L'albero E Le “Fronde”

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L'albero E Le “Fronde” Giovanni Artero L’albero e le “fronde” ricerche di storia del socialismo italiano Socialriformismo e “operaismo di destra” Il movimento operaio italiano a inizi ‘900, 6; Il “Partito del lavoro”, 19; Il modello riformista genovese, 45; Bernstein in Padania, 50 Due correnti eccentriche: Integralisti e Intransigenti L’integraliasmo, 66; La frazione intransigente, 69; Gli intransigenti dal congresso di Modena a quello di Reggio Emilia, 74 La “destra” nei primi anni di vita del PCd’I Il II. congresso del PCd'I (marzo 1922), 83; Il IV. congresso del Comintern (novembre 1922), 86; Il comitato centrale del 18 aprile 1924, 88; Il convegno segreto di Como (maggio 1924), 90; Il V. congresso del Comintern (giugno 1925), 95 “Morandiani” e “Bassiani” I “quadri” morandiani 97; I “bassiani”: una corrente di “transito” 100 Riccardo Lombardi e i “lombardiani” Riccardo Lombardi nella storia della sinistra italiana, 106; “Riscossa socialista”(1948-49): un embrione di corrente, 112; Dieci anni dopo: la prima corrente lombardiana (1959-63),115; Dal governo (gennaio- luglio 1964) all'opposizione nel PSI (1964-66), 117; All'opposizione nel PSU (1966-69): uscite a sinistra (MSA, sinistra indipendente) e a destra (Giolitti), 119; Nel nuovo PSI (1970-75): ingressi da MPL e PSIUP, 121; All’opposizione nel PSI di Craxi, 123 1 Fausto Pagliari: tracce per una biografia politica L’Umanitaria e le riforme nella società industriale,130; Il salotto del- la signora Anna e il sindacato di Rigola,132;Gli impiegati delle orga- nizzazioni operaie, 134; Beneficenza rossa,138; Bolscevismo e pro- blemi del dopoguerra, 141; Bibliotecario all’Università Bocconi, 142 Premessa Il movimento operaio e socialista italiano è un albero dalle radici che affondano nel secolare terreno delle lotte dei lavoratori; nel tempo quest’albero si è ramificato in varie correnti e “fronde” che sono l’oggetto delle ricerche qui riunite, il filo che le collega e che da il titolo al libro. Queste ricerche non si propongono una rivisitazione nostalgica né puramente “filologica”. Se il comunismo “storico” ha terminato la sua parabola “la sfida che esso aveva lanciato è rimasta”1 e le ragioni del socialismo non sono scomparse: nel termine socialismo credo sia possibile tuttora discernere potenzialità, orizzonti non raggiunti e aspirazioni non soddisfatte o rimaste incomplete. E’ importante pensare al socialismo come a un progetto non finito, a un processo in atto, non a un passato, per tener vive quelle aspirazioni che Ernest Bloch2 concepiva come un “reale futuro” ancora inde-terminato e aperto. 1 Norberto Bobbio, “Destra e sinistra”, Torino, 1994, pag. 84 2 Ernst Bloch, “Spirito dell'utopia” , Milano, 2009 ed. originale 1918 2 Socialriformismo e “operaismo di destra” Con la pubblicazione nel 1899 de “I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia” Eduard Bernstein fonda il revisionismo3, teoria basata su un approccio graduale e non rivoluzionario che rinnega la prospettiva dell'abbattimento del capitalismo. Per negarne l'imminenza partiva dalla constatazione che le previsioni marxiane di un inasprimento della lotta di classe e della proletarizzazione dei ceti medi non si erano realizzate: dopo la grande depressione degli ultimi decenni dell'800 era iniziato un nuovo periodo di espansione e di prosperità che riabilitava la forma del libero commercio ed alimentava nuova fede nel capitalismo. Questo sviluppo pareva smentire le previsioni catastrofiche del marxismo, mentre al crescente processo di concentrazione delle im- prese nelle forme di trusts e cartelli non sembrava corrispondere un inasprimento della lotta di classe, bensì una maggiore cautela del proletariato nell'avanzare le proprie rivendicazioni. I revisionisti ne traevano la conseguenza che, non essendosi verificati nello sviluppo capitalistico il peggioramento ed il crollo teorizzati dal marxismo, i metodi rivoluzionari erano da considerarsi superati ed andavano sostituiti da lente riforme sociali. Ne seguì un fondamentale dibattito (Bernstein-Debatte) all'interno della socialdemocrazia tedesca e nei movimenti socialisti europei; una netta condanna fu espressa da Kautsky e Rosa Luxemburg, ma forme di revisionismo furono tuttavia presenti nelle correnti vive del socialismo europeo, in parte nell'esperienza dei sindacalisti rivoluzionari (revisionismo di sinistra), ed in larga maggioranza nelle 3 G. Marramao “Marxismo e revisionismo in Italia : dalla Critica sociale al dibattito sul leninismo”, Napoli 1971; E. Zagari “Marxismo e revisionismo: Bernstein, Sorel, Graziadei, Leone”, Napoli, 1976; S. Amato "Democrazia" e "libertà" nel socialismo evoluzionistico tedesco degli ultimi due decenni dell' Ottocento: Karl Kautsky, Robert Seidel, Eduard Bernstein, in “Studi in onore di Luigi Firpo”, 1990; Manfred B. Steger “The quest for evolutionary socia-lism : Eduard Bernstein and social democracy”, Cambridge, 1997 3 scelte in senso riformistico che accompagnarono lo sviluppo dei partiti socialisti europei, provocandone il graduale allontanamento dall' ideologia marxista (revisionismo di destra) e la costruzione di un percorso politico, all'interno del quale la prassi politica avrebbe dovuto fondarsi su di una tattica di alleanze con la borghesia democra-tico-progressista, attraverso pratiche di carattere riformista. Il revisionismo bernsteiniano è associato al fenomeno dell’ “aristocra-zia operaia”, quasi l’espressione ideologica di un nuovo strato sociale costituito da quella parte di classe operaia che, avendo raggiunto un certo benessere economico, si allea con la borghesia venendo così meno ai suoi compiti di classe. In Italia le tendenze revisionistiche si espressero in modo particolare rispetto agli altri paesi europei: sul piano teorico presero l'avvio da pensatori non marxisti come Achille Loria, Francesco Saverio Merlino, Benedetto Croce, mentre sul piano pratico si fondarono non tanto su “aristocrazie” di operai qualificati, di cui in Italia per il ritardato sviluppo industriale non esistevano che ristretti nuclei, quanto su uno strato di funzionari e dirigenti di organizzazioni proletarie (sindacati, cooperative, Società di mutuo soccorso), molti dei quali comunque di estrazione operaia (Rigola, Buozzi …). Il revisionismo in Italia, in conclusione, si espresse in una ideologia “operaista” che era l’antitesi dell’operaismo di “sinistra” di ascen-denza soreliana dei sindacalisti rivoluzionari, mentre cercava di sos-tituirsi a un Partito socialista bollato, con eccessiva asprezza, come piccolo-borghese. 1. Il movimento operaio italiano a inizio ‘900 All’inizio del ‘900, dopo il decennio di repressioni di Crispi, Ru- dinì, Pelloux, si ricostituirono rapidamente, più numerose di prima, le organizzazioni del movimento operaio. Anzitutto le leghe di re-sistenza, diffuse soprattutto nell'Italia centro-settentrionale, nate sulla base dei mestieri, che istituivano casse per permettere agli scioperanti di resistere ai datori di lavoro. Aggregando i lavoratori in un ambito circoscritto erano inadatte a condurre lotte lunghe e articolate, ben presto perciò avevano cominciato ad associarsi a loro volta in organismi più vasti. 4 Al livello di base esistevano anche le Società operaie di mutuo soccorso, nate per fornire sussidi di malattia e disoccupazione seguendo la tradizione caritativa delle Confraternite e Corporazioni, e le Cooperative di consumo e di produzione, che importavano modelli da paesi come la Francia e l’Inghilterra dove si era già da tempo sviluppata l’industria. A un livello superiore stavano gli organi di secondo grado: le Ca-mere del Lavoro e le Federazioni, di mestiere o di industria. Le prime erano strutture orizzontali che riunivano sul piano locale le leghe di resistenza della propria zona ma anche Società di mutuo soccorso e cooperative. Nate come organismi di conciliazione e di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro, avevano conosciuto una evoluzione diventando il luogo di aggregazione delle masse popolari, dove i lavoratori andavano per i problemi più differenti, da cui discendeva anche una più marcata natura politica, in quanto rappresentanti dell'intera classe operaia della propria zona contro l'opposta classe dei proprietari. Ciò poteva indurre le Camere ad as- sumere un atteggiamento di intransigenza, promuovendo iniziative di solidarietà fra differenti settori del proletariato e scioperi generali su scala cittadina. Intanto si stavano sviluppando le Federazioni, strutture verticali che raggruppavano sul piano nazionale le leghe di diverse città appartenenti al medesimo mestiere o industria: l'esperienza più peculiare risultava nel settore agricolo, tra le leghe bracciantili della Pianura Padana, sul modello della provincia di Mantova. Lo sciopero generale del settembre 1904 provocato dalle stragi di Buggerru e di Castelluzzo rivelò la mancanza di un organo centrale di coordinamento e la frammentarietà delle strutture sul territorio, e la responsabilità della situazione ricadde soprattutto sui rifor- misti, fino ad allora alla guida del partito. Due anni dopo Bissolati, in polemica con i rivoluzionari, sollevò la questione sulla "Nuova Antologia" imputando «tutto il male che meritano [ai] circoli e circoletti della organizzazione ufficiale del partito» dove in modo «assurdo e politicamente immorale», bastava «un esiguo numero di persone a determinare situazioni 5 che possono essere il disastro della democrazia e della stessa classe lavoratrice». I rapporti di polizia concordavano nel descrivere i circoli socialisti come luogo di scontri tra opposte fazioni di piccoli gruppi con lo strascico
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