anno secondo | n. 3 | 2013 ISNN 2280-1669 © 2013 editpress
Milazzismo, autonomismo e crisi dei partiti nella Sicilia degli anni cinquanta di Andrea Miccichè
L’elezione di Milazzo alla Presidenza della regione siciliana nell’ottobre del 1958, contro il volere del suo stesso partito, non fu solo il riflesso di una battaglia contro la corrente Fanfaniana di Iniziativa democratica che aveva espresso nell’isola il governo La Loggia e che avrebbe voluto imporre alla Presidenza il catanese Lo Giudice1. Quell’esperienza che vide insieme dis- sidenti, democristiani, socialisti, missini, comunisti e monarchici fu l’esito contraddittorio e contrastato di una serie di tensioni presenti da tempo in una società in via di modernizzazione. Sul tappeto vi erano in particolare i temi dello sviluppo e dell’industrializzazione che avevano attribuito legit- timità all’autonomia e che animavano il dibattito pubblico da un decennio, generando tensioni tra i partiti politici e all’interno di questi. D’altra par- te, come sosteneva Sturzo, il regime autonomistico avrebbe dovuto favo- rire un’industrializzazione razionale e completa dell’isola2. Quello avreb- be dovuto essere il suo scopo originario. Pertanto era naturale che la di- fesa dell’autonomia si intrecciasse con i temi del nuovo meridionalismo3, con gli indirizzi della Cassa del Mezzogiorno, con il dibattito sul primato dell’iniziativa privata o sulla preminenza dell’industria di Stato. Era com- prensibile che questioni come la riforma agraria, la difesa di alcune produ- zioni (vino, grano duro) o l’ingresso del paese nel MEC animassero i lavo- ri dell’Assemblea regionale, generando tensioni non solo tra i partiti, ma anche tra un centro, spesso rappresentato come ostile, a cui corrispondeva una periferia vessata da poteri più forti. Il conflitto aveva numerosi prota- gonisti, vecchi e nuovi, ciascuno in difesa di un’idea precipua di sviluppo regionale: le nuove figure dei “mediatori” capaci di intercettare i flussi di denaro pubblico, così ben descritti in passato dalla Gribaudi4 e da Cacia- gli5; le vecchie classi agrarie in via di smobilitazione, di cui lo stesso Milaz-
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1. Sicilia anni cinquanta
Sicilia anni cinquanta7, è una panoramica affascinante, e a tratti impie- tosa, di una geografa francese, Renèe Rochefort, un viaggio di ispirazione braudeliana che ha per contenuto i rapporti sociali ed economici, le culture diffuse e le peculiarità locali. La Sicilia della Rochefort era una terra ricca di contrasti dove l’arretratezza cronica o le pratiche più primitive convive- vano con trasformazioni profonde del tessuto economico e sociale, soprat- tutto in alcune aree. D’altra parte questo contrasto tra passato e futuro in quegli anni appariva talvolta stridente. Le cronache giornalistiche che rac- contavano degli aggrottati di Scicli – resi celebri dalle testimonianze di Pa- solini, Levi e Guttuso – per esempio, contenevano anche le descrizioni dei nuovi insediamenti industriali e di quei nuovi operai del siracusano, poi studiati dal sociologo Franco Leonardi8. Se Scicli e Augusta distavano po- chi km, quelle testimonianze ci raccontavano di realtà ormai lontane e ir- riducibili. Allo stesso modo i banditi e i miseri quartieri di Danilo Dolci9 vivevano ai margini delle nuove città che si espandevano impetuosamen- te assorbendo popolazione, manodopera e flussi di denaro pubblico. Ogni località, ogni area dell’isola era in via di trasformazione, ma lo faceva gra- dualmente, con tempi ed esiti diversi. L’isola non era solo quella descritta da Sciascia con le Parrocchie di Regalpetra o da Carlo Levi con le Parole sono pietre. Catania, per esempio, che veniva enfaticamente rappresenta-
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Manifestava chiaramente che non si voleva suscitare in Sicilia un’attività indu- striale concorrenziale ad alcuni gruppi industriali operanti nel Nord. Questa tesi pregiudicava le possibilità di investimento ad un numero ristrettissimo di iniziative41.
Le piccole e medie imprese locali dovevano essere il nucleo di uno svi- luppo industriale autonomo, che secondo La Cavera poteva anche essere trainato dagli investimenti dei grandi gruppi privati. Ma in questa logica le concessioni per lo sfruttamento delle risorse siciliane e l’accesso alle fonti di finanziamento per le grandi imprese dovevano garantire oppor- tunità di lavoro per le imprese locali. Un’impostazione che faceva cadere ogni preclusione alla presenza dell’industria di Stato, in una fase in cui Mattei cercava di inserirsi nello sfruttamento delle risorse isolane42. Le vicende siciliane finivano, così, con il contribuire al conflitto già in atto tra Mattei e Confindustria. Inoltre per sopperire alla scarsità di credito disponibile per le imprese, altra questione fondamentale per La Cavera, si auspicava l’istituzione di una società finanziaria regionale che svolges- se una funzione di stimolo all’attività industriale. Una richiesta che tro- vava un consenso trasversale a sinistra come in alcuni settori della Dc, in particolare in Alessi che veniva eletto Presidente della regione proprio nell’estate del 1955 al posto di Franco Restivo, uomo della destra demo- cristiana e vicino agli ambienti agrari43. L’elezione di Alessi era il segnale di un mutamento degli equilibri, il riflesso di un disegno politico che accoglieva alcune istanze riformatrici, senza intaccare le posizioni di forza democristiane. Ma per quanto pru- dente questa apertura rafforzava il fronte di chi sosteneva l’opportunità di un ruolo programmatorio delle istituzioni regionali per sostenere lo svi- luppo. Il suo discorso di insediamento del 18 ottobre 1955 era già un ma- nifesto dei suoi intenti. Secondo Alessi era necessario oltrepassare i pri- mi due tempi dell’autonomia, quello della «inserzione dello statuto nella Costituzione» e quello di «consolidamento e sviluppo della vita legislati- va e amministrativa» culminato nell’approvazione della riforma agraria e «nell’impostazione del fondo di solidarietà». Era necessario l’avvio di una nuova fase, quel «terzo tempo dell’autonomia», che coincideva con l’annuncio di un «piano generale quinquennale straordinario di sviluppo economico e sociale» che interessasse tutti i settori produttivi. L’impegno prioritario del governo riguardava però le politiche industriali che dove- vano «incoraggiare la classe degli organizzatori reali delle nostre energie di lavoro», ammettendo per necessità «un certo grado di dirigismo […]
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2. La DC è una polveriera
Dopo il congresso di Napoli del 1954, con la segreteria Fanfani, si apriva una nuova stagione politica per la DC. Nella visione del nuovo segretario il partito era la «quintessenza della democrazia»48, e pertanto doveva or- ganizzarsi come soggetto moderno, di massa, in grado di penetrare ogni ganglio della società. Più concretamente la Dc fanfaniana si trasformava in un partito macchina finalizzato al conseguimento e all’organizzazione di clientele e consenso, in una fase di espansione dell’economia e di am- pliamento delle funzioni dello Stato49. Ne derivava una riorganizzazione in senso centralistico del partito che ambiva a rendersi autonomo dall’in- fluenza ecclesiastica, cercando al contempo di assorbire al suo interno le differenti istanze provenienti dalla società italiana, proponendosi come strumento di mediazione. Il nuovo corso coincideva con l’apertura gra- duale ad un dialogo con i socialisti come mezzo per superare la formu- la del centrismo, ritenuta ormai inadeguata. Un’eventualità che destava forti opposizioni negli ambienti cattolici più conservatori, così come nel- la destra missina, che così vedeva vanificata ogni prospettiva di apertura a destra, e nello stesso PCI che temeva di rimanere isolato. Anche all’in- terno della DC la riorganizzazione fanfaniana destava forti malumori in un fronte ampio ed eterogeneo di forze che includeva centristi ex popo- lari, andreottiani, pezzi della sinistra del partito e personaggi di grande prestigio come Luigi Sturzo, alfiere allora di una dura invettiva contro lo strapotere dei partiti e contro l’intervento dello Stato in economia, di cui Fanfani era invece fautore. Queste vicende avevano ripercussioni anche sulla politica siciliana. Qui le correnti fanfaniane emergevano con forza incontrando l’opposizione, in particolare, della vecchia guardia popolare che aveva un riferimento in personaggi come Scelba, Alessi, Milazzo, Aldisio e Restivo50. A Catania, per esempio, la componente fanfaniana, con Magrì e Drago in testa, aveva rapidamente scalzato la leadership dei “calatini” legati a Scelba e Milazzo, impadronendosi gradualmente della macchina amministrativa – in parti- colare dell’ente provinciale diretto per alcuni anni dallo stesso Drago – e delle leve dell’intervento pubblico51. Lo strapotere fanfaniano si rivelava nella capacità di raccattare tessere, con esiti spesso quanto meno sospetti. Così nel 1959 nella provincia di Catania risultavano iscritte 59 mila perso- ne e a Milano appena 13 mila, mentre in un piccolo centro della provincia come Grammichele gli iscritti erano 2780 a cospetto di soli 1600 elettori delle precedenti elezioni52. Fatti analoghi accadevano anche a Paternò, nel feudo del fanfaniano Barbaro Lo Giudice, nel 1954:
I dirigenti locali hanno inviato a molte persone che mai si erano sognate di iscri- versi alla DC una lettera con la quale le si informava che erano state ammesse al partito democristiano. Sempre a Paternò diversi DC si sono presentati alle urne
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tenendo in mano mazzi di tessere intestate a persone del tutto ignare di figurare tra gli iscritti della DC pretendendo di votare per esse […]53.
Queste tensioni in certi casi rivelavano una rivalità generazionale – co- me nel caso dei giovani “turchi” Lima, Gioia, Drago Gullotti – ma spesso si innestavano anche su contrapposizioni locali pre-esistenti. Ad Agrigen- to, per esempio, la conflittualità interna alla DC tra il gruppo dell’avvocato Di Leo e quello di Giuseppe La Loggia discendeva dall’esistenza di fazioni radicate sul territorio che avevano come riferimento vecchi notabili come Enrico La Loggia (padre di Giuseppe) e Angelo Abisso (zio di Di Leo)54. Inizialmente si era stabilito un equilibrio tra le due fazioni, con Di Leo a gestire il partito e La Loggia a presidiare i centri economici. Il gruppo dei fanfaniani organizzato attorno alla figura di Rubino, aveva scalzato però gradualmente Di Leo dagli organismi del partito e lo stesso Rubino era di- venuto segretario provinciale nel 1956. L’adesione improvvisa alla corren- te di Fanfani di La Loggia rompeva però i nuovi equilibri. Questi prima ap- poggiava la corrente fanfaniana, poi gradualmente la inglobava:
Paladino a Roma del nuovo metodo di rinnovamento del Partito ad Agrigento era tutta un’altra cosa e procedeva la sua lotta contro il gruppo di Di Leo serven- dosi di tutti i più scaduti mezzi del vecchio metodo clientelare, accattivandosi in cambio l’antipatia di sempre più larghi strati della più viva base democristiana non disposta al mercanteggiamento della propria adesione e convinta che il rin- novamento auspicato fosse una ben diversa cosa55.
Anche la faida nissena56 tra Alessi e i fanfaniani Lanza e Volpe era la prosecuzione di durissime tensioni che avevano già imposto il commissa- riamento della federazione nel 1952. Anche allora il commissario Attilio Salvatore aveva inviato a Gonella una relazione preoccupata e:
[…] chi è in contrasto verso una parte viene comunemente definito “avversa- rio”, normalizzando così un atteggiamento e una condotta di aspra avversio- ne o forse anche di odio. Così in parecchi paesi della provincia la Democrazia Cristiana rimane divisa in due parti come in due zone dove accampino schiere nemiche. Divisione che si riflette anche nelle fila dell’organizzazione cattolica ed anche, in parte, nel clero. Sintomo ed espressione di tutto ciò sono anche le modalità che sono state seguite in diversi centri della provincia per il tesse- ramento: inflazioni elefantiache in alcuni posti, limitazioni ed esclusioni rigi- dissime in altri, ciò alfine, facilmente comprensibile di precostituire determi- nate maggioranze […]57
Le resistenze legate alla “riorganizzazione fanfaniana” si intrecciavano con le asprezze della politica locale e regionale con esiti spesso clamorosi. Alessi, per esempio, alla vigilia del congresso provinciale del 1956, aveva
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Come si vede, un quinto della popolazione che dà alla DC meno di un sesto dei voti dell’intera provincia detiene quasi il 50% delle tessere! invece quattro quin- ti della popolazione (che danno alla DC i cinque sesti dei voti) detengono meno della metà delle tessere! Cioè il partito è monopolizzato dai gruppi che detengo- no le tessere di alcuni paesi di scarsissima importanza sia demografica che po- litica per la DC e il resto della popolazione non ha la possibilità di esprimersi al congresso provinciale58.
Certi metodi spregiudicati non erano appannaggio di una corrente in particolare e certamente non potevano essere considerati un’innovazione delle nuove generazioni fanfaniane. A Torretta, per esempio, il parroco del paese invocava direttamente l’aiuto di Fanfani (attraverso l’interme- diazione di Gullotti) per «mettere a riposo» l’allora Presidente della Re- gione Restivo reo di:
gettar fango […] sul suo partito nella stessa indecente e indegna maniera di mo- narchici e comunisti ai quali noi rimproveriamo il ricatto di voti attraverso la distribuzione di pacchi e materiale […]59.
Difatti secondo il parroco, sindaco e vice-sindaco democristiano di Tor- retta, avevano prima invitato i compaesani a recarsi a Palermo per il co- mizio di Restivo in cambio di mille lire e di un panino con la mortadella, e poi avevano chiesto il voto per il politico palermitano distribuendo «pasta, zucchero, patate e formaggio fracido e puzzolentissimo»60. Le accuse reciproche delle fazioni in lotta e le velleità moralizzatrici di ciascuna di esse erano parte di una conflittualità che spesso trascendeva la normale dialettica democratica, rivelando l’esistenza di fratture profonde nella classe dirigente democristiana. I giochi di corrente nazionali attecchi- vano quindi naturalmente su un fertile sostrato di rivalità locali, una vera e propria catena di relazioni che si muoveva in entrambi i sensi dal livello re- gionale fino al più piccolo paesino dell’entroterra, generando schieramenti eterogenei e spesso fluidi. Del resto la prassi tutta siciliana dei “franchi tira- tori”, era il segnale forse più evidente dell’esistenza di un grave frammen- tazione del partito di maggioranza, che aspirava a rappresentare una so- cietà complessa al cui interno si muovevano gruppi con interessi non sem- pre armonizzabili. Ne era vittima Alessi nel 1956, sfiduciato implicitamente dal rigetto del bilancio, ma ne era minacciato anche il governo La Loggia, espressione diretta della nuova leadership fanfaniana. Questi inaspriva le ostilità verso la fazione ex popolare della DC estromettendo Milazzo dal governo e indirizzando Alessi verso la presidenza dell’Assemblea. L’opera- zione però riusciva a metà. Il sistema di doppia fiducia, al presidente e ai
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[…] Ho dovuto dolorosamente constatare come si persista nel porre la Sicilia in condizioni di svantaggio in rapporto alle altre regioni del mezzogiorno e come si continui a considerare con criteri non corrispondenti a dati obiettivi le condi-
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zioni di grave depressione economica e sociale dell’isola e come infine si poggi la giustificazione di tale orientamento su artificiosi calcoli e formule anziché su constatazioni facilmente eseguibili e delle effettive esigenze64.
Secondo La Loggia gli stanziamenti statali in opere pubbliche erano passati da 9,6 miliardi del 1952-1953 a 2,5 miliardi, con pesanti tagli so- prattutto nelle assegnazioni per i danni bellici, nonostante nell’isola, fino al 1955, solo il 2% dei vani risultasse ricostruito, contro una media nazio- nale del 20%. Per quanto riguardava le opere idrauliche in Sicilia venivano investite risorse solo nell’area del Simeto per un ammontare di 4 miliardi, corrispondente solo al 3,33% dello stanziamento globale di 120 miliardi in 12 anni. Rispetto alla Cassa del Mezzogiorno le erogazioni erano state fino ad allora pari al 17,66% sul totale, nonostante fossero state previste per la Sicilia somme pari al 26,5% degli stanziamenti, e sarebbero ulteriormente diminuite dopo la legge di proroga della Cassa del 1957.
[…] si può concludere che il fondo di solidarietà anziché costituire un plus da destinare ad una specifica finalità su un piano di perequazione regionale, entra con funzione compensativa nel totale delle assegnazioni dei fondi pubblici sta- tali alla Sicilia venendosi così a neutralizzare uno dei principali effetti anzi quel- lo essenziale dal punto di vista economico, che dall’istituto Autonomistico sici- liano si attende in conformità al suo statuto65.
A inasprire i rapporti contribuivano anche le frequenti interpretazioni restrittive dello Statuto da parte dei ministeri «intese da un lato a ridurre gli interventi finanziari dello Stato, dall’altro a ridurre o a negare la compe- tenza della Regione riconosciuta dalle norme stesse». Un’ostilità da parte degli organi centrali dimostrata dalle frequentissimi impugnative di leggi da parte del commissario dello Stato, spesso motivate da motivi meramen- te formali. In un contesto simile la mancata integrazione dell’Alta Corte nella Corte Costituzionale generava polemiche in una classe dirigente che vedeva «nell’attacco allo speciale organo di garanzia costituzionale un di- retto attacco all’essenza stessa dell’autonomia»66. La dialettica centro-periferia di cui la DC si faceva interprete sin dal- la nascita della regione autonoma, si era svolta fino ad allora all’interno di un partito eterogeneo e onnicomprensivo, seguendo una direzione che dal basso, sin dal più piccolo centro dell’isola, giungeva sino a Roma. Anche su questa costante contrattazione con un centro dispensatore di provve- dimenti e di risorse si era strutturato il potere e il radicamento democri- stiano. Proprio il buon funzionamento di questo meccanismo aveva con- tribuito a legittimare l’istituto autonomistico, che in fin dei conti era stato edificato sulla promessa del superamento di un divario economico storico. L’irrigidimento di questa relazione rischiava di far esondare tensioni non più facilmente controllabili dalla classe dirigente locale. Ne era consape-
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Il tentativo di riforma della legge sull’industrializzazione, quindi il suo nuovo indirizzo pro Italcementi, pro Montecatini, pro Edison etc.; ed infine l’ingiusti- ficato ritardo nella costituzione degli organi dei nuovi strumenti finanziari pre- disposti dalla legge, sino alla loro consegna nelle mani di fiduciari dei sullodati gruppi di pressione69.
Inoltre veniva stigmatizzata la pratica di collocare nei vari gangli dell’amministrazione «parenti», «intimi amici», «dipendenti e funzio- nari di partito», distinguendo tra “deputato di partito”, se aderenti alla corrente fanfaniana, e “deputato che non è di partito” in caso contrario. Questa politica di concentrazione di poteri e risorse in poche mani – si scriveva nel promemoria – si era basata sull’indisciplina di partito, ovve- ro su quella pratica «dei franchi tiratori» che aveva causato la bocciatura di Restivo e di Alessi:
[…] E dire che nel maggiore dei casi l’esser diventato “iniziativista” per un depu- tato è dipeso dalla maggiore velocità adoperata nel trasformarsi in “direziona- lista”, rispetto al competitore, lasciato nei guai dell’opposizione. Basterà accen- nare che, per esempio, l’assessorato ai LLPP per via di questa politica di accen- tramento nelle mani dei “fidati” dei “patrioti” disponeva della programmazione per oltre 200 miliardi di stanziamenti: 75 miliardi dal fondo di solidarietà; 50 miliardi dalla legge per le case fatiscenti; 30 miliardi di opere della Cassa del
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Mezzogiorno; 15 miliardi circa per viabilità minore o per case dei pescatori; 10 miliardi circa, per altri stanziamenti del bilancio ordinario; 4 miliardi per l’ae- roporto di Palermo; 20 miliardi per lavori di bonifica […]70.
Ma a pesare erano anche gli scarsi successi, soprattutto nella «riso- luzione dei problemi sottoposti al giudizio del governo nazionale (grano duro, interventi dell’IRI, stanziamenti della Cassa del Mezzogiorno, crisi zolfifera e viti-vinicola, commesse, autostrade, legge speciale per Paler- mo, Alta corte.)». Al contrario, per alcuni esponenti di primo piano del- la DC siciliana, tra cui lo stesso La Loggia71, dietro la caduta del governo si celavano gli interessi delle «forze dell’intermediazione parassitaria in politica e in economia», rappresentate dalla Sicindustria di La Cavera, e delle «forze dell’intermediazione affaristica nel campo agricolo», pros- sime tradizionalmente ad una parte della DC, ai liberali e ad altri setto- ri della destra. Secondo i maggiorenti della DC la rappresentanza parla- mentare democristiana era risultata così poco coesa, proprio perché già durante la tornata elettorale del 1955 questi gruppi di interesse avevano finanziato candidature che fossero una propria emanazione. Nel gioco si erano inserite anche le forze di sinistra che avevano fatto leva sulle dis- sidenze interne alla DC. In fin dei conti erano state proprio queste dissi- denze ad agitare di volta in volta «problemi di difesa dell’autonomia (Al- ta Corte, Costituzionale)», «rivendicazioni riparazioniste (stanziamenti dell’art 38 e della Cassa del Mezzogiorno)» o difese «del prodotto sici- liano (grano duro e vino) contro la vessatrice ed anti autonomistica di- rezione DC, nei confronti della quale si reclamavano, sotto la specie di una rivalutazione dell’indipendenza del mandato parlamentare, struttu- re di partito o comunque atteggiamenti autonomi»72. Si trattava, dunque, di un’operazione di lungo periodo, «per lungo tempo coltivata», favori- ta dalla debolezza della direzione del partito nei confronti di coloro «che con atti di indisciplina e di evidente collusione con forze esterne, soprat- tutto di sinistra» attentavano all’unità della Democrazia Cristiana. In queste ricostruzioni, certamente non imparziali, erano concentrati tutti i nodi di un dissenso che era andato ben al di là della sempre aspra dialettica interna alla DC. La conclusione dell’esperienza di governo di La Loggia era infatti il preludio di una fase caotica, che la DC non riusciva né a gestire né a comprendere in pieno. Contribuiva naturalmente anche il qua- dro politico nazionale, caratterizzato da una crescente e generalizzata op- posizione al potere di Fanfani, in quel momento Presidente del Consiglio, ministro degli esteri e segretario della DC, a cui facevano seguito riposizio- namenti anche all’interno della sua stessa corrente, con la nascita, poi, del nuovo raggruppamento doroteo nel corso del 195973. Quel «terzo tempo dell’autonomia» di cui parlava Alessi coincideva, dunque, con una fase ca- ratterizzata da numerose linee di tensione variamente intrecciate: Le fai- de interne alla DC, dovute a conflittualità spesso pre-esistenti e fomentate
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[…] Abbiamo voluto l’autonomia, abbiamo combattuto per essa, non soltanto per realizzare qui una vita democratica come era imposto dalle condizioni sto- riche in tutto lo sviluppo del nostro Paese, ma per porre fine allo sfruttamento e all’oppressione del popolo siciliano. […] e la nostra esperienza ci dice che ogni qualvolta questa concezione dell’autonomia si è attenuata e offuscata non si è andato avanti, anzi si sono avuti arretramenti e sconfitte83.
La divaricazione tra ansie di benessere e arretratezza di vaste porzioni della società siciliana, le difese conservatrici degli assetti economici e le ri- chieste di maggior interventi per lo sviluppo, la complessa trama delle re- azioni, in positivo o in negativo, ai processi di modernizzazione in atto, ge- neravano aspettative a cui il richiamo indeterminato all’autonomismo da- va risposte, seguendo una dinamica comune alla nascita di altri sentimenti regionalisti, o piccolo-nazionalisti in Europa84. L’operazione Milazzo diveniva da subito un catalizzatore delle tensio- ni e delle speranze esistenti nella società siciliana trovando un consenso
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[…] lo stato dell’opinione pubblica in questo momento è veramente allarman- te perché questa demagogia autonomista e questa demagogia nazionalista sulla quale Milazzo e qualche altro cercano di puntare per creare una cer- ta psicosi che si riversa anche contro i partiti e le varie direzioni. C’è al fon- do un’atmosfera a carattere poujadistico, perché qualcuno guarda al “povero Silvio” come al “novello De Gaulle” della situazione siciliana. […] L’opinione pubblica è sensibilizzata da uno stato d’irritazione e oggi è stata esasperata da questa campagna, alla quale hanno finito per cedere con molta facilità anche alcuni degli organismi di informazione locale.[…] io ho avuto un lungo collo- quio con il direttore del “Giornale di Sicilia” che contribuisce certamente in maniera notevole per l’opinione pubblica della Sicilia occidentale, e mi ha det- to che il governo a carattere amministrativo della regione risponde ad una sua vecchia aspirazione. […] Poi mi ha detto chiaramente: non intendo mettermi contro l’opinione pubblica85.
Non era estranea a questo consenso una domanda diffusa di moraliz- zazione della politica, forte anche nel mondo cattolico ed ecclesiastico86, che si identificava con la ribellione ad un sistema di potere radicato e che trovava nell’autonomismo un simbolo e nella persona di Milazzo un per- sonaggio in grado di incarnarlo. Ciò che emergeva era anche l’incapacità della DC di assumere il suo storico ruolo di mediazione tra istanze locali e politiche nazionali, che fino ad allora era stato punto di forza del partito in Sicilia. Una situazione che spingeva il Presidente della Repubblica Gronchi a rivolgersi al Presidente del consiglio Fanfani per ipotizzare una possibi- le revisione degli statuti speciali finalizzata a «quel risanamento morale e politico della vita regionale che appare ormai indilazionabile» e che la vi- cenda Milazzo aveva reso più eclatante. Una posizione certamente non iso- lata e che aveva trovato anche in Scelba un convinto sostenitore nel passa- to, almeno prima che la vicenda Milazzo divenisse una pedina nella partita contro Fanfani87. Invece per Gronchi proprio i fatti siciliani denotavano al massimo livello quelli che definiva «problemi di costume», quali «l’inte- grale parificazione delle indennità parlamentari e dei privilegi de benefici correlativi, e la trasformazione degli assessorati in veri e propri Ministeri in tutto simili a quelli nazionali», l’inflazione burocratico-amministrativa e la consuetudine ad approvare i bilanci in ritardo rispetto alle stesse pre- visioni statutarie (ovvero entro il mese di gennaio). Inoltre si contestava un’interpretazione della potestà tributaria regionale che non poteva sur- rogare la potestà dello Stato, ma essere aggiuntiva «nell’ambito dei crite- ri tributari generali», per non ledere il principio dell’unità fiscale. Rispet- to al Fondo di solidarietà nazionale, se ne chiedeva l’abolizione, destinan- do in cambio alle casse regionali le aliquote di alcune imposte come quella
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[…] In altri termini, sembra lecito ritenere che l’autonomia politica riconosciu- ta dalla Costituzione alla Regione Siciliana essendo tassativamente ristretta al- la funzione legislativa non possa che rimanere attribuzione propria dell’organo al quale la Costituzione medesima attribuisce l’esercizio di tale funzione e cioè dell’Assemblea Regionale89.
L’analisi di Gronchi si concludeva con la proposta shock di far nomi- nare il Presidente della regione dal Presidente della repubblica, una vol- ta sentiti i presidenti dei gruppi dell’Assemblea regionale, seguendo uno schema proprio di «un regime direttoriale»90. Si trattava di un’interpre- tazione che stravolgeva radicalmente la prassi politica isolana, concepen- do le istituzioni autonomistiche come articolazioni di secondo livello, su- bordinate ad uno stato centrale sovrano. Non era solo l’operazione Milaz- zo a essere delegittimata, ma anche l’idea stessa di un’eccessiva politiciz- zazione del governo regionale che veniva rappresentato come organo con «funzioni esecutive ed amministrative», comunque sottoposto alle diret- tive del governo. In questo caso era evidente la volontà di destrutturare tutta la costruzione autonomistica, disconoscendo implicitamente quelle rivendicazioni storiche e quel profilo identitario, che era stato fondamen- to di un processo statutario precedente a quello costituzionale. Sebbene la lettera del Presidente della Repubblica non avesse conseguenze politiche di rilievo, rappresentava la testimonianza più eclatante dell’irrigidimen- to nei rapporti tra istituzioni dello Stato e quelle siciliane, determinato dall’interruzione improvvisa del flusso di relazioni che la DC aveva sem- pre gestito e canalizzato. Tra le pieghe dell’analisi giuridico-costituzionale si palesava, dunque, la preoccupazione per la crisi del ruolo dei partiti e del funzionamento della democrazia, che, secondo Gronchi, imponeva un rafforzamento dello Stato centrale e delle funzioni della Presidenza della Repubblica, seguendo quello schema gollista che avrebbe ispirato il leader democristiano negli anni successivi.
3. Epilogo
La nascita di un secondo partito cattolico e autonomista, l’Unione Sicilia- na Cristiano Sociale, il ruolo delle sinistre nel supportare il governo Mi- lazzo, e la conseguente rimozione della pregiudiziale anticomunista, esa-
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Note
1 La storiografia ha generalmente ricollegato il milazzismo alla lotta contro lo strapotere della corrente fanfaniana dentro e fuori la DC. Lupo ne ha evidenziato invece il carattere di rivolta anti-partitocratica. Tra i tanti citiamo: Silvio Lanaro, Storia dell’Italia Repubblica- na, Marsilio, Venezia, 1992; Pietro Scoppola, La repubblica dei partiti, evoluzione e crisi di un sistema politico. 1945-1996, Il Mulino, Bologna, 1997; Giorgio Galli, I partiti politici italiani (1943-2004), Bur, Milano, 2001; Salvatore Lupo, Partito e antipartito, Donzelli, Roma, 2004. 2 Luigi Sturzo, Industrializzare la Sicilia, in Salvatore Butera (a cura di), Regionalismo sici- liano e problema del Mezzogiorno, Svimez, Milano, 1981, pp. 187- 190. 3 Pasquale Saraceno, Nuovo Meridionalismo, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli, 2005. 4 Gabriella Gribaudi, Mediatori. Antropologia del potere democristiano nel Mezzogiorno, Rosenberg e Sellier, Torino, 1980. 5 Mario Caciagli, Democrazia cristiana e potere nel mezzogiorno, Guaraldi, Firenze, 1977. 6 Ester Damascelli, Lorenzo D’Agata, Movimenti migratori, in Paolo Sylos Labini, (a cura di), Problemi dell’economia siciliana, Feltrinelli, Milano, 1966, p. 134; Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, Torino, 2006, p. 310. 7 Renèe Rochefort, Sicilia anni cinquanta. Lavoro, cultura e società, Sellerio, Palermo, 2005. 8 Franco Leonardi, Operai nuovi (studio sociologico sulle nuove forze del lavoro industriale nell’area siracusana), in Paolo Sylos Labini, op.cit., pp 1029-1294. 9 Danilo Dolci, Banditi a Partinico, Sellerio, Palermo, 2006 10 Palermo si trasformava in maniera, ovviamente, altrettanto impetuosa. “Il sacco di Paler- mo” simbolizzato dalla distruzione della via Libertà e delle vie adiacenti, alterava nel profon- do la città. L’edilizia sovvenzionata trainava un settore in grado di costruire alla fine degli anni cinquanta migliaia di vani anche al di fuori delle aree di ampliamento. Una febbre edilizia ben descritta dalla relazione di minoranza della Commissione parlamentare sul fenomeno della mafia in Sicilia, che ricostruisce un incredibile intreccio tra interessi politici, imprenditoriali e mafiosi. Vedi: Commissione parlamentare sul fenomeno della mafia in Sicilia, Relazione di minoranza dei deputati La Torre, Benedetti, Malagugini e dei senatori Adamoli, Chiaro- monte, Lugnano, Maffioletti nonché del deputato Terranova, IV Legislatura, pp. 577-601; vedi anche Orazio Cancila, Palermo, Laterza, Roma-Bari, 1999; Salvatore Lupo, Storia della Mafia. Dalle origini ai giorni nostri, Donzelli, Roma, 2004, pp. 241-244. 11 L’operazione fu realizzata dall’ISTICA (Istituto Immobiliare di Catania), una società creata nel 1951 controllata dalla Società Generale Immobiliare, una diretta emanazione del Vatica- no. Sull’argomento vedi Mario Caciagli, op. cit., pp 66-97; cfr, Giuseppe Dato, La città e i pia- ni urbanistici, Catania 1930-1980, CULC, Catania, 1980. Interessante l’intervento di Franco Pezzino nel corso della seduta del consiglio comunale del 19 ottobre 1968, in Archivio di Stato di Catania (da ora ASCT), Fondo Pezzino (da ora FP), busta (da ora b.) b.9; e quello di Totò Rindone nel corso del consiglio comunale del 25 novembre 1968, in ASCT, FP, b. 48. 12 Citato in Andrea Miccichè, Catania, luglio ’60, Ediesse, Roma, 2010, p. 47. 13 Maria Clara Tiriticco, Occupazione e salari nell’agricoltura e nell’industria, in Paolo Sylos Labini (a cura di), op. cit., pp. 165-262 14 Comitato cittadino PCI. Piano di attività, ASCT, FP, b. 33. 15 Il progetto Ina Casa venne varato nel 1949 dal ministro dei lavori pubblici Fanfani. Si trat- tava di un programma settennale contro la disoccupazione e per la costruzione di case per i lavoratori, finanziato dalla trattenute dei lavoratori non agricoli, dai datori di lavoro e dallo Stato. Tra il 1949 e il 1963 vennero costruiti in tutto il paese 335 mila alloggi. Vedi Federico Oliva, L’uso del suolo: scarsità indotta e rendita, in Fabrizio Barca, Storia del capitalismo italiano dal dopoguerra a oggi, Donzelli, Roma, 2010, p. 545-578. 16 La città giardino per gli abitanti di San Berillo, “Corriere di Sicilia” del 2 luglio 1952; Sarà uno dei complessi residenziali più belli d’Italia, “Corriere di Sicilia” del 28 febbraio 1954. 17 Dati tratti da Proposte del PCI per l’applicazione della legge 167 per l’edilizia economia e popolare, in ASCT, FP, b.8. 18 Paolo Sylos Labini, Il problema dello sviluppo industriale nella particolare situazione sici- liana, in Paolo Sylos Labini (a cura di), op. cit. p. 996.
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19 Si tratta della legge regionale 17 del 30 giugno 1948 che applica sul territorio regionale il decreto legislativo 114 del 24 febbraio 1948. 20 Francesco Renda, Storia della Sicilia dalle origini ai giorni nostri, Sellerio, Palermo, 2003, v. III, p. 1336. 21 Renèe Rochefort, op. cit., p. 180. 22 Paolo Sylos Labini, op. cit., p. 1005. L’Irfis (Istituto Regionale per il Finanziamento alle Industrie in Sicilia) aveva funzioni di credito industriale per le piccole e medie imprese. Vie- ne costituito nel 1953 sulla base del decreto 31 ottobre 1952 (714) emanato dall’ Assessore per le finanze di concerto con quello per l’industria ed il commercio sulla base della legge nazionale del 22 giugno 1950, n. 445. 23 S. Mangiameli, La regione in guerra (1943-50), in Storia d’Italia. Le regioni. Dall’Unità a oggi, G. Giarrizzo, Maurice Aymard, (a cura di), La Sicilia, Einaudi, Torino, 1987, p. 587. 24 I limiti della legge sull’industrializzazione siciliana, Relazione di Lucio Libertini al con- vegno sulla piena occupazione svoltosi a Palermo i giorni 1 e 2 novembre del 1957, in Sal- vatore Butera, op. cit. 25 Sul divario Nord-Sud vedi l’importante contributo di Emanuele Felice, Perché il sud è ri- masto indietro, Il Mulino, Bologna, 2013; Cfr. Vittorio Daniele, Paolo Malanima, Il divario Nord-Sud in Italia. 1861-2011, Rubbettino, Soveria-Mannelli, 2011 26 Rosario Mangiameli (a cura di), Autonomie. Micronazionalismi e regionalismi in Europa, Edit, Firenze, 2011. 27 Enrico La Loggia, Ricostruire, Palumbo, Palermo, 1943. È Mangiameli a evidenziare che in Ricostruire La Loggia rifiutava in realtà soluzioni di decentramento amministrativo inadatte a regioni povere che vantavano un credito storico. La Loggia avrebbe accettato il decentra- mento regionale in quanto strumento utile a rafforzare il potere contrattuale della classe poli- tica locale. Rosario Mangiameli, La regione in guerra (1943-50), cit, p. 536. 28 L’art. 38 dello statuto siciliano imponeva allo Stato di versare annualmente una somma da impiegarsi per lavori pubblici in funzione del minore ammontare di redditi da lavoro in relazione alla media nazionale. La norma doveva ricompensare l’isola di una storica e pregiu- dizievole disattenzione da parte dello Stato. 29 Sugli esiti della riforma vedi Antonio Checco, La riforma agraria e le campagne siciliane negli anni ’50, in Rosario Battaglia, Michela D’Angelo, Santi Fedele, Il Milazzismo. La Sicilia nella crisi del centrismo, Gangemi, Messina, 1988. 30 Questa legge garantiva ai privati la licenza di ricerca e di sfruttamento fino a 100 mila ettari e prevedeva in questo secondo caso royalties che andavano dal 4 al 20 % (in Venezuela o nel Medio Oriente vigeva la regola del 50%) sul valore della materia prima. Le compagnie ameri- cane furono favorite e in pochi anni fecero sondaggi sul 70% del territorio. 31 Sui miti originari del sicilianismo vedi Giuseppe Carlo Marino, L’ideologia sicilianista, Flaccovio, Palermo,1988. 32 Paolo Rizza, Come il Texas la nostra isola, ricca del nascosto tesoro petrolifero, “Il Corrie- re di Sicilia” del 23 aprile 1954. 33 L’oro nero di contrada Pendente è una conquista dell’autonomia, “Il Corriere di Sicilia” del 10 gennaio 1954. 34 Giuseppe Barone, La Cassa e la «ricostruzione» del territorio meridionale, in Leandra D’Antone, Radici storiche ed esperienza dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno, Bi- bliopolis, Napoli, 1994, pp. 227-242. 35 Inaugurato a Porto Empedocle lo stabilimento Akragas, “Il Corriere di Sicilia” del 18 ot- tobre 1955. 36 Enrico La Loggia, Primo schema di un piano quinquennale della Sicilia, in Salvatore Bute- ra (a cura di),op.cit, pp 153-174. 37 L’Utilizzo dei fondi ERP animò un ampio dibattito e fu oggetto di un congresso che si tenne a Catania dal 5 all’’8 agosto del 1948. Vedi Pier Paolo D’Attorre, Ricostruzione e aree depres- se. Il piano Marshall in Sicilia, in «Italia Contemporanea», settembre 1986, n.164. Citato anche da Rosario Mangiameli, op. cit. p. 586. 38 Mario Proto, Il problema del Mezzogiorno e delle isole al centro della politica economica della nazione, “Corriere di Sicilia” del 15 ottobre 1955 39 Sulla figura di La Cavera sono stati pubblicati negli ultimi anni alcuni lavori giornalistici che ne hanno rivalutato la figura e l’opera, soprattutto in relazione all’attualità dell’economia e della politica siciliana. Vedi Marianna Bertoccelli di Altamira, Nuvola Rossa, Flaccovio,
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Palermo, 2006; Nino Amadore, L’eretico. Mimì La Cavera, un liberale contro la razza pa- drona, Rubbettino, Soveria-Mannelli, 2012. 40 Domenico La Cavera, L’insostituibile contributo della Sicilia nel processo di sviluppo eco- nomico del Mezzogiorno, relazione al convegno CEPES dell’ottobre 1955 in Banco di Sicilia, Notiziario economico e finanziario, 1955, pp 517-521. 41 Domenico La Cavera, Liberali e grande industria, Parenti Editore, Firenze, 1961, p. 10. 42 L.Caminiti, L’industrializzazione delle aree arretrate, in Rosario Battaglia, Michela D’Angelo, Santi Fedele, Il Milazzismo. op. cit. Su questo tema vedi G. Giarrizzo, Sicilia oggi (1959-1986), in M.Aymard, G. Giarrizzo, La Sicilia. Storia d’Italia, dall’unità a oggi, Torino, Einaudi, 1987. 43 Giuseppe Alessi era stato Presidente della Regione dal 1947, ovvero dalla sua istituzione, al 1949. Dopo la sua presidenza era iniziato il settennato di Franco Restivo. 44 Le dichiarazioni del Presidente Alessi sul programma del nuovo Governo regionale, “Il Corriere di Sicilia” del 19 ottobre 1955. I discorsi di Giuseppe Alessi sono stati raccolti in Giuseppe Palmeri, Domitilla Alessi, Giuseppe Alessi. Il pensiero politico cattolico e le origini dell’autonomia siciliana, Novecento, Palermo, 2004. 45 Saraceno elaborò il piano Vanoni del 1954 per promuovere lo sviluppo nel mezzogiorno riducendo lo squilibrio col Nord, per conseguire la piena occupazione ed eliminare i deficit di bilancio. Rimase lettera morta. In Paul Ginsborg, Storia di’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, Torino, 2006. 46 Vedi Emanuele Macaluso, I comunisti e la Sicilia, Editori Riuniti, Roma, 1970; idem, 50 anni nel PCI, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003. 47 Grammatico, L›autonomia siciliana nel decennio 1947-1957, Rubbettino, Soveria Mannel- li, 2006, pp. 50-51. 48 Cito da Salvatore Lupo, op.cit. p. 113. 49 Su questo tema vedi Caciagli, op. cit; Percy Allum, Potere e società a Napoli nel dopoguer- ra, Einaudi, Torino, 1975. 50 Su Scelba vedi Giuseppe Carlo Marino, La Repubblica della forza. Mario Scelba e le passio- ni del suo tempo, Franco Angeli, Roma, 1995; su Aldisio vedi Giuseppe Costa, Cataldo Naro, Salvatore Aldisio. Cristianesimo e democrazia nell’esperienza di un leader del movimento cattolico siciliano, Sciascia editore, Caltanissetta, 1999. 51 Drago è stato a capo della provincia, che allora era carica non elettiva ma nominata dal- la Presidenza della Regione, dal 1958 al 1964, ma con interruzioni. Caciagli ha descritto le modalità attraverso cui questa classe dirigente ha costruito un blocco di potere insieme ad alcune figure dell’imprenditoria e a pezzi del notabilato locale, riuscendo a controllare i flussi di denaro pubbliche e le leve del potere in quegli anni. Mario Caciagli, op. cit. 52 Giorgio Galli, Storia della DC, Kaos, Milano, 2007. I dati di Grammichele sono tratti da Il congresso provinciale della DC, dossier interno a cura della federazione comunista di Cata- nia, in ASCT, FP, B 8. 53 Il congresso democristiano nella provincia di Scelba, “La Lotta”, bollettino della federazio- ne catanese del PCI, n. 2, 21 luglio 1954. 54 Minore rilevanza aveva il gruppo che faceva riferimento a Guarino Amella. 55 Storia di un Convegno, relazione del responsabile di zona della DC Ermete Bortolotti in Archivio Luigi Sturzo (da ora ALS), Fondo DC (da ora DC), Segreteria Politica (da ora SP), Fanfani, scatola (da ora sc.) 59, fascicolo (da ora fasc.) 2. Cfr Calogero Pumilia, La Sicilia al tempo della Democrazia Cristiana, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1998. 56 Vedi AA.Vv, Società e Chiesa a Caltanissetta all’indomani della seconda guerra mondiale, Edizioni del Seminario, Caltanissetta, 1984. 57 Relazione dell’on Attilio Salvatore all’on. Gonella segretario politico della DC, in ALS, Go- nella, b. 39, fasc.2. 58 Lettera di Alessi a Radi commissario della direzione per la revisione del tesseramento, in ALS, Gronchi, sc. 26, fasc. 143. 59 Lettera di Gioacchino Guccione, parroco di Torretta, a Gullotti dell’8 giugno 1955, in ALS, DC, SP, Fanfani, Sc. 68, fasc.3. 60 Ibidem. 61 Oltre a Milazzo venivano eletti anche altri due assessori invisi a La Loggia: Claudio Majora- na e Vincenzo Carollo. Questi, però, a differenza di Milazzo si dimettevano. 62 Si trattava della legge regionale n. 51 del 5 agosto 1957 approvata quasi all’unanimità. In questa legge non erano previsti contributi perequativi. Si introduceva il limite del 49% alla
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partecipazione dei privati al capitale della SOFIS, ma si stabiliva anche che questa non po- tesse superare la soglia del 25% nel controllo delle imprese. Claudio Riolo, Politica di indu- strializzazione e gruppi di pressione negli anni cinquanta, in Alberto Tulumello (a cura di), Modelli di sviluppo economico in Sicilia, L’Epos, Palermo, 1995, pp. 69-87. 63 Pasquale Hamel, Da nazione a Regione. Storia e cronaca dell’autonomia regionale sici- liana. 1947-1967, Sciascia editore, Caltanissetta, 1984, p. 81; vedi Grammatico, op. cit, p. 72. 64 Lettera di La Loggia al Presidente del Consiglio Adone Zoli del 4 febbraio 1958, in ALS, Gronchi, sc. 26, fasc. 143. 65 Ibidem. 66 Ibidem. 67 Ibidem. 68 Si trattava di un monocolore appoggiato da monarchici e missini, in cui però Silvio Milazzo tornava ad avere un ruolo importante con l’assessorato all’agricoltura. 69 Il promemoria è anonimo, ma viene attribuito ad Alessi da Gullotti nel corso della Direzio- ne Nazionale del 10 aprile 1959. Alessi si discolpa dicendo di aver inviato il promemoria solo ai vescovi siciliani e ad altre persone. Tra queste vi è certamente Gonella, considerato anche che il documento è contenuto nel Fondo Gonella presso l’Archivio dell’Istituto Luigi Sturzo. Promemoria sui fatti di Sicilia, ALS, Gonella, b. 39, fasc 2. Viene citato anche da Angelo Romano, Vescovi e Democrazia Cristiana in Sicilia. Fonti e problematiche storiografiche, in Maurizio Gentilini, Massimo Naro (a cura di) Le memorie democristiane, Sciascia, Caltanis- setta, 2005, p. 109-126. Il verbale della direzione nazionale in ALS, Dc, Direzione Nazionale (da ora DN), scat. 31, fasc. 370. 70 Ibidem. 71 Si tratta di una lettera a Fanfani firmata da La Loggia, D’Angelo, Gullotti e Lanza datata 9 novembre 1958, in ALS, DC, SP, Moro, Affari diversi, sc. 82, fasc. 3. 72 Ibidem. 73 Su queste ben note vicende rimando, tra i tanti, a Giorgio Galli, Storia della DC, cit. 74 I manifesti Comunisti contro Lo Giudice tappezzavano le città siciliane. Schema di comizio per la campagna elettorale in Sicilia, Archivio dell’Istituto Gramsci (da ora AIG), Fondo Ber- linguer, serie (da ora s.) 19, busta (da ora b.) 86. 75 Per la cronaca di queste fasi si può fare riferimento a vari lavori. Tra questi rimando a: Felice Chilanti, Chi è Milazzo. Mezzo barone, mezzo villano, Parenti, Firenze, 1959; Pasqua- le Hamel, Dalla crisi del centrismo all’esperienza milazzista (1956-1959), Vittorietti, Paler- mo,1978; Alberto Spampinato, Operazione Milazzo. Cronaca della rivolta siciliana del 1958. Come nacque, a chi giovò, come finì, Flaccovio, Palermo, 1979. 76 Promemoria sui fatti di Sicilia, cit. 77 Scelba cercò di convincere Fanfani ad accettare la situazione di fatto, ma l’unica mediazione che si conseguì consistette nel proporre a Milazzo le dimissioni istantanee in cambio di una successiva rielezione voluta dalla DC. Milazzo declinò l’offerta coerentemente con l’idea della «chiamata» dell’Assemblea ritenuta più importante del volere del partito. 78 Ribadito il proprio anticomunismo viscerale, il cardinale Ruffini, arcivescovo di Palermo ed esponente del cattolicesimo più conservatore, si limitava ad auspicare l’unità tra i demo- cristiani, esimendosi, in questa fase, da una chiara condanna, che sarebbe stata proferita solo successivamente, nella primavera del 1959. Francesco Michele Stabile, I consoli di Dio, Salva- tore Sciasca Editore, Caltanissetta 1999, p. 230. 79 Si tratta di un motto sturziano precedente alle elezioni regionali del 1947, in Luigi Sturzo, Appello ai siciliani, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2002, p. 14. 80 AIG, PCI, Segreteria, Bobina 22, p 794. 81 AIG, PCI, Direzione, Bobina 22, p 372. 82 Emanuele Macaluso, op. cit, p. 116. Pochi mesi dopo l’appoggio missino al governo Tam- broni e l’organizzazione del congresso nazionale a Genova diedero il la ad una serie di mani- festazioni in tutta Italia. Furono 5 i morti in Sicilia nel corso di manifestazioni che avrebbero mobilitato anche sindacati e partiti di sinistra. Vedi Andrea Miccichè, op. cit. 83 Idem, p. 99. 84 In particolare i regionalismi e i nazionalismi spagnoli hanno origine da reazioni ai pro- cessi di modernizzazione e dalla rimodulazione profonda dei rapporti tra un centro, ritenu- to ostile, e una periferia virtuosa. Su questo rimando alla letteratura sui nazionalismi basco e catalano.
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85 Verbale della riunione della Direzione Nazionale della DC del 3 novembre 1959, in ALS, DC, Direzione Nazionale, sc. 30, fasc. 39. 86 Vedi Francesco Michele Stabile, op. cit. pp.195-276. 87 Giuseppe Carlo Marino, La repubblica della forza, cit., p. 270 88 Lettera di Gronchi a Fanfani del 6 novembre 1958, in ALS, Gronchi, scat. 26, fasc. 143. 89 Ibidem. 90 Il testo del disegno di legge costituzionale inviato a Fanfani prevedeva all’art 1: «l’art. 9 dello Statuto della regione Siciliana è sostituito dal seguente. “La giunta regionale è composta dal Presidente Regionale e dagli Assessori. Il Presidente della Repubblica, sentiti i Presidenti dei gruppi dell’Assemblea Regionale, nomina il Presidente della Regione, il quale entro 10 giorni si presenta all’Assemblea per ottenerne la fiducia. Il Presidente della Regione, ottenuta la fiducia dell’Assemblea, nomina con suo decreto quattro Assessori effettivi e due supplenti, scelti anche tra persone estranee all’Assemblea Regionale. Il Presidente della Regione e gli Assessori prima di assumere le funzioni prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica. Il Presidente Regionale dura in carica un anno e non può essere revocato prima della naturale scadenza del suo mandato tranne che per atti contrari alla Costituzione o per gravi violazioni di legge.” Ibidem. 91 Le elezioni del 1959 saranno oggetto di un ulteriore saggio, inizialmente parte di questo. L’eccessiva lunghezza ha suggerito una suddivisione degli argomenti. 92 Destavano un certo clamore: lo scioglimento dei consigli di amministrazione dei consorzi di bonifica del Platani del Tumarrano a rischio di infiltrazione mafiosa; l’indagine sull’Ente di Riforma Agraria Siciliano con la nomina del socialista Rosario Lentini come commissario straordinario dell’ente. 93 Gli onorevoli Corrao (USCS) e Marraro (PCI) tentavano di “comprare” l’adesione alla mag- gioranza dell’onorevole democristiano Santalco. Questi fingeva di accettare e incontrava i due esponenti della maggioranza presso l’hotel palermitano per chiudere l’accordo. Ma il giorno seguente, il 15 febbraio 1960, denunciava il tentativo di corruzione in Assemblea provocando le dimissioni del Governo. 94 Giuseppe Giarrizzo, op.cit, p. 627. 95 Nel mese di maggio del 1959 si erano tenute le elezioni regionali in Val D’Aosta che aveva fatto registrare la vittoria della coalizione di centro sinistra costituita da socialisti, comunisti e autonomisti della Unión Valdotaine. 96 Negli anni settanta, per esempio, il PCI guidato da Achille Occhetto lanciava il «progetto Sicilia», una versione locale del compromesso storico, come unione autonomista che impli- casse il dialogo con la Dc di Piersanti Mattarella. È invece complessa l’analisi del Movimento Per l’Autonomia di Raffaele Lombardo, che ha conseguito un consenso non molto dissimile all’USCS in termini numerici e di occupazione di spazi di potere, senza però averne lo slancio programmatico e ideale. Il movimento è entrato definitivamente in crisi dopo il rinvio a giu- dizio del suo leader per concorso esterno in associazione mafiosa. 97 Basti pensare all’esperienza del movimento dei Forconi, che nel corso del 2012 con un durissimo blocco stradale ha paralizzato l’isola, assurgendo fugacemente agli onori della cro- naca nazionale. Il discorso politico del movimento era un confuso compendio di sicilianismo qualunquista, con rivendicazioni demagogiche e inattuali ma che raccoglievano forti, ma pas- seggere, simpatie in una parte dell’opinione pubblica.
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