Segretari E Leader Del Socialismo Italiano

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Segretari E Leader Del Socialismo Italiano * SEGRETARI E LEADER DEL SOCIALISMO ITALIANO INTRODUZIONE Il socialismo è istinto, che diviene coscienza e si tramuta in volontà. Claudio Treves Mi sono chiesto più volte perché, qualche anno fa, decisi di intraprendere questo lavoro; la risposta che mi sono dato è stata sempre la stessa: <<Per soddisfare una mia curiosità>>; ed ora posso aggiungere, dal momento che ho deciso di pubblicarne i risultati, <<e quella di qualche altro>>. Questa curiosità era principalmente diretta a conoscere i nomi e alcune informazioni sui segretari nazionali, o meglio su coloro in genere che, nel corso di un secolo, avevano diretto e rappresentato al massimo livello il partito socialista italiano, in cui avevo militato dal 1957 al suo scioglimento nel 1994. Nel corso del lavoro sono “incappato” in alcuni fatti poco noti o dimenticati ed ho deciso di inserirli nel testo, così come ho deciso di estendere la ricerca ai partiti e movimenti socialisti derivati dal ramo principale, intendendo per ramo principale il PSI e per socialisti quei raggruppamenti che si sono proclamati tali, prescindendo dal fatto se l’aggettivo sia stato da loro appropriatamente utilizzato o inopinatamente usurpato. Mi preme anzitutto precisare che inizialmente il ruolo di un segretario di partito era appunto quello di fare il… segretario; egli aveva cioè il compito, di natura prevalentemente burocratica, di mantenere i contatti con e fra gli associati. Come appunto avveniva nella Prima Internazionale, dove c’era un segretario per l’Italia, un altro per la Germania, e così via. A livello internazionale il “salto di qualità” si ebbe nell’Unione sovietica nel 1922, quando nel Partito bolscevico (comunista), il cui leader indiscusso era Lenin, allora capo del governo (più precisamente: Presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo), senza darvi troppa importanza, fu eletto segretario Giuseppe Stalin. Quando Lenin si accorse dell’errore fu troppo tardi, perché Stalin, controllando la vita interna del partito, principalmente il tesseramento, man mano se ne assicurò il controllo, di cui si servì per eliminare i suoi concorrenti nella lotta per il potere. Fu da allora, comunque, che si cominciò a capire come poteva diventare importante la carica di segretario, non solo nell’URSS e nel PCUS, ma in tutto il mondo. In alcuni partiti italiani è successivamente avvenuto che accanto al segretario è comparsa la figura del Presidente, detto “del partito”, ma più spesso e più precisamente “del Comitato Centrale” o “del Consiglio Nazionale”, come fu il caso di Nenni nel PSI e di Moro nella DC; si trattava però, in quei casi, di personaggi forti, autorevoli per il loro carisma o per il seguito che avevano nel Paese, ma non certo per gli scarsi poteri che lo Statuto gli conferiva. In tempi a noi più vicini si è avuta una decisa inversione di rotta. Se la terminologia è lo specchio dell’ideologia , come ebbe a dire una volta Turati, e se il segretario, da organo di coordinamento burocratico qual’era agli inizi, è diventato colui che presiede alle attività di un partito e che lo rappresenta nei rapporti con l’esterno, è di recente sembrato giusto che lo si indichi in modo più appropriato, che lo si denomini quindi “presidente”, come è avvenuto per esempio per Berlusconi (presidente di Forza Italia e poi del PDL) o per Fini (presidente di AN e poi di FLI). Quando invece il segretario, specialmente a livello locale, è diventato praticamente solo colui che indice le riunioni e si”sciroppa” gli incontri politici più inconcludenti, ecco che cede il posto all’evanescente, ma più appropriato termine di “coordinatore”. Un nome, dunque, per ogni tempo. Nel PSI, oggetto principale della presente ricerca, inizialmente la figura del segretario-leader non c’era, poiché la direzione del partito era collegiale (“Comitato Centrale”, “Ufficio Esecutivo Centrale”) e spesso essa rimaneva oscurata dal prestigio dei più famosi parlamentari come Turati o Prampolini o, più ancora, da quello del direttore dell’Avanti! , lo strumento più efficace di collegamento fra le sezioni e di orientamento politico e di formazione della base (basti pensare all’autorevolezza di direttori come Bissolati, Mussolini o Serrati, assai più noti dei segretari loro coevi). Il segretario, nel partito socialista, compare dapprima come un funzionario stipendiato che esegue le direttive dell’organo collegiale, senza farne parte e poi (dal 1908) diventa un membro della Direzione ed un rappresentante della stessa (Pompeo Ciotti); ma è soprattutto dal 1912, con la vittoria della sinistra al congresso di Reggio Emilia, che il segretario (Costantino Lazzari) comincia ad acquistare spessore politico. La nuova maggioranza, infatti, controlla il partito e il quotidiano, ma non il gruppo parlamentare e il sindacato, in cui prevalgono i riformisti. Di conseguenza emerge e si consolida la tendenza a promuovere, anche statutariamente, la preminenza del partito, e quindi del segretario che lo rappresenta, nei confronti di altri poteri, quale quello della rappresentanza parlamentare e di quelle degli enti locali, che in passato avevano goduto di larga autonomia. Il presente lavoro consiste in una narrazione sommaria della secolare vicenda partitica che riguarda il movimento socialista italiano, con l’indicazione di brevi note biografiche di coloro che, nel corso della sua lunga vita, si trovarono ai massimi vertici delle sue varie espressioni, o come componenti di un vertice collegiale, come avvenne nel PSI fino al 1908, o come esponenti che singolarmente esercitarono la massima funzione direttiva nei partiti o movimenti socialisti italiani, escludendo quelli inseritisi in altri filoni, come ad esempio il PDS/DS, e i gruppuscoli di rapida evaporazione. Alla fine della cornice narrativa, inoltre, ho ritenuto opportuno aggiungere, come appendice, in ordine cronologico e partito per partito, gli elenchi completi di tutti gli organismi (collegiali o singoli) che si sono succeduti alla guida di ognuno di essi. Mi pare giusto, infine, precisare, che non è intendimento dell’autore offrire ai lettori originali spunti interpretativi sulle già note vicende storiche, del resto qui appena tratteggiate, né illustrare particolari scoperte storiografiche, essendo questo libro frutto esclusivo di ricerche nella vasta bibliografia esistente sul socialismo italiano. Più modestamente egli ha ritenuto di raggruppare e ordinare notizie e particolari di non sempre facile reperimento, sicuramente utili per chi voglia utilizzarli a supporto di lavori storicamente più impegnativi. Di una cosa posso, comunque, rassicurarli: della serietà della biennale impegnativa ricerca, svolta con la passione necessaria per cercare di superare gli innumerevoli ostacoli, via via presentatisi. F. L. Capitolo I Il periodo riformista (1892-1912) Il socialismo è portare avanti quelli che sono nati indietro Pietro Nenni 1 - Verso il partito di classe Gli ultimi decenni dell’Ottocento furono contrassegnati, nell’ambito parlamentare italiano – parliamo di un parlamento eletto a suffragio assai ristretto - dal fenomeno del trasformismo , praticato dopo l’avvento al potere (1876) della sinistra costituzionale di Depretis. Esso si rivelò ben presto uno strumento di unificazione della borghesia, compresa quella risorgimentale, che, superato il periodo epico delle lotte per l’unità e per l’indipendenza, venne a trovarsi nella necessità di difendere assai più materiali interessi: gli interessi monopolistici del sorgente capitalismo del Nord, la cui politica protezionistica finì con lo scaricare sui consumatori e sui lavoratori il prezzo dello sviluppo industriale, e gli interessi degli agrari del Centro e del Sud, smaniosi di contenere la pressione delle masse contadine, ridotte, specialmente in seguito alla crisi degli anni ’90 e alla conseguente disoccupazione, a condizioni di vita ai limiti della sopravvivenza. Di fronte alla politica di brutale sfruttamento e di repressione nei confronti della classe lavoratrice, adottata dai convergenti interessi di industriali ed agrari, che si avvalevano in ciò anche della forza coercitiva dello Stato, la risposta non poteva essere quella adottata dalle esistenti forze d’opposizione: non di quelle d’ispirazione mazziniana o repubblicana in genere, organizzate nelle Società Operaie Affratellate , inclini a forme di collaborazione, piuttosto che di lotta di classe, con obiettivi di tipo solidaristico e scarsamente presenti nelle campagne, specie del Mezzogiorno; non di quelle anarchiche, egemoni nella Federazione Italiana dell’Internazionale, ma votate a metodi di lotta legati allo spontaneismo insurrezionale di masse esasperate e ad attività di tipo cospirativo, che nessun risultato concreto avevano conseguito. Né erano riuscite a dare risposte valide alle esigenze di difesa e di lotta delle masse alcune formazioni politiche, organizzate sì, ma che non erano riuscite a superare la dimensione regionale, come il Partito Operaio Italiano , presente in Lombardia dal 1882, che aveva limitato la sua azione al campo economico, rifuggendo dal partecipare alla lotta politica per influire sui centri del potere; o come il Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna , fondato (1881) dal socialista Andrea Costa. Erano altresì presenti nel territorio nazionale vari gruppi di ispirazione socialista, come quelli organizzati da Rosario Garibaldi Bosco in Sicilia (Fascio dei Lavoratori di Palermo) o dall’on. Camillo Prampolini (organizzatore e apostolo del socialismo nelle campagne) a Reggio Emilia, ormai orientati verso un processo di unificazione, reso ancor più necessario
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    LA FUGA DI FILIPPO TURATI 1 gennaio 2016 | Filed under: Articoli and tagged with: Antifascismo, Fascismo, Resistenza, Socialismo, Turati di Roberto Poggi - L’iniziativa non nacque dall’anziano leader socialista, ridotto all’ombra di sé stesso dopo l’instaurazione della dittatura fascista e la morte della compagna Anna Kuliscioff, ma da Carlo Rosselli. Il progetto di fuga verso la Svizzera si rivelò però troppo rischioso, così Turati fu fatto espatriare rocambolescamente in Corsica. Il dolore di Turati per la morte di Anna Kuliscioff fu straziante. La depressione e l’insonnia, di cui soffriva sin dalla giovinezza, tornarono a tormentarlo. Gli amici di una vita, Treves, Gonzales, Omodeo, Mondolfo, Tanzi, gli si strinsero attorno circondandolo con il loro affetto e le loro cure, ma quando alla sera rincasava nell’appartamento affacciato su Piazza Duomo, che per decenni aveva condiviso con Anna, i pensieri più cupi lo assalivano e lo tenevano sveglio sino all’alba. Nel dicembre del 1925, presentendo la fine imminente, Anna aveva confidato all’amica Bianca Pittoni: “Non avrei mai dovuto fare a Filippo il torto di morire prima di lui”. Era stata una sottoscrizione a favore delle vittime delle persecuzioni zariste, promossa nell’autunno del 1884 dagli ambienti dell’estrema sinistra milanese, a farli conoscere. Dopo alcuni mesi di scambi epistolari, nella primavera dell’anno successivo, avevano finalmente potuto incontrarsi a Napoli, dove Turati era stato inviato dal leader radicale Agostino Bertani per condurre una indagine sulle condizioni di vita dei contadini campani. Il ricordo della magia di quel momento li aveva accompagnati per tutta vita. Rievocando molti anni più tardi le impressioni di quel primo incontro Turati scrisse: “Io rimasi senza parole.
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