Giovanni Artero

L’albero e le “fronde”

ricerche di storia del socialismo italiano

Socialriformismo e “operaismo di destra” Il movimento operaio italiano a inizi ‘900, 6; Il “Partito del lavoro”, 19; Il modello riformista genovese, 45; Bernstein in Padania, 50

Due correnti eccentriche: Integralisti e Intransigenti L’integraliasmo, 66; La frazione intransigente, 69; Gli intransigenti dal congresso di Modena a quello di Reggio Emilia, 74

La “destra” nei primi anni di vita del PCd’I Il II. congresso del PCd'I (marzo 1922), 83; Il IV. congresso del Comintern (novembre 1922), 86; Il comitato centrale del 18 aprile 1924, 88; Il convegno segreto di Como (maggio 1924), 90; Il V. congresso del Comintern (giugno 1925), 95

“Morandiani” e “Bassiani” I “quadri” morandiani 97; I “bassiani”: una corrente di “transito” 100

Riccardo Lombardi e i “lombardiani” Riccardo Lombardi nella storia della sinistra italiana, 106; “Riscossa socialista”(1948-49): un embrione di corrente, 112; Dieci anni dopo: la prima corrente lombardiana (1959-63),115; Dal governo (gennaio- luglio 1964) all'opposizione nel PSI (1964-66), 117; All'opposizione nel PSU (1966-69): uscite a sinistra (MSA, sinistra indipendente) e a destra (Giolitti), 119; Nel nuovo PSI (1970-75): ingressi da MPL e PSIUP, 121; All’opposizione nel PSI di Craxi, 123

1 Fausto Pagliari: tracce per una biografia politica L’Umanitaria e le riforme nella società industriale,130; Il salotto del- la signora Anna e il sindacato di Rigola,132;Gli impiegati delle orga- nizzazioni operaie, 134; Beneficenza rossa,138; Bolscevismo e pro- blemi del dopoguerra, 141; Bibliotecario all’Università Bocconi, 142

Premessa Il movimento operaio e socialista italiano è un albero dalle radici che affondano nel secolare terreno delle lotte dei lavoratori; nel tempo quest’albero si è ramificato in varie correnti e “fronde” che sono l’oggetto delle ricerche qui riunite, il filo che le collega e che da il titolo al libro. Queste ricerche non si propongono una rivisitazione nostalgica né puramente “filologica”. Se il comunismo “storico” ha terminato la sua parabola “la sfida che esso aveva lanciato è rimasta”1 e le ragioni del socialismo non sono scomparse: nel termine socialismo credo sia possibile tuttora discernere potenzialità, orizzonti non raggiunti e aspirazioni non soddisfatte o rimaste incomplete. E’ importante pensare al socialismo come a un progetto non finito, a un processo in atto, non a un passato, per tener vive quelle aspirazioni che Ernest Bloch2 concepiva come un “reale futuro” ancora inde-terminato e aperto.

1 Norberto Bobbio, “Destra e sinistra”, Torino, 1994, pag. 84

2 Ernst Bloch, “Spirito dell'utopia” , Milano, 2009 ed. originale 1918 2 Socialriformismo e “operaismo di destra”

Con la pubblicazione nel 1899 de “I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia” Eduard Bernstein fonda il revisionismo3, teoria basata su un approccio graduale e non rivoluzionario che rinnega la prospettiva dell'abbattimento del capitalismo. Per negarne l'imminenza partiva dalla constatazione che le previsioni marxiane di un inasprimento della lotta di classe e della proletarizzazione dei ceti medi non si erano realizzate: dopo la grande depressione degli ultimi decenni dell'800 era iniziato un nuovo periodo di espansione e di prosperità che riabilitava la forma del libero commercio ed alimentava nuova fede nel capitalismo. Questo sviluppo pareva smentire le previsioni catastrofiche del marxismo, mentre al crescente processo di concentrazione delle im- prese nelle forme di trusts e cartelli non sembrava corrispondere un inasprimento della lotta di classe, bensì una maggiore cautela del proletariato nell'avanzare le proprie rivendicazioni. I revisionisti ne traevano la conseguenza che, non essendosi verificati nello sviluppo capitalistico il peggioramento ed il crollo teorizzati dal marxismo, i metodi rivoluzionari erano da considerarsi superati ed andavano sostituiti da lente riforme sociali. Ne seguì un fondamentale dibattito (Bernstein-Debatte) all'interno della socialdemocrazia tedesca e nei movimenti socialisti europei; una netta condanna fu espressa da Kautsky e Rosa Luxemburg, ma forme di revisionismo furono tuttavia presenti nelle correnti vive del socialismo europeo, in parte nell'esperienza dei sindacalisti rivoluzionari (revisionismo di sinistra), ed in larga maggioranza nelle

3 G. Marramao “Marxismo e revisionismo in Italia : dalla al dibattito sul leninismo”, Napoli 1971; E. Zagari “Marxismo e revisionismo: Bernstein, Sorel, Graziadei, Leone”, Napoli, 1976; S. Amato "Democrazia" e "libertà" nel socialismo evoluzionistico tedesco degli ultimi due decenni dell' Ottocento: Karl Kautsky, Robert Seidel, Eduard Bernstein, in “Studi in onore di Luigi Firpo”, 1990; Manfred B. Steger “The quest for evolutionary socia-lism : Eduard Bernstein and ”, Cambridge, 1997 3 scelte in senso riformistico che accompagnarono lo sviluppo dei partiti socialisti europei, provocandone il graduale allontanamento dall' ideologia marxista (revisionismo di destra) e la costruzione di un percorso politico, all'interno del quale la prassi politica avrebbe dovuto fondarsi su di una tattica di alleanze con la borghesia democra-tico-progressista, attraverso pratiche di carattere riformista. Il revisionismo bernsteiniano è associato al fenomeno dell’ “aristocra-zia operaia”, quasi l’espressione ideologica di un nuovo strato sociale costituito da quella parte di classe operaia che, avendo raggiunto un certo benessere economico, si allea con la borghesia venendo così meno ai suoi compiti di classe. In Italia le tendenze revisionistiche si espressero in modo particolare rispetto agli altri paesi europei: sul piano teorico presero l'avvio da pensatori non marxisti come Achille Loria, Francesco Saverio Merlino, Benedetto Croce, mentre sul piano pratico si fondarono non tanto su “aristocrazie” di operai qualificati, di cui in Italia per il ritardato sviluppo industriale non esistevano che ristretti nuclei, quanto su uno strato di funzionari e dirigenti di organizzazioni proletarie (sindacati, cooperative, Società di mutuo soccorso), molti dei quali comunque di estrazione operaia (Rigola, Buozzi …). Il revisionismo in Italia, in conclusione, si espresse in una ideologia “operaista” che era l’antitesi dell’operaismo di “sinistra” di ascen-denza soreliana dei sindacalisti rivoluzionari, mentre cercava di sos-tituirsi a un Partito socialista bollato, con eccessiva asprezza, come piccolo-borghese.

1. Il movimento operaio italiano a inizio ‘900 All’inizio del ‘900, dopo il decennio di repressioni di Crispi, Ru- dinì, Pelloux, si ricostituirono rapidamente, più numerose di prima, le organizzazioni del movimento operaio. Anzitutto le leghe di re-sistenza, diffuse soprattutto nell'Italia centro-settentrionale, nate sulla base dei mestieri, che istituivano casse per permettere agli scioperanti di resistere ai datori di lavoro. Aggregando i lavoratori in un ambito circoscritto erano inadatte a condurre lotte lunghe e articolate, ben presto perciò avevano cominciato ad associarsi a loro volta in organismi più vasti. 4 Al livello di base esistevano anche le Società operaie di mutuo soccorso, nate per fornire sussidi di malattia e disoccupazione seguendo la tradizione caritativa delle Confraternite e Corporazioni, e le Cooperative di consumo e di produzione, che importavano modelli da paesi come la Francia e l’Inghilterra dove si era già da tempo sviluppata l’industria. A un livello superiore stavano gli organi di secondo grado: le Ca-mere del Lavoro e le Federazioni, di mestiere o di industria. Le prime erano strutture orizzontali che riunivano sul piano locale le leghe di resistenza della propria zona ma anche Società di mutuo soccorso e cooperative. Nate come organismi di conciliazione e di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro, avevano conosciuto una evoluzione diventando il luogo di aggregazione delle masse popolari, dove i lavoratori andavano per i problemi più differenti, da cui discendeva anche una più marcata natura politica, in quanto rappresentanti dell'intera classe operaia della propria zona contro l'opposta classe dei proprietari. Ciò poteva indurre le Camere ad as- sumere un atteggiamento di intransigenza, promuovendo iniziative di solidarietà fra differenti settori del proletariato e scioperi generali su scala cittadina. Intanto si stavano sviluppando le Federazioni, strutture verticali che raggruppavano sul piano nazionale le leghe di diverse città appartenenti al medesimo mestiere o industria: l'esperienza più peculiare risultava nel settore agricolo, tra le leghe bracciantili della Pianura Padana, sul modello della provincia di Mantova. Lo sciopero generale del settembre 1904 provocato dalle stragi di Buggerru e di Castelluzzo rivelò la mancanza di un organo centrale di coordinamento e la frammentarietà delle strutture sul territorio, e la responsabilità della situazione ricadde soprattutto sui rifor- misti, fino ad allora alla guida del partito. Due anni dopo Bissolati, in polemica con i rivoluzionari, sollevò la questione sulla "Nuova Antologia" imputando «tutto il male che meritano [ai] circoli e circoletti della organizzazione ufficiale del partito» dove in modo «assurdo e politicamente immorale», bastava «un esiguo numero di persone a determinare situazioni

5 che possono essere il disastro della democrazia e della stessa classe lavoratrice». I rapporti di polizia concordavano nel descrivere i circoli socialisti come luogo di scontri tra opposte fazioni di piccoli gruppi con lo strascico di spaccature e scissioni, e la frammentazione di sezioni che sorgevano e si scioglievano nel giro di pochi mesi scoraggiava la partecipazione degli iscritti. Dopo le elezioni del 1904 la deputazione socialista alla Camera risultò dominata dai riformisti, che proseguirono l'azione di legislazione so-ciale, ma ciò determinò una spaccatura tra il Gruppo parlamentare e la Direzione del partito (prima “ferriana”, poi “integralista”). A far pendere la bilancia a favore dell'una o dell'altra corrente divenne determinante acquisire il controllo delle organizzazioni sindacali. La sinistra rivoluzionaria si presentava in forze ai congressi delle Ca- mere del Lavoro per mettere in minoranza gli avversari a livello locale, ottenendo crescenti consensi nell'Italia centro-settentrionale e in Puglia, e il tema dello “sciopero generale” induceva i leader del sindacalismo rivoluzionario a uno sforzo di riflessione teorica. La prima prova di forza si verificò al Congresso nazionale della Resistenza, tenuto a Genova nel gennaio 1905. I sindacalisti riformisti diedero battaglia sia in ambito organizzativo che sulla legislazione sociale. Ribadirono la divisione dei compiti: alle Federazioni spettava l'attività di resistenza, alle Camere andavano affidate le competenze locali. Il più polemico fu Rigola, che difese i risultati raggiunti nella legislazione sociale. L'esito del congresso sembrò premiare i riformisti con l'approvazione delle loro relazioni ma fu vanificato dagli avvenimenti successivi. Le Camere del Lavoro e anche le singole leghe prendevano iniziative in assoluta autonomia, ignorando qualsiasi tentativo di guida e centralizzazione. A far precipitare gli eventi giunse la protesta dei ferrovieri contro il progetto di statizzazione delle ferrovie, specie per le sue implicazioni sul contratto di lavoro. Il Segretariato, coerentemente con la linea sostenuta, si oppose a uno sciopero generale di solidarietà, causando polemiche tali da indurre alle dimissioni l'intero gruppo dirigente.

6 Il “secondo tempo” della prova di forza si verificò quando, in un clima di contrapposizione frontale, i riformisti furono costretti a cedere il passo e un nuovo Segretariato “rivoluzionario” entrò in carica all'inizio del 1906. Sembrava che, dopo la fase di dominio dei riformisti tra il 1900 e il 1904, la sinistra rivoluzionaria, giunta alla guida sia del partito che degli organismi sindacali, si avviasse a esercitare uno stabile controllo sul movimento operaio e contadino. I sindacalisti riformisti, esclusi dagli organi direttivi, abbandon- arono la contrapposizione frontale e prepararono la controf- fensiva dedicandosi alla rielaborazione concettuale e pro- grammatica sui giornali e riviste specializzati e maturarono l'iniziativa che doveva segnare la loro ripresa: la nascita di una nuova organizzazione, la Confederazione Generale del Lavoro. Il 30 settembre 1906 la CGdL era fondata su un chiaro indirizzo riformista. Il mattino successivo i delegati della corrente ri- voluzionaria abbandonavano il congresso e rifiutavano di aderire al nuovo organismo. La CGdL nacque quindi come esclusiva creazione dei riformisti, nel Comitato Direttivo, la cui sede fu stabilita a Torino, entrarono infatti esclusivamente quegli stessi dirigenti sindacali che da anni contendevano ai sindacalisti rivoluzionari la guida del movimento proletario e Rinaldo Rigola fu nominato direttore dell'organo a stampa ed eletto segretario generale. Il 23 ottobre 1906 la CGdL emanò la prima circolare che indicava agli aderenti una pragmatica linea riformatrice: «Non gli sbalzi fantastici di sognatori e non l'accidia buddistica delle masse incoscienti che accettano i fatti compiuti» potevano garantire l'emancipazione dei lavoratori, ma «un'armonia di feconda operosità, una riunione di tante piccole forze», perché la Confederazione «non vi adesca a sogni paradisiaci ed a mistiche contemplazioni» ma «vi invita a pensare ciò che siete e ad oprare per diventare ciò che dovete essere». La piattaforma rivendicativa era molto concreta, articolata in pochi punti: il cottimo individuale andava sostituito con quello collettivo, più facile da sottoporre alla vigilanza sindacale; gli orari andavano diminu-iti, concordando con gli imprenditori dei regolamenti di fabbrica a tutela delle condizioni di lavoro; i salari dovevano essere 7 accresciuti, con accordi e mediante aumenti della produttività, così da garantire ai lavoratori condizioni di vita dignitose La situazione delle forze sindacali in quel momento era critica: spesso le leghe si trovavano senza risorse nel pieno di vertenze più lunghe del previsto e agli organi superiori giungevano richieste disperate di aiuto che raccontavano di operai allo stremo e costretti alla capitola-zione. La scarsità di risorse, oltre ad ostacolare l'attività di resistenza, danneggiava l'intera struttura organizzativa del sindacato, con molte leghe costrette a sciogliersi o vivacchiare. Non erano poi rari i casi di cattiva gestione o di sottrazioni illegali di denaro da parte di funzionari disonesti, ciò che minava anche la fiducia dei lavoratori nell'organizzazione. La questione delle finanze sindacali, cioè quote, sussidi e assisten- za, era un tema complesso e difficile che pregiudicava spesso l'ef- ficienza di Camere del Lavoro e Federazioni. In questo quadro la fondazione della CGdL rappresentava da un lato un problema: il nuovo organismo comportava anche nuove spese, ma rappresentava anche una opportunità perché il sistema delle finanze sindacali poteva essere coordinato da un organo centrale, così da sanarne le carenze, e in effetti la CGdL si adoperò per razionalizzare la gestione finanziaria su entrambi i punti deboli: solidarietà per gli scioperi e pagamento delle quote. “Le lotte si vincono con la coscienza; ma si vincono anche con i quattrini», osservava Buozzi dalla FIOM e Rigola insisteva sulla opportunità di fissare quote di iscrizione elevate, pari anche all'l % del salario. Tuttavia anche i lavoratori più motivati e dotati di coscienza di classe, afflitti dai salari bassi e dallo spettro della disoccupazione, faticavano a sostenere le spese dell'associazionismo sindacale. Bastava un periodo di crisi a mettere in difficoltà anche le Camere del Lavoro guidate da esperti riformisti. Senza considerare la sovrapposizione di contributi differenti, per finanziare più organismi: le federazioni comunale, provinciale e nazionale, la Camera del lavoro, la cooperativa di produzione e quella di consumo. La vita delle organizzazioni sindacali rischiava di ridursi ad un succedersi di appelli ai pagamenti e di tentativi degli iscritti di 8 sottrarsi all'obbligo. Il fenomeno era esteso a tutte le organizzazioni del movimento operaio, anche al PSI, dove «molte sezioni insistono a dichiarare che la tessera è troppo cara, che parecchi non possono pagarla e così il numero degli iscritti diminuisce sensibilmente»4. Il problema nel sindacato era drammatico, tanto che il segretario degli edili Quaglino nel 1911 giunse a denunciare il calo di aderenti dovuto proprio ai rialzi contributivi. La scarsità di risorse ostacolava anche il reclutamento del personale e le persone più preparate, in mancanza di incentivi materiali, si rivolgevano altrove e molte associazioni apparivano «infestate - diceva Rigola - da personale scadente, da inetti e spostati». Ma costruire un corpo di funzionari era un compito difficile. Una delle difficoltà principali risiedeva nella diversità di aspettative tra vertice e base in merito alle competenze e alle caratteristiche dei funzionari: un aspirante funzionario sindacale di Torino, nello scrivere al segretario del Gruppo parlamentare per chiedere consiglio, riferiva gli umori diffusi tra i lavoratori: «nelle nostre organizzazioni si pretende l'oratore suggestivo, che incatena l'uditorio con facile ed elegante eloquio, non un modesto conferenziere» incline invece a un lavoro concreto ma oscuro"5. Per di più, nei villaggi rurali e nei quartieri operai, dove tutti si conoscevano e si frequentavano, l'operatore sindacale doveva riuscire a inserirsi nella vita comunitaria, mostrare insieme autorevolezza e capacità di ascolto, doveva saper comprendere i problemi quotidiani dei singoli o delle famiglie, prestarsi insomma a svolgere le mansioni più disparate, che molto spesso esorbitavano notevolmente dal ristretto campo sindacale I tentativi di aumentare il numero dei collaboratori erano destinati a cadere per mancanza di risorse materiali e al di là delle intenzioni

4 ACS, FCOM, b. 13, f.15, sf.1, lettera del segretario del PSI Pompeo Ciotti al segretario del Gruppo parlamentare Morgari, 10.7.1909.

5 ACS, FCOM, b.34, f.642, lettera di Giuseppe Scotti a Morgari, 17.1.1909 9 programmatiche, gli equilibri organizzativi del sindacato italiano rimasero instabili, causando lentezze e inefficienze: Anche se i dirigenti riformisti ambivano a controllare dall'alto gli scioperi e ad attenuare la dinamica dei conflitti, le decisioni venivano ancora prese dagli organi intermedi, che spesso procedevano in piena autonomia e senza consultazioni preventive. Anche l'obbiettivo di affidare alle Federazioni la gestione dell'attività rivendicativa non era raggiunto: secondo le statistiche ufficiali, le agitazioni condotte direttamente dalle Federazioni, pur in aumento, si attestavano attorno al 10%, mentre quelle dirette dalle leghe locali con l'intervento delle Camere, benché in diminuzione, si aggiravano sul 50% . Il baricentro del potere organizzativo continuava a oscillare tra organi verticali e organi orizzontali, con un persistente sbi- lanciamento a favore dei secondi. Un fenomeno in gran parte dovuto alla tendenza al «localismo» dei lavoratori, inclini a considerare la Camera del lavoro6 il loro naturale punto di riferimento. E tale risultava la sovrapposizione di ruoli e competenze, da spin- gere talvolta i lavoratori a fare confusione e rivolgersi, nei casi di vertenze o agitazioni, non ai dirigenti sindacali ma agli esponenti politici, soprattutto al popolare Oddino Morgari7 Fondata per coordinare e dare una struttura unitaria al sindacalismo italiano, la CGdL scontava il fatto di essere stata fondata per aggregazione volontaria di organismi preesistenti, gelosi delle

6 “Nella Camera del lavoro, e nella Casa del popolo in cui quasi sempre aveva la sua sede, i lavoratori vedevano assai più che un semplice ufficio di difesa dei loro interessi immediati. Tutta o quasi la loro vita vi affluiva e vi si concentrava: là si passava la domenica, là si acquistava nello spaccio cooperativo per non portare il denaro ai “borghesi”, là si correva alla prima notizia che turbava o esaltava gli animi,come nel Medioevo al Palazzo del Comune o alla Cattedrale. Si creava così, nel mondo ostile e contro di esso, una specie di “corpus separatum” che a poco a poco avrebbe dovuto includere il restante territorio dov’erano posti i capitali della speranza, i presentimenti di un nuovo ordine sociale che a poco a poco si accrescevano, si precisavano” A.Tasca, “Nascita e avvento del fascismo”, Firenze, 1950 (il brano non è stato ripubblicato nelle ed .successive) 10 proprie prerogative e pronti a revocare l'adesione. Aveva così assunto sin dall'inizio una fisionomia decentrata e poco coesa, dai deboli legami verticali, con una forte eterogeneità organizzativa da una zona all'altra e una notevole indipendenza delle strutture intermedie, tale da inibire uno sviluppo organizzativo "forte" e ostacolare l'opera centralizzatrice immaginata da Rigola. Alla compattezza e stabilità del gruppo dirigente facevano contrasto la debole coesione strutturale e le difficoltà materiali. Una fragilità iniziale che, unita alle difficoltà di ordine materiale, dava ai dirigenti confederali una perenne sensazione di precarietà. Dai documenti interni e dai carteggi emerge che i dirigenti confederali a lungo considerarono la CGdL come una creatura instabile e fragile, minacciata dai nemici esterni e messa in pericolo dalla natura frammentata del proletariato italiano. Non sorprende quindi l'insisten-za di Rigola sui temi organizzativi e la rigidità delle sue posizioni. Si era innescato un circolo vizioso: più la CGdL sembrava debole, più il segretario si irrigidiva, per evitarne la disgregazione. Proprio perché consapevoli della fragilità strutturale della Confederazione i dirigenti insistevano tanto sull'organizzazione e cercavano di rafforzare la propria autorità. Spinte alla centralizzazione, coordinamento dall'alto e aumento delle adesioni delineavano il quadro di un intervento intenso a modificare la fisionomia del sindacato. Affinché l'organizzazione si consolidasse era necessario del tempo: sicché, i risultati presentavano un quadro molto frastagliato, in cui debolezze persistenti e tendenze positive si intrecciavano strettamente. Se, nonostante gli sforzi, la Confederazione era rimasta un organismo decentrato e afflitto dalla scarsità delle risorse, d'altro canto con l'avvento della CGdL il sindacalismo italiano, che era una galassia dagli incerti confini, cominciava ad

7 ACS, FCOM, b. 9, f. 11, sf. 4, lettere a Morgari dalla Casa del popolo di Settimo Torinese, 15.6.1909, dalla Casa del Popolo di Borgo Vittoria, 26.6.1910 e dalla Camera del Lavoro del rione Testaccio di Roma, 19.5.1914 11 assumere una struttura più definita e una forma istituzionale più concreta. Nel pieno di questa opera di costruzione organizzativa la scadenza del Congresso Nazionale di Modena del settembre 1908 divenne l'occasione per stilare un primo bilancio del lavoro in corso e per definire le prospettive future. A questo scopo il segretario Rigola presentò una relazione scritta, cui seguì un breve intervento all'inizio del congresso. In entrambi non nascose le difficoltà incontrate e ammise le lacune dell'azione confederale; rimarcò però i risultati ottenuti e la capacità della CGdL, nonostante la debolezza iniziale, di estendere la propria influenza e rivendicò la bontà della strategia seguita, con cui a suo giudizio occorreva perseverare. Sulla medesima linea si posero le relazioni degli altri diri genti confederali, Calda, Quaglino, Cabrini, D'Aragona, Dell'Avalle e Pagliari, che confermarono le direttrici operative: consolidare i legami organizzativi con gli organismi intermedi, centralizzare la gestione di quote e finanze, disciplinare la gestione dell'attività di resistenza, selezionare funzionari tecnici e preparati. Dai congressi delle principali Federazioni, tenutisi tra la metà del 1908 e la fine del 1910, i dirigenti riformisti ottennero che le organizzazioni intermedie si conformassero anche in modo formale ai principi confederali, approvando aumenti di quote, l'istituzione di casse centrali per la resistenza e l'adesione collettiva alla CGdL. Nello stesso periodo vennero firmati altri due contratti collettivi, dai muratori di Torino e dagli operai del vetro, accreditando l'idea che questo modello contrattuale stesse imporsi. Sull'onda di queste affermazioni Rigola decise di rilanciare la propria azione anche sul versante dell’autonomia politica del sindacato.

12 I dirigenti riformisti del sindacato stavano maturando una crescente sfiducia nel sistema parlamentare8, anche per la scarsa efficienza del Gruppo socialista che costringeva il segretario Morgari a frequenti richiami ai deputati. 9 La scelta "ministeriale" di Enrico Ferri diede poi a Rigola motivi ulteriori per attaccare l'inaffidabilità degli esponenti politici e quindi per rivendicare il diritto all'autonomia di un organismo tecnico come il sindacato: “Cosa andiamo noi rimproverando ai nostri avversari il loro girelliamo, quando abbiamo in mezzo a noi, alla testa di noi, il sommo che dà prova del peggiore girellismo?... Non vorrei che le vestali del socialismo ufficiale venissero poi fuori a fare le grandi meraviglie quando vedessero le organizzazioni prendere atteggiamenti difformi da quelli del socialismo ufficiale … E per mio conto non ho che da dolermi di non essere abbastanza corporatista e tradunionista”10 Tralasciando per ora il tema dell’autonomia della Confederazione e il tentativo di creare un Partito del lavoro che verrà sviluppato nel paragrafo successivo, si registrano sin dal 1910 le prime manifestazioni di malessere proletario, a Milano in modo più aspro. Seguirono lungo tutta la penisola molteplici

8 Nella cultura politica di inizio ‘900 si stava affermando l'opinione che i partiti fossero forme di organizzazione destinate ad essere superate: Croce li paragonava ai generi letterari, distinzioni formali senza valore reale; Salvemini ne denunciava l'asservimento a oligarchie di politicanti, inclini solo a tutelare interessi corporativi; e anche la cultura liberale di matrice risorgimen-tale guardava con sospetto alla divisione della politica in fazioni, che minava-no l'unità sociale della nazione. Le teorie di Mosca e Pareto imprimevano poi il crisma della nuova scienza politica all’interpretazione delle organizzazioni e delle associazioni come luoghi in cui si svolgeva la circolazione delle élite e si esercitava il dominio delle minoranze attive.

9 ACS, FCOM, b.13, f.14, sf.10, circolare di Morgari ai deputati socialisti.

10 AFGGF, FRR, f. 505, lettera di Rigola a Morgari, 23.6.1909 13 agitazioni, sovente spontanee, contro il caroviveri, cui si associarono nel Cremonese nuovi scioperi dei braccianti. In questa situazione di forte conflittualità sociale e di radicalizzazione dello scontro politico, maturavano le condizioni per una ripresa delle correnti di sinistra del PSI 11, nonché dei sindacalisti rivoluzionari. Sin dal 1910 Lazzari ritenne venuto il momento di uscire allo scoperto con un'iniziativa nazionale e inviò a tutte le sezioni una lettera di denuncia contro «la decadenza del nostro partito» Ma era soprattutto a livello locale che gli esponenti delle correnti di sinistra agivano con maggiore incisività, partecipando con crescente energia alle assemblee dei circoli, fino a mettere ripetutamente in minoranza i riformisti nella loro apparen te roccaforte, la Camera del Lavoro di Milano. A risentirne era soprattutto l'attività di base, con un vistoso calo di iscritti e la crescente abulia dei mili tanti riformisti, cui si contrapponeva il rinnovato vigore dei pro pagandisti della sinistra rivoluzionaria. La guerra di Libia, innestandosi in un contesto già così difficile, inasprì ulteriormente gli animi. Riferiva il prefetto di Milano che «anarchici appoggiati dai sindacalisti e rivoluzionari» in molti casi appartenenti alle «maestranze dei maggiori stabilimenti industriali di Milano» e al «personale dei trams elettrici» trovavano ascolto nella «numerosa plebe facile ai tumulti, che può in breve essere mossa ed agitata»: cambiamento di clima confermato molti anni dopo dalla testimonianza di un allora giovane operaio di Torino: Tra di noi ragazzi qualcuno aveva la quinta elementare, qualcuno le terza, qualcuno neanche quella, ma tutti lavoravamo già nelle "boite" o nelle fabbriche. Tutti ci sentivamo già dei veri e propri operai, e sentire i più anziani parlare delle cose che erano anche le nostre, la fabbrica, il sindacato, il partito, ci interessava molto. Non era

11 Registrate con allarme dai riformisti: ACS, FCOM, b. 9, f. 11, sf. 4 «L'ambiente è freddo» lettera di Donato Bachi a Morgari Torino, 12.6.1910 e ivi, b. 12, f. 14, sf. 3 «secondo me stiamo sempre più indebolendoci» lettera di Montemartini a Morgari 9.12. 1910. 14 facile capire quale fosse l'idea più giusta, ma certo il nostro interesse cresceva, specie nel '12”12 Nel 1913 le pressioni politiche mettevano a dura prova gli equilibri organizzativi della Confederazione. Nella base, anche tra i lavoratori iscritti alle Federazioni e soliti ad approvare le linee di indirizzo del sindacalismo riformista, serpeggiava un crescente malumore verso l'atteggiamento prudente e cauto del vertice confederale: «Il riformi-smo destro è riprovato nell' anima e nell'istinto dalla massa» e i lavoratori organizzati, vivendo e lavorando a stretto contatto con i loro compagni senza tessera, sempre più critici verso la politica della CGdL, cominciavano a loro volta a nutrire crescenti dubbi13. Si ampliava così il terreno favorevole alla propaganda delle correnti rivoluzionarie. Colpito da questi malumori della base era soprattutto il livello intermedio dell'organizzazione, il corpo di operatori riformisti attivi nelle Camere del lavoro e nelle Federazioni. Per la prima volta nella primavera del 1912 in Consiglio Nazionale fu invocata minore intransigenza e un atteggiamento più flessibile verso la massa dei non organizzati. Dissensi che non chiedevano un mutamento di linea ma criticavano la rigidità esprimendo un desiderio di cambiamento in armonia con il nuovo clima sociale. La confederazione cominciava a mostrare le prime crepe ma questi malumori furono sottovalutati dal Consiglio Direttivo che confermava, le proprie direttrici strategiche. La stanchezza e la delusione continuarono perciò a diffondersi fra gli operatori, moltiplicando le scelte individuali di disimpegno. Un ulteriore segnale giunse dalla Camera del Lavoro di Bologna alla fine del 1912: in occasione del periodico rinnovo delle cariche i leader rivoluzionari nazionali

12 C. Canteri, “Memorie del nostro ‘900”, Milano, 2004, pag. 48; anche Maurizio Garino Storia di un anarchico, "Mezzosecolo", 1984; poi “Il sogno nelle mani: Torino 1909-1922”, Milano 2012

13 ACS, FCOM, b. 8, f. 11, sf. 3, Savino Varazzani a Morgari, 27.10.1913.

15 guidati da Corridoni vi si erano recati a dare battaglia, mentre i riformisti locali sembravano in preda allo scoramento. In questo clima arroventato dalle polemiche entra in scena Mussolini, direttore dell’”Avanti!”, che arriva a chiedere le dimissioni di quei dirigenti come Rigola che minavano la compattezza degli scioperanti mentre la Camera del Lavoro di Milano intendeva escludere dai comizi tutti gli esponenti contrari allo sciopero. Rigola non poteva tollerare una nuova sconfessione della sua linea senza compromettere anche il suo prestigio, non aveva altra via che le dimissioni, rassegnate il 18 giugno. Le dimissioni di Rigola sembravano creare le premesse per un ricambio dell'intero gruppo dirigente, cui potevano seguire modifiche profonde nella strategia e negli equilibri organizzativi della Confederazione. Pareva che l'offensiva di Mussolini fosse stata coronata da successo, suscitando la soddisfazione dei dirigenti del PSI: «Il partito va sempre meglio ed in questi giorni abbiamo avuto un ottimo successo con lo sciopero generale di Milano»14. Invece a questo punto gli eventi presero un corso inaspettato, rapidamente un'ondata di solidarietà si indirizzava verso il segretario dimissionario. La Federterra emise un comunicato nel quale, dopo avere espresso «sdegno» per la «violenza recata» a Rigola, sferrava un fermo attacco ai sindacalisti rivoluzionari, la cui azione costituiva «un'offesa recata al principio della libertà di parola ed un'indecorosa manifestazione di quella propaganda di settarismo e di ineducazione che non può certo contribuire alla elevazione delle folle». Fu un passaggio decisivo, che diede il segno dell'inversione di tendenza: nello spersonalizzare la situazione e ricondurre la polemica a una questione di principi e di valori ideali, la Federterra delegittimava di fatto l'intero operato dei sindacalisti rivoluzionari: e così la Camera del Lavoro di Firenze decise di deplorarne «il contegno sopraffattore», la Federazione Edilizia li definì bruscamente «un branco di uomini incivili [...], energumeni camuffati da sindacalisti» e persino dalla Camera di Milano si levarono voci di protesta contro la «gazzarra [...] e l'atto di quei signori»`

14 ACS, FCOM, b. 13, f. 15, sf. 1, lettera di Vella a Morgari, 19.6.1913. 16 L'azione congiunta e violenta di Mussolini e dei sindacalisti rivoluzionari fece scattare lo spirito di corpo degli esponenti riformisti contro tanta palese ostentazione di ostilità e arroganza e Turati colse l'occasione per promuovere un'azione collettiva e scrisse una lettera aperta, firmata da altri sessanta dirigenti riformisti, in cui contestava apertamente l'operato di Mussolini come direttore dell’Avanti.

2. Il “Partito del lavoro” (1907-1910) II 7 ottobre 1907 si svolge a Firenze un convegno promosso dalla CGdL, a cui partecipano i maggiori esponenti del PSI i quali oltre a riconoscere il monopolio sindacale della Confederazione accettano che essa formuli un programma che tocca anche temi politici quali l'emigrazione, la legislazione operaia, l'azione del governo, l'allarga- mento del suffragio. L'organo confederale scrive: “Se l'accordo [con il PSI] potè essere cosi facilmente raggiunto, ciò si deve in molta parte al fatto che era intervenuto il Congresso internazionale di Stoccarda a persuadere i socialisti italiani della necessità di una politica socialista modellan- tesi sulla politica dei sindacati. Senza l'ammaestramento degli altri paesi un Partito socialista come il nostro, che non ha neppure un operaio nella sua rappresentanza politica e che ne ha pochi nei suoi organi direttivi centrali e locali, non avrebbe ascoltato tanto facilmente la voce ammonitrice delle organizzazioni di mestiere.”15 Questi accordi attuano il disegno confederale di raggiungere uno spazio politico autonomo accanto al PSI. Il progetto di dar vita a un "partito del lavoro" controllato dalla CGdL portò un’ala del movimen-to operaio a deviare dalle iniziali premesse da cui era mossa, sulla strada del legalismo e di quei valori, solo democratico- parlamentari e non più socialisti, che avrebbero dovuto restare strumenti e non fini. Fu uno sviluppo che coinvolse non solo la confederazione ma anche larghi settori del PSI e a cui contribuirono l’influenza del movimento

15 "La Confederazione del lavoro" ottobre 1907. n. 44

17 operaio internazionale, l'eterogenea composizione del proletariato italiano, la politica dei partiti dell'Estrema e la politica giolittiana. L'orientamento politico che mirava a dare uno sviluppo autonomo al movimento operaio, libero da vincoli con il PSI, era già presente prima della costituzione della CGdL. Ne erano stati ispiratori all'in- terno PSI ex operai divenuti organizzatori o comunque persone che (come Bissolati, Bonomi, Cabrini, Rigola, Reina, Pagliari, Graziadei) si erano formati in un particolare contesto o avevano alle loro spalle precise esperienze culturali. Molti provenivano da zone dove vi erano state grandi lotte operaie e dove più evidenti risultavano le condizioni di un proletariato miserabi-le, ciò che serve a capire la maggiore attenzione al "socialismo degli interessi" rispetto al "socialismo degli ideali" ed i tentativi venati di corporativismo di ridurre la lotta di classe ad uno scontro sul terreno economico e rivendicativo. Queste motivazioni profonde spingevano i responsabili della politica gradualista socialista e sindacale ad affermare la preminenza su qualsiasi partito di una organizzazione sindacale che doveva però configurarsi – a differenza del sindacalismo rivoluzionario - come espressione del "lavoro" e non del solo elemento proletario. Da ciò derivava l’avversione a una strategia rivendicativa che aveva nello sciopero generale politico la massima espressione e la ricerca del caso per caso, del contratto vantaggioso, del successo di breve periodo che avrebbero dovuto prefigurare futuri nuovi assetti politici. Erano anche spinti a non dimenticare le componenti democratiche presenti nel paese e in parlamento: in questo quadro si collocavano le aperture verso repubblicani e radicali, visti come forze con comuni interessi sul terreno della libertà, a volte solidali con il movimento operaio, preziose per un'opera di raccordo fra proletariato e moderna borghesia liberale. Si posso ricordare le comuni battaglie parlamentari di fine secolo, l'intervista di Turati all'"Avanti!" nel giugno 1899 ("i fondamenti della nuova politica socialista: democratizzazione, fabianismo economico, libertà politica"); le risoluzioni del congresso del PSI nel settembre 1900 favorevoli alla tattica delle alleanze; le mosse di Giolitti fra fine 1900 e inizio 1901 per chiamare al governo i radicali; le posizioni di Sacchi, il ricordo 18 della "sua stessa giovinezza a Cremona al fianco di Bissolati, il vivo contatto da lui sempre mantenuto con le leghe dei lavoratori nella pianura padana ... la sua considerazione del valore positivo della coscienza dei lavoratori."16 Ciò portava al Convegno repubblicano di Bologna dell'8-9 dicembre 1906 gli organizzatori sindacali repubblicani ad aderire alla CGdL la quale ribadiva il suo carattere di organizzazione aperta a tutti.17 Infine, ad avvalorare una strategia che doveva portare all'indipendenza delle organizzazioni economiche della classe lavoratrice, negli anni 1905-1906 si manifestarono segni di crisi del PSI, di una sua ridotta capacità di penetrazione e di sclerosi nelle strutture organizzative. Ciò era dovuto anche alle ambiguità presenti al momento stesso della fondazione del Partito: imprecisioni delle norme statutarie, composizione fortemente settoriale, "labilità dei confini tra i due tipi di organizzazione, la compenetrazione anzi tra essi [che lasciava] aperta la via a un suo sviluppo in senso tradeunionistico. "18 Tra dicembre 1904 e gennaio 1905 su "Critica sociale" Bonomi si inseriva nel dibattito precongressuale affacciando l'idea di una ristrutturazione del partito ("un nucleo di forze politiche legate strettamente a tutte le organizzazioni economiche del proletariato"). Bissolati in quei mesi lanciava il progetto di una unione fra i vari gruppi socialisti "ognuno con un suo proprio raggio di azione e di propaganda, legati in una organizzazione federativa."19 Nel maggio 1905 era fondata a Roma l' "Azione socialista" diretta da Bonomi a cui collaboravano Bissolati, Zerboglio, Montemartini. Nell’editoriale del 12 agosto 1905 Bissolati scriveva: Non si tratta più di discutete entro i confini dell'attività consuetudinaria del 16 A. Galante Garrone “I radicali in Italia”, Milano 1973, p. 367.

17 Agli avversati della Confederazione, "La Confederazione del lavoro," n. 3, 29.12.1906.

18 G.Arfè “Storia del socialismo italiano”, Torino 1965, p. 31

19 La burletta del sindacalismo rivoluzionario, "Critica sociale," 1.2.1905 19 partito questo o quell'atteggiamento tattico; non si tratta di vedere se convenga la transigenza o l'intransigenza elettorale, l'opposizione o l'appoggio ai governi democratici, se la preminenza debba spettare alle grandi riforme tributarie o alle riforme di classe, cioè alla legislazione del lavoro. Quello che si rimette in discussione è il principio fondamentale del Partito socialista e cioè: deve il Partito socialista scomparire subito e quasi totalmente per lasciare che la classe operaia, senza distinzione di partito, cioè socialisti, anarchici e repubblicani, crei i propri ed esclusivi organi politici”. Sulla "Critica sociale" del 1° luglio 1905 Graziadei apriva un dibattito con l’articolo “Sindacalismo, riformismo, rivoluzionarismo” in cui analizzava le funzioni del PSI e della classe operaia visti come tutore e pupillo: il tutore traeva la sua autorità dall'esistenza del pupillo, che doveva però fatalmente emanciparsi e divenire adulto. Con la crescita il movimento operaio si sarebbe sbarazzato della guida del partito ("un aggregato di persone che appartengono alle più diverse classi sociali che hanno interessi di classe, tendenze di classe, gusti di classe i più vari") e sarebbe divenuto "grazie alla sua superiore coscienza e coesione di classe" un organismo a sé, in grado di "disgregare quell'amalgama e di mandare gli avvocati e i medici ad occuparsi con maggiore diligenza dei propri clienti," con più umiltà, e senza più nessuna pretesa di insegnare cose che non potevano sapere. Bissolati sull’"Azione socialista" del 15 luglio ribadiva che "la sostanza del Partito socialista è tutta nelle organizzazioni economiche dei lavoratori" e sulla "Nuova Antologia" descriveva la crisi del PSI visto come uno stato maggiore senza esercito, incapace di contatto con le masse operaie che, sole, avrebbero potuto suggerire soluzioni nuove e al passo con i tempi, e indicava i possibili rimedi: “Mutare radical-mente la costituzione del partito riscoprendone lo spirito classista: il riformismo [deve mettere a nudo] quanto avvi di assurdo e di politicamente immorale nel fatto che a cagione del modo come è costituito il partito, basta, nel più dei luoghi, un esiguo numero di persone a de-terminare situa2ioni che possono essere il disastro della democrazia e della stessa classe lavoratrice. Perché non dovrebbe parere bello e degno di riformisti rivendicare a sé 20 l'onore di avere essi attuato il sindacalismo genuino mercé l'adesione del Gruppo Parlamentare, tutto ispirato a interpretare direttamente i bisogni delle classi lavoratrici?20 Il riformismo italiano in questi anni cercava un supporto in esperienze di crescita proletaria in nazioni più industrializzate ponendole come modelli da seguire, prescindendo però dal loro contesto: a parte l'esempio inglese, l'esperienza francese era divulgata in modo deformato tacendo il ruolo fondamentale dello sciopero generale e valorizzando la separazione netta fra partito e sindacato. Quando nel 1896-98 uscirono gli articoli di Bernstein sulla "Neue Zeit" e nel 1899 i “Presupposti del socialismo e i compiti detta democrazia” gli ambienti del sindacato e del socialismo moderato italiano ne accolsero i fondamenti teorici essenziali, polemici di alcune ipotesi centrali del marxismo. Le posizioni di Bernstein influenzarono la linea operaista seguita dalla dirigenza sindacale, la concezione di un partito rigidamente accentrato venne sostituita da una visione più possibilista, aperta a tentare vie e soluzioni nuove; la funzione di guida del partito era svalutata a favore di un movimento sindacale cui era demandato il compito di attuare un socialismo atten-to al contingente, più pratico e libero da ogni rigido sistema dottrinale. Di qui l'invito ai lavoratori ad usare il loro potere per ottenere dallo stato leggi migliori, nella convinzione che il socialismo si potesse attuare attraverso conquiste parziali, graduali e settoriali, e non necessariamente attraverso rivolgimenti violenti. La creazione della CGdL negli ultimi mesi del 1906 oltre a rappresen-tare un momento importante della politica sindacale italiana da cui partire per nuove rivendicazioni anche politiche era avvenuta rivendicando l’autonomia di un organismo già politicamente maturo: l'articolo 3 dello statuto assegnava al massimo organo sindacale "la direzione generale e assoluta del movimento proletario, industriale e contadino al di sopra di qualsiasi

20 Congresso socialista italiano, "Nuova Antologia," 1.10.1906, p. 472.

21 distinzione politica." Vi era il preannunzio di una politica che proprio perché era espressione del proletariato doveva avere un peso egemone rispetto a quella sostenuta da ogni altra rappresentanza operaia, fosse essa stata di partito o di sindacato settoriale. D'Aragona dichiarava al Congresso della Resistenza da cui era nata la CGdL che nel nuovo organismo "possono entrare tutti gli operai, qualunque sia la loro fede politica e religiosa [poiché] la nostra organizzazione dovrà fare della politica non di partito, ma della politica operaia e proletaria."21 La "Confederazione del lavoro" scriveva nel numero del 29 dicembre 1906: “Abbiamo detto le mille volte che la lotta di classe operaia non può essere considerata tutta negli stretti rapporti tra chi salaria e chi riceve il salario; che essa lotta di classe non è soltanto una lotta per la paga più alta o per l'orario ridotto, ma che riguarda tutti i problemi e rompe la stretta cerchia delle relazioni fra operai e padroni. La libertà di associazione, la libertà di sciopero, il non sostituire gli scioperanti con i soldati, il pane, il sale a buon mercato sono problemi politici e sono tutt'uno con la libertà, con l'orario, con la paga, con l'economia del lavoratore. Il lavoro, la produzione, i trattati, la scuola, la pace, la guerra sono ancora e sempre problemi politici strettamente connessi al salario, al pane e alla vita dell'operaio”.22 Nella riunione del 3 dicembre 1906, uno dei suoi primissimi atti, il Comitato esecutivo della CGdL lanciava la proposta di un referendum da tenersi fra i deputati socialisti e repubblicani circa il progetto di indennità parlamentare ai deputati. Era un atto importante perchè poneva una questione che non verteva su problemi sindacali ma politici, era una iniziativa volta a scopi ben precisi: operava una apertura verso l'ala riformista socialista e anche verso i repubblicani che cominciavano a guardare alla Confederazione come possibile sbocco del loro movimento sindacale.

21 L. Marchetti, “La Confederazione Generale del Lavoro negli atti, nei documenti, nei congressi 1906-1926”, Milano 1966, p. 6

22 Agli avversati della Confederazione, cit 22 La proposta del referendum sollevava una questione che la CGdL reputò più tardi indispensabile risolvere quando, uscita allo scoperto con l'idea di un proprio partito del lavoro, dovette pensare a una rappresentanza parlamentare composta di operai i quali avrebbero avuto bisogno di una indennità di presenza. Nello stesso periodo prendeva piede all'interno del PSI un dibattito che assunse aspetti non previsti dai suoi ispiratori. La discussione, partita come analisi delle insufficienze dell'azione del gruppo parla- mentare socialista, si allargò a tutto il partito, visto come organismo che si andava spegnendo, mentre "ferve la vita nelle leghe, nelle camere del lavoro, nelle cooperative proletarie."23 Era una posizione condivisa da Bissolati24, da Salvemini ("il Partito socialista non è ammalato, è morto; e ora non è che uno spettro; e il gruppo parlamentare è lo spettro di uno spettro"25). Ma se alcuni tentavano di far rimanere il dibattito ancorato ad analisi teoriche su nodi fondamentali nella vita dell'organizzazione politica, qualche esponente del sindacalismo riformista indirizzava queste ana-lisi verso altri obiettivi. Pagliari poneva la questione dell'indipendenza operaia parlando della necessità di preparare "a mezzo della coopera-zione e della mutualità un'aristocrazia operaia che sappia dirigere e consigliare il nostro proletariato" in modo che esso possa acquisire "quelle qualità tecniche e quelle cognizioni amministrative e teoriche che occorrono per dirigere una azienda così difficile.26" E nella corrispondenza personale con Rigola chiariva ancora meglio il suo pensiero: “Credo che la Confederazione debba andare senza guardare né a destra né a sinistra per la sua strada. L'organizzazione è fine a sé finché non è riuscita a diventare una forza, e non può cambiare rotta per far piacere al Signor Partito. 23 Rilevando l'inazione del Gruppo Parlamentare in "Critica sociale" 1.1.1907.

24 Risposta a Zerboglio, in "Critica sociale," 16.1.1907

25 Spettri e realtà, in "Critica sociale," 1.3.1907

26 Un problema urgente, in "Critica sociale," 16.3.1907 23 Chi non è con noi è contro di noi ... L'organizzazione proletaria non può che fare quel che giova a lei, non quel che giova agli altri, sia pure questi "altri" magari il partito."27 A sua volta Rigola sosteneva queste posizioni in uno scritto su "La Confederazione del lavoro" contrapponeva i "quaranta o cinquantamila iscritti al partito" agli "oltre duecentomila confederati tutti, si può dire, socialisti o più avanzati ancora," traendo la conclusione che "non c'è da stupire se l'involucro del partito deperisce e si sfibra.28" e in una intervista al "Tempo" di Treves diceva: “Abbiamo la prova che questo partito è stanco: non vede, non sente, non cammina; i suoi organi sembrano colpiti da paralisi incipiente. È la prova che siamo molto lontani ancora dall'intenderci ... perché l'organizzazione effettiva di classe ha in breve superato grandemente l'azione del partito, perché l'azione quotidiana di questo si trova, nel presente momento storico, spesso inceppata dall'organizzazione di partito. Onde l'ora del dilemma: o rinnovarsi o isolarsi. Dilemma che le organizzazioni mettono a cuor sicuro perché hanno la fortuna di essere ben saturate di spirito socialista.29 Nel luglio del 1907, dopo le elezioni amministrative che avevano visto importanti affermazioni della coalizione fra PSI e PRI, si presentava il problema di trasferire questa tattica delle alleanze in occasione delle elezioni politiche: una linea che trovava favorevoli Bonomi, Bissolati, Modigliani; contrari Turati e il gruppo milanese30. Vi fu uno scambio di lettere, nei mesi di settembre-novembre 1907, fra alcuni esponenti repubblicani e Rigola. Alle aperture di Oscar

27 IGF, FR, busta 1907, lettera del 20.8.1908.

28 In piena crisi, in "La Confederazione del lavoro," 10.8.1907.

29 Fra la Confederazione e il Partito. Le "spiegazioni" di Rinaldo Rigala, "II Tempo" 6.8.1907

30 I.Bonomi, Fase nuova e F.Turati, II più grande blocco, "Critica sociale" 1.7.1907 e 1.2.1908 24 Spinelli31 Rigola replicava che la Confederazione doveva diradare e poi rompere i legami con il PSI e approfondire e favorire invece l' "accordo con le frazioni politiche della vera democrazia"32 Sul finire del 1907 il libro di Bonomi “Le vie nuove del socialismo” dava una più compiuta sistemazione teorica a questa linea politica. Le impostazioni teoriche di fondo sono mutuate da Bernstein: ripudio del marxismo e della socialdemocrazia tedesca denunziata "come la roccaforte del conservatorismo ideologico nell'ambito del socialismo internazionale"33; nuova considerazione sulla natura dello stato; cooperazione con le forze borghesi. Grazie a questo libro, accettato dalla maggioranza del partito in funzione antisindacalista e antimassimalista, il movimento operaio organizzato si sentì destinato a una funzione egemone grazie al suo realismo, al suo concretismo, al suo diretto contatto con la pratica politica quotidiana. Una posizione, questa, che auspicava, in prospettiva, la morte del partito: “II socialismo esce dalla cerchia angusta di un partito e si slarga sino a identificarsi nel movimento operaio. Vent'anni di propaganda e di azione ininterrotta hanno ormai abilitati le Leghe operaie, le Cooperative operaie, i Sindacati di mestiere a fare essi stessi la propria politica, senza bisogno di essere sempre tutelati, guidati, rappresentati da un partito composto di fedeli di Marx ... Il partito vive a patto di essere un organo sottoposto alla volontà dei Sindacati, e non già l'organo direttivo dei Sindacati ... È la classe operaia con la sua opera vasta e complessa e non il partito con le sue attese mistiche quella che schiude l'avvenire” 34.

31"Non le pare questo il momento buono per stringere il patto del buon accordo e delle azioni comuni oltre che col Partito socialista, col Partito repubblicano?” IGF, FR, busta 1907, lettera dell'8.9.1907.

32 Ibid., lettera del 12.11. 1907.

33 G.Arfé, op. cit., p. 123

34 I.Bonomi, “Le vie nuove del socialismo”, Roma, 1907, pp. 196-197 25 Nel 1908 c’è un salto qualitativo rispetto alle polemiche precedenti: la classica impostazione socialista riformista è scavalcata con l’emergere di una linea tradeunionistica caratterizzata dalla violenza dei discorsi e dal taglio aggressivo di molti articoli, volti a porre con spregiudicatez-za il problema dell'egemonia sul movimento operaio. Il 30-31 marzo la CGdL indisse a Roma il convegno "pro’ vittime politiche" invitando rappresentanti socialisti, repubblicani, radicali; e la direzione integralista del PSI denunziò " il tentativo di costituire una piattaforma di un blocco democratico di governo e di una intesa elettorale cui il partito non [avrebbe potuto} aderire senza violare precedenti decisioni." Il rilievo provocò una mossa tattica di Rigola: "la questione di un blocco elettorale fra i partiti dell'Estrema non è né urgente né matura" ma non impedì lo svolgimento dei lavori chiusi con una sostanziale vittoria della CGdL che si vedeva incaricata di coordinare la sua azione con i partiti democratici per una futura azione comune. Scrisse Rigola: “La prima cosa che si impone è una separazione netta del Partito socialista ... è fallito alla prova dei fatti anche il sistema dei legami che dovevano far camminare le due organizzazioni. La Confederazione dovrà andare ben guardinga prima di impegnarsi in quella politica che non sia la politica sua specifica. La Confederazione non può che optare la sua indipendenza da tutti.”35 E Pagliari invitava il sindacato ad "affermare audacemente la propria indipendenza e a proclamare il diritto incontrastato a una sua politica" e a voler considerare il partito non più "come un organo più evoluto e superiore," ma "strumento dell'organizzazione."36 Questi interventi giungevano in pieno dibattito precongressuale del PSI, quando la maggioranza integralista di Morgari stava per essere scalzata dal largo schieramento riformista che andava da Bissolati, a

35 Una quasi -vittima politica, "La Confederazione del lavoro " 11.4. 1908

36 Il Partito Socialista e l'Organizzazione Operaia, "La Confederazione del lavoro" 25.4.1908 26 Turati, a Modigliani. A causa di questo clima di lotta per il controllo del partito gli attacchi confederali venivano strumentalizzati dai riformisti in funzione antintegralista almeno fino a quando i riformisti riebbero la guida del partito e si trovarono a combattere una politica che quando erano minoranza avevano favorito: così va interpretata la posizione che Modigliani che si dichiarava d'accordo con i "gesti di indipendenza" della CGdL perché "non è possibile un'intesa qualsiasi con un partito che brancola nel buio e non ha una direttiva assoluta37 In questo contesto risulta spiegabile il sostanziale accordo fra Turati e Rigola che emerge dal loro carteggio38 e rivela un comune terreno di convergenza politica. Scriveva Rigola a Turati “La Confederazione attraversa una difficile crisi e non è del tutto escluso che l'elemento sindacalista congiurato coi sopravanzi del repubblicanismo riesca, se non a travolgerla, a paralizzarne ogni attività, a screditarla di fronte all'opinione pubblica e specialmente di fronte al proletariato ... In due modi si può nelle presenti condizioni guadagnare la fiducia delle masse: o ubriacandole come fanno i nostri nemici, o persuadendole veramente colle opere: volendo appigliarci, come vogliamo, a questo secondo metodo, ci sarebbe indispensabile qualche aiuto iniziale ... ci occorrono un po' di mezzi. Non basta che noi possediamo un ufficio, un bollettino e dei comitati che si radunano senza poi avere i mezzi per andare alla pratica ... Ci vorrebbe almeno una mezza dozzina di migliaia di lire annue di sussidio che aggiunte a qualche sacrificio maggiore delle nostre più forti organizzazioni metterebbero il nostro bilancio in grado di sopperire alle necessità più impellenti.39 Il II Congresso della CGdL si apriva a Modena il 6 settembre: vi partecipavano delegati in rappresentanza di oltre duecentomila

37 Guardando in giro, "Critica sociale," 16.4.1908.

38 G. Bosio, Nascita e sviluppo della CGdL nel carteggio Turati-Rigola "Rivista storica del socialismo," 1958, pp. 94 sgg

39 IGF, FR, busta 1907, lettera del 7.11.1908 27 iscritti. Rigola anticipò la linea politica della direzione con tre interventi pubblicati su "La Stampa", su "La Confederazione del lavoro" del 24 agosto e sull "'Avanti!" del 6 settembre. Appariva l'estrema disponibi-lità ad accordi con ogni forza politica, la propensione ad ingrossare le file confederali senza un qualsiasi controllo sui suoi iscritti, il ripudio di ogni apriorismo a vantaggio di un disinvolto pragmatismo, la propensione infine a lavorare al fine di mandare col tempo al potere pubblico uomini che fossero delegati propri. “Questo è un domani, più o meno lontano, ma certo. Il sindacato deve essere assolutamente laico, di fronte alle confessioni religiose o politiche. Noi non potremo mai eliminare dal nostro campo i krumiri fin che legheremo le nostre organizzazioni ai partiti ... dobbiamo astenerci da tutto ciò che è aprioristico, che possa offendere le convinzioni di alcuno e quindi allontanarlo da noi.40 Nel corso del congresso la CGdL formulava il suo disegno di egemo- nia secondo una linea che doveva portare a un blocco democratico e a una separazione dal PSI con la risoluzione con cui dichiarava di assumere "la direzione generale assoluta del movimento proletario, industriale, contadino al di sopra di qualsiasi distinzione politica" ricercando "accordi con i partiti che non ostacolano la lotta di classe." Il tentativo di porsi come guida del movimento "proletario, industria-le, contadino" è però velleitario: in effetti il gruppo dirigente confede-rale operò sempre in favore dell'aristocrazia operaia del nord, non ri-servò mai una seria attenzione al problema meridionale e puntò in so-stanza a divenire diretto interlocutore del grande capitale protezioni-sta. Le affermazioni di impegno a rappresentare il proletariato di tutta Italia restarono a livello declamatorio, il corporativismo e l'operaismo della CGdL furono evidenti proprio attraverso quella linea volta solo a difendere una ristretta parte di operai già relativamente privilegiati.

40 Partiti politici e organizzazioni economiche. Intervista a R. Rigola, "La Stampa" 15.8.1908. 28 Più sostanzialmente rilevante nelle decisioni di Modena fu la parte relativa alla riorganizzazione della struttura, e rappresentò un notevole passo avanti nella realizzazione di quel disegno egemonico. Rigola chiedeva e otteneva di trasformare le Federazioni di mestiere e le Camere del lavoro in branche organiche della CGdL per controllare direttamente tutti i movimenti cooperativi e dì resistenza. In ultimo la segreteria presentò un progetto di riforme economiche e politiche che dovevano interessare tutta la vita della nazione41 e su quest'ultimo punto si impegnò nei mesi fra l'ottobre e il dicembre. Sosteneva una riforma del dazio sul grano, il suffragio universale, una legislazione sull'emigrazione, la riduzione delle spese militari, la pensione di vecchiaia. Molte delle richieste non furono neppure troppo sostenute e i risultati furono deludenti ma la CGdL ormai fu conside-rata un organismo in grado di esprimere una propria linea politica. Al congresso del PSI di Firenze del 19-22 settembre 1908 42 Rigola, reduce dal trionfo di Modena, si presentava su posizioni di estrema forza. Nel suo intervento si notano passaggi ricattatori: ”... o il partito avrà una direzione che andrà d'accordo con la Confederazione ... ed allora il rapporto sarà ottimo; oppure vi diciamo fin d'ora che i rapporti sono rotti. Perché il socialismo, in fin dei conti, non lo fanno poi tutto nemmeno i circoli socialisti, ma lo possono fare le organizzazioni economiche” e espressioni più sfumate nell’attesa che il partito tornasse nelle mani dei riformisti, più disposti all’accordo. Già il primo numero della nuova gestione bissolatiana dell' "Avanti!" era improntato a un riconoscimento della forza traente dell'organizza-

41 VII Congresso Nazionale delle Società di Resistenza Torino 1908. A. Pepe Storia della CGdL dalla fondazione alla guerra di Libia 1905-1911, p. 291

42 L. Cortesi, Il socialismo italiano tra riforme e rivoluzione, Bari, 1969, p. 293-336; F. Pedone, Il Partito Socialista Italiano nei suoi Congressi, Milano 1953, vol. II, p. 85-122 29 zione sindacale."43 Dalla fine del 1908 a tutto il 1909 comparvero sempre sull" 'Avanti!" articoli di commento e di elogio alle Trade Unions e al socialismo scandinavo, e sempre più frequenti furono gli articoli di Cabrini, Rigola, Chiesa, Berenini. Questo intenso travaglio all'interno della sinistra italiana avveniva in un periodo, 1907-1908, segnato da una crisi economica di notevole ampiezza, e proprio inserendosi in quel momento di crisi il discorso confederale diveniva più credibile. La CGdL si diceva quasi costretta a darsi una struttura "politica" salda, in grado di opporsi al capitale e di correggerne in senso popolare le scelte, e in grado di sostituire le altre forze politiche che si erano dimostrate carenti e deboli. Gli anni 1905-1906 erano stati caratterizzati dall’espansione del sistema industriale italiano; molte industrie trainanti (la chimica, la tessile, la meccanica, la siderurgica) erano cresciute e si erano consolidate; i valori di borsa avevano raggiunto quotazioni gonfiate da manovre speculative. Ma se anche i salari operai toccavano livelli discreti e i saggi di profitto industriale avevano punte molto alte, tutte le arretrate strutture di fondo su cui si basava il sistema economico italiano non erano intaccate che in modo marginale. Per questo le conseguenze negative di questa espansione che aveva comportato eccessivi immobilizzi tecnici di capitale, grande dilatazione del numero delle imprese, crescente dipendenza dal capitale finanziario e bancario, emersero nel biennio successivo. Una sfavorevole congiuntura internazionale rivelava, con una minore esportazione, la fragilità dell'intero sistema produttivo e distributivo. Conseguenze erano state crisi di sovrapproduzione e flessione nei prezzi. Rimedi erano stati quelli tradizionali e tipici di un sistema liberistico interno e fortemente sbilanciato da regione a regione e da settore a settore: flessione negli investimenti, blocco e riduzione salariale, massicci licenziamenti, blocco delle assunzioni, tendenza alla concentrazione monopolistica. Era un processo che aveva una ripercussione profonda nella vita del movimento sindacale, e che è ben caratterizzato dall'andamento degli scioperi ancora numerosi e sovente vittoriosi nel 1907, "anno cruciale in cui si incontravano la

43 "Avanti!," 2.10.1908 30 fascia ascendente delle precedenti lotte del lavoro e i primi segni di crisi,"44 e in netto calo nel corso del 1908. Nel 1907 si ebbero 1.881 scioperi, di cui 1.079 con esito completamente o parzialmente favorevole; nel 1908 si ebbero 1.449 scioperi, di cui 706 con esito completamente o parzialmente favorevole. Per le elezioni politiche generali del marzo 1909 Rigola si dedicava a riorganizzare operativamente l'ufficio di segreteria della CGdL e invitava D'Aragona a trasferirsi da Genova a Torino per assumere le funzioni di "segretario propagandista, trait-d'union tra le nostre sedi e le sezioni, tra noi e gli altri gruppi"45 In quel periodo fittissima era la corrispondenza tra Rigola e Pagliari46 da cui emerge il tentativo di creare una rappresentanza politica autonoma: “Il partito è morto del tutto ... È la morte per cretinismo del socialismo. Ragione per cui il nostro terreno è quotidianamente minato dalla giovane democrazia, che ci porterà alla tomba se non sapremo rinnovarci ... il nostro gruppo parlamentare è un branco di imbecilli senza spina dorsale, se ne eccettui due o tre probi e onesti. Cercar di metter rimedio a ciò sarebbe opera sacrosanta; ... per quanto riguarda le elezioni mi convinco sempre di più che bisogna prepararsi a far sentire la nostra voce nelle venture elezioni. Per questo occorre, anzitutto, consolidare le forze confederali e soprattutto disciplinarle sotto la Confederazione ... se non ci si mette a finirla con questo sistema della menzogna e della truffa politica la Confederazione del lavoro dovrà proclamare i suoi candidati e infischiarsene del partito. Non si potrebbe costituire con quote confederali una cassa indennità per deputati operai?” Quest'ultima richiesta era posta al primo punto di un programma politico confederale che Rigola esponeva in due articoli e che si configuravano come atto qualificante di una forza autonoma che lavorava, in prospettiva, per una propria rappresentanza

44 A. Pepe, cit., pp. 212-213.

45 IGF, FR, busta 1909, lettere del 4, 6, 10 gennaio 1909.

46 Ibid., lettere dell'11 e 23 febbraio, 1° marzo 1909 31 parlamentare. Dopo un preambolo: “Libertà innanzi tutto. Niente esclusivismo, niente repulsione aprioristica di nessun partito ... via tutta questa caterva di avvocati e di generici che continua a parlare in nome del proletariato ... Vogliamo una deputazione operaia ... perché ci pare fuori dubbio che lo stato dell'avvenire prossimo debba avere un parlamento non più composto di generici ma di rappresentanti correnti determinate e gruppi di interessi omogenei; [bisogna] dunque rivolgere le forze organizzate verso una profonda riforma politica che sia come un prolungamento della fervida attività riformatrice dei sindacati”47 passava alla presentazione dei candidati su cui fare affluire i voti (11 nominativi di membri appartenenti ad organi esecutivi e direttivi della CGdL) e alla definizione del programma in dieci punti: suffragio universale e indennità; abolizione del dazio sui grani; opposizione a ogni aumento di spese militari e ferma biennale; laicizzazione della scuola primaria; riforma tributaria con esonero dei redditi minimi; sviluppo della legislazione del lavoro; sviluppo della legislazione cooperativa; responsabilità dei funzionari della forza pubblica; revisione della legge sullo stato degli impiegati e riforma dei servizi pubblici; difesa e sviluppo della laicità dello stato. Il risultato elettorale fu assai positivo per il blocco dell'Estrema: in particolare a Torino l'avanzata era sensibilissima, e a Biella era eletto Quaglino, candidato confederale48. Il successo era interpretato come riprova dell'efficacia della tattica riformista parlamentare e come conferma della validità di quella linea politica tesa a presentare il socialismo come meta raggiungibile giorno dopo giorno dalle forze organizzate del proletariato, ormai coscienti e tecnicamente preparate a tale compito. Un consenso particolarmente importante a questa impostazione veniva anche da Andrea Costa, che in una lettera alla segreteria

47 Il programma e Raccomandazione agli elettori, "La Confederazione del lavoro" 20 e 27.2. 1909

48 P.Spriano, “Storia di Torino operaia e socialista: da De Amicis a Gramsci” Torino, 1980, p. 185 32 confederale si dichiarava favorevole a mantenere e a migliorare le istituzioni parla-mentari.49 Ulteriore verifica degli orientamenti prevalenti nella sinistra italiana si ebbe dal sondaggio che il giornale milanese "II Viandante" compì fra il novembre e il dicembre del 1909 sul tema “Inchiesta sulla partecipazione dei socialisti al governo”, cui parteciparono le maggiori figure socialiste e sindacali, da Bonomi, a Graziadei, a Serrati, a Lazzari, a Rigola, a Salvemini, a Cabrini, a Turati. Il dibattito e le sue conclusioni50 mostrarono come il "ministeriali- smo" confederale fosse la soluzione che suscitava più consensi. La riprova di un travaglio e di una lotta politica accesa all'interno della sinistra venivano da una serie di iniziative di segno tradeunionistico, tese a erodere sempre maggiore spazio al PSI. Gli attacchi erano portati sia su un piano generale, teorico e ideologico, sia su quello più contingente dell'efficienza nel tutelare e indirizzare una politica proletaria. Graziadei in “Socialismo e sindacalismo” ribadiva il ruolo fondamentale dell'organizzazione operaia nell'edificazione del socialismo mentre alla prova dei fatti il "marxismo puro" aveva subito un graduale ridimensionamento e aveva perduto gran parte della sua forza. Bissolati alla direzione dell'"Avanti! " privilegiava tutte le notizie provenienti dal mondo sindacale. Nella sua corrispondenza 51 Cabrini svolgeva presso Rigola un intenso lavoro di convincimento circa la bontà e la attuabilità di una soluzione laburista. Nel febbraio del 1910 usciva “Il crepuscolo del socialismo” di Arturo Salucci. È in questa situazione che Giolitti pronunziò, nella seduta alla Camera dell'8 aprile 1911, la celebre frase "Marx in soffitta" e Croce potè sviluppare la sua polemica antimarxista ("il socialismo è morto"

49 IGF, FR, busta 1909.

50 E.Santarelli, “La revisione del marxismo in Italia,” Milano, 1964, p. 137

51 IGF, FR, buste 1908, 1909, 1910. L Valiani, “I1 Partito socialista italiano dal 1900 al 1918”, "Rivista storica italiana," 1963, pp. 269 sgg.

33 in “Due conversazioni: La morte del socialismo del gennaio” del 1911). Il 23 aprile del 1909, a Torino, Bennefon Craponne parlando di fronte all'assemblea della Lega industriale affacciava l'idea della costituzione di una Confederazione generale dell'industria. Era un progetto che veniva ripreso e presentato dal "Bollettino della Lega Industriale" come dalla necessità per gli industriali di "emanciparsi dalla tutela politica dei partiti e di costituire un proprio autonomo gruppo parlamentare, che in particolare sostenesse il punto di vista industriale sulle questioni di legislazione sociale,"52 Era un inizio di gestione autonoma della politica industriale che trovava dopo pochi mesi un riconoscimento nell'atteggiamento sindacale: nel novembre di quell'anno la CGdL e la Federazione industriale piemontese si accordavano sul testo di un "disegno di legge per la Cassa di maternità" da presentare al ministero competente. Era un fatto importante perché significava la prima attuazione pratica di quell'intesa verticistica fra capitale e lavoro che la CGdL aveva cercato negli anni precedenti, e perché rivelava una precisa scelta nei confronti dello schema classista di lotta con l’abbandono di ogni idea di politica alternativa al capitale. Nel gennaio 1910 Rigola si dichiarava favorevole al progetto di una organizzazione padronale, con cui un sindacato forte e autonomo avrebbe potuto stabilire "reciproche intese"53 con ciò chiarendo la linea di azione confederale: rifiuto di tutte le mediazioni partitiche intermedie; tentativo di stabilire un contatto duraturo con gli organi rappresentativi dell'industria; volontà di collaborazione a lungo termine con il capitale nell'intento di giungere, in prospettiva, a una forma di stato nel quale fossero rappresentati "gruppi di interessi

52 L'organizzazione politica della classe padronale, "Bollettino della Lega industriale" n. 6, giugno 1909. A. Pepe, cit., p. 455 sgg

53 Una Confederazione Generale dell'Industria, "La Confederazione del lavoro" 1.1.1910. 34 omogenei" 54 Si collocavano in questo disegno una serie di atti che trovavano una rispondenza e, al limite, un sostegno nella politica delle organizzazioni padronali. Vi era stata nell'autunno 1909 una polemica violentissima fra PSI e CGdL a proposito di un eventuale sciopero generale da proclamare in occasione della visita dello zar in Italia: il partito era favorevole, la Confederazione nettamente contraria. Vi era stato un attacco alla politica di Sonnino iniziato con un articolo di Graziadei" e proseguito da una intervista di Rigola all'"Avanti!"55 Vi erano state nuove richieste per ottenere quel suffragio universale che la CGdL reputava premessa indispensabile per il tentativo di creare un partito del lavoro. Il progetto della candidatura di Rigola in occasione delle elezioni supplettive nel IV collegio di Torino aveva avuto il sostegno de "La Stampa" che lo presentò come l'esponente del "partito operaio economico, sano, equilibrato, consapevole della sua forza ma anche delle possibilità dell'industria"56 . Era stata creata, infine, a Torino il 5 maggio 1910 la Confederazione italiana dell'industria che radunava in pochi mesi 2.100 aziende con 250.000 operai. Il 22 maggio 1910 il giornale del movimento giovanile socialista, "Avanguardia," pubblicava un'intervista di Rigola che, partendo dal tema antimilitarista, toccava il motivo ricorrente della crisi del partito. E concludeva: “Infine, tra non molto tempo, all'infuori e al di sopra dei partiti politici compreso quello socialista sarà l'organizzazione operaia quella che imprimerà un orientamento più deciso alla vita politica della nazione.”57 Sul giornale della CGdL a giugno una lettera lanciava l'idea di "costituire in seno alla Confederazione il gruppo parlamentare del Labour Party come le Trade Unions inglesi" con il mandato di

54 " Raccomandazione agli elettori, cit

55 Su questa ora politica, "Avanti!" 16.1.1910.

56 "La Stampa," 12.4.1910

57 "Avanguardia socialista," cit. in Mammarella, p. 266. 35 sostenere in parlamento il punto di vista sindacale e con la libertà, se lo avesse creduto opportuno, di allearsi ad altri partiti "sempre però consenziente la Confederazione del lavoro."58 Il commento redazionale mostrava di incoraggiare quel progetto dicendo che "argomenti per sostenere queste tesi ne abbiamo a bizzeffe, e sembra che i partiti così detti avanzati facciano di tutto per apprestarcene sempre di nuovi."59 Il 10 giugno Rigola pubblicava un articolo, preceduto da un intervento di Bissolati che si chiedeva: "II circolo diventerà più operaio o la lega diventerà più politica? O l'uno e l'altra si fonderanno in un organismo nuovo, che sarà il partito del lavoro?" L'articolo partiva dalla polemica sul voto socialista favorevole al ministero Luzzatti, poneva sul tappeto la possibilità "per le organizza-zioni di mestiere di costituire anche in Italia un partito del lavoro" come punto di arrivo di una spinta della base sindacale e come necessità di affrancarsi dalla tutela di un PSI che aveva perso il contatto reale con i grandi problemi operai, concludendo: “È ammissibile che a farsi interprete dei voleri del proletariato alla Camera continui ad essere quella delegazione parlamentare che ripete il proprio mandato unicamente da una esigua quanto eclettica organizzazione politica?... E allora agendum” 60. "La Confederazione del lavoro" nei giorni successivi ospitò una serie di interventi a sostegno61 “Il Tempo” (diretto da Treves) era di opposto parere: Alfredo Poggi descriveva il partito del lavoro come "la bancarotta di ogni idealità, di ogni principio ed il trionfo solo

58 Verso un partito del lavoro, "La Confederazione del lavoro" 4.6.1910

59 Corsivo "La Confederazione del lavoro" 4.6.1910

60 Discutendo di un partito del lavoro, "Avanti!" 10.6.1910. Altri due articoli il 22 e 24 su “L 'Avanti!", ripresi da "La Confederazione del lavoro"

61 Dopo la setta, il partito del lavoro, "La Confederazione del lavoro," 11.6. 1910; Il Partito del Lavoro?, ibid., 18.6.1910 36 del più gretto utilitarismo."62 G. Allevi parlava di un partito del lavoro come “illusione fuorviante e pervertitrice, ... pazzesca perché gli operai non farebbero che mutar di tutela. All'influenza degli uomini del Partito socialista subentrerebbe quella degli organizzatori, ossia da una dittatura si passerebbe ad un'altra assai più pericolosa [con il risultato che] gli operai, abbandonati a loro stessi e ridotti ad un branco di questuanti in nome del diritto del ventre, perderebbero ogni valore morale e politico”.63 In due successivi articoli Rigola sviluppava il discorso centrandolo sull'assurdità di un dualismo fra dirigenza politica e organizzazione sindacale, la prima usurpante un ruolo politico, la seconda vista come forza in grado di divenire l'unica rappresentante dell'intera classe lavoratrice, senza più alcuna mediazione: “il movimento sindacale odierno … realizza la massima della classe operaia che fa da sé e provvede da sé alla propria emancipazione ... L'azione sindacale sarà più propriamente socialista, mentre quella di partito sarà più democratica e popolaresca ... Gli addetti alle industrie, alla terra, ai servizi pubblici ... si organizzano di preferenza nei sindacati, mentre nel circolo si raccoglie più facilmente un ambiente promiscuo, individualista, proveniente dai ceti destinati a far da semplice tessuto connettivo alla nuova conformazione sociale: di esercenti professioni liberali, massimamente l'avvocatura ..., di pubblicisti, di artigiani, di impiegati delle istituzioni proletarie, di ex operai divenuti osti od esercenti.... oggi il proletariato continua ad essere sotto la tutela di una classe che non è la sua. … E allora che fare? Ecco: il Partito del Lavoro inteso come il legittimo desiderio di avere alla Camera un gruppo che sia la genuina emanazione della Confederazione Generale, il quale possa far da contrappeso a tutte le altre frazioni della democrazia” Gli articoli rivelavano una concezione strettamente economicistica della lotta di classe, una volontà di risolvere i problemi della classe operaia solo su un terreno strettamente corporativistico. Giustamente

62 Un "Partito del Lavoro" in Italia, "II Tempo," 16.6.1910.

63 Ritorno al passato, "II Tempo," 22.6.1910 37 si è parlato, a proposito di queste proposte, di riformismo piccolo- operaio, di miope soluzione. Per valutare con obbiettività non bisogna dimenticare la presenza di una consistente forza sindacalista, che insi-diava l'egemonia confederale sul proletariato. Un partito del lavoro, abbandonando la struttura tipica dell'organizzazione, scissa in federa-zioni di mestiere e in camere del lavoro, per una struttura più "parti-tica" poteva avere maggiori possibilità di attirare adesioni: sarebbe stato un modo per raccogliere le forze disperse, per annullare lo spontaneismo, per porsi come punto di riferimento per le masse lavoratrici (i lavoratori iscritti alla CGdL non superavano in quei mesi il 5 per cento dei salariati italiani). Inoltre è da ricordare la formazione operaia di Rigola e dei suoi collaboratori, la loro propensione a privilegiare la lotta rivendicativa, a battersi non tanto per una politica generale di ristrutturazione della società, quanto per un miglioramento della condizione immediata dell'operaio in fabbrica. Questa posizione riceveva un avallo teorico dal gruppo di Bonomi e Bissolati ed era presentata non come contingente strategia ma come uno degli aspetti più importanti di un discorso avviato a fine secolo che doveva portare alla graduale ristrutturazione di una società da cui il capitale non doveva essere abolito ma solo maggiormente condizionato. Da ciò l'incomprensione della funzione rivoluzionaria del partito, il fastidio per ogni enunciazione che privilegiasse il politico sull'economico, il timore costante del momento insurrezionale, la concezione eclettica del partito che nasceva dall'errata concezione che il socialismo si attuasse giorno dopo giorno nelle leghe e nelle cooperative, la propensione a dilatare il più possibile il numero degli iscritti senza chieder loro un impegno socialista. Infine pesava il mito, soprattutto in Bissolati, del laburismo inglese, che si saldava con l'atteggiamento operaistico e insofferente delle elaborazioni teoriche di quegli "avvocati, osti, medicastri" così sovente bollati dalla pubblicistica confederale. Accanto a queste componenti vi era anche il calcolo egemonico e di potere, la speranza che un Partito del lavoro, grazie a un programma fumoso e generico, potesse raccogliere un amplissimo consenso

38 diventando l'unico partito in grado di portare avanti un dialogo costruttivo con le organizzazioni del capitale. Il progetto del partito del lavoro presupponeva la conservazione dello status quo sociale. L'abbandono di ogni istanza rivoluzionaria significava la registrazione di una sconfitta della classe lavoratrice, costretta a restare in subordine. Inoltre la volontà di disfarsi di ogni ideologia imposta dall'esterno nel nome del "concretismo" e lo svilimento della lotta di classe a una politica rivendicativa priva di ogni visione finalistica, mettevano la massa operaia in una posizione estremamente vulnerabile e quindi disponibile a soluzioni a carattere corporativo e angustamente settoriale. Infine quel "dialogo costruttivo" che la dirigenza sindacale pensava di poter avviare con il mondo imprenditoriale si sarebbe rivelato impossibile per la sproporzione di forze fra i due interlocutori, capitale e lavoro. È per questo che la Confederazione dell'industria plaudì a quel tentativo "laburista" italiano. Rigola traeva molti degli argomenti in favore della creazione di un partito del lavoro dall'inefficienza del gruppo parlamentare socialista, dall'estrazione borghese dei suoi componenti, dalla insensibilità mostrata verso i grandi problemi politici del paese. Ma il programma tradeunionista che essi proponevano coincideva nella sostanza con quel programma e con quella linea politica che essi attaccavano. Non si trova, nei suoi scritti di quei mesi, nessun tentativo di allargare un discorso sindacale al contadino o all'operaio del Mezzogiorno, nessuna volontà di legare in una problematica di classe le lotte di tutto il proletariato. Al contrario vi è la ripresa delle posizioni tipiche dell'ala più moderata del socialismo italiano. Il caso della socialdemocrazia tedesca si attaglia perfettamente al caso confederale italiano: “... da leva per l'azione, l'organizzazione del movimento si era ormai trasformata [agli occhi dei dirigenti] in fine a sé; impercettibilmente nel loro pensiero il fine e il mezzo si erano sostituiti l'uno all'altro. A questo strato ogni attività delle masse che rischiasse di travalicare l'ambito della legalità e di mettere in gioco l'esistenza legale del movimento, o addirittura di

39 mettere in questione la routine affermatasi nel corso del tempo, appariva dubbia”.64 "La Confederazione del lavoro" continuò a tenere desto il dibattito dando vita a una rubrica fissa "Il Partito del Lavoro" su cui interven- nero fino a ottobre numerose personalità del mondo sindacale. Ma le prese di posizione non erano più tutte favorevoli. Molte si differenzia-vano anche nettamente, alcune anche in termini decisamente contrari65 sfumate da interventi redazionali di ispirazione della segreteria che parlavano di "nessuna idea preconcetta da difendere, all'infuori di quella tutt'altro che nuova di abilitare la classe operaia a muoversi da sé in tutti i campi."66 Chiarissimo era l'articolo di Buozzi: ”.. noi non crediamo all'azione deleteria dei partiti politici poiché, proprio nelle località dove più questi hanno combattuto e tenacemente combattono e sono sviluppati, più forte è l'azione sindacale, più importanti le conquiste che va facendo il proletariato ... Come si fa ad escludere la politica dal nuovo partito? ... noi non crediamo all'opportunità e alla possibilità di costruzione di un Partito del lavoro in Italia.67 L'articolo di Rigola del 24 settembre segnava una netta inversione di tendenza e registrava una battuta d'arresto di quel disegno: “Noi non pensiamo affatto a sloggiare dalle loro posizioni di sentinelle avanzate gli uomini che non appartengono materialmente alla classe lavoratrice ... Ci basta poter dimostrare che sappiamo quel che vogliamo. Ciò che vogliamo si è che si innesti - se e come sarà

64 W. Abendroth, Storia sociale del movimento operaio europeo, Torino 1971, p. 74

65 G. Arfè, “Storia del socialismo…” cit., p. 141; Id., “Storia dell'"Avanti!'" Milano, p. 84; Mammarella, “Riformisti e rivoluzionari nel PSI” , Venezia, 1981, p. 259-270; I. Barbadoro, “La Confederazione generale del lavoro” Firenze, 1973., p. 188; A. Pepe, cit., p. 360-365

66 Corsivo "La Confederazione del lavoro," 16.7.1910.

67B. Buozzi, Di un partito del lavoro, "La Confederazione del lavoro," 20.8.1910. 40 possibile - sul tronco delle rappresentanze del proletariato nei pubblici poteri le delegazioni dirette delle organizzazioni di resistenza.68 Al Congresso socialista di Milano del 21- 25 ottobre 1910 mentre Bissolati parla di "partito ramo secco" vince la frazione di Turati e Treves va alla direzione dell'"Avanti!"69, Rigola si stacca dalle posizioni Bissolati, Bonomi e Cabrini. Questa decisione fu dettata dalla reazione sfavorevole della base: quel partito del lavoro non poteva essere che una brutta copia di altri partiti già esistenti, e i suoi eventuali iscritti sarebbero stati "quelli stessi che oggi si trovano nei partiti d'avanguardia."70. Rigola si trovava di fronte non solo a una scarsa adesione dell'elemen-to operaio, ma anche a una resistenza a ogni cambiamento da parte della burocrazia confederale. Molti dirigenti periferici erano restii a mutare quella struttura sindacale che, anche se funzionava poco, rappresentava per loro un centro di potere, in una diversa organizzazione di partito che avrebbe potuto minare la loro condizione di privilegio. Era un dato di fatto testimoniato sia dagli stessi interventi pubblicati dal giornale confederale sia dal tono reticente che emerge dalle lettere riservate che i dirigenti delle varie sezioni della CGdL inviavano alla segreteria generale di Torino.71 Un secondo fatto che frenava Rigola nel progetto era il deludente andamento della campagna di tesseramento. Tra giugno e ottobre affluirono alla segreteria generale della CGdL i dati sulla consistenza numerica delle federazioni di mestiere. La Federazione metallurgica al suo Congresso nazionale a Firenze denunziava un calo di iscritti da 30 mila a 10 mila72. Erano dati estremamente gravi su scala

68 Difesa, "La Confederazione del lavoro", 24.9.1910

69 Cortesi, cit.; Pedone, cit., vol. II, p. 123-156; Arfè, cit., p. 140-146.

70 Buozzi, Di un partito del lavoro, cit

71 IGF, FR, busta 1910

72 IV Congresso della FIOM, Firenze 1910, Milano 1910. 41 nazionale, e particolarmente sentiti a Torino, sede della CGdL, dove su un totale di poco meno di 100 mila operai e quasi 60 mila fra impiegati e artigiani, solo 9.300 risultavano iscritti alla Camera del lavoro.73 A questi dati rivelatori di una ridotta adesione proletaria alla CGdL si aggiungeva un terzo elemento decisivo. Era in quei mesi del 1910 che aveva preso corpo il progetto di una guerra italiana in Libia. Rigola capiva che la sua alleanza con Bissolati, Cabrini, Bonomi — favorevoli all'impresa coloniale — avrebbe contribuito ad aumentare il disorientamento nella base operaia, in grandissima maggioranza antimilitarista. Da ciò si può comprendere il voltafaccia del segretario confederale, e la sua pratica sconfessione di quel troppo ambizioso e velleitario progetto del partito del lavoro. Rigola al congresso di Milano così si esprimeva: Si è detto del partito del lavoro e tutti hanno rabbrividito; si è avuto paura di una frase. Mi si è accusato di voler costituire un Partito del lavoro destinato a sostituire il Partito socialista. È assurdo! [...] Il Partito del lavoro esiste già in quanto esiste la Confederazione, ecco tutto. Si crea forse un partito artificiosamente? [...] Bissolati ha detto che il partito è un ramo secco che bisogna che si rassegni ad essere sostituito da un gruppo nuovo. Bissolati è troppo ottimista verso le organizzazioni operaie [...] Le organizzazioni operaie sono deboli e imperfette; vanno aiutate.74 E pochi giorni dopo dichiarava all'Avanti! che il trasferimento dei poteri dal partito alla Confederazione "non è cosa che possa essere effettuata oggi. Oggi noi stessi sentiamo che non potremmo fare a meno dell'organizzazione politica come è attualmente75." E, quasi a chiudere la questione, meno di dieci giorni dopo la fine del congresso socialista, così scriveva su "La Confederazione del lavoro": “Nessuno più di noi desidera che l'organizzazione e il partito

73 P. Spriano, op. cit., p. 208.

74 Avanti!," 25.10.1910

75 Echi del nostro Congresso, "Avanti!," 29.10.1910 42 rimangano; il Partito del lavoro non fu mai nelle nostre intenzioni che una collabora-zione portata in tutti i campi di organizzazioni generiche e di organizzazioni specifiche. Rimanga dunque l'orga- nizzazione politica.76 Il gruppo riformista, uscito vittorioso in quella battaglia contro chi voleva sostituire il sindacato al partito, tenne nei mesi successivi al congresso di Milano una linea aperta verso la CGdL. La nuova maggioranza turatiana si rendeva conto che poteva fare a meno dell'appoggio del piccolo gruppo bissolatiano ma che aveva assoluto bisogno del sostegno o della neutralità confederale. A sua volta, la dirigenza sindacale capì che, sfumata l'idea di varare il nuovo partito, il suo alleato più congeniale restava sempre il gruppo riformista. È tenendo presente questi dati che si possono inquadrare correttamente, in quel nuovo clima politico seguito al congresso, l'editoriale collaborazionista e "unanimista" di Turati77; l'approvazione del Comitato direttivo del partito del memorandum che nel dicembre la Confederazione presentò a Luzzatti sul problema dell'abolizione del dazio sul grano; la partecipazione di una importante rappresentanza del partito al Convegno di Roma del 25- 26 gennaio 1911 indetto dalla CGdL per la conquista del suffragio universale e per l'abolizione dell'imposta granaria; la pubblicazione su "Critica sociale," di una dura intervista contro il partito rilasciata da Rigola a "L'Humanité," presentata però come stravolta e non rispondente al pensiero del segretario confederale. Nei primi mesi del 1911 il progetto del partito del lavoro era ormai accantonato. "Critica sociale" focalizzava i veri termini della questione scrivendo che "quell'ipotetico partito del lavoro che potrebbe venire creato, altro non sarebbe che un Partito socialista, come quello che esiste già": posizione su cui concordavano anche alcuni che in precedenza si erano battuti per quel "nuovo laburismo." Il 15 maggio 1911 Pagliari scrive a Rigola: “Forse il movimento

76 La Confederazione al Congresso Socialista, "La Confederazione del lavoro" 5.11.1910

77 Dopo il Congresso. La vittoria del lavoro, "Critica sociale," 1.11.1910 43 operaio è troppo pratico e troppo poco idealista per rendere consigliabile un cambiamento del partito nella classe; forse il partito, che è necessariamente minoranza, ad onta dei suoi difetti, serve da lievito alla pasta amorfa della massa operaia, anche organizzata: senza la minoranza socialista - sia pur riformista - del partito indipendente del lavoro il movimento operaio inglese sarebbe ancora quel movimento egoista e piccolo borghese contro cui si scagliava Engels.”78 Era un'ammissione dei limiti operaistici, corporativi e settoriali che avrebbero pesato su quell'operazione ambiziosa ma anche deleteria per la classe proletaria. Per comprendere il rientro del gruppo confederale in una disciplina di partito occorre ricordare che la flessione nel numero degli iscritti alle organizzazioni sindacali si era accentuata fra maggio e luglio 1911. I soci delle camere del lavoro, 577 mila nel 1908, non raggiungevano i 490 mila; il movimento federale che nel 1907 contava 204 mila aderenti, nel 1912 non ne aveva che 197 mila; gli operai organizzati in camere del lavoro, che nel 1910 erano stati 197 mila, nel 1911 erano 130 mila. Si parlò ancora della costituzione di un partito del lavoro nei congressi della CGdL di Padova (24-28 maggio 1911) e Mantova (5- 9 maggio 1914). Fu però un argomento in secondo piano, posto sul tappeto non tanto per far avanzare un progetto, quanto per difendere un'autonomia tendente a restringersi. Il progetto del partito del lavoro, irrealizzabile già negli anni di maggiore forza della CGdL, nel periodo precedente lo scoppio della guerra fu definitivamente affossato.

3. Il modello riformista genovese Il modello riformista reggiano è stato oggetto di vari studi.79 Meno noto e studiato ma anch’esso interessante è quello genovese. A Geno- va tra Otto e Novecento l'intreccio tra culture tradizionali

78 IGF, FR, busta 1911

79 Ved. soprattutto “Prampolini e il socialismo riformista” : atti del Convegno di Reggio Emilia, ottobre 1978, Firenze, 1979 44 (comunitarie e di mestiere) radicate nel territorio e modernità prodotta da un’industrializzazione accelerata era presente sia in una borghesia composta di grandi famiglie che gestivano in modo oligarchico attività finanziarie, commerciali e armatoriali, sia in un proletariato in prevalenza di portuali e marittimi, frammentato da antiche tradizioni di lavoro e radicato in culture di tipo preindustriale. In questo contesto l'azione svolta in ambito locale dai socialisti genovesi non potè che mettere in evidenza lo scarto tra il modello elaborato dal partito e la sua realizzazione. Diversi rispetto al capoluogo la presenza e l'orientamento dei socialisti nei comuni del ponente, in cui si concentravano le grandi industrie meccaniche e siderurgiche: Sampierdarena, Voltri, Pontedecimo, Sestri Ponente. Quì la conquista dei comuni e l'elezione di deputati rivelarono la capacità di definire relazioni e modelli di controllo del potere locale, ma mancarono gli spazi economici necessari a consolidare il consenso e ad evitare il formarsi di una base di massa del sindacalismo rivoluzionario. La presentazione del nuovo Partito avvenne nel marzo del 1894 con la pubblicazione dell'”Era nuova”, che aveva per sottotitolo “periodico socialista” e proponeva in prima pagina il programma del Partito dei lavoratori italiani (poi PSI)80. Prevaleva nel giornale un approccio positivista81 nell’utilizzo del metodo storico-sperimentale come fondamento scientifico contro le accuse di "interpretazione ideologica”82 che la cultura liberale rivolgeva al movimento socialista. In un’ottica gradualista ed evoluzionista il percorso della storia è determinato dalle condizioni di struttura, il progresso è lento ma ineluttabile, l'evoluzione della società, su cui non incide né l'atto

80 M. Milan “La stampa periodica a Genova dal 1871 al 1900” Milano, 1990, p. 214. Il giornale si pubblicò fino al 1913 con un'interruzione dal 1906 al 1910.

81 D. Cofrancesco, “Filosofia e politica a Genova nell'età del positivismo”, Ge-nova, 1988.

82 Ad esempio, "Socialismo e scienza positiva. Darwin, Spencer e Marx", “Era nuova”, 15.7.1894. 45 volontaristico dell'anarchico83, né il salto rivoluzionario, è fatalmente collettivista. "Era nuova" esprimeva la scelta della lotta di classe come unico strumento di soluzione della questione sociale, ribadendo il principio che "le leggi civili non possono mutare le leggi economiche". Con una serie di indagini statistiche sulle condizioni delle classi subalterne e la pubblicazione di scritti di teorici del socialismo (da Alfonso Astura-ro84 a Fourier, Saint-Simon, Babeuf, Proudhon, Marx, Bakunin, Lassalle, Turati, Costa, Prampolini85) si assegnò la funzione di direzione politica del movimento economico per orientarlo in senso socialista con un programma di elevamento del livello culturale degli operai e di spostamento della mentalità delle organizzazione operaie in senso marxista.86

83 "Il delitto politico", ivi, 1.7.1894 e "Caffaro e il signor G.F.", ivi, 8.7.1894; e per il collettivismo "La fatalità del collettivismo", 3.6.1894. L'esposizione più sintetica della sociologia socialista è espressa nell’articolo che il giornale dedicò a " e il socialismo", 10.3.1895, in cui si afferma: "II socialismo prescinde da qualunque elemento metafisico e teologico. Esso segue il me-todo positivo, il quale ricerca sempre le leggi coll'osservazione dei fatti, colla storia, con l'esperienza. Per esso individuo e società sono due termini insepara-bili e concordi della vita umana, e cosi viene a stabilirsi un equilibrio laddove volevasi scorgere un conflitto. Il principio supremo è l'interesse dei più, perché in questo interesse si legittima e si compie l'interesse individuale".

84 1854-1917. Autore di numerose pubblicazioni, in particolare “La sociolo-gia: i sui metodi e le sue scoperte”, Genova, 1897 ed edizioni successive; “Il materialismo storico e la sociologia generale : prelezione al corso di sociologia generale dell'anno 1902-1903 nell'Università di Genova”, Modena 1910; M.Pescio, Alfonso Asturaro, in “ Le origini del socialismo in Liguria” a c. di V. Malcangi, Alessandria, 1995

85 Ai lettori " Era nuova” 21.10. 1894.

86 L. Borzani, "La palestra della mente": l'attività della Camera del lavoro di Genova per l'istruzione popolare (1900-1912) in L..Rossi , “Cultura, istruzione e socialismo nell'età giolittiana”, Milano,1991 46 Al primo Congresso socialista ligure del 13-14 maggio 1894 vennero affrontate le scelte in fatto di "azione elettorale"87. La relazione di Angiolo Cabrini su "Partiti politici e religiosi" si allineò alla scelta di rigida contrapposizione “all’azione di tutti gli altri partiti che si contendono il favore della pubblica opinione”, intransigenza flessibile solo nei confronti di repubblicani collettivisti presenti nelle associazioni operaie repubblicane, cui si indirizzava la propaganda socialista, ma non dei leaders del movimento repubblicano genovese, accomunato agli altri partiti borghesi. Nel primo periodo di vita del partito controversa fu la scelta tra le candidature intese all'elezione di socialisti e le candidature di protesta, ma non l’opzione per l’intransigenza che comportò l'assenza fino al 1902 di rappresentanti socialisti in consiglio comunale88. L' "Era nuova" ospitò critiche nei confronti dell'amministrazione in carica, ma si trattava di osservazioni marginali che non investivano la struttura complessiva di governo della città. L'attenzione dei socialisti genovesi fu rivolta ad assumere la direzione degli scioperi che scoppiavano spontanei dando ad essi precisi connotati di lotta di classe e puntando sulle condizioni di lavoro, soprattutto nel porto, inique per i lavoratori ma anche inadeguate al processo produttivo. Genova operaia entrò sulla scena nazionale con lo sciopero del dicembre 1900 in difesa della Camera del Lavoro. La compattezza della protesta, la disciplina, il rifiuto della violenza, sancirono la maturità del proletariato creando però anche una retorica dell'operaio genovese, in cui i tratti stereotipati della "genovesità", il pragmatismo, la concretezza, la poca dimestichezza con la frase rivoluzionaria e i gesti impulsivi, si coniugano con un'etica volta al

87 Il congresso fu preceduto da una riunione del "Comitato coordinatore per il primo congresso socialista ligure", “ Era nuova”, 20.4.1894, che provvide alla costituzione della Federazione socialista ligure e definì lo statuto.

88 Il primo congresso socialista ligure “ Era nuova”, 20.5.1894. 47 graduale conseguimento della promozione sociale e della elevazione morale. La Camera del Lavoro, con gli organismi collegati: l'Università Popolare, il Consorzio delle Cooperative e il quotidiano "Il Lavoro", diventò il "Comune operaio", costituì il perno attorno a cui si definì e si costruì il socialismo genovese. Ma l’originale e complesso sistema di cooperazione, conquistato a partire dal combattivo “sciopero nero” dei carbonai del porto, non fu in grado di valorizzare la sua forza economica sul piano politico. La tradizione democratico-mazziniana e il mutualismo furono il retroterra di un impegno che si esprimeva più attraverso istituti autonomi, dalle cooperative di resistenza e di lavoro alle case popolari, che in una azione di modifica dei poteri pubblici, rappresentando una caratteristica del movimento operaio genovese: il privilegiamento dell'iniziativa economica rispetto a quella politica e istituzionale. La forza del riformismo genovese, la costruzione di questo tessuto di sodalizi operai, si trasformò in debolezza a Sestri Ponente e Sampierdarena, dove mancarono alla classe operaia delle grandi industrie meccaniche e siderurgiche gli spazi economici necessari a consolidare il consenso e ad evitare il formarsi di una base di massa del sindacalismo rivoluzionario, come già si è detto poco prima. All'accusa di "opportunismo", "possibilismo politico", di "trascurare la propaganda e la formazione della coscienza socialista", di caratterizzarsi solo in iniziative imbevute di spirito utilitario, i riformisti contrapposero l'esperienza genovese, presentata insieme a Reggio Emilia come un modello dove i dibattiti e le prese di posizione ideologica, "ampolle di alchimia politica così cara agli anarcoidi senza oriente, così accetta a chi da molti anni non ha fatto che commemorazioni politiche", non intaccavano l'attività di organiz- zazione e l'incremento costante delle istituzioni di classe, un modello di crescita civile non faziosa o turbolenta a cui si opponevano le teorie velleitarie di "quello scarso socialismo catastrofico" che trova la sua origine nel "mezzogiorno feudale...dove non resta che giocare un terno al lotto della rivoluzione e aspettare".

48 "Nell'abito della svolta liberale...prese corpo un modello riformista socialista ligure che ebbe larga fortuna non solo localmente.....esso trovò ampia sperimentazione in forme di interrelazione tra l'istanza mutualistica, cooperativa e sindacale. Fu dato vita a un sistema riformista che per la sua rilevanza ebbe analogie con il polo riformista reggiano diretto da Camillo Prampolini e di cui massimi rappresentanti furono in sede parlamentare Giuseppe Canepa89 e Pietro Chiesa, nel movimento associativo Ludovico Calda e Gino Murialdi. Tra il 1903 e il 1904 tale sistema si strutturò organizzativamente dando vita all'Unione regionale ligure fra le associazioni di resistenza, mutualità e cooperazione, formula che anticipò la creazione su scala nazionale della cosiddetta Triplice del lavoro, all'indomani della fondazione della CGdL (1906)"90

4. Bernstein in Padania Durante la discussione della legge elettorale a suffragio maschile semi-universale non era certo prevedibile l'espulsione dei riformisti di destra Bissolati, Bonomi, Cabrini e Podrecca decretata dagli “intransi-genti” assieme alla sinistra riformista al congresso di Reggio Emilia, ma nelle elezioni del 1913 in alcuni collegi vi fu il confronto diretto tra candidati di due partiti che si richiamavano al socialismo: il PSI e il Partito Socialista Riformista. L’analisi degli esiti elettorali in alcuni collegi della fascia padana tra Lombardia ed Emilia91 ci consente di osservare gli sviluppi politico- ideali di una lotta che si svolgeva all’interno di quella che era stata 89 M. Bettinotti, “Vent'anni di movimento operaio genovese : Pietro Chiesa, Giuseppe Canepa, Lodovico Calda”, Milano, 1932

90 M.Degl’Innocenti Alcune considerazioni sulla cooperazione nell’età giolittiana: cultura di lotta e impresa nell’associazionismo ligure, in L. Borzani “Tra solidarietà e impresa: aspetti del movimento cooperativo in Liguria 1893-1914” Genova, 1993

91 Riprendo nei dati fattuali la ricerca di F.Casadei Socialisti e social riformisti nell’area mantovano-reggiana “Rassegna di storia” dell’Istituto di storia del movimento di liberazione di Modena, novembre 1991 49 fino a poco prima una “famiglia” politica spesso in disaccordo al suo interno ma compattata dal richiamo a comuni ideali e fino a poco più di un decennio prima dalla repressione di uno Stato reazionario e classista. Nel collegio mantovano di Ostiglia si fronteggiano Ivanoe Bonomi, sostenuto in sede locale dalla «Alleanza radicale socialista», espres- sione di accordi elettorali tra i radicali capeggiati dall'on. Ugo Scalori e riformisti di destra92 e Giovanni Zibordi, direttore della «Nuova Terra» di Mantova e poi della «Giustizia» di Reggio Emilia, riformista di sinistra. Già negli anni precedenti la scissione Zibordi, che era intervenuto nel dibattito sulle due correnti riformiste93 di dedica a chiarire «Come si presenta la lotta ad Ostiglia»94 «... Niente campanilismi di un centro contro l’altro del Collegio. Poggio Rusco, che é il mio paese, e fu sempre all'avanguardia delle lotte socialiste, e come il quartier generale nostro, nelle elezioni politiche ha anche, per l'appunto, il gruppo di destri più attivo: e ne sono a capo alcuni amici dei più antichi e più cari. Che il paese, nella sua massa di socialisti, di simpatizzanti, di incerti (non parlo degli avversari), voti per me, conterraneo, sento con orgoglio di poterlo escludere. Il discorso ch'io vi farò, ad ogni modo, comincerà flagellando la sola ipotesi di una simile miseria e vergogna». Zibordi mette in rilevo il valore dellä scelta elettorale, operata dal Congresso socialista del collegio, che ha opposto a Bonomi non un rivoluzionario o un intransigente, ma un esponente del riformismo di sinistra, affinché «la coscienza socialista del Collegio si saggiasse a questa analisi differenziale, facile per noi, men facile per il 92 M. Vaini, L'azione politica di Ivanoe Bonomi nel Mantovano dal 1912 a1 1921, in “Movimento operaio e socialista”, apr.-set. 1963, pp. 121-124; F. Manzotti, Il socialismo riformista in Italia, Firenze, 1965, p. 50.

93 G. Zibordi, La crisi del riformismo italiano, in “Critica Sociale”, da maggio a luglio 1912

94 In” Critica Sociale” n 11-12, 1-16 giugno 1913

50 semplicismo delle folle distinzione fra un riformista di Sinistra e un destro». Auspica che il corpo elettorale del collegio si dimostri sufficientemente preparato e maturo per affrontare una disputa cosi complessa. «Ma c'é di più. A differenza di Bertesi, di Podrecca, l’on. Bonomi è un destro autentico, é l'antesignano e il teorizzatore del «destrismo», é l'uomo che porta in sé - del suo metodo - la dottrina, la pratica, i segni e gli effetti. Non è, come altri, un destro parziale e spurio; non é, come Bissolati, il destro virtualmente ministro, in un Collegio non socialista e non proletario quale quello di Roma; non é neppure, come Cabrini, il destro, si, quasi vice-ministro,ma pieno poi di precedenti e di benemerenze d'organizzatore e di specialista nella difesa delle classi diseredate. É il vero destro, uomo parlamentare autorevole, pronto per essere Ministro, potente, o ritenuto tale, come se lo fosso già – e deputato di un Collegio campagnuolo, proletario; o almeno, eletto, quattr'anni fa, in durissima lotta, dal proletariato, e non da quegli altri ceti, economicamente e politicamente intermedi, che, in questi quattr’anni, col crescente sviluppo della produzione, si sono fortificati e che si vanno orientando versa di lui, quale interprete (nel loro giudizio) di quel tal tipo di Socialismo che va bene anche per loro, ma che serve da paravento contro «l'altro» Socialismo: quello dei matti, degli irragionevoli, del sognatori, del fanatici, come - oh, non Mussolini! - come Turati, come Prampolini, come... Zibordi.» Il “socialismo di destra” «… É un socialismo eminentemente positivista, nel senso più manchevole del vocabolo, trasse inspirazioni empiricamente dal fatto, sopravalutò e generalizzò con temerità frettolosa alcune esperienze, è «il Socialismo degli anni grassi», dedotto dal fenomeni di una plaga tra le più ubertose e fortunate percorsa da fremiti di vita e fervida di un rinnovamento febbrile, al di fuori della lotta di classe, messa in disparte o sopita un po' per deficienza d'uomini e di voleri, e assai più per un particolare e transitorio periodo di sviluppo e di prosperità, per la abbondanza di terre che le bonifiche mettono in valore, per la

51 ricerca di mano d'opera, per le industrie agricole che sorgono e fioriscono95». Al pari di Bonomi era appoggiato dalla «Alleanza radicale socialista» e dal giornale «la Provincia di Mantova»96 il candidato nel collegio mantovano di Gonzaga Enrico Ferri che «compiuto sinceramente il suo ciclo biologico, ritorna là donde si tolse or sono vent'anni, ritorna alla Democrazia sociale, armonista, riformatrice, pronta per il potere. Ivanoe Bonomi gli é accanto, superando le recentissime e vive ragioni di repulsione: tanto possente é la legge dell'attrazione politica! ... É il destrismo che,nella realtà, è Democrazia sociale: una Democrazia sociale meno sovversiva dell'antica e che ai conservatori fa meno paura Essa è quasi al Governo, e molti moderati si apprestano a darle il voto! Bonomi, nel campo economico, rappresenta una garanzia d'ordine, di conciliazione tra le classi In tutti gli alti campi dell’attività di un deputato, significa un’ottima conquista per tutti i gruppi di elettori che, votando per lui, pongono sopra di lui la loro ipoteca” 97 Già nel 1909, appena eletto deputato di Gonzaga, Ferri tende a porsi ai margini del Gruppo parlamentare socialista e non cessa di suscitare polemiche fino a rassegnare le dimissioni da deputato durante la guerra libica. L'elezione suppletiva che nel marzo 1912 lo riporta a Roma costituisce il primo passo politicamente rilevante al di fuori del socialismo ufficiale; nel frattempo si vengono costituendo nella zona circoli socialisti indipendenti destinati ad avere un ruolo in vista delle prime elezioni a suffragio universale maschile. «Gli osservatori non risparmiavano ironie alle sue meta morfosi», ma nelle elezioni generali dell'autunno 1913 «il suffragio universale

95 In “Critica Sociale”, n. 13, 1-15 lug. 1913.

96 Fondato nel 1872 dal repubblicano Alberto Mario, diventa socialista e nel luglio 1913 organo dell'Alleanza radicale socialista. R. Salvadori, cit., p. 243-245 e M. Vaini, L'azione politica di Ivanoe Bonomi… , cit. p. 120-123

97 G. Zibordi, in “Critica Sociale”, da maggio 1912 52 favoriva Ferri, che fruiva di antiche aderenze e simpatie in molti settori. Del resto il certame elettorale fu molto chiaro, a differenza di Ostiglia, per la presenza di tre candidati, socialista, socialriformista, conservatore98». Altri aspetti accomunano i due collegi: “che Bonomi abbia beneficiato anche dei vantaggi derivanti dall'appoggio governativo, risulta chiaro non solo dal sostegno che le cooperative danno a Bonomi in ringraziamento degli aiuti ricevuti per suo interessamento, ma maggiormente dal fatto che non é passato ancora un mese dalle elezioni e già il suo ex avversano di collegio, Gerolamo Gatti, già attivamente partecipe della lotta elettorale sia in favore di Ferri che dello stesso Bonomi, riceve la nomina di senatore. Se Ferri a Gonzaga raccoglie anche i voti degli agrari e dei cattolici Bonomi a Ostiglia beneficia di una mancata candidatura moderata … A favorire le vittorie di Ferri e di Bonomi hanno senza dubbio contribuito la modificata composizione sociale del Mantovano, le corruzioni collettive operate a base di numerose lettere di sottosegretari alle cooperative con promessa di lavori pubblici, ma anche l’incapacità delle masse a operare una scelta precisa dato il notevole prestigio dei due candidati scissionisti”99 Il progetto politico della «democrazia rurale» di Ferri era legato alle impostazioni teoriche del revisionista Gerolamo Gatti che lancia le parole d'ordine del «minimo di lotta» e «massimo di armonia di classe», mentre «Ferri aderisce e difende i principi della democrazia rurale proprio in un Congresso provinciale dei Lavoratori della Terra tenutosi nel febbraio del 1911 ... . Secondo Ferri la democrazia rurale nasce per 'evoluzione riformistica del socialismo ...» Gli storici hanno analizzato in termini socio-economici le trasforma- zioni dell'area mantovana con la formazione di nuovi ceti medi agrico-li: «Negli anni che precedono la prima guerra mondiale la

98 F. Manzotti, Il socialismo riformista, cit., p. 52-53.

99 R. Salvadori La repubblica socialista mantovana da Belfiore al fascismo, Milano, 1966, p. 264 53 situazione economica nel Mantovano é profondamente mutata; le lotte sindacali, i grandi lävori i bonifica, la trasformazione dei metodi di produzione portano a una diversa distribuzione della proprietà terriera. Da parte dei socialisti si dice che tanto è aumentata la ricchezza nel Mantovano con la bonifica gonzaghese- reggiana, altrettanto é aumentata la disoccupazione»100. «il diffondersi della piccola proprietà nel Gonzaghese, succeduto alla fine della bonifica gonzaghese-reggiana, il maggior benessere, la minore asprezza delle lotte dei lavoratori, la lenta ascesa delle classi lavoratrici attraverso l'organizzazione, la cultura, l'assistenza igienica, colpirono la mente di Ferri che poté pertanto pensare che il socialismo avesse ormai assolti i suoi compiti e fosse giusto lasciare scorrere le cose secondo il loro ritmo naturale per non turbare il corso della evoluzione»101. L’analisi socialista dei nuovi sviluppi sociali ed economici è carente e l'iniziativa del PSI e delle organizzazioni economiche collegate appare poco vivace ed incisiva. Dalla vicenda delle bonifiche gonzaghesi «da cui erano sorte nuove aziende di piccola e media affittanza, di piccola e media mezzadria e terzeria», prendono spunto le ipotesi revisionisti-che di Gerolamo Gatti, uscito nel 1913 dal PSI dopo essere stato deputato di Ostiglia per tre legislature consecutive.102 «Il revisionismo di Gatti non fece strada nel partito socialista, ma influenzò molto la politica dei gruppi di orientamento radical-socialista e fu ripresa dal nuovo radicalismo bonomiano dopo la fine della guerra, quando 1a formazione di nuovi ceti medi assunse le proporzioni che conosciamo103»;

100 R. Salvadori, cit., p. 286

101 R. Salvadori, cit.

102E. Gentile La crisi del socialismo e la nascita del fascismo mantovano, “Storia contemporanea”, n. 4-5, ott. 1979, p. 691 Su Gerolamo Gatti, studioso di problemi dell'agricoltura, e sulle sue tesi revisioniste, Salvadori, cit. p. 233-236; C. Cartiglia, “Socialisti riformisti”, Milano, 1980, p. 328- 337. 54 La situazione per il movimento contadino socialista e le sue leghe di resistenza é complicata: il costante estendersi del sistema mezzadrile é conseguenza dell'attività antileghista dei proprietari104, e i socialisti tentano di correre ai ripari abbandonando la precedente intransigenza bracciantile e rivalutano l'istituto della cooperazione come momento di una strategia volta al coinvolgimento delle categorie agricole intermedie. Ma solo pochi di tali organismi si dimostrano vitali e rimangono efficienti nei tempo: «molte cooperative si [sono] accodate ai socialisti riformisti di destra durante le elezioni del 1913, con la speranza di pöter ottenere assegnazioni di fondi e di lavori da parte del governo; in questo senso il Bonomi aveva fatto veramente un buon lavoro sollecitando la circolazione di promesse mediante lettere direttamente provenienti dal governo»105. La fascia sud della provincia di Mantova era contigua geograficamen-te e politicamente con le province emiliane, in particolare le vicende dei collegi bolognesi di Budrio e S. Giovanni in Persiceto hanno risvolti interessanti. «In Bologna e Provincia gli avvenimenti del Congresso non avranno influenza; in città, che io conosco per la propaganda quotidiana, non esiste che una borghesia campagnuola, che per tradizione e per interessi, è stramente legata ai clericali. Conseguenza diretta di queste condizioni è l'orientamento dei professionisti verso questa oligarchia finanziaria di guisa che qui non vi è una classe di professionisti cosi orientata verso la democrazia, come avviene negli ambienti industriali. Di fronte a questa coalizione clerico-moderata vi é un proletariato che è disposto ad accettare le idee estreme, e fra queste due correnti ugualmente forti o importanti, i riformisti di destra non possono in

103 E. Gentile, La crisi del socialismo, cit., p. 692.

104 Parla di «mezzadria di rappresaglia» M.Degl’Innocenti, L'età del riformismo, in “Storia del socialismo italiano”, 1980, vol. 2 (L'età giolittiana), p. 133

105 R. Salvadori, “La repubblica socialista mantovana…”, cit. p. 290-291. 55 alcun modo esercitare un'azione di proselitismo da costituire un partito che abbia influenza nelle future lotte elettorali, sia politiche che amministrative, fatte col suffragio universale. Date queste premesse, nella organizzazione locale non avverranno mutamenti notevoli106». Per quel che riguarda la fascia pianeggiante settentrionale e orientale della provincia la scissione di Reggio provoca notevoli complicazioni: due collegi elettorali, alcune amministrazioni locali e un ampio settore del movimento cooperativistico ricadono sotto l'influenza della destra riformista, coinvolgendo cosi il proletariato e altre categorie agricole della provincia bolognese protagoniste negli anni precedenti dell'avanzata del socialismo nelle campagne. Guido Podrecca, eletto nel 1909 a Budrio, in una lettera del luglio del 1912107 afferma di non volersi dimettere da deputato malgrado l'espul-sione dal PSI e la fondazione del partito social riformista; poi cambia decisione ed affronta l'elezione suppletiva nell'aprile 1913, opposto a Giuseppe Massarenti, il socialista più popolare nella zona, sostenuto dalla Federazione di Bologna e dalla stampa socialista locale. Anche a livello nazionale la lotta è molto sentita e testimonianze a favore di Massarenti giungono da parte di Zibordi, Prampolini e dalla massimalista Angelica Balabanoff108. La consultazione suppletiva del 6 aprile 1913 rappresenta il primo confronto diretto tra PSI e PSR dopo la scissione; in altri collegi, in seguito alle delibere di Reggio Emilia, i deputati in carica avevano rimesso il mandato nelle mani degli elettori senza pero trovare in sede elettorale il competitore «ufficiale». Gli esiti elettorali sono favorevoli a Podrecca, che al primo turno ottiene 2284 voti contro 2097 di Massarenti ed é confermato vincitore al ballottaggio che si svolge il 13 aprile; stavolta il margine

106 F. Zanardi, “Giornale del mattino”, Bologna, 12.7.1912.

107 “Giornale del mattino”, Bologna, 14.7.1912

108 “La Squilla”, Bologna, 29.3.1913; anche il supplemento del 6.4.1913. 56 é più ampio (2843 contro 2223)109 e i socialisti, nella loro analisi post-elettorale, chiamano in causa il sostegno decisivo dell'elettorato conservatore. A tale proposito si sviluppa sulla «Critica Sociale» una discussione tra Turati e Zibordi sul peso assunto dalla competizione campanilistica tra due principali centri del collegio110. Per riconquistare il collegio di Budrio il PSI candida, nell'autunno dello stesso anno, un riformista di sinistra del valore di Giuseppe Emanuele Modigliani, mentre la presenza di un candidato cattolico- conservatore priva Podrecca di un possibile aiuto elettorale moderato. Il 26 ottobre 1913 Modigliani prevale con 4670 suffragi, Podrecca ne consegue 3898, Malvezzi Campeggi 3692; nel ballottaggio, cui Podrecca rinuncia affermando «di respingere come ho fatto quei voti che eventualmente avessero potuto offuscare il carattere socialista ed anticlericale della mia candidatura»111., Modigliani ottiene 5408 voti su 5585. A S. Giovanni in Persiceto c’è Giacomo Ferri112, attivo politicamente dagli inizi del secolo: nel 1904 aveva sconfitto il

109 Ministero Agricoltura, Industria e Commercio, Direzione generale della Statistica, Statistica delle elezioni generali politiche alla XXIV legislatura, Roma, 1914, p. 13

110 “Critica Sociale”, n. 8, 16 apr. e 11-12, 1-16 giu. 1913. Turati afferma «Quanto al risuscitato antagonismo di campanile, senza che da noi si voglia del tutto negare (ne scrivemmo, anzi, come di altro dei funesti effetti della scissione); è però da rilevarsi che, dei due maggiori centri del Collegio, Budrio ebbe sempre propensioni alquanto popolaristiche, Molinella, popola-zione più schiettamente e uniformemente operaia, è naturalmente incline a una più rigida tattica di partito. Il che, fortunatamen-te, concorre a spiegare - data la scissione - la possibile prevalenza colà del destrismo», che è demo-crazia verniciata di socialismo, qui la più stretta fedeltà al Partito, anche parte l'antagonismo campanilistico e le personali influenze dei candidati».

111 “Azione Socialista”, 28-29 ott. 1913 57 deputato liberale in carica da quattro legislature consecutive. Supera un turno suppletivo nel 1906, è confermato nel 1909 , vince un'altra elezione suppletiva nel 1911 e nel 1912 é investito dalla svolta massimalista del PSI. All'indomani della scissione di Reggio, Giacomo Ferri aderisce al gruppo parlamentare socialriformista senza pero aderire ufficialmente al partito di Bissolati e Bonomi. Annuncia le dimissioni da deputato ma le rappresentanze operaie e socialiste del collegio approvano un ordine del giorno in cui si sostiene che «fu atto di intolleranza la cacciata dal Partitö di compagni benemeriti, di antica ed inconcussa fede, di intelligenza ed autorità», proprio mentre il proletariato italiano si trova dinanzi alle prime elezioni a suffragio universale maschile.113 Ferri, data l’unanimità a suo favore, abbandona i propositi di dimissio-ni, ma in vista delle elezioni generali è annunciata la candidatura socialista di Mario Todeschini, già deputato nei collegi di Verona II, Gonzaga e Verona I, per affrontare il caso di Giacomo Ferri che, protagonista di legami elettorali organizzativi ed economici con cooperative del collegio, evitava di porre questioni politiche cercando di accreditare una personale appartenenza all'orbita socialista. Giacomo Ferri si rivela avversario molto difficile per i suoi agganci, tra il filantropico e l'affaristico con gli elettori e l’associazionismo locale mentre l'uscita dal PSI senza l'adesione ufficiale al PSR gli lascia facoltà di manovra anche dopo la sconfessione del carattere «socialista» della candidatura da parte del segretario '114. 112 A. Bozzoli “Giacomo Ferri : brevi cenni biografici” con una nota bibliografica su Giacomo Ferri e il ferrismo nel sistema socialista della Bassa Bolognese. In “Strada maestra”, 1983

113 “Giornale del mattino”, 11 e l9 lug. 1912; Manzotti, cit., p. 32

114 «A San Giovanni in Persiceto il deputato Giacomo Ferri, con una scorrettezza che ormai passa limite, mantiene 1’equivoco di una millantata iscrizione al Partito, iscrizione che non esiste, né può esistere dopo i precisi 58 La rete clientelare imbastita da Giacomo Ferri fu un ostacolo insor- montabile per Todeschini, che riportò 1601 voti contro 6305. Decisivo, in favore di Ferri, era stato dunque non tanto l'appoggio del PSR, quanto il poter disporre di «un elettorato che gli era fedele per l'assistenza personale fatta di mille concessioni e favori per ciö stesso molto eterogeneo che non si preoccupava gran che dei suoi indirizzi politici» Tra l'altro il successo di Ferri non rappresenterà un grande vantaggio per il PSR, «poiché egli si comporterà sempre più da indipendente nella vita parlamentare 115». A Bologna intanto si recrimina, a sconfitta avvenuta, ricordando che “Giacomo Ferri, ... per la sua attività di industriale, di speculatore e di affarista ha solidarietà di interessi con la borghesia», e quindi «non può e non deve essere rappresentante del Partito Socialista essenzialmente antiborghese ... 116». In provincia di Parma il collegio di Borgo S. Donnino (oggi Fidenza) aveva eletto fin dal 1884 Luigi Musini, la cui biografia segna le origini risorgimentali del primo socialismo italiano117 Da questa elezione trae origine l'accentuazione dei caratteri proto- socialisti dell'area fidentina: un piccolo gruppo di organizzatori e propagandisti iniziò, già negli anni '80 (anche in questa zona si sente l'influenza delle lotte agrarie mantovane dell'85), «alla formazione di quella vasta rete di associazioni, circoli, solidarietà proletarie sulla quale resse per decenni la più genuina organizzazione riformista della Bassa parmense 118». deliberati della Direzione» «Avanti!» 12.10.1913.

115 Manzotti, cit., p. 56-57.

116 “La Squilla”, 1.11.1913

117 B. Riguzzi “Sindacalismo e riformismo nel parmense: Luigi Musini, Agostino Berenini” Bari, 1931; L. Musini “Da Garibaldi al socialismo”, Milano, 1961. G. Reggiani, “Socialismo e socialisti a Parma dalle origini alla prima guerra mondiale”, Parma, 1986, p. 22-26

118 G. Reggiani, “Socialismo e socialisti a Parma…” , cit., p. 25. 59 Musini abbandona la politica dopo la sconfitta alle elezioni del 1890 e nel 1892 diventa deputato di Borgo S. Donnino Agostino Berenini119 destinato ad una lunga ed importante carriera. Deputato e consigliere comunale a Parma (ove sostiene la politica di alleanze con radicali e repubblicani) «trovò il luogo ideale per esercitare la sua attività politica nelle campagne della Bassa intorno a Borgo S. Donnino, tra i compagni e discepoli di Luigi Musini, i capilega, gli amministratori comunali, zelanti apostoli di una dignità economica e spirituale nuova per i lavoratori della terra». Berenini ottiene la riconferma elettorale nel 1895, nel 1897, nel 1900, 1904 e nel 1909: in quest'ultimo caso la vittoria era significativamente ottenuta contro Luigi Lusignani, leader degli agrari parmensi, sindaco di Parma dopo la sconfitta dell'amministrazione di sinistra. Pochi giorni prima del Congresso di Reggio, il 30 giugno 1912, si riuniscono a Soragna i dirigenti riformisti del partito e del sindacato e approvano un ordine del giorno contro la guerra di Libia ma non contro i riformisti di destra, riaffermando «al di sopra di ogni particolare dissenso ... completa ed immutata fiducia al deputato di Borgo S. Donnino”. In sostanza i riformisti del PSI parmense non intendevano seguire Berenini nella sua avventura fuori dal partito e tuttavia non volevano nemmeno separarsi da lui. Condannavano la guerra e tuttavia riconfermavano fiducia nel deputato patriota. A Reggio Berenini partecipa al dibattito congressuale trascinando «i congressisti di qualsiasi tendenza all'applauso con la sua eloquenza mirabile, con la sua dialettica stringente e persuasiva» 120.

119 Comune di Fidenza “Agostino Berenini e la società fidentina tra Ottocento e Novecento”, 1992

120 “Giornale del mattino”, 10.7.1912. Bonomi collabora al giornale come corrispondente politico da Roma. L. Cortesi, “Ivanoe Bonomi e la socialdemocrazia italiana”, Salerno, 1971, p. 57-58. 60 Berenini è tra i fondatori del PSR; le sue conseguenti dimissioni da deputato vengono respinte «senza che l'approvazione del suo nuovo orientamento politico fosse unanime121». Per comprendere la situazione del collegio fidentino é opportuno considerare il ruolo svolto dal forte associazionismo della zona nel garantire le sorti elettorali di Berenini e del riformismo durante l'età giolittiana a fronte degli equilibri politici interni del socialismo parmense che registravano una notevole debolezza dei riformisti nel capoluogo contro la forte influenza del sindacalismo rivoluzionario. Nell'agosto 1912 il congresso collegiale respinge le dimissioni di Berenini con l'unanimità delle organizzazioni economiche e la maggioranza dei circoli politici socialisti; nell'ottobre si svolge a Fon-tanelle122 un convegno dei circoli e sezioni già del PSI, presenti Angiolo Cabrini e Giacomo Ferri, che da vita alla «Federazione dei Gruppi Autonomi socialisti» e vota la risoluzione: «Il cuore del riformismo della Bassa con i suoi amministratori comunali é con Berenini e con l'Italia123». Le vicende della campagna elettorale del 1913 dimostrano la popolarità di Berenini nel proprio collegio ed anche tra i socialisti del capoluogo: «1 rappresentanti di circa tremila lavoratori lo proclamavano candidato come interprete dei bisogni e degli interessi delle associazioni cooperative della zona che cosi costituivano un valido argine contro la disoccupazione. L' opera che Berenini aveva riferimento a tre richieste fondamentali che Faraboli cosi sintetizzava: lavori pubblici, cessione di terreni di enti pubblici alle cooperative, credito alle cooperative” A Parma il PSI, stretto tra i conservatori e i sindacalisti rivoluzionari, riconferma l’appoggio al secessionista Berenini e presenta come 121 Manzotti, cit., p. 30.

122 Località in cui si era svolta l'azione organizzativa di Giovanni Faraboli, figura emblematica del movimento contadino della bassa parmense. M. Bec-chetti “L' utopia della concretezza : vita di Giovanni Faraboli socialista e cooperatore” Bologna, 2012

123 Reggiani, cit., p. 77 61 candidato nel collegio Nord del capoluogo il riformista di sinistra Guido Albertelli (nel collegio Sud l'elettorato operaio e popolare si troverà a votare Alceste De Ambris). Berenini, nel corso della campagna elettorale, si impegna anche in favore della candidatura Albertelli e, nel collegio di Langhirano, in favore di radicali e repubblicani124 Senza competitori, ottiene la riconferma con 7143 voti su 7164. Le vicende parmensi sono una eccezione in un quadro generale che vede PSI e PSR fronteggiarsi: le condizioni sociali della provincia e i rapporti di forza politici giocavano un ruolo decisivo ai fini della «non belligeranza» tra le correnti riformiste; a Borgo S. Donnino, in particolare, «l’autonomia delle organizzazioni, che Berenini aveva accettato, ritardava le fratture ed era un veicolo di unanimità elettorale” 125. Il collegio modenese di Carpi vantava notevoli tradizioni socialiste: nel 1892 Gregorio Agnini126 era uno dei cinque deputati socialisti e, ad eccezione del 1895, il collegio fu conquistato per quattro legislature consecutive, dal 1897 al 1909, da Alfredo Bertesi127 progressivamente trasformatosi da dirigente del movimento operaio in imprenditore nel settore del truciolo intorno a cui gravitavano gli interessi di larghi strati di lavoratori. Perplessità cominciano a manifestarsi anche prima del Congresso di Reggio e nel luglio 1912 lo troviamo tra i fondatori del PSR: le sue dimissioni da deputato sono prima respinte e in seguito accettate dal! 'Unione socialista di Carpi, che proclama la propria astensione in vista della futura elezione suppletiva. Il 22 dicembre 1912, senza candidature avverse,

124 Manzotti, cit., p. 57-58. Sulle vicende parmensi Reggiani, cit., p. 77- 83.

125 Manzotti, cit., p. 58.

126 G. Muzzioli, M. Pecoraro “Gregorio Agnini : la figura e l'opera” , conve-gno nazionale di studi, Finale Emilia, 5 ottobre 1995, Modena, 1997

127 M. Degl'Innocenti, F. Della Peruta, A. Varni, “Alfredo Bertesi e la società carpigiana del suo tempo”, Convegno, Carpi, gennaio 1990, Modena, 1993 62 Bertesi ottiene 1208 voti su 1332 (ma con 6861 aventi diritto): “per lui votavano anche non pochi borghesi il cui voto assumeva un chiaro sottinteso antisocialista128”. In vista delle elezioni del 1913 il PSI candida a Carpi Confucio Basaglia, assai attivo politicamente nel comune modenese di Concordia; scrive Zibordi: «La città di Carpi vota per Bertesi socialista e per Bertesi uomo: sia pure, per le virtù socialiste o nobilmente umane dell 'uomo. Concordia voterà per l'avv. Basaglia, figlio del paese, non in odio a Bertesi e perché Basaglia sia intransigente anziché destro, ma per reazione a Carpi. Eppoi anche Bertesi (e assai più veramente di Podrecca) non è un destro: é semplicemente un solidale coi destri, in quanto li considera perseguitati, e in quanto valuta diversamente da noi alcuni atteggiamenti del loro pensiero e della loro opera, che egli perö non si sentirebbe di applicare, e che ad ogni modo egli completerebbe e contrappeserebbe con tant'altri lati, profondamente, virginalmente «socialisti», della sua mentalità e della sua psiche, con una «sensibilità» socialista irreducibile e viva129». Tra i comuni di Carpi e Concordia sembra verificarsi una situazione analoga a quella tra Budrio e Molinella in occasione della lotta tra Podrecca e Massarenti. La vicenda elettorale a Carpi non si risolve nello scontro tra i due candidati anzidetti: anche i conservatori, che nelle elezioni del 1909 non avevano presentato candidatp, schierano Giovanni Bertesi. In favore della candidatura del Bertesi socialriformista venne lo stesso Bonomi130 e anche Ugo Scalori, leader dei radicali mantovani131. Il 26 ottobre 1913 i votanti 13420, Basaglia Confucio ne ottiene 4862, 4778 Bertesi Giovanni, 3543 Bertesi Alfredo che, 128 Manzotti, cit.

129 G. Zibordi, Come si presenta la lotta ad Ostiglia, “Critica Sociale”, 1-l6 giu. 1913.

130 Manzotti, cit., p. 62.

131 “Azione Socialista” 22-23 ott. 1913 63 escluso dal ballottaggio, invita a votare il candidato socialista ufficiale132. Anche cosi la vittoria di Basaglia é tutt'altro che facile, come rivelano i dati del ballottäggio. Il 12 novembre 1913 i votanti sono l4l26, Confucio Basaglia ne ottiene 7199, Giovanni Bertesi 6765. Il ballottaggio rivela la prevalente collocazione a sinistra del voti riversati nel primo turno su Alfredo Bertesi e ancora una volta Carpi riesce ad esprimere un rappresentante socialista. Le vicende, diverse da collegio a collegio, rivelano come anche in un'area omogenea sul piano geografico, sociale ed economico i motivi della storia locale mantengano un notevole peso specifico.

Due correnti eccentriche: Integralisti e Intransigenti Un continuo dibattere e dividersi su programma e linea politica è il carattere distintivo del PSI sin dalla fondazione: ogni due anni un congresso nazionale stabiliva la prevalenza di una corrente, che nominava l’Esecutivo e il direttore dell’ “Avanti!” il quale, per la possibilità di indirizzare quotidianamente la linea politica, dirigeva effettivamente il partito. La tendenza riformista occupa un posto centrale nei primi venti anni, dal 1892 al 1912, anche quando perde la maggioranza nei congressi (1904, 1906), fissando in profondità nella tradizione socialista alcuni caratteri fondamentali. Dispone della maggioranza del Gruppo Parlamentare, delle capacità “tecniche” degli organizzatori sindacali della CGdL e degli amministratori locali, della rivista teorica “Critica sociale”, della Fondazione Umanitaria di Milano... Nel 1910 si differenzia in una sinistra (G.E.Modigliani), in un centro (Turati, Treves) e in una destra (Bissolati, Bonomi) la quale viene espulsa al Congresso di Reggio Emilia nel 1912. Con la polarizzazione innescata dallo scoppio della guerra e della

132 Ivi, 28-29 ott. 1913. MAIC, Statistica delle elezioni, cit., p: 37

64 rivoluzione in Russia prevale nel movimento operaio italiano un “animus” massimalista che perdura anche nel secondo dopoguerra, tanto più che il partito che rivendica l’eredità del riformismo (il PSDI) ne disperde il patrimonio in pratiche “sottogovernative”. Il sindacalismo rivoluzionario ne è l’alternativa anche se la sua presenza all'interno del Partito è stata effimera (già nel 1907 esce dal PSI). Al di là di queste due tendenze ampiamente studiate133 ve ne sono altre che meritano qualche approfondimento

L’”Integralismo” ( 1906-08) Al 9. Congresso di Roma dell'ottobre 1906 fu proposta la mozione «integralista» da Francesco Paoloni134 e Oddino Morgari135 che in due articoli sull' “Avanti!” del 29 e 30 settembre 1906 spiegò il significato della formula, consistente in una «sintesi dell'anima possibilista e dell'anima avvenirista del socialismo, dell'idealismo e della praticità, dell'azione diretta e dell'azione rappresentativa,

133 T. Detti “Il socialismo riformista in Italia”, Milano, 1981; P. Favilli “Ri-formismo e sindacalismo : una teoria economica del movimento operaio: tra Turati e Graziadei”; Milano, 1984; G. Mammarella, “Riformisti e rivoluzio-nari nel Partito socialista italiano : 1900-1912” Padova, 1968; D. Marucco “Arturo Labriola e il sindacalismo rivoluzionario in Italia”, Torino, 1970: G. B. Furiozzi, “Dal socialismo al fascismo : studi sul sindacalismo rivoluzio-nario italiano”, Napoli, 1998; Id.,” Socialismo, anarchismo e sindacalismo rivoluzionario”, Rimini, 1984; M. Antonioli, “Azione diretta e organizzazio-ne operaia : sindacalismo rivoluzionario e anarchismo tra la fine dell'Ottocen-to e il fascismo”, Milano, 1990; A. Riosa “Il sindacalismo rivolu-zionario in Italia e la lotta politica nel Partito socialista dell'età giolittiana, Bari, 1976; A. De Clementi: “Politica e societa nel sindacalismo rivoluzionario”, 1900-1915, Roma, 1983

134 G.Furiozzi, “Francesco Paoloni e il socialismo integrale”, Firenze, 1993

135 G.Artero “Oddino Morgari. Biografia politica di un cittadino del mondo” Roma, 2012 65 dell'antistatalismo e della legislazione statale, della rivoluzione e della legalità, del sindacalismo e dell'antisindacalismo, dell'intransigenza e dell'affini-smo». Nella seduta congressuale del 7 ottobre ribadì: «Vi dico che integralismo, nella sua espressione più intima e più caratteristica, è tutto qui, nel procurare che nella coscienza del militante socialista coesistano armonizzate la nozione limpida del divenire della società futura nel grembo stesso della società futura - da affrettarsi colle riforme dirette e legislative - e la nozione dell'assetto ultimo, cercato quasi con desiderio nostalgico, per raggiungere il quale la società umana dovrà verosimilmente attraversare una catastrofe causata da un «alto là» della borghesia stancata di concessioni»136. Non capiva come ci si potesse scontrare in lotte interne, quando tanto ancora rimaneva da fare a chiunque avesse a cuore la condizione proletaria e volesse veramente agire in favore dei diseredati. Poiché la situazione non era ancora matura per la rivoluzione, conveniva intanto operare quotidianamente con mezzi legali. Ogni socialista, doveva essere contemporaneamente riformista e rivoluzionario. Gli uni e gli altri voleva colpire quando scriveva che “i riformisti hanno obliato lo spirito e i fini dell'azione socialista mentre i rivoluzionari si arrestano nel culto infecondo delle supreme idealità marxiste”. La mediazione era anche un ritorno alle origini, all'ispirazione prampoliniana dei tempi eroici, un procedimento mentale per cui il «propagandismo» e l'appello ai sentimenti appaiono in grado di risolvere i termini politici delle questioni. «L'integralismo per lui non era stato un espediente tattico per carpire una vittoria in congresso, ma uno stato d'animo. Ed è stato d'animo, quello di Morgari, di chi ama il suo partito in sincerità e in umiltà perché esso è il partito della redenzione degli oppressi»137.

136 “Resoconto stenografico del IX congresso nazionale”, Roma, 1907, p. 64

137 G. Arfè “Storia dell'Avanti” Vol. 1, 1896-1926. Milano-Roma, 1963, p. 71 66 L'integralismo rappresentò nel 1906-8 l'affermazione del corpo centrale del partito, fondamentalmente unitario, che ricercava nei valori propagandistici e pedagogici quella identità del socialismo italiano, che la lotta tra le tendenze sembrava minacciare. Il progetto di rilancio del Partito su basi intransigenti e classiste, nella lotta contro le spese improduttive e le spese militari, il latifondo e il sistema fiscale, un atteggiamento polemico nei confronti del blocchismo popolare, una difesa dell'istanza partitica e dell'esigenza primaria della propaganda per la formazione della «coscienza socialista» erano istanze sedimentate nella tradizione socialista italiana. Il partito, paralizzato dai dissidi prima del 1906, si chiudeva in una posizione sostanzialmente difensiva, dì raccoglimento. Più che alla ricerca di una politica nuova, con caratteri propri, l'integralismo intendeva correggere, amalgamare, insomma integrare ciò che di positivo fosse presente nelle tendenze opposte. In pratica confermava la necessità dell'azione quotidiana di organizzazione e di propaganda, la lotta parlamentare per le riforme, lo stretto collegamento tra l'istanza politica e quella di resistenza, il fine della socializzazione come obiettivo unitario contrapposto al corporativismo economico e settoriale. Erano questi per lo più obiettivi presenti anche nel riformismo. Tipici degli integralisti semmai furono il più accentuato richiamo alla coscienza di classe, la concezione «organicistica» del proletariato che favoriva una sottolineatura più marcata dei valori del collettivismo, il ruolo più incisivo attribuito alle organizzazioni economiche e al partito, la rivendicazione di una più sostanziale autonomia del partito che escludeva alleanze sistematiche, la forte diffidenza nei confronti della borghesia, con la quale avrebbe anche potuto stringere di volta in volta accordi limitati, ma sempre nella consapevolezza che essa rappresentava l'avversario di classe. Al congresso di Roma del 1906 l'odg maggioritario ottenne 26.500 voti su 34.000 con la confluenza dei voti dei riformisti e l'adesione del Ferri, ex alleato di Labriola, che diede alla formazione del « blocco

67 integralista unitario » il significato di «un punto di arresto contro la deviazione sindacalista e il catastrofismo». Al congresso il tema della propaganda-organizzazione fu ripreso più volte. In primo luogo fu deciso di istituire «segretari regionali» ai quali fosse demandato il compito della organizzazione politica ed economica: era investito così il punto importante della questione meridionale, e cioè l'esigenza di consolidare la struttura politico- organizzativa del movimento operaio e contadino del Sud, nel quale si individuava il protagonista principale della lotta per la sua emancipazione, e nello stesso tempo un fattore di riequilibrio dell'intera politica nazionale del partito. Significativa risultò la composizione della nuova direzione, che teneva conto non solo del criterio della omogeneità politica, ma anche del principio della rappresentanza regionale. Riuscirono eletti numerosi dirigenti di organizzazioni di resistenza, di federazioni di mestiere e di associazioni: da Quaglino (Federazione edilizia) a Rigola (tessili), a Del Buono e Marzetto (CdL di Firenze e Vicenza). Ciò rifletteva il peso che avevano quadri e dirigenti sindacali che, pur essendo su posizioni sostanzialmente riformiste, rivendicavano due esigenze fondamentali: l'unità del movimento di classe e la diffidenza verso il parlamentarismo. Facevano parte della Direzione i rappresentanti regionali, il direttore dell'« Avanti! » e un delegato del Gruppo Parlamentare. La numerosa direzione appariva assai più rappresentativa delle precedenti per la sua espressione regionale, Vi era l'impegno a ricondurre all'interno del partito tutte le componenti - sindacali, cooperative, politiche - del movimento socialista, ma di per sé non rappresentava una soluzione per una effettiva direzione. Le aree di diffusione dell'integralismo rimanevano nel Piemonte, che dava circa il 22% dell'intera forza della componente. Una buona presenza gli integralisti avevano in Emilia-Romagna, dove era attestato oltre un terzo (36,6%) della forza complessiva della corrente. Vero punto di forza dell'integralismo era la Toscana. Erano integralisti Roma e il Lazio (52,61%). Nel Sud e nelle isole il fenomeno integralista era pressoché sconosciuto. Da rilevare la buona presenza integralista nei centri urbani dell'Italia centrale, e in genere nelle grandi città (dove raggiungevano il 55,4%). Erano 68 infatti integraliste Torino, Firenze, in parte Roma. L'integralismo rappresentò una meteora abbastanza breve, ed entrò rapidamente in crisi, impari a quegli obiettivi di ricomposizione unitaria del movimento socialista che si era prefissi: come posizione di raccoglimento e come istanza unitaria favoriva il processo di riorganizzazione e consolidamento del riformismo e di sfaldamento della possibile alternativa sindacalista rivoluzionaria. I rapporti di forza all'interno del Partito furono decisamente modificati a vantaggio del primo dopo la scissione dei sindacalisti rivoluzionari nel 1907. Allora agli integralisti venne meno il ruolo mediatore che si erano attribuiti. L'unitarismo del Morgari non poteva certo condizionare efficacemente l'iniziativa politica dei riformisti, i quali del resto con la costituzione della CGdL avevano riassorbito molti quadri sindacali, Altobelli, Bussi, Garibotti, Quaglino, Rigola che al congresso di Roma si erano pronunciati per l'integralismo. Al congresso di Firenze del 1908 la mozione integralista ottiene solo 6.700 voti pari al 21%, mentre molti integralisti si presentano con i riformisti nella “concentrazione socialista” che prevale con 18.000 voti, ed i superstiti della corrente riverseranno i loro voti all'odg Pescetti al congresso di Modena del 1911.

2. La frazione intransigente (1906-14) Il primo nucleo della frazione si formò al congresso di Roma del 1906, dove la mozione presentata da Giovanni Lerda, che si propo- neva un rilancio dell'anti-ministerialismo e la riconferma del principio della lotta di classe, ottenne solo 1.161 voti su 34.000; al congresso di Firenze del 1908 la corrente si consolidò ottenendone 5.387, pari 19%. Al congresso di Milano del 1910 migliorò le posizioni col 24% dei voti; nel 1911 a Modena conseguì 8.600 voti su 21.000 e infine nel 1912 a Reggio Emilia con 12.550 voti superò le due mozioni riformi-ste che ottennero complessivamente meno di 8.000 voti (senza contare i riformisti di destra già usciti). Da notare che fu essenziale per la vittoria il contributo della federazione forlivese guidata da Mussolini il cui ruolo, marginale fino ad allora, con la nomina alla direzione dell'”Avanti!” assume statura nazionale. 69 In diverse fasi di aggregazione e sviluppo coagulò componenti e per- sonalità radicate nella tradizione socialista specialmente di derivazio-ne "ferriana" e integralista assieme a esponenti provenienti dal Partito Operaio diffuso a Milano e in altre province lombarde e piemontesi nel decennio 1880-90, come Costantino Lazzari e Osvaldo Gnocchi-Viani; a loro si venne aggiungendo la Federazione giovanile ricostitu-ita dopo la scissione sindacalista-rivoluzionaria del 1907 sotto la guida di Arturo Vella, al cui interno iniziava a svilupparsi la generazione più giovane dei Bordiga e dei Tasca che aveva fatto il suo ingresso nelle fila del socialismo tra il 1911 e il 1914 in pieno clima antiriformista e antipositivista Al congresso di Milano del 1910 fu promosso un coordinamento, ma il passaggio ad uno stadio superiore con la costituzione in frazione avvenne con la pubblicazione il 1. maggio 1911 dell'organo ufficiale "La Soffitta", la nomina dei responsabili regionali (agosto) e del Comitato Centrale (novembre). Nel marzo 1911 Giolitti, che si presentò con un programma democra- tico imperniato sul suffragio universale e sulla gestione nazionale del-le assicurazioni, ma tenendo segreta l'intenzione di andare in Libia, in-contrò Bissolati, che rifiutò di entrare nel ministero non sulla base dei principi, ma perché "non credeva che il Partito socialista fosse maturo per partecipare al governo" Il Gruppo Parlamentare Socialista votò comunque la fiducia al governo. All'indomani di quel voto apparve “La Soffitta”138 che riprendeva polemicamente nel titolo l'affermazione di Giolitti sul preteso

138 “La Soffitta”, giornale della frazione rivoluzionaria intransigente del Partito socialista diretta da Giovanni Lerda e Costantino Lazzari uscì dal 1° maggio 1911 al 20 luglio 1912. Principali collaboratori furono: Alceste della Seta, Francesco Ciccotti, Osvaldo Gnocchi-Viani, Arturo Vella, Elia Musatti, Angelica Balabanoff, G. M. Serrati. 70 accantonamento del marxismo da parte del socialismo italiano139 Questo l'editoriale di Giovanni Lerda sul primo numero: "Noi abbiamo desiderato sempre un partito radicale in Italia, e ci saremmo acconciati e ci acconceremo, tanto meglio, a veder sorgere un partito magari radico-socialista; ma ciò che crediamo esiziale agli interessi del partito ed alla ascensione del proletariato è la partecipazione di uomini nostri al potere; è il vincolo, la soggezione, la depressione anzi delle residue attività combattive, inevitabile quando di un potere che non è, che non può essere nostro si devono subire le vicissitudini, le alternative e, peggio ancora, le esigenze preponderanti di interessi che, per quanto rispettabili, non collimano sovente, sovente sono addirittura antitetici a quelli del proletariato140. Constatava nel partito "depressione, sconforto, smarrimento" e per la chiarezza auspicava che Bissolati uscisse dal partito e collaborasse con Giolitti Gnocchi Viani a sua volta affermava che "i rivoluzionari intransigenti vogliono essere i Puritani del Socialismo" 141 Lerda per l’antico e coerente intransigentismo e antiriformismo, per la popo-larità conquistata nell'attività di propagandista e organizzatore, per il fatto di essere uno dei pochi pubblicisti che vantasse anche rapporti con il movimento operaio estero, Lerda ricoprì un ruolo di primo pia-no nell’orientamento e nell’aggregazione di quelle forze che, in corri-spondenza della crisi

139 Nell'editoriale del primo numero de “La Soffitta”, 1. Maggio 1911 Alceste Della Seta spiegava il titolo deplorando che dal PSI fosse stata" abbandonata al ridicolo la figura dell'uomo che sopra ogni altro seppe comunque interpre-tare ed esporre scientificamente il valore dell'ideale socialista. Noi dobbia-mo con Carlo Marx rifugiarci in soffitta. Marx sa che con lui si rifugiano uomini che hanno saldo cuore nelle lor convinzioni e giovani che cercano il trionfo della nostra causa nelle vecchie vie del socialismo"

140 G.Lerda "La Soffitta," 1.5.1911.

141 O. Gnocchi Viani I Puritani del Socialismo "La Soffitta," 30.5.1911 71 degli equilibri giolittiani, nel PSI ponevano esi-genze politiche nuove. Partiva però da posizioni appartenenti a momenti in larga misura stori-camente superati, che le impellenti esigenze nella lotta interna al PSI, la crisi della direzione riformista e la scarsa preparazione culturale e politica degli esponenti della frazione intransigente, lasciavano in una sorta di ambiguità. La polemica contro i riformisti di destra e gli organizzatori sindacali che auspicavano un "partito del lavoro" apolitico, la rivendicazione di una direzione centralizzata ed omogenea, il recupero del marxismo, il tentativo di dare "unità d'indirizzo ed una guida ed uno schema d’a-zione a tutto il movimento operaio" in contrapposizione "al socialismo pratico, frammentario, localista, corporativista e parlamentare dei riformisti", erano esigenze che emergevano nel processo di crescita del socialismo italiano. Lerda fu un censore delle pose declamatorie, dell’improvvisazione, del verbalismo agitatorio di tanti suoi compagni di frazione e tese sempre a ricercare le ragioni storiche ed economiche dei fenomeni, ma poi non seppe indicare al partito un obiettivo che andasse al di là della direttiva di «mantenere alta la forza educativa e direttrice dell’idea». Il recupero del marxismo si tradusse nella riaffermazione polemica del valore prioritario della propaganda e dell’educazione delle masse sostenuto fin dagli anni torinesi. Particolarmente marcata fu la difesa del ruolo del partito, ispirata dalla ammirazione per il modello tedesco. Fu sul tema della disciplina e dell’organizzazione del partito che si battè con particolare insistenza nel dibattito avviatosi nel 1911-12 nella sinistra socialista. Fra un congresso e l'altro la frazione aveva lavorato alla sua organizzazione e ora che disponeva di una rete organizzativa, si apprestava a conquistare il partito sulla linea del "distacco assoluto e reciso dai riformisti" Appaiono in gestazione gli elementi ideologici e psicologici del massimalismo, che prenderà il sopravvento a Reggio Emilia con l'apporto temporaneo del "mussolinismo". Prese rilievo il motivo del 72 "socialismo che non muore" in opposizione alle dichiarazioni di morte presunta del marxismo ma anche in contrapposizione idealistica alla crisi teorica del socialismo, che gli intransigenti non ammettevano. L'accento posto sulla classe fu l’elemento di fondo degli intransigenti, che cercarono di interpretare il risveglio proletario, di stimolarlo e rappresentarlo, distinguendosi in ciò dai sindacalisti rivoluzionari di Arturo Labriola dei primi del ‘900 che abbandonarono il partito e non si posero seriamente l'obbiettivo della sua conquista. Se l'intransigentismo respingeva “la semplice tutela degli interessi” delle masse e la teoria soreliana dello sciopero generale del sindacalismo rivoluzionario, all'integralismo di Oddino Morgari e Francesco Paoloni rimproverava di ammettere, come i riformisti, la possibilità di collaborazione con i governi borghesi. Era la riaffermazione della priorità «dell'educazione socialista delle masse» fondata sulla considerazione delle «arretrate condizioni attuali del proletariato e della inconsapevolezza in cui esso si trova delle grandi leggi che dominano da storia». Lerda era comunque consapevole dei limiti della corrente tanto da scrivere che "la frazione che finora ha assunto atteggiamenti solo negativi, non ha un programma nè un pensiero che possa guidare se domani dovrà assumere il potere"142; infatti la conquista della direzione del partito al congresso di Reggio Emilia nel 1912 non modificò l'azione del Gruppo Parlamentare rimasto in mano ai riformisti, i quali rilanciarono all'indomani della sconfitta l'iniziativa politica tanto nella Confederazione Generale del Lavoro quanto nella cooperazione e nelle amministrazioni locali, dove disponevano di un personale più qualificato di quello dei loro competitori di partito. “Gli intransigenti che avevano conquistato la guida del partito si sforzarono di varare una serie di riforme organizzative che trasformassero il PSI: la creazione di federazioni provinciali e regionali fu uno dei terreni fondamentali di questa azione di rinnovamento. Tuttavia, nonostante gli sforzi per smantellare il

142 "La Soffitta" 29.9.1911 73 sistema delle autonomie…(…)…non riuscirono a capovolgere il portato di una tradizione ormai profondamente radicata”143. Questo tentativo di ristrutturazione del partito restò in larga parte inoperante per la mancanza di funzionari, le difficoltà finanziarie e le resistenze locali, e il PSI restò un partito centro-settentrionale.

3. Gli intransigenti dal congresso di Modena a quello di Reggio Emilia (1911-12) L'impresa libica pose al PSI il problema dell'atteggiamento nei confronti del governo Giolitti e rappresentò un momento di coagulo del massimalismo. Nel marzo 1911 Giolitti si presentò alla Camera con un programma democratico tenendo segreta l'intenzione di andare in Libia.144 Il Gruppo Parlamentare socialista votò la fiducia al governo che avrebbe trascinato l'Italia in guerra con la Turchia e il Paese si trovò in guerra senza dibattito, verificando i limiti del Parlamento nello Statuto albertino. La frazione intransigente uscì tempestivamente il 1° ottobre con un combattivo manifesto "Contro l'avventura di Tripoli" da cui emergono i limiti dell'analisi delle forze imperialiste e quindi anche della linea di lotta proposta. ll manifesto insisteva sullo "sperpero di denaro", l’"inorgoglimento del nazionalismo", il pericolo di "altre imprese dilapidatrici", il sacrificio di "sangue e di vite proletarie", la "minaccia di più esperta e pericolosa reazione" aggiornando su posizioni combattive i motivi ideologici e sentimentali comuni ai socialisti non revisionisti e concludendo:"tutto ciò il socialismo non può arrestare in un attimo, non può impedire in un giorno, non può respingere per opportunismo. Tutto ciò efficacemente e vittoriosamente si combatte rimanendo sempre nella propria direttiva politica". Richiamava infine l'attenzione sul fatto che l'esercito era "composto di figli di proletari" e invitava a tutte quelle "manifestazioni che il proletariato vorrà fare a tutela dei propri

143 R.Martinelli « Il Partito comunista d’Italia 1921-26», Roma, 1977

144 G. Giolitti, “Memorie della mia vita”, p. 287-88 e 328. 74 interessi e a dimostrazione del fatale antagonismo fra esso e la borghesia"145 Il Congresso di Modena (15-18 ottobre 1911) si tenne pochi giorni dopo l'inizio della guerra e fu anticipato di un anno (i congressi si convocavano ogni due anni e quello precedente si era tenuto nel 1910 a Milano) per discutere sul "ministerialismo" di Bissolati e dei riformisti di destra. Lerda intervenne "sottolineando la necessità per il PSI di «non cessare di ritenersi il rappresentante dì una dottrina che ha per postulato la necessità di un radicale e profondo mutamento della società intera» e di preoccuparsi in primo luogo dell'educazione politica delle masse. In polemica con Bussi disse che la genesi dell'impresa tripolina erano circostanze lungamente maturate e che non poteva meravigliare coloro che non si erano mai illusi di fare diventare socialista un governo borghese. Criticò la politica priva di mordente ideologico svolta dal Partito nelle organizzazioni sindacali e cooperative e controbattè la teoria secondo cui l'appoggio socialista a Giolitti era reso necessario dall'esigenza di ottenere il suffragio elettorale universale e la Cassa Pensioni. Rimanendo fuori si poteva ottenere molto di più che «facendo gli intrusi, gli accaparratori, con scapito della dignità del Partito, della propaganda e del valore morale ed effettivo di tutta l'azione socialista sul Paese fra le masse». Senza dubbio era possibile ottenere riforme utili mediante l'attività parlamentare. Ma era cessata la partecipazione delle masse a tali riforme, si voleva che esse lasciassero traccia e servissero al miglioramento dell'uomo".146 Dopo il congresso di Modena e in vista della conquista della maggioranza Lerda, che confessò di non avere le capacità e le attitudini di un capo, aprì147 una discussione sulla piattaforma ideale

145 "La Soffitta," 1.10.1911.

146 F.Pedone “I congressi del PSI”, vol. 2, Milano-Roma, 1958

147 G.Lerda, Dichiarazione, "La Soffitta," 29.10.1911. 75 e programmatica della frazione che fu una tappa significativa nella formazione del gruppo dirigente del massimalismo d'anteguerra. Egli affermò di non credere ai dogmi ed alle formule, neppure a quelle del cosiddetto socialismo scientifico: "credo alla vita che è movimento" respingendo però l'empirismo dei riformisti ed ogni forma di dogmatismo: "sono un solitario che in molte questioni ed apprezzamenti sente diversamente e dai rivoluzionari e dai riformisti". Partito dalla constatazione che “la frazione...ha un programma" solo negativo, e dopo aver premesso che si trattava non tanto delle "esigenze della dottrina e della scienza" quanto di quelle "della disciplina, per la coordinazione del lavoro e per la psicologia delle masse", la sua proposta aveva lo scopo pragmatico di dare al partito "una guida e uno schema dell'azione". Di contro al "socialismo pratico, frammentario, localista, corporativista e parlamentare" dei riformisti rivendicò la "necessità di una revisione" già invocata al congresso di Milano. Si trattava di restituire al Partito socialista quella "unità di indirizzo" che il riformismo, aveva distrutto anche come "unità di movimento tendenziale" La discussione e l'elaborazione di un programma della sinistra rivoluzionaria avrebbe dovuto innanzitutto procurare l'unità della frazione e garantire in un secondo tempo la "integrazione del pensiero del Partito socialista e del movimento proletario in una unità non infeconda fattrice ed educatrice." In risposta Arturo Vella ammonì i compagni di “non cacciare anche dalla soffitta quel Carlo Marx che, volere o no, è l'unico che può dare a noi la fiaccola rischiaratrice per procedere innanzi nella buia notte della storia.148 Vedeva assai bene che si trattava di contrapporre "all'empirismo volgare dei riformisti, al pragmatismo inconsapevole degli integralisti ed al neoidealismo dei malcontenti una netta e salda concezione del divenire socialista" che non poteva non essere il marxismo. Quanto al programma di Genova, esso doveva essere ripreso in mano, come bandiera, dalla frazione rivoluzionaria. Obbiettivo fondamentale della frazione, dunque,

148 A.Vella, In cerca d'un programma. Melanconie d'un credente, "La Soffitta" 3.11.1911 76 “ricostituire gagliardamente i quadri di un partito veramente di classe che deve poggiare l'azione sua sullo spirito del marxismo che va dal Manifesto dei comunisti al programma di Genova (adattamento italiano del programma di Erfurt)". Vella assunse una posizione di difesa ideologica rispetto agli atteggiamenti oscillanti fra il tradizionale revisionismo e il nuovo pragmatismo che fermentavano in forme più o meno consapevoli e contrappose alle idee di Lerda le posizioni di Costantino Lazzari.149 Infine promise una serie di articoli per profilare i "lineamenti per un programma di attuale azione per la nostra frazione, programma che chiamerei massimalista per la sua derivazione dai massimi principi", Già all'indomani del congresso l'organo della frazione constatò i progressi nei confronti dei riformisti e delle posizioni intermedie e predispose gli animi alla conquista della direzione del Partito. Dal Congresso di Firenze del 1908 a quello di Modena del 1911 la forza intermedia degli integralisti divenne irrilevante e i gruppi riformisti erano scesi da 18 mila voti a 11 mila, mentre gli intransigenti da 5 mila erano quasi raddoppiati, sicché sull'onda degli avvenimenti, non fu difficile conquistare la maggioranza nelle federazioni principali, e andare al Congresso di Reggio Emilia con la vittoria già assicurata. Alla conquista giovò anche quell'atteggiamento di combattività locale, a contatto con la base, che i rivoluzionari tennero e che fu teorizzato da Serrati poco prima del congresso vittorioso. Preso dallo sconforto per la visione della "sfrenata vita borghese-capitalistica" che imperava in Italia, in quell'angoscioso "quarto d'ora di affarismo," Serrati peccò di pessimismo e finì col ritenere che il Partito non potesse risollevarsi che il giorno in cui la borghesia si fosse spinta "fino al collo" nella speculazione e ne fosse soffocata. Intanto era possibile soltanto una via di ripresa e di riscossa: "Vado diventando localista perché mentre gli organi dirigenti del partito hanno dato il peggiore degli esempi e sono stati la pietra dello

149 C.Lazzari, “I principii ed i metodi del PSI”, Milano, 1911. 77 scandalo vi è invece fra le masse un terreno meravigliosamente fertile per la propaganda e la educazione socialista150 Al congresso di Reggio Emilia del 1912 Lerda si dichiarò a favore dell'espulsione dal partito dei riformisti di destra filotripolini, ma auspicò una nuova maggioranza che includesse anche i riformisti di sinistra (Modigliani) e presentò un ordine del giorno, approvato dal congresso, che pur affermando la necessità di seguire il metodo intransigente e di presentare candidature socialiste in tutti i collegi, lasciava alla Direzione la facoltà di autorizzare a votare nei ballottaggi per i candidati dei partiti affini. All'ordine del giorno presentato da Lerda era stato proposto di aggiungere quello di Francesco Ciccotti approvato al congresso regionale di Forlì, che escludeva «ogni alleanza coi partiti cosidetti affini, a primo scrutinio e in ballottaggio, nel campo politico e amministrativo», su cui si sviluppò la discussione interna alla frazione, riunitasi la sera del 6 luglio151. Lerda fece notare che la sua mozione sulla tattica elettorale esprimeva l'orientamento di tutta la frazione, meno le sezioni romagnole, che in nome dell'unità invitò a ritirare il documento. I romagnoli si impegnarono ad uniformarsi alla volontà della maggioranza che sarebbe emersa da una votazione la sera stessa e dopo una discussione152, l'intransigenza nelle elezioni amministrative fu approvata con 35 voti contro 16, mentre l'intransigenza nei ballottaggi di quelle politiche ebbe 32 voti contro 19.

150 G.M.Serrati, Necessità attuale di Idealismo, "La Soffitta," 2.6.1912.

151 I rivoluzionari. L'intransigenza assoluta di Ciccotti vittoriosa sull'ordine del giorno Lerda, «Avanti!», 7.7.1912

152 “Storia della sinistra comunista” Milano, 1964, p. 56: «Gli "esperti" spiega-rono che ogni congresso vive di una sola grande battaglia». Ad invitare gli intran-sigenti a soprassedere sulla questione elettorale, per concentrare gli sforzi in sede congressuale contro i «traditori del partito», fautori dell'impresa libica intervenne Costantino Lazzari, mentre Arturo Vella dichiarò di essere contrario non solo ai blocchi ma anche alla conquista dei Comuni su basi intransigenti. 78 In una seconda riunione il giorno dopo, quando tutti i delegati avevano raggiunto Reggio, Elia Musatti chiese di ripetere la votazione, senza che ciò cambiasse il risultato. La prevedibile vittoria congressuale della frazione, ammonì Musatti, l'avrebbe posta in condizioni del tutto nuove: non si sarebbe più trattato di combattere su enunciazioni di principio, nella posizione privilegiata di chi sapeva di perdere, ma di affermare direttive che, per determinare il successo elettorale del partito, avrebbero dovuto essere applicate in modo rigoroso, cosa non facile data la diseguale distribuzione delle forze del partito sul territorio nazionale e dati gli effetti imprevedibili della nuova legge sul suffragio allargato, che rendeva difficile una soluzione univoca. A fronte di 508 collegi elettorali il partito disponeva di un migliaio di sezioni: 900 da Roma in su, 78 da Roma in giù, isole comprese. Che cosa dovevano fare le 78 sezioni meridionali nei 201 collegi al di sotto di Roma? Porre candidature socialiste dappertutto, anche dove non esistevano sezioni? E nei moltissimi casi di ballottaggio che si sarebbero verificati là dove era possibile candidare un socialista ma non assicurarne l'elezione, e l'alternativa era tra ritirarsi e rimanere battuti? Non era meglio concentrare le forze sul collegio della provincia nella quale più facile si presentava la lotta? E in quale misura e prospettiva l'accesso al voto di nuovi strati proletari e popolari, in gran parte analfabeti, avrebbe modificato la situazione? Il nodo della politica del partito nel meridione non fu sciolto nemmeno nella terza riunione, precedente la seduta congressuale pomeridiana dell'8 luglio, in cui Mussolini chiese l'espulsione dei destri Bissolati, Cabrini, Bonomi e Podrecca per «determinati atti» e non per le loro idee politiche e in cui si discusse nuovamente sulla questione dei ballottaggi e delle elezioni amministrative. L'«Avanti!» riferì: «alla discussione molto animata, partecipano molti oratori, ma poiché l'ora è tarda, si rinvia ogni deliberazione a domani nel pomeriggio». Se in sede di frazione i rivoluzionari avevano approvato la mozione Ciccotti, quando la mattina del 10 si giunse al dibattito in congresso fu

79 proposto l'OdG Lerda, approvato senza votazione. La conclusione153, che non era giustificata dai rapporti di forza, provocò la critica del riformista Nino Mazzoni: "Questo che doveva essere il Congresso della schiettezza crudele, che doveva risolversi nella più perfetta intransigenza, si trasforma in una intransigenza a primo scrutinio, diritto della Direzione d'intervenire nei ballottaggi, e silenzio completo sulle elezioni amministrative"154 Così Modigliani, che si era pronunciato per il diritto di intervento della Direzione anche nelle elezioni amministrative, prese atto con soddisfazione che aveva prevalso la «più blanda» delle due correnti in cui era divisa la frazione intransigente, e concluse che la concezione riformista, pur sconfitta, si rivelava più rispondente alla realtà e alle necessità del partito e al tempo stesso più audace e combattiva di quella vincente.

153 Si può supporre che la rinuncia all'ordine del giorno Ciccotti fosse dovuta alle pressioni degli intransigenti romani, impegnati nel blocco raccolto attorno a Nathan. Lerda, nel momento più acuto della crisi determinata dall'impresa libica, raccogliendo una notevole maggioranza nell'Unione Socialista Romana, si oppose alle richieste di rottura di ogni alleanza con i partiti borghesi. Cfr. La questione del blocco nell'Unione Socialista Romana, «La Soffitta», n. 19, del 17 dicembre. L'ambiguità della mozione prevalsa al Congresso di Reggio Emilia è rilevata da S. Bertelli, Socialismo e movimento operaio a Roma dal 1911 al 1918,«Movimento Operaio», 1955:«nella formulazione della mozione sull' indirizzo elettorale del partito, si era guardato soprattutto a Roma e si era giunti all'approvazione del principio intransigente sol perché le dimissioni di tutti i consiglieri socialisti avrebbero costretto il Nathan a nuove elezioni immediate, dalle quali si sperava un rinvigorimento (altro che secessione!) della compagine bloccarda che, si faceva notare, era rimasta nella sua composizione immutata per cinque anni, malgrado l'accresciuta influenza socialista nella città». L'uscita dell'USR dal blocco amministrativo il 31 luglio 1912 si verificò in questo contesto.

154 “Resoconto stenografico del XIII Congresso Nazionale del PSI”, 1913, p. 255. 80 L'intervento di Mazzoni rivelò le divergenze tra gli intransigenti. Mussolini, per quanto invitato non prese la parola in questa fase.155 Ciccotti negò che il suo OdG fosse orientato nel senso indicato da Mazzoni, e aggiunse che la mozione di Lerda, concernente solo l'indirizzo generale del partito, era quella ufficiale della frazione. Una volta affermata l'intransigenza per le elezioni politiche era inutile ribadirla per le amministrative. Lerda, dopo aver precisato di essere contrario ai blocchi, sottolineò la necessità di distinguere tra il campo amministrativo e quello prettamente politico, accennando ai numerosi comuni delle province meridionali, in cui il proletariato si trovava di fronte le camorre, i clericali, ecc., e concluse affidando alla nuova Direzione il compito di impedire degenerazioni bloccarde. A questo punto intervenne Giacinto Menotti Serrati, fautore dell'intransi- genza assoluta, con una dichiarazione che stabiliva a nome dell'intera frazione che la nuova Direzione doveva liquidare in tempi brevi i blocchi ancora esistenti. A suscitare la reazione di Mazzoni fu che ancora una volta la questione della Massoneria era finita in coda nell'agenda del congresso. Mazzoni definì superficiale, moralistico e astratto l'approccio al problema da parte del partito. Oltretutto non si teneva nel minimo conto il cambiamento che si era verificato nella politica della Massoneria che, da espressione di un vago anticlericalismo liberaleggiante agli inizi del secolo, era diventata un vero e proprio partito politico tra gli altri, infiltrato nelle organizzazioni operaie (a cominciare da quelle a carattere economico, in cui più facile

155 Secondo il giornalista M.ichele Campana Mussolini avrebbe teorizzato il completo disinteresse del partito per le questioni economiche e amministrative. Ved. La discussione al Congresso socialista si accalora: tre tendente tra i rivoluzionari, «II Nuovo Giornale», 10.7.1912, ora in B. Mussolini, “Opera Omnia”, IV, p. 294. 81 era coltivare piccole ambizione e vanità individuali) per svolgervi un'opera di mediazione, culminata appunto nel popolarismo e nel bloccardismo156. Questa lezione proveniva da un riformista esperto, che dirigeva allora con Argentina Altobelli la Federterra, autore di numerose inchieste e relazioni sulle condizioni della classe lavoratrice nel Settentrione, che nel corso delle polemiche post-congressuali definì la mozione Lerda un contrappeso all'ordine del giorno di Mussolini di espulsione di Bissolati, Bonomi, Cabrini e Podrecca. La formazione del Partito Socialista Riformista Italiano da parte di costoro costrinse la Direzione a definire con una circolare157 il significato della loro espulsione: si dovevano considerare espulsi anche coloro che si rendevano solidali con i quattro deputati. Ad evitare travisamenti e forzature l'editoriale non firmato "Concordi nell'azione" sull'Avanti! del 27 precisò che l'ordine del giorno Mussolini si era riferito ad atti specifici compiuti dagli espulsi e che “nessun pensiero, nessuna tendenza, nessuna frazione» erano state coinvolte sia in esso, sia nelle delibere della Direzione”. Ma lo stesso articolo, sostenendo che «l'appoggio ad indirizzi di governo» era stato dichiarato incompatibile con la permanenza nel partito dalla mozione Lerda, dava di questa un'interpretazione che lo stesso Mazzoni ritenne di dover subito contestare: "Opinione rispettabilissima che viene fissata per cauzionare una direttiva: ed alla quale noi ci dobbiamo sottomettere per dovere di disciplina. Ma "opinione" che noi abbiamo diritto di non condividere senza che ciò debba farci considerare esclusi dal Partito158. Questa precisazione mirava a salvaguardare l'attività e l'autonomia del Gruppo parlamentare socialista, che Mussolini dalla tribuna congressuale aveva

156 “XIII Congresso nazionale..”, cit., pp. 295-297. Anche” Il PSI nei suoi congressi”, II, Milano, 1961, p. 212, riporta l'ordine del giorno presentato da Mazzoni sul problema della Massoneria.

157 l'«Avanti!» 24.7.1912

158 N. Mazzoni, Il Congresso di Reggio e l'appoggio agli indirizzi di governo, «Avanti!», 28 .7.1912. Una nota non firmata ma apparsa nello spazio riservato ai comunicati ufficiali, ammise la «scrupolosa esattezza» dei rilievi di Mazzoni: Per l'unità del Partito, «Avanti!», 1.8.1912, rubrica «Vita di Partito» 82 stigmatizzato, dichiarandone esaurita la funzione. Mazzoni concluse dicendo che se i deputati socialisti non volevano limitarsi a essere una «minaccia decorativa», ogni loro intervento implicava l'accettazione della schermaglia parlamentare che si determina nel gioco delle forze politiche, mentre un atteggiamento sistematicamente negativo li avrebbe trasformati in altrettante mummie. La nuova impostazione del lavoro organizzativo che Lerda propose doveva ristabilire le condizioni per un autentico partito operaio in cui alla «scienza borghese» dei delegati ai congressi, scelti perchè potevano permettersi le spese di viaggio, sempre pronti agli «interessi personali», subentrasse un lavoro rivolto alla base di «scienza socialista» o «filologia di Marx» con l'utilizzazione del denaro a disposizione del Partito.

La “destra” nei primi anni vita del PCd’I (1922-25) Il Partito Comunista d’Italia (PCd’I) nasce a Livorno nel gennaio 1921 dalla fusione di nuclei di diversa origine159 (essenzialmente “Il Soviet” di Bordiga e l’ ”Ordine Nuovo” di Tasca e Gramsci, cui si aggiungono i massimalisti aderenti alla “circolare Graziadei-Mara- bini160) e, nonostante la forte “leadership” di Bordiga, esso nei primi anni è tutt’altro che omogeneo, carattere che condivide con i partiti tedesco161, francese162, ecc.

159 A. Lepre, S. Levrero “La formazione del Partito comunista d'Italia”, Roma 1971

160 I massimalisti emiliani Antonio Graziadei e Anselmo Marabini 83 Infatti nei neo-partiti della III Internazionale si manifestano fin dall’inizio posizioni definite di “destra” ed altre di “sinistra” e a partire dal 1921 iniziano ad essere espulsi (o a dimettersi) gruppi ed esponenti di “destra” come Paul Levi, Brandler e Thalheimer in Germania e Frossard, Sellier e il POP in Francia, così come di “sinistra” (KAPD, Treint, ecc.) In Italia nella base la scissione non sempre era stata compresa ed ha la coda in un processo di ricomposizione: nel 1921 non tutti coloro che in fase precongressuale avevano votato la mozione “comunista pura” entrano nel nuovo Partito mentre dal 1922 inizia un travaso di forze dal PSI al PCd'I. L’ingresso nel 1924 dei socialisti “terzinternazionalisti” 163 che nel 1921 erano rimasti nel vecchio partito, avviene quando già si era imposta la nuova linea imposta dal Comintern (I.C.), e contribuisce anche a mutare gli equilibri nel PCd’I. Bordiga avrebbe preferito un partito più coeso e rigido anche se più piccolo di quello uscito dalla scissione mentre i rappresentanti dell’ I.C. premevano per recuperare l’ala sinistra del vecchio partito, che continuava a dichiararsi “rivoluzionaria”. Le differenziazioni all’in- terno del PCd’I non tardarono a manifestarsi, alimentate anche dai rappresentanti dell’I.C. che si succedettero nel tempo (Manuilski, Rakosi, Humbert Droz164...) i quali dovevano far accettare la linea di Mosca. Durante la direzione di Bordiga alcuni esponenti del Partito ad alto e medio livello espressero critiche da “destra” alla linea politica, pur

161 O. Flechtheim “Il partito comunista tedesco (KPD) nel periodo della Repubblica di Weimar”, 1970; P. Brouè, “Rivoluzione in Germania : 1917- 1923”, Torino, 1976

162 A. Kriegel “Aux origines du communisme français”, , 1964

163 T. Detti “Serrati e la formazione del Partito comunista italiano : storia della frazione terzinternazionalista”, 1921-1924 Roma, 1972

164 J. Humbert Droz L' Internazionale Comunista tra Lenin e Stalin : Memorie di un protagonista Milano, 1974 84 senza costituire una corrente organizzata; le loro posizioni si manife- stano in occasione del II° Congresso nazionale (Roma, marzo 1922) e del IV° (novembre 1922) e V° (giugno 1925) Congresso dell’ Interna-zionale comunista, mentre al III° congresso nazionale (Lione, gennaio 1926) si manifesta solo l’opposizione di “sinistra” (bordighista). Questa rassegna si propone di dar conto delle posizioni dei “destri”, che non hanno ricevuto in sede storica l’attenzione dedicata invece sia alla direzione “centrista” Gramsci-Togliatti165 alla testa del Partito a partire dal 1924, come anche alla “sinistra” bordighista166, che ha conservato nel tempo una sia pur minima presenza organizzata. I limiti cronologici della ricerca vanno dalla fondazione del PCd’I al congresso di Lione per cui non si prende in considerazione l’evoluzione teorica e politica di esponenti come Tasca e Graziadei.

1. Il II. congresso del PCd'I (Roma, 21-25 marzo 1922) Il secondo congresso nazionale del PCd’I viene celebrato a poco più di un anno dalla scissione. A gennaio sono pubblicate senza incontrare obiezioni importanti le «tesi» sulla tattica (Bordiga e Terracini), sulla questione agraria (G.Sanna167 e Graziadei168), e sindacali (Gramsci e Tasca). Le uniche critiche vennero da esponenti di secondo piano: l’abbruzese Smeraldo Presutti169 e l’operaio triestino Gustavo Mersù.

165 P.Togliatti La formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano nel 1923-24, Milano 1960

166 “Storia della sinistra comunista” cit.

167 (1877-1950) Insegnante di storia negli istituti tecnici, si distaccò presto dall’iniziale astensionismo. Si dimise dal partito nel 1923 per poter insegnare. Autore di monografie storiche e manuali scolastici.

168 (Imola 1873-Nervi(GE) 1953) Docente di economia, partito da posizioni moderate, dopo la guerra aderì alla frazione comunista. Espulso nel 1928 e reintegrato nel 1945, fece parte della Consulta. 85 Presutti critica la rigidità e meccanicità dell’elaborazione teorica e dell’azione pratica nel rapporto fra le fasi del processo rivoluzionario e le tattiche utilizzabili dal partito, con il pericolo di svalutare tutti quegli eventi imprevisti in grado di mettere le masse in moto spontaneamente e con possibilità di successo e, di conseguenza, il rifiuto di intraprendere azioni politiche con gli altri partiti. Richiamando le varie fasi del processo rivoluzionario russo, ricorda che la vittoria della rivoluzione in ottobre era stata preceduta da un periodo, da marzo a settembre, durante cui, pur mantenendo la propria autonomia ed indipendenza programmatica, i bolscevichi agirono congiuntamente agli altri partiti operai. Riguardo l'applicazione della parola d'ordine della "conquista della maggioranza" e del fronte unico, ammetteva la possibilità della collaborazione anche a livello politico oltre che sindacale.170 Gustavo Mersù171 invece sostiene l'elaborazione di strategie d'azione in grado di accelerare il processo socialdemocratico e la successiva lotta per il potere. Al congresso si evidenzia una opposizione eterogenea costituita da due gruppi: uno composto da Presutti e ; l'altro da e Antonio Graziadei. Graziadei insiste sull’esigenza di dar vita ad una alleanza fra le diverse formazioni operaie, e non solo a livello sindacale, partendo dalla constatazione della passività e della depressione delle masse operaie; tale fase poteva essere superata attraverso la partecipazione ad azioni che non precludessero possibili accordi con i diversi partiti

169 F. Tripoti, Smeraldo Presutti da Città Sant' Angelo a Mosca, 2009. Espulso nel 1925, nel dopoguerra segretario di sezione e membro del Com. Federale

170 Presutti (Città Sant’Angelo 1898-1984) scrive un articolo, Sulla tattica del Partito («L'Ordine nuovo», 22 febbraio e 25 marzo 1922). Alle sue osserva-zioni replica A. Bordiga (Il compito del nostro Partito, ibid, 19 marzo 1922).

171 Gustavo Mersù, Intorno alla tattica, in "Ordine Nuovo", 25 gennaio 1922. 86 politici. Tasca invece si sofferma sul tema dell'unità d'azione delle masse nei sindacati, sullo sviluppo dell'Alleanza del lavoro e sul tentativo di recuperare i gruppi di sinistra del PSI: l'atteggiamento della minoranza nei confronti degli altri partiti operai, sebbene assai critico della direzione massimalista, non preclude possibili collaborazioni e non concorda con la tesi della natura borghese dei socialisti. Tasca e Graziadei sono sul fronte unico molto più vicini alle posizioni dell'IC tanto che il delegato del Comintern Kolarov accosta la politica di conquista delle masse, prospettata dall'IC al III Congresso e nel successivo Esecutivo allargato, con le posizioni della minoranza. Nel suo discorso critica alcuni dei temi proposti nelle tesi, quali la pretesa di formulare in maniera definitiva delle modalità d'azione e l'affermazione dell'impossibilità di procedere oltre nel processo di disgregazione dei partiti socialdemocratici. Il Congresso si conclude con la votazione di un ordine del giorno per la maggioranza e di uno per la minoranza Graziadei-Tasca, su cui con-vergono i voti del gruppo di Bombacci e Presutti, che ottiene 4.151 voti contro 31.089 ma non è rappresentata nel Comitato Centrale.

2. Il IV. congresso del Comintern (novembre 1922) Nel 1922 il Partito comunista sovietico, fallita l’anno precedente l'offensiva in Germania e con notevoli problemi interni, sentiva l'urgenza di rompere l'isolamento e di allargare le basi dei partiti comunisti, per cui i rapporti della sezione italiana dell’Internazionale (il PCd’I) col PSI furono al centro della questione italiana al quarto Congresso. La scissione/espulsione dei riformisti al congresso di Milano dell'ottobre 1922 aveva convinto l'IC della necessità di una fusione dei due partiti. Già in occasione di una riunione del Comitato centrale del PCd'I, all'interno della maggioranza erano affiorate differenziazioni riguardo a questo tema.

87 Per la minoranza prese la parola Graziadei172. Le tesi dei "destri", specialmente per ciò che riguardava i temi centrali del congresso, il fronte unico ed il governo operaio, ricalcarono quelle presentate dall'Internazionale, distinguendo nel fronte unico due livelli di applicazione: uno consistente nell'incorporare gruppi provenienti da altri partiti in quello comunista; l'altro nell'elaborare possibilità d'azioni comuni con le altre organizzazioni proletarie, compresi i partiti politici. Riguardo la concezione della funzione del governo operaio, la minoranza propendeva a riconoscerne la validità di parola d'ordine intermedia, specialmente in quei paesi dove le masse operaie giacevano ancora sotto l'influsso della socialdemocrazia: "Nei paesi in cui la possibilità per la classe operaia di conquistare il potere esiste, il governo operaio si presenta come il risultato del fronte unico. Infatti, quelle parti della classe operaia che sono ancora sotto l'influenza dei partiti socialisti, non credono per il momento alla dittatura del proletariato. Per spingere alla conquista del potere ci si deve accontentare della formula del governo operaio. Si può intravedere la possibilità storica che il governo operaio sia una tappa tra il governo borghese o socialdemocratico e la dittatura del proletariato. In quel caso si può anche pensare che il governo operaio abbia ancora una forma parlamentare ... si può, in paesi che contano un grande partito della classe operaia ancora imbevuto delle idee democratiche borghesi o semi-borghesi, che un governo operaio possa essere costituito, per un periodo di tempo, da un lato su un'organizzazione sindacale la quale dovrà cercare di avvalersi politicamente delle lotte, e dall'altro su una forma ancora parlamentare. Non possiamo respingere il governo operaio solamente perché può avere, per un certo periodo di tempo una forma parlamentare, sarebbe un suicidio". Al Congresso la discussione su questo aspetto della situazione italiana si protrasse inutilmente per molte sedute fino a quando, posti di fronte all'eventualità di giungere ad una pubblica rottura con

172 Intervento di Graziadei al IV Congresso dell'Internazionale Comunista (Mosca, 11 novembre 1922), in "La Correspondance Internationale", n. 27, 11 dicembre 1922 88 l'Internazionale, la maggioranza si spaccò: da una parte gli intransigenti, guidati da Bordiga, decisi a non procedere a nessuna trattativa con il PSI e pronti a lasciare alla minoranza la guida del partito nel caso la loro linea non fosse passata; dall'altra, sospinti da Gramsci e Scoccimarro, coloro che accettavano l'unificazione, ma si riservavano di discuterne le condizioni. Al termine delle trattative si giunse ad una risoluzione che sanciva l'unificazione tra PCd'I e PSI e stabiliva una serie di misure atte a realizzarla nel più breve tempo possibile. La fusione avvenne in condizioni diverse da quelle ipotizzate, cioè non con la massa di quel partito che si era comunque assottigliato perdendo gli elementi più opportunisti, ma solo con la frazione minoritaria dei "terzinternazionalisti" guidati da Serrati e Maffi e, vista retrospettivamente fu, tranne qualche caso personale, nel complesso positiva arricchendo il PCd'I di validi quadri radicati sia localmente che nel sindacato. Il processo di differenziazione, iniziatosi nell'autunno-inverno del 1922 e proseguito in condizioni di estrema difficoltà a causa della marcia su Roma, dell'arresto di numerosi dirigenti comunisti, dello sprofondamento nell'azione illegale del partito per tutto il 1923, si concluse solo nell'estate del 1924, con l'insediamento alla guida del partito del gruppo dirigente formatosi intorno a Gramsci.

3. Il comitato centrale del 18 aprile 1924 Dopo un intervento per la «destra» Graziadei e per il «centro» di Gennari173, sul secondo punto all'ordine del giorno, la imminente conferenza del partito, a cui si andrà con tre mozioni distinte, in un intervento di Angelo Tasca esplode la rottura sul problema di una nuova frazione di «centro» alla testa del partito.

173 Gennari riprende le argomentazioni di Togliatti sulla «opposizione» democratica dei riformisti che tende a diventare un'ala del fascismo». Graziadei nega che il problema del Mezzogiorno sia una questione a sé e, quanto all'atteggiamento verso i socialisti, sottolinea che «le elezioni hanno dimostrato come il Partito massimalista dispone ancora di grandi forze di massa» e quindi non sia cosa facile liquidarlo 89 Tasca si avvale dei precedenti dissensi della vecchia maggioranza con il Comintern per accusare il nuovo «centro» di insincerità politica; di complicità con Bordiga, di doppiezza nell'accettazione della tattica del fronte unico, di «spirito di frazione e di setta». Accusa Togliatti, Scoccirnarro, Terracini e Gramsci di volere assumere il potere eliminando le altre correnti: «La frazione "centro" diventerà il partito e il partito diventerà la frazione, per cui, conquistato il potere, si accenderà una lotta a fondo contro le altre correnti in stile perfettamente defensionista»174. In primo piano c'è una reciproca sfiducia personale negli uomini che si söno raccolti nella «nuova formazione politica», Gramsci, Togliatti, Scoccimarro e Terracinj. Altrettanto ribadita é la convinzione che «la conversione», la «improvvisata ortodossia», contenga in sé la manovra di incorporare la sinistra bordighiana per battere meglio la vecchia minoranza. Tasca aggiunge che la «nuova posizione centrista» è il risultato stesso della condotta tenuta dal Comintern, e della lotta impegnata dalla minoranza, quindi é anche frutto della sua battaglia Coerentemente a questa confessione Tasca annunzia di non voler più accettare né responsabilità né lavoro in comune con i compagni del centro. Ma non rinuncia a combattere una lotta politica: dopo questo comitato Centrale, Tasca e Vota175 scrivono al Presidium del Comintern proclamandosi dimissionari dall’Esecutivo a causa dei dissensi con gli altri membri . Già nella mozione che presenta, alla fine del C.C. del 18 aprile, «l'attuale maggioranza» é additata responsabile dell’indirizzo erroneo seguito dal Partito nel 1921-24.

4. Il convegno segreto di Como (maggio 1924)

174 verbale della riunione del Comitato centrale del 18 aprile, sul secondo punto all'ordine del giorno, in La formazione … cit., P. 301.

175 Avigliana (TO), 1886-Torino 1935. Organizzatore dei lavoratori del legno, dopo il 1924 si allontana dall’attività politica. 90 Si tiene nel maggio 1924 ed ha carattere consultivo. Alla conferenza partecipano 67 militanti: 11 membri del Comitato centrale, 46 segretari di federazione, un rappresentante della Federazione giovanile, uno della sezione centrale stampa e propaganda, 5 dirigenti dei comitati interregionali e 3 indicati come « personale tecnico ». Sono assenti 20 segretari federali e tre membri (tutti di maggioranza) del Comitato centrale. I convenuti hanno preso visione del verbale della riunione del18 aprile e trovano sullo «Stato operaio» del 15 maggio, oltre alle tre mozioni, gli «schemi di tesi» degli altrettanti gruppi che si fronteggiano: 1) quello del «centro» firmato da Egidio Gennari, Alfonso Leonetti, , Mauro Scoccimarro, ; 2) quello della «sinistra», presentato da Amadeo Bordiga, Bruno Fortichiari, e Luigi Repossi: quattro dei cinque membri del vecchio Esecutivo; 3) quello della «minoranza» che viene firmato dagli esponenti della cosiddetta «destra», nelle cui file si trovano dirigenti sindacali, giornalisti, operai: oltre a Tasca e Vota, Giuseppe Berti, Aladino Bibolotti 176, Dante Cappelli, Giorgio Carretto177, Nicola Cilla, Mario Piccablotto, Gustavo Mersù, Carlo Farini178, Cesare Massini179, Ottavio Pastore180, Giovanni Roveda181. La Federazione Giovanile simpatizza per la sinistra. Con la « maggioranza » sono schierati - firmando la mozione di centro - Gramsci, Terracini, Gnudi, Flecchia, e Azzario. I testi presentati sono di Bordiga, Tasca e Togliatti, ma lo «schema » elaborato da quest'ultimo dopo numerosi ritocchi accentua la polemica verso la destra e attenua quella verso la sinistra in specie rivendicando la giustezza di molta parte della linea del partito nel

176 Massa 1891-Roma 1951. Internato durante la guerra per propaganda anti-militarista, è il primo segretario della Federazione comunista di Massa. Collaboratore all'Ordine Nuovo a Il lavoratore e a l'Unità, nel "processone" del 1926 è condannato a 18 anni e 6 mesi. Amnistiato dopo dieci anni, ripara clandestinamente in Francia dove entra nel C.C. del PCd’I. Internato nel 1940, evade unendosi al "maquis". Arrestato, è consegnato nel 1942 all’Italia e confinato sino alla caduta di Mussolini. Partigiano nel Biellese e nel Reatino, dopo la Liberazione è vice segretario della CGIL, Costituente e senatore di diritto nella prima Legislatura. 91 «primo tempo», e quindi la continuità di un'azione della maggioranza. Il gruppo di «centro» tiene conto della raccomandazione del presidente del Komintern, ma ciò non impedirà alla polemica di esplodere nuova- mente anche sul punto dei rapporti del partito con l'Internazionale. I tre documenti presentano differenze di linea notevoli. La «sinistra» si dichiara pronta a risottoscrivere le Tesi di Roma del 1922, riconferma la validità di tutta la tattica del «primo tempo» e imputa all'Internazionale comunista l'erroneità di un atteggiamento fiducioso

177 Torino 1891- Novara 1990. Lavora alla Fiat dal 1913 al 1920 e partecipa ai moti dell'agosto 1917. Nel 1920 è eletto nella commissione interna alla Fiat e vicesegretario della Camera del Lavoro. Prende parte all'attività dell’ "Ordine Nuovo", sulle posizioni di Angelo Tasca. Dopo l'avvento del fascismo è condannato al confino e poi a 12 anni e 6 mesi di carcere. Amni-stiato nel 1933, torna a Torino a lavorare alla Fiat Grandi Motori. Durante la Resistenza il Pci in Valsesia nelle brigate Garibaldi. Nel dopoguerra segreta-rio della Camera del Lavoro di Novara (1946-1947) e Sondrio (1950-1952).

178 Ferrara, 1895-Roma 1974. Fra i fondatori del PCd'I, dopo un periodo trascorso a Mosca, dirige l'organizzazione del partito a Roma. Emigrato a Parigi, accorre in Spagna nelle file delle Brigate Internazionali. Riparato in Francia, con l'invasione nazista è consegnato all’Italia che lo avvia al confino. Nell'agosto 1943 tra i primi organizzatori della Resistenza in Liguria, poi in Umbria dove, alla Liberazione, diviene consigliere comunale di Terni. Costituente, dal 1948 al 1958 deputato di Perugia e, dal 1946 al 1950, segretario della Federazione provinciale di Terni.

179 Foligno (PG) 1886-Roma 1967 Nel 1914 partecipa ai moti contro la guerra. Licenziato dalle Ferrovie nel 1922 per attività antifascista, diventa segretario della Federazione romana del PCdI. Arrestato nel 1926, è confinato per 5 anni. Scontata la condanna espatria clandestinamente in Francia dove lavora per il Centro estero del PCd’I. Allo scoppio della guerra arrestato e consegnato all’Italia che lo confina a Ponza. Partecipa alla guerra di Liberazione nelle file della Resistenza romana. Nel dopoguerra segretario della Camera del Lavoro di Roma e del Sindacato Ferrovieri, Consultore e Costituente. Dal 1948 al 1958 senatore del PCI 92 verso il PSI, protrattosi per anni: i socialisti italiani hanno risposto sempre di no ai tentativi di fusione, e dall'arrendevolezza del Comintern è venuto soltanto danno. Il «centro» tende a «storicizzare»: in passato fu giusto lottare contro la minoranza, non lo fu più opporsi all'indirizzo del IV congresso; le Tesi di Roma sono da respingere. Tasca, estensore dello schema della «destra» ripresenta, in sostanza, le accuse mosse all'Esecutivo allargato del 1923, critica tutta la condotta del PCI da Livorno in poi, condanna in blocco l’opera dei suoi dirigenti considerati responsabili della sconfitta del proletariato. Sul tema del governo operaio e del fronte unico le differenze vanno guardate alla luce della rettifica che l'Internazionale ha operato. Per la sinistra la parola d'ordine del fronte unico (ridotta dal Comintern a semplice strumento di agitazione) è pericolosa: la disfatta tedesca è stata una conseguenza della tattica errata consigliata dall'Internazionale comunista al KPD, dell'opportunismo implicito nella formula stessa del governo operaio. Per il «centro» i distinguo sono più sottili: esso accetta l'interpretazio-ne restrittiva del fronte unico, escludendo la

180 La Spezia 1887-Roma 1965. Direttore dell’edizione torinese dell'Avanti! e poi dell’Ordine Nuovo, nel 1926 ripara in Francia e in Belgio. Dopo alcuni anni in URSS nel 1938 torna in Francia. Arrestato nel 1943 mentre tenta di rientrare in Italia, evade e si unisce ai partigiani. Nel dopoguerra dirige l'edizione torinese dell'Unità. Senatore dal 1948 al ‘63

181 Mortara (PV) 1894-Torino 1962. Operaio litografo. Dal 1909 nella Gio-ventù socialista, nel 1919 segretario della Federazione lavoranti in legno, nel PCd’I dalla fondazione. In prigione e al confino dal 1926 al marzo del 1943, nel dicembre è arrestato e tradotto in carcere a Verona, da cui è liberato dai GAP, ed entra nella Direzione del PCI. Sindaco di Torino alla Liberazione, dirige la Camera del Lavoro di Torino, poi la FIOM. Costituente e senatore fino al 1958. M. Zangarini “Assalto al carcere : la storia e il racconto della liberazione di Giovanni Roveda” , Verona 1995; F. Marchetti “La liberazione di Giovanni Roveda”, Carrara 2006

93 formazione di «organi permanenti» costituiti dall'alto; cosi, parafrasando una risoluzione del Comintern («il governo operaio non va inteso come una fase di transizione democratica ma semplicemente come un metodo di agitazione e di mobilitazione rivoluzionaria»), lo schema del «centro» afferma che il governo operaio deve essere accettato come «mezzo di mobilitazione degli strati più arretrati della popolazione lavoratrice». Ma si aggiunge anche che vanno modificate quelle tesi del IV congresso che ammettono la possibilità di un governo operaio sulla base di una collaborazione parlamentare. .... Torna, del pari, nello schema di tesi del «centro», la formulazione togliattiana della. socialdemocrazia non più come ala destra del movimento operaio ma come ala sinistra della borghesia, come suo strumento organico, per la conservazione sociale. (L'Internazionale comunista aveva, in febbraio, affermato che «la socialdemocrazia internazionale intera diventa, a poco a poco, l'ausiliario permanente della dittatura del capitale» e aveva fatto come emblematici i nomi di Turati e Modigliani). Per la destra rimangono invece valide le parole d'ordine generali del IV congresso, anche se lo stesso Tasca, vista l'atmosfera di revisione da sinistra che circola nel Comintern, si affretta a dire che quella del governo operaio non deve essere usata in modo, troppo largo, così da comprendervi i governi laburisti o socialdemocratici, anche se appoggiati dai comunisti. Quanto ai rapporti col PSI, la fusione immediata coi terzini è perorata dal «centro» e dalla «destra», osteggiata dalla «sinistra». Il «centro», infine, non si lascia sfuggire l'occasione di ricordare all'Internazionale comunista che le critiche rivolte al PCI all'Esecutivo allargato del 1923 erano eccessive, dal momento che essa stessa ha dovuto riconoscere come con la direzione del PSI non ci fosse da percorrere molto cammino. In sostanza, per la composizione degli organi dirigenti il «centro» stende la mano alla «sinistra», se essa non si irrigidisce nell'opposizione alla linea generale. La «destra» chiede invece che si eviti la collaborazione tra «centro» e «sinistra», stimando necessaria una dirigenza del partito tenuta dai soli rappresentanti del «centro».

94 All'apertura della conferenza, Togliatti, Bordiga e Tasca svolgono ciascuno la relazione per il proprio gruppo. Una certa impressione provoca il fatto che, sulla situazione italiana, le tesi del centro e della sinistra siano affini, tanto che Bordiga lo riconosce per primo. L'accentuazione, in Togliatti, della critica ai gruppi democratico- borghesi é raccolta da Bordiga ed estremizzata nell'esaltazione dell'isolamento del PCI e della prospettiva della «dittatura proletaria» da opporre alle pretese tendenze laburiste e liberali di tutta la classe dirigente. Tasca, pur timidamente, prospetta l’esigenza di fare uscire il Partito dal suo «splendido isolamento» ed impegnarsi nella battaglia antifascista con la convinzione che un'impostazione simile può farne l'«organo coadiutore di tutte le possibilità di lotta che rimangono e che sorreggono in seno alle masse lavoratrici». Il dibattito rileva uno «stato» dei quadri del partito che non può non preoccupare gli uomini del «centro». I rappresentanti delle federazioni che pigliano la parola esprimono, uno dopo l'altro, uno stato d'animo e una reazione largamente indicativi degli umori della base: irritazione per il sorgere di frazioni nel partito, sorpresa per dissensi interni che ignoravano quasi del tutto, ostilità nei confronti della «destra» e diffidenza verso l'atteggiamento equivoco del «centro». Bordiga, forte del suo accresciuto prestigio personale, e della piena rivendicazione di tutto il passato, ostile ad ogni fusione con forze e uomini non interamente comunisti, esprime bene la formazione politica, lo «spirito di partito», l'esperienza di isolamento in cui é maturato il classico quadro di federazione. Nessuno crede alla formula del «governo operaio». Tasca nella sua replica rinnova la requisitoria contro l'estremismo del partito, contro un atteggiamento di lotta al PSI che impedisce l'avvicinarsi delle masse socialiste al PCd’I, contro la parola d’ordine della dittatura proletaria per un'accezione larga della formula del governo operaio «entro cui troveranno soluzione concreta i problemi dell'esistenza degli operai e dei contadini e anche, in ultima analisi, quella degli strati marginali». Dal dibattito è quasi assente la discussione di merito sulla situazione politica: esso si esprime in termini di formule ma senza un analisi delle forze politiche in campo 95 I risultati del convegno mostrano che i quadri federali sono in grande maggioranza con Bordiga, considerato l'espressione naturale della tradizione del partito: per la sinistra votano 35 segretari di federazione su 45, 4 dei 5 segretari interregionali, il rappresentante della Federazione giovanile e un membro del Comitato centrale. Per il «centro» solo 4 segretari federali e 4 membri del Comitato centrale (tre, schierati con esso, sono assenti). Per la minoranza di destra, 5 segretari federali, uno interregionale e 4 membri del Comitato centrale Due delegati si astengono. La votazione rivela che il nuovo gruppo dirigente, del «centro», non solo è minoritario ma addirittura raccoglie meno suffragi della «destra» Gli resta appena una maggioranza nel Comitato centrale per reggere la dirigenza del partito, e in una situazione di rinnovata crisi, che ai vecchi dimissionari della «sinistra» si sono aggiunti ora i nuovi, della destra, Tasca e Vota.

5. Il V. congresso del Comintern (giugno 1924) Nella seconda metà di giugno del 1924 si tiene a Mosca il quinto Congresso dell’Internazionale. La delegazione italiana comprende esponenti dei tre gruppi. Zinoviev, aprendo i lavori, pone due esigenze: il Comintern deve diventare un vero partito mondiale, omogeneo, bolscevico e leninista; la politica dei comunisti doveva contrastare ogni deviazione, ogni tendenza frazionista di destra o di sinistra. Egli criticò Bordiga, ma senza asprezze, invitandolo a rientrare nei ranghi, ad accettare la disciplina dell'Internazionale. Cercò in ogni modo di coinvolgere nella gestione del partito italiano e dell'Interna- zionale Bordiga, che alla fine accettò un posto, assieme a Togliatti, nell'esecutivo del PCd'I mantenendo intatte le sue critiche nei confronti della linea seguita dal partito. Affermò pure che "i fascisti" erano "la mano destra e i socialdemocratici la mano sinistra della borghesia". Insomma il fronte unico venne ridotto ad una intesa da ricercare "dal basso", fra i militanti del partito e quelli del PSI. Il risultato fu che nessun esponente del gruppo di Bordiga entrò nel nuovo comitato esecutivo del partito italiano nominato dopo il quinto congresso dell'Internazionale. Mentre nel gruppo dirigente del PCd'I 96 entrò, in rappresentanza della "destra" di Tasca, Gustavo Mersù. Il gruppo di centro era invece rappresentato, nell'esecutivo, da Gramsci, Togliatti, Scoccimarro. In seguito al progressivo irrigidimento del Partito russo (proibizione delle frazioni al X Congresso del Partito, espulsioni degli oppositori, prima trotskisti, poi zinovievisti, buchariniani, ecc.), e di conseguenza dell’Internazionale e del PCd’I, la maggior parte dei “destri” (Berti, Bibolotti, Pastore, Roveda, ecc.) cessa dall’esprimere riserve e dis-sensi aderendo alla “linea generale”, mentre nel 1929-30 vengono espulsi Tasca, Graziadei, Bombacci, Presutti, tutti tra i “fondatori” del 1921.

97 “Morandiani” e “Bassiani” I “quadri” morandiani Con la vittoria della Sinistra al Congresso di Firenze del maggio 1949 Rodolfo Morandi diventa vice-segretario. Egli riprende l’opera iniziata due anni prima in campo organizzativo da , che prevedeva di modernizzare la struttura prefascista fondata su mastodontiche Sezioni cittadine comunali, in cui prevaleva un ceto di “bei parlatori”, suddividendole nei quartieri, organizzando il lavoro delle sezioni e delle federazioni per aree tematiche, creando cellule di fabbrica182. La proposta di Morandi consisteva in un mutamento qualitativo del partito, preliminare a qualsiasi discorso di strategia, per evitare il velleitarismo “nello squilibrio tra linea politica e strumento operativo”. Lo strumento operativo necessario a sorreggere la linea politica trasformando il partito col rompere i “diaframmi rappresentati dalle ricerche astratte sulla funzione del partito” da gruppi dirigenti locali incapaci di esercitare il loro compito, dall’assenza di ogni tessuto connettivo che collegasse le federazioni, le sezioni, le istanze di base, fu da lui individuato nella formazione dei “quadri”. “Secondo la concezione morandiana, un partito di massa è basato essenzialmente sul lavoro di un largo gruppo di quadri stabili, dirette a realizzare un costante contatto tra le organizzazioni di partito e la base, e tra il partito e le organizzazioni di massa... La sua intenzione era di organizzare un gruppo dirigente del partito con quadri professionali provenienti dalle file degli operai, dei contadini, dei tecnici. Il sistema dei funzionari nacque dallo sforzo di consentire al

182 P. Mattera “ Il partito inquieto : organizzazione, passioni e politica dei socialisti italiani dalla Resistenza al miracolo economico” Roma, 2004; Id. L’alternativa democratica. in Monina “Il movimento di Unità Popolare” 98 partito di avere dirigenti che provenissero dalla, classe operaia, che se non fossero stati funzionari di partito, non avrebbero avuto né la possibilità né il modo di emergere, di formarsi, di farsi largo nella selva delle cricche” 183 I quadri dell’apparato vengono dislocati da una federazione all’altra, inviati dal centro, oppure assorbiti nel lavoro direzionale secondo un preciso e organico programma184 “In due anni, dal 1950 al 1952, il partito compie uno sforzo di reclutamento e immissione di quadri professionali nella dirigenza; l'apparato esecutivo delle federazioni e quello nazionale centrale venne raddoppiato,giungendo ai 600 funzionari”185 la cui “oscura epopea“ (la definizione è dello storico Gaetano Arfè) era fatta di sacrifici economici e di massacrante impegno "Lo stipendio medio dei funzionari dei PSI oscillava tra un massimo di 45.000 e un minimo di 15.000 lire: un livello pari alle qualifiche operaie più basse. A

183 A.Agosti, “Rodolfo Morandi: il pensiero e l'azione politica”, Milano, 1972, p. 459. Ma scrivono A.Benzoni.-V.Tedesco, “Il movimento socialista nel dopoguerra”, Padova, 1968, pag. 88 “Il nuovo apparato formato in quegli anni avrà anche per la sua provenienza essenzialmente piccolo- borghese, un rapporto autoritario-burocratico, di formula più che di sostanza con il concreto manifestarsi delle lotte dì classe. Non riuscirà cioè che in misura estremamente limitata a inserirsi organicamente e a interpretarle fedelmente, secondo l’impostazione potenzialmente libertaria sempre presente in Morandi. Diverrà di conseguenza una casta ristretta che dalla trasmissione corretta della linea trae il perpetuarsi del proprio potere”

184 Gli interventi servirono anche per imporre la linea della Direzione alle federazioni che sfuggivano al controllo politico o per schiacciare i fermenti autonomistici della base operaia, come a Torino, dove l'apparato stroncò l'organizzazione dei NAS della FIAT e di altri complessi che continuavano ad agire in autonomia di idee e di iniziative.

185 A.Landolfi, “II socialismo italiano”, Cosenza, 1977. Per G. Tolloy sono 500 (“Avanti!” dell’ 11.11.1953) 99 fronte stava un orario di lavoro molto pesante, al ritmo di 10 ore al giorno compresa la domenica mattina”186 Lo sforzo, principale fu diretto a potenziare e ammodernare la struttura organizzativa. La creazione di nuove sezioni territoriali e la loro articolazione in nuclei d'azienda, l'impianto di una vera e propria organizzazione di partito nel Sud, la suddivisione degli organi direttivi provinciali in settori di lavoro, l'immissione nelle federazioni che denunciavano mancanza di quadri di circa 200 giovani funzionari, l'istituzione di uffici regionali destinati a controllare e coordinare l'attività delle strutture periferiche, furono i momenti salienti di un'azione che alla fine del '47 aveva conseguito risultati di rilievo: 80.000 nuovi iscritti e 970 sezioni costituite ex novo. Al rinnovamento e potenziamento della macchina organizzativa si accompagnarono poi iniziative volte alla formazione di nuovi quadri, alla migliore utilizzazione delle energie intellettuali gravitanti nell'area socialista e all'incremento dell'influenza del partito nei settori della piccola e media borghesia più legati al processo produttivo. In tale prospettiva si collocavano l'avvio dei primi corsi della scuola centrale di partito, il censimento degli uomini di cultura aderenti al PSI, il nuovo impulso dato all'Istituto di Studi Socialisti (di cui era segretario Raniero Panzieri) e all'Ufficio Studi, alla cui direzione fu chiamato Massimo Severo Giannini, e la costituzione, promossa da Le!io Basso, del Gruppo Tecnici Socialisti Sul piano organizzativo vediamo quindi scontrarsi due politiche cosiddette «unitarie», quella bassiana e quella morandiana, due concezioni del lavoro di massa. Da una parte un accelerato potenziamento e una marcata caratterizzazione rispetto al PCI, in vista di una ripresa del progetto di partito unico, bloccato dall’offensiva saragattiana, che avrebbe certamente comportato, secondo Basso,

186 P.Mattera “Il partito inquieto …”, cit. p. 190. Il finanziamento dall’Urss comunque era essenziale per sostentare questa struttura e non sarebbe stato concesso a una Direzione diversa da quella nenniana. V. Riva “Oro da Mosca i finanziamenti sovietici al PCI dalla rivoluzione d'ottobre al crollo dell'URSS” Milano, 1999 e 2002 100 una lotta per l’egemonia. Dall’altra un lavoro in profondità per ripulire il partito, impegnandolo nel movimento di massa, di cui il Fronte doveva essere l’espressione politica unitaria. Il ritardo politico e organizzativo del partito obbligava il quadro morandiano a un continuo lavoro di ricupero e di riclassificazione, nel timore di non avere nelle mani uno strumento valido di lotta contro la socialdemocrazia e I'imperialismo. La parabola dei quadri morandiani rende bene la dimensione di queste lacune, da quella dei quadri tecnici che sono nella programmazione capitalistica, a quella dei quadri politici che hanno scelto il centro-sinistra, a quella della prima generazione del PSIUP, politicamente e teoricamente subalterni I cinque anni di lavoro organizzativo di Morandi sono stati insufficienti, hanno richiesto il sacrificio di molte posizioni, hanno dovuto accettare lo status quo della divisione di compiti all’interno del movimento operaio, ma hanno avuto anche il merito di lavorare per trasformare un partito socialista vecchia maniera (nella mentalità dei militanti, nel modo di organizzare, nelle generazioni e nelle forze sociali che lo componevano) cercando di superare il ritardo storico e politico. Questo lavoro doveva essere preliminare a qualsiasi ulteriore e più originale discorso politico, che non correva il rischio di snaturarsi e degenerare nella misura in cui era ancorato a una struttura organizzativa rigida e a una collocazione del partito nelle lotte di massa La valutandone storica è difficile ed “... è un compito che non può proporsi lo storico di oggi, perché occorrerebbe ricostruire pazientemente la trama dell’attività delle singole federazioni, dei singoli NAS, e i loro rapporti con il PCI e l’organizzazione sindacale di classe... In una trattazione dell’esperienza organizzativa di Morandi bisognerebbe valutare a fondo (attraverso testimonianze, corrispondenze, documenti di federazione) il valore di scuola di formazione politica che ebbe la sua direzione.»187

I “bassiani”: una corrente di “transito”

187 A.Agosti, “Morandi” cit., p. 461 e 463 101 Lelio Basso188 dal 1945 in poi ha svolto essenzialmente una funzione di stimolo nel PSIUP-PSI, e il seguito che indubbiamente seppe suscitare ebbe più l’aspetto di un movimento di opinione che non quello di una corrente organizzata. Essendo impossibile delimitare i confini di questa corrente ci limitiamo a elencare i dirigenti che nelle varie fasi gli sono stati vicini, sia firmando le mozioni congressuali da lui proposte, sia collaborando alle sue iniziative editoriali. «Quarto Stato» Il 30 gennaio 1946 esce «Quarto Stato» (che dirigerà fino al 1950), il “quindicinale di cultura marxista” della corrente che intanto elabora la mozione "Per l'unità del Partito e della classe lavoratrice", presentata al xxiv congresso nazionale di Firenze189. I firmatari sono 43: Basso Lelio (Milano), Bellotti Pietro (Milano) Benedetti Alberto (Roma), Bernardi Adriano (Como), Bernardi Guido (Milano), Bianchi Costante (Brescia), Bonfigli Vittore (Roma), Borghese Gianguido (Bologna), Brinati Sante (Foligno) Brunacci Alberto (Roma), Buffalini Ada (Roma) Buschi Nazareno (Roma), Cacciatore Luigi (Roma), Cantoni Ugo (Brescia), Cardona Giacinto (Roma), D'Agata Giuseppe (Spoleto), Fabbri Luigi (Milano), Grisolia Domenico (Roma), Lombardo Giuseppe (Messina), Luzzatto Lucio (Milano), Malagugini Alcide (Milano), Mariani Franco (Milano), Mariotti Attilio (Firenie), Merlin Lina (Roma), Minuto Pasquale (Roma), Molinari Henry (Milano), Passoni Mario (Torino), Pazzi Guido (Napoli), Petti Raffaele (Salerno), Pieraccini Giovanni (Firenze), Repossi Luigi (Milano). Rossi Luigi

188 Varazze 1903 - Roma, 1984. S. Merli. “Il Partito nuovo di Lelio Basso : 1945-1946“, Venezia, 1981; E.Giovannini “Lelio Basso e la rifondazione socialista del 1947”, Cosenza, 1980; G. Monina Il Movimento di unita proletaria (1943-1945): con due contributi su Lelio Basso e il PSI nel dopoguerra, “Annali Fondazione L. Basso”, Roma, 2005; R. Colozza, “Lelio Basso: una biografia politica (1948-1958)” Roma 2010

189 Pubblicata in « Quarto Stato », 28.2.1946, e in « Rassegna Socialista », 10.3.1946 102 (Milano) Sansone Luigi Renato (Napoli) Savoldi Bigio (Brescia), Scalise Luigi (Roma), Torrio Vincenzo (Potenza), Urbinati Alessandro (Terni), Vantavoli Lorenzo (Pistoia), Vernocchi Olindo (Roma), Vignola Gerardo (Roma). Salta agli occhi il carattere “eterogeneo” della lista: si notano un vecchio comunista (Repossi), Henry Molinari figlio del libertario Ettore, numerosi massimalisti (Luigi Cacciatore, Alcide Malagugini, Lina Merlin, Mario Passoni Olindo Vernocchi) e naturalmente militanti del MUP come Lucio Luzzatto. Segretario del PSI dal gennaio 1947 (il congresso della scissione di Saragat) al giugno 1948, dimissionario dopo la sconfitta del Fronte Popolare, pur avendo contribuito alla rivincita della Sinistra (Nenni, Morendi) al congresso di Firenze del 1949, viene da questa emarginato per sospetto trotskismo Nel 1950 Basso si dimette dall’Esecutivo, sopprime la rivista “Quarto Stato” ed esce anche dalla Direzione al congresso di Bologna; riportiamo degli estratti della lettera di dimissioni del 13 settembre 1950, indirizzata a Nenni: "...Mi sono sempre augurato che la ripresa della lotta politica si facesse sotto il segno di un partito unificato della classe operaia e tu sai quanto mi sia opposto alla rinascita del vecchio PSI....vi sono entrato convinto che fosse interesse che questo partito erede di una così importante tradizione..(..)..non fosse abbandonato agli opportunisti, ma venisse trasformato dal di dentro per poter giungere a quella unificazione organica che è sempre .stata una mia profonda aspirazione di militante. In altre parole non ho mai concepito l'unità d'azione come qualcosa di statico, e non ho mai accettato l'esistenza di due partiti come una realtà immutabile. Al contrario, ho sempre ritenuto che l'unità d'azione, oltre a rafforzare nel momento presente lo schieramento della classe operaia, con l'apportarvi le masse controllate dal Partito e i ceti che esso può influenzare anche semplicemente come alleati, dovesse però servire anche a far maturare i militanti socialisti sullo stesso terreno di lotta dei militanti comunisti.... In questo senso io ho operato in questi anni nel Partito, anche durante la mia Segreteria per migliorare i quadri, per migliorare l'attrezzatura organizzativa del Partito, per elevarne il livello ideologico, per farne cioè 103 progressivamente un partito moderno. In altre parole non ho mai accettato la concezione che il partito socialista dovesse necessariamente corrispondere a partito disorganizzato, senza funzionari, con grandi Sezioni aperte a tutti i “bravi oratori” ...Molti socialisti hanno conservato la nostalgia di questo tipo di partito, che secondo me ha fatto il suo tempo.....nella prima Direzione eletta al Consiglio Nazionale del '45, io [sono] stato pressoché il solo a battersi risolutamente per la partecipazione dei socialisti agli organismi di massa, per la creazione di cellule di fabbrica, per la suddivisione delle mastodontiche Sezioni cittadine del Partito. .. I miei propositi erano: a) per quanto riguarda la politica unitaria... ho considerato un'illusione che si potesse fare un'organica divisione del lavoro con i compagni comunisti, nel senso di lasciare ad essi quasi l'esclusiva della classe, operaia, riservando l'influenza. del Partito socialista. a quegli strati di lavoratori che si dimostrano più tetragoni all'influenza comunista, perché ritengo che il giorno in cui il nostro Partito perdesse anche quel residuo di influenza che ha nella classe operaia e vedesse diminuire fortemente la percentuale di operai fra i suoi, iscritti, finirebbe con lo scivolare su un terreno non classista e non unitario; b) per quel che riguarda la prospettiva di unificazione futura, ritengo che sia molto difficile una unificazione con seria probabilità di riuscita fra elementi eterogenei, e perciò ho. sempre creduto che, trascurando di migliorare all'interno i quadri e la base del Partito per fame veramente “un partito nuovo”, si rendeva sempre più difficile l'unificazione organica...(...)..Per quel che mi riguarda, io sono sempre pronto a darti. la massima collaborazione, ma credo che un mio ritiro dalla Direzione giovi a render più facile una distensione...Resta il contributo personale che si può dare nel posto di lavoro che ci è assegnato. Ma l'esperienza mi ha dimostrato che, mentre la Direzione mi assegnava un incarico di lavoro (Ufficio ideologico e culturale), mi metteva nelle condizioni di non concretare nulla di serio. ....In circostanze diverse dalle attuali, probabilmente io avrei portato tutto questo alla discussione pubblica del Partito. Ma sono troppe le considerazioni che oggi dissuadono 104 dal farlo chiunque abbia senso di responsabilità..... Perciò pur non approvando gli attuali metodi della Direzione del Partito, non ho alcuna intenzione di presentare mozioni né comunque di organizzare lotte per modificare questa situazione, e ritengo che il contributo migliore ch'io possa dare sia quello di abbandonare il mio posto nella Direzione, perché credo che il mio allontanamento dai posti centrali servirebbe ad allontanare molti sospetti dei compagni che mi attribuiscono sempre le più tenebrose intenzioni, e probabilmente aprirebbe la via ad una distensione. D'altra parte il contributo come militante di base, come pubblicista, come propagandista, come avvocato continuerò a darlo, e quegli altri insieme che il Partito mi chiedesse, salvo uno: la rivista Quarto Stato, di cui ho deciso la sospensione per la fine dell'anno, anche per allontanare i sospetti che dietro la rivista vi possa essere lavoro di tendenza ….. S'intende che se tu riuscissi a modificare l'atmosfera attuale, tu puoi contare in qualunque momento sulla mia collaborazione, a meno che tu non creda utile un'altra soluzione, che io considererei più logica e che risolverebbe probabilmente in tronco questa situazione. La soluzione è questa: se tutte le premesse che io ho posto in principio sono errate, e se il Partito socialista è ormai definitivamente fissato in una posizione di stanca retroguardia, siamo parecchi compagni che non ci sentiamo una particolare inclinazione per questo ruolo e che preferiremmo chiedere di essere iscritti al partito comunista, beninteso come militanti di base. lo mi rendo conto che questo fatto potrebbe avere degli spiacevoli riflessi nel Partito, e so d'altra parte che quando ci si iscrive ad un partito si contrae un vincolo verso i compagni che non si può poi spezzare in qualunque momento ed a proprio esclusivo arbitrio... Ad ogni modo ci tengo a riconfermarti che in nessun caso è mia intenzione aprire nel partito un nuovo capitolo di lotte, e che so essere un disciplinato militante di base.» “Alternativa” Basso dopo il 1956 era indebolito da anni di isolamento; pur forte intellettualmente non era in grado di rivaleggiare con gli autonomisti né poteva contare sulla compattezza dei morandiani.

105 In occasione del 33. Congresso, svoltosi a Napoli nel 1959, costituisce la corrente “Alternativa”, che al 35. Congresso (1963) si presenta con la Sinistra. Ottiene i seguenti voti: Congresso 1959 : 40.933 su 468.671 pari all’8,73% Congresso 1961 : 33.678 su 489.331 pari al 6.88% “Bassiani” eletti nel Comitato Centrale dal 1959 al 1963: Giuseppe Avolio nel 33, 34e 35 congresso Renzo Pigni nel 33, 34 e 35 congresso Ivano Curti nel 33 e 34 congresso Valdo Magnani nel 33 congresso Anna Matera nel 33 e 34 congresso Alceo Negri nel 33 congresso Silvano Verzelli nel 33, 34 e 35 congresso Elio Giovannini nel 33, 34 e 35 congresso Altri “bassiani”: Amerigo Bottai (1917-1990; Cesare Bensi (1922-1986); L. Ladaga (1924-20001); Gianni Bosio (1925-1979); L. Matteucci (1894- 1957) ; Luigi Anderlini (1921-2001 ); Alberto Mario Cirese (1921- 2011); Laura Conti (1921 – 1993) “Problemi del socialismo” La rivista è fondata da Basso a Milano nel 1958 ed ebbe una durata di 27 anni fino al 1991 (con l’eccezione del 1964 e 1975) articolata in varie serie; nel 1964 entra nel nuovo PSIUP e pubblica la seconda serie del trimestrale; la quarta serie si sviluppa dal 1976 al 1983 e l’ultima dal 1984 al 1991. Dal 1993 cambia titolo in “Parolechiave. Nuova serie di Problemi del socialismo”. Altre iniziative editoriali sono la “Revue internationale du socialisme» / «International socialist journal» (1964-1967) e “Il Filo rosso del movimento operaio” (1967-1981). Fondazione Lelio e Lisli Basso 190 Nasce a Roma nel 1973 dalla fusione della biblioteca personale di Lelio Basso con l'Istituto per lo studio della società contemporanea (Issoco), creato nella seconda metà degli anni sessanta con l'obiettivo

190 www.fondazionebasso.it 106 di arricchire il quadro culturale di una sinistra incalzata dai problemi delle società definite all'epoca "industriali avanzate". Diamo l’elenco dei componenti del Comitato scientifico: Direttore scientifico: Giacomo Marramao; Condirettori scientifici: Luigi Ferrajoli, Mariuccia Salvati; Consiglieri: Angiolina Arru, Francesca Brezzi, Giuseppe Bronzini, Giampaolo Calchi Novati, Luciano Canfora, Pietro Clemente, Carlo Donolo, Ester Fano, Franco Ippolito, Massimo Loche, Mario Manieri Elia, Mauro Palma, Claudio Pavone, Laura Pennacchi, Enrico Pugliese, Pietro Rescigno, Eligio Resta, Edoardo Reviglio, Barbara Terenzi Calamai; Segretario del Comitato scientifico: Giancarlo Monina

Riccardo Lombardi e i “lombardiani” Animato da un’etica della responsabilità di stampo weberiano- azionista, Riccardo Lombardi per il suo stile politico fu oggetto di critiche (snobismo culturale, tecnocratismo) da chi riteneva la politica luogo di forza e scaltrezza, ma se l’essere quasi sempre schierato su posizioni di minoranza gli impedì di conseguire risultati in termini di potere, non ne inficiò l’influenza politico-culturale sia nel Partito in cui militava che nella sinistra in generale. Il termine “lombardiano” non gli piaceva, ma il seguito che ebbe per un trentennio nelle fila socialiste giustifica una ricerca specifica. Analizzarne la diffusione a livello locale è un obbiettivo che esula da questo studio che, anche per la mole di ricerche che comporterebbe, si limita a una ricognizione storica condotta sul piano nazionale.

1. Riccardo Lombardi nella storia della sinistra italiana Anzitutto una ricerca sulla “corrente” non può non partire dalla figura di Riccardo Lombardi, personalità assai complessa, che ha

107 conosciuto varie fasi (la sinistra “migliolina191” del Partito Popolare, la collabora-zione con nuclei clandestini comunisti, il Partito d'Azione, il Partito socialista) conservando però nella sua lunga carriera una coerenza e un rigore che ne fanno un personaggio assai raro sulla scena politica italiana. “E’ noto a tutti il fascino che Lombardi esercitava su quanti avessero l’occasione di ascoltarlo: un fascino dovuto a motivi diversi tra loro, anche se non immediatamente comprensibili: la statura fisica e morale, il portamento dinoccolato, l’eloquio scabro e suggestivo come i lineamenti del suo profilo finivano comunque per colpire anche personaggi distantissimi dalle sue idee politiche …” 192. L’oratoria di Riccardo incideva le idee in testa all’ascoltatore a colpi di scalpello: "Senza essere un marxista di schietta osservanza - e non lo dissimulò mai, Riccardo Lombardi faceva degli interventi caratterizzati da una forte intelaiatura economicistica, tanto da dimenticare alle volte lo scopo politico che si proponeva per correre dietro a un dato o una teoria economica che lo avevano affascinato."193 “Per Riccardo Lombardi il bisogno di fare politica attiva era caratteriale e assorbente. Egli poteva teorizzare (e teorizzava) che la

191 Guido Miglioli (Cremona 1879-Milano 1954) fu un organizzatore di sindacati contadini cattolici, nel 1919 aderì al Partito Popolare di Don Sturzo da cui fu espulso nel 1924. Emigra clandestinamente nel ’26 in Svizzera; nel 1929 soggiorna in URSS, lodando l’esperienza della collettivizzazione delle campagne e poi in Francia, dove è arrestato nel 1940. Riportato in Italia, fu confinato. Nel dopoguerra appoggiò il Fronte Popolare. F. Leonori La figura e l'opera di Guido Miglioli, Roma 1979 (Atti di un Convegno); M.Felizietti, Guido Miglioli testimone di pace (1912- 1954), Roma 1999

192 Testimonianza di G. Scirocco in Riccardo Lombardi. Lettere e documenti (1943-1947), Lacaita, Manduria 1998

193 P. Vittorelli, L’età della speranza. Testimonianze e ricordi del Partito d’Azione, Firenze, 1998 108 rivoluzione russa contava non per i suoi risultati ma perché era stata un grande evento liberatorio. Egli ebbe sempre una visione attiva e non solo di sistema, non solo di garanzia, della democrazia. Queste sue idee lo ponevano all'estremo opposto dello stalinismo: Ma egli aveva un bisogno pragmatico di fare, di muoversi, di essere presente e non riusciva quindi a sottrarsi alla quotidianità della vita politica. Questo impulso lo portò nel gruppo dirigente socialista , sempre con grande dignità e distinguendosi dalle diffuse volgarità. Come dirigente socialista egli fu mandato al movimento mondiale per la pace, che era una proiezione della politica sovietica. Quel dato caratteriale spiega perchè negli ultimi anni della sua vita, nonostante il profondo disgusto per il mondo che lo circondava ( e in primo luogo per la sua corrente “lombardiana”) Lombardi non ha fatto l'unica cosa ragionevole che doveva fare, quella di ritirarsi. Io glielo dissi più volte ed egli mi rispondeva “è troppo tardi” e non gli riusciva di sottrarsi alla routine della presenza”194 “Durante la difficile, tesa, ostica campagna elettorale [del 1968] mi capitò più volte, come poi nel 1972, di condurre in auto Riccardo Lombardi da un centro all'altro della provincia per incontri e comizi. Devo dire che nel. privato la sua compagnia era delle più godibili. Narrava volentieri, in chiave ironica o grottesca, ancora con l'accento siciliano ben riconoscibile e con gli occhi ridenti, episodi lontani e vicini della politica, della vita di partito. … Era pronto per salire sul palco, in piazza o in teatro [senza] bada[re] al numero degli astanti. Il suo discorso, tutto a braccio, senza nemmeno un appunto, sarebbe stato comunque «importante», ricco di sottolineature, argute e taglienti, denso di significati e anche di cifre. L'economia era uno dei suoi generi prediletti. Gli piacevano i grandi scenari planetari. Se vedeva seduti davanti a sé … soprattutto giovani, allora si lasciava volentieri andare all'affresco ampio e complesso ... Si poteva anche non concordare fino in fondo con lui non é indubbio che la suggestione di quella costruzione politica, nutrita di buone letture, di raffronti internazionali, risultava sempre grandissima. Era letteralmente impossibile contenere la sua

194 V.Foa Il cavallo e la torre, Torino, 1991, pag. 203-4 109 passione politica, rimasta intatta dopo mezzo secolo ormai di partecipazione e di presenza. Il suo funerale laico in Largo Augusto Imperatore fu forse l'ultimo funerale di un socialista che non si era mai posto il problema di «piacere», che era passato nelle istituzioni senza diventare uomo di potere e che tuttavia non voleva essere il «maestro» di nessuno pur amando stare fra giovani e giovanissimi.”195 In rapporto al PCI, rifuggiva dallo schema comunista-anticomunista: "si autodefiniva a-comunista, intendendo con questo termine sottolineare la sua estraneità culturale al comunismo, senza che questo significasse una preclusione di principio ad una collaborazione con il PCI. Insieme ai comunisti ha lottato nei primi anni della battaglia antifascista; con il PCI penserà di realizzare negli anni Settanta la politica di alternativa di sinistra, nel momento in cui riterrà matura la preparazione di una piattaforma comune di riforme strutturali"196 Più che il Parlamento e le sedi ufficiali del partito, predilesse come luogo di confronto il vasto e variegato arcipelago della sinistra, intervenendo a convegni, dibattiti, assemblee promosse da associazioni e movimenti sui temi dello sviluppo economico, dei diritti civili, delle libertà democratiche e della politica internazionale. Per le sue posizioni, spesso fuori dagli schemi e comunque mai condizionate dalle convenienze e dalle compatibilità del momento politico, venne rappresentato come "socialista inquieto" e "coscienza critica della sinistra". Questo suo modo di essere ne fece uno dei politici più ricettivi delle istanze di rinnovamento avanzate, sul finire degli anni Sessanta, dai movimenti degli studenti e dei lavoratori e dal cosiddetto dissenso cattolico. La necessità di rompere un equilibrio politico basato sull'asse tra i due maggiori partiti, la DC e il PCI, con i socialisti destinati a svolgere un ruolo ininfluente, indusse Lombardi a favorire nel 1976 l'avvento alla segreteria del PSI di . Ben presto tuttavia,

195 V. Erniliani, Benedetti maledetti socialisti Milano, 2001, p.144-147

196 S.Colarizi, cit. p. 342 110 allorché fu chiaro che la politica di riscatto autonomista del partito non era finalizzata alla costruzione dell'alternativa bensì alla ripresa della collaborazione con la DC, entrò in aperto contrasto con Craxi. I suoi ultimi mesi prima della morte, nel settembre 1984, furono segnati dall'amarezza per essere la "sinistra lombardiana" ormai divenuta organica alla maggioranza craxiana e dalla preoccupazione per l'acuirsi dello scontro a sinistra. Su di lui esiste una biografia politica di Miriam Mafai, stimolante ma lacunosa e che si ferma al 1964 (riedita nel 2009 non aggiornata); vi sono i contributi in suo onore contenuti nel volume “Per una società diversamente ricca” e una serie di studi specifici su vari aspetti della sua attività197 ma manca una biografia complessiva ed esaustiva.

197 S. Colarizi, in “Il Parlamento italiano”, vol.18, Milano 1991, p. 331- 51; G. Scirocco, in “Dizionario biografico degli italiani”; Riccardo Lombardi e "Il Ponte", "Il Ponte", 2010 n. 3; “Convegno nel 25. anniversario della sua morte” Torino, 7 novembre 2009; L. Buferale “Riccardo Lombardi e il centro sinistra”, tesi di laurea, relat. M.Salvati, Università di Bologna, a.a. 2007/8; Id., Lombardi e Giorgio Agosti, il centrosinistra e la nazionalizzazione dell'energia elettrica, “Annali della Fondazione Ugo La Malfa”, 2010; C. Patrignani “Lombardi e il fenicottero” Roma, 2009; Id., I nipoti di Proudhon, “Left”, 7 aprile 2006; A. Ricciardi, G. Scirocco “Per una società diversamente ricca”. Scritti in onore di R. L., Roma 2004 ; “Riccardo Lombardi : le riforme, la sua politica” convegno, Roma, 18.9. 2004, ediz. Mondo Operaio; E. Papa, L' idea di partito in Riccardo Lombardi, “Nuova antologia”, aprile-giugno 2003; N. Nesi Riccardo Lombardi e il centrosinistra, intervista di A. Ricciardi, “Il Ponte”, dic.2001; E. Capannelli “L’archivio Riccardo Lombardi della Fondazione di studi storici ”, 1998; A. Ragusa “Riccardo Lombardi : lettere e documenti, 1943-47 : dalle carte della Fondazione studi storici Filippo Turati”, 1998; F. Sparacino “Il pensiero poli-tico di Riccardo Lombardi, 1948-1964”; relatore F. Livorsi, tesi laurea, Un. Torino, 1993; B. Becchi Riccardo Lombardi, l'ingegnere del socialismo italiano, Quaderni del Circolo Rosselli, 1993; A. Banfi “Autonomia e alter-nativa : la sinistra di Riccardo Lombardi”, Milano, 1989; S. Caretti , Per Riccardo Lombardi, Quaderni del Circolo Rosselli, 1989; P. Piovani “Ric-cardo Lombardi tra storia e attualità” Convegno, Brescia 1987; “Riccardo Lombardi, il socialismo della ragione “ Convegno, Alessandria, 1986; 111 Nato a Regalbuto (Enna) nel 1901 da un ufficiale dei carabinieri, nel 1919 si trasferì a Milano dove nel 1922 si laureò in ingegneria industriale al Politecnico. Insieme al fratello Ruggero aderì al Partito popolare italiano (PPI) collocandosi nella corrente di sinistra capeggiata da Guido Miglioli198 ma negli anni '20 maturò il distacco dalla cultura cattolica avvicinandosi al marxismo. Dopo aver preso parte ad alcune azioni degli Arditi del popolo, iniziò a collaborare con l'organizzazione clandestina comunista (dove conobbe Ena Viatto che diventerà sua moglie), continuando a svolgere la professione di ingegnere. Nell'agosto 1930, mentre era impegnato nella diffusione di volantini, fu arrestato e la milizia lo percosse procurandogli problemi di salute permanenti. Negli anni Trenta, sottoposto a sorveglianza, si dedicò alla professione e allo studio dell'economia, approfondendo in particolare le analisi di Keynes e di Schumpeter. L'esperienza del New Deal e le teorie sul sistema economico misto furono alla base di un ripensamento critico, che lo avvicinò al socialismo liberale di Carlo Rosselli e al movimento Giustizia e Libertà. Nel luglio 1942 fu tra i fondatori del Partito d'azione rappresentandolo nel Comitato di

F. Fiandrotti , M. Bordon “Speciale della Sinistra socialista torinese per Riccardo Lombardi”, 1985; L. Valiani, In memoria di Riccardo Lombardi, “Nuova Antologia” ott.-dic 1984; Le strade nuove della sinistra : per Riccardo Lombardi “Socialismo oggi” suppl. al n.12/1984; M. Mafai, “Lombardi”, 1976 e 2009; E. Tortoreto “La politica di Riccardo Lombardi dal 1944 al 1949”, Genova, 1972; “L'alternativa socialista”, intervista di C. Vallauri, Cosenza 1976;”Scritti politici”, a cura di S. Colarizi, Venezia 1978 e 1980, 2 vol.; “Lettere e documenti (1943-1947)” dalle carte della Fonda- zione Turati, a c. di A. Ragusa, Manduria, 1998; “Discorsi parlamentari”, a c. di M. Baccianini, Roma 2001, 2 vol.

198 E. Guccione, La collocazione ideologica di Guido Miglioli nel Partito popolare italiano, “ Annali della Biblioteca statale e Libreria civica di Cremona”, 1985; F. Leonori, “La figura e l'opera di Guido Miglioli : 1879- 1979”, Atti del Convegno Cremona ottobre 1979; A. Fappani “Guido Miglioli e il movimento contadino”, Roma 1963 112 liberazione nazionale per l'Alta Italia. Il 25 aprile 1945 assunse la carica di prefetto di Milano liberata. Fu quindi nominato ministro dei Trasporti nel primo governo De Gasperi (10 dicembre 1945 - 1luglio 1946), avviando un piano di ricostruzione delle vie di comunicazione stradali e ferroviarie danneggiate dalla guerra. Le responsabilità di governo non lo distolsero dal dibattito interno al Pd'A, che si divideva tra le correnti liberale e socialista. Al congresso di Roma (4-8 febbraio 1946) Lombardi, che si collocava in una posizione intermedia, fu chiamato con Tristano Codignola ad affiancare Ferdinando Schiavetti nella segreteria del partito. Le elezioni del 2 giugno, in cui fu eletto all'Assemblea costituente nel collegio unico nazionale, rivelarono lo scarso radicamento del Pd'A e ne fecero precipitare la crisi. Eletto segretario unico, si trovò a gestire l'inesorabile declino del partito, che portò al suo scioglimento nel giugno 1947. A quel punto con Vittorio Foa, e altri decise di aderire al Partito socialista italiano (PSI). Tra la fine del 1946 e il 1947, anche in seguito alla scissione di Palazzo Barberini, nel PSI e nelle organizzazioni di massa (Lega delle cooperative, CGIL) la leadership riformista fu emarginata, le tematiche programmatiche furono sovrastate dalle questioni di carattere politico e ideologico (equilibri governativi, rapporti con il PCI). Del progetto di costruzione dello Stato sociale e democratico sancito dal programma dell'ottobre 1945 si persero le tracce. Al 26. congresso (Roma, gennaio 1948) venne approvato il Fronte Popolare con un'unica lista che alle elezioni del 18 aprile 1948 è sconfitta, con la perdita per il PSI di due terzi dei seggi.

2. “Riscossa socialista”: un embrione della corrente lombardiana Convocato il congresso straordinario a Genova dal 27 giugno al 1° luglio,199 furono presentate tre liste: la "Sinistra" (Nenni, Morandi, ecc.), per la riconferma della politica unitaria, cui si contrapponeva "Per il socialismo" di Romita, con la posizione intermedia di

199 P. Amato, Il PSI tra frontismo ed autonomia, Cosenza, 1978. L.Basso, Il PSI negli anni del frontismo, “Mondo Operaio”, 1977, n.7/8 113 "Riscossa", favorevole al mantenimento del Patto d'unità d'azione ma non al Fronte. Massimi esponenti erano, oltre a e Fernando Santi,200 due "azionisti" da poco confluiti nel PSI: Riccardo Lombardi e Vittorio Foa. "Riscossa socialista" ottenne il 42%, la Sinistra il 31% e Romita il 26%. Gli sconfitti si autoesclusero dalla direzione e lasciarono ai vincitori l'ingrato compito di guidare il partito da soli.201 Avendo defezionato Pertini, nel timore che una caratterizzazione del PSI in senso anticomunista compromettesse l'unità di classe, ed essen-do Riccardo Lombardi entrato nel PSI da pochi mesi, fu eletto segre-tario Alberto Jacometti202, poco noto alla base del partito. La nuova Direzione intese subito riallacciarsi al solco della tradizione socialista con prese di posizione per quel tempo eterodosse: l'«Avan-ti!» sottolineò che “alla lotta di potenza fra gli Stati contrapponiamo la lotta fra le classi ed a quest'ultima, e non alla prima, affidiamo il compito di portare avanti la civiltà, cioè la libertà, cioè il socialismo. Il compito della classe operaia e delle classi lavoratrici non può esaurirsi nello Stato; il socialismo non è una dottrina statolatra; è al contrario, nei suoi motivi più profondi e originali, dottrina libertaria. Esso mira alla distruzione dello Stato, come organizzazione degli interessi di classe, e non al suo

200 Parma, 1902-1969, sindacalista. Fernando Santi e il ruolo del sindacato nella democrazia italiana: seminario di studi CGIL Roma, 1980; F. Persio Fernando Santi : l'uomo, il sindacalista, il politico, Roma, 2005 ; R. Spocci Fernando Santi : un uomo, un'idea, Parma, 2002

201 La Direzione era composta da: Adinolfi, Barbano, Borghese, Carli- Ballola, Dugoni, Fabbricotti, Fiorentino, Foa, Lombroso, Lupis, Manno, Matteotti , Nitti, Pellanca, Perrotti, Pieraccini, Pierantoni e Santi, Jacometti e Lombardi.

202 R.Fiammetti Alberto Jacometti dal primo dopoguerra alla stagione del centrosinistra : la vita e l'impegno politico “Il Politico”, 4, 1991 114 consolidamento»203. Rifiutò anche la rottura dell'unità d'azione col PCI chiesta dal Comisco che finì per espellere il PSI204 Il periodo della Segreteria di “Riscossa” è uno dei momenti della storia del PSI che meno sono stati oggetto di studi. È probabile che il suo carattere transitorio abbia legittimato gli storici a considerarla come una parentesi della lunga leadership di 205, ma proprio la segreteria di “Riscossa”, anche con il contributo di Lombardi, imposta alcuni temi che saranno ripresi anni dopo: apertura al mondo cattolico, autonomia della classe lavoratrice (e del Partito) dai blocchi, neutralismo. Importante sul piano storiografico e dottrinario è la sua polemica con Rodolfo Morandi all’inizio del 1949: mentre Lombardi sosteneva uno sganciamento dalle contrapposizioni di blocchi per accentuare l’elemento di iniziativa popolare nell’ambito nazionale, Morandi trova la giustificazione dell’esistenza del PSI nella sua tradizio-nale funzione storica come erede dei valori e della funzione progressiva svolta dal movimento operaio e democratico dal 1890 in poi.206 Il prestigio e la notorietà della dirigenza di “Riscossa” non erano sufficienti per imporre la propria autorità, soprattutto Lombardi, ex azionista, era appena arrivato e si trovava esposto alle critiche di debolezza ideologica o inesperienza pratica. Cercando di

203 Classe e stato, "Avanti!", 7.10.1948

204 Il Comisco era l’organismo che raggruppava i partiti socialisti occidentali. P. Sebastiani, Laburisti inglesi e socialisti italiani. Dalla ricostituzione del PSIUP alla scissione di palazzo Barberini, Quaderni della FIAP; D. Ardia, Il Partito socialista e il Patto Atlantico, Milano, 1976., p. 209-219.

205 E. Santarelli cit., p. 304.; G.Muzzi “Elezioni ’48-Congresso ’49: la politica del PSI”, “Città e regione”, n.11 e 12 1977; anche P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943-1956, Milano, 1981, p. 458

206 La polemica si svolse su “La Squilla”, organo della Federazione bolognese del PSI e sull’ “Avanti!” nel dicembre 1948-gennaio 1949, ed è ora in R. Morandi “II Partito e la Classe”, Torino, 1958 115 destreggiarsi in una posizione mediana consumò le proprie energie e, sottoposta alla pressione concentrica delle correnti, si trovò ben presto in difficoltà. L’unica possibilità sarebbe stata un’alleanza con la destra di Romita, i numeri c'erano ma la convergenza si arenò di fronte all'inclinazione di Lombardi verso l'opposizione politica alla DC e all'irrigidimento ideologico di Romita207. Scoperta a destra, la direzione si trovò esposta all'attacco della Sinistra, in cui confluivano vari filoni temporaneamente coalizzati nella lotta contro il duo Jacometti-Lombardi, sicché fu indetto per l’11-15 maggio il 28° Congresso a Firenze. La mozione ”Per il partito e per la classe” (ex “Riscossa”) fu firmata da Lombardi, Santi, Jacometti, Pieraccini, Mariotti, Petronio, Fortini, Sebastiano Timpanaro e riteneva fondamentale non «precipitare nella socialdemocrazia o confondersi nel comunismo». Il PSI doveva indicare le linee di una politica meridionalista sulla traccia di Dorso e Gramsci e lottare per le riforme di struttura, contrapponendo l’alterna-tiva socialista all’ inerzia DC. Il «controllo degli investimenti e la nazionalizzazione della industria elettrica» erano i problemi più urgenti: tipici temi di Riccardo Lombardi. Il PSI in meno di un anno aveva perso il 20% degli iscritti, con uno spostamento a sinistra di 60.000 voti, non sufficientea garantire la vittoria alla mozione di Nenni, Morandi e Basso e con risultati delle votazioni contestati. Lombardi, forse per stanchezza e sfiducia, rinunciò ad aprire un fronte polemico e non chiese un nuovo conteggio. La “Sinistra” conquistò la maggioranza ed elesse Nenni segretario e Pertini direttore dell’«Avanti!».

3. Dieci anni dopo: la prima corrente lombardiana (1959/63)

207 Il socialdemocratico Giuseppe Faravelli confidava ad Angelo Tasca che il «centrismo» socialista aveva dato prova di «inconsistenza, opportunismo e viltà» per non aver rigettato l’intesa socialcomunista. Masini-S.Merli, Il socialismo al bivio. L'archivio di Giuseppe Faravelli 1945-1950, Milano, Annali Fondazione Feltrinelli, 1990, p. 344. 116 Lombardi dopo il 1949 continuò a militare nel PSI ritagliandosi uno spazio che gli consentì di svolgere delle attività in seconda linea senza autoemarginarsi. Nel 1956, in seguito all'intervento sovietico in Ungheria, si dimise dai Partigiani della pace e tornò a svolgere un ruolo di primo piano e, come responsabile economico dal 1956 al 1964, fu l'ispiratore della politica con cui il PSI si proponeva di "operare dentro la società capitalistica per modificarne gli equilibri di potere e di reddito a favore delle classi lavoratrici". Prospettiva che faceva affidamento sulla positiva congiuntura economica e sul prevalere nella DC di un orientamento favorevole all'intervento pubblico in economia. Dopo la vittoria degli autonomisti al 33. Congresso (Napoli, 1959) divenne il punto di attrazione di nuove forze intellettuali: si costituisce attorno a lui un nucleo per definire un programma rigoroso da proporre alla DC come condizione imprescindibile ad evitare quella deriva di sottogoverno che aveva caratterizzato il partito di Saragat e che Nenni sembrava disposto ad avvallare pur di andare al governo Il nucleo, non ancora una corrente, di intellettuali desiderosi di operative concretezze: economisti, urbanisti, giuristi tra i “politici” comprendeva socialisti (Fernando Santi, Luigi Anderlini …), ex azionisti entrati con l’Unione Popolare di Ferruccio Parri (Tristano Codignola …), ex comunisti come Antonio Giolitti. Comincia a formarsi in una parte della sinistra la nozione di «cultura di governo»208 e il dialogo si allarga, con comune linguaggio, al settore di cattolici da cui era uscito il piano Vanoni, a cominciare da Pasquale Saraceno. Si trattava di un luogo di idee con valenza operativa, che non si accompagnava a iscrizione a partito o corrente ma si limitava ad attiva simpatia per lo sforzo che Lombardi e Giolitti stavano avviando e che pareva chiedere una partecipazione intellettuale, a motivazione etico-politica, per la costruzione di un progetto riformatore. Questo riformismo economico prese una inclinazione illuministica, dall'alto, inabile a far blocco con interessi

208 C. Pinto, Il riformismo possibile. La grande stagione delle riforme: utopie, speranze, realtå, 1945-1964, Soveria Mannelli, 2008, pp. 157-205 117 diffusi, eccentrica rispetto alla cultura popolare corrente e quindi improdutti-va di consenso immediato. Lombardi elaborò un programma di riforme - tra cui la nazionalizza- zione dell'energia elettrica e una legge urbanistica - che avrebbero dovuto distogliere il capitalismo italiano dalle posizioni di rendita e orientarlo verso un equilibrato sviluppo. La politica delle riforme di struttura deve trovare il suo perno nella politica di programmazione democratica che modifichi i rapporti di classe e i rapporti di potere, che incida realmente sul sistema dell’accumulazione privata.Tale programma costituì la piattaforma del confronto con la DC, il PSDI e il PRI che portò, il 21 febbraio 1962, alla formazione del primo governo di centrosinistra, presieduto da Fanfani. I socialisti, pur non partecipando con propri ministri, espressero il loro sostegno attraverso una benevola astensione sul voto di fiducia. Il 1° agosto 1962 tenne alla Camera uno dei suoi più importanti discorsi per esporre le ragioni tecniche, economiche e politiche che rendevano necessaria la nazionalizzazione dell'energia elettrica. Dopo la realizzazione di questa nel novembre 1962, alla vigilia delle elezioni politiche del 28 aprile 1963, la segreteria nazionale della DC sconfessò il progetto di legge urbanistica di Fiorentino Sullo. Questo fu un chiaro segno del venire meno dello slancio riformatore del centrosinistra. Nel pensiero di Lombardi non c'é nulla del riformismo accomodante e praticone di gran parte della corrente autonomista, né dell'ideologismo, sostanzialmente ostile ad una cultura (e a una pratica) di governo, proprio della sinistra socialista (e anche del PCI). Ritenendo che non ci fossero più le condizioni per l'impegno dei socialisti, Lombardi ruppe l'intesa con Nenni e passò all'opposizione sia al governo che nel partito. Il 17 giugno 1963, nel comitato centrale del PSI, Nenni fu messo in minoranza da uno schieramento che comprendeva anche la Sinistra di Valori e Vecchietti, tanto che fu impossibile riprendere subito l'esperienza di centrosinistra e fu varato un monocolore democristiano presieduto da Leone (21 giugno - 4 dicembre 1963). 118 Nella “notte di S.Gregorio” (luglio 1963) Lombardi rifiuta l'accordo al ribasso raggiunto da Nenni con la D.C e gli “autonomisti” perdono la maggioranza nel Comitato Centrale. I lombardiani diventano l'ago della bilancia ma Lombardi, che non è uomo di potere, non gioca questa carta e riallaccia con Nenni al 35. Congresso (Roma, 25-29 ottobre 1963). Si va verso la scissione nel gennaio del seguente anno e la conseguente marginalizzazione di Lombardi come ala sinistra

4. Dalla prova di governo (gennaio-luglio 1964) all'opposizione nel PSI (1964-66) Dalla nuova scissione del PSI nacque il PSIUP209, che fu un aggregato di tendenze diverse. Il nucleo di attivisti costruito da Morandi in funzione organizzativa si divise fra quelli che seguirono Nenni nel suo nuovo corso e quelli che riaffermarono lo stretto rapporto coi comunisti. Si trattava di una replica speculare alla scelta di Nenni: si opponeva la scelta comunista a quella democristiana. Quello che mancava era una scelta socialista.“Dopo la scissione del PSIUP, il PSI [ha] subito lo stesso processo di trasformazione del PSDI: sono diminuiti gli iscritti appartenenti alla classe operaia; sono aumentati quelli appartenenti ai ceti medi.. Senza decine di miglia di attivisti, senza una forte e organizzata presenza nel sindacato e nella cooperazione di tradizione socialista, è impensabile che il nuovo partito possa sviluppare una efficace concorrenza elettorale al PCI. Infine non dispone né di un grande quotidiano nazionale, né di una casa editrice, né di una gamma di riviste specializzate, mentre il PCI dispone di tutti questi strumenti” 210 Lombardi non entrò nel governo e al Ministero del Bilancio, cui pareva destinato avendo preparato il programma economico del PSI, andò Giolitti, tre erano i sottosegretari della corrente: Luigi

209 Partito Socialista di Unità Proletaria: ebbe un ruolo nelle lotte operaie e studentesche del ‘68, sciogliendosi dopo la sconfitta elettorale del 1972.

210 G.Galli “Il bipartitismo imperfetto”, Bologna, 1966, pag. 382-385 119 Anderlini211 al Tesoro, Arialdo Banfi agli Esteri e Simone Garto al Lavoro. Dalle colonne dell'Avanti!, che diresse da gennaio a luglio del 1964, e nei suoi interventi nel dibattito politico, condusse una tenace battaglia di minoranza per costruire l'alternativa di governo alla DC. Il 3-4 luglio 1964 ebbe luogo un Comitato centrale drammatico, Nenni parlò in maniera vaga di pericoli della destra: era l'epoca del Piano Solo di De Lorenzo212, di cui si venne a conoscenza solo più tardi. Al 36. Congresso (Roma, 10-14 novembre 1965) la mozione Nenni - De Martino ottiene 346 mila voti e 80 seggi, la mozione Giolitti Lombardi 81 mila voti e 20 seggi. La via dell’unificazione è imboccata: si forma un'ampia maggioranza sulla base di una “carta”, proprio alla vigilia di un vasto movimento collettivo politico e culturale che tale concezione mette in discussione, sotto il profilo sia di un rilancio del marxismo, sia della presa di coscienza – tramite il femminismo, l’ecologismo ecc. - delle implicazioni negative della razionalità occidentale. La Società editrice Avanti! aveva perso in occasione della scissione del PSIUP le collane ideate e dirette da Gianni Bosio213.

5. All'opposizione nel PSU (1966-69): fuoruscite a sinistra (MSA, sinistra indipendente) e a destra (Giolitti)

211 Diamo alcuni estratti dell’intervista a Luigi Anderlini in “Il Ponte”: [ai primi del 1964 la corrente lombardiana] “Nei fatti già esisteva. Nasce più o meno ufficialmente la notte di San Gregorio, ma già, di fatto, esisteva. Si trattava di un gruppo di personalità che si rifacevano a Riccardo Lombardi, che collaboravano con lui, che tenevano anche riunioni abbastanza frequenti per decidere su alcune questioni. Teniamo conto che noi rappresentavamo la frontiera del governo ed eravamo forse nelle condizioni di poter chiedere molto perché Nenni, evidentemente, non poteva fare a meno di noi; i democristiani vedevano messa a rischio l'operazione di centrosinistra se noi avessimo assunto atteggiamenti più di rottura.. La vita del governo fä piuttosto travagliata: noi scalpitavamo e per questo ci fu anche chi cominciava a chiamarci «sottosegretari ribelli», sottosegretari che tendevano a spingere le cose quanto più i a sinistra possibile. 120 Il 37. Congresso (Roma, ottobre 1966) approva la fusione con il PSDI. Una parte dei lombardiani rifiuta di aderire e costituisce il Movimento Socialista Autonomo (MSA)214, costituitosi a Roma il 19-20 novembre 1966 e confluito nel PCI in occasione del 13. congresso (Milano, 1972). Prima che ciò avvenga i tre esponenti più importanti, Tullia Carrettoni, Lugi Anderlini215 Simone Gatto, si collegano con Ferruccio Parri e la sua rivista “L' Astrolabio” e

La crisi politica avvenne nel giugno 1964 e fu provocata da Colombo che era ministro del Tesoro. Colombo sollecitö anche la Comunitå economica europea ad assumere una posizione critica verso la politica economica del governo, accusata di lassismo. Questa fu l'occasione per buttare Lombardi fuori dall'»Avanti!s. Mi ricordo di una nota di Carli … Occorreva togliere a Lombardi la direzione dell'”Avanti!» perché ogni mattina, quando i signori della Borsa di Milano lo leggevano, rimanevano talmente impressionati che tutto il sistema si destabilizzava .. Varammo il primo piano quinquennale. Nel governo Fanfani facemmo tre o quattro cose estremamente importanti: la nazionalizzazione dell'energia elettrica, la scuola media dell'obbligo rompemmo il diaframma della quinta elementare, in questo caso fä Pippo [Tristano Codignola] l'artefice della battaglia - la cedolare d'acconto, mentre il governo Moro portò a casa la legge elettorale delle regioni, cioé praticamente la costituzione di fatto degli organismi regionali. Che poi fu rinviata sine die...Si, esattamente; la varò il governo, poi i socialisti se la dovettero ricomprare quattro o cinque volte nel corso di tutto quello che avvenne successivamente. Estromessi dal governo i lombardiani adesso costituiscono una vera e propria corrente, riconosciuta e definita”

212M. Franzinelli, Il Piano Solo. 1 servizi segreti, il centro-sinistra e il «golpe» del 1964, Milano, 2010, p.53-73, 77-162

213 Diventate "Edizioni del gallo". S. Merli, L' altra storia : Bosio, Montaldi e le origini della nuova sinistra, Milano, 1977; P. Mencarelli Genesi e storia di un progetto editoriale: le edizioni Avanti! 1953-1964; M. Scotti Da sinistra Intellettuali, PSI e organizzazione della cultura, Roma, 2011

214 Sul MSA J. Busoni, “Nel tempo del fascismo”, Roma, 1975, p. 52-60 121 costituiscono in parlamento il primo nucleo della “Sinistra indipendente”216. In seguito all’unificazione in tutte le strutture ed a ogni livello la composizione è paritetica (a un ex PSI si affianca un ex PSDI) creando così organi direttivi pletorici. Il PSI sperimentò in quella fase un doppio insuccesso: per la sua debolezza nei governi di centrosinistra e per il fallimento dell'unificazione col partito di Saragat testimoniato dall'esito delle prime elezioni dopo l'unificazione. In vista del 38. Congresso (Roma 23-30 ottobre 1968) si formarono nuove correnti: Autonomia (Nenni, Mancini, Ferri, Preti, Romita) col 37% dei voti, l'unica in cui confluivano entrambe le componenti, precedeva di poco Riscossa, guidata da De Martino, col 34%, comprendente solo militanti del vecchio PSI. Seguivano la corrente ex socialdemocratica e le piccole pattuglie capeggiate da Lombardi (10% dei voti) e Giolitti, che si stacca da Lombardi su una linea meno intransigente con il 5%. La delusione per l'insuccesso elettorale ebbe un ruolo nella nuova scissione che si consumò nel luglio 1969, ma la causa principale stava nel fatto che il PSI, che aveva rifiutato la mezzadria moderata del 1947 e subìto il freno moderato del 1964, rifiutò nel 1969 di essere la fragile ala sinistra del blocco d’ordine. Nenni lasciò allora la guida del partito che fu assunta da Francesco De Martino, la cui linea di «equilibri più avanzati», che tentava di ritagliare un ruolo di cerniera al PSI, fu vanificata dal dialogo diretto che si aprì nel 1973 tra DC e PCI col «compromesso storico». Iniziò negli anni '70 un ricambio generazionale, con l'ingresso a funzioni dirigenti di giovani che non avevano conosciuto la lotta antifascista nè quella partigiana, meno idealisti e più pragmatici, e il PSI con le sue correnti interne iniziarono a entrare, negli enti locali ed

215L. Anderlini, “Caro Luca, “romanzo autobiografico, Roma, 1994; Il Ponte, novembre 2011, numero monografico;

216 G. Scirè “Gli Indipendenti di sinistra : una storia italiana dal sessantotto a tangentopoli”, Roma, 2012 122 economici, in una logica di spartizione. Dopo la sconfitta elettorale alle elezioni politiche del 1968 (meno 5% rispetto alla somma dei due partiti cinque anni prima), la situazione precipita e nel luglio successivo si ha una nuova scissione

6. Nel nuovo PSI: ingressi da MPL e PSIUP (1972-76) Lombardi fu uno dei politici più ricettivi delle istanze di rinnovamento avanzate alla fine degli anni Sessanta dai movimenti degli studenti e dei lavoratori e dal dissenso cattolico. L'8 marzo 1969, dopo che il congresso delle ACLI aveva votato la fine del collateralismo con la DC, fondò con l'ex presidente (dal 1961) Livio Labor l'Associazione di cultura politica (ACPOL), che avrebbe dovuto essere il laboratorio di una nuova forza progressista impegnata per la ristrutturazione della sinistra. Nell'ottobre 1971, per partecipare alle elezioni del 1972, l’ACPOL si sciolse dando luogo al Movimento Politico dei Lavoratori (MPL). Questo movimento, cui aderirono Gennaro Acquaviva e Luigi Covatta, aveva l'obiettivo di rappresentare l'area cattolica del dissenso verso la DC e in questo senso avrebbe dovuto catalizzare i consensi dei cattolici progressisti e di sinistra. Dopo le elezioni in cui il MPL raccolse 120 000 voti e nessun seggio, la gran parte del MPL confluì nel PSI, collocandosi sulle posizioni di Lombardi. Anche il PSIUP esce sconfitto dalle urne e la maggioranza chiede l'ingresso nel PCI ma una minoranza (il 9%), rappresentata da Giuseppe Avolio217, Nicola Corretto218 e Vincenzo Gatto, ritornò nel PSI, mentre un'altra minoranza del 24% con Vittorio Foa e Silvano Miniati ricostituisce il PSIUP poi PDUP. La loro confluenza fu accettata nel novembre 1972 al 39. Congresso a Genova . Al congresso il dibattito è concentrato sul problema della ritorno del partito al governo. Nenni e De Martino sono favorevoli a condizione che la DC escluda il PLI dal governo. Mancini e Lombardi sono contrari e ritengono che il PSI debba condurre la

217 G.Avolio, “L'utopia dell'unità”, Marsilio, 1989

218 N. Corretto,”Un militante socialista di base”, Lacaita 2005 123 battaglia per le grandi riforme dall'opposizione. Alla fine prevale la linea di De Martino che intende ripristinare il centrosinistra A Mancini, che rimane in minoranza alleato coi lombardiani e con un gruppo di demartiniani dissidenti (Bertoldi, Manca), succede De Martino, alleato alla corrente nenniana guidata da Bettino Craxi. Perché il riformismo sia povero di tensioni ideali e di capacità realizzatrici appare chiaro dal discorso congressuale di Lombardi, che vede bene l'inutilità di allearsi coi conservatori per attuare le riforme «Il compagno Nenni ha fatto un'osservazione a mio giudizio giusta. Egli ha detto che nelle ultime elezioni un elemento favorevole, il solo, förse c’é stato, vale a dire la possibilità di due alternative maggioranze parlamentari: una maggioranza di centrodestra, una maggioranza di centrosinistra E dal punto di vista formale non ho nulla da eccepire a questa osservazione. Solo debbo osservare che se sono venute fuori due possibilità alternative di schieramenti di maggioranza le due alternative sono cariche dello stesso contenuto. Non di due alternative dunque si tratta, ma della stessa alternativa di destra, rappresentabile, per la Dc, sia con uno schieramento di centrosinistra, sia con uno schieramento di centrodestra. E su questa realtà sostanziale ... che bisogna fondarsi ... Senza di che noi finiremo per legare le nostre prospettive, le possibilità di opposizione odi governo, agli ammiccamenti, alle disponibilità dei Rumor, dei Moro, dei Donat Cattin odi altri personaggi, e non ci accorgeremo di quanto ciò che dicono o promettono Rumor o Donat Cattin, o Moro o altri personaggi é condizionato, ha radici in una situazione, internazionale e nazionale, che é assai importante esaminare ... Abbiamo già, in questo periodo, una lotta internazionale tra paesi capitalistici ... di proporzioni inaudite, raffrontabili a quella che precedette la grande crisi del 1929-32 ....Negli anni in cui dovremo operare, il nostro paese come gli altri paesi dell'Europa occidentale, saranno di fronte a due alternative: una rimanere nei limiti del sistema {..j cio una politica deflazionistica, di bassi salari, di minori rivendicazioni operaie ...C'è un'altra alternativa per i paesi del mondo occidentale ... una modificazione profonda del loro modello di sviluppo, una conversione, certo molto difficile, della loro 124 produzione oggi orientata verso l'esportazione .. rivolgendola a sopperire bisogni del mercato interno» É esatto che la sola alternativa che la Dc propone é un'alternativa moderata, che può assumere l'aspetto parlamentare di una coalizione di centrodestra (il governo Andreotti-Malagodi dalle elezioni al giugno 1972) oppure di centrosinistra (il governo Rumor col PSI, nel 1973-74). A queste alternative di centrodestra se ne possono contrap-porre due: una riformista, nell'ambito del sistema capitalistico e una di transizione al socialismo. Lombardi, il solo leader del PSI che si riallaccia teoricamente al marxismo critico, insiste nel dire che la prima è illusoria, mentre la seconda é la sola realistica.

7. All’opposizione nel PSI di Craxi (1976-1980) Nel marzo 1976 si svolge a Roma il 40. Congresso all'insegna dell' "alternativa a sinistra con al centro i socialisti". Nenni definisce l'identità socialista con le parole chiave 'giustizia e libertà', si rafforza la componente lombardiana la cui mozione ottiene il 17,8% dei voti passando da 15 a 23 seggi sui 141 del Comitato Centrale (De Martino 42,7% , Mancini 19,8%, Nenni 14%, Bertoldi 5,7%) Le elezioni politiche del giugno 1976 danno un esito deludente al PSI che resta fermo al 9,6% delle elezioni precedenti mentre il PCI, che aumentava di 7 punti, si giovava dello spostamento a sinistra dell’ elettorato (soprattutto giovanile: dal 1975 il diritto di voto si acquisiva a 18 anni e non più a 21). Ciò determina una nuova svolta del PSI: Segretario è eletto l’autono- mista Craxi grazie a un accordo con i lombardiani, (vicesegretario è Claudio Signorile), convinti che potesse riguadagnare al partito i margini di autonomia persi durante la gestione demartiniana, troppo subalterna al Pci, mantenendo però l’impegno a non rientrare al governo senza i comunisti L’accordo, che tagliava fuori i vecchi capicorrente De Martino e Mancini, oltre al carattere «generazionale» con l'ascesa ai vertici dei «quarantenni», significò un rilancio dell' iniziativa socialista, un rinnovato orgoglio di partito mentre il PCI, impegnato in un processo 125 di revisione ideologica, scartata la prospettiva dell'alternativa di sinistra propugnata nel PSI solo da Lombardi, approdava alla formulazione del compromesso storico. Proprio la necessità di rompere un equilibrio politico basato sull'asse preferenziale tra la DC e il PCI, con i socialisti destinati a svolgere un ruolo ininfluente, indusse Lombardi a favorire nel 1976 l'avvento alla segreteria di Craxi ma quando presto fu chiaro che la politica autonomista del partito non era finalizzata alla costruzione dell'alternativa Lombardi entrò in aperto contrasto con Craxi. Al 41. Congresso, che si svolse a Torino nel marzo-aprile 1978 in una clima teso, influenzato dal sequestro di Moro da parte delle Brigate rosse, la sinistra lombardiana si divise. Il gruppo maggioritario guidato dal Cicchitto, De Michelis e Signorile aveva scelto la strada dell'alleanza organica coi craxiani che avevano unificato gli autonomisti e la maggior parte dei demartiniani. Scelsero la strada della minoranza presentando una mozione Michele Achilli, Tristano219 Codignola, l'economista Paolo Leon, il pretore Gianfranco Amendola, l'urbanista Marcello Vittorini. Alle innovazioni civili e sociali del decennio 1970-80 i socialisti dettero un grande contributo: il divorzio, la maternità volontaria, lo Statuto dei lavoratori, la riforma sanitaria rappresentano un avanza- mento civile prodotto della grande agitazione sociale degli anni precedenti. Alla fine degli anni 70 le formazioni di ispirazione socialista e marxista a sinistra dei comunisti erano scomparse; chi aveva creduto nell'attualità di una rivoluzione si era convinto dalla impraticabilità; i partiti di sinistra erano entrati in una fase di incertezza. I comunisti constatavano il fallimento del compromesso storico e tentavano di tornare al passato, a un'ipotetica linea dura, ma la situazione non era più quella, gli operai erano indeboliti e avanzavano ecologisti e femministe, categorie estranee alla tradizione comunista. I socialisti, col loro nuovo segretario Bettino Craxi220,, avevano ritrovato l'orgoglio di una autonoma identità ma non ne avevano

219 P. Bagnoli “Il socialismo di Tristano Codignola”, Milano 2009 126 ancora definito i contenuti. Ma nella seconda metà degli anni settanta si avvertiva che stavano vacillando le stesse categorie analitiche e interpretative. Il PSI si mostrò particolarmente attento ai movimenti sociali e alle battaglie per i diritti civili. In questi anni l'area socialista fornì un contributo culturale importante, con una serie di congressi e con la rivista Mondoperaio, sulla «crisi dei sistemi totalizzanti», nel rilancio di alcuni temi della tradizione liberaldemocratica, nella ripresa delle idee riformiste, con particolare riferimento al socialismo liberale di Carlo Rosselli. Intanto il PSI andava abbandonando ogni pregiudiziale ideologica. Se ancora verso la metà degli anni Settanta alcuni suoi dirigenti (Lombardi, De Martino) sostenevano una politica di alternativa al capitalismo e teorizzavano un possibile passaggio alla società socialista, il PSI degli anni Ottanta ha acquisito una posizione molto più pragmatica, sostenuta con la ripresa di tradizioni socialiste non marxiste e del riformismo e con l'apertura a teorie e temi provenienti da aree culturali di matrice «democratica» (Popper, Rawls). Negli anni Ottanta il PSI si è proclamato partito non dogmatico e «aperto», attento ai grandi movimenti di massa e sensibile alle dinamiche delle società complesse. II 31 dicembre 1979 colla morte di Nenni si chiuse un'epoca del socialismo italiano. L'alleanza tra la corrente autonomista e la "sinistra" finì: Craxi estromise il vice-segretario Signorile, nominando al suo posto Claudio Martelli e e diede vita a una ferrea alleanza con la destra DC. Il PSI si ritrovò incondizionatamente legato all'eterno partito di maggioranza, che pagò il compenso per la fedeltà governativa in termini di potere economico e amministrativo: con meno di un sesto dei consensi il PSI ebbe più di un terzo del potere economico e amministrativo. Ciò incise sulle caratteristiche del partito, apportando modifiche così profonde nel modo stesso di «fare politica», da renderlo completamente diverso da quello che storicamente aveva operato nella società italiana.

220 P.Mieli, La crisi del centrosinistra. L'alternativa e il « nuovo corso» socialista, in G. Sabbatucci, “Storia cit., vol. VI, pp. 147-357 127 Il PSI curò la propria immagine attraverso i mass-media e non disdegnò la politica-spettacolo. Esaurito il tempo della solidarietà nazionale, iniziò una campagna per la «governabilità» del paese, per il quale si richiedevano esecutivi stabili. Gli interventi del segretario assumono toni «decisionisti» (i politici devono curare l'aspetto della responsabilità come e più di quello della rappresentatività); la «grinta» di Craxi diventa fenomeno da imitare. All'inizio degli anni Ottanta, Craxi conquista definitivamente il partito; sarà sempre riconfermato alla segreteria con voto plebiscitario. Inizia la serie dei governi «», che si distinguono dai governi di centrosinistra perché comprendono anche il PLI e, soprattutto, perché si costituiscono per uno stato di necessità perché altre maggioranze non sono possibili. Ciò spiega la continua litigiosità all’interno della compagine ministeriale; PSI e DC, in particolare, appaiono amici-nemici in costante competizione, soprattutto da quando il PSI mira ad occupare una posizione «centrale» nel sistema politico italiano. Nel frattempo il PSI non sconfessa la politica dell'alternativa, che utilizza come strumento di condizionamento della DC e per coprirsi a sinistra; la condiziona però a un ridimensionamento dei rapporti di forza tra i partiti storici della sinistra. Craxi si era posto due obiettivi: allargare lo spazio del PSI, eliminando gli ostacoli di carattere interno ed esterno al partito; aumentare la forza elettorale del PSI mediante la «riconquista» di consensi a sinistra e attraendone di nuovi a destra, in modo da dare una base concreta alla richiesta di maggiore considerazione del ruolo del PSI. Il primo obiettivo fu raggiunto riaffermando il ruolo autonomo del PSI nella politica italiana. Craxi operò la liquidazione di ogni complesso di inferiorità sollecitando l'orgoglio socialista. L'autonomia praticata senza complessi, sia verso il PCI che verso la DC, consentì al PSI di raggiungere risultati politici notevoli, impensabili seguendo i vecchi canoni: la «pari dignità» nei rapporti tra i partiti della maggioranza e l’accesso del PSI alla presidenza del Consiglio.

128 Lombardi fu eletto presidente del partito il 18 gennaio 1980 dopo aver acconsentito a una ricomposizione unitaria, ma il compromesso saltò e già il 13 marzo si dimise da presidente, mentre la maggior parte della "sinistra lombardiana" era ormai divenuta organica alla maggioranza. Nell'agosto 1983 un socialista per la prima volta diventa capo di un governo che resta in carica tre anni e mezzo. Col favore di una congiuntura internazionale positiva si ha un rientro dall'inflazione, ma il debito pubblico continua pericolosamente a crescere. E’ il governo Craxi a firmare il nuovo Concordato con la Chiesa cattolica. In occasione del Congresso di Verona celebrato nel maggio 1984 il Comitato Centrale viene sostituito da un'Assemblea di 400 membri, per un terzo composta da rappresentanti della "società civile". Fu proprio Lombardi ad utilizzare il termine "mutazione genetica" a proposito della trasformazione craxiana del Partito ed a coniare, prima di Tangentopoli, una amara battuta finita nelle raccolte di freddure ma che purtroppo una barzelletta non era: "Ci sono più socialisti in galera oggi che ai tempi del fascismo"). Il 18 settembre 1984 muore a Roma. Concludendo, i due grandi progetti politici di Lombardi, il centro- sinistra prima e l’alternativa socialista poi, sono sostanzialmente falliti: il primo ha mancato l’obiettivo di realizzare quelle riforme di struttura che avrebbero dovuto spianare la strada all’avvento della società socialista; il secondo non si è neanche concretizzato.

129 130 Fausto Pagliari: tracce per una biografia politica221

La vita di Fausto Pagliari si divide in due fasi: nel 1902, venticin- quenne laureato in scienze economiche, entra alla Società Umani- taria222, nel 1905 vi costituisce l'Ufficio d'informazioni e traduzioni, poi cura gli Uffici di collocamento e la Cassa di sussidio alla disoccupazione, infine ne diventa Segretario nel 1911. Quasi giornalmente interviene con articoli, rubriche fisse, recensioni su “Critica Sociale” e la “Confederazione del Lavoro”. Nel 1924 l’Umanitaria è commissariata dal fascismo ed è licenziato. Allora l'Università Bocconi di Milano, per interessamento di Carlo Rosselli e Piero Sraffa, lo nomina direttore della importante bibliote- ca, ruolo che ricoprirà fino alla pensione . Volendo trovare l’asse centrale delle sue molteplici attività, questo va individuato nell’imponente opera di documentazione sugli eventi e problemi del movimento operaio internazionale e italiano compiuta sulle riviste e i libri che pervenivano all’Umanitaria. La formazione di bibliografo/documentalista viene poi messa a frutto nella direzione della biblioteca dell’Università Bocconi. Ma la vocazione bibliotecaria era presente in lui sin da quando nel 1908 partecipa al I. Congresso delle biblioteche popolari con la relazione Le biblioteche per gli operai e le organizzazioni proletarie.

221 I punti nodali del percorso politico di Pagliari qui esposti sono un contribu-to alla stesura di un più approfondito saggio monografico.

222 Fondata a Milano nel 1983 dal finanziere Mosè Loria, diede vita a iniziative come corsi professionali e quartieri modello di edilizia popolare; R. Bauer “La Società Umanitaria, Fondazione P. M. Loria” Milano, 1964; E. Decleva “Etica del lavoro, socialismo, cultura popolare: Augusto Osimo e la Società Umanitaria”, Milano, 1985. Il fascicolo personale di Pagliari è in ASU (Archivio Società Umanitaria), c. B. VII. 21 131 Nato a Cremona nel 1877, si forma negli ambienti della democrazia positivista lombarda223; laureatosi in scienze economiche alla scuola superiore di commercio Ca’ Foscari di Venezia, si perfeziona a Vienna e nel 1902 Giovanni Montemartini224 lo chiama a Milano a collaborare all'Ufficio del lavoro della Società Umanitaria.

1. La Società Umanitaria e le riforme nella società industriale A cavallo tra XIX e XX secolo riformismo socialista, “scuole” univesitarie di economia225 e alcuni innesti della burocrazia giolittiana convergono nello sforzo di trasformare le istituzioni liberali in modo da farle convivere con la struttura conflittuale della società industriale, elaborando una teoria «aperta» del movimento operaio aperta ad una politica di riforme che includeva un certo tasso di conflittualità operaia. Attilio Cabiati226 era stato il primo direttore dell'Ufficio del Lavoro dell' Umanitaria e uno degli intellettuali della «Riforma Sociale» mentre Montemartini negli anni ’90, tenutosi ai margini 223 F.Invernici "Una città nella storia dell'Italia unita: classa politica e ideologie in Cremona nel cinquantennio 1875-1925", Cremona, 1986. Il socialismo cremonese nasce in ambito laico e positivista con influenze massoniche.

224 A. Cardini Marginalismo, liberismo e socialismo: Giovanni Montemartini “Annali Feltrinelli, 1999; “La cultura delle riforme in Italia fra Otto e Novecento: i Montemartini” atti Seminario, Milano, 1986

225 Specialmente a Torino: R. Marchionatti , G. Becchio “La scuola di economia di Torino: da Cognetti de Martiis a Einaudi”, Torino, 2005; M. Guidi, L. Michelini Marginalismo e socialismo nell'Italia liberale, 1870- 1925 “Annali Feltrinelli”, 1999. Il Laboratorio di Economia Politica, fondato nel 1893 presso l’Università di Torino conduceva ricerche di economia applicata alle questioni del lavoro, dell’emigrazione, ecc. Allievi del Laboratorio furono tra gli altri Luigi Einaudi, Attilio Cabiati, Antonio Graziadei, Riccardo Bachi. Dal 1903 al 1932 fu diretto da Achille Loria. Gran parte delle ricerche del laboratorio furono pubblicate su “ La Riforma Sociale”, fondata nel 1894 da Francesco Saverio Nitti cui si affiancò dal 1901 Einaudi fino al 1935 quando la rivista cessò le pubblicazioni. 132 dell’eclettismo metodologico dell'«economia sociale» italiana di Achilli Loria227aveva tentato il recupero della «lotta di classe» nella sfera delle «precondizioni» dell'equilibrio economico generale: «Far progredire la scienza con ricerche che delineano con sempre maggior precisione le 'leggi' dell'economica ed insieme agire politicamente per ridurre ed eliminare progressivamente gli squilibri causati dalle coalizioni d'interessi che stanno dietro ai diversi fattori di produzione, questo, secondo il giovane professore di Pavia, il compito per chi volesse essere, nella pienezza di tutti e due i termini, economista e socialista».228 Si instaurò una fattiva collaborazione tra Cabiati, Riccardo Bachi 229 e Montemartini (che lo affiancò alla direzione dell' Ufficio del Lavoro del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio) anche sulla questione delle municipalizzazioni dei sevizi pubblici comunali230 Alessandro Schiavi231, che sostituì Cabiati alla direzione dell'Ufficio del Lavoro, curava una rubrica sindacale per «La Riforma Sociale»

226 G. Becchio Attilio Cabiati fra socialismo cooperativo e marginalismo in “Annali Feltrinelli”, 1999, p.137-150

227A. d'Orsi “Achille Loria”, Torino 2000

228 P. Favilli, “Il socialismo italiano e la teoria economica di Marx” (1892-1902), Napoli, 1980, p. 107.

229 A. M. Ratti “Vita e opere di Riccardo Bachi” Milano, 1960

230 A. Berselli, F. Della Peruta, A. Varni “La municipalizzazione nell'area Padana : storia ed esperienze a confronto”, Milano, 1987

231 M. Ridolfi “Alessandro Schiavi: indagine sociale, culture politiche e tradizione socialista nel primo '900”, Cesena, 1994; Q. Versari, “Un riforma-tore: Alessandro Schiavi nella storia del socialismo italiano”, Bologna, 1986; G. Silei “Alessandro Schiavi: il socialista riformista”, Manduria, 2006 133 che come motivo portante aveva la regolamentazione legislativa dei conflitti tra capitale e lavoro.232 Nel progetto del 1902 per l'Ufficio del Lavoro dell’Umanitaria si prevedeva il coinvolgimento diretto delle organizzazioni operaie nel processo decisionale della ricerca, che avrebbe dovuto svilupparsi seguendo la linea della «modernizzazione» delle relazioni industriali. Lo sforzo per la penetrazione dell'elemento «lavoro» nell'ammini- strazione dello Stato, per la professionalizzazione degli strumenti di analisi del movimento operaio, per la creazione di una rete di rapporti ed istituzioni in grado di mettere il fattore lavoro su un piede di parità col fattore capitale, accomunarono ancora a lungo economisti liberali e socialisti.

2. Il salotto della signora Anna e il sindacato di Rigola Apprezzato da Anna Kuliscioff 233 si inserisce rapidamente nell'am- biente riformista milanese. Da Turati deriva la concezione del socia- lismo come umanità che si riscatta dalle tare della società borghese e come riorganizzazione della società sulla base della superiore capacità tecnica, politica e morale dei lavoratori. Nella Confederazione del Lavoro (CGdL) diffuse le idee e le esperien-ze del laburismo e del fabianesimo e si adoperò perché la CGdL inter-venisse anche sul piano politico, diventando ispiratore tra il 1907 e il 1910 del progetto di un «partito del lavoro»234. Si richiamava a Bernstein, ai laburisti inglesi e anche a Sorel, rivendi-cando al sindacato il compito di socializzare la fabbrica e di democra-tizzare lo Stato e la società e di preparare quella aristocrazia

232 A. Schiavi, Due anni di agitazioni proletarie «La Riforma Sociale», 1902, p. 153-180; Lavoratori e padroni nel 1902, ivi, 1903, p. 118-145/297- 319.

233 Lettera a Turati del 28.7.1905: “Oggi venne Pagliari e più lo conosco, e più mi piace; mi pare un giovine di animo aperto, schietto e generalmente benevolo, perciò ottimista e molto socievole” Carteggio Turati-Kuliscioff, parte II, Tomo I, p. 279; M. Addis Saba “Anna Kuliscioff : vita privata e passione politica” Milano, 1993 134 operaia che, per capacità tecnico-professionali, fosse in gradö di dirigere il movimento socialista. Un sindacalismo che «ricostruisce la società su basi tecniche; sostituisce alla democrazia politica la democrazia professionale».235 Questo progetto testimoniava il carattere trasversale tra le tendenze revisionistiche di destra e di sinistra. All’inizio del 1907 si accese la polemica sul localismo delle Camere del lavoro, considerate frutto della «propaganda socialista» più che dello sviluppo industriale di un paese avanzato, organismi non riconducibili a funzioni economico-sociali e quindi passibili di far «degenerare degli organi del movimento di resistenza in organismi prevalentemente politici» 236. Da seguire era il modello tedesco che proprio quell'anno era riuscito a battere il sindacalismo rivoluzionario restringendo gli spazi del localismo camerale, in quanto anche autorevoli membri della SPD (Bebel) avevano appoggiato le posizioni dej sindacati, isolando l'ala intransigente (Kautsky). In Italia invece «la frazione intransigente del Partito guardò fino a ieri cotesti sindacalisti con occhio di profonda simpatia e li guarda ancora oggi come figli ribelli per esuberanza e generosa giovinezza. Sono tutt'al più, una esagerazione del movimento operaio e socialista. Ma la «Confederazione del Lavoro » però anch'essa - secondo quegli intransigenti - una

234 «Il partito socialista deve diventare sempre più l'espressione e lo strumen-to politico della classe operaia organizzata ... Il partito, anziché voler essere un organismo più evoluto e superiore all'organizzazione, deve considerarsi, sempre più e in misura in cui l'organizzazione operaia si rafforza, come uno strumento dell'organizzazione perché nell'organizzazione operaia e nella sua politica è tutto quanto il socialismo e la forza socialista» F. Pagliari, Il partito socialista e l'organizzazione operaia, «Confederazione del Lavoro», 25.4.1908.

235 F. Pagliari Le organizzazioni dei funzionari e il sindacalismo riformista, «Critica Sociale », 1908, p. 216-218.

236 F. Pagliari, L'organizzazione di resistenza in Italia, «Critica Sociale», 1907, p. 124. 135 esagerazione nel senso del trade unionismo »237. Perciò é difficile battere il sindaca-lismo in Italia, perciò la CGdL deve usare tutti i mezzi a sua dispo-sizione per rendere sterile il terreno ove può svilupparsi la pianta del rivoluzionarismo, perciò la centralizzazione deve essere integrale .238 La proposta del partito del lavoro nasceva da una analisi severa del PSI, considerato responsabile di sacrificare ai problemi del parlamen-tarismo e del ministerialismo la tutela e il consolidamento dell'orga-nizzazione di classe, sempre più «un movimento di bisogni incompo-sti, indisciplinati, mal definiti, di sentimentalità generose, di ribellioni violente e di vaghe ispirazioni messianiche239» e in una lettera a Salvemini del novembre 1909 lo giudicava «senza bussola ed ammalato di asineria e di mancanza assoluta di idee generali e speciali». Soprattutto il partito gli pareva inquinato da «intellettuali capi- popolo» viziati di «rivoluzionarismo acchiappanovole», incapaci di salvaguardare l'organizzazione di classe dai pericoli dell'indivi- dualismo anarchico e dalla tentazione del «grande colpo» insur- rezionale. Nel 1909 In polemica con Angiolo Cabrini240 si accostò a Salvemini, dichiarandosi contrario all'appoggio concesso dai deputati socialisti

237 Id., La fine del sindacalismo in Germania. Annotazioni e confronti, «Critica Sociale», 1908, p. 79.

238 Pagliari, Oligarchia e democrazia nell'organizzazione operaia, « Critica Sociale », 1909, nega le tesi di Mosca, Pareto e Michels che centralizzazione e professionalizzazione del sindacato significassero necessariamente la formazione di un'oligarchia.

239 Archivio Rigola, lettera di Pagliari a Rigola, 13.5.1908; Vedi anche P. Fa-villi Il sindacato riformista nelle lettere di Fausto Pagliari a Rinaldo Rigola, (1907-1911) in “Ricerche storiche”, mag.-ago.1983, p.437-92

240 E. Santarelli Angiolo Cabrini in “Dizionario biografico degli italiani”; F. Fabbri Angiolo Cabrini. Dalle lotte proletarie alla cooperazione fascista “Cooperazione e società”, N. 1-2 - gennaio-giugno 1972 136 al ministero Luzzatti e polemizzò contro «le tendenze egoistiche» del cooperativismo in nome di un riformismo che facesse «opere reali, concrete, solide». Collocava i problemi in un'ottica rigidamente economicistica, ritenen-doli risolvibili attraverso l'organizzazione economica e all'interno delle strutture sindacali, ma fu tra i più solleciti a denunciare i pericoli di una trasformazione del sindacalismo riformista in senso democratico-radicale, con conseguente corpo- rativismo, opportunismo, subordinazione alla politica governativa del movimento operaio italiano, proprio nel momento in cui si accantonavano le riforme sociali per l’avventura libica.

3. Gli impiegati delle organizzazioni operaie Il riferimento teorico della sua dissertazione di laurea a Ca' Foscari e poi all'Ufficio del Lavoro della Società Umanitaria era «La Produ- zione Capitalistica»241 di Antonio Graziadei242, un libro di rigorosa teoria a-marxista che proveniva dall'interno del socialismo italiano. Rielabora alcuni aspetti dell'analisi di Graziadei applicandoli alla funzione impiegatizia all'interno delle organizzazioni operaie: la «professionalizzazione» dei funzionari diventa condizione necessaria per la crescita e l'incidenza di un movimento operaio altrimenti con- dannato alla subalternità nei confronti della professionalità borghese e perciò indotto alla deriva rivoluzionaria. Personale specializzato per una lotta di classe che, superate le fasi pri-mitive, avrebbe assunto aspetti sempre più tecnici e meno politici. La «produttività» dal personale impiegatizio doveva anche

241 Torino : F.lli Bocca, 1899

242 Imola 1873-Nervi(GE) 1953. Docente di economia, partito da posizioni riformiste, dopo la guerra aderì al PCd’I. Espulso nel 1928 e reintegrato nel 1945, fece parte della Consulta. Pagliari in una lettera a Graziadei del 24-10-49 continua sempre a considerarsi discepolo. Archivio Storico della Biblioteca Comunale d'Imola - carte Graziadei. 137 essere stimolata con una politica retributiva ispirata alla teoria degli «alti salari».243 Progettò di utilizzare nel processo di professionalizzazione del sinda- cato la struttura dell’«Umanitaria»244 e, pur scontando i mezzi limitati e le incomprensioni interne, l'Ufficio del Lavoro e poi quello di Infor-mazioni e Traduzioni, costituito e diretto da Pagliari nel 1905, funzionarono come uffici «tecnici» della C.G.d.L. dalla sua fondazione. Nel 1907 la C.G.d.L. chiese a Turati, che appoggiò la proposta indi- cando Pagliari per l’attuazione, di poter contare su alcune strutture dell' Umanitaria,245 cosa essenziale nell'economia della Confedera- zione in quei suoi primi anni di esistenza data la pochezza di mezzi. Infatti su Rinaldo Rigola,246 a lungo funzionario centrale unico della C.G.d.L., ricadeva l'onere della direzione politica e organizzativa della Confederazione e la redazione del suo organo settimanale. In una lettera a D'Aragona, Rigola precisa i compiti del segretario- aggiunto: «il trait d'union, tra la nostra sede e le sezioni, tra noi e

243 F. Pagliari, La Democrazie e gli impiegati, in « Critica Sociale », 1905, p. 68-70; ivi, 1 segretariati operai delle organizzazioni socialiste tedesche, pp. 57-59178-76186-88; ivi, Organizzaziöne e organizzatori: a proposito di un sindacato italiano fra gli addetti dell'organizzazione operaia, 1906, p. 176-178; ivi, Organizzatori e partito socialista: un problema urgente, 1907, p. 83-84; ivi, Le organizzazioni e i loro impiegati, ivi, 1908, p. 251.

244 E. Decleva, “Socialismo e etica del lavoro …” cit.

245 In una lettera del 2.11.1907 Rigola chiede a Turati di interessarsi presso l'Umanitaria «perché la Confederazione abbia l'appoggio e la collaborazione tecnica dej suoi uffici emigrazione, agrario e del lavoro, oltre a quello delle informazioni e traduzioni ». Turati risponde che « si pub contare su Pagliari col quale sono perfettamente all'unisono e che lavora nel nostro senso ». Cfr. Lettere di Rigola a Turati del 2.11.1907 e di Turati a Rigola del 24.11.1907 in G. Bosio, Nascita e sviluppo delta Confederazione Generale del Lavoro nel carteggio Turati-Rigola”, «Rivista Storica del Socialismo», 1958, p. 81-97. 138 gli altri gruppi, l'uomo dej sopraluoghi, dell'intervento nej congressi e nei convegni e l'ispettore incaricato di invigilare e tenere in redini le organizzazioni. In media metà del tempo in viaggio e metà in ufficio dove mi coadiuveresti nel lavoro di concetto, nello studio delle leggi, nella redazione del giornale e mi sostituiresti in caso do assenza”247 All’evidente debolezza della Confederazione, rivelata da queste frasi, non si poteva che contrapporre una forte determinazione: l'organizza-zione é fine a sé finché non é riuscita a diventare una forza», e per diventare una forza occorreva che il processo di centralizzazione fosse sostenuto da una cassa alimentata da «alte quote» utilizzate per la creazione di una stabile burocrazia di tecnici ed esperti. Il rafforzamento dell'organizzazione è vista anche in funzione della sua autonomia, intesa come via maestra per la fondazione di un sindacalismo modellato sulle più avanzate esperienze europee: la fondazione della C.G.d.L. è vissuta a lungo come fatto precario, uscito quasi occasionalmente dal rivoluzionarismo del movimento operaio italiano e sempre passibile di essere rimessa in discussione. L'Umanitaria s'impegnò ad istituire corsi (che prevedevano nozioni di statistica, economia politica, legislazione sociale, storia del movimen-to operaio) destinati ad organizzatori sindacali, nella prospettiva della fondazione di una «università del lavoro» sul tipo del Ruskin College di Oxford. I corsi sul movimento operaio con particolare riferimento ad un'analisi comparata dell'organizzazione in

246 Biella 1868-Milano 1954. Operaio ebanista, segretario della CGd dal 1906 al 1918. R. Rigola “Rinaldo Rigola e il movimento operaio nel biellese”, Bari, 1930; C. Cartiglia “Rinaldo Rigola e il sindacalismo riformista in Italia” Milano, 1976; R. Coriasso, “Rinaldo Rigola a Biella : storia di un apprendistato politico e di una città industriale tra '800 e '900” Biella, 2009; P. Mattera “Rinaldo Rigola, una biografia politica”, Roma, 2011.

247 C. Cartiglia, “Rinaldo Rigola…”. cit, p. 70 139 Europa vennero curati da Pagliari che riunì poi le lezioni in un volume.248 Disponeva di informazioni di prima mano conoscendo molte lingue straniere e coltivava interessi non provinciali: ciò fece di questo volume un utile strumento di conoscenza della realtà e delle radici del movimento operaio europeo. Intendeva però anche dimostrare che una sola ed obbligata era la via dello sviluppo per un moderno movimento operaio indipendentemente dal vari modelli sindacali: «Anzitutto il movimento sindacale dei lavoratori dell'industria, per quanto in tutti i paesi, all'infuori dell'Inghilterra, sia state promosso dalla propaganda socialista, non é il frutto di un'ideologia, ma bensì dell'evoluzione industriale ... Le organizzazioni operano, quindi, completamente all'unisono colle tendenze evolutive dell'economia quando, come fanno dappertutto, senza curarsi della frase fatta: abolizione del salariato, agiscono nel senso di conservare la forma salario, perfezionandola nella sua purezza e opponendosi al tentativi, diretti o meno, della partecipazione agli utili ecc., a cancellare i rapporti di salario. L'organizzazione operaia non deve maj dimenticare che essa é solo un ingranaggio nel grande organismo dell'economia generale, che il progresso é legato all'incremento della produzione, all'elevamento della produttività, al miglioramento del gusto».249 Nel 1911 un congresso confederale riconobbe ufficialmente il ruolo svolto da Pagliari e dagli uffici dell'Umanitaria e un paragrafo della relazione di apertura fu dedicato al problema dej funzionari delle organizzazioni operaie secondo le linee da lui elaborate250.

4. “Beneficenza rossa”

248 F. Pagliari, “L'organizzazione professionale operaia in Europa”, Milano, 1908 e 1909. (La prima edizione è di 218 pagine, la seconda di 534).

249 F. Pagliari, “L'organizzazione …” cit., p. 515-516. 140 Nel 1906 con tre articoli pubblicati sul giornale «Il Tempo»,251 apre un’aspra polemica con alcune istituzioni filantropiche milanesi, che non cita esplicitamente ma che sono l’Unione femminile252, l'Asilo Mariuccia253 e il Comitato contro la tratta delle bianche. Nel primo articolo accusa di bigottismo vetero-cattolico quella che definisce la «beneficenza rossa», accusa il «femminismo filantropico laico» che con la sua carica moralista conduce «una guerra di sterminio a tutte le cose illegittime, mogli illegittime, figli illegittimi», contraddistinto da «una concezione fosca, malinconica, piagnona, noiosa della vita; una caccia furibonda alle gioie … Questo bigottismo rosso, bacchettone, intransigente, fanatico, ridicolo, spesso anche cattivo, questa ingiuria continua alla personalità e dignità umana; questa propaganda francescana che invigliacchisce; questa prepotenza prepotente e cattolica nelle cose altrui; questa furia di Walkirie, sempre in cerca di nuove imprese benefiche, di nuove vittime da tormentare, di nuovi allori da mietere; questo esercito laico della salute! Chi ce ne libera? Chi beatifica queste sante laiche? Chi le pensiona e le rimanda alle oneste

250 R. Rigola, La Confederazione Generale del Lavoro nel triennio 1908- 1911, “Rapporto del consiglio direttivo all' VIII Congresso nazionale delle Societå di Resistenza aderenti alla Confederazione”, Torino, 1911, p. 51 e 11-12 rispettivamente.

251 “Il Tempo: giornale della democrazia italiana”. Fondato nel 1899 a Milano, è diretto da dal 1902 al 1910, quando assume la direzione dell’ “Avanti!”

252 Fondata nel 1899 a Milano con il sostegno socialista. F. Imprenti “Alle origini dell'Unione femminile : idee, progetti e reti internazionali all'inizio del Novecento” Milano 2012; F. Pieroni Bortolotti, “Socialismo e questione femminile in Italia 1892-1922”, Milano, 1974; S. Murari “L' idea più avanza-ta del secolo: Anna Maria Mozzoni e il femminismo italiano” Roma, 2008;

253 A. Buttafuoco “Le Mariuccine : storia di un'istituzione laica : l'Asilo Mariuccia”, Milano 1998 141 penombre, a biascicar rosarii e a far la calza, come le benefattrici nere? ... Niente donne benefiche. Via, all'inferno! al diavolo questa beneficenza rossa! Somiglia troppo a quella nera, che noi socialisti abbiamo mandato al diavolo da un pezzo ».254 Due giorni dopo ribadisce le sue accuse di «bigottismo» utile solo alle «annoiate della vita», centrando l'attenzione sul trattamento del personale delle organizzazioni benefiche «scelto per la sua gratuità o per il suo basso costo, e non per le sue attitudini specifiche ad attendere all'opera alla quale è preposto» anzi «il personale è addirittura sfruttato, sottopagato in forme che non sarebbero mai tollerate - per altri lavoratori che non fossero propri dipendenti, beninteso - dagli stessi imprenditori delle "aziende benefiche"»255 Le istituzioni sotto accusa erano nate con un orientamento radical- socialista e laico-progressista e le osservazioni rivolte alle emanci- pazioniste avrebbero potuto esserlo alla stessa Società Umanitaria e in genere all'intero movimento socialista. La nuova morale socialista256 «risulta in definitiva piuttosto povera: come sistema

254 F. Pagliari, Beneficenza rossa, «Il Tempo», 28.11.1906.

255 F. Pagliari, Gli impiegati e la beneficenza, «Il Tempo», 30.11.1906; Id. Per concludere sulla «Beneficenza rossa». Gli impiegati, ivi.

256 E. Decleva, Anticlericalismo e lotta politica nell'età giolittiana «Nuova rivista storica», 1968 e 1969; Id., Anticlericalismo e religiosità laica nel socia-lismo italiano, in “Prampolini e il socialismo riformista”, 1979; M. Sylvers, L'anticlericalismo nel socialismo italiano, «Movimento operaio e socialista», 2-3, 1970; Verucci, Anticlericalismo, libero pensiero e ateismo nel movimento operaio. e socialista italiano, in “Chiesa e religiosità in Italia dopo l'Uni-tà”, Milano, 1997;P. Audenino, Etica laica e rappresentazione del futuro nella cultura socialista dej primi del Novecento « Societä e Storia» 18, 1982; Id., La cultura della classe operaia nell’età del decollo industriale, “Studi storici” n.4, 1981; M. Torrini, Religione e religiositå nej primi anni del '900, in “A.F. Formiggini, un editore del Novecento”; S. Pivato, L'anticlericali-smo « religioso » nel socialismo italiano tra Otto e Novecento, «Italia con-temporanea», 154, 1984 142 teorico essa mostra non poche incertezze e lacune, costruita.com'é con prestiti dal sistema kantiano degli imperativi morali cui si aggiungono dosi massicce di evoluzionismo di marca darwiniana e spenceriana »257 Gli interventi di Pagliari, col loro fondo di misoginia «di sinistra», non tenevano conto del valore del tentativo di costruire una identità della donna, in un processo di superamento dei condizionamenti culturali, psicologici, politici di cui le emancipazioniste stesse erano in larga misura portatrici. Nel 1907 un’ispezione degli Uffici Indicazioni e Assistenza, formato da Società umanitaria e Unione femminile, compiuta dalla delegata per l’Umanitaria Santa Volonteri258 (che nel 1910 lo sposerà) rimuove Pagliari dal Consorzio. L'isolamento in cui i socialisti lasciarono l'Asilo Mariuccia fu una del-le cause della sua deviazione dalle premesse teoriche: la ricerca di consensi portò ad accentuare i caratteri più specifici dell'assi- stenzialismo accantonando il lavoro di sperimentazione politico- pedagogica che in origine I'Asilo si era proposto. Dal canto suo Ersilia Majno259 interpretò l'attacco, che in una lettera definì ,”una coltellata in mezzo al cuore”,260 come una sconfessione dell'Unione femminile da parte di tutto il Partito socialista e cercò i

257 P. Audenino, Etica laica… , cit., p. 887.

258 Santa Volonteri nasce nel 1876 e inizia giova-nissima a lavorare come cucitrice e sarta. Segretaria della “Lega sarte da donna” dal 1895 al 1903, dal 1900 al 1902 è nell’esecutivo della Camera del Lavoro di Milano, nel 1904 entra nel Collegio dei delegati dell’Umanitaria, nel 1905 è probiviro per l’industria del vestiario di Milano. Attiva nelle file riformiste del PSI, collabora a giornali e riviste sui temi del lavoro e della legislazione sociale. Nel 1907 diventa Ispettrice del lavoro (figura istituita dalla legge di tutela del lavoro femminile e minorile del 1902), inserendosi nella nascente burocrazia del lavoro di età giolittiana. Nel 1909 e 1910 è nel consiglio di amministrazione dell’Opera Pia Cucine Economiche di Milano., Ottiene nel 1912 l’istituzione della Cassa Nazionale di .Maternità. Emargina-ta dal fascismo, muore nel 1964. ww.enciclopediadelledonne.it 143 consensi della borghesia progressista, disposta a dare in beneficenza il proprio denaro. Un altro episodio delle frizioni tra emancipazioniste e movimento socialista ebbe protagonista Alessandrina Ravizza261 che nel 1906 aveva avuto dall’Umanitaria l'incarico di direttrice della Casa di lavoro (un istituto che offriva a bisognosi e disoccupati la possibilità di reinserirsi attraverso l'istruzione e il lavoro). La Ravizza dovette difendersi dagli attacchi di chi avrebbe voluto chiudere la Casa dimostrando 262 che era stato un investimento in attivo, valutando l'utilità sociale e non solo il profitto immediato, ma i dirigenti dell'Umanitaria e della Camera del lavoro seguivano una logica differente e nel 1913 la Casa di lavoro chiuse.

5. Il bolscevismo e i problemi del dopoguerra La guerra aveva generato una gigantesca “economia regolata” in tutti i paesi coinvolti e sottoposto la società civile e le strutture economi-che a una tremenda tensione, non ultima la disciplina di tipo militare a cui erano sottoposti i lavoratori impiegati nelle fabbriche di interesse strategico.

259 1859-1933 Fondatrice dell'Unione Femminile, moglie dell’avvocato socialista Luigi Majno. C. Demi “Ersilia Bronzini Majno : immaginario biografico di un'italiana tra ruolo pubblico e privato”, Bologna 2013

260 E.Majno a G.Montessi, 25.8.1907, Fondo Giuseppe Montessi, Cart. C,b,1/b

261 1846-1915.Tra le prime donne laureate in medicina come Anna Kuliscioff aderì alla Lega femminile milanese e alla Società pro-suffragio, promosse l’Università Popolare e diresse la Casa del Lavoro per disoccupati fondata dalla Società Umanitaria. E. Scaramuzza Una filantropa di professione : Alessandrina Ravizza e la collaborazione con la Società umanitaria ” Storia in Lombardia” n. 3, 1986; Id. “La santa e la spudorata : Alessandrina Ravizza e Sibilla Aleramo : amicizia, politica e scrittura”, Napoli 2004

262 A. Ravizza, “Sette anni di vita nella casa di lavoro”, Milano 1915 144 La fine della guerra causò la smobilitazione dell’industria bellica con i licenziamenti e i conseguenti problemi politico-organizzativi che ebbero pesanti conseguenze per il movimento operaio. Pagliari concentrò il suo interesse sui problemi occupazionali e sala- riali della smobilitazione industriale e sulla salvaguardia della legisla-zione sociale. Sul modello delle Trade Unions propose l’introduzione di forme di controllo operaio, di «governo della produzione», che la guerra aveva messo all’ordine del giorno e che erano state alla base della proposta del partito del lavoro e del «concretismo riformista». Nel 1926 pensava che la crisi postbellica poteva essere risolta con «la solidarietà europea come l'elemento di un futuro ordine economico internazionale». Nella serie di articoli sulla rivoluzione russa, che erano basati su una documentazione originale e inconsueta nel giornalismo italiano, dedi-cò particolare attenzione alle conseguenze economiche e sociali deter-minate dalla rivoluzione, ma sostanzialmente guardò ad essa come tradizionalmente i riformisti avevano fatto nei confronti degli anarco-sindacalisti e dei fautori della «grande ora». Sostanzialmente a loro si riferiva quando parlava del bolscevismo come dell'espressione del «governo giacobino» e del «socialismo dall'alto».

6. Bibliotecario all'Università Bocconi L'imprenditore milanese Ferdinando Bocconi nel 1902 fonda l'Univer-sità Commerciale Luigi Bocconi. La Biblioteca, che oggi con più di 600.000 volumi è tra le più importanti d’Europa nel suo campo disci-plinare, nasce un anno dopo per rispondere alle esigenze didattiche, ma anche per dotare l’Italia, che ne era allora sprovvista, di un Centro che raccogliesse i documenti della attività scientifica nel campo delle dottrine economiche. Alla costituzione del patrimonio bibliografico, che comprende anche collezioni di pubblicazioni periodiche e stati- stiche internazionali, contribuirono con donazioni e suggerimenti studiosi come Luigi Einaudi.

145 Al primo responsabile della Biblioteca, l’economista Ulisse Gobbi, subentrò Fausto Pagliari che mise a frutto l’esperienza maturata all’Umanitaria riorganizzando gli spazi e formando raccolte specia- lizzate. Riportiamo la testimonianza di due studiosi che ebbero occasione di conoscerlo nel contesto della biblioteca: “Da quando, a fine 1949, divenni assistente sedevo nella mensa, a un tavolo con gli amici e i colleghi più cari; fra di essi era presente anche Fausto Pagliari …..L’oretta trascorsa al tavolo era meraviglio-sa. era anche un godimento intellettuale. Pagliari, che conosceva tutte le principali lingue, ma che eleggeva il milanese-cremonese a “lingua per gli amici”, quando si ricordava di un libro che avrei dovuto consultare, cominciava: «Ti te düvereset vardà ...» (“Dovresti guardare ...”). Qualche volta, il sabato, quando lo vedevo avviarsi verso casa, con un fagottello di libri legati con una funicella a tracolla (da catalogare nel fine settimana: questo era il suo weekend), mi offrivo di accompagnarlo, per sollevarlo dal peso….»263. “Il secondo che incontrai [alla Bocconi] fu Fausto Pagliari. Anche la biblioteca vive per lui, il bibliotecario, che padrone di tutte le materie, scorre la bibliografia, dai cataloghi di antiquariato alle notizie delle riviste in tutte le lingue, e segnala volumi e articoli a ciascun insegnante. Con Pagliari, poi, chi abbia l’abbonamento con quell’agenzia di informazioni che procura tutti i ritagli delle recensioni delle opere, può risparmiare la spesa. Sa tutto, e quando capiti da lui ti fa trovare tutto pronto e magari copiato a macchina o a mano con la sua calligrafia netta e intelligente. Se sei in vacanza ti manda copie e riassunti fino a domicilio, e li accompagna con lettere piene di gusto umanistico, a parte la grande dottrina. È cremonese, parla in dialetto, e inciampa, direi meglio, accavalla le parole perché le idee si affollano troppo rapide … Memoria di ferro, per lui le schede sono un di più, e se si cerca qualche cosa si fa prima a chiedergliela che ad andare agli schedari: ti porta sul posto

263 L. Guatri Fausto Pagliari, un grande dell’Umanitaria in ”Li ho visti così: protagonisti di università, industria, banca, professione nell'ultimo mezzo secolo” Milano, 2009 146 e ti trova anche il punto che ti fa comodo. Con me ha fatto lega forse più che con ogni altro, perché nato archi-vista, sono anche un po’ bibliotecario: nel senso che sento il valore e la funzione della biblioteca e il rispetto per il libro… »264 Nel 1940 è arrestato e confinato ad Istonio, l'attuale Vasto. Dopo la liberazione aderisce all’appello per la ricostituzione della “Critica sociale” entrando a far parte del comitato di redazione e riprendendovi soprattutto i temi sulla rivoluzione russa trattati nel primo dopoguerra. Muore nell’estate 1960. Concludiamo con questo ricordo: “con quel suo acume che, persino nelle semplificazioni dialettali, sembrava confessarsi estemporaneo e accidentale, personificava le più severe meditazioni e gli scrupoli di una superiore responsabilità, di quella responsabilità tipica del maestro socialista, che non tanto vuol essere il mentore dei propri discepoli quanto la coscienza”265 Parole che fanno sorgere spontaneo un parallelo con un grande maestro socialista e bibliotecario francese: Lucien Herr 266

264“Armando Sapori ricorda” vol.1: Mondo finito, Roma 1946, Varese 1971

265A. Greppi,“La coscienza in pace: cinquant'anni di socialismo” ed,Avanti!, 1963, pag. 173

266 L. Herr (1864-1926) direttore della biblioteca della «École Normale Superieure» dal 1888, fu consigliere e guida di molte generazioni di studenti convertendo al socialismo personalità come Jean Jaures e Leon Blum. D. Lindenberg, P.-A. Meyer «Lucien Herr, le socialisme et son destin», Paris, 1977; C. Andler «Vie de Lucien Herr: 1864-1926» , Paris, 1932 e 1977 147