ITALIAN BOWIE Tutto Di David Bowie in Italia E Visto Dall'italia INTRODUZIONE
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Davide Riccio ITALIAN BOWIE Tutto di David Bowie in Italia e visto dall'Italia INTRODUZIONE Bowie ascoltava la musica italiana? Ogni nazione avrebbe voluto avere i propri Elvis, i propri Beatles, i propri Rolling Stones, il proprio Bob Dylan o il proprio "dio del rock" David Bowie, giusto per fare qualche nome: fare cioè propri i più grandi tra i grandi della storia del rock. O incoronarne in patria un degno corrispettivo. I paesi che non siano britannici o statunitensi perciò di loro lingua franca mondiale sono tuttavia fuori dal gioco: il rock è innanzi tutto un fatto di lingua inglese. Non basta evidentemente cantare in inglese senza essere inglesi, irlandesi o statunitensi et similia per uguagliare in popolarità internazionale gli originari o gli oriundi ed entrare di diritto nella storia internazionale del rock. A volte poi, pur appartenendo alla stessa lingua inglese, il cercarne o crearne un corrispettivo è operazione comunque inutile ai fini del fare o non fare la storia del rock, oltre che un fatto assai discutibile, così come avvenne a esempio negli States in piena Beatlemania con i Monkees, giusto per citare un gruppo nel quale cantava un certo David o Davy Jones, lo stesso che - per evitare omonimia e confusione - portò David Robert Jones, ispirandosi al soldato Jim Bowie e al suo particolare coltello, il cosiddetto Bowie knife, ad attribuirsi un nome d'arte: David Bowie. I Monkees nacquero nel 1965 su idea del produttore discografico Don Kirshner per essere la risposta rivale (anzitutto commerciale) americana ai Beatles, quindi i Beatles americani o gli anti-Beatles. Quattro giovani fotogenici scelti a tavolino (diventerà poi prassi dagli anni '80 in poi con le cosiddette boy bands) che cantavano canzoni scritte per loro da professionisti come Neil Diamond, e che esordirono in una serie di telefilm sulla falsariga dei film dei Beatles (A Hard Day's Night, Helpǃ). Nonostante il loro successo iniziale - ma effimero, di superficie - tra i Monkees e i Beatles non si può azzardare più - e tanto più oggi alla luce della storia - alcun paragone. I Monkees sono fuori dalla storia del rock (il rock che conta quanto meno), i Beatles no. Ma se anche i Monkees un angolino di storia lo avranno ancora, lo stesso per esempio non si potrà dire - tra i tanti che aspirarono a questo titolo in Italia - dei Five Continental's che, nati in Emilia Romagna tra il 1963 e il 1964, furono definiti "la risposta Italiana ai Beatles". Non ce li ricordiamo più neanche noi italiani, figurarsi il mondo. La storia del rock può fare a meno di chiunque non sia stato britannico, irlandese o statunitense, quanto meno - se non originario - di adozione. Si può discettare a lungo su questo, che - campanilismi o meno - rimane tuttavia un dato di fatto. Si può quindi riscrivere l'affermazione di cui sopra come segue: ogni nazione avrebbe voluto avere (ma non ha avuto) una parte nella storia del rock in un modo altrettanto influente e autentico sul piano internazionale quanto il Regno Unito e gli Stati Uniti d'America. Ma anche l'Irlanda, l'Australia e il Canada e qualche altro paese di lingua inglese come la Giamaica. L'unica eccezione è stata la Germania con il cosiddetto "rock crauto", o meglio la Kosmische Musik ("krautrock" fu inizialmente coniato dalla stampa angloamericana come termine tutto sommato denigratorio) per l'apporto elettronico fondamentale dato al rock da molti gruppi tedeschi in varia misura e forma negli anni '70. Genere che per altro influenzerà anche il Bowie della seconda metà degli anni '70: "Red Sails" suonava assai simile al brano "Monza" degli Harmonia (Deluxe, 1975): "V-2 Schneider" è un omaggio a Florian Schneider dei Kraftwerk, considerato da Bowie una delle sue più significative influenze all'epoca, così come in "Trans Europe Express" i Kraftwerk "from station to station back to Dusseldorf City" incontravano e omaggiavano Iggy Pop e David Bowie. Edgar Froese dei Tangerine Dream, uno degli esponenti di spicco della Berliner Schule der elektronischen Musik, fu colui che rese possibile il trasferimento di Bowie a Berlino nel 1976 ospitandolo per due settimane nel suo appartamento in Schwäbische Straβe 7 nell'attesa che finissero i lavori nell'appartamento, oggi meta di pellegrinaggio, al numero 155 di Hauptstrasse. Questo discorso introduttivo, ovviamente, vale solo per il rock. Le altre nazioni hanno avuto altra musica e altri meriti. Contamineranno a loro volta il rock, ma rimarranno un fatto marginale rispetto a tutto il contesto, un mero assorbimento o cross-over tra innovazioni e sperimentazioni per lo più riconosciute ad artisti angloamericani; o non solo, ma che il mercato angloamericano sopra tutti abbia assorbito o"riassorbito" e internazionalizzati. L'Italia, dal canto gregoriano in poi fu per molti secoli in età classica patria di grandi compositori e di importanti scuole (romana, veneziana, napoletana, fiorentina, violinistica piemontese eccetera fino all'opera e al belcanto). I compositori italiani dal medioevo al Settecento vennero accolti ovunque nelle corti europee. E ovunque in Europa si perseguirono e imitarono musiche "all'italiana". Rimarchevole fu ancora la corrente del Futurismo. Nel '900 l'Italia, per il suo enorme patrimonio e per la sua incredibile varietà di canti popolari e di musica etnica colpì anche uno studioso di grandissima caratura come l'etnomusicologo e antropologo americano Alain Lomax nel suo viaggio fra il 1954 e il 1955 nella penisola, percorsa capillarmente dalla Sicilia alla Val d'Aosta, conducendo una vasta opera di registrazioni sul campo (oltre duemila). Di quei sette mesi di viaggio in Italia Lomax scrisse nel suo libro "L'anno più felice della mia vita". Anna Lomax Wood ha ricordato che secondo suo padre “il paesaggio sonoro italiano era il più ricco, vario e originale” da lui mai incontrato nei suoi viaggi per il mondo, e che riteneva la tradizione musicale italiana la più interessante in Europa. Poi però giunsero, in Italia come nel resto del mondo, le musiche americane: il jazz, il blues, i musical di Broadway, la popular music commerciale e di facile ascolto dipendente dalle grandi industrie discografiche (esemplare quella della Tin Pan Alley) su fino al rhythm & blues, al funk, al soul (disco music inclusa), al rock'n'roll e al rock con le sue innumerevoli declinazioni in generi e sottogeneri a seguire. E da allora la musica e la canzone italiana hanno per lo più ricalcato quella statunitense, poi quella britannica con l'avvento dei Beatles e il "beat" (da noi ridetto "bitt"), del prog rock, del punk, della new wave eccetera. L'Italia nel Novecento, ma non solo l'Italia, ha quindi per lo più smesso di attingere alle proprie radici musicali, incapace di creare a sua volta qualcosa di nuovo o diverso che fosse altrettanto rivoluzionario e moderno, originale, accattivante e divertente quanto le musiche provenienti dai paesi di lingua inglese. Tutt'al più si è sviluppata una generica italianità melodica leggera di stampo sanremese. Dalla metà del Novecento il mondo (inoltre soggetto a crescente globalizzazione), e soprattutto l'Italia salvo eccezioni, non fa che produrre musica sui modelli angloamericani. Pochi i compositori o cantanti autori italiani che hanno lasciato un segno fuori dal proprio paese. Modugno con la sua "Nel blu dipinto di blu" è stato uno, ma soltanto per la bellezza di quella precisa canzone, in quel dato momento, non per la sua produzione in generale. Ennio Morricone, certo, è stato un altro: alcune sue musiche, quelle a esempio scritte per gli "spaghetti-western", hanno persino dato un riconosciuto contributo a un certo desert rock o alternative country che ha le sue radici nel Tex-Mex come nella chitarra di Marc Moreland dei Wall of Voodoo o in gruppi come i Calexico. Su tutto basti citare l'album tributo statunitense "We all love Ennio Morricone", che racchiude omaggi al Maestro da Bruce Springsteen ai Metallica a Roger Waters. Giorgio Moroder, un altro ancora. Complice il suo trovarsi nel posto giusto al momento giusto, Monaco e la Germania degli anni '70, Moroder fu il primo a usare i sintetizzatori e i sequencer nella discomusic, mescolandola quindi con l'elettronica. O Giampiero Reverberi che, con il suo Rondò Veneziano, ha saputo fondere la pop music con la grande tradizione italiana della musica barocca: parliamo di 25 milioni di dischi venduti nel mondo che hanno creato, attraverso composizioni originali, usando le parole di Reverberi stesso, «un genere classico non impegnativo e, contemporaneamente, una musica leggera non superficiale, avvicinando i due mondi, perciò apprezzata da un pubblico molto eterogeneo». In ogni caso una musica il cui DNA è internazionalmente riconoscibile come qualcosa di esclusivamente italiano. Ed eventualmente ancora questo e quello. Ma non sono molti. Alcuni gruppi musicali, soprattutto progressive, e diversi cantanti italiani hanno avuto successo internazionale, ma in termini di vendite, non di influenze esportate. Il mondo fa dopotutto a meno di quasi tutta la nostra musica, escluso la lirica (Rossini, Verdi, Puccini e via dicendo) e la romanza su fino a Pavarotti, la canzone napoletana classica (per una certa idea romantica ormai d'antan dell'Italia), Vivaldi e la musica classica in generale (quella più specificatamente rinascimentale e barocca) e poco altro. E Bowie, che non risulta essere mai stato nel pubblico di un concerto pop o rock di cantanti o gruppi italiani, ha sicuramente invece assistito a qualche opera lirica, come il 25 settembre del 2006 (lo scrisse sul suo diario Bowie.net), presente con Iman alla prima della Madama Butterfly di Puccini alla Metropolitan Opera di New York. Al suo matrimonio Bowie volle musica barocca italiana in chiesa e canzoni della tradizione italiana “tenorile” come 'O sole mio e Firenze sogna per la festa nuziale. Al "Pavarotti & Friends", il noto evento musicale benefico organizzato per dieci edizioni tra il 1992 e il 2003 a Modena dal tenore Luciano Pavarotti per sostenere cause umanitarie, Bowie non ha invece partecipato come alcuni dei suoi amici (Brian Eno, Bono o Lou Reed).