Nomi E Storie Delle Vittime Innocenti Delle Mafie

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Nomi E Storie Delle Vittime Innocenti Delle Mafie Nomi e storie delle vittime innocenti delle mafie a cura di Marcello Scaglione e dei ragazzi del Presidio “Francesca Morvillo” di Libera Genova Realizzato in occasione della mostra “900 Nomi vittime di mafia dal 1893 ad oggi” inaugurata ad Imperia il 21 Marzo 2016 in occasione della XXI Giornata della memoria e dell’impegno - ”Ponti di memoria, luoghi di impegno”. I nomi presenti nella mostra sono quelli accertati fino all'anno 2015, ed in particolare quelli letti a Bologna durante la XX Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie (21 marzo 2015). Il lavoro di ricerca, inizialmente limitato a quell'elenco, è stato poi implementato e aggiornato, comprendendo quindi le storie delle vittime innocenti i cui nomi sono stati letti durante la XXI Giornata della Memoria e dell'Impegno (21 marzo 2016). Sarà nostro impegno e cura eseguire successivamente gli aggiornamenti necessari. Siamo inoltre disponibili a intervenire sulle singole storie, laddove dovessero essere ravvisati errori e/o imprecisioni. EMANUELE NOTABARTOLO, 01/02/1893 Nato in una famiglia aristocratica palermitana, presto rimane orfano di entrambi i genitori. Cresciuto in Sicilia, nel 1857 si trasferisce prima a Parigi, poi in Inghilterra, dove conosce Michele Amari e Mariano Stabile, due esuli siciliani che lo influenzeranno molto. Avvicinatosi all'economia e alla storia, diventa sostenitore del liberalismo conservatore (quindi vicino alla Destra storica). Dal 1862 Emanuele Notarbartolo diventa prima reggente, poi titolare, del Banco di Sicilia, al quale si dedica a tempo pieno a partire dal 1876, salvandolo dal fallimento in seguito all'Unità d'Italia. Il suo lavoro al Banco di Sicilia inizia a inimicargli molta gente. Il consiglio della banca è composto principalmente da politici, molti dei quali legati alla mafia locale. Per di più, durante il governo Depretis, gli vengono affiancati due personaggi a lui ostili, tra cui il parlamentare Raffaele Palizzolo, colluso con la mafia locale da anni e le cui speculazioni avventate avevano creato non pochi screzi con Notarbartolo. Nel 1882 il marchese fu sequestrato per un breve periodo. Il 1º febbraio 1893, nel tragitto in treno tra Termini Imerese e Trabia, venne ucciso con 27 colpi di pugnale da Matteo Filippello e Giuseppe Fontana, legati alla mafia siciliana. Questo caso avrebbe acceso un importante dibattito sulla situazione della mafia in Sicilia e in Italia e, soprattutto, sulla collusione tra mafia e politica, ma inizialmente nessuno osò fare nomi. Nel 1899 la Camera dei deputati autorizzò il processo contro Raffaele Palizzolo come mandante dell'assassinio. Nel 1901 venne giudicato colpevole e condannato, ma nel 1905 fu assolto dalla Corte d'Assise di Firenze per insufficienza di prove, probabilmente sempre grazie ai suoi appoggi importanti. EMANUELA SANSONE, 27/12/1896 Emanuela era la figlia diciassettenne della bettoliera Giuseppa di Sano. I mafiosi sospettavano che la madre li avesse denunciati per fabbricazione di banconote false. L'episodio è analizzato nei rapporti del questore di Palermo Ermanno Sangiorgi. La madre della vittima ha collaborato attivamente con la giustizia: uno dei primi esempi del ruolo positivo delle donne, troppo spesso ignorato o dimenticato. LUCIANO NICOLETTI, 14/10/1905 Fu uno dei contadini più decisi a portare avanti il grande sciopero dell'estate-autunno 1893 per l'applicazione dei “Patti di Corleone”. Scioperare significava rifiutarsi di coltivare la terra dei padroni e quindi rinunciare ad avere dagli stessi "le anticipazioni" in frumento, che consentivano di sopravvivere e superare l'inverno. In previsione dello sciopero, allora, i contadini corleonesi organizzarono una “cassa di resistenza”, raccogliendo 300 salme di frumento e 2.500 lire, come dichiarò Bernardino Verro al giornalista Adolfo Rossi. In breve, però, la cassa fu prosciugata e tanti contadini per sfamarsi si ridussero a mangiare per settimane solo fichi d'India. Fu così anche per Luciano Nicoletti e la sua famiglia, ma questa situazione non fiaccò né la sua voglia di lottare né quella degli altri scioperanti, che alla fine riuscirono a piegare la gran parte dei padroni. Nicoletti fu in prima fila anche nelle lotte per le “affittanze collettive” e questo segnò la sua condanna a morte. I sicari mafiosi l’aspettarono in contrada San Marco la sera del 14 ottobre 1905, mentre tornava a piedi in paese, dopo una dura giornata di lavoro sui campi. Due colpi di lupara posero fine alla sua esistenza. Aveva 54 anni. ANDREA ORLANDO, 13/01/1906 Andrea Orlando fu medico e consigliere comunale, sostenitore delle lotte contadine per le “affittanze collettive” ed aiutò la costituzione della cooperativa “Unione agricola”. Andrea Orlando era nato a Corleone nel 1864, eletto socialista in Consiglio comunale, lottò per la moralizzazione dell'amministrazione comunale, in particolare contro l'abitudine diffusa di esonerare parenti e amici dal versamento delle tasse, a danno delle famiglie meno abbienti. Per la mafia, gli agrari e certi amministratori comunali, Andrea Orlando fu certamente una figura di disturbo, da eliminare. Fu assassinato con due colpi di lupara la sera del 13 gennaio 1906, all'età di 42 anni, mentre si trovava a Rianciale, Corleone (PA), dove possedeva un appezzamento di terra. GIUSEPPE (JOE) PETROSINO, 12/03/1909 Figlio di emigranti, divenne ben presto tenente della polizia di New York (NYPD), in particolare dell'Italian Legion, cioè gruppi di agenti italiani, a suo giudizio indispensabili per combattere la mafia americana. Stimato da Roosevelt per il suo impegno costante nel cercare di sconfiggere la mafia, allora chiamata Mano Nera, assicurò alla giustizia boss di alto calibro. Capì che la mafia, a New York, aveva le sue radici in Sicilia, tant'è che intraprese un viaggio in Sicilia per infliggerle il colpo mortale. I criminali di Little Italy si erano trovati improvvisamente di fronte ad un nemico che parlava la loro stessa lingua, che conosceva i loro metodi, che poteva entrare nei loro ambienti. Joe Petrosino nutriva una sorta di cupo, rovente rancore verso quei delinquenti che stavano dissipando il patrimonio di stima che gli immigrati italiani avevano costruito. Ciò non significava che egli non comprendesse le cause di quella situazione; gli era ben chiaro che oltre alle misure di ordine pubblico occorreva agire sulle cause della delinquenza: l'ignoranza e la miseria. Risolti brillantemente numerosi casi (il più celebre fu il "delitto del barile" nel 1903), abile nel travestirsi, rapido nell'azione, inflessibile e quasi feroce verso i criminali, divenuto quasi un simbolo della lotta a favore della giustizia e della legge, Joe Petrosino era stato via via assegnato ad incarichi di sempre maggiore responsabilità. Proprio seguendo una pista che avrebbe dovuto portarlo ad infliggere, forse, un decisivo colpo alla Mano Nera, Petrosino era giunto in Italia. La missione era top secret, ma a causa di una fuga di notizie tutti i dettagli furono pubblicati sul New York Herald. Petrosino partì comunque nell'erronea convinzione che in Sicilia la Mafia, come a New York, non si azzardasse a uccidere un poliziotto. Alle 20.45 di venerdì 12 marzo 1909, tre colpi di pistola in rapida successione e un quarto sparato subito dopo, suscitano il panico nella piccola folla che attende il tram al capolinea di piazza Marina a Palermo. C'è un generale fuggi fuggi: solo il giovane marinaio anconetano Alberto Cardella (Regia Nave Calabria della Marina Militare) si lancia coraggiosamente verso il giardino Garibaldi, nel centro della piazza, da dove sono giunti gli spari; in tempo per vedere un uomo cadere lentamente a terra ed altri due fuggire scomparendo nell'ombra. Non c'è soccorso possibile, l'uomo è stato raggiunto da quattro pallottole: una al collo, due alle spalle e un quarto mortale alla testa. Poco dopo si scopre che si tratta del detective Giuseppe Petrosino, il nemico irriducibile della malavita italiana trapiantata negli Stati Uniti, celebre in America come in Italia quale protagonista della lotta al racket. LORENZO PANEPINTO, 16/05/1911 Fu un maestro elementare, artista e politico italiano che partecipò a fornire la classe contadina di importanti strumenti contro i soprusi dei gabelloti feudali, quali le cooperative e le Casse Agrarie. Fu una figura emblematica del sindacalismo contadino in Sicilia dell'inizio del Novecento. Dopo aver trascorso un anno negli Stati Uniti nel 1907, nel 1911 fu assassinato a Santo Stefano di Quisquinia (AG) davanti a casa propria, con due colpi di fucile al petto. MARIANO BARBATO, GIORGIO PECORARO, 20/05/1914 Mariano Barbato fu un dirigente socialista in Sicilia, assassinato con il cognato Giorgio Pecoraro a Piana dei Greci (attuale Piana degli Albanesi) (PA) al termine della campagna per le elezioni amministrative che vedeva favoriti i socialisti. Il partito dell'ordine, infatti, rifiutando il dibattito democratico, si appoggiò alle organizzazioni mafiose per eliminare fisicamente l'avversario. Il fatto, dunque, riveste un’importanza politica in quanto basato sulla convinzione che eliminando un individuo si potessero sradicare gli ideali di cui questi era portatore. Il duplice omicidio suscitò profondo scalpore, anche per il rapporto di parentela esistente tra Mariano Barbato e Nicola Barbato, leader socialista noto a livello nazionale, e i socialisti vinsero comunque le elezioni. BERNARDINO VERRO, 03/11/1915 Dovette essere davvero un ribelle temerario questo Bernardino Verro da Corleone se, nel 1892, all'età di 26 anni, osò definire "usurpatori e sfruttatori
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