dignità del paese!! [Vd. Archivio della Camera Regia / Commissioni Parlamentari d'Inchiesta. COMMISSIONE D'INCHIESTA SUI FATTI DELLA REGÌA COINTERESSATA DEI TABACCHI (11.06.1869 - 12.'7.1869)]

{40} (p. 161 ==> 266/405) Si dice virtù una serie di atti conformi alla ragione, come vizio ne è l'opposto. Detta voce deriva da vir (Vd. virtus, -ūtis; "ogni qualità che nobilita l'uomo, che concorre a formare il vir: for- za, valore, coraggio, eroismo, virtù, forza di carattere, energia, risolutezza, costanza" p. 1812, G. Angelini, Nuovo Dizionario Latino Italia- no, Società Editrice Dante Alighieri, Roma 1986) o da vis forza, ed esprime l'idea che l'uomo, per seguire co- stantemente i dettami della ragione, ha bisogno di forza, onde sottrarre la volontà alle lusinghe (allettamenti, attrazioni) delle passioni, e tenerla sottoposta agli ammonimenti dell'intelletto. La virtù, che si deve presupporre tra uomo e uomo, è il fondamento naturale della società civile. Se si potesse ammettere il contrario, allora finirebbe il consorzio civile, perché prodottasi la corru- zione che consiste nella rottura di questi rapporti, non ci sarebbe più né ordine né unità socia- le. D'altronde dove è la virtù, là cessa la necessità delle leggi, perché gli uomini in tanto sono virtuosi in quanto eseguono i comandi della ragione [in ordine alla correlazione in tanto (nella reggente) ... in quanto, si veda Serianni, XIV.106.]. Quindi, se essi nella propria coscienza sentono la forza delle sanzioni della natura e l'adempiono, non hanno bisogno di quella scritta, la quale non deve essere altro che la forma estrinseca e ausiliatrice di quella. [Virtù: "lat. VIRTUTEM, acc. di VIRTUS che propr. significa virilità, forza di corpo, cioè quanto adorna e nobilita l'uomo / lat. vir / fisica- mente e moralmente; indi valentia, valore, forza (v. Virile). <> (Cic. Tusc. 2.18.43). 129 Altri da VIS / pl. VIRES / forza, osservando che la fortezza è base di ogni virtù, e. come dice Rousseau, non esiste virtù ove non è contrasto (v. Violento)" - Pianigiani]

{41} (p. 161 ==> 266/405) Religione pare che derivi da rursus ligare, legare doppiamente: anzitutto l'uomo per natura è legato al principio di causalità; si lega di nuovo poi quando, il- luminato dalla scienza che ne determina le necessità (: le leggi di natura), è obbligato dalla logica a riconoscerlo. Quindi la fede che si insegna al di fuori della scienza non è religione, ma ido- latria cieca. [In realtà: "Religione, lat. RELIGIONE(M), che propr. vale considerazione, o cura riguardosa; da un supposto verbo RELIGERE compo- sto della partic. RE- che accenna a frequenza e LÈGERE scegliere, e fig. cercare o guardare con attenzione, onde viene il senso di aver ri- guardo, aver cura. Altri da RE-LIGARE unire insieme: quasi legame che unisce gli uomini nella comunità civile sotto le stesse leggi e nello stesso culto." Pianigiani]

{42} (p. 164 ==> 269/405) Filosofia della rivoluzione. [Vd. Filosofia della rivoluzione di Giuseppe Ferrari, Londra Agosto 1851. SEZIONE QUARTA. IL DESTINO DELL'UOMO. Capitolo IX, Dio sopprime il dovere, p. 56-58 - www.liberliber.it]

{43} (p. 165 ==> 270/405) Per rispondere adeguatamente al concetto di una completa rifor- ma dei riti che ci ricacciano indietro al medioevo, proposi al Parlamento un disegno di legge con il quale, mentre si intende circoscrivere i culti nella chiesa, finché non si aboliscono come esige la libertà e la civiltà dei tempi, si perviene pure a sostituire al sistema dei cimiteri, tanto nocivi alla salute e all'economia pubblica, il sistema della Cremazione dei cadaveri. Venni a sapere che, alle mie spalle, per soffocarlo negli uffici, si giunse alla miseria di criticare finan- che il nome, dicendo che Cremazione non è parola italiana. D'accordo che non è italiana; ma se non è italiana, è latina, e risponde a un rito del popolo latino. Quindi, volendo introdurre questo rito fra noi, non è ragionevole che si chiami Crema- zione come lo chiamavano i latini? Se appellate le scoperte che vengono dalla Francia con nome francese, perché non debba esser lecito a me fare altrettanto, volendo richiamare in vita una ragionevole usanza antica? Lasciando però ai miei avversari la responsabilità d'una ingiusta censura, riproduco qui le mie idee perché il lettore le giudichi da sé. DISEGNO DI LEGGE Art. 1. Per misure di ordine pubblico è espressamente inibito ai preti di qualsiasi religione esercitare atti di culto fuori le mura della propria chiesa. Art. 2. In ciascuna chiesa non sarà permesso che il suono di una sola campana a tocchi misurati, i quali senza disturbo delle cittadinanze avvertano i fedeli nelle ore mattutine, meri- diane e serotine. Art. 3. I cadaveri saranno trasportati nelle chiese in carrozze chiuse, e senza alcun corteg- gio o pompa di sorta. Quivi si renderanno loro gli estremi uffici, e poscia saranno trasportati al cimitero in carrozze chiuse e senza alcun segno che funesti i viandanti. Art. 4. Nel caso di epidemia i cadaveri verranno rilevati dalle abitazioni ove giacciono, dietro rivelazione all'autorità municipale, e nel modo indicato sopra saranno rimessi diretta- mente al cimitero. Art. 5. Col permesso dei Municipi potranno soltanto solennizzarsi pubblici funerali pei grandi patrioti, e per le intelligenze che hanno illustrato la nazione o giovato alla umanità sia con opere di scienza, sia con lavori di arte, o di ritrovati utili al pubblico benessere. Art. 6. Dopo due anni decorrenti dalla data di questa legge i camposanti rimangono aboli- ti, e sarà vietato rigorosamente a chiunque seppellire i cadaveri nelle chiese, o in altro sito ed in modo diverso da quello che verrà indicato. Art. 7. Per la durata di anni sei, dal giorno in cui non si seppelliranno più cadaveri, gli at- tuali campisanti saranno tenuti in rispetto da qualsiasi profanazione, e decorso tal periodo ver- ranno invertiti dai Municipi ad uso di pubblica utilità, lasciandovi intatti i monumenti di arte che si stimeranno più pregevoli.

130 Art. 8. Invece dei campisanti, quando non vi fossero altre opportune località, si costrui- ranno a spese dei Municipi dei modesti templi in diversi punti esterni della città, uniforme- mente al bisogno, ed in ciascuno di questi si eleveranno i Roghi secondo l'uso tradizionale dei nostri padri latini e greci, e dietro gli uffici estremi che saranno amministrati ai defunti dal sa- cerdozio della propria credenza religiosa, i corpi dei cadaveri Cremati colle norme della scienza, indi raccoltene le ceneri in tele di amianto, queste o si depositeranno in apposite loca- lità costrutte nei medesimi templi, o si consegneranno alla famiglia del defunto quando ne mostrasse desiderio. Art. 9. Coloro che intendono conservare intero il cadavere dei loro defunti, depositeranno 5000 lire nella cassa del Municipio, la quale, fatta eseguire l'iniezione nei modi prescritti dalla scienza di una Commissione di medici sanitari, che metta in salvo la pubblica salute dal so- spetto di qualunque possibile putrefazione miasmatica, ne ordinerà la sepoltura nei siti desti- nati all'uopo. Art. 10. Sarà permesso pure alle famiglie, cui appartengono i cadaveri sepolti negli abo- liti cimiteri, disumarne le ossa e portarle al Rogo per raccoglierne le ceneri. Art. 11. Quando i Municipi demoliranno le tombe, inviteranno i particolari che le edifica- rono, per ritirarsi i marmi, e restituiranno loro un terzo del prezzo esatto pel suolo. Art. 12. Accanto ai templi dei roghi verranno costrutti altri tempietti, nel caso che vi si volessero seppellire in apposite nicchie i cadaveri iniettati, ma per queste concessioni verrà pagato un censo annuo al Municipio, il quale per tutta distinzione non permetterà altro che una lapide di marmo, dove verrà sculta la memoria del defunto. Art. 13. I regolamenti per l'esatta esecuzione di questa legge saranno redatti dai Municipi. Art. 14. Coloro, che sia nella qualità ecclesiastica, sia in quella laicale contravvenissero alle soprascritte disposizioni, verranno rimessi al magistrato competente per esserne giudicati come disturbatori dell'ordine pubblico e condannati da un mese ad un anno di carcere, quando gli atti loro non li rendessero responsabili di pene maggiori per altri reati dei quali risultino colpevoli. [Firenze 18 giugno 1867. Salvatore Morelli Deputato" (pp. 32-39)]

{44} (p. 175 ==> 280/405) Si leggano in proposito i coscienziosi lavori degli egregi scrittori Lorenzo Zaccaro [San Lorenzo Bellizzi di Cosenza, 24 febbraio 1811. Vd. Opac, e Note su Lorenzo Zaccaro di Anna Cerchiara.] e Federico Bursotti, tanto benemeriti della letteratura patria. Si leggano altresì le profonde ve- dute dell'illustre Giuseppe Ferrari [(Milano, 6 marzo 1811 - Roma, 2 luglio 1876). Filosofo, storico, politico italiano. La mente di Vico, 1837], che con i suoi studi sulla mente del Vico, ha messo in luce i misteri della scienza, lasciando un'impronta originale nel vasto campo della sapienza italiana; come altre ne attendiamo dal colto intelletto dell'indefesso patriota Floriano Del Zio [(Melfi, 2 aprile 1831 - Roma, 1 febbraio 1914). Patriota e politico italiano. Senatore del regno d'Italia nella XVII legislatura. "Nel febbraio 1862 fu nominato da F. De Sanctis, ministro dell'Istruzione pubblica, professore di filosofia nel liceo di Cagliari come successore di E. Nitti. A conclusione del suo in- segnamento privato a Napoli, indirizzò ai suoi allievi un opuscolo Intorno alla definizione della logica, pubblicato nello stesso anno." - Trec- cani], che tanto onora Melfi, sua patria, sia come figlio sia come deputato onesto e indipenden- te. https://books.google.it/books/about/La_mente_di_Giambattista_Vico.html?id=aP9GAQAAMAAJ&redir_esc=y http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/e56bbbe8d7e9c734c125703d002f2a0c/e7a93b7638a9e5ef4125646f005af805?OpenDocument https://books.google.it/books?vid=RMS:RMS2LGEN000006673$$$Y

{45} (p. 177 ==> 282/405) Con ciò non s'intende sminuire la riverenza (il sentimento di profondo e quasi timoroso rispetto) che si deve provare per questi e altri sommi ingegni che sono le colonne della let- teratura patria; anzi desidero che ognuno rispettosamente saluti quei nomi sacri alla grandezza italiana. Apostoli del pensiero civile, hanno dissodato il terreno della libertà, hanno cioè pre- parato lo spirito alla libertà. Se non fosse stato per loro, non avremmo scoperto il nostro pa- rentado politico; non avremmo, nell'unità linguistica, preparato il cemento (ciò che consolida, rafforza; elemento, fattore di unione, di coesione) alla grande nazionalità di 26 milioni di italiani.

131 {46} (p. 178 ==> 283/405) Vedi Paolo Dottor Marzolo, Analisi della parola, o meglio, Mo- numenti storici rivelati dall'Analisi della parola. Opera di Paolo Marzolo, Tipografia del Se- minario, Padova 1847. Digit. Google https://books.google.it/books?id=x7_NPyus6CYC

{47} (p. 180 ==> 285/405) Intendo per classici tutti gli scrittori che hanno raggiunto l'eccel- lenza nel dare al pensiero un'adeguata forma esplicativa. Sono risultati tali, quelli del '300, perché, essendo vicini al ciclo della formazione (della lingua), poterono comprendere appieno l'effettivo significato che il senso comune del bel paese annetteva alla parola. Il primo fra tutti è Dante, e quindi più a lui che a ogni altro devono rivolgersi i pedagoghi onde assuefar gli alunni al dire proprio e forbito. Quando si sa leggere secondo le norme della riflessione, può trarsi vantaggio anche da altri scrittori, appartenenti o ai cosiddetti secoli dell'oro tramontati col '500, o al vertiginoso (cioè intensissimo, frenetico) VI secolo e ai successivi. È oltremodo dannoso però quel fare pedantesco che raccoglie in grande quantità, in fretta e senza cura, trecentismi (parola, locuzione, costrutto grammaticale e sim., tipici della lingua del Trecento) e toscanismi (vocabolo, locuzione, costrutto proprio del parlare toscano, spec. in rapporto con la lingua nazionale comune), mentre, per quanto concerne ciò che si fa normalmente, si manca di ideale e i risultati sono assai aridi e oscuri. Ecco il perché, a mio avviso, della mancanza di stile negli scrittori comuni: atteso che lo stile consiste nel disporre ordinatamente le idee secondo la loro naturale successione, quando la lingua si apprende em- piricamente senza riflettere, se ne ignora la dimensione ideale (delle idee). Per questa ragione la successione dei pensieri non procede nel modo che si vorrebbe.

{48} (p. 207 ==> 312/405) La condotta che si tiene a questo riguardo dal governo e da taluni municipi italiani, è davvero indegna. Si vedono inettissimi professori che cumulano 5000 lire dell'Università, i gettoni degli esami, e pingui soldi municipali per la iniqua missione di infa- tuare (rendere sciocca) la gioventù italiana, e screditarla al punto da far risultare approvabili solo 14 su 1400 giovani che si presentano agli esami, come è avvenuto quest'anno all'Università di Napoli; mentre poi professori sapientissimi e coscienziosi vengono scherniti e ridotti alla mi- seria. Ne potrei contare a bizzeffe dell'una e dell'altra categoria, ma per mostrare la verità di questa dolorosissima situazione, mi limito a indicare solo il nome di Raffaele Zarlenga. Raffaele Zarlenga, il sapientissimo scienziato, le cui preziose opere di medicina e di altre discipline (p.e.: scienze fisiche, storia naturale, catechismo medico-filosofico, fisiologia, omeopatia), tradotte in inglese e in francese, meritarono elogi e onori perfino dalle accademie americane; Raffaele Zarlenga, l'ex direttore dei famosi giornali Il Severino e Il Progresso; Raffaele Zarlenga, l'ex segretario della Questura della Camera dei Deputati nel '48, l'ex direttore del Giornale Uffi- ciale di quell'epoca, l'esule politico di Montecassino, il maestro di molti e il compagno nei la- vori scientifici della più parte di quelli che ora hanno le chiavi del cuore di Federico [Federico III di Germania (Potsdam 18 Ottobre 1831 - Potdam, 15 Giugno 1888). Secondo e penultimo imperatore tedesco, e l'ottavo e penultimo re di Prussia nel 1888]; Raffaele Zarlenga, l'ennesimo professore elogiato que- st'anno da giornali ufficiali e non ufficiali per l'esame splendidissimo dato nelle scienze natu- rali dalle sue gentili alunne dei Miracoli e di S. Marcellino; Raffaele Zarlenga, alla veneranda età di 60 anni, raccoglie come frutto del suo merito e delle sue opere un posto di pedagogo agli Educandati che lo costringe a far lezione anche il giovedì, e TRENTASETTE LIRE DI SOL- DO NETTO AL MESE. Quando si permettono queste nefande ingiustizie, quando si lasciano gozzovigliare asini e ciarlatani, coprendo di disprezzo il santo patriottismo di Luigi Zuppetta [Castelnuovo della Daunia, 20 Giugno 1810 - Portici, 6 Maggio 1889. Giurista e politico italiano. Professore di diritto penale all'Università di Napoli] e degli intel- letti che gli somigliano, perché cercare altrove le ragioni del decadimento nazionale, e delle aspirazioni repubblicane?

132 {49} (p. 209 ==> 314/405) Ecco il concetto che in termini più estesi proposi al Parlamento Italiano sulla riforma della pubblica istruzione, e vene soffocato negli uffici per impormi così di riproporlo in un'altra sessione. DISEGNO DI LEGGE Art. 1. Il Ministero dell'istruzione pubblica e tutte le sue dipendenze sono abolite. Art. 2. È abolito altresì il sistema d'insegnamento organizzato per tutte le gradazioni intellet- tuali, dalle scuole elementari sino alle universitarie. Art. 3. I Consigli comunali e provinciali assumono la cura dell'istruzione pubblica nel perime- tro della loro giurisdizione. Art. 4 Le categorie delle scuole del Regno saranno promiscue e formate come segue: 1. Scuole materne. 2. Scuole tecniche professionali. 3. Istituti supremi di perfezionamento. Art. 5. Le scuole materne verranno decentemente organate e fornite di macchine, libri e con- creti di cui à uopo l'insegnamento a spese dei Municipi nella proporzione di una per ogni 300 abitanti, e le scuole tecniche professionali in ragione di una per ogni diecimila abitanti. Art. 6. Quando i privati non provvedano da sé agl'istituti supremi di perfezionamento, lo fa- ranno i Consigli provinciali conformemente al bisogno. Art. 7. Nelle scuole materne promiscue si porrà cura di sviluppare la riflessione, adoperando il metodo parabolico dal noto all'ignoto, e per far comprendere ai discenti che cosa sono e che cosa debbono fare, verranno indispensabilmente insegnate loro con logica successione le se- guenti materie: 1. Nozioni di notomia, psicologia e fisiologia. 2. Nozioni d'igiene corporea e spirituale. 3. Il Calendario del lavoro o l'economia della produzione. 4. Nozioni di lingua, leggere e scrivere. 5. Nozioni di chimica, fisica ed agronomia. 6. Nozioni di matematica elementare. 7. Nozioni di geografia. 8. Nozioni di storia. 9. Nozioni del sistema politico e amministrativo con cui si governa il proprio paese. 10. Il Galateo della libertà. 11. Pratiche di pedagogia specialmente alle donne per poter istruire ed educare da sé la famiglia. Art. 8. È vietato l'insegnamento del catechismo, delle storie sacre, e di qualunque dottrina re- ligiosa nelle scuole materne. Art. 9. Le scuole materne saranno gratuite e obbligatorie. Art. 10. Essendo l'ignoranza volontaria un suicidio morale, e la più grave offesa alla dignità umana, i cittadini che trascurano l'istruzione e l'educazione civile dei propri figli e dipendenti, verranno ammoniti dall'autorità municipale e, persistendo, a istanza della medesima si proce- derà contro di essi dal Pretore, il quale può, secondo i gradi di pervicacia, estendere la loro condanna da cinque giorni a tre mesi di prigionia, e costringere a istruirsi quelli che non lo fu- rono per negligenza loro. Art. 11. La stessa pena colpirà i Sindaci e Commissari della istruzione pubblica municipale, allorché venga constatato esistere nel Comune cittadini ignoranti per loro incuria. Art. 12. I maestri di scuola saranno giuridicamente responsabili del fatto loro. Sicché quando si provi che si scostino dal programma legale della scuola materna, e insinuano nei discenti massime oscurantiste ripudiate dalla civiltà, saranno sottoposti al giudizio e alle pene soprain- dicate, nonché all'interdizione per un anno dal loro ufficio. Art. 13. La nomina dei maestri dei due sessi verrà fatta per concorso o per merito o per espe- rimento ("3 Quindi Esperimento d'esame, che si fa o nelle scuole, o anco da maturi per essere riconosciuti

133 idonei a un insegnamento, a un ufficio" (Tommaseo-Bellini), dal Municipio per le scuole tecniche e professionali, e dalla provincia per quelle supreme di perfezionamento. Art. 14. Le Commissioni municipali eserciteranno l'ispezione delle scuole, e ove non ne tro- vino regolari gli andamenti, provocheranno dal Consiglio le misure necessarie all'uopo. Art. 15. Egualmente i maestri dei due sessi ricorreranno al Consiglio municipale e, per ultimo appello, alla Deputazione provinciale per i torti o soprusi che vengono loro fatti a onta della legge. Art. 16. Ogni cittadino italiano può privatamente insegnare, quando dimostri che nelle materie della scuola materna si attenga al programma di questa legge. Art. 17. Le Commissioni dell'istruzione pubblica municipale sotto questo rapporto veglieran- no anche le scuole private, e trovandole in contravvenzione alla legge ne proporranno la chiu- sura ai Consigli. Art. 18. I regolamenti delle diverse scuole e degli esami verranno redatti, secondo il bisogno dei luoghi, dalle varie autorità dalle quali dipendono. Art. 19. Ogni cittadino italiano può senz'altro presentarsi alla Commissione municipale o pro- vinciale nei giorni fissati dal regolamento per dare gli esami. Riuscendone approvato, riceverà il corrispondente diploma con un tenue gettone se possidente, e gratis se povero. Art. 20. Le questioni tra gli studenti e le Commissioni si risolveranno, secondo le dipendenze, dai Consigli comunali o provinciali e, in ultimo appello, dalle Deputazioni. Art. 21. Il soldo dei maestri dell'uno e dell'altro sesso non potrà essere minore di 150 lire al mese. Quando però nel corso di un anno danno prova non equivoca di valentia, e di zelo nello sviluppo intellettuale dei discenti, dopo l'esame avranno una gratificazione da 250 a 1000 lire, secondo che i Consigli municipali e provinciali si persuaderanno dell'utilità dell'opera loro. Art. 22. I professori degl'istituti supremi di perfezionamento saranno pagati dai giovani che ne frequentano le lezioni. Art. 23. Dal seno della Rappresentanza Nazionale verrà eletto dalla stessa Camera in ciascun anno un Comitato Supremo per la pubblica istruzione, il quale mettendosi in corrispondenza con le province, e vegliando l'esecuzione della legge, riferirà (riporterà, comunicherà) all'Assem- blea, alla fine di ogni anno, l'andamento intellettuale e morale del paese, nonché i mezzi da lui stimati opportuni per migliorarne lo sviluppo e la civiltà. SALVATORE MORELLI Deputato al Parlamento.

{50} (p. 217 ==> 322/405) Una Costituente intellettuale, un Concilio di liberi pensatori, che formuli la proposta della scuola della libertà per contrapporla alla scuola del papa che si chiama chiesa, è indispensabile. Se allo spirito delle generazioni non si presenta, nella verità, l'equivalente della menzogna che deve abbandonare, o non si scosterà mai da questa, o, sco- statosene, vi ritornerà a ogni piè sospinto, essendo impossibile che rimanga nel vuoto. Proposi questo a Mazzini sin dal '64 in una lunga lettera pubblicata sul giornale il Popolo d'Italia, quando il papa proclamò il sillabo (Pio IX, Syllabus complectens praecipuos nostrae aetatis errores, 8 Dicembre 1864). Ora che ne vedo lampeggiare l'idea nell'Anticoncilio iniziato dall'onorevole mio amico e collega Giuseppe Ricciardi, ne sono lietissimo sperando che egli riesca a quest'u- tile fine.

{51} (p. 230 ==> 335/405) Mentre rivedo queste pagine, il telegrafo annuncia mestamente agli Italiani che l'eroe di Villa Gloria, Giovanni Cairoli, raggiunge nella tomba dei martiri i suoi tre cari germani, Ernesto, Luigi ed Enrico!! La venerazione del popolo italiano alla loro santa memoria dia calma al cuore trafitto del- la onoranda genitrice Adelaide e dell'illustre fratello, Benedetto Cairoli, mio carissimo collega e amico. Dopo l'inconsolabile perdita in pochissimo tempo di Laura Beatrice Mancini, di Giuseppe Dolfi e di Giovanni Cairoli, ornamento del genio e del patriottismo italiano, a ragione si ripete

134 dolorosamente: <>. [Francesco Petrarca, Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta), XIV secolo, Chi vuol veder quantunque pò Natu- ra, vv. 5-6). https://www.liberliber.it/mediateca/libri/p/petrarca/canzoniere/pdf/canzon_p.pdf

{52} (p. 235 ==> 340/405) Ricordo che un importante lavoro dell'onorevole senatore Paolo Emilio Imbriani sul Coraggio Civile, destò, nel 1843, la gioventù e creò la valorosa falange dalla quale si originò la rivoluzione del '48. Se invece di libri inutili e corruttori i tipografi ita- liani riproducessero quel discorso dell'Imbriani e altre opere egregie come la Filosofia della Rivoluzione di Giuseppe Ferrari, quanto vantaggio non recherebbero essi alla civiltà del pae- se? https://books.google.it/books/about/Del_coraggio_civile.html?id=Rq7d4kJ5dhAC&redir_esc=y

{53} (p. 236 ==> 341/405) Così è, i richiami a favore della moralità e della libertà unitamente al culto di un grande nuovo principio che attacca i millenari pregiudizi e gli interessi di casta, finché non divengono realtà concreta, fanno sì che gli avversari perseguitino tutti i benemeriti che se ne fanno apostoli e difensori. Dalla calunnia fino al capestro, tutto fu messo in opera contro Mazzini, Garibaldi e i loro seguaci per avversare fino alla catastrofe di Mentana il completamento dei destini nazionali. I Cairoli, gli Avezzana, i Fabrizi, gli Acerbi, i Nicotera, i de Benedetto, i Fazzari, i Cucchi, i Garibaldi figli, i Cesàro, gli Schioppa, gli Estival, i Botta, i Billi, i Frigiesi, gli Armenio, i Mi- leti, i Lombard-Martin e tanti altri nostri amici subirono, più amaro della morte, il veleno del- la detrazione. Il giovane leccese Girolamo de Blasio, ufficiale dei volontari, veniva processato per furto per aver preso alloggio in un convento di frati, e mangiato e fatto uso di quel che vi era nasco- sto. Vedete logica! una legione che andava nell'agro romano a distruggere il papato, doveva poi rispettare gli arredi sacri e la proprietà dei monaci, mentre era lacera e affamata! Se colpa in- volontaria vi è per quei giovani patrioti, è quella d'aver lasciato sopravvivere a disonore dell'umanità i simboli della scellerata inquisizione! Si è cercato infamare anche una donna, le si è gettato addosso il nero della seppia, la si è messa in guerra con il marito, la si è catturata con imputazioni repubblicane, e ciò perché quella donna ha avuto la magnanima forza di inalberare la bandiera di un grande principio, muovendo guerra al papa con l'apostolato emancipatore, e con una legione armata. Arti vecchie! I preti e la tirannide di altri tempi per giustificare nella coscienza della stupida plebe la decapitazione della Pimentel e della Sanfelice, coprirono quelle due illustri martiri di volgarissime ingiurie! (Eleonora Pimentel e Luisa Sanfelice: La Rivoluzione Napoletana del 1799) La storia però che si ispira alla grande madre dei fatti più salienti, e manda giù i pettego- lezzi, come dirà sublima la titanica audacia di Garibaldi che sfidò con pochi generosi, nel principio d'autorità teocratica, il monarcato europeo, e impose all'ultimo Cesare una onorevole capitolazione; come dirà santi i patrioti che vi si immolarono; come dirà abilissimo atto poli- tico in favore della unità e della libertà italiana il plebiscito del Nicotera a Velleteri, renderà pure giustizia a Giulia Caracciolo, la quale ebbe il talento e l'audacia di dimostrare al mondo con una legione armata, che anche le donne italiane escono dal loro riserbo, quando lo esige l'onore del paese in quelle lotte di principi che coinvolgono i destini dell'intera umanità! O donne, donne! fate argine ai detrattori del vostro sesso. Se voi permettete che le vostre consorelle, che si immolano per nobili sentimenti, siano deturpate, chi potrà salvarvi dall'a- biezione? Guai poi, per chi assume una grande missione, se cede alle insinuazioni degli avversari. Nella lotta dei principi bisogna turarsi gli orecchi e andare innanzi fino alla meta con l'ineso- rabilità della logica! Se le distinte Signore Teresita Garibaldi Canzio, Elisabetta Masi Angherà, Enrichetta Ca- racciolo Gruttier, Luisa Raffaele Papa, Luigia Fusco, Michela Cicalese, Giulia Caracciolo,

135 Angiolina Mola, Caterina Baracchini, Pasqualina Caruso, Caterina Frezza, Maria Lombardi in Russo, Francesca Affaitati, Elena Ballio, Cristina Mercuro, Santina Bennati, Giovannina Car- cea, Anna Maria Mozzoni, Maddalena Giunti Fazio, Teresa Saracinelli, Luigia de Michelis, Giulia Ballio, Maria Albertini, Matilde Diodati, Antonetta d'Erminio, Candia Dasola, le quali quando presentai, il 18 Giugno 1867, al Parlamento Italiano la legge sulla emancipazione del- le donne, risposero alla voce del Generale Garibaldi costituendosi in Comitato a Napoli, se- guiteranno la loro azione con un apostolato incessante; se lo stesso faranno le consorelle di Milano, Torino, Palermo, Venezia, Firenze, Genova, Bologna, Ferrara, Modena, Parma e di tutte le cento città italiane, son certo che l'opera loro sarà più efficace, ai fini dell'accettazione della legge, di quanto non potrebbe esserlo il mio buon volere, e quello dei pochi amici che vorranno sostenermi quando la ripresenterò alla Camera.

{54} (p. 239 ==> 344/405) Questo concetto lo ripeté sapientemente la valorosa pensatrice Anna Maria Mozzoni in un prezioso volume pubblicato quando il Ministro Pisanelli riforma- va i codici. Se le donne italiane si ispirassero ai sani criteri della loro diletta consorella, dal pochissimo che se ne ricavò allora, con la ressa costante del loro spirito collettivo si giunge- rebbe a scuotere l'avaro legislatore italiano al pagamento completo di questa cambiale prote- stata. [Vd. Anna Maria Mazzoni, La liberazione della donna. E soprattutto La donna e i suoi rap- porti sociali In occasione della revisione del Codice Civile Italiano, Milano 1864. https://www.iperteca.it/download.php?id=1091 https://www.liberliber.it/mediateca/libri/m/mozzoni/la_liberazione_della_donna/pdf/la_lib_p.pdf https://archive.org/details/ladonnaeisuoirapportisociali00mozzoni/page/n6]

{55} (p. 240 ==> 345/405) Si veda un dotto articolo sull'insegnamento professionale della donna, pubblicato dal mio amico e collega Mauro Macchi nel n. 171 della RIVISTA CONTEM- PORANEA NAZIONALE ITALIANA. In questo articolo, l'egregio patriota, rilevando i lavori fatti in proposito a Parigi e altrove, nonché la grande utilità che può derivare al genere umano dalla cultura intellettuale della donna, accenna sapientemente alle difficoltà e ai mezzi che possono assicurarle una onesta sorgente di vita nell'esercizio delle professioni. Questo santo disegno che doveva però servire al Ministro Coppino come addentellato a un provvedimento legislati- vo, caduto questi, rimase fino ad oggi lettera morta, come c'era da aspettarselo! [Vd. RIVISTA CONTEMPORANEA NAZIONALE ITALIANA, VOLUME LII. - ANNO XVI. TORINO 1868. (pp. 188 e segg.) - https://books.google.it/books?id=LMkaAAAAYAAJ]

{56} (p. 250 ==> 355/405) Questo scandalo si perpetrava nell'Università di Napoli dal rettore che, alle molte donne che chiedevano di udire le lezioni di Chimica del professore Mammone Caprio, i giorni scorsi, rispose: i regolamenti non permettono quest'insegnamento alle donne! E ci vogliono prove più lampanti di questa, per dimostrare l'urgenza di dare alla donna i diritti che le appartengono? Se il rettore d'una Università, persona istruita ed eminente, disconosce in lei il più innocente dei diritti, quello dell'istruzione, quali barbari dinieghi non troverà la poverina nella gente zotica, per l'esercizio di quei sacri diritti che, guardati attraverso la lente del fanatismo religioso, sembrano peccati mortali?

{57} (p. 255 ==> 360/405) Uno dei tre disegni di legge da me presentati al Parlamento italia- no, concernente appunto la reintegrazione giuridica della donna, è, salvo qualche modifica- zione, il seguente: SCHEMA DI LEGGE Art. 1. La donna italiana può esercitare tutti i dritti che le leggi riconoscono nei cittadini del Regno. Art. 2. Il matrimonio, essendo un contratto, può sciogliersi quando la volontà dei coniugi vi si decida per gravi motivi, allo scopo di migliorare la scambievole posizione.

136 Art. 3. La sentenza del Tribunale che ne legalizzerà lo scioglimento, provvederà pure ad assicurare la sorte dei figli affidandone l'educazione ordinariamente alla madre, eccezional- mente al padre col concorso dei mezzi dell'altro coniuge, o collocandoli in istabilimenti pub- blici, sia a spese dei genitori possidenti, sia a spese del Comune se poveri. Art. 4. In omaggio alla giustizia e all'umana dignità, è abolita la odiosa distinzione dei fi- gli legittimi e naturali. Art. 5. Ogni figlio di madre italiana senza distinzione di sesso nasce legittimo, e la sua esistenza viene assicurata sullo stato civile dal cognome della genitrice. Art. 6. Quando il padre lo voglia può anch'esso perpetuare il suo nome nella prole ag- giungendolo a quello della madre; ma ove non ne sia vago, sarà egualmente tenuto in propor- zione del suo stato sociale a concorrere al nutrimento ed all'educazione dei figliuoli. Art. 7. Le divergenze dei rapporti ed interessi, che avranno luogo nel passaggio dal pree- sistente a questo regime, verranno composte e regolate da appositi decreti. Art. 8. Tutte le disposizioni del codice e di altri decreti, opposte a questa legge, rimango- no abrogate. SALVATORE MORELLI Deputato al Parlamento.

{58} (p. 257 ==> 362/405) La più santa delle opere che la civiltà reclama è l'affrancamento delle donne musulmane. Dice a questo proposito il signor Pananti: <

{59} (p. 262 ==> 367/405) Ecco come viene orribilmente descritta questa barbara pena dei persiani, pari a quella che ordinava di schiacciare il capo degli avvelenatori sopra una pietra. ["... ed il supplizio, a cui la legge de' Persiani condannava gli avvelenatori, era il seguente. Facevano metter al reo il capo sopra una gran pietra assai larga, e lo percuotevano con un'altra pietra sino a tanto che il capo fosse del tutto schiacciato; di maniera che non ne restava la minima figura." (p. 296) In: Storia Antica degli Egizj, Cartaginesi, Assirj, Babilonesi, Medi, Persiani, Macedoni, e Greci del Signor CARLO ROLLIN, tradotta dal francese e riscontrata sull'ultima edizione ricorretta ed accresciuta dall'Autore. Tomo V. Venezia, MDCCCII. - books.google.it/books?id=rSRSAAAAcAAJ ["Presso i Persiani noi vediamo l'orribile pena del truogolo, a cui l'inquisizione dell'umile e mansueto Gesù, nulla ha da invidiare. Essa così viene descritta:] <>" (pp. 252-253) [Il libero pensiero. Giornale dei Razionalisti. Filo- sofia, scienze storiche, giuridiche e naturali Applicate al razionalismo. Anno V. 1° Semestre. 1870 Firenze-Milano. books.google.it/books/about/Il_Libero_pensiero.html?id=eJIsAAAAYAAJ&redir_esc=y] ["Truogolo, Tinozza. ... Gli Antichi medesimi avevano inventato pei gran misfatti una specie di morte, che si chiamava il supplizio dei vasi di pietra. Ponevasi il reo tra due vasi eguali situati uso sull'altro, ed insieme attaccati sì fortemente che il reo coricato sul dorso nel vano infe- riore non poteva cangiar situazione, essendoli altronde impossibil il farlo perché la testa, le mani, ed i piedi uscivano fuori de' vasi da certe buche fattevi a bella posta. In tal positura esposto ai più ardenti raggi del Sole gli veniva dato quanto nutrimento ei voleva, e quando lo ricu- sava era sforzato suo malgrado di prenderlo. Gli si faceva bere del miele stemperato nel latte, di cui gli s'imbrattava il viso per attirarli addos-

137 so le mosche. Quest'insetti uniti a quelli, che non tardavano a uscire dai di lui escrementi, gli facevan soffrire insopportabili pene, cosicchè dopo quindici o venti giorni disperato spirava." (p. 150). E. J. Monchablon, Dizionario compendiato di antichità. Per maggiore intelligenza dell'Istoria Antica Sacra e profana e dei Classici Greci e Latini. Traduzione dal francese, migliorata e accresciuta. T. I., Firenze 1821. books.google.it/books/about/Dizionario_compendiato_di_antichità_per.html?id=dm8W8X5g2AkC&redir_esc=y]

{60}(p. 262 ==> 367/405) Son lietissimo di sentire che dietro i sapienti e umanitari reclami fatti per mezzo della stampa dall'illustre inglese amico dell'Italia, Signor Befort, corrisponden- te del Teems, e dai Signori Gennaro de Angelis, barone Vincenzo Caprara, G. Gervasi e altri giornalisti di ogni testata, la custodia delle prigioni di Napoli abbia smesso l'uso di questi ul- timi tre strumenti, e che il trattamento dei prigionieri sia di molto migliorato.

{61} (p. 265 ==> 370/405) Mi viene assicurato da integerrimi magistrati che la sorte dei pre- tori nei mandamenti dipenda quasi sempre da un rapporto dei carabinieri, i quali hanno anche l'indecente potere di sindacarne la capacità!

{62} (p. 279 ==> 384/405) La prostituzione della donna mi commuove, ma quella dell'intelli- genza mi spaventa. Nella prima, creata ordinariamente dalla miseria e dall'ignoranza, può es- servi difetto di dolo; nella seconda, giammai. Gli scrittori, specialmente quelli prezzolati dai governi per adularne il dispotismo e per- vertire la coscienza pubblica, sono qualche cosa di inqualificabile. Però la dura situazione so- ciale che insacca (stipa) tutti i mezzi della vita nella chiesa e negli stati corruttori, e non lascia altro scampo all'uomo onesto e indipendente, tranne quello della prostituzione dell'animo o quello di una lunga e insopportabile agonia, se non giustifica, attenua la colpevolezza morale di questa classe di sciagurati. Oh! checché ne pensino gli altri, io ho un concetto troppo elevato della natura umana. Se tanti bellissimi ingegni, estremamente fortunati, trovassero di che vivere nel culto della verità e della giustizia, perdio!, non si farebbero tanto agevolmente sicari della penna, mercenari dei prepotenti!

{63} (p. 286/405) Nella maggior parte d'Italia, e specialmente nella Magna Grecia, il padre di famiglia si chiama Tata, da Theos Dio. Per quanto desideri che sia rispettato il padre di fami- glia, altrettanto combatto questa esagerazione tradizionale trasfusa nelle leggi, perché causa di ingiustizie e di tirannie che offendono la civiltà. Ognuno deve essere quel che lo fa la natura, quel che è, né più e né meno! [Tata: secondo il Rohlfs (VDS, Galatina 1976), deriva dal lat. regionale TATA <>. - Per Tommaso No- bile (DDO): "Etim. dal gr. atta e dal lat. tata, voce onomatopeica diffusasi nell'età imperiale; per il gr. atta <>". - Romanisches Etymologisches Wörterbuch (1992), "8596, tata "Vater" (padre) ... südit. tata, tatá, tá, tarent. attanę".]

{64} (p. 288 ==> 393/405) Mai quanto oggi venne così bene in tutti i paesi del mondo com- provata la mia tesi emancipatrice, e mai si ebbero tanti argomenti luminosi per concludersi con la omogeneità della scienza alla donna, e con la logica necessità di doverle svolgere con essa l'intelletto per farle adempire convenientemente la sua missione terrena. - Quando alle derisioni e allo scetticismo gelido di cui i paolotti ["1.a. Membro della Compa- gnia, della Società o delle Conferenze di s. Vincenzo de' Paoli, fondate nel 1833 da A. F. Ozanam [...] clericale, bigotto, baciapile; con ulteriore traslato, conservatore, reazionario; deputati inetti, mezzo paolotti (F. Martini)." Treccani on line] mi circondarono fuori e dentro il Parlamento italiano nel proclamarne il princi- pio con questo libro, e nel formularne in legge il concetto, sorse animosa l'egregia giovane lombarda Anna Maria Mozzoni con uno splendido volume, e altri pregevoli scritti sull'argo- mento; - quando, proseguendo l'apostolato della Signora Giovannina Garcea, ardita direttrice del giornale la Voce delle donne in Parma, vedo sorgere a Venezia il periodico La donna di- retto con ammirevole costanza e affetto civile dalla Signora Gualberta Alaide Beccari, e scrit- to con il coraggio della riforma sociale dalle distinte Signore Mozzoni, Reggianini, Ostacchi- ni, Tetamanzi, Boldrini, Astori, Piazza, Melisurgo Vegezzi Ruscalla, Zambusi dal Lago, Staz- 138 zone de Gregorio, Perez de Vera, Ballio, Cinotti, Nani, Gambini, Abati, Cattermoli, Fimiani, Woena, Pais, Giacinta Daelia, Franco, e Tessero; - quando vedo sorgere in Comitati di emancipazione le Signore di Edimburgo, di Russia, d'Inghilterra, d'America, di Francia e d'Italia; - quando nel Congresso della Lega della pace sostenuta da Bakunin, Gambuzzi, Fanelli e da altri distinti socialisti, Madama Maria Goegg impone coll'evidenza della verità alla demo- crazia universale il riconoscimento dei diritti della donna, e lo sostiene fervidamente con un giornale stampato a Genova; - quando vedo a Parigi, il paese apostolo dei grandi principi e delle grandi rivoluzioni, costituirsi in club emancipatore, le distinte Signore Maria Deratsmes, Gagneur, Breuil, Lieu- tier, Louise Bader, Arnaud, Esther Sezzi, Augusta Gamberg, e i chiarissimi cittadini, Leon Ri- cher, redattore capo del Giornale IL DIRITTO DELLE DONNE, Guèroult, direttore dell'OPINION NATIONAL, Fauvety, direttore della SOLIDARIETÉ, Arthur Arnould e Roberte Hyenne, redattori del RAPPEL, Auguste Nartin, Eugène Garein, Eugène Aus, Felix Hèment, direttore del PETIT JOURNAL, Flammarion, Henri Carle, Edmond Donay, Robert Halt, A. Poulet e de Pompery, dell' OPINION NATIONAL; e costituire in Commissione le Signore Deraisme, Gagner e Brem ed i Signori Gueroult, Leon Richer, Legouvè, e Lemonnier; - quando vedo Brigt e Stuart Mill, due grandi uomini inglesi, apertamente sostenitori dell'emancipazione, e undicimila donne che in un gran Meeting a Londra chiedono il ricono- scimento dei diritti della donna; - quando sono assicurato dal giovane patriota americano Enry M. Peyser, in America e in altri paesi centinaia di donne laurearsi in avvocatura, in medicina e nelle altre scienze; - quando vedo in Italia all'illustre Dora d'Istria, che afferma con le opere del pensiere la feconda Potenza del genio italiano; alle Signore de Pace, Saffi, Caruso, Lazzaro, Pisacane, Nicotera, Giunti Fazio, de Angelis che decorarono la rivoluzione del 1860 con nobili docu- menti di patriottismo, seguire una schiera di giovinette studiose per l'onore nazionale i cui germi si sviluppano con la rigenerazione della donna; - quando vedo successori dei de Boni, degli Speranza Mazzoni, dei Verratti, dei Ventrel- la, del Bovio, dei Precerutti, dei Battista, dei Montenegro, degli Aldisio Sammito, dei Grillo, dei Cisaria, dei Dottor Perocco autore d'un volume sulla donna, tanti stupendi ingegni giova- nili combattere con amore sul Libero Pensiero, sul Presente di Parma, sull'Unità Italiana di Milano, sul Popolo d'Italia di Napoli, sulla Gazzetta del Popolo di Torino e di Avellino, sul Dovere di Genova, sul Propugnatore di Lecce, sulla Tribuna di Ancona, sulla Plebe di Lodi, sull'Avanguardia di Foggia, sulla Favilla di Mantova e sopra altri pregevoli periodici la cro- ciata dell'emancipazione; - quando il Bargoni, ministro dell'istruzione pubblica nel Regno d'Italia, fa circolari ai prefetti per rendere più diffuso il sapere fra le donne; - quando da ultimo l'autorità della Fanny Vannuccini, valorosa insegnante, del prof. Raffaele Zarlenga e di altri scienziati suoi pari, assicura che lo sviluppo intellettuale della donna fa me- ravigliosa concorrenza a quello dell'uomo, e nella speditezza dell'intuizione della verità lo su- pera di gran lunga; - quando io vedo tutto questo, ho ragione di gridare: HO VINTO!"

139 ANNOTAZIONI AGGIUNTIVE 1 ( ) [Non è stato possibile rintracciare la fonte da cui Morelli ha tratto detto brano attribuito a Licurgo. Secondo me è una sua elaborazione personale, anche perché tali parole, così come riportate, non si rinvengono né in Plu- tarco, né in Senofonte, né nei testi consultati, quali per es.: Viaggio di Anacarsi Il giovane nella Grecia verso la metà del quarto secolo avanti l'era volgare, Traduzione corretta e corredata di note da Giuseppe Belloni, Tomo Ottavo, Milano 1822. Digitalizzato Google; Diogene Laerzio, Le vite dei filosofi, Milano 1842. Digitalizzato Google. Ecco, comunque, alcune fonti possibili: - "Si maravigliava a giusto titolo Licurgo, che si pensasse tanto a perfezionare le razze degli animali dome- stici, e sì poco quelle degli uomini." (p. 53). Giornale de' letterati, Tom. LXXXI e Tom. LXXXII, Pisa MDCCXCI - Digitalizzato Google. // - "Con Licurgo14 e Pitagora15, Platone si sorprendeva che gli uomini, mentre si curavano con assoluta dili- genza del miglioramento delle razze degli animali domestici, trascuravano, invece, il perfezionamento dei carat- teri della propria specie16 ". (14) Plutarco, Licurgo, 15, 15-16 (15) Giamblico, Vita pitagorica, XXI, 212-213. Per Pitagora "la causa più grave e manifesta della cattiveria e della pochezza della gran parte degli uomini" va individuata nel fatto che essi generano i figli "a caso e sconside- ratamente", in quanto "presso i più, la generazione dei figli è un atto bestiale e volgare" (ivi, XXXI, 213) (16) Cfr. Platone, Repubblica, 459a ss.. Aniello Montano, Dentro la storia e fuori dagli schemi Evoluzione dell'idea Famiglia. centrofedericowe- ber.org - Associazione Weber (Centro Studi Etici, Onlus) // "Platone, come già Licurgo e Pitagora96, trovava strano che gli uomini curassero con estrema diligenza il miglioramento delle caratteristiche degli animali domestici e trascurassero invece del tutto il perfezionamento dei caratteri della propria specie97." (p. 213) (96) Cfr. rispettivamente, Giamblico, op.cit. (Vita pitagorica), XXI, 212-213; Senofonte, Costituzione dei Lace- demoni, I, 7-8; Plutarco, Licurgo, 15, 15-16 (97) Cfr. Rep., V, 459a SS. Cosimo Quarta, L'Utopia Platonica - Il progetto politico di un grande filosofo, Edizioni Dedalo, Bari 1993. In particolare Istanza eugenetica e rapporto amoroso. Digitalizzato Google. // - "Egli previene la dissolutezza de' due sessi col soccorso d'un rimedio, che pare, che dovrebbe fomentarla. Egli vuole, che le donzelle vadano sempre col volto scoperto, e che dell'intutto nude, combattano co' giovanetti negli esercizi pubblici; persuaso, che il rimedio più sicuro contro le impressioni della natura è d'avvezzare i sensi al suo spettacolo." (pp. 72-73). La Scienza della Legislazione e gli opuscoli scelti di GAETANO FILANGIERI, Vol. I, Milano 1855 - CAPO V. Della bontà relativa delle leggi. Digitalizzato Google. // - "14. La prima ragione di questo è che Licurgo non considerava i figli come un bene privato dei padri, ma come un bene comune della città, e perciò voleva che i cittadini fossero generati non da chiunque, ma dai miglio- ri. 15. Scorgeva una grande stoltezza e una grande vanità nelle leggi matrimoniali degli altri paesi: accoppiano cagne e cavalle con gli stalloni più vigorosi, ottenendone il consenso dei padroni per favore o dietro compenso, e poi sorvegliano sotto chiave le proprie mogli, perché ritengono giusto che generino figli solo da loro, anche se sono pazzi o anziani o tarati da malattie; come se i figli, che nascono da genitori minorati, non nascessero - rati innanzitutto per chi li ha e li alleva, e al contrario eccellenti, se nascono da padri simili. 16. Queste usanze, ispirate da ragioni naturali e sociali, erano tanto lontane in quei tempi da quella licenziosità che, a quanto si dice, più tardi si diffuse fra le donne spartane, che anzi in quella città era del tutto incredibile l'ipotesi di un adulterio." (pp. 59-61) Plutarco, Le vite di Licurgo e di Numa (a cura di Mario Manfredini e Luigi Piccirilli), Fondazione Lorenzo Valla, Arnoldo Mondadori Editore, VI edizione giugno 2012. - "Capitolo X. Delle leggi riferibili all'educazione dei figli ed alla coltura di alcune arti. <> (p. 728) Storia della Legislazione del Conte di Pastoret; Prima versione Italiana. Volume Primo, Venezia Co' Tipi del Gondoliere, M DCCC XXXIX - Digitalizzato Google. // - "XXXI. (212) E insomma ritenevano del tutto leggero e improvvido chi si accingesse a procreare un fi- glio, in tal modo portandolo a nascere e avviandolo all'esistenza, senza preoccuparsi seriamente che l'ingresso nella vita riuscisse per i nuovi venuti il più felice possibile. E mentre i cinofili prestano ogni attenzione ai cuc- cioli, e curano che nascano da genitori adeguati, nell'epoca e nelle condizioni opportune, e così risultino di buona indole; mentre allo stesso modo si comportano gli amanti degli uccelli. (213) (ed è evidente che anche tutti gli al- tri che sono impegnati nell'allevamento di animali di qualità si danno molto da fare perché la procreazione non avvenga a caso), gli uomini invece non si preoccupano dei figli, e li generano a caso e alla leggera, poi allevan- doli ed educandoli con assoluta negligenza. Ed è esattamente questa la ragione più evidente e consistente della malvagità e della pochezza della maggior parte degli uomini: la procreazione infatti avviene presso i più in ma-

140 niera pressoché casuale e animalesca. ...". (p. 375) Giamblico, La vita pitagorica (introduzione, traduzione e note di Maurizio Giangiulio), Testo greco a fronte, BUR, Milano 1991.] *§* 2 ( ) [Se Morelli intendeva riferirsi a Lamennais [Hugues-Félicité Robert de Lamennais (Saint-Malo, 19 giugno 1782 - Parigi, 27 febbraio 1854), prete, filosofo e teologo francese], come nella 1a e 2a Ediz., si precisa che La- mennais aveva una concezione della donna altra da quella che gli viene attribuita. Cfr., p.es., Il libro del popolo, Firenze 1848, pp. 56-59: "Un essere incapace di riprodursi è un essere incompleto: la donna è dunque il com- plemento dell'uomo. L'esistenza dell'uno richiede l'esistenza dell'altro, e l'esistenza dell'uno suppone l'esistenza dell'altro, essi non formano in due corpi che una stessa unità, e i figli che nascono da loro non sono in realtà che un prolungamento, una continuazione del loro essere comune; eglino rivivono in loro, come si dice, e, colle suc- cessive generazioni, si perpetuano indefinitamente. Così il matrimonio non è niente affatto una istituzione stabi- lita arbitrariamente; ma egli è l'unione fisica e morale di un solo uomo con una sola donna che si rendono com- pleti reciprocamente coll'unirsi; ... Fra l'uomo e la donna, lo sposo e la sposa, i dritti sono eguali, le attitudini e le funzioni diverse. La donna non è la serva dell'uomo, e molto meno la schiava; ella è la sua compagna, il suo aiu- to, le ossa delle sue ossa, la carne della sua carne. A misura che il sentimento morale e i buoni costumi si svilup- pano in un popolo, la donna acquista maggior libertà e dignità; quella specie di libertà però che non è il sottrarsi dal dovere e dalla regola, ma il rendersi indipendenti da ogni dipendenza servile. ... Quando i vostri figli avranno da voi ricevuto il nutrimento del corpo, non crediate di aver adempito tutti i vostri doveri verso di loro. Voi do- vete farne degli uomini; e che cosa è l'uomo, se non un essere morale e intelligente? Fate dunque che da voi im- parino a distinguere il bene dal male, ad amare il primo e a sodisfarlo, e a fuggire e detestare il secondo. Ripren- deteli dei loro errori, ma senza collera nè violenza brutale, con una fermezza affettuosa e calma. Fate che in gra- zia delle vostre cure essi non vedano che guai nella via del vizio. Fino dai primi anni coltivate in essi e fate svi- luppare gli istinti elevati della nostra natura, sopra i quali si fonda l'esistenza sociale, il sentimento della giustizia e dell'ordine, della compassione e della carità. ... Non crediate però che i discorsi sieno tutto: i discorsi non sono nulla senza l'esempio. Qualunque sieno i vostri consigli e le vostre esortazioni, resteranno senza frutto, se le vo- stre opere non corrispondono ad essi. I vostri figli saranno come voi, corrotti o virtuosi, secondo che voi stessi sarete o virtuosi o corrotti." ] *§* 3 ( ) [Victor Cousin (Parigi, 28 novembre 1792 - Cannes, 14 gennaio 1867), filosofo e storico della filosofia fran- cese, un protagonista della vita culturale nella Francia della Restaurazione: considerato il fondatore della storio- grafia filosofica francese. Ora, se è vero che Cousin difende il celibato (Si veda La Voce della Verità. Gazzetta dell'Italia centrale, N. 703. Giovedì 1 Febbraio 1836, p. 382) non è affatto vero che nega alla donna la vita intel- lettiva. La sua concezione della donna, come quella del Lamennais, non è dissimile da quella del Morelli. Si ve- da Les Femmes illustres du dix-septième siècle, in Revue des Deux Mondes T.5, 1844. - Ecco cosa scrive Cou- sin: "L'homme et la femme ont la même ame, la même destinée morale; un même compte leur sera demandé de l'emploi de leurs facultés, et c'est à l'homme une barbarie et à la femme un opprobre de dégrader ou de laisser dégrader en elle les dons que Dieu lui a faites. Les femmes ne doivent-elles pas savoir leur religion, si elles veu- lent la suivre et la pratiquer comme des êtres intelligens et libres? Et dès que l'instruction religieuse leur est non pas permise, mais commandée, quel genre d'instruction, je vous prie, pourra paraître trop relevé pour elles? En- core une fois, ou la femme n'est pas faite pour être la compagne de l'homme, ou c'est une contradiction inique, et absurde de lui interdire les connaissances qui lui permettent d'entrer en commerce spirituel avec lui dont elle doit partager la destinée, comprendre au moins les travaux, sentir les luttes et le souffrances pour les soulager. Lais- sons-la donc cultiver son esprit et son ame par toute sorte de belles connaissances et de noble études, pourvu que soit inviolablement gardée la loi suprême de son sexe, la pudeur qui fait la grace." (traduzione mia) L'uomo e la donna hanno la stessa anima, lo stesso destino morale; uno stesso compito sarà loro richiesto, qual è quello di impiegare le loro facoltà; e sarebbe per l'uomo una barbarie e per la donna un obbrobrio se degra- dasse o lasciasse degradare in essa i doni che Dio le ha fatto. Le donne, non devono sapere la loro religione, se vogliono seguirla e praticarla come esseri intelligenti e liberi? E visto che la religione non è loro permessa, ma comandata, quale genere di istruzione, io vi prego, potrà sembrare troppo elevato per esse? Ancora una volta, o la donna non è fatta per essere la compagna dell'uomo, o è una contraddizione iniqua e assurda interdire a lei le conoscenze che le permettono di entrare in relazione spirituale con colui del quale ella deve condividere il destino, comprendere almeno i travagli, sentire le lotte le sofferenze per alleggerirli. Lasciamole dunque colti- vare il suo spirito e la sua anima con ogni sorta di belle conoscenze e di nobili studi, a condizione che sia invio- labilmente salvaguardata la legge suprema del suo sesso, il pudore che fa la grazia (la leggiadria).] *§* 4 ( ) [È forse la Beata Ildegonda, monaca premostratense, morta il 6 febbraio 1183? O Ildegonda, principessa francese, prigioniera di guerra in Arles, come si legge in Costantino In Arles Dramma per musica in tre atti Da rappresentarsi nel grande teatro La Fenice Il Carnovale dell'Anno 1830, Poesia nuova del Cav. Paolo Pola? https://archive.org/details/costantinoinarle662pola //

141 O Ildegonda, principessa di Borgogna, della tragedia romantica di F.L.Z. Werner "Attila, re degli Unni"? In L'A- lemagna opera della signora baronessa di Stael Holstein, Traduzione Italiana fatta sulla seconda edizione fran- cese, Volume Secondo, Milano 1814, pp. 188-195 (Capitolo XXIV. Lutero, Attila, i Figli della Valle, la Croce sul Baltico, il Ventiquattro Febbrajo, di Werner.) https://books.google.it/books?id=7ciwH09skDwC // O Ildegonda, di cui si legge nell' <> ? Vd. Considerazioni intorno alla Cavalleria Amorosa Eroica e Poetica, in 17 tract on classical, literary and artistic subjects, di Sebastiano Ciampi, pp. 7-13 - https://books.google.it/books?id=gPgIAAAAQAAJ // Di Indeconda o Ildegonda non vi è alcuna traccia nella Moderna Storia dei Regni di Spagna e di Portogallo Tra- dotta dal francese e adorna di figure, E divisa in due Tomi, Venezia 1787 - Digitalizzato Google.] *§* 5 ( ) [In verità, fu semplicemente chiamata dal marito, il re Lotario, "consors regni", cioè consorte del regno. Vd. Paolo Golinelli, Adelaide Regina Santa d'Europa, Jaca Book, Milano 2000. // "Il papa Silvestro II la chiamava lo spavento dei regni e la madre dei re", in Biografia Universale Antica e Moderna, Volume I., Venezia 1822, pp. 211-212. Digitalizzato Google] *§* 6 ( ) [In verità, Ranavalona I, regina del Madagascar (1828-1861), succeduta al marito Radama I, per l'efferatezza del suo regno fu soprannominata "Ranavalona la Crudele", "Moderna Messalina", "Bloody Mary". Fu la prima sovrana regnante dell'isola." Wikipedia. Vd. altresì Antonio Sicari, Il quinto libro dei Ritratti di Santi, Jaca Book, Milano 1996, pp. 154-156] *§* 7 ( ) [Il periodo, in corsivo, non è presente nell'edizione del 1860, né in quella del 1848. Ritengo che questo pe- riodo sia una sintetica elaborazione morelliana de La secchia rapita di Alessandro Tassoni. Qui si fa riferimento all'Edizione integra del 1912 (Firenze, Sansoni Editore), con il commento di Pietro Papini. - CANTO PRIMO (in 63 ottave) 15. Così andava a l'impresa il cavaliero / Dal fior de la milizia accompagnato, / E spettacolo in un leggiadro e fiero / Si vedeva apparir da un altro lato. / Cento donzelle in abito guerriero, / Col fianco e 'l petto di corazza ar- mato / E l'aste in mano e le celate in testa, / Comparvero in succinta e pura vesta. (Celata: un elmo senza cimiero, né cresta, che copriva e celava gran parte del volto. Si usò spesso però, come qui, per elmo in generale. / Succinto: detto della veste, stretta alla vita da una cintura, e tirata alquanto al di so- pra di essa in modo che rimanga sollevata all'estremità) 16.Venìan guidate da Renoppia bella, / Cacciatrice ed arciera a l'armi avezza. / Renoppia di Gherardo era sorella, / Pari a lui di valor, di gentilezza: / Ma non aveva l'Italia altra donzella / Pari di grazia a lei né di bellezza: / E parea co' virili atti e sembianti / Rapire i cori e spaventar gli amanti. 18. Or giunta in piazza ella dicea: - Signori / Noi siam deboli sì, ma non di sorte / Che non possiamo almen per difensori / Guardare i passi e custodir le porte. / Queste compagne mie ben avran cori / Da gire anch'esse ad in- contrar la morte: / Né già disdice a vergine ben nata, / Per difender la patria, uscir armata. (Se non potremo uscire in campo aperto potremo essere difensori dei passi e delle scorte - È concetto già espresso dal Tasso; ger. 17.43 <>). 19. Quel dì che Barbarossa arse Milano, / Mio nonno guadagnò quest'armi in guerra; / Gherardo mio fratel le chiudea in vano, / Ché le porte gittate abbiam per terra: / E s'al cor non vien meno oggi la mano, / Se 'l nemico s'appressa a questa terra, / Speriam che col suo sangue e la sua morte / Ei proverà se sian di tempra forte.- 20. Accese i cor di generoso sdegno / Il magnanimo ardir de la donzella / Onde con l'armi fuor senza ritegno / Correa la gioventù feroce e bella. / Con maestoso modo e di sé degno / Il Potta la raffrena e la rappella: / - Dove andare, canaglia berettina, / Senza ordinanza e senza disciplina? (feroce = fiera / berrettino = tristo, malvagio) - CANTO III. (in 79 ottave) 50. E quel ch'era mirabile a vedere, / Cinquanta donne lor con gli archi in mano / Avezze al bosco a saettar le fie- re, / E a colpir da vicino e da lontano, / Succinte in gonna e faretrate arciere, / Calavano con lor dal monte al pia- no; / E la chioma bizzarra e ad arte incolta / Ondeggiando su 'l tergo ivi disciolta. - CANTO SESTO (in 75 ottave) 20. Seguitatemi voi, che l'empia setta / Qui tutte accolte ha le sue forze estreme, / Perché possa una sol giusta vendetta / L'ira sfogar di tante ingiurie insieme. / Se vaghezza di fama il cor v'alletta, / Se l'onor de la patria oggi vi preme, / Se v'è caro mio padre o molto o poco, / Quest'è il tempo ch'io 'l vegga e questo è il loco.- - CANTO VII (in 74 ottave) 56. Quando armata apparir fu vista in tanto / Renoppia al suon de la novella fiera, / E correre a la porta, e seco a canto / Condurre il fior de la virginea schiera, / Diede a gli uomini ardir, riprese il pianto / Del sesso femminil con faccia altera; / E rimirando giù per la via dritta, / Non vide alcun fuggir da la sconfitta. (il fiore di tutte le donzelle; della moltitudine delle donzelle.) 61. Giugne Renoppia, e dove rotta vede / Da la ripa fuggir l'amica gente, / Volge con l'arco teso in fretta il piede;

142 / E di lampi d'onor nel viso ardente, / - O infamia, grida, ch'ogni infamia eccede! / Tornate, e dite a la città dolen- te / Che moriron le figlie e le sorelle, / Dove fuggiste voi, popolo imbelle. (O infamia ecc. ricorda il verso dell'Ariosto, Fur. XI, 41, 6: <>) 62. Noi morirem qui sole e gloriose, / Gite voi a salvar l'indegna vita: / Non resteran vostre ignominie ascose; / Né la fama con noi fia seppellita.- / Donne di Pompeiana, schiera fiorita / Ch'in Modana arrestò tema d'oltraggio, / E cento de le sue di più coraggio; (Che in Modana ecc, che non vennero prima con le altre schiere modenesi per tema di ricevere oltraggio; e ri- masero a Modena. / E cento de le sue, la schiera modenese di Renoppia si componeva appunto di cento donzel- le. Di più coraggio, che avevano maggior coraggio di quelle di Pompeiano, perché da lei scelte e addestrate. Ma si potrebbe anche intendere il delle sue come vero partitivo, cioè: cento delle sue concittadine, le più coraggiose fra le donne modenesi) 63. E fra queste Cellinda e Semidea, / Di Manfredi sorelle e sue dilette: / E l'una e l'altra asta e l'arco avea / E la faretra al fianco e le saette. / Renoppia, che dal ponte i suoi vedea / Tutti fuggir, la cocca a l'occhio mette, / E drizza il ferro a la scoperta faccia / Di Perinto, ch'a'suoi dava la caccia. (L'asta e l'arco; mentre l'arco serviva per scagliar saette, l'asta serviva per essere lanciata a mano o per colpire a corpo a corpo. Asta è nome generico; e si distingueva in molte specie, come la zagaglia, la partigiana, la lan- cia ecc.) - Canto DUODICESIMO (in 80 ottave) 77. Il Mirandola allora alzato in piede, / Gli rispose: - Signor, la patria mia / né per incontro a la fortuna cede, / Né per felicità se stessa oblìa. / L'arbitrio che da prima ella vi diede / L'istesso or vi conferma; e sol desìa / Che siate voi magnanimo in usarlo, / Com'ella è pronta e generosa in darlo. (Signor, la patria mia né cede per avver- sità della fortuna, né dimentica i suoi doveri verso chi l'ha beneficata e le vuole bene)] *§* 8 ( ) [Franz Joseph Gall (Tiefenbrun Baden, 9 marzo 1758 - Montrouge, 22 agosto 1828), medico tedesco, ideato- re della frenologia // Johann Kaspar Lavater (Zurigo, 11 novembre 1741 - Zurigo, 2 gennaio 1801), scrittore, fi- losofo, teologo svizzero, Fragments physiognomiques (Frammenti fisiognomici), L'art d'éetudier la phisionomie (L'arte di studiare la fisionomia) // Giovanni Battista Della Porta (Vico Equense, 1° novembre 1535 - Napoli, 4 febbraio 1615), filosofo, alchimista, commediografo italiano. De humana phisiognomica, 4 libri sulla Fisiogno- mica, che influenzerà poi l'opra dello svizzero J. K. Lavater (1741-1801)] *§* 9 ( ) [DIZIONARIO D'OGNI MITOLOGIA E ANTICHITÀ, incominciato da GIROLAMO POZZOLI, sulle tracce del Dizionario della Favola di FR. NOEL, continuato ed ampliato dal Prof. FELICE ROMANI e dal D. ANTONIO PERACCHI, VOLUME IV, MILANO MDCCCXXIII. Digitalizzato Google. "PIGMEI, popolo fa- voloso che dicesi essere esistito in Tracia. Erano uomini nani, che, secondo Giovenale, non erano più alti di un piede: = Quorum tota cohors pede non est altior uno. Tutti gli antichi, tranne Strabone, sono concordi sulla loro esistenza. Plinio dice che le loro case e le loro città erano edificate con gusci d'ova. Aristotile e Filostrato preten- dono ch'essi abitassero in buchi fatti da loro sotto terra, daddove uscivano a tempo delle messe per tagliare i loro grani con accette, come se si fosse trattato di abbattere una foresta." (p. 686)] *§* 10 ( ) [Il sopra riportato virgolettato, a mio avviso, potrebbe essere stato tratto da: Commento sulla Scienza della Legislazione di G. Filangeri scritto dal Signor Beniamino Constant, Prima traduzione italiana, Seconda Edizione, Italia 1828. (p. 143). Si veda anche il brano di seguito riportato, che ne costituisce la premessa: "Capitolo V. Del sistema del signor Malthus sulla popolazione: "... Questo scrittore non ha preteso, che si dovessero impiegare contro l'accrescimento eccessivo delle na- scite dei regolamenti coercitivi e barbari. Egli non si è eretto in apologista dell'infanticidio; egli non ha indicato il vizio e la corruzione come rimedi praticabili contro la moltiplicazione della nostra specie. Ma egli ha pensato che si poteva imporre alla classe povera con delle misure indirette, una privazione di più, oltre quelle alle quali le sue derelitte circostanze la condannano, e che sono già abbastanza numerose. Egli ha attribuito ad un principio, a cui ha dato il nome di restrizione morale, un'influenza più estesa di quella, che questo principio a parer mio non può avere. Ha creduto altresì, che si potesse aumentare l'azione di questo prin- cipio colla soppressione dei soccorsi pubblici: e molte delle sue idee su questi diversi oggetti mi sembrano man- canti se non di una esattezza logica, quale un uomo di spirito distinto perviene facilmente a stabilire scrivendo, almeno di una possibilità pratica sufficientemente incontrastabile, e soprattutto, lo confesso mio malgrado, mi sembrano allontanarsi alquanto, certamente contro l'intenzione dell'autore, dai sentimenti di simpatia e di com- passione, porzione essenziale di una virtù, che però egli professa, voglio dire l'umanità. V'ha al certo alquanta durezza e severità nei ragionamenti accumulati dal signor Malthus per provare, che i poveri non hanno alcun dritto ai soccorsi della società. In generale io non sono più partigiano di lui dei soccorsi pubblici, che sono comunemente male amministrati, mal ripartiti, e che tolgono all'uomo, illudendolo con una falsa speranza, il sentimento il più salutare, quello cioè che gl'insegna che ciascuno deve far capitale soltanto del- la propria industria ed aspettare la sua sussistenza unicamente dai suoi proprj sforzi. Ma far promulgare dall'alto

143 della cattedra evangelica, che d'ora innanzi l'assistenza delle parrocchie sarà ricusata ai figli, i di cui genitori non potrebbero alimentarli, è una troppo libera dichiarazione d'uno stato d'ostilità permanente tra coloro che hanno tutto, e coloro che nulla posseggono. La cosa è possibile, ma a me non sembra nè buona nè prudente a promul- garsi; ed allorchè, parlando dell'infelice che avrà ceduto all'attrattiva la più imperiosa, all'inclinazione la più irre- sistibile, l'autore Inglese esclama: <>. (pp. 141-143) *§* 11 ( ) [glorioso: che dà gloria, che costituisce titolo di gloria. "Se tu segui tua stella, / non puoi fallire a glorioso porto, / se ben m'accorsi ne la vita bella". Dante Alighieri, La Divina Commedia, commentata da Eugenio Came- rini, illustrata da Gustavo Doré, European Book, Milano 1999. INFERNO, CANTO XV, vv. 55-57. Il che vuol dire: " Se tu segui tua stella: <> (Buti). <> (Nannucci)". (p. 111)] *§* 12 ( ) [Ecco le sue parole: "Apri a la verità che viene il petto; / e sappi che, sì tosto come al feto / l'articular del ce- rebro è perfetto / lo motor primo a lui si volge lieto / sovra tant'arte di natura, e spira / spirito novo, di verità re- pleto, / che ciò che trova attivo quivi, tira, / in sua sustanzia, e fassi un'alma sola, / che vive e sente e sé in sé rigi- ra." PURGATORIO, Canto XXV, vv. 67-75. "Apri il tuo animo (petto) alla verità che sta per giungere (che viene); e sappi che, non appena (sì tosto) nel feto è perfettamente compiuta (è perfetto) l'articolazione (l'articu- lar) del cervello (cerebro), Dio (motor primo) si rivolge al feto (a lui) compiaciuto (lieto) di questa così mira- bile opera (sovra tant'arte) di natura, e vi infonde (spira) uno spirito nuovo (l'anima razionale), pieno (repleto) di virtù, tale da (che) assimilare alla sua stessa sostanza (tira in sua sustanzia) ciò che nel feto (quivi) trova in atto (l'anima vegetativa e quella sensitiva), e ne fa (fassi) una sola anima (un'alma sola), che vive, prova sensa- zioni (sente) e ha coscienza di sé (sé in sé rigira)." www.edu.lascuola.it/edizioni-digitali/DivinaCommedia/data/files/m2_2/purg_25.pdf] *§* 13 ( ) [Paradiso, Canto IV, vv. 41-42: Nota. "41 da sensato, per obbietto sensato, cioè sensibile - apprende, pren- de, piglia. Apprende le cose intelligibili dalle cose prima conosciute per via di senso e di cognizione sensibile, conforme i dogmi Peripatetici: Nihil est in intellectu, quin prius fuerit in sensu, ... 42 Ciò che fa ec.: ciò che fa essere materia dell'intelletto." (p. 91). LA DIVINA COMMEDIA DI DANTE ALIGHIERI col commento del P. Baldassarre Lombardi - Volume III. In Padova Dalla Tipografia della Minerva, M.DCCC.XXII. Digitalizzato Google. // La Divina Commedia, commentata da Eugenio Camerini, illustrata da Gustavo Dorè, European Book - Milano. "sensato: <>. <> (Ces.) (p. 489)]. *§* 14 ( ) [Platone nel processo della conoscenza distingue 2 momenti, ciascuno dei quali comprende 2 gradi. Il mo- mento percettivo: il grado sensitivo e il grado opinativo. Il momento intellettivo: il grado matematico e il grado noetico. Per raggiungere il possesso della verità occorre superare il momento percettivo e attuare quello intellet- tivo, fino al grado noetico o intuitivo, in cui l'anima rivela a sé stessa la propria coscienza delle Idee (essenze reali dell'iperuranio), tra le quali riconosce infine sé stessa. E così ricorda la scienza che possedeva nell'Iperura- nio, e ne rivive la esatta visione. (pp. 98-99) Antonio Livi, Storia sociale della filosofia. La filosofia antica e me- dioevale, Società Editrice Dante Alighieri, Roma 2004 // Vd. anche Rosmini, Logica, Libri tre, Torino 1853, cir- colo solido: "dicesi di quel movimento e passaggio che fa la mente mediante la notizia virtuale del tutto alla co- gnizione del particolare, ed il ritorno da questa alla notizia più attuale possibile del tutto medesimo", p. 537] *§* 15 ( ) (Tommaseo-Bellini, alla voce emanare: "Epicuro e Democrito facevano dagli oggetti sensibili emanare le imagini che a noi portano le impressioni." // Cfr. Epicuro, Lettera a Erodoto, §. 4. Simulacri e percezioni, nn. 46- 53, in www.scienzaatscuola.it/alone/testi/lettera epicuro.pdf; Tito Lucrezio Caro, Della natura delle cose, Libro Quarto, vv. 26-53 // Democrito di Abdera, Gnoseologia, in Dizionario di filosofia (2009) www.treccani.it/enciclopedia/democritodi-abdera_(Dizionario_di_filosofia)/ // Le vite dei filosofi di Diogene Laerzio Volgarizzate dal Conte Luigi Lechi, Volume Secondo ed ultimo (da p. 483/950 a p. 950/950), Libro IX, Capo VII. DEMOCRITO, p. 280 e segg.] *§* 16 ( ) [OPERE DI GIAMBATTISTA VICO Precedute da un discorso di Giulio Michelet sul sistema dell'autore. Volume Secondo. Napoli 1834. Libro Primo della Metafisica degli antichissimi filosofi italiani. Capo Primo. Del vero e del fatto. § 1. Dell'origine e della verità delle scienze. "... E poichè la scienza umana ebbe origine dall'a-

144 strazione, saranno quindi tanto meno certe le scienze quanto più saranno immerse nella materia; per conseguenza ..." (p. 19) - Digitalizzato Google]. *§* 17 ( ) [Pellegrino ROSSI (Carrara, 13 luglio 1787 - Roma, 15 novembre 1848). Nel 1833 si trasferì a Parigi dove ottenne, al Collegio di Francia, la cattedra di economia politica, a cui preferì, l'anno seguente, quella di diritto costituzionale alla Sorbona, appositamente istituita per lui. // IL PROGRESSO delle scienze, lettere ed arti. Ope- ra periodica Compilata per cura di L. B. Anno IX. - Volume XXV. Napoli 1840. RIVISTA SCIENTIFICO- LETTERARIA - I. - Cour d'Economie politique du Professeur Rossi au College de France pour les années 1836-37. Paris, 1839; 2. vl. in 8.° - LUIGI BLANCH "Vico disse: <> Da una sì chiara definizione della scienza in genere ne risulta ch'essa è fondata sul ragionamento; ma sic- come l'istesso autore conviene che i sensi sono le occasioni per le quali il pensiero si risveglia nell'uomo, così ne deriva che l'esperienza come metodo è necessaria per fondare una scienza; ma devesi osservare che può conce- pirsi che con pochi fatti manifestati può l'umana ragione dedurne una serie di verità tra esse strettamente connes- se, da determinare tutte le verità derivate che ne sono conseguenze legittime. Noi cercammo altrove dimostrare che si poteva p. e. concepire come da' tre elementi degli uomini, delle armi e degli ordini, poteva la mente umana determinare le regole che alla scienza della guerra presiedono in tutte le sue svariate combinazioni; che la cogni- zione dell'uomo considerato come essere intelligente ed attivo poteva bastare per dedurre e lo svolgimento delle filosofiche dottrine, e quello della legislazione che doveva regolare le società, ed ora egualmente diciamo che co' soli elementi dell'uomo e le sue facoltà e bisogni, e della natura con i suoi attributi, si può per mezzo del ragio- namento dedurre le regole necessarie per soddisfare questi bisogni in una serie progressiva e ascendente, e così determinare le leggi che presiedono alla produzione, alla consumazione, ed alla distribuzione delle ricchezze, cioè la pubblica economia elevata a scienza; percui crediamo che senza esser nuovo viene giustamente applicato dal Rossi all'economia il principio che la scienza sorge dal ragionamento, e che può svolgersi con la scorta di pochi fatti desunti dall'esperienza. L'opposizione che il nostro Autore indica fra la sua opinione e quella dagli al- tri Economisti emessa sembraci che sia in ciò, che questi ultimi sostengono che la scienza dell'economia non so- lo deve attingere dall'esperienza gli elementi primitivi, ma tutte le modificazione che si disvolgono nella loro manifestazione, nello spazio e nel tempo; ma a noi sembra che se così fosse, la scienza sarebbe aggiornata inde- finitivamente, giacchè in senso opposto lascerebbe incerte ed impossibili le conclusioni dell'esperienza, dalle quali deriva quella sintesi necessaria ad elevare un ordine d'idee alla dignità di scienza; percui il sapiente profes- sore, tenendo conto di questi accidenti, ha diviso la scienza pura dall'applicata, in cui fa d'uopo studiare tutt'i fatti per modificare, e qualche volta astenersi di applicare i principi della scienza pura, perchè quando ciò si fa senza discernimento, i risultamenti che ne sorgono contrariano e non agevolano lo scopo finale della scienza; e per convalidare la nostra opinione riportiamo ciò che l'Autore dice a questo proposito per determinare il carattere della scienza pura. <> E questo luogo è in perfetta armonia col passo del Vico, il quale considera la scienza derivare dall'astra- zione, come del pari quando soggiunge le scienze esser men certe quando più sono immerse nella materia, con- viene della differenza tra la scienza pura e l'applicata che il n. A. distingue. Ora siccome la pubblica economia nella sua pratica applicazione è tra le scienze una delle più immerse nella materia, vale a dire che deve operare su elementi materiali, così ne risulta la necessità di non considerarla come scienza esatta, dappoichè ha a fare al tempo stesso con ciò che presenta più varietà nelle sue peculiari manifestazione, cioè i fenomeni naturali e l'u- mana volontà, elementi primitivi di essa". (pp. 121-122) - Digitalizzato Google]. *§* 18 ( ) [LA DONNA. Ad Adelina Cagnoli Reggiana nell'anno sesto di sua vita. (Reggio, 1838), p. 271; in Poesie estemporanee e meditate dell'Avvocato GIUSEPPE REGALDI da NOVARA, Novara M.DCCC.XL. Digitaliz- zato Google. // O anche: LA DONNA - per Adelina Cagnoli Reggiana nell'anno sesto di sua vita VERSI DI G. REGALDI. (In 18 ottave. 7a ottava, gli ultimi 4 versi) in GLISSONS N'APPUYONS PAS. Giornale di Scienze, Lettere, Arti, Cronache, Teatri, Varietà e Mode coll'aggiunta d'una Rivista ogni mese delle Opere periodiche ecc. ANNO QUINTO. Mercoledì 3 Gennaio 1838. N.° 1 - p. 223 - Digitalizzato Google]. *§* 19 ( ) [Dante Alighieri, La Divina Commedia commentata da Ettore Zolesi. Vol. 2: Purgatorio, Armando, Roma 2003 (rist.). PURGATORIO, CANTO XIII, vv. 61-66 - Digitalizzato Google. "Così li ciechi a cui la roba falla, / stanno a' perdoni a chieder lor bisogna, / e l'uno il capo sovra l'altro avvalla, perché in altrui pietà tosto si pogna, / non pur per lo sonar de le parole, / ma per la vista che non meno agogna. "In questo stesso atteggiamento (quei) ciechi, ai quali manca ogni sostentamento di vita (la roba falla) stanno a chiedere l'elemosina (lor bisogna) (alle porte delle chiese) nei giorni di solennità (a' perdoni), e l'uno abbandona

145 il capo sull'(omero) dell'altro, cosicché nasca (si pogna, si ponga, si susciti) tosto la pietà nel prossimo (altrui), non solo per il mezzo delle parole (lamentevoli), ma per l'aspetto che non desidera (agogna) di meno pietà (delle parole). ... a perdoni: termine generico usato al tempo di Dante per alludere alle cerimonie religiose, quasi sem- pre accompagnate da indulgenze; o ai particolari luoghi di pellegrinaggio, verso i quali c'era afflusso di fedeli, al fine di lucrare le indulgenze connesse con quelle visite. In queste occasioni gli ingressi delle chiese erano affolla- ti dai mendicanti in cerca di elemosina e, tra di essi, i ciechi destavano maggiore pietà, proprio per il loro tipico atteggiamento di 'guardare' il prossimo che non vedono." (p. 221)] *§* 20 ( ) [Dante Alighieri, La Divina Commedia commentata da Ettore Zolesi. Vol. 2: Purgatorio, Armando, Roma 2003 (rist.). PURGATORIO,CANTO XIV, v. 85 (p. 240) - Digitalizzato Google. Di mia semente cotal paglia mieto; / o gente umana, perché poni 'l core / là 'v'è mestier di consorte divieto? (vv. 85-87) In nota: "In questa terzina è condensata la definizione dell'invidia che, secondo gli antichi, provoca il colore livi- do del volto (cfr. Purg. XIII, 9 e 48); <> (Buti). Distacco morale ed esecrazione del peccato inducono Guido del Duca a giudicare fin troppo severamente la propria colpa, e a usare degli accenti fortissimi per definirla più esattamente. Dal seme della mia colpa raccolgo questa paglia: / o gente umana, perché poni il cuore in quei beni (là) / dove di necessità è impossibile un compagno? Il seme dell'invidia non produce frutto per chi lo ha piantato nel proprio cuore; essa è infatti un sentimento sterile, e il più delle volte si riflette in danno per chi ne è portatore. Da ciò il rimprovero e l'incitamento: perché allora porre tutto l'interesse sui beni della terra, che non si può pensare di condividere con altri, giacché diminuirebbero? Quelli dello spirito invece (cf. Purg., XV, 49 segg.) crescono con l'aumentare dei possessori. - di mia semente : <> (Proverbi XXII, 9); <> (San Paolo, Ai Galati, VI. 8)" // La Divina Commedia di Dante Alighieri. Tomo I. Parma Nel Regal Palazzo, MDCCXCVI Co' Tipi Bodoniani - Digitalizzato Google. "Di mia semenza cotal paglia mie- to." (p. 84)] *§* 21 ( ) [Vd. Tommaseo-Bellini alla voce intimo: "Senso intimo, e della ragione e della coscienza, e anco di quel che ci avverte delle impressioni esteriori." (p. 637); alla voce senso: "Abbiamo veduto in principio Senso interio- re; ma senso intimo ha significazione più gen., e, perciò appunto, più intima; e lo comprova la forma superlat., ch'è più della comparat. Il senso intimo comprende più che il sentimento o l'opinione, più che l'intensione data alle parole o agli atti; è la sede della coscienza; sede più sincera e sacra; alla quale, ne' dubbi o nelle tentazioni, non sempre osano ricorrere con umiltà coraggiosa neanco gli uomini di coscienza. Ivi gli arcani del mondo mo- rale, e quindi dell'intellettuale, si celano e si rivelano." (p. 541) // Vd. anche Logica di Don Pietro Bottura, Vene- zia 1833, p. 147, "Il senso intimo è quello che ci avverte di quanto succede nell'anima propria. Quello poi che accade nell'anima si riduce ad avvertirla e renderla consapevole della sua esistenza, delle sue operazioni, della sua personalità: onde è perciò che il senso intimo è senso intimo dell'esistenza dell'anima propria, senso intimo dell'esistenza delle operazioni dell'anima, e senso intimo della personalità propria." Digitalizzato Google]. *§* 22 ( ) [Epicureismo (Treccani on line): "In generale, la dottrina e l'atteggiamento dei seguaci del filosofo greco Epicuro (341-270 a.C.), il quale, nell'ambito di una concezione del mondo naturale improntata alla fisica atomi- stica democritea, poneva il fine dell'uomo nel conseguimento del piacere, inteso non come godimento sensuale, ma come equilibrio interiore, che il saggio raggiunge vivendo appartato, contentandosi di appagare i desideri na- turali e necessari, e soprattutto liberandosi del superstizioso e vano timore della morte e degli dei."] *§* 23 ( ) (Quando è che si vincerà un costume così barbaro? Vedo scorrere per mezza Europa un fiume di sangue, chi muore e chi si avvilisce; ma non vedo dal sangue germogliare la virtù.) [La notte, in Inni di Giuseppe Borghi, Firenze 1831. p. 117. - Digitalizzato Google. // "Giuseppe Borghi - Lette- rato (Bibbiena 1790 - Roma 1847); amico del Vieusseux e collaboratore dell'Antologia, autore di commenti a Dante e Petrarca, compose (1829-1831) ventuno Inni sacri nei quali - come nella traduzione da Pindaro (1824) - si rivela abile e talora armonioso artefice, ma lontano da vera commozione poetica." (Enciclopedia on line)] *§* 24 ( ) [Ovidio, Metamorfosi, VII, 20-21 // Petrarca, Canzoniere CCLXIV: E veggio 'l meglio et al peggior m'appi- glio // Foscolo, Sonetti II, Di se stesso: Conosco il meglio ed al peggior mi appiglio // San Paolo, Lettera ai Ro- mani, VII, 18-19: "Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio". Wikipedia // E comunque Niccolò Machiavelli riteneva "gli uomini più proni al male che al bene", Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, Libro Primo, Capitolo 9. www.liberliber.it. E altresì che "gli uomini sono più pronti al male che al bene", Opera Omnia, Istorie Fiorentine, Libro Settimo, Cap. XXX.]

146 *§* 25 ( ) [Il sapiente de' nostri tempi, la grand'anima d'un filosofo italiano, è difficile sapere chi sia. Potrebbe essere Antonio Rosmini, "il Kant italiano". Si veda specificatamente la sua Filosofia della Politica - Digitalizzato Goo- gle: OPERE EDITE ED INEDITE DELL'ABATE ANTONIO ROSMINI-SERBATI ROVERETANO. VOLU- ME XX, Milano 1858. Se è Rosmini, allora il principio morboso che inibisce all'uomo il legittimo uso della ra- gione, è la superbia umana. "In tutti gli errori riguardanti la felicità, l'uom commette sempre un giudizio temera- rio, col quale afferma precipitosamente, senza sperienza nè ragione, e solo perchè vuole così, che quel bene che gli s'affaccia e che il solletica, dee essere l'oggetto appunto della cercata felicità. La radice profonda di questo temerario giudizio non è solo il bisogno di non essere infelice, ma più la speranza superba di poter da sè mede- simo elegger l'oggetto che il debba felicitare; non vuole solo la felicità, la vuole proprio in quell'oggetto ch'egli arbitrariamente presceglie, quasi foss'egli il creatore di ciò che dee farlo felice. Questa presunzione stoltissima dell'uman core è il seme nascosto de' mali suoi, quello che più difficilmente si scuopre o si trae all'aperto." (pp. 423-425) // Potrebbe anche essere Gardini Antonmaria, il quale vede nel pervertimento della volontà l'offuscamento della ragione: Verità di teologia naturale dedotte da' soli principj di ragione Opera classica scelta a far parte de' libri morali che si pubblicano per cura della pia associazione. Vol. 1. Venezia 1827: "III. Infatti l'uomo, per poco che consideri se medesimo, incontrerà sempre una continua lotta tra ciò che gli sembra esigere la ragione, o il natural lume, e quello, a cui viene inclinato dal disordinato amore verso di se medesimo. Chiede la ragione ed il buon senso, a cagione d'esempio, ch'egli renda a' suoi simili quegli uffizj, i quali amerebbe, che verso se medesimo fossero praticati, ed allo stesso tempo si sente eccitato, e tratto verso la sola utilità propria, niente curando l'altrui buon essere, per una certa vile inclinazione agli agi, e comodi della vita: anzi bene spesso anche col sagrifizio degli altrui diritti si sente portato ad erigersi, a grandeggiare ingiustamente sopra i suoi simili. La vanità, l'orgo- glio quante volte non sono in opposizione con l'ingenuo sentimento della propria miseria ed insufficienza? L'A- more della verità connaturale all'uomo non è egli contraddetto dalla menzogna, e da un ozio abbominevole, per cui si rifiuta di fare le necessarie e diligenti ricerche? Sentiamo il desiderio della felicità, ed ignoriamo la via di giugnervi, anzi facciamo uso di mezzi del tutto opposti. Amiamo la quiete, e siamo combattuti dall'inquietudine. La ragione ci fa intendere in qualche modo il pregio dell'ordine, e le passioni coi loro movimenti ci eccitano al disordine. Il senso del piacere s'erige a farsi centro dell'umane direzioni, benchè lo vieti la ragione. Si rifletta in- fine su tutti i movimenti del cuore umano, e si rileverà essere in continua pugna il senso e la ragione, e perciò di vero impedimento al retto uso della ragione nella ricerca del vero. IV. Si riconoscono poi maggiori gl'im- pedimenti, qualor si rivolga il pensiero a quelle dense tenebre d'ignoranza, nelle quali si ritrova avvolta l'u- mana ragione." (pp. 4-5 ) // O Pasquale Galluppi, per il quale l'uomo non segue il giudizio pratico della ragione, quando è sedotto dal pia- cere. "E sovente si verifica nella condotta degli Uomini il video bona, proboque, deteriora sequor, ed io su di questo punto penso con Locke, che l'Uomo non segue il giudizio della ragione circa il maggior bene, ma opera a seconda de' suoi desiderj" (p. 310) // O Baldassare Poli, Saggio d'un corso di Filosofia, Vol. 2: "§ 45. Opposti ai fini e ai fondamenti della ragione. La ragione tende per sua essena e per i suoi fini a sapere e a credere. La ragione appunto perchè tende a sapere e a credere si fonda sulla verità e sulla certezza. Dunque tutto ciò che contraddice al sapere e al credere; tutto ciò che impedisce di conoscere e di arrivare alla certezza, costituisce gli opposti della ragione, dai quali essa na- turalmente rifugge e declina per giungere a' suoi fini, e per sostenersi sopra gli essenziali suoi fondamenti. Questi opposti alla ragione sono 1° L'ignoranza; 2° Il dubbio; 3° L'errore.", p. 172. Digitalizzato Google. // In verità, a mio avviso, il filosofo di cui si tratta non può che essere San Tommaso d'Aquino, in virtù delle se- guenti considerazioni: Morelli usa sovente l'inversione delle funzioni grammaticali, per cui il principio morboso non è altro che il peccato originale: principio (sost.) > originale (agg.) / morboso (agg.) > peccato (sost.). E S. Tommaso, nella Summa theologica, afferma che l'offuscamento della ragione umana è causato proprio dal pec- cato originale. Scrive S. Tommaseo che "il peccato di Adamo è causa di morte e di tutte le altre miserie della na- tura umana: poiché tale peccato ha distrutto la giustizia originale, da cui dipendeva non solo la subordinazione all'anima di tutte le potenze inferiori, ma la stessa disposizione del corpo alle dipendenze dell'anima, senza difet- to alcuno, come si è spiegato nella Prima Parte [q. 97, a. 1.]" Questione 85. Art. 5. // Questione 85, art. 3: "Me- diane la giustizia originale la ragione dominava perfettamente le potenze inferiori dell'anima, ed essa stessa era sublimata dalla sua sottomissione a Dio. Ma la giustizia originale fu distrutta, come abbiamo detto, dal peccato di Adamo. E quindi tutte le facoltà dell'anima rimangono come destituite del proprio ordine, dal quale erano in- dirizzate naturalmente alla virtù: e codesta destituzione si dice che è un ferimento della natura. Ora, quattro sono le potenze dell'anima che possono essere sede di virtù, come sopra abbiamo visto: la ragione, in cui risiede la prudenza; la volontà, in cui si trova la giustizia; l'irascibile, sede della fortezza; il concupiscibile, sede della tem- peranza. Perciò dal momento che la ragione è destituita del suo ordine alla verità, si ha la ferita dell'ignoranza; con la perdita dell'ordine che la volontà sperimenta per il bene, si ha la ferita della malizia; privando l'irascibile del suo ordine alle cose ardue, si ha la ferita della fragilità; e togliendo alla concupiscenza il suo ordine al bene dilettevole regolato dalla ragione, si ha la ferita della concupiscenza. Quindi sono quattro le ferite inflitte alla na- tura umana dal peccato di Adamo. Siccome però l'inclinazione al bene viene menomata in ciascuno anche dal

147 peccato attuale, come sopra abbiamo dimostrato, queste quattro piaghe accompagnano pure gli altri peccati; col peccato, cioè, la ragione si offusca, specialmente in campo pratico; la volontà diviene restia al bene; cresce l'in- terna difficoltà a ben operare; e la concupiscenza si accende." SUMMA THEOLOGICA di San Tommaso d'A- quino. www.mysticreader.eu/Somma Teologica/Somma_Teologica1/Parte I-II/Indice Parte I-II.html] *§* 26 ( ) [La Divina Commedia di Dante Alighieri, col commento di G. Biagioli, Tomo Terzo, Parigi, 1819 - PARA- DISO, CANTO XXVI, vv. 130-133: "130-132. Nota. - Ch'uom favella; intende del favellare composto di suoni artifiziali e arbitrarj. Ma così o così; ma ch'egli favelli così o così, cioè in questa o in quella forma; e ciò per ri- guardo alle disformità dei suoni, ec. Secondo che v'abbella; secondo che vi par bello, e però vi piace; vi diletta; essendo il piacere immediato effetto di ciò che par bello. Abelir, nel provenz. onde scende il nostro, vale quanto il franc. plaire, être agréable." - Digitalizzato Google. // La Divina Commedia di Dante Alighieri, con note tratte dai migliori commenti per cura di Eugenio Camerini, Milano, 1886. "Opera naturale, ecc., che l'uomo favelli questa è opera et officio di natura, cioè che s'ha dalla na- tura; ma a questo modo o a questo altro la natura lascia in libertà e arbitrio. V'abbella, vi piace."] *§* 27 ( ) [Probabilmente è la lingua retica, cioè della Rezia o dei Reti, antica popolazione stanziata in età romana nelle Alpi Centrali. Cfr. Wolfgang Schweickard, Deonomasticon Italicum, Volume IV. Derivati da nomi geogra- fici: R-Z., De Gruyter 2013: “148 lingua retica f. <> - idioma retico m. ‘id.’ (1864, Zuccagni Orlandini Raccolta 93. <>) con intento polemico, volendo asserire che la vita non sarebbe breve se non se ne disperdesse gran parte in inutili occupazioni. La frase si ripete talvolta (anche nella forma ars longa, vita brevis) per lamentare la brevità della vita rispetto ai compiti che si vorrebbero svolgere, o come esortazione a non perdere tempo". Treccani, on line] *§* 30 ( ) ["La distinzione tra cronaca e storia è una distinzione che bisogna comunque operare, perché la cronaca si limita a elencare i fatti in un ordine cronologico, mentre il fulcro della storia sta nell'interpretazione, vale a dire nella capacità di una corretta esposizione dei fatti - una cronologia - a dei criteri interpretativi che includano una determinata periodizzazione." Giuseppe Pavone, I periodi della storia. Il Grillo (5/2/1999). // "C'è una differenza grande da tracciare tra storia e cronaca, tra storia ed annalistica, tra storia come interpreta- zione dei dati e storia come semplice registrazione dei dati stessi2." - Nota 2: "Una differenza antica, che forse nella sua formulazione più matura risale ad Aristotele; ma che certamente troviamo emblematicamente posta nel celebre frammento di Sempronio Asellione (frg. 1-2 Peter.). Lo aveva formulato già prima Catone; non gli inte- ressava scrivere ciò che si trova nella tabula del Pontefice Massimo (vale a dire i singoli dati, carestie, fenomeni astrali, ecc.) (Cato, orig. frg. 77 Peter.)" (p. 177), in Fabrizio Fabbrini, Paolo Orosio Uno storico, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1979. Capitolo Secondo. IL METODO. III. <<... Nisi res doceret ...>>: Il senso pro- fondo dei fatti. - Digitalizzato Google.] 148 *§* 31 ( ) [N.B.: ELATERE e ELATERIO. Sost. masc. Term. dei Fisici. Forza di elasticità, che hanno le molecole di certi corpi. Dal grec. elater, Spingitore, Agitatore. - Bart. D. Tens.41. Si accennano le due forze che la pressione ha per operare: l'una il peso, l'altra l'elatere. E 107: Non rimane a crederne, se non ch'elle sien cosa imaginata, posticcia, presa in prestanza a valersene sol per ipotesi, con che dimostrar l'effetto della pressione, e l'energia dell'elatere." (p. 76, Volume 5 - Edizione 5, Accademia della Crusca). // "††ELATERIO e ELATERE. S. m. Gr. Elaterion. (Fis.) Dicesi da' fisici quella proprietà delle minime particelle di molti corpi, per la quale, tolta che sia la forza che i detti corpi piegava, o ne modificava comunque la figura, ciascuna di esse ripiglia il sito pri- miero, e il corpo la figura primitiva." (Tommaseo-Bellini) - Vd. "elatere organico", in Trattato di patologia nosologica sulla febbre petecchiale, del Dott. Gennaro TASCA. Volume 1, p. 14- Digit. Google: "Quella è la depositaria delle forze della vita, dell'elatere organico, della ce- devolezza, della contrattilità ec. e questo è l'arbitro della sensibilità e di tutte le proprietà vitali che appartengono ad un essere organizzato vivente."] *§* 32 ( ) [Historia magistra vitae. Parole di Cicerone (De Oratore II, 9), spesso citate per affermare la funzione am- maestratrice dell'esperienza storica. Vd. anche Annali universali di viaggi, geografia, storia, economia pubblica, Storia, Viaggi e Commercio, Volume 35°, Milano 1833, p. 128 "Disse Tullio che la storia è la maestra della vi- ta; noi aggiungiamo, che è maestra dei popoli, e quando essi studieranno la Storia di que' che li precedettero, del modo con cui conseguirono molti miglioramenti, e come spesso presero una via fallace; quando ne faranno degli utili ravvicinamenti soltanto, ne caveranno deduzioni pel futuro, che varranno meglio di molti sistemi di filosofia speculativa: come si vuole la pratica al buon medico, così la si vuole agli uomini, e così educati, e flagellati dalla legge del bisogno, non falliranno ad ottimi risultati."] *§* 33 ( ) ["2. Praeterea Gregorius dicit super Ezechielem (2, 3, 3): <> .... "S. Gregorio dice (Su Ezechiele 2, 3, 3): <>, in S. Tommaso d'Aquino, Le questioni disputate (Testo latino di S. Tommaso e traduzione italiana), Volume Undicesimo, Questioni su argomenti vari (Quaestiones Quodlibetales), Secondo tomo: Quodlibet 1-6 e 12. (p. 446) - Digitalizzato Google.]; *§* 34 ( ) [Per comprendere appieno questo concetto del Morelli, gioverà leggere ciò che scrive Rosmini riguardo al rapporto Arte = Scienza: "III. Origine della Logica. ... 76. L'arte appartiene all'azione, chè qui si tratta d'un abito attivo, la scienza appartiene alla speculazione. Quand'anco un uomo conoscesse speculativamente tutti i precetti della pittura così n'avesse la scienza, non saprebbe per questo esercitare l'Arte del pittore, non n'avrebbe l'arte. All'incontro si può possedere l'arte e non la scienza. Il ballarino di corda possiede quell'arte, senza che gli biso- gni conoscere i muscoli ch'egli move ballando, o le leggi del movimento e dell'equilibrio. 77. Formatasi coll'e- sercizio l'Arte del ragionare, in che modo se ne ritrasse la scienza? Mediante la riflessione sull'arte. Suppongasi l'arte del ragionare giunta in un uomo alla sua perfezione: s'avrebbe in costui l'ideale del ragionatore. Riflettendo sulla maniera colla quale questi ragionerebbe, e analizzando i diversi ragionamenti ch'egli farebbe, si troverebbe- ro mantenute in essi costantemente certe norme e certe forme. Raccogliere tutte queste norme, ridurle in brevi proposizioni, ordinarle a metodo scientifico e dimostrarne la necessità, sarebbe lo stesso che comporre la Scienza dell'arte di ragionare." (Antonio Rosmini-Serbati, Logica Libri Tre, Torino 1853. Digit. Google. p. 4 ==> 67/653)] *§* 35 ( ) [Purgatorio. Canto VII. vv. 105-106: "L'altro vedete ch'ha fatto a la guancia / de la sua palma, sospirando, letto". Nota: "L'altro: Arrigo, il suocero di Filippo il Bello; ch'ha fatto, ecc.: <> (B)", p. 311 de La Divina Commedia Com- mentata da Eugenio Camerini. Illustrata da Gustavo Doré, European Book, Milano]. *§* 36 ( ) [Cfr. Giuseppe Marco Antonio Baretti, The Italian Library, London, MDCCLVII. (p. 52). Digitalizzato Google. Wikipedia, Giuseppe Baretti: "In quest'opera compare per la prima volta la citazione della frase <

149 scordasse dell'intutto de passati travagli: Ut earum aspectu omnis superioris aerumnae funditus interiret. Quasi con la vista delle sue figlie dar l'abbia voluto Dio un paradiso in terra; e pria che lo chiamasse in cielo, bearlo." (p. 165) "5. ... Se chiedete da un huomo tale, che cosa gli paia sua moglie? sicuramente vi risponderà. ella è la mia felicità, la mia beatitudine, il paradiso; guardando lei, mi rallegro, mi felicito, mi beatifico." (p. 166)] *§* 38 ( ) ["Vita plastica è quella specie di vita, cui spetta il convertire le cose naturali esterne in materiali organici, e ridurli finalmente ad organica forma. Questo processo di vita però non consiste soltanto nella prima procreazione ed ulteriore perfezione dell'organismo, ma ancora nella incessante riparazione alle sue perdite. Imperciocchè il principale carattere di questa vita si è quella metamorfosi perpetua di ciò che produce, per cui queste produzioni vengono poco per volta portate a gradi superiori e sommi di organica condizione, per indi ancora risolversi, e ri- gettarsi finalmente nella massa delle sostanze organiche. Il corpo vivente adunque costruisce di fatto sè medesi- mo, ma sè medesimo ancora distrugge. ...", pp. 524-525 Dizionario Classico di Medicina Interna ed Esterna, Prima traduzione italiana, Tomo 50°, Venezia, 1839) *§* 39 ( ) [Morelli si riferisce a mio avviso a Cicerone secondo il quale bisogna affrontare il dolore con coraggio, e come se fosse un nemico. Marcus Tullius CICERO, Tuscunalae Disputatione (Opera Philosophica), Liber II. "54 Ut enim fit in proelio, ut ignavus miles ac timidus, simul ac viderit hostem, abiecto scuto fugiat, quantum possit, ob eamque causam pereat non numquam etiam integro corpore, cum ei qui steterit, nihil tale evenerit, sic qui doloris speciem ferre non possunt, abiiciunt se atque ita adflicti net exanimati iacent; qui autem restiterunt, discedunt saepissime superiores. Sunt enim quaedam animi similitudines cum corpore. Ut onera contentis corpo- ribus facilius feruntur, remissis opprimunt, simillime animus intentione sua depellit pressum omnem ponderum, remissione autem sic urgetur, ut se nequeat extollere." La tensione dell'animo rimuove ogni gravezza. (Bisogna affrontare con coraggio il dolore) Come infatti accade in battaglia, allorché un soldato vile e timido, non appena vede il nemico, gettato via lo scudo, fugge quanto più può, e a causa di ciò talvolta muore pur non essendo stato colpito, e nulla del genere capita a chi rimane saldo al proprio posto; così, quelli che non sono capaci di sopportare alcuna specie di dolo- re, si avviliscono e rimangono in uno stato di avvilimento e prostrazione, mentre quelli che resistono assai spesso riescono vincitori. Ci sono infatti certe analogie fra l'anima e il corpo. Come i pesi più facilmente si portano se i corpi si tendono nello sforzo, ma sono schiaccianti se si allenta la ten- sione; analogamente l'animo con la sua propria tensione (= chiamando a raccolta tutte le sue energie) si libera da ogni presenza del dolore, invece, rilassandosi (cioè con la propria remissività), viene oppresso in modo tale che non sa risollevarsi. 51 In quo vero erit perfecta sapientia (quem adhuc nos quidem vidimus neminem; sed philosophorum sententiis, qualis hic futurus sit, si modo aliquando fuerit, exponitur), is igitur sive ea ratio quae erit in eo perfecta atque ab- soluta sic illi parti imperabit inferiori, ut iustus parens probis filiis; nutu, quod volet, conficiet, nullo labore, nulla molestia; eriget ipse se, suscitabit, instruet, armabit, ut tamquam hosti sic obsistat dolori. Quae sunt ista arma? Contentio, confirmatio sermoque intimus, cum ipse secum: <>." In verità perfetta sarà la sapienza in quello (noi finora di certo non ne abbiamo visto nessuno; ma nelle dottrine dei filosofi, viene spiegato quale sarà, se mai un giorno esisterà) che dunque, ovvero quella ragione che in lui sarà perfetta e assoluta, comanderà a quella parte inferiore così come un padre giusto ai figli dabbene; con un cenno, ciò che vuole, otterrà, senza alcuna difficoltà, senza alcun fastidio; sé stesso risolleverà, animerà, istrui- rà, armerà sì da resistere al dolore come a un nemico. Quali sono queste armi? Lo sforzo (impeto, vigore), l'in- coraggiamento e il colloquio intimo, quando egli stesso con sé (colloquiando, dice): <>."] *§* 40 ( ) [Nil non acerbum prius quam maturum fuit (Non c'è frutto che non sia stato acerbo prima di essere maturo!). Publilius Syrus, Sententiae, (I secolo a. C.) aforista, drammaturgo e scrittore romano. The works of Shakespeare, London 1836. Digitalizzato Google. Hamlet. Act III. p. 852: "Which now, like fruit unripe, sticks on the tree, / But fall unshaken when they mellow be". (Come frutto acerbo sull'albero sta fermo / Ma cade non scosso appena è maturo.)] *§* 41 ( ) ["Si dice in molti luoghi di Toscana; e così ne ragiona il Fornaciari nelle Prose, pag. 492. <

150 *§* 42 ( ) [Dapprima ho pensato che Morelli avesse sintetizzato quanto scritto da Orazio nelle Epodi. In particolare: l'epodo VII contro i romani per essersi resi partecipi di guerre fratricide; l'epodo VIII contro la laida oscenità di una vecchia lussuriosa che desidera prestazioni sessuali dal poeta; l'epodo XI contro l'avidità della donna; l'epo- do XV contro l'infedeltà di una donna. Quinto Orazio Flacco, Odi ed Epodi. Traduzione di Germano Zangheri, LED (Edizioni Universitarie di Lettere Economia Diritto). Digitalizzato Google. Ma poi ho riscontrato lo stesso brano in altri testi e autori: "La corruzione della donna è la corruzione della fami- glia e della patria, è il dissolvimento sociale: ed Orazio istesso, l'epicureo Orazio, ne avvertiva i Romani, quando esclamava: Roma rovina, perchè ne son corrotte le donne" in Della Carità Preventiva e dell'Ordinamento della Società di Mutuo Soccorso In Italia, di Enrico Fano, Milano 1868, p. 218. // "Orazio, Ai Romani degeneri dalle virtù pei loro padri gridava: Roma è rovinata perchè in essa la donna è corrotta", in Un pò di buon senso sulle Quistioni del Giorno Per D. Leone Donadoni, Bergamo 1869, p. 20. Digitalizzato Google // "Avete un bel fare, diceva Orazio ai Romani, voi non vi potete sottrarre alle gravi sciagure che vi minacciano, Roma è rovinata, per- chè la donna in essa è corrotta", in Il Paganesimo vinto dalla Chiesa colla costanza dei suoi martiri, Conferenza tenuta il giorno 14 luglio 1872 Nella Chiesa di S. Giovanni de' Minoriti dinanzi La Società pegli Interessi Catto- lici dal Sacerdote Isidoro Carini Socio Onorario della Medesima, Palermo 1872, pp. 11-12 // "Voi avete un bel fare, diceva Orazio ai Romani, voi non sfuggirete alle gravi sciagure che vi minacciano. Roma è rovinata perchè la donna in essa è corrotta", in La donna nella famiglia e nella società, di Arturo Sterni, Bergamo 1876, p. 11. Digitalizzato Google. // E soprattutto: "Ondechè giustamente gridava il Venosino ai Romani: <> Ma giovi qui riferire per intero le parole del poeta, il quale quantunque pagano, e solo ispi- rato ai principi delle umane tradizioni, pur conobbe, e profetò la caduta dell'impero dalla malvagia corruzione delle donne: chè dopo gli oracoli della divina, non è sconveniente ascoltare anche quelli dell'umana sapienza. <> Così parlava Orazio, comechè seguace di Epicuro; e bene si apponeva; conciossiachè fino a tanto che la corruzione è nell'uomo, e' vi ha speranza di salute; chè facilmente egli viene guadagnato dalla donna: ma questa corrotta, tutto è perduto, non essendo in noi tanta virtù da ritornarla in sè. " // (2) Motus doceri gaudet Jonicos - - Matura virgo, et fingitur artulus; -- Jam nunc et incestos amores -- De tenero meditatur ungui. -- Mox juniores quaerit adulteros, -- Inter mariti vina; neque elegit -- Cui donet impermissa raptim -- Gaudia, luminibus remotis. -- Sed iussa coram, non sine conscio -- Surgit marito, seu vocat institor. -- Seu navis Hispani- cae magister. -- Dedecorum praetiosus emptor. -- Foecunda culpae saecula nuptias -- Primum inquinavere, et ge- nus et domos: -- Hoc fonte derivata clades -- In patriam populumque fluxit. Horat. Odarum lib. III VI. // (1) Damnosa quid non imminuit dies? -- Aetas parentum, peior avis, tulit -- Non nequiores, mox daturos -- Proge- niem vitiosiorem. Ib. // in La Donna Cattolica del Rmo Padre D. Gioacchino Ventura ex generale de' CC. RR. Teatini Ec. Ec. Tradotta dal P. Marcellino Da Civezza Professore di Eloquenza M. O. Tomo Primo, Roma 1855, pp. 33-35. Digitalizzato Google. Quindi è assai evidente che la fonte principale della citazione di cui trattasi, non può che essere Padre Ventura.] ***

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ZUCCANTE Giuseppe, La Donna nella Dottrina di Socrate, Pavia 1903

163 INDICE

3a ED. DE LA DONNA E LA SCIENZA (Napoli 1869) ...... 3 PREFAZIONE ...... 3 CAPITOLO PRIMO ...... 18 §. 1° SOMMARIO ...... 18 1.1. INTRODUZIONE ...... 18 CAPITOLO SECONDO ...... 31 §. 2° SOMMARIO ...... 31 1.2. LA DONNA, (PRO)CREATRICE DELL'UOMO ...... 31 CAPITOLO TERZO ...... 46 §. 3° SOMMARIO ...... 46 1.3. LA DONNA, EDUCATRICE DELL'UOMO ...... 46 CAPITOLO QUARTO ...... 89 §. 4° SOMMARIO ...... 89 1.4. LA DONNA, MOTORE PERPETUO DELL'UOMO ...... 89 NOTE ...... 114 ANNOTAZIONI AGGIUNTIVE ...... 140 BIBLIO-SITOGRAFIA ...... 152 INDICE ...... 164

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