Bomba All'addaura
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Alle ore 07.30 del 21 giugno 1989 su una piattaforma in cemento sulla scogliera antistante la villa abitata dal giudice Giovanni Falcone in località Addaura, sul lungomare Cristoforo Colombo n.2731, gli agenti di polizia in servizio di vigilanza Lo Re, Di Maria, Lo Piccolo e Lindiri nel corso di una ricognizione rinvenivano una muta subacquea, un paio di pinne, una maschera tipo “Solana” ed una borsa sportiva contenente una cassetta metallica con numerosi candelotti di esplosivo innescato da due detonatori elettrici collegati ad un congegno elettro-meccanico comandato da una apparecchiatura radio-ricevente. Sul luogo del rinvenimento dell’esplosivo veniva chiamato ad intervenire l’artificiere dei carabinieri Francesco Tumino il quale, per impedire l’esplosione della carica radiocomandata, aveva provveduto a fare esplodere una microcarica per disarticolare il collegamento tra la sostanza esplosiva ed il meccanismo di innesco, i cui frammenti erano stati successivamente recuperati anche attraverso l’impiego di sommozzatori nello specchio di mare antistante, prima di aprire la cassetta metallica in cui era stato poi rinvenuto l’esplosivo. La particolare collocazione della carica esplosiva induceva gli inquirenti 1 immediatamente intervenuti sul luogo a ritenere che la stessa fosse diretta alla realizzazione di un attentato nei confronti del predetto magistrato, da tempo impegnato in prima linea in numerosi processi contro la criminalità organizzata e, in particolare, contro la pericolosa organizzazione mafiosa “cosa nostra”, quale esponente di punta del cd. “pool antimafia” costituito presso l’ufficio istruzione del Tribunale di Palermo dal consigliere Rocco Chinnici, ucciso pochi anni prima in un attentato realizzato con l’impiego di una auto-bomba collocata difronte all’ingresso della sua abitazione. Invero la carica esplosiva era stata rinvenuta a fianco della scaletta che conduce, attraverso un percorso pressochè obbligato, dalla abitazione estiva del dott. Falcone allo specchio di mare ove il predetto magistrato saltuariamente si recava ed ove, proprio in quei giorni, aveva invitato a prendere un bagno i componenti di una delegazione svizzera, di cui facevano parte il procuratore Carla Dal Ponte ed il giudice Carlo Lehmann, che da pochi giorni si trovava a Palermo per una attività giudiziaria, consistente nell’esame di diversi soggetti, tra cui esponenti di spicco della criminalità mafiosa palermitana, per una indagine collegata ai reati di criminalità organizzata di cui si occupava il giudice Falcone nell’ambito della propria competenza territoriale. Proprio quest’ultima circostanza aveva indotto gli inquirenti a ritenere possibile, anche in considerazione dei pregressi intensi rapporti di cooperazione nell’azione di contrasto alla criminalità mafiosa tra l’autorità giudiziaria italiana e la magistratura 2 elvetica e, in particolare, tra il giudice Giovanni Falcone ed i magistrati elvetici sopra indicati, che l’attentato in questione fosse diretto a colpire, oltre che il giudice Falcone, anche i componenti della delegazione svizzera presente in quei giorni a Palermo. Le indagini prontamente avviate e l’espletamento di idonee consulenze esplosivistiche consentivano di ricostruire con sufficiente chiarezza le modalità esecutive del programmato attentato. Approfondite indagini venivano inoltre avviate sia per individuare le persone che avevano frequentato il tratto di scogliera ove era stato trovato l’ordigno esplosivo nei giorni precedenti il rinvenimento, sia per scandagliare la recente attività giudiziaria svolta dal giudice Falcone alla ricerca di un possibile movente per l’attentato, che fortunatamente era fallito a causa della mancata realizzazione del programmato bagno a mare insieme a componenti della delegazione elvetica e grazie alla scoperta del congegno esplosivo ad opera del personale di polizia addetto alla vigilanza della villa presa in affitto per il periodo estivo dal dott. Falcone. Tali indagini, tuttavia, pur confermando genericamente l’ipotesi di un attentato mafioso, non avevano consentito di accertare i responsabili della azione delittuosa fin quando le dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia, tra cui innanzitutto Ferrante Giovan Battista e Onorato Francesco, portavano ad individuare Biondino Salvatore, Madonia Antonino, Galatolo Vincenzo e Galatolo Angelo come autori materiali dell’attentato e Riina Salvatore come mandante dell’azione 3 delittuosa. A seguito delle ulteriori indagini sviluppate dopo l’acquisizione delle suddette dichiarazioni, veniva emessa ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti dei predetti imputati dal GIP presso il Tribunale di Caltanissetta e, con successivo decreto del 15-6-1998, veniva disposto il rinvio a giudizio dei medesimi imputati per rispondere dei reati di strage e di porto e detenzione illegale di esplosivi precisati in epigrafe. Nel corso del dibattimento innanzi a questa Corte di Assise, dopo la costituzione delle parti, la soluzione delle questioni preliminari e l’ammissione delle prove, si dava corso alla istruzione dibattimentale, nel corso della quale si procedeva all’esame dei consulenti tecnici De Logu Giovanni, Lo Torto Giuseppe, Cabrino Renzo, Vassale Roberto, Corazza Giancarlo, Egidi Paolo, Sofia Giuseppe all’esame ai sensi dell’art.210 c.p.p. di vari collaboratori di giustizia, tra cui Brusca Giovanni, Siino Angelo, Lo Forte Vito, Di Maggio Baldassare, Di Carlo Francesco, Favaloro Marco, Anzelmo Francesco Paolo, Ganci Calogeto, Cancemi Salvatore, Mutolo Gaspare, all’esame degli imputati, collaboratori di giustizia, Ferrante Giovan Battista e Onorato Francesco, all’esame mediante commissione rogatoria internazionale dei testi Brugnetti Guglielmini Tatiana, Rusconi Daniele, Gianoni Filippo, Lehmann Calaudio e Gianoni Franco, nonché all’esame di numerosi testi, tra cui Schipani Stanislao, Marranca Carmelo, Longo Guido, Del Ponte Carla, Gioia Clenente, Di Maria Gaspare, Lo Re Gaetano, Scolaro 4 Livia, Paliano Aurora, D’Ambrosio Vito, Ayala Giuseppe Maria, Bo Mario, Vaccara Pietro Maria, Lentini Giuseppe, Masone Fernando, Sica Domenico, Misiani Francesco, Fici Giuseppe, Bertolini Domenico, Arrampatore Salvatore, Todaro Maurizio, Ganci Chiodo Vincenzo, De Gennaro Giovanni, Siracusa Luigi, Morvillo Alfredo, La Barbera Arnaldo, Martelli Claudio, Falcone Maria, Perrone Massimiliano, Corradi Roberto, Montanaro Salvatore, Montana Claudio, Tumino Francesco, Di Simone Fabrizio, De Bilio Carmelo, Scinetti Mario, Brancato Giuseppe, Mori Mario, Lo Piccolo Angelo, De Luca Antonio, Lipari Graziano, D’Arpa Loredana, Vassallo Santo, Buttiglieri Salvatore, Contini Giovanni, Gottuso Francesco, Scaletta Giuseppe, Pancrazi Vincenzo, De Luca Alfonso, Billitteri Francesco, Cosentino Salvatore, Spina Giovanni, Tavolacci Giuseppe, Giordano Giovanni, Cerullo Silvana, Bonaccorso Gaetano, Ammirata Salvatore, Parente Mario, Garelli Emanuele, Finelli Luigi, De Caprio Sergio, Bolzoni Attilio, La Licata Francesco, Maniscaldi Vincenzo, Galvano Luigi, Manganelli Antonio, Fagiano Carmelo, Cuoco Pasquale, James Brown, Paul Hayes, Charles Rooney, Carmine Russo, Guglielmini Luciano, nonché, infine all’esame dell’imputato Madonia Antonino. In esito alla compiuta istruzione dibattimentale le parti concludevano nei termini precisati in epigrafe ed all’udienza del 27-10-2000 la Corte decideva come da separato dispositivo pubblicato mediante lettura in pubblica udienza. 5 MOTIVI DELLA DECISIONE CAPITOLO I -Ricostruzione del fatto- Nel giugno del 1989 il dott. Giovanni Falcone aveva preso in locazione una villetta in zona Addaura, sul lungomare Cristoforo Colombo al n. civico 2731, che aveva un diretto sbocco sul tratto di mare antistante attraverso un passaggio che terminava in una piattaforma in cemento ove si giungeva tramite una rampa di sei gradini accanto ad uno scoglio. Proprio nella rientranza compresa tra detto scoglio e la rampa di gradini il mattino del 21 giugno del 1989, verso le ore 7,30, gli agenti addetti alla protezione del dott. Falcone rinvennero una borsa di plastica di colore azzurro con la scritta “Veleria S. Giorgio” e nei pressi di tale borsa una muta subacquea, marca “Cressi” di colore blu, una maschera da sub marca “Mares”, modello “Solana” ed un paio di pinne marca “Cressi”, modello Rondine. L’apertura della cerniera della borsa sportiva aveva immediatamente rivelato la possibilità che la borsa celasse un micidiale ordigno, in quanto si intravedevano dei congegni elettronici ed 6 una scatola metallica con dei fili che fuoriuscivano, per cui era stato dato immediatamente l’allarme alle forze di polizia che erano giunte poco dopo sul posto. I primi rilievi della polizia scientifica avevano consentito di accertare che la borsa sportiva conteneva una scatola di plastica bianca, del tipo per alimenti, con un coperchio rosso e la scritta “GEBOX”, nonché una cassetta in lamiera zincata. Il coperchio del contenitore in plastica presentava un piccolo foro ovale del diametro di circa 5 cm, attraverso cui era possibile distinguere una ricevente radio FM, marca “EXPERT SERIES SANWA”, che operava sulla frequenza VHF di 35 Megahertz. La cassetta metallica ed il contenitore in plastica erano avvitati ad una base di legno di cm 72 x 22 e presentavano dei fili elettrici di collegamento, per cui appariva subito fondata la possibilità che si trattasse di un ordigno esplosivo. Data la gravità della situazione e l’evidente difficoltà di operare su un congegno sconosciuto si decideva di richiedere l’intervento di un artificiere esperto in antisabotaggio.