Milazzismo, Autonomismo E Crisi Dei Partiti Nella Sicilia Degli Anni Cinquanta Di Andrea Miccichè

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Milazzismo, Autonomismo E Crisi Dei Partiti Nella Sicilia Degli Anni Cinquanta Di Andrea Miccichè anno secondo | n. 3 | 2013 ISNN 2280-1669 © 2013 editpress Milazzismo, autonomismo e crisi dei partiti nella Sicilia degli anni cinquanta di Andrea Miccichè L’elezione di Milazzo alla Presidenza della regione siciliana nell’ottobre del 1958, contro il volere del suo stesso partito, non fu solo il riflesso di una battaglia contro la corrente Fanfaniana di Iniziativa democratica che aveva espresso nell’isola il governo La Loggia e che avrebbe voluto imporre alla Presidenza il catanese Lo Giudice1. Quell’esperienza che vide insieme dis- sidenti, democristiani, socialisti, missini, comunisti e monarchici fu l’esito contraddittorio e contrastato di una serie di tensioni presenti da tempo in una società in via di modernizzazione. Sul tappeto vi erano in particolare i temi dello sviluppo e dell’industrializzazione che avevano attribuito legit- timità all’autonomia e che animavano il dibattito pubblico da un decennio, generando tensioni tra i partiti politici e all’interno di questi. D’altra par- te, come sosteneva Sturzo, il regime autonomistico avrebbe dovuto favo- rire un’industrializzazione razionale e completa dell’isola2. Quello avreb- be dovuto essere il suo scopo originario. Pertanto era naturale che la di- fesa dell’autonomia si intrecciasse con i temi del nuovo meridionalismo3, con gli indirizzi della Cassa del Mezzogiorno, con il dibattito sul primato dell’iniziativa privata o sulla preminenza dell’industria di Stato. Era com- prensibile che questioni come la riforma agraria, la difesa di alcune produ- zioni (vino, grano duro) o l’ingresso del paese nel MEC animassero i lavo- ri dell’Assemblea regionale, generando tensioni non solo tra i partiti, ma anche tra un centro, spesso rappresentato come ostile, a cui corrispondeva una periferia vessata da poteri più forti. Il conflitto aveva numerosi prota- gonisti, vecchi e nuovi, ciascuno in difesa di un’idea precipua di sviluppo regionale: le nuove figure dei “mediatori” capaci di intercettare i flussi di denaro pubblico, così ben descritti in passato dalla Gribaudi4 e da Cacia- gli5; le vecchie classi agrarie in via di smobilitazione, di cui lo stesso Milaz- Polo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3> [84] Andrea Miccichè zo era un esponente; i grandi gruppi industriali del nord o stranieri, come la Gulf Oil; l’imprenditoria locale, rappresentata dal leader di Sicindustria La Cavera, desiderosa di assumere la guida dello sviluppo locale. Tutti at- tori di una conflittualità con alleanze cangianti e non sempre coerenti, in cui dinamiche locali e nazionali si intrecciavano variamente e con esiti non sempre prevedibili. Sullo sfondo vi erano poi le trasformazioni di una so- cietà investita dagli effetti della ripresa economica e dai miti di una socie- tà dei consumi ancora in divenire. Le nuove città venivano stravolte dalle trasformazioni urbanistiche e sociali sull’onda di una speculazione edilizia senza precedenti, calamitando rapidamente popolazione dai centri circo- stanti. Gli interventi della Cassa del mezzogiorno e lo spezzettamento della grande proprietà, reso possibile dalla legge sulla piccola proprietà contadi- na del 1948 e dalla riforma agraria del 1950, mutavano definitivamente gli assetti socio-economici delle aree rurali, beneficate anche dai flussi mone- tari delle rimesse derivanti da una nuova imponente stagione migratoria6. Dunque, la Sicilia mutava rapidamente, e non senza squilibri, nel contesto di una modernizzazione che generava speranza, delusioni e resistenze che la politica interpretava e al contempo sollecitava. Il milazzismo era solo una delle possibili risposte a questo stato di cose, la difesa dell’autonomia il contenitore ampio dei tanti umori che si agitavano nella società siciliana. 1. Sicilia anni cinquanta Sicilia anni cinquanta7, è una panoramica affascinante, e a tratti impie- tosa, di una geografa francese, Renèe Rochefort, un viaggio di ispirazione braudeliana che ha per contenuto i rapporti sociali ed economici, le culture diffuse e le peculiarità locali. La Sicilia della Rochefort era una terra ricca di contrasti dove l’arretratezza cronica o le pratiche più primitive convive- vano con trasformazioni profonde del tessuto economico e sociale, soprat- tutto in alcune aree. D’altra parte questo contrasto tra passato e futuro in quegli anni appariva talvolta stridente. Le cronache giornalistiche che rac- contavano degli aggrottati di Scicli – resi celebri dalle testimonianze di Pa- solini, Levi e Guttuso – per esempio, contenevano anche le descrizioni dei nuovi insediamenti industriali e di quei nuovi operai del siracusano, poi studiati dal sociologo Franco Leonardi8. Se Scicli e Augusta distavano po- chi km, quelle testimonianze ci raccontavano di realtà ormai lontane e ir- riducibili. Allo stesso modo i banditi e i miseri quartieri di Danilo Dolci9 vivevano ai margini delle nuove città che si espandevano impetuosamen- te assorbendo popolazione, manodopera e flussi di denaro pubblico. Ogni località, ogni area dell’isola era in via di trasformazione, ma lo faceva gra- dualmente, con tempi ed esiti diversi. L’isola non era solo quella descritta da Sciascia con le Parrocchie di Regalpetra o da Carlo Levi con le Parole sono pietre. Catania, per esempio, che veniva enfaticamente rappresenta- Polo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3> Milazzismo, autonomismo e crisi dei partiti nella Sicilia degli anni cinquanta [85] ta dai media locali come la «Milano del Sud»10, cresceva di quasi 100 mila unità nel decennio attraendo popolazione dai centri della Sicilia orientale sull’onda di un’espansione edilizia resa emblematica dallo sventramento del centralissimo quartiere di San Berillo, della sua riqualificazione e della contemporanea edificazione di un nuovo quartiere popolare nella periferia ovest per i residenti espropriati11. Un’operazione che aveva un’eccezionale portata per l’impatto urbanistico ed economico sulla città e che si intrec- ciava con numerosi altri interventi: il palazzo del municipio, quello della prefettura, il lungomare della Scogliera a nord e quello della Playa a sud, la zona industriale di Pantano d’Arci, senza contare l’edilizia popolare, quella privata e i progetti della circonvallazione e della cittadella universitaria12. La città diveniva un enorme cantiere, con un settore edile che passava da 9.605 a 17.754 addetti in un decennio, e con un flusso di denaro pubblico e di investimenti privati enorme. L’euforia edilizia si rifletteva nell’aumento dei salari che crescevano di un 48% tra il 1953 e il 196013, oltre che sull’au- mento dei consumi, in rapporto al reddito pro-capite, e su un costo della vita tra i più alti d’Italia. Dati che non mutavano l’evidenza di una città che occupava costantemente anche i posti più bassi nelle graduatorie sui livelli di reddito, sui tassi di alfabetizzazione, sulla diffusione dei quotidiani e sui livelli di sovraffollamento nei quartieri popolari, come denunciato dal PCI locale14. Così nuovi quartieri di edilizia popolare come Nuovo San Berillo o Nesima – costruito nell’ambito del progetto INA-Casa15- che tanto entusia- smo generavano nella classe politica e nei media locali16, ben presto si sa- rebbero tramutati in borgate degradate e prive di servizi essenziali. Nesima in particolare avrebbe più che triplicato la propria popolazione tra il 1951 e il 1961, passando da 6151 a ben 19.466 abitanti, senza alcuna pianificazione urbanistica17. Catania rappresentava una realtà particolarmente dinamica e densa di contraddizioni, in una regione che nel suo complesso stava mu- tando pelle. L’agricoltura continuava ad essere la base della struttura eco- nomica siciliana, anche se gli occupati nel settore diminuivano da 680 mila a 570 mila unità. Nel complesso aumentavano gli addetti nel terziario, che passavano da 340 a 440 mila, e nel settore industriale, in cui crescevano da 290 mila a 420 mila. Si ampliava la platea degli occupati nella grande industria, passando da 66 mila a 101 mila, mentre diminuivano nelle im- prese artigiane, a dimostrazione di un processo di modernizzazione del si- stema produttivo in atto. Il reddito complessivo cresceva di un 5% annuo, il reddito individuale del 4%, la produzione di elettricità del 10%, le aree irrigate del 50% grazie alla costruzione di alcuni invasi come quello di An- cipa sul fiume Salso o quello sul fiume Carboy, nella zona del Belice18. La riforma agraria aveva distribuito fino al 1958 74.246 ettari a 16971 asse- gnatari mentre le superfici espropriate assommavano a 442.944 ettari. Ma nel complesso, secondo Francesco Renda, tra vendite volontarie e quelle favorite dalla legge sulla piccola proprietà contadina del 194819 passava- no di mano circa 500 mila ettari20, con un aumento del prodotto netto del Polo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3> [86] Andrea Miccichè settore da 165 a 275 miliardi. Un contributo importante veniva dalla Cas- sa del mezzogiorno che impiegava 140 miliardi in opere di trasformazione fondiaria e in infrastrutture basilari come le reti stradali, gli acquedotti e le reti fognarie21. Nel settore industriale L’IRFIS concedeva prestiti per 125 miliardi (1954-1961), finanziando le principali attività industriali del Sira- cusano, la sezione di credito industriale del banco di Sicilia ne concedeva 29 e la SOFIS, dal 1957, ne erogava 8,622. Inoltre l’effetto della legge sul- la non nominatività dei titoli azionari del 1948 (dichiarata incostituziona- le nel 1974) faceva lievitare il numero di società per azioni che passavano da 227 nel 1947 alle 1023
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