Il Sistema Mafioso Dei Corleonesi

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Il Sistema Mafioso Dei Corleonesi IL SISTEMA MAFIOSO DEI CORLEONESI E’ l’affermarsi del mercato della droga l’elemento che determina il cambiamento all’interno del fenomeno mafioso e al tempo stesso la sua crescita esponenziale a livello di potere. Questo tipo di svolta si realizza alla fine degli anni Settanta quando le famiglie siciliane dei cugini Rosario Spatola e Salvatore Inzerillo, dei Badalamenti, dei Bontade insieme alla famiglia americana dei Gambino (Carlo Gambino era cugino di Inzerillo) sostituiscono i clan marsigliesi sia nella raffinazione della morfina base proveniente dall'Asia, che nella vendita dell’eroina all'ingrosso per il mercato statunitense. L’imponente rete di traffico illegale, denominata “pizza connection”, rappresenta il concretizzarsi di questo nuovo potere della mafia siciliana. Da questo momento la mafia imprenditrice si trasforma ed investe tutti i suoi proventi e le sue energie proprio nel traffico della droga. Segno visibile di questa nuova attività sono i laboratori per la raffinazione dell’eroina che sorgono attorno a Palermo, realizzati grazie ai proventi ottenuti da altre attività (edilizia, intervento pubblico, esattorie). Il traffico degli stupefacenti porta una ricchezza prima impensabile (ma non per tutte le famiglie nella stessa misura) e determina un completo rivolgimento dei rapporti di forza all’interno del territorio. E’ proprio questa una delle cause scatenanti della seconda guerra di mafia. LA SECONDA GUERRA DI MAFIA Di fronte al lievitare degli interessi in gioco è gioco forza per la mafia siciliana un rapporto più aggressivo, se non addirittura di attacco, nei confronti delle istituzioni legali del Paese: dopo l'uccisione di Mario Francese, cronista giudiziario del Giornale di Sicilia, e di Michele Reina, segretario provinciale della DC palermitana, il 21 luglio 1979 la mafia elimina un suo avversario diretto: Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo, che stava collaborando con la Dea e l'FBI americane in indagini sul traffico degli stupefacenti. Giuliano aveva intuito esattamente ciò che stava accadendo: che il traffico internazionale di eroina aveva ormai come epicentro la Sicilia. Proprio grazie al lavoro di Giuliano, nel giugno 1979, all'aereoporto di punta Raisi di Palermo, erano state trovate due valigie abbandonate contenenti cinquecentomila dollari (il prezzo di una partita venduta dai siciliani) e – contemporaneamente – in quello di New York era stata sequestrato un carico di eroina proveniente da Palermo per un valore di dieci miliardi di lire. L'8 luglio 1979 Giuliano riesce ad individuare in un appartamento di Palermo eroina pura per un valore di tre miliardi ed indizi che portano a Leoluca Bagarella, cognato di Salvatore Riina, entrambi della famiglia mafiosa dei corleonesi. E’ quella la prova che lega i corleonesi al grande traffico di stupefacenti. Tre settimane dopo Giuliano viene assassinato. E’ in questo contesto che prende forma la seconda guerra di mafia originata dal tentativo dei corleonesi di impadronirsi delle leve di comando in Cosa nostra. Più che di una guerra – in realtà – si tratta di un vero e proprio, efferato e sanguinario, putsh; un violentissimo colpo di mano che vede i corleonesi sfrenatamente all’attacco e le altre famiglie quasi inermi a subirne il baldanzoso predominio. Nel biennio 1981-1982 sono così più di mille le persone, in qualche modo legate alla mafia, assassinate o scomparse nel nulla (lupara bianca). A condurre l’aggressione sono in particolare le famiglie corleonesi che ruotano attorno ai clan di Liggio, Riina e Greco (i “viddani”) che riescono ad annientare la cosiddetta mafia “perdente” palermitana, legata ai Badalamenti-Bontade-Inzerillo. Ancora non del tutto chiarita è la relativa facilità con cui i corleonesi riescono ad impadronirsi del potere all’interno di Cosa nostra. Si è sempre parlato di un’inusitata ferocia dei vincenti, ma in realtà le ragioni vanno ricercate anche nello sconvolgimento del tradizionale assetto delle famiglie mafiose che gli improvvisi arricchimenti, portati dal traffico della droga, avevano generato. L’assetto di vertice di Cosa nostra deve infatti subire non solo l’aggressione dei corleonesi, ma anche la ribellione dei gregari, invidiosi del subitaneo arricchimento dei loro capi coinvolti nel traffico della droga. Dopo la guerra, l'organizzazione mafiosa si presenta così più centralizzata, più segreta e soprattutto più pericolosa. LA STAGIONE DEI DELITTI POLITICI I nuovi assetti di Cosa nostra determinano anche la rottura delle abituali mediazioni con lo Stato. E’ questo il periodo in cui si delinea una nuova strategia della mafia siciliana, sempre più proterva ed aggressiva, che si protrarrà fino alla prima metà degli anni Novanta. Con l'ascesa al potere dei corleonesi di Luciano Liggio e Salvatore Riina, Cosa nostra mira ad imporsi in Sicilia come potere unico ed assoluto. Il tutto nel più chiaro disinteresse da parte delle forze di governo. Basti pensare che è solo dopo l'uccisione di Piersanti Mattarella, presidente della regione (6 gennaio 1980) che il Parlamento decide di discutere le conclusioni della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla mafia che risalgono, addirittura, al febbraio 1976. Ma occorreranno altri omicidi eccellenti – come quelli del procuratore capo di Palermo, Gaetano Costa; del prefetto di Palermo, il gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa; del segretario regionale del PCI, Pio La Torre – perché venga approvata una nuova normativa che fornisce agli inquirenti strumenti più penetranti per combattere la mafia ed istituisce una nuova Commissione parlamentare, priva, però, di poteri d'inchiesta. Dubbi rimangono a tutt’oggi sul reale significato di alcuni di questi delitti politici (Dalla Chiesa e La Torre in particolare) e sulla possibilità che si tratti, in realtà, di omicidi teleguidati, voluti cioè da forze che – in alleanza sotterranea con Cosa nostra – miravano alla gestione complessiva del malaffare. Si è molto parlato in questi anni dell’intervento di poteri esterni alla mafia siciliana (come la massoneria, i servizi segreti, settori dell’alta politica istituzionale). Questi dubbi torneranno di attualità nel 1992 con le stragi di Capaci e di via D’Amelio. Di concreto c’è che i mafiosi hanno avuto spesso rapporti con la massoneria e si è parlato del coinvolgimento di Cosa nostra in trame eversive, come il golpe Borghese, il rapimento di Moro, la vicenda Sindona, la strage del rapido 904 del 23 dicembre 1984, le stragi della primavera-estate 1993. La misteriosa vicenda del banchiere Michele Sindona è per ora l’unica che ha mostrato un complesso scenario di oscuri interessi e di attività criminose cresciute all'ombra di Cosa Nostra e della loggia massonica P2. Il primo magistrato palermitano che cerca di affrontare il rapporto tra mafia, politica ed economia è Rocco Chinnici. A capo dell'ufficio di istruzione di Palermo nel quale confluiscono le inchieste più scottanti, ha come suo più stretto collaboratore Giovanni Falcone, al quale Chinnici affida un pool di magistrati specializzati in inchieste sulla mafia. Chinnici ha il merito di aver dato il via a quell'istruttoria che porterà alla storica sentenza di rinvio a giudizio contro Abbate Giovanni + 706, alla base del primo grande processo contro Cosa Nostra. Chinnici viene fatto saltare in aria a Palermo con un’autobomba il 29 luglio 1983, davanti alla sua abitazione, in via Pipitone Federico, assieme a due agenti della scorta ed al portiere dello stabile. In alcuni appunti privati, Chinnici aveva steso le sue impressioni su molti colleghi, che gli apparivano collusi con la mafia e sugli intrecci stretti fra mafia e politica. In essi – va detto – c’era per la verità anche qualche appunto non proprio lusinghiero nei confronti dello stesso Falcone. IL MAXIPROCESSO A COSA NOSTRA A Chinnici subentra Antonino Caponnetto. E’ sotto il coordinamento di quest’ultimo che, il 29 settembre 1984, il pool antimafia dell'ufficio istruzione di Palermo emette 336 mandati di cattura tesi a colpire la struttura territoriale di Cosa Nostra, facente ormai capo ai corleonesi. Il 3 novembre 1984 viene arrestato, con l'accusa di associazione mafiosa e esportazione di capitali, Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo, considerato l’amministratore del “sacco di Palermo” e dell’edilizia selvaggia. Qualche tempo dopo è la volta di Nino e Ignazio Salvo, già potenti esattori delle tasse e uomini d'onore della famiglia di Salemi, in stretti rapporti con Salvo Lima. Intanto la recrudescenza di attentati si fa clamorosa: il 2 dicembre 1984 viene ucciso Leonardo Vitale, il primo “pentito” di mafia, mai creduto perché considerato pazzo. Il 2 aprile 1985, a Trapani, in un attentato contro il giudice Carlo Palermo, muoiono una donna ed i suoi due figli. L'8 novembre 1985 viene depositata la famosa ordinanza-sentenza contro Abbate Giovanni+706, firmata dal consigiliere istruttore Antonino Caponnetto, ma redatta da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello. La novità di quel provvedimento sta nel fatto che per la prima volta i magistrati sostengono che Cosa Nostra è un'organizzazione sostanzialmente unitaria, con una direzione rigidamente verticistica e piramidale. Il 28 luglio 1985 la mafia uccide il commissario Giuseppe Montana, capo della sezione catturandi della questura di Palermo. Il 2 agosto, durante un interrogatorio in questura, muore per le sevizie subite Salvatore Marino collegato da indizi proprio all'omicidio di Montana. La decapitazione dei vertici della questura fu immediata. Il 5 agosto viene assassinato il vice capo della mobile,
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