BREVE STORIA DEL FUTURO

L’IPERIMPERO DEL CALCIO

A cura di Nicholas Gineprini

www.allasianfootball.com Nota dell’autore: Questo saggio è stato scritto nel novembre del 2017, quando questo spazio web si chiamava ancora ‘Blog Calcio Cina’. Una serie di vicissitudini ed il conseguente trasferimento a Pechino hanno fatto in modo che questo saggio non sia mai stato pubblicato prima d’allora. Alla luce dei fatti di questi ultimi giorni, con l’annuncio della Super Lega Europea e la sua morte imminente, mi sono convinto a dare finalmente alla luce a questo scritto nel quale analizzo la storia economica del calcio ed il suo futuro prendendo spunto dal famoso saggio ‘Breve Storia del Futuro’ di Jacques Attali. Nel 2017 prevedevo che la Super Lega si sarebbe andata a creare nel 2025; purtroppo la pandemia che tutti quanti abbiamo vissuto ha reso necessario l’accelerazione di questo progetto che per il momento, sembra essere stato riposto velocemente nel cassetto, in attesa di tempi più maturi. Quello che andrete a leggere è la stessa versione scritta quattro anni fa, in quanto credo che sarà solamente questione di tempo prima che il calcio, che sta collassando su se stesso, si debba reinventare sotto forma di iperimpero. Breve Storia Del Futuro è un saggio sociologico pubblicato dal francese Jacques Attali nel 2006, banchiere, economista e scrittore, dall’inizio degli anni ’80 ha ricoperto cariche importanti all’interno della politica francese grazie alle sue capacità di leggere fra le trame del futuro. La svolta nella sua carriera avvenne nel 1981, quando l’allora presidente della Repubblica Mitterrand gli conferì la carica di consigliere speciale. Dopo aver lasciato l’Eliseo nel 91’, Attalli viene nominato presidente della European Bank for Reconstruction and Development, per poi fare ritorno al “Palazzo” francese dieci anni fa, con la carica di presidente alla "Commissione per la liberazione della crescita. Conosciuto anche come l’Uomo Ombra, Attali ha scoperto l’attuale presidente francese Macron, introducendolo all’Eliseo anni addietro.

Nella sua opera più famosa, Breve Storia del Futuro, Attali ripercorre la storia del capitalismo e dei “Cuori degli Ordini Mercantili” , che sono Bruges, Venezia, Anversa, Genova, Amsterdam, Londra, Boston, New York e infine Los Angeles. Nella seconda parte del saggio, Attali predice quelli che possono essere gli scenari futuri, da qui al 2050 attraverso tre grandi step: la prevalenza del mercato, quale unica legge mondiale, si realizzerà con il sorgere dell’iperimpero, con la sopravvivenza messa a forte rischio dall’aumento esasperato delle disparità sociali. Il secondo scenario è quello dell’iperconflitto, che getterà il mondo in un’epoca caotica. Infine, Attali, o la sua speranza, descrive quella che è l’iperdemocrazia, che si realizzerà se l'umanità riuscirà a regolamentare la globalizzazione, in modo da consentire lo sviluppo delle libertà e del rispetto per l’altro.

In questo nostro intervento, intendiamo realizzare un percorso simile a quello di Attali, dunque analizzare quella è stata la storia economica e sociale del mondo calcistico dal dopoguerra ad oggi, focalizzandoci su quei paesi che, per varie ragioni, definiamo Cuore dell’Ordine Mercantile, per poi delineare quelli che possono essere gli scenari futuri per il calcio, attenendosi a quella che è la prospettiva più probabile, ovvero il sorgere di un Iperimpero.

Prima di procedere con la nostra analisi, è bene specificare il significato di “Cuore” dell’ordine Mercantile secondo Attali: “Una città diventa cuore se la sua classe creativa è in grado, meglio di qualunque altra, di mettere insieme i mezzi per trasformare un servizio in prodotto industriale. Per far questo deve controllare il capitale, stabilire i prezzi, accumulare i profitti, avere nelle proprie mani i salari, dispiegare un esercito, finanziare gli esploratori, sviluppare un ‘ideologia che assicura il proprio potere. Ogni cuore assume allora il controllo, all’interno e all’esterno, delle risorse energetiche più efficaci e dei mezzi di comunicazione più rapidi. Banchieri, artisti, intellettuali, innovatori vi apportano il proprio denaro, costruiscono palazzi e tombe, dipingono i ritratti dei nuovi padroni del mondo, guidano i propri eserciti... La forma mercantile dura così a lungo che il cuore riesce a mettere insieme abbastanza ricchezze da poter controllare il centro e la periferia. Comincia a perdere terreno quando il cuore è costretto a consacrare troppe risorse per mantenere la pace interna per proteggersi da uno o più nemici esterni…. Ogni nuovo Cuore concentra sempre maggiori ricchezze in un numero ristretto di mani, accorda libertà sempre più ampie ai cittadini e ai consumatori e fa conoscere allo stesso tempo ai lavoratori alienazioni sempre più grandi.”

Nella nostra analisi, per essere definito un “Cuore” il movimento calcistico di una nazione, principalmente deve essere in grado di attrarre i principali talenti stranieri sulla scena internazionale. I club devono essere sorretti dalle grandi società oppure dallo stato e quelli più ricchi genereranno una elite che domina sulla scena nazionale, ed eventualmente internazionale. Inoltre deve essere attrattivo in modo che vi confluiscano i principali investitori esteri, sotto forma di sponsor o nuovi proprietari. La capacità di innovare le strategie di marketing, le proprie infrastrutture e tecnologie, espandere il proprio prodotto sui mercati globali sono caratteristiche che diventeranno fondamentali a partire dagli anni ’80 con l’avvallamento degli sponsor di maglia e successivamente negli anni ’90 con l’avvento della legge Bosman e con l’emergere della scena calcistica professionistica in America e nei paesi asiatici. Ogni nuova forma di Cuore Mercantile tenta di accumulare un numero sempre maggiore di ricchezze e di distribuirle nelle mani di pochi in modo da creare un elite, e vede prevalere costantemente la forza del capitale sui concetti di tradizione e cultura.

L’Ordine Mercantile calcistico segue alcune costanti geopolitiche, che vedono l’Europa come centro della grande industria calcistica e dell’entertainment. L’America Latina e l’Africa sono terre ricche di talenti “risorse”, ma il cui apparato non riesce ad emergere, nel continente nero per la povertà della sua terra, in Sud America per la dilagante corruzione che hanno reso il calcio di Brasile e Argentina teatro principale dell’economia parallela dei Fondi di Investimento. Per quanto concerne invece l’Asia e il Nord America, questi sono i continenti che dispongono delle principali ricchezze, che riversano sul prodotto europeo.

La nostra storia dell’Ordine Mercantile parte dalla Spagna Franchista, per poi spostarsi in Italia, fino alla chiusura delle frontiere avvenuta nel 1966. Da quel momento, fino a metà degli anni ’70, vi è un periodo senza Cuore Mercantile, nel quale verranno sottolineate le innovazioni culturali ed economiche apportate dall’Olanda e dalla Germania. In seguito, l’Inghilterra diventerà per la prima volta il Cuore, con l’ingresso dei capitali stranieri, ma tale Ordine durerà poco e l’Italia tornerà al centro della scena fino all’inizio degli anni ‘2000, dove la Patria del Football e la Premier League, la faranno da padrone in un mercato oramai ampiamente globalizzato… fino alla fine dell’Ordine Mercantile e del calcio come lo abbiamo sempre conosciuto.

1953-1960: la Spagna franchista

Il primo Cuore Calcistico che prendiamo in considerazione è la Spagna a partire dal 1953, anno che segna l’approdo di Alfredo Di Stefano al Real Madrid. In quegli anni il calcio spagnolo era meta di approdo dei migliori talenti del calcio internazionale, si imponeva grazie ai Los Blancos in campo europeo ed era un mezzo attraverso il quale una forma di governo non democratica cercava di costruirsi un’immagine alternativa.

Non è la prima volta che il calcio viene utilizzato da un regime per legittimare e rafforzare la propria immagine, negli anni ’30 lo aveva fatto l’Italia con l’organizzazione della Coppa del Mondo nel 1934 e la Germania Nazista con le Olimpiadi del 1936. Modi di agire simili si ripropongono in modo costante nel tempo. Madrid negli anni ’50 era il cuore economico, politico e culturale della Spagna e dunque il Real nell’ideale di Franco doveva essere lo strumento attraverso il quale manifestare la forza della Spagna, anche grazie ai numerosi trionfi Europei.

A partire dal 1956, alla prima edizione della Coppa Campioni, il calcio europeo parlava spagnolo, con il Real Madrid che vinse le prime cinque edizioni ponendo quindi la squadra del Generale sul tetto d’Europa. L’apice del successo venne raggiunto il 30 maggio del 1957, nella finale giocata e vinta a Madrid contro la Fiorentina per 2-0 di fronte a 124mila spettatori. Al di la dei trofei, il calcio spagnolo era terra d’approdo dei migliori talenti del calcio internazionale nonostante le stringenti limitazioni nel tesseramento di giocatori stranieri. Le regole furono aggirate da Real Madrid e Barcellona, che naturalizzarono la maggior parte delle nuove stelle. Dei migliori giocatori di quel periodo, Di Stefano, Puskas e Kubala vestirono la maglia della nazionale spagnola. Anche la questione della naturalizzazione si ripresenterà negli anni a venire, in particolar modo con le nazionali arabe e asiatiche che abusano di tale pratica per accelerare il proprio sviluppo calcistico.

La Spagna non poteva certo considerarsi il Cuore Economico dell’Europa, in quanto vessava in una situazione di arretratezza al termine della Seconda Guerra Mondiale. Una lenta ripresa economica dopo anni di decremento iniziò nel 1951, anche se la parola progresso non si confaceva alla Spagna franchista, nelle quali le riforme erano spesso ostacolate dall’inefficienza della classe dirigente, dalla burocrazia e soprattutto dalla corruzione. La svolta in quegli anni avvenne nel 1953, quando il regime siglò Il patto di Madrid con gli Stati Uniti per l’installazionie di basi militari in cambio di cospicui aiuti economici.

Il grande ciclo del calcio spagnolo si chiuse all’inizio degli anni ’60, quando furono i portoghesi del Benfica a battere in finale di Coppa Campioni prima il Barcellona e successivamente il Real Madrid. Intanto, sempre nel Mediterraneo, l’Italia aveva costruito le basi per diventare il nuovo epicentro del calcio europeo.

1961-1966: Il Miracolo Economico Italiano

Negli anni ’60 l’Italia stava attraversando una crescita economica fra le più rapide e sorprendenti di Europa tanto che il decennio che va dal 53 al 63 è meglio conosciuto come “Il Miracolo Economico Italiano”. All’inizio degli anni ’50 l’Italia era un paese nel quale l'agricoltura assorbiva il 44% degli occupati. Solo nel 1958 avvenne il sorpasso da parte dell'industria mentre nel 1960 il terziario era il settore che contava la maggior percentuale degli occupati il che permise all’Italia di strutturarsi come le società avanzate d’Europa.

Come nel caso della Spagna, anche l’Italia non rappresentava l’epicentro economico dell’Europa, ma fu proprio il nostro paese a imporsi in ambito calcistico. Si può affermare che in quegli anni il Cuore Pulsante del calcio europeo si trovava a Milano. Se a Madrid era il Regime il motore economico del calcio, in Italia la forma di governo aveva lasciato il posto ai media e al cinema per il Milan e all’industria petrolifera per l’Inter. Da una parte l’entertainment, dall’altra materie prime ed energia, i pilastri economici della società avanzata che hanno reso grande il derby della Madonnina.

Al tempo il presidente del Milan era Andrea Rizzoli, figlio del fondatore della Rizzoli Editore, il più grande gruppo editoriale d’Italia, coinvolto anche nel settore dell’industria cinematografica con la casa di produzione Cineriz, nel 1960 ha prodotto La Dolce Vita di Fellini. L’Inter invece dal 1955 era presieduta da Angelo Moratti, fondatore della Saras, un gruppo industriale attivo nella raffinazione del petrolio e nell'energia. Quello della Grande Inter è stato uno dei primi esempi di squadre allestite con i soldi del settore energetico, oggi è molto comune osservare questo tipo di connubio se pensiamo agli imprenditori russi come Abramhovic e Rybolev, la Gazprom, oppure il PSG e il Manchester City, di proprietà rispettivamente di un fondo emiro e qatariota. Il settore delle materie prime e dell’energia detta l‘andamento dell’economia di un paese e anche del settore calcistico.

Entrambe le squadra in quegli anni vinsero tre edizioni della Coppa Campioni ed attraevano i principali talenti del calcio mondiale: i rossoneri il brasiliano Josè Altafini (poi naturalizzato) e il Golden Boy sotto la guida di . L’Inter invece aveva ingaggiato l’allenatore argentino , fra i migliori in assoluto sulla scena internazionale, lo spagnolo Luis Suarez del Barcellona e il campione del mondo con la nazionale brasiliana Jair. Non erano solo le due squadre di Milano ad annoverare talenti di primissimo ordino, ma anche il Torino con Denis Law, il Bologna con il danese Harold Nielsen e la Juventus con Omar Sivori. Il record per il trasferimento più caro fu infranto per due volte, nel 1960 con il passaggio di Gianni Rivera dall’Alessandria al Milan e nel 1963, con il passaggio del centrocampista offensivo Jürgen Schütz dal Torino alla Roma.

La Spagna quando ha ceduto il posto di “Cuore” del calcio europeo non è calata drasticamente, tanto che Barcellona e Real Madrid continuano ad essere due punti di riferimento per il continente. In Italia il passaggio di consegne è molto più drastico: dopo la disfatta del mondiale in Inghilterra la Lega Nazionale Professionisti chiuse le frontiere proibendo l’ingaggio di calciatori stranieri. La crisi non si manifestò immediatamente, tanto che il Milan vinse una seconda Coppa Campioni nel 1969 mentre Inter e Juventus furono vittime del grande Ajax in finale. La Vecchia Signora nel 1968 fece segnare un nuovo record globale per l’acquisto di un calciatore, per forza di cose italiano, , nel 1968 per 650 milioni di lire. La Decisione della LNP si rivelò essere scellerata negli anni successivi, provocando una profonda crisi nel sistema calcistico italiano, che scivolò, nella stagione 1981-1982, al dodicesimo posto nel ranking europeo. In un mercato globalizzato come quello del calcio, chi decide di chiudere le frontiere e limitare le influenze straniere è destinato a un netto decremento nel lungo termine.

1967-1977: Cultura ed Economia-Le rivoluzioni di Olanda e Germania

Fino alla metà degli anni ’70 vi è un periodo di mezzo, nel quale nessuna nazione riesce ad imporsi come il Cuore dell’Ordine Mercantile, ma possiamo focalizzare la nostra attenzione su due centri molto importanti che hanno scritto la storia in quel periodo storico: l’Olanda e la Germania, mentre in secondo piano appaiono l’Inghilterra e la Spagna che in questo breve periodo fanno segnare i record per l’acquisto delle prestazioni di calciatori.

Il calcio olandese diviene professionistico solo nel 1954 e negli anni ’60 e ’70 si impone con Feyenoord e Ajax che dominano in campo europeo, apportando un grande cambiamento culturale nel modo di intendere il gioco, tanto che si inizia a parlare di “Calcio Totale”. L’Olanda degli anni ’60 e ’70 può considerarsi senza ombra di dubbio il centro culturale dell’avanguardia calcistica, rappresentata dal numero 14 Johann Cruijff, ma non certamente il centro economico, in quanto i club non attraggono i principali talenti stranieri in circolazione come avevano fatto precedentemente il Real Madrid e le due squadre di Milano.

Come racconta Simon Kuipfner nel libro “Ajax, la squadra del ghetto” i lancieri erano finanziati da Maup Caransa, multimilionario uomo d’affari ebreo in onore del quale durante quegli anni il club era soprannominato Caransajax. Fondamentali per l’ascesa dell’Ajax non furono solo gli impresari ebrei, ma anche uomini d’affari che erano stati collaborazionisti nei confronti dei tedeschi in guerra come i fratelli Freek e Wim van der Meijden, noti anche come i costruttori di bunker. Nonostante i grandi sforzi economici, Simon Kuipfner nel suo libro sottolinea il fatto che la grande industria era ancora lontana dal mondo del calcio: “Negli anni sessanta le grandi banche e le compagnie quotate in borsa erano sicuramente troppo eleganti per buttarsi nel mondo del calcio, ma a Caransa e a quelli come lui piaceva buttare soldi nell’Ajax”.

La fine del grande ciclo del calcio olandese ha combaciato con la cessione di Johann Cruijff dall’Ajax al Barcellona per 6 milioni di guilders (moneta olandese). I catalani battevano così il record stabilito dall’Arsenal che nel 1971 si era aggiudicato le prestazioni di Alan Ball, campione con l’Inghilterra nel 66, prelevato dall’Everton per 220 mila sterline.

A metà degli anni ’70 le nostre attenzioni si spostano in Germania dell’Ovest, ma non tanto per quel che riguarda i Mondiali del 74 o il dualismo fra Borussia M’Gladbach e Bayern Monaco, con i trionfi europei di quest’ultimi. L’opera letteraria German Football: History, Culture, Society ci dice infatti che le due squadre erano la perfetta rappresentazione delle aree nelle quali vivevano e che il concetto di fanbase a livello nazionale per le due potenze si stava lentamente sviluppando. Non fu la rivalità fra Gunter Netzer e Frank Beckenbauer il simbolo della rivoluzione tedesca, ne Wilhelm Neudecker l’impresario nel ramo dell’immobiliare presidente del Bayern Monaco, bensì Gunter Mast, il direttore della Jagermeister.

In quegli anni la Federazione Tedesca era una struttura prettamente amatoriale e aveva sbarrato completamente la strada a qualsiasi tentativo di sponsorizzazione, secondo le regole vigenti sulle maglie da gioco era ammesso solamente il marchio della squadra e fu proprio questo cavillo che permise il primo connubio fra la società Jagermaister e l’Eintracht Braunschweig: il club sostituì il proprio logo con quello della società di Gunter Mast aggirando le regole in cambio di 100mila marchi tedeschi. Questo accadeva nel 1973 e la stagione successiva la Federazione tedesca fu costretta ad una apertura totale agli sponsor con Duisburg, Amburgo, Dusseldorf e Francoforte che furono i primi ad avvalersi di questa nuova forma di business nel mondo del calcio.

E’ proprio grazie ad una squadra che oggi milita nella seconda divisione tedesca che è cominciata una vera e propria rivoluzione economica e culturale nel settore calcistico. Prima d’allora le squadre di calcio rappresentavano il proprio territorio, vi era un profondo radicamento nel tessuto sociale ed erano anche identificative delle condizioni di alcune classi. Con l’avvento degli sponsor le cifre sarebbero cresciute anno dopo anno rendendo il calcio un elemento puramente economico nel quale l’elemento relativo alla tradizione e alla cultura si perde gradualmente dovendosi reinventare ad ogni ondata, presentandosi sotto nuove forme sempre più deboli. Negli anni a venire sarà sempre maggiormente presente il connubio fra squadra di calcio, grande impresa e sponsor. La Germania è stato il sistema precursore della nuova forma economica del calcio, la quale si consolida come tale in Gran Bretagna dettando successivamente il trend per gli anni a venire.

Negli anni ’70 nuove forme di governo non democratiche in Sud America tentano di legittimarsi attraverso l’ausilio del calcio: nel 73 il Cile del generale Pinochet gioca una non partita contro l’Urss conquistando la qualificazione ai mondiali tedeschi, mentre nel 1978 l’Argentina organizza il mondiale in casa. Nello scenario della Guerra Fredda i movimenti calcistici dei regimi di matrice statunitense in America Latina sono appoggiati dalle istituzioni calcistiche, in particolar modo dalla Fifa.

1977-1985: I capitali stranieri arrivano in Inghilterra

Dopo varie battaglie fra club e federazione, nella stagione 1977-1978 si decise per i club inglesi di autorizzare la pratica per lo sponsor di maglia. Nel 1979 il Liverpool firmò un contratto di sponsorizzazione con la giapponese Hitachi per 100mila sterline. Secondo il tasso vigente all’epoca, si trattò di una sponsorizzazione 3.8 volte maggiore di quella siglata dall’Eintracht Braunschweig qualche anno prima. Tale record sarebbe poi stato frantumato dall’Arsenal due anni più tardi, con i gunners che firmarono con un altro gigante dell’elettronica, la JVC per 500mila sterline. L’allora presidente Peter Hill-Wood si era mostrato molto reticente sull’ingresso di sponsor nel mondo del calcio, in quanto temevano che avrebbero minato il concetto di identità.

In Inghilterra non vi erano ancora le proprietà straniere che ben conosciamo oggi, ma il campionato all’inizio degli anni ’80 divenne meta d’approdo per i capitali stranieri nell’ambito del jersey sponsor: anche il Manchester United firmò con un gigante dell’elettronica giapponese, la Sharp, mentre i cugini del City con l’olandese Philips. Chi accolse capitali giapponesi fu anche lo Stoke City con la Ricoh. Altre sponsorizzazioni rilevanti dal punto di vista economico e per la durata del rapporto furono quelle che riguardavano Tottenham con la tedesca Holsten, il Southampton con l’americana Rank Xerox e il Watford con la Iveco. Addirittura il Chelsea nel 1984 aveva raggiunto un accordo con la Gulf Air e le intenzioni originarie erano quelle di fare dei Blues una meta di approdo per i migliori giocatori delle monarchie del Golfo. Il tutto però si risolse con una amichevole giocata a Baghdad alla presenza di Saddam Hussein.

Con l’arrivo degli sponsor nel mondo del calcio le spese crescono rapidamente, ma le squadre in tutta Europa continuano ad annoverare un’ampia rappresentanza di giocatori locali date le restrizioni vigenti all’epoca, ai quali si aggiungono stranieri, solitamente provenienti da paesi limitrofi. Le squadre inglesi si circondano principalmente dei campioni provenienti dalla Scozia, i più rappresentativi furono Kenny Daglish, passato dal Celtic al Liverpool per 425mila sterline, Asa Hatford dal Manchester City al Nottingham Forest per oltre 500mila sterline, ma soprattutto l’attaccante centrale Andy Gray, che si trasferì dall’Aston Villa al Wolverhampton nel 1979 per tre milioni di sterline siglando così un nuovo record mondiale (anche se il giocatore non avrebbe inciso come ci si aspettava). Il record assoluto di spese in una sessione di mercato fu raggiunto però nella stagione 81/82, con l’equivalente odierno di 15 milioni di euro immessi sul mercato, i club che spesero maggiormente furono Manchester United (3.34 milioni) e Liverpool (2.35 milioni).

Dopo l’era di successi del calcio olandese e di quello tedesco, alla fine degli anni ’70 tocca alle inglesi dominare in ambito europeo. Dalla stagione 76/77 fino all’81/82 vincono la Coppa Campioni Liverpool, Nottingham Forest e Aston Villa. I Reds trionferanno anche nel 1984 a Roma, mentre l’anno successivo perderanno in Belgio contro lo Juventus decretando la squalifica delle squadre inglesi da tutte le competizioni internazionali a causa del disastro dell’Heysel. Quella finale siglò la fine del primo cuore Mercantile inglese data l’esclusione dalle manifestazioni europee per cinque anni e il nuovo affermarsi dell’Italia a partire dall’acquisizione del Milan da parte di .

Nel frattempo il calcio professionistico fra gli anni ’60 e ’80 giunge in America con la creazione della North American Soccer League (NASL), la quale ha cominciato il proprio percorso di crescita in maniera esponenziale con gli arrivi di Pelè e Beckenbauer ai New York Cosmos. La crescita delle spese nel sistema calcistico americano era però molto più alta dei ricavi e questo porto portò al collasso del sistema e alla cessazione della NASL nel 1984. Tre anni prima, complessivamente i 24 club partecipanti avevano collezionato perdite pari a 30 milioni di dollari e già nell’82 il numero di franchigie era calato a 14 per poi ridursi a 9 l’ultimo anno. Esempi sulla falsa riga della NASL si ripeteranno in futuro, ma con conseguenze meno drastiche, come il movimento russo e quello cinese. Entrambi dopo aver tentato il Grande Balzo per spostare il baricentro economico del calcio sono stati costretti a ridimensionare le proprie aspettative per poi basarsi su una crescita maggiormente sostenibile.

1986-2003: Gli anni di gloria del calcio italiano

Dopo un periodo di forte crisi dato dalla chiusura delle frontiere in ambito calcistico nel 1966 a seguito del disastroso mondiale inglese, il campionato italiano era entrato in una profonda crisi, amplificato dallo scandalo scommesse all’inizio degli anni ’80. L’intero movimento si riaffermò sulla scena internazionale con l’inaspettata vittoria dei Mondiali di Spagna nel 1982 e si sarebbe ripreso il titolo di “Cuore Mercantile” subito dopo l’esclusione dei club inglesi nel 1985 e l’acquisto del Milan da parte di Silvio Berlusconi, prima imprenditore nel ramo del real estate, poi in quello televisivo e successivamente presidente del consiglio italiano. Berlusconi ha rappresentato nel corso della sua storia da presidente del Milan i vari motori dell’industria economica calcistica.

Anche l’Inter aveva cambiato proprietà, nel 1984 Ernesto Pellegrini, fondatore della Organizzazione Mense Pellegrini rilevò i nerazzurri, mentre il Napoli era finito nelle mani di Corrado Ferlaino, figlio di imprenditori e magistrati, fu lui a portare Maradona in Italia facendo siglare il nuovo record mondiale per il trasferimento di un giocatore. Altra realtà molto importante in quegli anni era la Sampdoria, la quale era riuscita nell’impresa di risalire le gerarchie del calcio italiano grazie al suo presidente Paolo Mantovani, uno dei principali petrolieri italiani negli anni ’70 e ’80. Mantovani portò i blucerchiati a vincere lo scudetto della stagione 90/91, per poi disputare la finale di Coppa Campioni quella successiva.

Le frontiere erano state riaperte all’inizio degli anni ‘80 e l’Italia si poneva come il mercato maggiormente attrattivo per i campioni stranieri e per gli sponsor. Il Milan di Berlusconi trovò l’ingaggio dei tre olandesi: Van Basten, Rijkaard e Gullit, l’Inter i vari Rummenigge, Matthaeus, Klinsmann e Brehme, il Napoli il già citato Maradona e la Juventus, sempre di proprietà della Famiglia Agnelli già nel 1982 aveva trovato l’ingaggio di Platini, mentre l’Udinese addirittura era riuscito ad accogliere una star internazionale come Zico. Il ritorno dei grandi volti in campo internazionale aveva attratto anche gli sponsor che si affrettarono a porre il loro logo sulle maglie dei club (nella stagione 1984/85 il valore dei jersey sponsor ammontava a 35 milioni di euro attuali). I club italiani tornarono a dominare in Europa: la Juventus vinse la sua prima Coppa Campioni nell’85 nella tragica notte dell’Heysel, ma gli anni ’80 sono ricordati principalmente per il Milan di Sacchi che vinse due edizioni consecutive della Coppa Campioni.

Nel 1990, l’edizione della Coppa del Mondo si tiene nello stesso paese che definiamo “Cuore dell’Ordine Mercantile”. Questa edizione del Mondiale presentò varie innovazioni tecnologiche, ma fu anche il Mondiale nel quale già si annunciava la fine dell’Ordine Mercantile italiano. Il costo del mondiale è salito fino a 7mila milardi di vecchie lire, e solo nel dicembre del 2015 sono stati ultimati i pagamenti. In Italia ’90 possiamo capire quelle che sono le cause che provocheranno la fine dell’Ordine Mercantile: l’incapacità di compiere innovazioni a livello gestionale e l’incapacità di produrre degli utili. Ancora oggi infatti possiamo osservare in varie parti d’Italia quella che è l’eredità dei Mondiali del 1990: strutture da buttare e cantieri ancora aperti che non trovano più finanziamenti.

Gli anni ’90 sono caratterizzati da cambiamenti epocali, lo sfaldamento dell’Urss, la nascita delle PayTV, la Legge Bosman e la nuova formula della Coppa Campioni. La fine della Guerra Fredda e lo sfaldamento di buona parte del blocco sovietico hanno un notevole impatto sul calcio dell’est Europa, in primis la Jugoslavia, con i vari club che progressivamente non riescono più a star dietro ai costi di un calcio sempre più globalizzato e sono costretti a lasciar partire i migliori talenti verso l’Europa Occidentale. Emblematico il passaggio di molteplici giocatori appartenenti ai club della Germania dell’Est verso quelli dell’Ovest a seguito della caduta del Muro di Berlino. Il potere e l’economia del calcio progressivamente si concentrano ad ovest.

Il protagonista della svolta televisiva in Italia è il presidente del Milan Silvio Berlusconi. Nel 1990 il Parlamento italiano approva la Legge Mammì sulla regolamentazione del settore televisivo. La società Telepiù controllata da Silvio Berlusconi, Vittorio Cecchi Gori, il tedesco Leo Kirch e altri soci ottiene tre concessioni televisive per una piattaforma televisiva a pagamento. In tal contesto l’Italia arrivava con qualche anno di ritardo rispetto al sempre florido del mercato inglese che si era rinnovato con la nascita delle Premier League e un accordo commerciale con Sky, mentre il campionato francese era trasmesso, sempre a pagamento, su Canal+.

Nel 1995 il Mondo del Calcio viene stravolto dalla Sentenza Bosman che segna un nuovo modo di rapportarsi a questo sport. Prima d’allora i giocatori erano distinti fra nazionali e stranieri, ma dopo la Sentenza Bosman la distinzione cambiò radicalmente con l’introduzione dei concetti di Comunitario e Extracomunitario. La questione originaria riguardava però il calciatore belga Jean Marc Bosman, il quale, nonostante la scadenza del contratto con l’RFC Liegi, rimaneva di proprietà del club belga, il quale non era intenzionato in alcun modo a svincolarlo. Fu necessario l’intervento del tribunale comunitario per decretare che quella disciplina del rapporto di lavoro era schiavista, e da li nacque il calciomercato che oggi conosciamo.

La paventata ipotesi di una Superlega fra le migliori società europee spinse nel 1999 l'UEFA a ridisegnare l'intero impianto delle sue coppe. La porta della Champions League venne aperta anche alle terze classificate delle sei principali federazioni e alle quarte classificate delle migliori tre, divenendo in questo modo, meno inclusiva. Negli anni ’90 l’Italia fa incetta di trofei, il Milan di Berlusconi vinse nella stagione 94/95, la Juventus due anni più tardi. La Lazio fece sua l’ultima edizione della Coppa delle Coppe nella stagione 98/99, mentre fra il 1988 e il 1999 alzarono la Coppa Uefa Juventus (due titoli), Parma (due titoli), Inter (tre titoli) e Napoli (un titolo).

I successi del calcio italiano non erano però sostenibili dal punto di vista economico. Il record per l’acquisto più caro su infranto per ben tre volte, nel 1992 con Vialli alla Juventus, nel 97 con Ronaldo all’Inter e due anni più tardi Vieri sempre ai nerazzurri. Il Milan nonostante le perdite era sorretto dagli introiti delle televisioni e dei media, oltre che ad essere diventato uno strumento politico. L’Inter era tornata nelle mani della famiglia Moratti, quindi sorretta dal settore energetico e del petrolio, mentre la Juventus era sempre nelle solide mani della Famiglia Agnelli, con alla presidenza Vittorio Chiusano, in uno dei migliori periodi della storia bianconera. Ma per tutte le altre squadre, i costi del calcio si erano fatti decisamente troppo elevati: Corrado Ferlaino aveva lasciato la presidenza del Napoli a inizio anni duemila il che segnò un periodo di forte crisi per i partenopei che scivolarono lentamente nell’anonimato. Il Parma e la Lazio furono travolte da terremoti finanziari con i crac di Parmalat di Tanzi e della Cirio di Cragnotti. La sorte peggiore toccò alla Fiorentina di Cecchi Gori che nel 2002 dovette ripartire dalle serie minori per fallimento finanziario.

Il giocattolo italiano si era oramai rotto a causa della incapacità di rinnovarsi e di spese che erano oramai schizzate alle stelle. L’ultimo acuto dell’Ordine Mercantile italiano fu la finale di Manchester fra Milan e Juventus vinta dai rossoneri. Il Cuore dell’Ordine Mercantile sarebbe rimasto in Inghilterra.

2003-Oggi: La globalizzazione della Premier League

Negli anni ’90 il calcio Mondiale era radicalmente cambiato: gli Stati Uniti dopo il fallimento della NASL erano tornati sulla scena internazionale ospitando un Mondiale nel 1994 riscuotendo un gran successo di pubblico. Sempre a metà degli anni ’90 si creano in Giappone, Cina, Thailandia, Sud Corea e Singapore le Leghe professionistiche, il calcio in Asia cresce esponenzialmente e contemporaneamente anche l’interesse del pubblico. Quelli orientali diventeranno i principali mercati per l’espansione del marketing del prodotto calcistico in quanto sono i più redditizi. In Asia si svolge anche il primo Mondiale nel 2002 nell’edizione di Corea e Giappone.

Proprio da Oriente arrivano la maggior parte dei capitali che ridisegnano il calcio degli anni 2000 e la maggior parte di questi confluiscono in Inghilterra. I primi ad entrare a gamba tesa nel calcio europeo sono stati i russi, il cui massimo esponente è Roman Abramovich che nell’estate del 2003 ha acquistato il Chelsea per 60 milioni di sterline. Uomo di poche parole, si è arricchito negli anni 90’ nel settore energetico con la compagnia petrolifera Sibnfet, subito dopo la liberalizzazione dei mercati lanciata da Gorbachiov. Al suo primo anno di presidenza, Abramovich non ha badato a spese immettendo sul mercato 167 milioni di euro. Dal passaggio di proprietà ad oggi, il Chelsea ha speso più di 1.4 miliardi di euro in operazioni di mercato. Lo stesso campionato russo emerse la stagione successiva all’ingresso di Abramovich, le spese furono consistenti fino al 2011, quando la crisi economica all’interno del paese costrinse l’industria calcistica a un netto ridimensionamento. L’unica squadra che continua a investire è lo Zenit di Sanpietroburgo, di proprietà della Gazprom. Ma per l’intero progetto russo ci si avvia verso il declino, emblematico è il caso dell’Anzhi di Kerimov. Il calcio russo è stato tralasciato per ovvie ragioni dagli impresari, il campionato locale infatti non è mai stato fonte di guadagno per le squadre a fronte di ingenti investimenti: poche sponsorizzazioni e diritti televisivi ridotti al minimo. Solo Abramovich e pochi altri resistono alla progressiva crisi del calcio nell’ex Unione Sovietica, che avrà il difficile compito di ospitare i mondiali nel 2018.

Se la Premier League negli anni ’80 vedeva l’ingresso dei grandi sponsor stranieri provenienti dal Giappone, negli anni duemila invece giungono imprese estere a rilevare quote di maggioranza dei club, in quanto la Premier League è il prodotto più popolare in tutto il mondo, in particolar modo nei mercati asiatici, ma soprattutto quello maggiormente redditizio dato l’incremento esponenziale dei diritti TV che dalla stagione 2016 supererà i 3 miliardi di dollari. Nella stagione 2016 dopo l’acquisto del West Bromwich Albion da parte del cinese Guochan Lai il numero di squadre in Premier League controllate da capitali stranieri era salito a quindici.

La seconda ondata di capitali che investe il calcio europeo è quella proveniente dal Medio Oriente, in particolar modo con gli emiri del Manchester City e i qatarioti del Paris Saint Germain che alzano ancora di più l’asticella del mercato. L’influenza araba è iniziata nel 2008, quando il cugino di Al Khelaifi, ovvero Mansur bin Zayd Al Nahyan, primo ministro degli Emirati Arabi Uniti, acquistò il Manchester City per 210 milioni di sterline. L’operazione è stata realizzata con il fondo Abu Dhabi Investment Group, e da allora il calciomercato ha cambiato radicalmente il proprio volto Nella stagione 2007/2008, gli acquisti che superavano la fatidica cifra di 30 milioni di euro furono solamente quattro, di cui il più caro fu realizzato dal Liverpool per 35 milioni. Ad oggi tali cifre sono state nettamente superate e nella sessione estiva 2015/2016 gli acquisti effettuati per oltre trenta milioni sono stati ventuno. L’ulteriore dimostrazione del potere Arabo è avvenuta nel 2010, quando a Zurigo si è votato per l’assegnazione dei Mondiali 2018 in Russia, e quelli del 2022 in Qatar. Anche in questo caso parliamo di un paese con una forma di governo non democratica che tenta di porsi sui mercati internazionali mediante la forza attrattiva del calcio. Altra innovazione molto significativa riguarda la creazione di franchigie, nonché delle squadre in provetta sia da parte del City Football Group, ma ancora prima nel 2005 con la Red Bull nel campionato austriaco.

Con il grande aumento degli introiti nel calcio, erano aumentate anche le spese e l’indebitamento, per questo Platini vara il Fair Play Finanziario, una misura economica volta a ridurre le perdite nel settore calcistico, non permettendo ai club di spendere più di quello che guadagnano. Nonostante le critiche emerse recentemente con i casi Neymar e Mbappe acquistati dal Paris Saint Germain nell’estate del 2017 per cifre assolutamente fuori da qualsiasi logica di mercato, il FPF voluto da Platini è certamente riuscito nel suo intento originale, ma contemporaneamente ha allargato enormemente la forbice economica che separa i club di prima fascia da tutti gli altri. Il calcio diviene ancora più elitario.

I costi del mercato sono saliti esponenzialmente, nel settembre del 2013 è stato superato il tetto dei 100 milioni di euro con il passaggio di Gareth Bale dal Tottenham al Real Madrid. Sarà necessario aspettare tre anni perché il record degli spagnoli venga battuto, questa volta da una squadra inglese, il Manchester United, che ha sborsato 106 milioni di euro per ingaggiare Paul Pogba dalla Juventus. Il 3 agosto del 2017, inaspettatamente viene superato addirittura il muro dei 200 milioni di euro con l’ingaggio di Neymar dal PSG, più per motivi politici che sportivi.

Il campionato inglese negli ultimi anni è stato quello che ha sempre investito i maggiori capitali nel calciomercato, superando quota un miliardo nel 2015. Questo è fatto è reso possibile da investitori e sponsor che iniettano denaro a ripetizione nella Premier League: i diritti televisivi della Premier League hanno superato addirittura i tre miliardi di euro all’anno e a partire dalla stagione 2018/19 giungeranno ben 600 milioni dalla sola Cina, una squadra come lo United solo dall’Adidas riceve circa 100 milioni di euro all’anno, mentre il Chelsea circa 60 milioni dalla giapponese Yokohama che funge da jersey sponsor. Questo fatto ha permesso al tanto decantato Leicester, fatto passare come favola, di diventare la 26ma squadra per fatturato al mondo l’anno che, a sorpresa, ha vinto la Premier League.

L’avanzata dell’Inghilterra si è manifestata anche nel corso delle Olimpiadi di Londra del 2012, con un ulteriore rinnovamento infrastrutturale: il West Ham ha lasciato lo storico Boleyn Ground per accasarsi al nuovissimo Stadio Olimpico, il Chelsea ha in mente di rinnovare Stamford Bridge, mentre il Tottenham è pronto ad inaugurare un nuovo impianto ipermoderno. Le Olimpiadi inglesi sono state un esempio decisamente virtuoso dato che, oltre a infrastrutture sportive pubbliche, e numerosi edifici, hanno anche lasciato in eredità alla città una nuova imponente stazione ferroviaria e migliaia di posti di lavoro temporanei. Dunque, a differenza del già citato Italia ’90, che è stato il Mondiale dello Spreco, così come quelli brasiliani del 2014, a cui si aggiungono le Olimpiadi due anni più tardi, i Giochi Inglesi hanno ulteriormente rafforzato l’Inghilterra come Cuore dell’Ordine Mercantile.

I maggiori investimenti nel calcio inglese derivano dalla Cina, alla terza ondata di capitali orientali dopo quelli di Russia e Monarchie del Golfo. Dei 30 club di proprietà cinese nel mondo ben sette si trovano in Inghilterra: Southampton, West Bromwich Albion, Walverhampton, Aston Villa, Birmingham City, Northampton e infine una quota di minoranza del City Football Group. La maggior parte delle acquisizioni è giunta in rapida successione nel post Brexit, con i club situati nelle West Midlands, al fine di rafforzare i rapporti diplomatici fra Cina e Inghilterra dopo il referendum, dato che in quell’area la Repubblica Popolare detiene innumerevoli interessi economici e infrastrutturali.

In definitiva, al di la dei successi sportivi in ambito europeo (dalla stagione 2003/2004 ad oggi hanno vinto la Champions una volta a testa Liverpool, Manchester United e Chelsea, inoltre i club inglesi hanno disputato anche cinque finali perse, ma nessuna nelle ultime cinque edizioni), l’Inghilterra si è consolidata come indiscusso Cuore Mercantile del calcio, in quanto in grado di attrarre a se i principali talenti e investimenti esteri, che fanno di un club di metà classifica delle potenze economiche invidiabili. Eppure, negli ultimi anni si sono intraviste delle crepe nel concetto di Cuore Mercantile, per fattori politici ed economici che potrebbero presto stravolgere gli equilibri del calcio e renderlo una creatura completamente diversa da quello che abbiamo sempre conosciuto.

L’inizio della Fine per l’Ordine Mercantile

L’acquisto di Neymar da parte del PSG per oltre 200 milioni di euro ha rotto gli equilibri economici del mercato, dato che sono seguite acquisizioni folli. Come ha sottolineato l’ex presidente dell’European Club Association (ECA), Rumenigge, l’acquisto di Neymar è costato più dell’Allianz Arena, lo stadio nel quale milita il Bayern Monaco. Siamo giunti dunque al punto in cui le prestazioni di un singolo giocatore, che sono suscettibili a molteplici variabili (infortuni, momenti di non forma ecc…) valgono più di quelle di una infrastruttura sportiva di primo livello dal profitto assicurato.

I fatturati delle principali squadre europee secondo il ranking 2017 pubblicato dalla Deloitte evidenzia una netta concentrazione di capitali nelle mani di pochissime squadre: sei compagini vantano ricavi superiori ai 500 milioni di euro, mentre tre di queste, Real Madrid, Barcellona e Manchester United superano addirittura i 600 milioni di euro e sono sempre in costante aumento, questo si traduce in una disparità tecnica sempre più ampia sul campo, con i club di seconda fascia che non avranno mai la possibilità di trattenere i propri campioni e saranno sempre di più utilizzati come trampolino di lancio per giungere al cospetto delle Big del Calcio europeo e delle loro offerte sempre più eclatanti.

Il calcio rischia di diventare ancora più elitario, da qualche anno è tornato in voga il concetto di SuperLega, una manifestazione riservata solo a pochi facoltosi club che potrebbero lasciare per sempre i campionati nazionali e la Champions League. I maggiori promotori di questa iniziativa sono per lo più i club inglesi, che stanno anche cercando di ridiscutere la ripartizione dei diritti TV in Premier League, in modo da abbandonare una formula più o meno paritaria, in modo da concentrare a se le maggiori ricchezze. Un primo passo per accontentare i club è stato fatto con la riforma della Uefa del prossimo anno che vedrà qualificarsi quattro club per le prime quattro Federazioni del ranking. Negli ultimi anni si è parlato anche del concetto di World League, portato avanti dalla Dalian Wanda, la quale ad un certo punto con l’appoggio dell’ECA stava cercando di spodestare la Uefa, ma l’idea è morta sul nascere.

La crisi istituzionale, sia politica che calcistica, porterà alla fine del Cuore Mercantile. Le istituzioni calcistiche si sono progressivamente indebolite, la Fifa deve ancora smaltire le scorie del dopo Blatter e far fronte a continui episodi di corruzione al suo interno ed ora deve gestire la questione qatariota per il Mondiale del 2022. D’altro canto la Uefa si trova ad essere costantemente indebolita e messa in discussione dall’ECA, la quale cercherà di legittimarsi con la creazione di una Nuova competizione. Anche la crisi politica che sta attraversando il mondo contribuirà alla fine del Cuore Mercantile, l’Inghilterra infatti con la Brexit decreterà la propria fine di Cuore. Dunque si procederà con la creazione dell’IperImpero.

L’iperimpero

“Molti negli Stati Uniti e altrove, prevedono che la storia ormai non racconterà più nient’altro che la generalizzazione del mercato e poi della democrazia, all’interno delle frontiere di ciascun paese. E’ quello che chiamano ‘Fine della storia’”. Secondo Jacques Attali l’Ordine Mercantile non sarà più rappresentato da un Cuore, ma diventerà policentrico: “Una giustapposizione di un numero crescente di democrazie di mercato intorno a poche potenze dominanti”. Questo scenario, secondo lo scrittore, non durerà a lungo: “In seguito, nel drittofilo della storia, si ergerà un mondo completamente diverso, un mercato senza democrazia… Il mondo si unificherà intorno a un mercato divenuto planetario, senza stato e avrà inizio quello che chiamerò ‘l’iperimpero’, con la destrutturazione della democrazia, degli stati e delle stesse nazioni”. Attraverso le caratteristiche dell’Imperimpero, che prevedono non solo il trionfo del capitale sulla democrazia, ma anche sui concetti di cultura ed identità, cerchiamo di prevedere quelli che saranno gli scenari che caratterizzeranno il mondo del calcio.

-Dalla Champions League alla SuperLega: “Il capitalismo volgerà allora al termine, distruggerà tutto ciò che non è se stesso. Trasformerà il mondo in un immenso mercato dal destino scollegato da quello delle nazioni, svincolato dalle esigenze e dalle schiavitù di un cuore”. Già oggi possiamo parlare di un Ordine Policentrico nel calcio, nel quale l’Inghilterra è la principale potenza mercantile, seguita da Spagna e Germania. Questi tre stati rappresentano il fulcro del mercato europeo, mentre in secondo piano vi è la Francia, grazie al sempre maggior afflusso di capitali provenienti da est, e infine l’Italia, ancora alle prese con i suoi enormi problemi e totale assenza di capacità di rinnovarsi, che la porranno ancora molto a lungo come potenza secondaria. Nel medio lungo periodo potrebbero imporsi come centri economici e di entertainment di assoluta rilevanza globale sia gli Stati Uniti che la Cina, ma saranno molteplici le sfide culturali da vincere, soprattutto per il paese asiatico. Ad un certo punto la crescita degli introiti per i maggiori club sospingerà questi a creare un nuovo circuito calcistico, in quanto quello tradizionale non sarà più in grado di garantire una crescita costante dei ricavi, sarà in quel momento che la Uefa sarà ridimensionata e una nuova Federazione darà vita alla SuperLega, un campionato fra le principali squadre del panorama europeo. Le compagini che parteciperanno al circuito della Superlega inizialmente saranno in un numero ristretto (dalle 16 alle 20 squadre), e parteciperanno al campionato e alla Coppa di Lega, alcune di queste potrebbero ancora militare nei campionati tradizionali con una rappresentativa B. Questo scenario potrebbe prendere forma entro il 2025, ma la sua formula potrebbe variare nel giro di poche stagioni, con l’aumento di squadre, anche fondate ex novo da grandi gruppi industriali o magnati provenienti da Russia, Paesi del Golfo, le nuove potenze centro asiatiche e Sud Est Asiatico, il che potrebbe persino generare la creazione di due campionati le cui prime classificate si affronteranno in una fase a playoff le cui semifinali potrebbero ricalcare il modello delle Final Four della Eurolega di basket. Se gli altri continenti riusciranno ad evolvere l’industria calcistica, dopo il 2030 potremmo assistere alla creazione di World League, che coinvolgerà club europei, degli Stati Uniti e del Messico a occidente, mentre a oriente avremo alcune rappresentative di Cina, Australia e Giappone.

-Il nomadismo del calcio: Secondo Attali, il mercato non sarà più sedentario, non avrà più una dimora fissa, diventerà totalmente nomade: “Raggruppamenti provvisori di individui, organizzati sul modello dei circhi o degli studios cinematografici, riuniranno competenze e capitali attorno ad un uomo, una storia, un progetto. Terranno le loro rappresentazioni in luoghi continuamente diversi, la dove saranno i mercati. Il pubblico verrà attirato e consumerà i prodotti senza conoscerli in anticipo”. Il calcio attorno al 2040 potrebbe non avere più una dimora fissa, ma reinventarsi secondo il modello dei tornei tennistici: “Le grandi competizioni del calcio-secondo Attali- costituiranno importanti mercati per le imprese circo, organizzatrici di spettacoli”. Sorgerà una nuova Federazione che avrà in mano l’intero circuito globale dei tornei. Le rappresentative della Superlega o della World League, allora saranno impegnate tutto l’anno in tornei itineranti in varie parti del mondo, dove vi sarà la miglior offerta economica e risposta del pubblico. Eventi della durata di circa tre settimane con partite estremamente ravvicinate fra loro che si terranno in diverse città di uno stesso stato oppure più stati limitrofi. In un’altra opera di Jacques Attali, Lessico del Futuro, l’autore francese sostiene che cambieranno le regole del calcio e si farà in modo che sia possibile segnare più gol. Per ovviare alla nuova formula del calcio, in uno stadio potrebbero disputarsi più partite in un giorno, dalla durata di 60 minuti ciascuna, con regole che rendano il gioco decisamente più vivace e meno tattico come ad esempio l’impossibilità di passare la palla dietro la linea di metà campo, una volta che questa è stata superata, e l’introduzione del rigore in movimento ogni cinque falli, poi ogni quattro, ogni tre… e così via. In questo contesto, potrebbero sparire i club tradizionali od essere completamente irriconoscibili come vedremo in seguito, inoltre il mercato prenderà totalmente il sopravvento, con continui passaggi di giocatori da una formazione all’altra, senza che le operazioni siano vincolate da finestre. Potrebbero tornare le Third Party Ownership, questa volta sotto forma completamente legale, ovvero agenzie che detengono la proprietà economica di atleti e li cedono in affitto per un determinato periodo temporale ai vari club.

-Nessuna Identità: La Chinese Super League è profetica di quello che sarà la realtà delle squadre di calcio nel futuro, i loro loghi muteranno, così come i loro nomi e la loro sede, tutti gli elementi del club saranno nomadi e soggetti al cambiamento. I club cinesi sono soliti mutare logo ad ogni nuova proprietà, così come il loro brand name. La storia più eclatante è quella dell’attuale Beijing Renhe, club fondato nel 1995 a Shanghai, ha militato anche nel centro nord a Xi’an e nel sud ovest a Guiyang prima di giungere nella capitale, tutti spostamenti dettati da un cambio di proprietà e successivamente da interessi economici dettati dalla Renhe Commercial Holdings. La Federazione ha posto un limite alla pratica di cambiare sede nel 2016, ma questi scenari apparteranno al calcio di domani, inizialmente con i brand name che si diffonderanno. Come nel caso della Red Bull e del City Football Group si creeranno nuove franchigie e anche i club storici cederanno la propria identità e in un futuro non troppo lontano potremmo assistere a Milano ad un derby fra Inter Suning e Milan Fly Emirates. Con la creazione della SuperLega e della World League, mentre i vecchi club tenderanno a rimanere sedentari, quelli di nuova fondazione saranno nomadi e si accaseranno nella città/stato che riuscirà a stipulare la miglior offerta, inoltre saranno quelli soggetti ai principali mutamenti della propria identità. Il calcio diventerà un prodotto usa e getta, come le squadre e i giocatori che reciteranno all’interno del nuovo Circus, si realizzerà dunque lo scenario prospettato da David Foster Wallace su Infinte Jest. Nella monumentale opera di metà anni ’90, lo scrittore americano ci presentava una società futura, nella quale gli anni non erano più scanditi dai numeri, bensì dagli sponsor. Le vicende di infinite Jest prendono luogo durante l’Anno del Pannolone per Adulti Depend, nel quale anche la Statua della libertà tiene in braccio una confezione del prodotto.

-Virtualità: “Degli auto sorveglianti consentiranno di circondarsi di questi sport (equitazione, vela, danza, golf) a domicilio, di universi virtuali in tre dimensioni, o di praticarli virtualmente. Questi sport permetteranno così ai sedentari di vivere in modo ludico le esigenze della competizione, di provare piacere nel migliorare, di familiarizzare con gli auto sorveglianti, di sperimentare l’illusione di essere degli ipernomadi nonostante abbiano abbandonato da tempo queste distrazioni”. In un periodo relativamente breve, la tecnologia della Realtà Virtuale potrebbe prendere sempre più piede fra il pubblico, che non avrà più la necessità di recarsi allo stadio per poter apprezzare le atmosfere di una partita dal vivo. Già da adesso grazie all’APP NextVR è possibile assistere ad una partita a settimana in Realtà Virtuale in NBA, la Chinese Super League ha sperimentato questa tecnologia nel 2017, mentre in Europa a sperimentarla sono state Bundesliga ed Eredivisie. Recentemente la Juventus ha lanciato la sua App in VR, con la possibilità per l’utente di poter vivere in prima persona il dietro le quinte del club bianconero. Allo stato attuale, la VR sembra essere molto lontana dal prendere il sopravvento sul sistema, ma è insito nell’avanzamento inesorabile del mercato che il Virtuale prende sempre di più il sopravvento sul Reale. Come possiamo constatare già ora, l’ideale individualista prevale sempre sul collettivo, questo anche nella Cina che da decenni si professa comunista, l’esasperazione di questo concetto porterà alla situazione descritta da Attalli: “Più l’uomo sarà solo, più consumerà, più si controllerà e si distrarrà al fine di colmare la solitudine… Il mondo sarà allora solo un accostamento di solitudini, e l’amore una successione di masturbazioni”. Sarà allora che si comincerà a preferire il concetto di simulazione a quello di reale, non solo per quanto concerne l’entertainment sportivo. Si creeranno anche strutture e programmi al fine di praticare sport in un contesto di Realtà Virtuale, alcune discipline potranno essere praticate anche da casa, per il resto, come nel caso di calcio, basket oppure volley, si creeranno delle infrastrutture così dette vuote, nella quale uno o più individui possono affittare una stanza e giocare una partita Virtuale. In questo modo, il Mito Platonico della Caverna diventerà reale..

Al termine del capitolo sull’Iperimpero, Jacques Attali ci pone di fronte ad uno scenario nel quale l’uomo, grazie all’avanzamento tecnologico potrebbe superare il concetto stesso di morte, trasferendo la sua coscienza da un corpo all’altro: “Poi l’uomo, fabbricato alla fine come un artefatto, non conoscerà più la morte, sull’esempio di tutti gli oggetti industriali non potrà più morire, dal momento che non sarà mai nato”. Secondo Attali, prima che questo scenario prenda concretamente forma, l’Iperimpero potrebbe cadere per lasciare spazio all’Iperconflitto, e infine all’iperdemocrazia, vaga speranza di un mondo migliore. L’avanzamento tecnologico potrebbe portare i robot ad essere elementi quotidiani nella vita umana, il lavoro verrà dunque automatizzato generando scenari di grande precarietà se non verranno riformate le politiche economiche. La vera sfida non sarà quella di sostituire il lavoro manuale, ma quella di sostituire l’uomo, con un massiccio sviluppo nella branca della Intelligenza Artificiale. Da qualche decennio è in voga la RoboCup, competizione nata in Giappone che si pone di realizzare una squadra di robot che entro il 2050 possa battere la rappresentativa umana campione del Mondo. Per ora i Robot di tale competizione sono alti appena un metro e si muovono molto lentamente, ma hanno già la percezione del campo, della palla e dei compagni e riescono ad eseguire schemi tattici elementari. Lo Sport Entertainment potrebbe diventare robotico dopo il 2050, ma già da ora si può constatare un certo interesse in questo tipo di discipline, tanto che a Dubai nel dicembre del 2017 verranno organizzati i World Future Sport Games, le Olimpiadi del futuro, nelle quali gli umani avranno un ruolo di dietro le quinte, mentre “in campo” si affronteranno robot a calcio, macchine che si pilotano da sole, droni e bracci meccanici a colpi di ping pong. Fra cinquant’anni il Pallone d’Oro sarà un Robot? DOVE TROVARCI

Sito: www.allasianfootball.com Facebook: https://www.facebook.com/allasianfootball Twitter: https://twitter.com/AllAfcFootball Twitch: https://www.twitch.tv/allasianfootball Telegram: https://t.me/joinchat/crEq62R7xwFmMGQ1 Mail: [email protected]