ANNO XVI N°927 21 OTTOBRE 2016

RIVISTA APERIODICA RISORSE CONVIVIALI DIRETTA DA E VARIA UMANITÀ ASTEFANO BORSELLI d f ISBSN2279–6924 iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiIl Covile Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila OMAR WISYAM (CLAUDIO DETTORRE) RICORDO PERFETTAMENTE IL MIO TARTARINO Q

icordo perfettamente il mio Tar- Quanti sceneggiati della RAI in quegli tarino. Si incarnava nell’immen- anni! Mi pare ovvio anteporre che il palin- R so Tino Buazzelli impersonando- sesto della RAI non offriva solamente fic- ne le disgraziate avventure alpine. Lo sce- tion ma anche varietà, quiz, intrattenimen- neggiato televisivo della RAI fu trasmesso to, informazione, sport, politica, program- in quattro puntate nel settembre del 1968 mi per ragazzi, musica, prosa, balletti, (un anno d’altronde assolutamente tarasco- ecc., tuttavia mi limiterò a quest’unico a- nesco — come pure quelli immediatamen- spetto divagando su poche note. te successivi). Tino Buazzelli era alla vigi- Quando ripenso al periodo che va dai lia del grandissimo successo a cui pervenne primi anni Sessanta (quando iniziai ad esse- come protagonista della serie televisiva trat- re spettatore durante lunghi pomeriggi) a ta dai romanzi di Rex Stout nella parte di quelli del decennio successivo mi vengono Nero Wolfe (una decina di puntate tra il in mente, tra gli altri e alla rinfusa (con 1969 e il 1971), assieme a Paolo Ferrari inevitabili lacune), le quattro serie di Mai- (nella parte del fido Archie Goodwin). gret con Gino Cervi (con rinnovato succes-

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Laura Belli e , diretto gio di Franti», «Portrait of the artist as da Daniele D’Anza con Ugo Pagliai, Car- Manzoni» e la celebre «Fenomenologia la Gravina e Rossella Falk, trasmesso in di Mike Bongiorno». cinque puntate nella primavera del 1971. Mentre dai Cinquanta che segnano la na- scita della trasmissione televisiva a tutti i Sessanta siamo in presenza, nella fiion, di produzioni mimetiche, di ricalchi lette- rari, di una divulgazione prettamente pe- dagogica che guarda al romanzo classico (Sandro Bolchi ne è figura emblematica ma non certo unica; sue sono le regie di film tratti da Shakespeare, Manzoni, Bac- chelli, De Marchi, Hugo, Arthur Miller, Dostoevskij, Tolstoj), nel decennio succes- sivo si delineano delle linee di fuga, di- verse e divergenti prospettive narrative e in generale si manifestano intuizioni e in- tenzioni meno didascaliche e piú mature e smaliziate consapevolezze sulle potenziali- tà specifiche del medium, intrecciate alle dinamiche del progresso tecnologico in tutti i campi, negli strumenti di ripresa, nella trasmissione del segnale, nelle tecni- che, negli effetti speciali, nel mezzo stesso (l’Italia, per quanto la RAI fosse pronta a Ritornando ai soggetti dei filmati televi- trasmettere a colori già dall’inizio degli sivi di Giorgio Cesarano, Il mestiere di Sessanta, avviò finalmente queste trasmis- vincere, trasmesso nel 1968, mostra le vi- sioni solo dal febbraio del 1977, soprattut- cissitudini di un giovane pugile che per to per contrasti politici sullo standard da vincere e guadagnare molti soldi si piega adottare, mentre Francia, Gran Bretagna ad altrettanti compromessi riscattati nel e Germania Occ. avevano iniziato trasmis- corso di un durissimo match dal quale sioni regolari già nel 1967). uscirà sconfitto. Con rabbia e con dolore, Il ritardo dell’industria culturale italia- soggetto ancora del solo Cesarano, si dipa- na rischia tuttavia di essere ingannevole, na attorno ad un architetto sposato con la qualora non si tenga presente che le rifles- figlia di un imprenditore edile, il quale si sioni di Umberto Eco sulla cultura di mas- rivela uno speculatore senza scrupoli. sa e sul medium televisivo raccolte in Apo- L’architetto, meno spregiudicato, cerca di calittici e integrati apparivano già nel 1964 riportare il suocero alla correttezza, men- mentre nell’anno precedente usciva il Dia- tre si avvicina ad un gruppo di giovani che rio minimo che includeva tra l’altro «Elo-

21 Ottobre 2016 Anno XVI h (4) h si battono contro la destinazione d’uso di soluta e sconvolgente, quanto egli pure alcuni edifici, attratto anche da una ragaz- vivesse un mutamento decisivo, tanto za del collettivo. In questa trama, scritta piú destabilizzante perché sopravve- nel 1971, Cesarano riprende qualche nuto in qualche modo di sorpresa. spunto dal romanzo I giorni del dissenso, Cioè il tema portante del romanzo e dei specialmente nel rapporto non facile tra soggetti per la tv. Ranieri fotografa quello un professionista quarantenne e la gioven- che appare come l’istante del primo incon- tú contestatrice, in particolare verso la ra- tro con Cesarano (un’immagine invernale gazza, nel tentativo di stabilire un vero perché lo scrittore indossa un montone): contatto reciproco. Anche in , Indelebile per me rimane il ricordo scritto con Luciano Bianciardi, lo sceneg- di aver veduto in mano a Giorgio, av- giato, in cinque puntate, mostra le tensio- volto e quasi celato da un fascio di ni familiari e sociali di quegli anni attra- giornali che regolarmente l’accom- verso lo spaccato di una famiglia siciliana pagnava il Traité di Vaneigem, nella immigrata nella periferia milanese, soprat- prima storica edizione Gallimard. tutto attraverso le diverse scelte compiute Da questo momento nel resoconto di Ra- dai figli dell’operaio specializzato Salvato- nieri i due rivoluzionari subiscono un con- re. Il divario generazionale descritto da fronto, infatti Cesarano nella fiion si ripresenta inevita- bile anche nella realtà con i compagni. l’analisi di Cesarano verte su temi pros- Paolo Ranieri, nel corso del convegno a simi, per certi aspetti complementari, Bologna nel 2000, dedicato alla memoria per certi altri integralmente sovrappo- nibili, con quella di Vaneigem. dello scrittore rivoluzionario, rammenta nella sua relazione: Sebbene il relatore riconosca delle sensibi- lità diverse, se non opposte, tra i due, Quando l’ho conosciuto era il settem- bre del 1969: io avevo diciassette anni nell’indagine di entrambi questi rivolu- appena e mi riusciva difficile non usare zionari la capillare pervasività delle re- il lei per rivolgermi a Giorgio e all’im- lazioni mercantili nel corpo degli esse- mancabile Flo Corona, fido e sorriden- ri umani, e del pari l’ostinata irriducibi- te Kammamuri di un cosí umbratile, lità dei corpi a tali imperativi, rimane corrucciato e inaccessibile Tremal- dal principio alla fine nella linea del Naik. mirino. Nella riflessione a posteriori di Ranieri si Ciò che li unisce insomma è la constata- trova scritto significativamente: zione del definitivo dislocarsi della lotta Solo con il volgere del tempo sono riu- di classe nella vita e nel corpo stesso degli scito a comprendere quanto la cospi- individui. Cioè quello che io chiamerei vi- cua differenza d’età che ci separava talismo, un’ideologia della vita che sconfi- potesse costituire un problema altret- na talvolta nel superomismo, anche se in tanto e forse piú per lui che per me; e Vaneigem e in Cesarano prende pieghe di- ancor di piú quanto anche per lui quei verse ed infine incompatibili (vitalistica è giorni concitati fossero una scoperta as- anche la teoria di Camatte, che Ranieri ta-

dIl Covilef N° 927 h (5) h ce, come rimuove il ruolo di Gianni Collu, coautore di Apocalisse e rivoluzione, men- tre al contrario segnala il contributo, igno- rato spesso dai piú, di Eddie Ginosa). L’accostamento di Vaneigem a Cesarano, nel testo di Paolo Ranieri (che adombra di sfuggita il vero contrasto, la vera rivalità che fu quella tra Debord e Vaneigem che causò la dissoluzione dell’Internazionale Situazionista), permette inoltre di riflette- re sulla ricezione del situazionismo in Italia, che ebbe una presa debole perché la nostra area (nel senso della teoria ma pure del territorio fisico) era presidiata da Potere Operaio, dagli autonomi, dagli anarchici e dagli indiani metropolitani. Dunque dalle frange residuali rimanenti, della teoria situazionista fu assimilata, semmai, piú la prosa, erede dell’avanguar- dismo surrealista e sedotta dal bel gesto del miele Ambrosoli, di Calimero, «Ri- anarchico, di Raoul Vaneigem che quella schiatutto» con Mike Bongiorno e Sabina ricca di ascendenze classiche di Guy De- Ciuffini (Mike Bongiorno, colui «che ele- bord, ed in ogni caso gli italiani dimostra- va la gaffe a dignità di figura retorica» so- rono di essere piú disposti a far proprio il stenne, in La versione di Mike, che Eco messaggio vitalistico del belga (i nostrani era stato uno degli autori delle domande e anonimi Luther Blissett parlavano di del quiz, collaborazione negata dal semio- «Guy The Bore» cioè Guy il noioso in logo, mentre Sabina Ciuffini ricorda che il «Guy Debord è morto davvero»), sebbene presentatore l’aveva obbligata a leggere alcuni sfoggiassero con disinvoltura qual- la «Fenomenologia» perché capisse il se- che formulazione sul carattere spettacola- greto del successo della trasmissione), re di una società dello spettacolo del cui «L’amico del giaguaro» (programma di autore ignoravano tutto. Terzoli e Zapponi, con Corrado, Gino Quando uscí da Buchet-Chastel, nel Bramieri, Marisa Del Frate, Raffaele Pisu 1967, La società dello spettacolo (e nello e Roberto Villa) e le gemelle Kessler e stesso anno, presso Gallimard, il Trattato Topo Gigio oggi forse farebbero sorridere del saper vivere ad uso delle giovani genera- ed in fondo ciò conferma l’innegabile fa- zioni) quanto era «spettacolare» l’Italia? coltà predittiva delle tesi di Debord. Poco, direi, rispetto a quello che è diventa- ta cinquant’anni dopo (come il resto Toute la vie des sociétés dans lesquelles règnent les conditions modernes de pro- d’Europa d’altronde, ora e allora). «Caro- sello» del caffè Paulista, dell’olio Sasso,

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duion s’annonce comme une immense via maggiore successo toccò alla trasposi- accumulation de speacles. zione manzoniana (alla sceneggiatura, ol- In questa frase che ricalca l’apertura del tre al regista Sandro Bolchi, collaborò Ric- Capitale di Karl Marx e che apre La socie- cardo Bacchelli) con Nino Castelnuovo, tà dello spettacolo risuonava un annuncio Paola Pitagora, Lilla Brignone, Tino Car- che infine si è materializzato, oggi. raro, Elsa Merlini, Luigi Vannucchi, Fran- co Parenti, Massimo Girotti e molti altri (la voce del narratore esterno, cioè dello stesso Manzoni, fu affidata a Giancarlo Sbragia). Furono realizzazioni accurate e fedeli ai testi ottocenteschi. Per osare qualcosa di piú originale, con una opera- zione meno didascalica, la RAI deve atten- dere Il segno del comando di Daniele D’An- za (che fu scritto nel 1968, ma la RAI lo accantonò per produrlo poi nel 1970), i cui ideatori furono Flaminio Bollini (regi- sta anche de La carriera con soggetto di Ce- sarano e Raboni) e Dante Guardamagna, mentre alla sceneggiatura collaborò anche Lucio Mandarà, ed infine fu portata a ter- mine da Giuseppe D’Agata. Andò in onda nella primavera del 1971 in cinque puntate ed ebbe un grandissimo successo (fu se- guito da quasi quindici milioni di telespet- tatori in media ogni serata). La storia è piuttosto intricata e prende avvio dalla sco- perta di un diario inedito di Lord Byron scritto durante il soggiorno romano del 1817 nel quale, nella nota del 21 aprile, si Il 1967 In Italia si aprí e si chiuse con accenna ad una piazza sconosciuta e ad due sceneggiati della RAI, tratti da famosi una «esperienza indimenticabile» lí pro- romanzi: I promessi sposi (dal primo genna- vata, ma anche a «tenebrose presenze». In- io al 19 febbraio in otto puntate) e La fiera fatti nella storia si parla di negromanti, di della vanità (dal 12 novembre al 24 dicem- spiritismo, di sorprendenti rassomiglianze bre in sette puntate), il secondo fu diretto che promettono di essere reincarnazioni, da Anton Giulio Majano (coadiuvato del Salmo XVII di Baldassarre Vitali, di nell’adattamento da Attilio Bertolucci e partiture e di segreti, di medium ed evoca- Aldo Nicolaj), con la partecipazione di fa- zioni, di pittori e spiritisti, di quadri e me- mosi interpreti come Romolo Valli, Adria- daglioni con l’effigie di civetta, di agenti na Asti, Ilaria Occhini e molti altri; tutta- segreti e fantasmi, di ufficiali delle SS, di

dIl Covilef N° 927 h (7) h manoscritti e di taverne introvabili e infi- Era quello lo «spettacolo» italiano? ne del segno del comando (lo sceneggiato, Forse … Tuttavia c’è da credere che, negli divenne un romanzo, nel 1987, quando anni che seguirono il ’68, l’Italia, lacerata Giuseppe D’Agata rimise mano alla sceneg- da un conflitto sociale deviato da mano- giatura e nel 1992 Fininvest ne realizzò un vre golpiste e terroriste, offrisse un altro remake). spettacolo. Soprattutto. In sei puntate dal primo novembre del Ricordo perfettamente, oltre che l’incipit 1970 fu trasmesso Un certo Harry Brent di questo articolo, era anche il titolo di un (sceneggiatura di Biagio Proietti da un libro umoristico di Nino Vascon (Rizzoli, romanzo di Francis Durbridge e regia di 1973) in cui Sua Eccellenza incaricava i Leonardo Cortese) con Alberto Lupo, funzionari del Servizio, tra cui Carmine Claudia Giannotti e Valeria Fabrizi. Dello Bellezza, di svariate missioni nel corso del stesso scrittore è il soggetto di Lungo il fiu- Ventennio. A questo primo volume seguí me e sull’acqua (sceneggiatura di Biagio un secondo, Golpitalia (Rizzoli, 1975), in Proietti e regia di Alberto Negrin), in cin- cui ricompariva Carmine Bellezza, osse- que puntate a partire dal 13 gennaio 1973, quioso e fedele al Servizio negli anni che con Sergio Fantoni, Laura Belli e Giam- seguono il ’68. Peccato che di questi due piero Albertini. Quest’ultima miniserie tv libri si sia persa memoria. ottenne un altissimo successo, con oltre Come dicevo prima, ricordo perfetta- venti milioni di spettatori. Per tutte e tre mente il mio Tartarino, ed aveva il volto queste fiion furono determinanti anche di Tino Buazzelli che lo impersonò nel le sigle musicali, d’apertura o di chiusura; 1968 nelle avventure alpine (del primo si segnalano in ordine «Cento campane», episodio della trilogia tartarinesca, la Rai che ebbe due versioni, la piú famosa quel- aveva realizzato un film per la tv nel 1960, la di Lando Fiorini, «Roots of oaks» di con la regia di Vittorio Brignole e adatta- Donovan e «Vincent» di Don McLean. mento televisivo di Nicola Manzari) diret- Con queste produzioni (a cui aggiun- te da Edmo Fenoglio. Prodotto nel 1967 gerei A come Andromeda — con la sceneg- e in onda nel 1968, ricordo perfettamente giatura di Inisero Cremaschi e la regia di Il circolo Pickwick di Ugo Gregoretti, con Vittorio Cottafavi, tratto dal romando di Mario Pisu nel ruolo di Samuel Pickwick Fred Hoyle — sceneggiato che era tutta- e, tra gli altri, con Tino Buazzelli nel ruo- via un remake di un’analoga serie del 1961 lo del Sindaco. in sette puntate della BBC con Julie Chri- Alessandro Baricco disse una volta (da stie) la Rai si affrancava dalla mera traspo- conduttore del programma televisivo sizione televisiva di capolavori della lette- «Pickwick, del leggere e dello scrivere», ratura classica, comunque senza cessare di nel 1994) che Charles Dickens, precisa- farvi ricorso; per esempio, nel 1970 furo- mente ne Il circolo Pickwick, il suo primo no trasmessi I racconti di Padre Brown, in romanzo del 1836, aveva raffigurato con sei puntate, che piacquero soprattutto gra- nostalgia un’Inghilterra e un gruppo di zie all’interpretazione di Renato Rascel e personaggi, cordiali ed eccentrici, come Arnoldo Foà. mai piú gli accadde in seguito e che per

21 Ottobre 2016 Anno XVI h (8) h questo motivo il libro custodiva un’idea di Allard, Blanchot de Brenas e la moglie Ju- felicità che lo scrittore italiano ritrovava lia Daudet. intatta ad ogni rilettura. Un libro magico, Quella di Tartarino è una trilogia (tra- secondo lui. Tra i miei preferiti c’è Tarta- dotta in italiano da Aldo Palazzeschi), ma rino di Tarascona, ma prima di leggerlo l’ultimo volume, Port Tarascon, del 1890 avevo visto Tartarino sulle Alpi con Tino (tradotto da Palazzeschi con Tarascona a Buazzelli. Il libro preferito di Tartarino, mare) tradisce lo spirito del protagonista poiché Daudet lo volle scrivere, era L’ul- con una storia sgradevole, che richiama timo dei Mohicani di Fenimore Cooper. piú le Histoires désobligeantes di Leon Difficile spiegare perché un personaggio si- Bloy del 1894 che le avventure del Don mile, pigro e ingenuo, spaccone e pavido Chisciotte provenzale (come recitava il tito- possa piacere; forse c’è della purezza che lo del primo volume dell’opera pubblicata non fu apprezzata dai tarasconesi — e dai a puntate su «Le Figaro» nel 1870, due an- provenzali in genere —, i quali minaccia- ni prima dell’edizione in libreria). Co- rono Daudet di fargli la pelle e gli grida- munque molto probabilmente né il secon- rono «A morte!» al suo passaggio da quel- do, né il terzo volume della trilogia furo- le parti, seppure accompagnato da Frédé- no scritti da Daudet. ric Mistral, l’illustre scrittore e poeta in lingua occitana, insignito del premio No- bel, che veneravano. Eppure anche Flau- bert disse che Tartarino (pubblicato in vo- lume nel 1872) era un capolavoro. In pri- ma versione il protagonista si chiamava Barbarino, ma un furente omonimo (un tarasconese di nome Barbarin de Mont- frin) fece cambiare idea a Daudet. Forse per prudenza, o per altre ragioni nobilissi- me, Alphonse Daudet non ha mai abitato nel mulino che visitano i turisti creden- dolo il suo (del 1869 è la pubblicazione in volume delle Lettres de mon moulin), e me- no di un anno a Fontvieille, in Provenza, dove si trova detto mulino. Remy de Gour- mont scrisse che Daudet chiacchierava de- liziosamente e che narrava come conversa- va, con un piacere evidente; la stessa cosa si può dire di Tartarino. Ma questo piace- re forse non valeva per la scrittura, perché diversi testi firmati da Alphonse Daudet sono in realtà opera di altri (i cosiddetti «negri»), in particolare Paul Arène, Léon

dIl Covilef Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiß Der christliche Epimetheus) N° 927