anno secondo | n. 3 | 2013 ISNN 2280-1669 © 2013 editpress

Milazzismo, autonomismo e crisi dei partiti nella Sicilia degli anni cinquanta di Andrea Miccichè

L’elezione di Milazzo alla Presidenza della regione siciliana nell’ottobre del 1958, contro il volere del suo stesso partito, non fu solo il riflesso di una battaglia contro la corrente Fanfaniana di Iniziativa democratica che aveva espresso nell’isola il governo La Loggia e che avrebbe voluto imporre alla Presidenza il catanese Lo Giudice1. Quell’esperienza che vide insieme dis- sidenti, democristiani, socialisti, missini, comunisti e monarchici fu l’esito contraddittorio e contrastato di una serie di tensioni presenti da tempo in una società in via di modernizzazione. Sul tappeto vi erano in particolare i temi dello sviluppo e dell’industrializzazione che avevano attribuito legit- timità all’autonomia e che animavano il dibattito pubblico da un decennio, generando tensioni tra i partiti politici e all’interno di questi. D’altra par- te, come sosteneva Sturzo, il regime autonomistico avrebbe dovuto favo- rire un’industrializzazione razionale e completa dell’isola2. Quello avreb- be dovuto essere il suo scopo originario. Pertanto era naturale che la di- fesa dell’autonomia si intrecciasse con i temi del nuovo meridionalismo3, con gli indirizzi della Cassa del Mezzogiorno, con il dibattito sul primato dell’iniziativa privata o sulla preminenza dell’industria di Stato. Era com- prensibile che questioni come la riforma agraria, la difesa di alcune produ- zioni (vino, grano duro) o l’ingresso del paese nel MEC animassero i lavo- ri dell’Assemblea regionale, generando tensioni non solo tra i partiti, ma anche tra un centro, spesso rappresentato come ostile, a cui corrispondeva una periferia vessata da poteri più forti. Il conflitto aveva numerosi prota- gonisti, vecchi e nuovi, ciascuno in difesa di un’idea precipua di sviluppo regionale: le nuove figure dei “mediatori” capaci di intercettare i flussi di denaro pubblico, così ben descritti in passato dalla Gribaudi4 e da Cacia- gli5; le vecchie classi agrarie in via di smobilitazione, di cui lo stesso Milaz-

Polo Sud | n. 3 | 2013 | [84] Andrea Miccichè zo era un esponente; i grandi gruppi industriali del nord o stranieri, come la Gulf Oil; l’imprenditoria locale, rappresentata dal leader di Sicindustria La Cavera, desiderosa di assumere la guida dello sviluppo locale. Tutti at- tori di una conflittualità con alleanze cangianti e non sempre coerenti, in cui dinamiche locali e nazionali si intrecciavano variamente e con esiti non sempre prevedibili. Sullo sfondo vi erano poi le trasformazioni di una so- cietà investita dagli effetti della ripresa economica e dai miti di una socie- tà dei consumi ancora in divenire. Le nuove città venivano stravolte dalle trasformazioni urbanistiche e sociali sull’onda di una speculazione edilizia senza precedenti, calamitando rapidamente popolazione dai centri circo- stanti. Gli interventi della Cassa del mezzogiorno e lo spezzettamento della grande proprietà, reso possibile dalla legge sulla piccola proprietà contadi- na del 1948 e dalla riforma agraria del 1950, mutavano definitivamente gli assetti socio-economici delle aree rurali, beneficate anche dai flussi mone- tari delle rimesse derivanti da una nuova imponente stagione migratoria6. Dunque, la Sicilia mutava rapidamente, e non senza squilibri, nel contesto di una modernizzazione che generava speranza, delusioni e resistenze che la politica interpretava e al contempo sollecitava. Il milazzismo era solo una delle possibili risposte a questo stato di cose, la difesa dell’autonomia il contenitore ampio dei tanti umori che si agitavano nella società siciliana.

1. Sicilia anni cinquanta

Sicilia anni cinquanta7, è una panoramica affascinante, e a tratti impie- tosa, di una geografa francese, Renèe Rochefort, un viaggio di ispirazione braudeliana che ha per contenuto i rapporti sociali ed economici, le culture diffuse e le peculiarità locali. La Sicilia della Rochefort era una terra ricca di contrasti dove l’arretratezza cronica o le pratiche più primitive convive- vano con trasformazioni profonde del tessuto economico e sociale, soprat- tutto in alcune aree. D’altra parte questo contrasto tra passato e futuro in quegli anni appariva talvolta stridente. Le cronache giornalistiche che rac- contavano degli aggrottati di Scicli – resi celebri dalle testimonianze di Pa- solini, Levi e Guttuso – per esempio, contenevano anche le descrizioni dei nuovi insediamenti industriali e di quei nuovi operai del siracusano, poi studiati dal sociologo Franco Leonardi8. Se Scicli e Augusta distavano po- chi km, quelle testimonianze ci raccontavano di realtà ormai lontane e ir- riducibili. Allo stesso modo i banditi e i miseri quartieri di Danilo Dolci9 vivevano ai margini delle nuove città che si espandevano impetuosamen- te assorbendo popolazione, manodopera e flussi di denaro pubblico. Ogni località, ogni area dell’isola era in via di trasformazione, ma lo faceva gra- dualmente, con tempi ed esiti diversi. L’isola non era solo quella descritta da Sciascia con le Parrocchie di Regalpetra o da Carlo Levi con le Parole sono pietre. Catania, per esempio, che veniva enfaticamente rappresenta-

Polo Sud | n. 3 | 2013 | Milazzismo, autonomismo e crisi dei partiti nella Sicilia degli anni cinquanta [85] ta dai media locali come la «Milano del Sud»10, cresceva di quasi 100 mila unità nel decennio attraendo popolazione dai centri della Sicilia orientale sull’onda di un’espansione edilizia resa emblematica dallo sventramento del centralissimo quartiere di San Berillo, della sua riqualificazione e della contemporanea edificazione di un nuovo quartiere popolare nella periferia ovest per i residenti espropriati11. Un’operazione che aveva un’eccezionale portata per l’impatto urbanistico ed economico sulla città e che si intrec- ciava con numerosi altri interventi: il palazzo del municipio, quello della prefettura, il lungomare della Scogliera a nord e quello della Playa a sud, la zona industriale di Pantano d’Arci, senza contare l’edilizia popolare, quella privata e i progetti della circonvallazione e della cittadella universitaria12. La città diveniva un enorme cantiere, con un settore edile che passava da 9.605 a 17.754 addetti in un decennio, e con un flusso di denaro pubblico e di investimenti privati enorme. L’euforia edilizia si rifletteva nell’aumento dei salari che crescevano di un 48% tra il 1953 e il 196013, oltre che sull’au- mento dei consumi, in rapporto al reddito pro-capite, e su un costo della vita tra i più alti d’Italia. Dati che non mutavano l’evidenza di una città che occupava costantemente anche i posti più bassi nelle graduatorie sui livelli di reddito, sui tassi di alfabetizzazione, sulla diffusione dei quotidiani e sui livelli di sovraffollamento nei quartieri popolari, come denunciato dal PCI locale14. Così nuovi quartieri di edilizia popolare come Nuovo San Berillo o Nesima – costruito nell’ambito del progetto INA-Casa15- che tanto entusia- smo generavano nella classe politica e nei media locali16, ben presto si sa- rebbero tramutati in borgate degradate e prive di servizi essenziali. Nesima in particolare avrebbe più che triplicato la propria popolazione tra il 1951 e il 1961, passando da 6151 a ben 19.466 abitanti, senza alcuna pianificazione urbanistica17. Catania rappresentava una realtà particolarmente dinamica e densa di contraddizioni, in una regione che nel suo complesso stava mu- tando pelle. L’agricoltura continuava ad essere la base della struttura eco- nomica siciliana, anche se gli occupati nel settore diminuivano da 680 mila a 570 mila unità. Nel complesso aumentavano gli addetti nel terziario, che passavano da 340 a 440 mila, e nel settore industriale, in cui crescevano da 290 mila a 420 mila. Si ampliava la platea degli occupati nella grande industria, passando da 66 mila a 101 mila, mentre diminuivano nelle im- prese artigiane, a dimostrazione di un processo di modernizzazione del si- stema produttivo in atto. Il reddito complessivo cresceva di un 5% annuo, il reddito individuale del 4%, la produzione di elettricità del 10%, le aree irrigate del 50% grazie alla costruzione di alcuni invasi come quello di An- cipa sul fiume Salso o quello sul fiume Carboy, nella zona del Belice18. La riforma agraria aveva distribuito fino al 1958 74.246 ettari a 16971 asse- gnatari mentre le superfici espropriate assommavano a 442.944 ettari. Ma nel complesso, secondo Francesco Renda, tra vendite volontarie e quelle favorite dalla legge sulla piccola proprietà contadina del 194819 passava- no di mano circa 500 mila ettari20, con un aumento del prodotto netto del

Polo Sud | n. 3 | 2013 | [86] Andrea Miccichè settore da 165 a 275 miliardi. Un contributo importante veniva dalla Cas- sa del mezzogiorno che impiegava 140 miliardi in opere di trasformazione fondiaria e in infrastrutture basilari come le reti stradali, gli acquedotti e le reti fognarie21. Nel settore industriale L’IRFIS concedeva prestiti per 125 miliardi (1954-1961), finanziando le principali attività industriali del Sira- cusano, la sezione di credito industriale del banco di Sicilia ne concedeva 29 e la SOFIS, dal 1957, ne erogava 8,622. Inoltre l’effetto della legge sul- la non nominatività dei titoli azionari del 1948 (dichiarata incostituziona- le nel 1974) faceva lievitare il numero di società per azioni che passavano da 227 nel 1947 alle 1023 del 1958, senza significativi risvolti produttivi, considerati i numerosi spostamenti di sede rivelatisi del tutto fittizi23. Nel complesso, i redditi crescevano, ma con un saggio inferiore a quello delle aree più sviluppate del paese, mentre il prodotto pro capite si manteneva al 60% della media nazionale. D’altra parte la disoccupazione si mantene- va a livelli di guardia, con circa 630 mila disoccupati, la percentuale di po- polazione attiva si manteneva intorno al 30%, e si registrava una massiccia presenza di manodopera dequalificata24. Tutti indicatori che rivelavano la realtà di una società in graduale trasformazione, in cui non premeva solo un’annosa questione agraria, ma emergeva con forza anche un’incipiente questione urbana. Le spinte in avanti, dunque, non erano ancora sufficien- ti a trascinare l’economia isolana al di fuori di una complessiva condizione di arretratezza. Gli imponenti flussi migratori verso il Nord, con 386 mila persone in uscita nel decennio 1951-1961, e la permanenza dello storico di- vario con il resto del paese ne erano il segnale più evidente25. Se la società siciliana faceva registrare progressi, dunque, ciò avveni- va in maniera caotica e contraddittoria, con lacerazioni a volte profonde e con conflitti che divenivano parte integrante di un dibattito pubblico in cui politica ed economia erano strettamente intrecciate. D’altra parte il te- ma dello sviluppo e del superamento della cronica condizione di arretra- tezza era uno dei fondamenti della nascita stessa dell’istituto a differenza delle altre autonomie speciali italiane (e soprattutto di buona parte degli autonomismi e micronazionalismi europei di successo26), in cui la presen- za di rilevanti minoranze linguistiche o di pre-esistenti identità politico- culturali avevano avuto un ruolo importante. Ad avere un peso decisivo in questa costruzione teorica era stato anche un saggio di Enrico La Log- gia, ­Ricostruire27 che aveva alimentato una corrente riparazionista poi tra- dottasi nella formulazione dell’art. 38 dello statuto siciliano28. Attraverso lo statuto, dunque, si individuava la rivendicazione storica alla base delle aspirazioni regionaliste – i torti economici subiti dallo stato –, si identifica- va la democrazia con la rimozione delle tare del passato e si definivano gli strumenti per sanarne le ferite. Per molti versi anche l’istituzione dell’Ente Siciliano Elettricità nel 1947, in seguito ad un decreto del Consiglio dei mi- nistri, poteva essere interpretato alla luce di questa visione. La rottura del monopolio elettrico, infatti, detenuto dalla società privata SGES, e la pos-

Polo Sud | n. 3 | 2013 | Milazzismo, autonomismo e crisi dei partiti nella Sicilia degli anni cinquanta [87] sibilità di avviare un programma di elettrificazione e bonifica, secondo uno schema di chiara derivazione nittiana, rappresentavano il requisito essen- ziale per abbassare i costi dell’energia e favorire investimenti industriali. L’istituto autonomistico, dunque, nasceva indissolubilmente legato ai temi dello sviluppo e alla capacità di indurlo attraverso la sua azione, co- minciando dalla riforma agraria per cui si erano mobilitate le masse con- tadine a partire dal dopoguerra. Questa veniva approvata mentre il Parla- mento nazionale varava la legge stralcio, evitando così che i contenuti della normativa nazionale si applicassero all’isola con l’effetto di svuotare una fa- coltà legislativa dello statuto e una parte fondamentale della stessa identità autonomistica. La legge, varata nel 1950 da una maggioranza di centro de- stra, colpiva la grande proprietà limitandola a 200 ettari, stabilendo obbli- ghi di trasformazione, imponendo l’imponibile di manodopera, istituendo l’Ente di Riforma Agraria in Sicilia e avviando un processo di redistribuzio- ne fondiaria dagli esiti comunque rilevanti29. Nonostante le durissime op- posizioni dei comunisti e degli agrari il provvedimento rimaneva l’emblema del nuovo corso autonomista e si completava con altre due leggi di grande importanza approvate nel corso dello stesso anno: la legge 29 che prevedeva misure a favore delle industrie, poi dichiarata incostituzionale dall’Alta Cor- te, e la legge 30 sulla ricerca e la coltivazione degli idrocarburi30. Il nodo dello sviluppo permaneva così al centro del dibattito pubblico, caratterizzandosi come fattore identitario a fondamento dell’istituto au- tonomistico. Un giornale come il “Corriere di Sicilia”, il più attento alla politica regionale tra i quotidiani isolani, dedicava, per esempio, rassegne quindicinali sui problemi della Sicilia – intitolate Vita e problemi della Si- cilia –, in cui si descriveva l’operato del governo regionale in campo econo- mico ed amministrativo. I resoconti divenivano ancor più dettagliati con la descrizione mensile dei lavori pubblici realizzati in Sicilia dalla Regione o dalla Cassa del Mezzogiorno e con la pubblicazione dei dati forniti dall’As- sessorato regionale ai lavori pubblici. Questi resoconti informavano i citta- dini dei progressi più evidenti: le strade interprovinciali, gli acquedotti, le fognature, le scuole, le case popolari, la sistemazione urbanistica dei pic- coli e grandi centri. In tal modo si conferiva maggiore visibilità all’operato della Regione, rendendola più prossima alla vita dei cittadini e identifican- dola con il progresso dell’isola. L’identità autonomistica si costruiva a partire dalle realizzazioni con- crete, ma trovava nuova linfa vitale nelle speranze generate dalle promes- se di un’industrializzazione che la scoperta del petrolio rendeva sempre più prossima. La Sicilia sembrava riscoprire i suoi miti originari di ter- ra ricca e ubertosa31 e si rappresentava come il Texas in mezzo al medi- terraneo32. Il petrolio, d’altra parte, sembrava realmente una conquista dell’autonomia, la conseguenza diretta di una legislazione capace di at- trarre capitali esteri e di generare occupazione33. Del resto i segnali inco- raggianti in quegli anni non mancavano. La costa siracusana veniva in-

Polo Sud | n. 3 | 2013 | [88] Andrea Miccichè teressata da un processo di industrializzazione intenso con la Rasiom di Moratti e poi con la Sincat nel 1956. Si avviava quella imponente ricostru- zione del territorio resa possibile dai finanziamenti della Cassa del Mez- zogiorno34, mentre in un centro come Porto Empedocle la Montecatini impiantava uno stabilimento per la produzione di fertilizzanti chimici35. Le realizzazioni però rimanevano sempre residuali, o troppo localizzate geograficamente, rispetto a una situazione di arretratezza che abbisogna- va di interventi che non si limitassero a stimolare uno sviluppo indotto dall’esterno, attraverso una semplice politica di incentivazione agli inve- stimenti. Già nel dopoguerra, d’altra parte, una parte della classe dirigen- te siciliana, a cominciare da Li Causi e Alessi, si era convinta della neces- sità di mutuare dall’esperienza americana della Tennesse Valley Autori- thy l’idea dell’intervento dello Stato nelle aree depresse. Lo stesso Enrico La Loggia si era posto il problema della pianificazione lanciando l’idea di un piano economico quinquennale per la Sicilia nell’ambito delle attivi- tà del Centro per L’Incremento Industriale della Sicilia36. Questi indirizzi però configgevano apertamente con le politiche liberiste del governo na- zionale, ben rappresentate dalla figura di Einaudi, e con le strategie ame- ricane sull’utilizzo dei fondi ERP, che incentivavano la modernizzazione dell’agricoltura attraverso la bonifica, la creazione della piccola proprietà contadina e il sostegno alle attività tradizionali dell’isola37. Ma è su questo terreno, quello degli strumenti e le strategie per avviare l’industrializzazione, che negli anni ’50 si accendeva una contesa con molti protagonisti e rilevanti ricadute sul dibattito pubblico e sulla lotta politica siciliana. Per la Confindustria l’industrializzazione siciliana doveva esse- re subordinata a quella settentrionale, armonizzarsi con i bisogni di que- sta, piuttosto che competere con essa. In questa logica l’intervento pubbli- co non doveva insidiare il principio della preminenza dell’impresa privata, ma doveva essere funzionale ai bisogni dei gruppi privati disposti ad inve- stire nell’isola. Il conte Faina della Montecatini lo affermava chiaramente a nell’ottobre del 1955 quando nel corso del convegno organizzato dal Comitato Europeo per il Progresso Economico e Sociale (CEPES) con- cludeva la sua relazione manifestando la propria contrarietà a politiche che stimolassero nel Mezzogiorno «una completa gamma di attività produtti- ve con l’aiuto di provvedimenti preferenziali», privilegiando piuttosto una politica dello stato finalizzata a «predisporre un ambiente favorevole al sorgere di nuove unità»38. Questo indirizzo era contrastato dal Presidente di Sicindustria La Cavera, sostenitore di un intervento dello Stato che col- masse il divario di competitività tra i due sistemi produttivi, e che, secondo l’imprenditore palermitano, era connesso ai superiori costi di impianto e di produzione39. La richiesta di politiche agevolative in funzione perequa- trice, non limitate a misure esclusivamente fiscali, si concretizzava nella richiesta di maggiori quantitativi di energia a prezzi contenuti, nell’appre- stamento di adeguati mezzi finanziari attraverso la creazione di una società

Polo Sud | n. 3 | 2013 | Milazzismo, autonomismo e crisi dei partiti nella Sicilia degli anni cinquanta [89] finanziaria siciliana e nello sfruttamento del petrolio in funzione dello svi- luppo dell’isola40. Inoltre per La Cavera era inaccettabile l’idea di uno svi- luppo isolano che non entrasse in concorrenza con le industrie del Nord, creando «doppioni», una pretesa che secondo il Presidente di Sicindustria:

Manifestava chiaramente che non si voleva suscitare in Sicilia un’attività indu- striale concorrenziale ad alcuni gruppi industriali operanti nel Nord. Questa tesi pregiudicava le possibilità di investimento ad un numero ristrettissimo di iniziative41.

Le piccole e medie imprese locali dovevano essere il nucleo di uno svi- luppo industriale autonomo, che secondo La Cavera poteva anche essere trainato dagli investimenti dei grandi gruppi privati. Ma in questa logica le concessioni per lo sfruttamento delle risorse siciliane e l’accesso alle fonti di finanziamento per le grandi imprese dovevano garantire oppor- tunità di lavoro per le imprese locali. Un’impostazione che faceva cadere ogni preclusione alla presenza dell’industria di Stato, in una fase in cui Mattei cercava di inserirsi nello sfruttamento delle risorse isolane42. Le vicende siciliane finivano, così, con il contribuire al conflitto già in atto tra Mattei e Confindustria. Inoltre per sopperire alla scarsità di credito disponibile per le imprese, altra questione fondamentale per La Cavera, si auspicava l’istituzione di una società finanziaria regionale che svolges- se una funzione di stimolo all’attività industriale. Una richiesta che tro- vava un consenso trasversale a sinistra come in alcuni settori della Dc, in particolare in Alessi che veniva eletto Presidente della regione proprio nell’estate del 1955 al posto di , uomo della destra demo- cristiana e vicino agli ambienti agrari43. L’elezione di Alessi era il segnale di un mutamento degli equilibri, il riflesso di un disegno politico che accoglieva alcune istanze riformatrici, senza intaccare le posizioni di forza democristiane. Ma per quanto pru- dente questa apertura rafforzava il fronte di chi sosteneva l’opportunità di un ruolo programmatorio delle istituzioni regionali per sostenere lo svi- luppo. Il suo discorso di insediamento del 18 ottobre 1955 era già un ma- nifesto dei suoi intenti. Secondo Alessi era necessario oltrepassare i pri- mi due tempi dell’autonomia, quello della «inserzione dello statuto nella Costituzione» e quello di «consolidamento e sviluppo della vita legislati- va e amministrativa» culminato nell’approvazione della riforma agraria e «nell’impostazione del fondo di solidarietà». Era necessario l’avvio di una nuova fase, quel «terzo tempo dell’autonomia», che coincideva con l’annuncio di un «piano generale quinquennale straordinario di sviluppo economico e sociale» che interessasse tutti i settori produttivi. L’impegno prioritario del governo riguardava però le politiche industriali che dove- vano «incoraggiare la classe degli organizzatori reali delle nostre energie di lavoro», ammettendo per necessità «un certo grado di dirigismo […]

Polo Sud | n. 3 | 2013 | [90] Andrea Miccichè in favore di un più alto livello tecnico e sociale » e finanziando «non indi- scriminatamente in favore di qualsiasi iniziativa ma soltanto verso le ca- tegorie» in grado di garantire «il più largo impiego di manodopera, per l’abbassamento dei prezzi di mercato e un autentico sviluppo del mercato di consumo». La chiusura ai monopoli – «dovunque siano, da dovunque vengano, e comunque si presentino» – era inoltre netta e pronunciata in nome «dei diritti dell’avvenire della Sicilia»44. Dunque per il politico nis- seno l’intervento dello Stato doveva sostenere il processo di industrializ- zazione siciliano, insieme all’iniziativa privata, nel contesto di una pro- grammazione regionale che facesse il paio con quella nazionale del pia- no Vanoni45. In questo suo indirizzo politico Alessi incontrava il consen- so di Sicindustria e si guadagnava le attenzioni dei comunisti, protagoni- sti quest’ultimi di una vigorosa ripresa dell’autonomismo e convinti della necessità di un’alleanza tra ceti medi produttivi e classi popolari che si opponesse ai disegni dei grandi monopoli. Questi venivano rappresentati dal PCI come soggetti colonizzatori attratti dalle opportunità offerte dalla scoperta del petrolio e dallo sfruttamento delle risorse naturali46. La parentesi del governo Alessi durava appena un anno, congelata nella sua azione politica dall’inesistenza di una maggioranza compatta su linee programmatiche condivise e dall’impossibilità di definire allean­ ze con la sinistra. Si delineavano però delle intese di massima su alcune grandi questioni tra alcuni settori minoritari della DC e alcune frange dell’imprenditoria isolana, destando l’interesse della sinistra social-co- munista. L’intervento pubblico, l’impresa di Stato, lo stimolo alla piccola e media impresa erano i contenuti su cui si costruiva un dialogo inedito tra eterogenee componenti della politica e della società siciliana. Ed era- no la difesa dell’autonomia e una buona dose di riparazionismo a dare forma a questo dialogo, fungendo da collante tra discorsi politici necessa- riamente distanti e per molti aspetti contrapposti. Il riparazionismo, d’al- tra parte, era stato uno degli elementi identitari dell’autonomia siciliana e aveva generato una dialettica costante tra istituzioni regionali e nazio- nali in merito alla quantità di risorse destinate allo sviluppo siciliano, che fossero della Cassa del Mezzogiorno o in esecuzione dell’art.38. La DC fi- no ad allora era stata capace di assorbire al suo interno questa dialettica, proponendosi come soggetto in grado di mediare le diverse spinte centri- fughe e le tensioni caratteristiche di questa fase di trasformazione. Que- sta capacità di mantenere in equilibrio il sistema delle relazioni tra cen- tro e periferia stava entrando però in crisi. A complicare le cose, peraltro, contribuiva l’abolizione dell’Alta Corte in seguito all’istituzione della Cor- te Costituzionale, una decisione che palesava una volontà dello Stato di normalizzare in senso centralista i rapporti con la Regione. La polemica che ne scaturiva non rimaneva confinata all’interno dell’Assemblea regio- nale, ma contaminava diffusamente il dibattito pubblico47.

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2. La DC è una polveriera

Dopo il congresso di Napoli del 1954, con la segreteria Fanfani, si apriva una nuova stagione politica per la DC. Nella visione del nuovo segretario il partito era la «quintessenza della democrazia»48, e pertanto doveva or- ganizzarsi come soggetto moderno, di massa, in grado di penetrare ogni ganglio della società. Più concretamente la Dc fanfaniana si trasformava in un partito macchina finalizzato al conseguimento e all’organizzazione di clientele e consenso, in una fase di espansione dell’economia e di am- pliamento delle funzioni dello Stato49. Ne derivava una riorganizzazione in senso centralistico del partito che ambiva a rendersi autonomo dall’in- fluenza ecclesiastica, cercando al contempo di assorbire al suo interno le differenti istanze provenienti dalla società italiana, proponendosi come strumento di mediazione. Il nuovo corso coincideva con l’apertura gra- duale ad un dialogo con i socialisti come mezzo per superare la formu- la del centrismo, ritenuta ormai inadeguata. Un’eventualità che destava forti opposizioni negli ambienti cattolici più conservatori, così come nel- la destra missina, che così vedeva vanificata ogni prospettiva di apertura a destra, e nello stesso PCI che temeva di rimanere isolato. Anche all’in- terno della DC la riorganizzazione fanfaniana destava forti malumori in un fronte ampio ed eterogeneo di forze che includeva centristi ex popo- lari, andreottiani, pezzi della sinistra del partito e personaggi di grande prestigio come Luigi Sturzo, alfiere allora di una dura invettiva contro lo strapotere dei partiti e contro l’intervento dello Stato in economia, di cui Fanfani era invece fautore. Queste vicende avevano ripercussioni anche sulla politica siciliana. Qui le correnti fanfaniane emergevano con forza incontrando l’opposizione, in particolare, della vecchia guardia popolare che aveva un riferimento in personaggi come Scelba, Alessi, Milazzo, Aldisio e Restivo50. A Catania, per esempio, la componente fanfaniana, con Magrì e Drago in testa, aveva rapidamente scalzato la leadership dei “calatini” legati a Scelba e Milazzo, impadronendosi gradualmente della macchina amministrativa – in parti- colare dell’ente provinciale diretto per alcuni anni dallo stesso Drago – e delle leve dell’intervento pubblico51. Lo strapotere fanfaniano si rivelava nella capacità di raccattare tessere, con esiti spesso quanto meno sospetti. Così nel 1959 nella provincia di Catania risultavano iscritte 59 mila perso- ne e a Milano appena 13 mila, mentre in un piccolo centro della provincia come Grammichele gli iscritti erano 2780 a cospetto di soli 1600 elettori delle precedenti elezioni52. Fatti analoghi accadevano anche a Paternò, nel feudo del fanfaniano Barbaro Lo Giudice, nel 1954:

I dirigenti locali hanno inviato a molte persone che mai si erano sognate di iscri- versi alla DC una lettera con la quale le si informava che erano state ammesse al partito democristiano. Sempre a Paternò diversi DC si sono presentati alle urne

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tenendo in mano mazzi di tessere intestate a persone del tutto ignare di figurare tra gli iscritti della DC pretendendo di votare per esse […]53.

Queste tensioni in certi casi rivelavano una rivalità generazionale – co- me nel caso dei giovani “turchi” Lima, Gioia, Drago Gullotti – ma spesso si innestavano anche su contrapposizioni locali pre-esistenti. Ad Agrigen- to, per esempio, la conflittualità interna alla DC tra il gruppo dell’avvocato Di Leo e quello di discendeva dall’esistenza di fazioni radicate sul territorio che avevano come riferimento vecchi notabili come Enrico La Loggia (padre di Giuseppe) e Angelo Abisso (zio di Di Leo)54. Inizialmente si era stabilito un equilibrio tra le due fazioni, con Di Leo a gestire il partito e La Loggia a presidiare i centri economici. Il gruppo dei fanfaniani organizzato attorno alla figura di Rubino, aveva scalzato però gradualmente Di Leo dagli organismi del partito e lo stesso Rubino era di- venuto segretario provinciale nel 1956. L’adesione improvvisa alla corren- te di Fanfani di La Loggia rompeva però i nuovi equilibri. Questi prima ap- poggiava la corrente fanfaniana, poi gradualmente la inglobava:

Paladino a Roma del nuovo metodo di rinnovamento del Partito ad Agrigento era tutta un’altra cosa e procedeva la sua lotta contro il gruppo di Di Leo serven- dosi di tutti i più scaduti mezzi del vecchio metodo clientelare, accattivandosi in cambio l’antipatia di sempre più larghi strati della più viva base democristiana non disposta al mercanteggiamento della propria adesione e convinta che il rin- novamento auspicato fosse una ben diversa cosa55.

Anche la faida nissena56 tra Alessi e i fanfaniani Lanza e Volpe era la prosecuzione di durissime tensioni che avevano già imposto il commissa- riamento della federazione nel 1952. Anche allora il commissario Attilio Salvatore aveva inviato a Gonella una relazione preoccupata e:

[…] chi è in contrasto verso una parte viene comunemente definito “avversa- rio”, normalizzando così un atteggiamento e una condotta di aspra avversio- ne o forse anche di odio. Così in parecchi paesi della provincia la Democrazia Cristiana rimane divisa in due parti come in due zone dove accampino schiere nemiche. Divisione che si riflette anche nelle fila dell’organizzazione cattolica ed anche, in parte, nel clero. Sintomo ed espressione di tutto ciò sono anche le modalità che sono state seguite in diversi centri della provincia per il tesse- ramento: inflazioni elefantiache in alcuni posti, limitazioni ed esclusioni rigi- dissime in altri, ciò alfine, facilmente comprensibile di precostituire determi- nate maggioranze […]57

Le resistenze legate alla “riorganizzazione fanfaniana” si intrecciavano con le asprezze della politica locale e regionale con esiti spesso clamorosi. Alessi, per esempio, alla vigilia del congresso provinciale del 1956, aveva

Polo Sud | n. 3 | 2013 | Milazzismo, autonomismo e crisi dei partiti nella Sicilia degli anni cinquanta [93] chiesto al commissario nazionale Radi l’impugnazione del tesseramento in una ventina di sezioni nissene segnalando numerose anomalie:

Come si vede, un quinto della popolazione che dà alla DC meno di un sesto dei voti dell’intera provincia detiene quasi il 50% delle tessere! invece quattro quin- ti della popolazione (che danno alla DC i cinque sesti dei voti) detengono meno della metà delle tessere! Cioè il partito è monopolizzato dai gruppi che detengo- no le tessere di alcuni paesi di scarsissima importanza sia demografica che po- litica per la DC e il resto della popolazione non ha la possibilità di esprimersi al congresso provinciale58.

Certi metodi spregiudicati non erano appannaggio di una corrente in particolare e certamente non potevano essere considerati un’innovazione delle nuove generazioni fanfaniane. A Torretta, per esempio, il parroco del paese invocava direttamente l’aiuto di Fanfani (attraverso l’interme- diazione di Gullotti) per «mettere a riposo» l’allora Presidente della Re- gione Restivo reo di:

gettar fango […] sul suo partito nella stessa indecente e indegna maniera di mo- narchici e comunisti ai quali noi rimproveriamo il ricatto di voti attraverso la distribuzione di pacchi e materiale […]59.

Difatti secondo il parroco, sindaco e vice-sindaco democristiano di Tor- retta, avevano prima invitato i compaesani a recarsi a Palermo per il co- mizio di Restivo in cambio di mille lire e di un panino con la mortadella, e poi avevano chiesto il voto per il politico palermitano distribuendo «pasta, zucchero, patate e formaggio fracido e puzzolentissimo»60. Le accuse reciproche delle fazioni in lotta e le velleità moralizzatrici di ciascuna di esse erano parte di una conflittualità che spesso trascendeva la normale dialettica democratica, rivelando l’esistenza di fratture profonde nella classe dirigente democristiana. I giochi di corrente nazionali attecchi- vano quindi naturalmente su un fertile sostrato di rivalità locali, una vera e propria catena di relazioni che si muoveva in entrambi i sensi dal livello re- gionale fino al più piccolo paesino dell’entroterra, generando schieramenti eterogenei e spesso fluidi. Del resto la prassi tutta siciliana dei “franchi tira- tori”, era il segnale forse più evidente dell’esistenza di un grave frammen- tazione del partito di maggioranza, che aspirava a rappresentare una so- cietà complessa al cui interno si muovevano gruppi con interessi non sem- pre armonizzabili. Ne era vittima Alessi nel 1956, sfiduciato implicitamente dal rigetto del bilancio, ma ne era minacciato anche il governo La Loggia, espressione diretta della nuova leadership fanfaniana. Questi inaspriva le ostilità verso la fazione ex popolare della DC estromettendo Milazzo dal governo e indirizzando Alessi verso la presidenza dell’Assemblea. L’opera- zione però riusciva a metà. Il sistema di doppia fiducia, al presidente e ai

Polo Sud | n. 3 | 2013 | [94] Andrea Miccichè singoli assessori, riportava infatti Milazzo nella lista degli assessori, a cui veniva infine assegnata la delega alla sanità, considerata di importanza mi- nore61. Il governo La Loggia non nasceva con i migliori auspici, sorretto da una maggioranza insidiosa e con un indirizzo politico ambiguo. L’apertu- ra ai grandi gruppi privati – Montecatini, Italcementi, Edison – seguendo la logica degli investimenti nei grandi complessi, faceva infatti il paio con l’approvazione di una legge sull’industrializzazione che istituiva la Società finanziaria siciliana (SOFIS)62, così lungamente auspicata da La Cavera per favorire uno sviluppo industriale endogeno, e dalla concessione all’ENI di 180 mila ettari di superficie per la ricerca e la coltivazione di idrocarburi li- quidi e gassosi. Provvedimenti che venivano avversati da Confindustria e da leader nazionali della DC come Scelba e Sturzo63. Se la mediazione diveniva il segno distintivo dell’azione di governo soprattutto in campo economico, questa era resa più complicata dalla difficile impresa di mettere d’accordo interessi in quella fase contrapposti, come quelli di Confindustria e Sicin- dustria. Un ulteriore banco di prova era rappresentato dalla nomina del Presidente della neonata SOFIS. La nomina di La Cavera sembrava l’esito normale di una battaglia condotta dal leader di Sicindustria per un istitu- to finanziario che fornisse credito alle imprese nel quadro, e in funzione, di un modello di sviluppo autonomo. Significava, in altre parole, privilegiare il tessuto di piccole e medie imprese siciliane, piuttosto che la grande impre- sa. Ma questo era anche il suo limite maggiore. Questi indirizzi infatti espri- mevano una linea di politica economica avversata da anni da Confindustria e da ampi settori della DC, compreso quel Luigi Sturzo, che gli imputava anche posizioni di apertura all’industria di Stato. Nondimeno, attorno al- le posizioni di La Cavera si stava consolidando un’area politica eterogenea che comprendeva personaggi come Alessi e Milazzo e una parte della clas- se dirigente del PCI, con Macaluso come principale esponente. La nomina di Ignazio Capuano al posto di La Cavera, apriva così un solco tra governo e un fronte eterogeneo accomunato dalla difesa dell’autonomia politica ed economica della Sicilia, che in quel momento sembrava incarnarsi in toto con il progetto di sviluppo siciliano auspicato dal leader di Sicindustria. A rendere più complessa la sopravvivenza del governo la Loggia contribuiva- no le “frizioni” con l’esecutivo nazionale sui volumi di risorse destinate alla Sicilia, che alimentavano un rivendicazionismo “riparazionista” rinvigorito dalla definitiva esautorazione dell’Alta Corte da parte della neonata Corte Costituzionale. Nei mesi di gennaio e febbraio La Loggia scriveva al Presi- dente del consiglio Zoli per lamentarsi del trattamento ricevuto dalla Sicilia in relazione alle assegnazioni previste dalla Cassa del Mezzogiorno in segui- to alle legge di proroga del 1957:

[…] Ho dovuto dolorosamente constatare come si persista nel porre la Sicilia in condizioni di svantaggio in rapporto alle altre regioni del mezzogiorno e come si continui a considerare con criteri non corrispondenti a dati obiettivi le condi-

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zioni di grave depressione economica e sociale dell’isola e come infine si poggi la giustificazione di tale orientamento su artificiosi calcoli e formule anziché su constatazioni facilmente eseguibili e delle effettive esigenze64.

Secondo La Loggia gli stanziamenti statali in opere pubbliche erano passati da 9,6 miliardi del 1952-1953 a 2,5 miliardi, con pesanti tagli so- prattutto nelle assegnazioni per i danni bellici, nonostante nell’isola, fino al 1955, solo il 2% dei vani risultasse ricostruito, contro una media nazio- nale del 20%. Per quanto riguardava le opere idrauliche in Sicilia venivano investite risorse solo nell’area del Simeto per un ammontare di 4 miliardi, corrispondente solo al 3,33% dello stanziamento globale di 120 miliardi in 12 anni. Rispetto alla Cassa del Mezzogiorno le erogazioni erano state fino ad allora pari al 17,66% sul totale, nonostante fossero state previste per la Sicilia somme pari al 26,5% degli stanziamenti, e sarebbero ulteriormente diminuite dopo la legge di proroga della Cassa del 1957.

[…] si può concludere che il fondo di solidarietà anziché costituire un plus da destinare ad una specifica finalità su un piano di perequazione regionale, entra con funzione compensativa nel totale delle assegnazioni dei fondi pubblici sta- tali alla Sicilia venendosi così a neutralizzare uno dei principali effetti anzi quel- lo essenziale dal punto di vista economico, che dall’istituto Autonomistico sici- liano si attende in conformità al suo statuto65.

A inasprire i rapporti contribuivano anche le frequenti interpretazioni restrittive dello Statuto da parte dei ministeri «intese da un lato a ridurre gli interventi finanziari dello Stato, dall’altro a ridurre o a negare la compe- tenza della Regione riconosciuta dalle norme stesse». Un’ostilità da parte degli organi centrali dimostrata dalle frequentissimi impugnative di leggi da parte del commissario dello Stato, spesso motivate da motivi meramen- te formali. In un contesto simile la mancata integrazione dell’Alta Corte nella Corte Costituzionale generava polemiche in una classe dirigente che vedeva «nell’attacco allo speciale organo di garanzia costituzionale un di- retto attacco all’essenza stessa dell’autonomia»66. La dialettica centro-periferia di cui la DC si faceva interprete sin dal- la nascita della regione autonoma, si era svolta fino ad allora all’interno di un partito eterogeneo e onnicomprensivo, seguendo una direzione che dal basso, sin dal più piccolo centro dell’isola, giungeva sino a Roma. Anche su questa costante contrattazione con un centro dispensatore di provve- dimenti e di risorse si era strutturato il potere e il radicamento democri- stiano. Proprio il buon funzionamento di questo meccanismo aveva con- tribuito a legittimare l’istituto autonomistico, che in fin dei conti era stato edificato sulla promessa del superamento di un divario economico storico. L’irrigidimento di questa relazione rischiava di far esondare tensioni non più facilmente controllabili dalla classe dirigente locale. Ne era consape-

Polo Sud | n. 3 | 2013 | [96] Andrea Miccichè vole lo stesso La Loggia che concludeva la sua lettera testimoniando a Zo- li «il crescente allarme della classe dirigente dell’isola per l’atteggiamento sfavorevole di alcuni settori della politica nazionale», e il difficile compito del governo regionale teso a «neutralizzare in conseguenza le speculazioni degli avversari politici sia in sede di Assemblea legislativa che sulla stam- pa e nella pubblica opinione»67. Le fondamenta dell’edificio fanfaniano in Sicilia risultavano dunque più fragili del previsto, come dimostravano la prima crisi di governo del 31 ottobre 1957, a cui seguiva la nascita di un go- verno La Loggia bis68, e poi l’ulteriore débâcle al momento della votazione del bilancio, il 2 agosto 1958, che rimetteva tutto il quadro politico in cao- tico movimento. Alessi, in un promemoria sulla vicenda Milazzo inviato ai vescovi dell’isola, scriveva che La Loggia era caduto per «molteplici e di- sparati motivi» a cominciare dal tentativo di «eliminazione dell’opposizio- ne interna del partito» in vista delle successive elezioni regionali. Secondo Alessi, i fanfaniani avevano affermato l’idea che «la vera Democrazia Cri- stiana era nata solo nel 1955» e che fosse pertanto necessario «far piazza pulita» del «vecchio e superato mondo politico del fronte cattolico che ve- niva definito clientelistico, mal costumato, empirico, superficiale, maffioso etc». Dal punto di vista economico il governo La Loggia aveva sposato una linea confindustriale «avverso agli operatori isolani organizzati in Sicindu- stria e in posizione polemica con Confintesa » da cui era dipeso:

Il tentativo di riforma della legge sull’industrializzazione, quindi il suo nuovo indirizzo pro Italcementi, pro Montecatini, pro Edison etc.; ed infine l’ingiusti- ficato ritardo nella costituzione degli organi dei nuovi strumenti finanziari pre- disposti dalla legge, sino alla loro consegna nelle mani di fiduciari dei sullodati gruppi di pressione69.

Inoltre veniva stigmatizzata la pratica di collocare nei vari gangli dell’amministrazione «parenti», «intimi amici», «dipendenti e funzio- nari di partito», distinguendo tra “deputato di partito”, se aderenti alla corrente fanfaniana, e “deputato che non è di partito” in caso contrario. Questa politica di concentrazione di poteri e risorse in poche mani – si scriveva nel promemoria – si era basata sull’indisciplina di partito, ovve- ro su quella pratica «dei franchi tiratori» che aveva causato la bocciatura di Restivo e di Alessi:

[…] E dire che nel maggiore dei casi l’esser diventato “iniziativista” per un depu- tato è dipeso dalla maggiore velocità adoperata nel trasformarsi in “direziona- lista”, rispetto al competitore, lasciato nei guai dell’opposizione. Basterà accen- nare che, per esempio, l’assessorato ai LLPP per via di questa politica di accen- tramento nelle mani dei “fidati” dei “patrioti” disponeva della programmazione per oltre 200 miliardi di stanziamenti: 75 miliardi dal fondo di solidarietà; 50 miliardi dalla legge per le case fatiscenti; 30 miliardi di opere della Cassa del

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Mezzogiorno; 15 miliardi circa per viabilità minore o per case dei pescatori; 10 miliardi circa, per altri stanziamenti del bilancio ordinario; 4 miliardi per l’ae- roporto di Palermo; 20 miliardi per lavori di bonifica […]70.

Ma a pesare erano anche gli scarsi successi, soprattutto nella «riso- luzione dei problemi sottoposti al giudizio del governo nazionale (grano duro, interventi dell’IRI, stanziamenti della Cassa del Mezzogiorno, crisi zolfifera e viti-vinicola, commesse, autostrade, legge speciale per Paler- mo, Alta corte.)». Al contrario, per alcuni esponenti di primo piano del- la DC siciliana, tra cui lo stesso La Loggia71, dietro la caduta del governo si celavano gli interessi delle «forze dell’intermediazione parassitaria in politica e in economia», rappresentate dalla Sicindustria di La Cavera, e delle «forze dell’intermediazione affaristica nel campo agricolo», pros- sime tradizionalmente ad una parte della DC, ai liberali e ad altri setto- ri della destra. Secondo i maggiorenti della DC la rappresentanza parla- mentare democristiana era risultata così poco coesa, proprio perché già durante la tornata elettorale del 1955 questi gruppi di interesse avevano finanziato candidature che fossero una propria emanazione. Nel gioco si erano inserite anche le forze di sinistra che avevano fatto leva sulle dis- sidenze interne alla DC. In fin dei conti erano state proprio queste dissi- denze ad agitare di volta in volta «problemi di difesa dell’autonomia (Al- ta Corte, Costituzionale)», «rivendicazioni riparazioniste (stanziamenti dell’art 38 e della Cassa del Mezzogiorno)» o difese «del prodotto sici- liano (grano duro e vino) contro la vessatrice ed anti autonomistica di- rezione DC, nei confronti della quale si reclamavano, sotto la specie di una rivalutazione dell’indipendenza del mandato parlamentare, struttu- re di partito o comunque atteggiamenti autonomi»72. Si trattava, dunque, di un’operazione di lungo periodo, «per lungo tempo coltivata», favori- ta dalla debolezza della direzione del partito nei confronti di coloro «che con atti di indisciplina e di evidente collusione con forze esterne, soprat- tutto di sinistra» attentavano all’unità della Democrazia Cristiana. In queste ricostruzioni, certamente non imparziali, erano concentrati tutti i nodi di un dissenso che era andato ben al di là della sempre aspra dialettica interna alla DC. La conclusione dell’esperienza di governo di La Loggia era infatti il preludio di una fase caotica, che la DC non riusciva né a gestire né a comprendere in pieno. Contribuiva naturalmente anche il qua- dro politico nazionale, caratterizzato da una crescente e generalizzata op- posizione al potere di Fanfani, in quel momento Presidente del Consiglio, ministro degli esteri e segretario della DC, a cui facevano seguito riposizio- namenti anche all’interno della sua stessa corrente, con la nascita, poi, del nuovo raggruppamento doroteo nel corso del 195973. Quel «terzo tempo dell’autonomia» di cui parlava Alessi coincideva, dunque, con una fase ca- ratterizzata da numerose linee di tensione variamente intrecciate: Le fai- de interne alla DC, dovute a conflittualità spesso pre-esistenti e fomentate

Polo Sud | n. 3 | 2013 | [98] Andrea Miccichè dalle spregiudicate operazioni della corrente fanfaniana, i dissidi legati al dibattito sugli indirizzi economici del governo regionale, gli interessi con- trapposti all’interno delle categorie produttive, le rigidità sempre più evi- denti nel rapporto con lo Stato centrale. Il conflitto si allargava oltre i confi- ni del partito, gettando le basi per alleanze impensabili fino a quel momen- to. Ed era un autonomismo con tinte sicilianiste ad offrire un punto di con- tatto ideale per componenti diverse e a volte irriducibili – pezzi della DC, sinistra social-comunista, Sicindustria, persino alcuni gruppi della destra legata all’indipendentismo – accomunate da un rivendicazionismo “ripa- razionista” che la DC fanfaniana non riusciva più arginare. Questo diventa- va un contenitore abbastanza ampio e generico da contenere spinte anche contraddittorie, tipiche di una società articolata e in via di modernizzazio- ne. In tal modo, nel dibattito pubblico, La Loggia e Fanfani, Roma e i gran- di monopoli privati divenivano gli obiettivi di una contestazione che per un momento metteva indistintamente insieme attori e interessi diversi in no- me di una salvifica difesa dell’autonomia. Si trattava della riaffermazione di una forma di rivendicazionismo che era stato un fattore legittimante per la nascita della Regione, e che continuava a essere un elemento identitario in un momento di crisi e di rigidità nelle relazioni con un centro politico (Stato o struttura di partito) ritenuto, a torto o a ragione, ostile. La novità era che questo nuovo riparazionismo coincideva per la prima volta con una proposta politica, per quanto confusa e non precisamente delineata, e con un modello di sviluppo economico indubbiamente ambizioso. A questo punto i contenuti dell’esperienza Milazzo erano già tutti pre- senti e le convulse vicende legate alla risoluzione della crisi del governo La Loggia li portavano a maturazione. La stessa figura del politico calati- no veniva fuori da questa vicenda con un prestigio accresciuto dalla scelta di dimettersi da assessore, dopo la bocciatura del bilancio, che contrastava con la resistenza di La Loggia e il lungo braccio di ferro con l’Assemblea, conclusosi solo a ottobre con le dimissioni del Presidente della Regione. La spaccatura all’interno della DC si era rivelata nella sua gravità e non era stata alleviata dalla volontà dei fanfaniani siciliani di imporre nuovamente una propria candidatura. La possibilità di un’ulteriore giunta diretta da La Loggia trovava scarsi proseliti e veniva superata dalla scelta della Direzio- ne nazionale, attraverso Bernardo Mattarella, di un altro fanfaniano, Bar- baro Lo Giudice, da poco implicato nello «scandalo dell’acqua Pozzillo». Il politico paternese era infatti al centro di una violenta campagna media- tica e propagandistica comunista, oltre che di un’indagine giudiziaria, per l’accusa di aver concesso lo sfruttamento delle acque minerali di Pozzillo, di proprietà della Regione, per 10 milioni l’anno all’imprenditore catanese Puglisi-Cosentino, respingendo offerte ben più alte74. Questa vicenda si ag- giungeva ai malumori dei laloggiani e alle resistenze dei settori anti-fanfa- niani del partito. Ma anche la proposta Milazzo caldeggiata da Alessi a Pa- lermo e da Scelba a Roma, appariva troppo debole dopo la censura ricevuta

Polo Sud | n. 3 | 2013 | Milazzismo, autonomismo e crisi dei partiti nella Sicilia degli anni cinquanta [99] dagli organismi dirigenti regionali e nazionali per le dimissioni dal governo La Loggia75. La crisi politica protrattasi per mesi, perdurava oltre ogni oltre limite rappresentando in maniera eclatante la debolezza di un istituto au- tonomistico incapace, a 10 anni dalla sua nascita, di svolgere persino le sue funzioni ordinarie. Le turbolenze democristiane, legate al quadro naziona- le e alla crisi del centrismo come formula adeguata alle trasformazioni del paese, creavano peraltro malumori tra gli alleati storici – socialdemocrati- ci, liberali, ma anche monarchici e missini – timorosi di venire relegati in un angolo, e generavano preoccupazioni a sinistra, dove la prospettiva di un’apertura democristiana ai socialisti, rischiava di isolare ancor più i co- munisti. La candidatura di Lo Giudice giungeva in Assemblea già prostra- ta dalle consultazioni interne al gruppo DC, dove essa aveva prosperato con un’esile maggioranza, minata dalla scarsa disciplina del gruppo e con un’ostilità diffusa tra le schiere dell’opposizione76. Ciò che non era preve- dibile era l’esito della votazione del 23 ottobre 1958, che con 55 voti a fa- vore eleggeva Milazzo Presidente della Regione. Questi, a sorpresa, accet- tava l’investitura rispondendo alla «chiamata» dell’assemblea, dichiaran- do il carattere amministrativo del suo governo e richiamandosi alla difesa dell’autonomia. Si apriva una nuova fase politica con la DC all’opposizione e incapace di contrastare un’anomala alleanza tra forze diverse, accomu- nate da un generico richiamo ai valori dell’autonomismo. Quando Milaz- zo, poi, veniva convocato a Roma e, nonostante i tentativi di mediazione di Scelba e di Alessi, la segreteria DC ne decideva l’espulsione77, sembrava materializzarsi, come mai fino ad allora, la frattura tra un centro irrigidito nelle sue posizioni, ostile politicamente all’autonomia e alle sue prerogati- ve. Il risultato era paradossale, Milazzo usciva legittimato nella sua spre- giudicata operazione politica, con l’implicita simpatia del fronte anti-fan- faniano, e persino la bonaria, ma transitoria, neutralità del clero siciliano, che del segretario nazionale aveva sempre rifiutato le aperture a sinistra78. Il richiamo alla difesa dell’autonomia, la contestazione anti partitocratica, mutuata direttamente da Sturzo, trovavano così un ulteriore elemento di forza. Se la «Sicilia stava al di sopra dei partiti»79, la difesa dei suoi interes- si di fronte alle inadempienze statali o all’invasività dei partiti, legittimava la nascita di un «governo di unità siciliana» con un appoggio trasversale che andava dal Movimento Sociale Italiano al Partito Comunista Italiano ed in cui erano presenti 3 democristiani, 1 socialista, 1 indipendente di si- nistra ed altri 6 parlamentari missini e monarchici. L’operazione riceveva la collaborazione del PCI siciliano e l’avallo del- la direzione nazionale del partito che nella riunione della segreteria del 27 ottobre 1958 decideva di appoggiare l’ipotesi di un governo Milazzo con un programma formulato dal gruppo comunista dell’Ars. Si premeva per un esecutivo composto da uomini del gruppo milazziano, da tecnici o da uo- mini indipendenti provenienti da qualunque lista, senza discriminazione, compreso D’Antoni che proprio da indipendente era stato eletto nelle liste

Polo Sud | n. 3 | 2013 | [100] Andrea Miccichè del PCI80. La necessità di far durare il governo, veniva ribadita qualche set- timana dopo da Li Causi che auspicava un impegno diretto delle organizza- zioni di massa nell’attività legislativa, consolidando un modello che andava esportato a livello nazionale81. Del resto già nel corso del III congresso re- gionale del 1957 il PCI aveva rilanciato con forza il tema della difesa dell’au- tonomia, minacciata dalla DC e dai «grandi monopoli del Nord», forze ac- centratrici e anti democratiche – nell’analisi di Togliatti – contro cui rilan- ciare un’idea di autonomia che rappresentasse «la soluzione dei problemi siciliani». L’idea di un’alleanza tra masse lavoratrici e borghesia produttiva nel quadro di un rilancio di un disegno autonomistico, che era stata la ba- se del dialogo con quella parte dell’imprenditoria rappresentata da La Ca- vera, d’altra parte, sembrava produrre anche risultati politici insperati. In questo quadro anche l’anomala e transitoria alleanza con il MSI veniva fat- ta passare senza troppi scrupoli. Secondo Macaluso non si poteva rifiutare la convergenza con chi in quel momento aveva deciso di schierarsi «a difesa del parlamento e della democrazia», ritenendo queste posizioni non in con- traddizione con le loro ideologie. Dunque, erano i missini a doversi porre il problema della coerenza delle loro posizioni autonomiste e democratiche82. La frattura interna alla DC, pertanto, si esternalizzava, erodeva le divi- sioni partitiche, rompendo l’unità dei cattolici, mettendo in secondo piano la pregiudiziale anti-comunista e sbloccando apparentemente un sistema politico rigidamente condizionato dalla guerra fredda. L’autonomismo po- teva essere la parola d’ordine per riaffermare la peculiare identità siciliana, il contenitore vasto ed ambiguo in cui far confluire ogni forma di rivendica- zionismo, a partire da quello riparazionista che aveva strutturato il profilo identitario della Regione dalla sua nascita. Togliatti lo aveva detto durante il congresso del PCI:

[…] Abbiamo voluto l’autonomia, abbiamo combattuto per essa, non soltanto per realizzare qui una vita democratica come era imposto dalle condizioni sto- riche in tutto lo sviluppo del nostro Paese, ma per porre fine allo sfruttamento e all’oppressione del popolo siciliano. […] e la nostra esperienza ci dice che ogni qualvolta questa concezione dell’autonomia si è attenuata e offuscata non si è andato avanti, anzi si sono avuti arretramenti e sconfitte83.

La divaricazione tra ansie di benessere e arretratezza di vaste porzioni della società siciliana, le difese conservatrici degli assetti economici e le ri- chieste di maggior interventi per lo sviluppo, la complessa trama delle re- azioni, in positivo o in negativo, ai processi di modernizzazione in atto, ge- neravano aspettative a cui il richiamo indeterminato all’autonomismo da- va risposte, seguendo una dinamica comune alla nascita di altri sentimenti regionalisti, o piccolo-nazionalisti in Europa84. L’operazione Milazzo diveniva da subito un catalizzatore delle tensio- ni e delle speranze esistenti nella società siciliana trovando un consenso

Polo Sud | n. 3 | 2013 | Milazzismo, autonomismo e crisi dei partiti nella Sicilia degli anni cinquanta [101] nell’opinione pubblica che preoccupava sin da subito il capogruppo demo- cristiano all’ARS Carollo e il resto della dirigenza della DC:

[…] lo stato dell’opinione pubblica in questo momento è veramente allarman- te perché questa demagogia autonomista e questa demagogia nazionalista sulla quale Milazzo e qualche altro cercano di puntare per creare una cer- ta psicosi che si riversa anche contro i partiti e le varie direzioni. C’è al fon- do un’atmosfera a carattere poujadistico, perché qualcuno guarda al “povero Silvio” come al “novello De Gaulle” della situazione siciliana. […] L’opinione pubblica è sensibilizzata da uno stato d’irritazione e oggi è stata esasperata da questa campagna, alla quale hanno finito per cedere con molta facilità anche alcuni degli organismi di informazione locale.[…] io ho avuto un lungo collo- quio con il direttore del “Giornale di Sicilia” che contribuisce certamente in maniera notevole per l’opinione pubblica della Sicilia occidentale, e mi ha det- to che il governo a carattere amministrativo della regione risponde ad una sua vecchia aspirazione. […] Poi mi ha detto chiaramente: non intendo mettermi contro l’opinione pubblica85.

Non era estranea a questo consenso una domanda diffusa di moraliz- zazione della politica, forte anche nel mondo cattolico ed ecclesiastico86, che si identificava con la ribellione ad un sistema di potere radicato e che trovava nell’autonomismo un simbolo e nella persona di Milazzo un per- sonaggio in grado di incarnarlo. Ciò che emergeva era anche l’incapacità della DC di assumere il suo storico ruolo di mediazione tra istanze locali e politiche nazionali, che fino ad allora era stato punto di forza del partito in Sicilia. Una situazione che spingeva il Presidente della Repubblica Gronchi a rivolgersi al Presidente del consiglio Fanfani per ipotizzare una possibi- le revisione degli statuti speciali finalizzata a «quel risanamento morale e politico della vita regionale che appare ormai indilazionabile» e che la vi- cenda Milazzo aveva reso più eclatante. Una posizione certamente non iso- lata e che aveva trovato anche in Scelba un convinto sostenitore nel passa- to, almeno prima che la vicenda Milazzo divenisse una pedina nella partita contro Fanfani87. Invece per Gronchi proprio i fatti siciliani denotavano al massimo livello quelli che definiva «problemi di costume», quali «l’inte- grale parificazione delle indennità parlamentari e dei privilegi de benefici correlativi, e la trasformazione degli assessorati in veri e propri Ministeri in tutto simili a quelli nazionali», l’inflazione burocratico-amministrativa e la consuetudine ad approvare i bilanci in ritardo rispetto alle stesse pre- visioni statutarie (ovvero entro il mese di gennaio). Inoltre si contestava un’interpretazione della potestà tributaria regionale che non poteva sur- rogare la potestà dello Stato, ma essere aggiuntiva «nell’ambito dei crite- ri tributari generali», per non ledere il principio dell’unità fiscale. Rispet- to al Fondo di solidarietà nazionale, se ne chiedeva l’abolizione, destinan- do in cambio alle casse regionali le aliquote di alcune imposte come quella

Polo Sud | n. 3 | 2013 | [102] Andrea Miccichè sulle produzione, o sui tabacchi, o sul proventi del lotto o «meglio ancora sull’imposta di fabbricazione sugli olii minerali in estrazione siciliana»88. Ma la contestazione più rilevante riguardava la relazione fiduciaria esisten- te tra Presidente della regione e Assemblea, che Gronchi riteneva propria di un sistema parlamentare e non di un ordinamento regionale, che, sep- pur avanzato, non era dotato «degli attributi statuali della sovranità:

[…] In altri termini, sembra lecito ritenere che l’autonomia politica riconosciu- ta dalla Costituzione alla Regione Siciliana essendo tassativamente ristretta al- la funzione legislativa non possa che rimanere attribuzione propria dell’organo al quale la Costituzione medesima attribuisce l’esercizio di tale funzione e cioè dell’Assemblea Regionale89.

L’analisi di Gronchi si concludeva con la proposta shock di far nomi- nare il Presidente della regione dal Presidente della repubblica, una vol- ta sentiti i presidenti dei gruppi dell’Assemblea regionale, seguendo uno schema proprio di «un regime direttoriale»90. Si trattava di un’interpre- tazione che stravolgeva radicalmente la prassi politica isolana, concepen- do le istituzioni autonomistiche come articolazioni di secondo livello, su- bordinate ad uno stato centrale sovrano. Non era solo l’operazione Milaz- zo a essere delegittimata, ma anche l’idea stessa di un’eccessiva politiciz- zazione del governo regionale che veniva rappresentato come organo con «funzioni esecutive ed amministrative», comunque sottoposto alle diret- tive del governo. In questo caso era evidente la volontà di destrutturare tutta la costruzione autonomistica, disconoscendo implicitamente quelle rivendicazioni storiche e quel profilo identitario, che era stato fondamen- to di un processo statutario precedente a quello costituzionale. Sebbene la lettera del Presidente della Repubblica non avesse conseguenze politiche di rilievo, rappresentava la testimonianza più eclatante dell’irrigidimen- to nei rapporti tra istituzioni dello Stato e quelle siciliane, determinato dall’interruzione improvvisa del flusso di relazioni che la DC aveva sem- pre gestito e canalizzato. Tra le pieghe dell’analisi giuridico-costituzionale si palesava, dunque, la preoccupazione per la crisi del ruolo dei partiti e del funzionamento della democrazia, che, secondo Gronchi, imponeva un rafforzamento dello Stato centrale e delle funzioni della Presidenza della Repubblica, seguendo quello schema gollista che avrebbe ispirato il leader democristiano negli anni successivi.

3. Epilogo

La nascita di un secondo partito cattolico e autonomista, l’Unione Sicilia- na Cristiano Sociale, il ruolo delle sinistre nel supportare il governo Mi- lazzo, e la conseguente rimozione della pregiudiziale anticomunista, esa-

Polo Sud | n. 3 | 2013 | Milazzismo, autonomismo e crisi dei partiti nella Sicilia degli anni cinquanta [103] cerbavano le tensioni dei mesi precedenti, caratterizzando una campagna elettorale tesissima e con forti ricadute sulla politica nazionale91, in cui nel frattempo la stella di Fanfani aveva cominciato a brillare con meno forza, dopo la caduta del governo e le dimissioni dalla segreteria della DC. I risultati elettorali del 7 giugno facevano registrare un discreto successo dell’USCS, divenuto terzo partito con il 10,6% e 9 seggi, una sconfitta del- la DC in termini percentuali e nel numero di seggi, da 37 a 34, una tenuta di socialisti e comunisti e missini e un’ulteriore flessione dei monarchici. Il Governo Milazzo veniva riconfermato, ma con una maggioranza sem- pre più debole e litigiosa destinata a vivacchiare per alcuni mesi, prima di cadere rovinosamente all’inizio del 1960. I conflitti di questi anni, che avevano alterato i rapporti tra un centro politico ed economico ed una periferia in via di trasformazione, ma an- cora incapace di governare compiutamente i processi di modernizzazio- ne, perdevano di rilevanza politica. Quel dibattito politico-economico sui modelli di sviluppo, che aveva reso alcuni temi del nuovo meridionalismo argomento di discussione e di comunicazione pubblica in Sicilia, sfocia- va solamente nella nomina di La Cavera alla direzione della SOFIS, e nel- la costituzione dell’ANIC a Gela a cui avrebbe fatto seguito la costruzione del petrolchimico. Quell’ansia di moralizzazione della politica che aveva transitoriamente nuociuto alla DC, si traduceva in alcuni provvedimenti simbolici92, ma veniva investita definitivamente dallo «scandalo dell’ho- tel delle Palme»93. Le rigidità nel rapporto con il governo centrale, che avevano alimentato una diffusa e trasversale corrente rivendicazionista, si ridimensionavano in seguito alla crisi del fanfanismo e alla nuove poli- tiche di intervento pubblico in tema di industrializzazione del Meridione. Secondo Giarrizzo «uno squallido e grigio crepuscolo avvolgeva, spegnen- dolo, l’autonomismo sicilianista degli anni ’50»94. Ma ciò avveniva perché troppo ambigui ed eterogenei erano stati i suoi contenuti, troppo debole la compagine governativa, troppo importante la Sicilia come bacino elet- torale per la DC, e troppo rigida la gabbia politico-sistemica imposta dalla guerra fredda. L’esistenza di un secondo partito cattolico e autonomista, che rispondesse anche alle sollecitazioni derivanti da una dinamica con- flittuale tra un centro e una periferia, poteva persino legittimare la rimo- zione di ogni pregiudiziale politica, anche quella anti-comunista, come era avvenuto in Val D’Aosta proprio in quelle settimane95. I rischi di un siste- ma politico sbloccato e privato da ogni conventio ad excludendum, anche se solo nelle sue periferie, erano del tutto incompatibili con le rigide con- dizioni imposte dalla situazione internazionale. Ma in fin dei conti l’autonomismo non attecchiva, non diveniva elemen- to strutturale di un sistema politico locale, solo transitoriamente rivelato- si disomogeneo rispetto a quello nazionale. La frattura centro-periferia si rimarginava perché inadatta a soddisfare attese di cambiamento troppo generiche ed eterogenee, legate soprattutto ai temi dello sviluppo e della

Polo Sud | n. 3 | 2013 | [104] Andrea Miccichè moralizzazione della politica, che perdevano anch’essi la rilevanza sistemi- ca avuta in questi anni. I conflitti che avevano contribuito al milazzismo, venivano riassorbiti rapidamente all’interno del capiente ventre della DC, intrecciati caoticamente al grande gioco delle correnti del partito. Si chiu- deva definitivamente una stagione. La politica siciliana si allineava al qua- dro nazionale come se nulla fosse accaduto. Dopo il prematuro crepusco- lo dell’USCS, Il sicilianismo autonomista rimaneva sottotraccia, un fiume carsico che periodicamente veniva alla luce96. Ma alla persistenza di gene- rici riferimenti alla tradizione autonomistica, spesso venati di sicilianismo ribellista97, non corrispondeva ancora una volta la strutturazione di for- mazioni partitiche che interpretassero stabilmente istanze legate a fratture storiche tra un centro ed una periferia. Il sistema partitico locale rimane- va definitivamente coerente al quadro nazionale, differentemente da molte altre autonomie europee.

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Note

1 La storiografia ha generalmente ricollegato il milazzismo alla lotta contro lo strapotere della corrente fanfaniana dentro e fuori la DC. Lupo ne ha evidenziato invece il carattere di rivolta anti-partitocratica. Tra i tanti citiamo: Silvio Lanaro, Storia dell’Italia Repubblica- na, Marsilio, Venezia, 1992; Pietro Scoppola, La repubblica dei partiti, evoluzione e crisi di un sistema politico. 1945-1996, Il Mulino, Bologna, 1997; Giorgio Galli, I partiti politici italiani (1943-2004), Bur, Milano, 2001; Salvatore Lupo, Partito e antipartito, Donzelli, Roma, 2004. 2 Luigi Sturzo, Industrializzare la Sicilia, in Salvatore Butera (a cura di), Regionalismo sici- liano e problema del Mezzogiorno, Svimez, Milano, 1981, pp. 187- 190. 3 Pasquale Saraceno, Nuovo Meridionalismo, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli, 2005. 4 Gabriella Gribaudi, Mediatori. Antropologia del potere democristiano nel Mezzogiorno, Rosenberg e Sellier, Torino, 1980. 5 Mario Caciagli, Democrazia cristiana e potere nel mezzogiorno, Guaraldi, Firenze, 1977. 6 Ester Damascelli, Lorenzo D’Agata, Movimenti migratori, in Paolo Sylos Labini, (a cura di), Problemi dell’economia siciliana, Feltrinelli, Milano, 1966, p. 134; Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, Torino, 2006, p. 310. 7 Renèe Rochefort, Sicilia anni cinquanta. Lavoro, cultura e società, Sellerio, Palermo, 2005. 8 Franco Leonardi, Operai nuovi (studio sociologico sulle nuove forze del lavoro industriale nell’area siracusana), in Paolo Sylos Labini, op.cit., pp 1029-1294. 9 Danilo Dolci, Banditi a Partinico, Sellerio, Palermo, 2006 10 Palermo si trasformava in maniera, ovviamente, altrettanto impetuosa. “Il sacco di Paler- mo” simbolizzato dalla distruzione della via Libertà e delle vie adiacenti, alterava nel profon- do la città. L’edilizia sovvenzionata trainava un settore in grado di costruire alla fine degli anni cinquanta migliaia di vani anche al di fuori delle aree di ampliamento. Una febbre edilizia ben descritta dalla relazione di minoranza della Commissione parlamentare sul fenomeno della mafia in Sicilia, che ricostruisce un incredibile intreccio tra interessi politici, imprenditoriali e mafiosi. Vedi: Commissione parlamentare sul fenomeno della mafia in Sicilia, Relazione di minoranza dei deputati La Torre, Benedetti, Malagugini e dei senatori Adamoli, Chiaro- monte, Lugnano, Maffioletti nonché del deputato Terranova, IV Legislatura, pp. 577-601; vedi anche Orazio Cancila, Palermo, Laterza, Roma-Bari, 1999; Salvatore Lupo, Storia della Mafia. Dalle origini ai giorni nostri, Donzelli, Roma, 2004, pp. 241-244. 11 L’operazione fu realizzata dall’ISTICA (Istituto Immobiliare di Catania), una società creata nel 1951 controllata dalla Società Generale Immobiliare, una diretta emanazione del Vatica- no. Sull’argomento vedi Mario Caciagli, op. cit., pp 66-97; cfr, Giuseppe Dato, La città e i pia- ni urbanistici, Catania 1930-1980, CULC, Catania, 1980. Interessante l’intervento di Franco Pezzino nel corso della seduta del consiglio comunale del 19 ottobre 1968, in Archivio di Stato di Catania (da ora ASCT), Fondo Pezzino (da ora FP), busta (da ora b.) b.9; e quello di Totò Rindone nel corso del consiglio comunale del 25 novembre 1968, in ASCT, FP, b. 48. 12 Citato in Andrea Miccichè, Catania, luglio ’60, Ediesse, Roma, 2010, p. 47. 13 Maria Clara Tiriticco, Occupazione e salari nell’agricoltura e nell’industria, in Paolo Sylos Labini (a cura di), op. cit., pp. 165-262 14 Comitato cittadino PCI. Piano di attività, ASCT, FP, b. 33. 15 Il progetto Ina Casa venne varato nel 1949 dal ministro dei lavori pubblici Fanfani. Si trat- tava di un programma settennale contro la disoccupazione e per la costruzione di case per i lavoratori, finanziato dalla trattenute dei lavoratori non agricoli, dai datori di lavoro e dallo Stato. Tra il 1949 e il 1963 vennero costruiti in tutto il paese 335 mila alloggi. Vedi Federico Oliva, L’uso del suolo: scarsità indotta e rendita, in Fabrizio Barca, Storia del capitalismo italiano dal dopoguerra a oggi, Donzelli, Roma, 2010, p. 545-578. 16 La città giardino per gli abitanti di San Berillo, “Corriere di Sicilia” del 2 luglio 1952; Sarà uno dei complessi residenziali più belli d’Italia, “Corriere di Sicilia” del 28 febbraio 1954. 17 Dati tratti da Proposte del PCI per l’applicazione della legge 167 per l’edilizia economia e popolare, in ASCT, FP, b.8. 18 Paolo Sylos Labini, Il problema dello sviluppo industriale nella particolare situazione sici- liana, in Paolo Sylos Labini (a cura di), op. cit. p. 996.

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19 Si tratta della legge regionale 17 del 30 giugno 1948 che applica sul territorio regionale il decreto legislativo 114 del 24 febbraio 1948. 20 Francesco Renda, Storia della Sicilia dalle origini ai giorni nostri, Sellerio, Palermo, 2003, v. III, p. 1336. 21 Renèe Rochefort, op. cit., p. 180. 22 Paolo Sylos Labini, op. cit., p. 1005. L’Irfis (Istituto Regionale per il Finanziamento alle Industrie in Sicilia) aveva funzioni di credito industriale per le piccole e medie imprese. Vie- ne costituito nel 1953 sulla base del decreto 31 ottobre 1952 (714) emanato dall’ Assessore per le finanze di concerto con quello per l’industria ed il commercio sulla base della legge nazionale del 22 giugno 1950, n. 445. 23 S. Mangiameli, La regione in guerra (1943-50), in Storia d’Italia. Le regioni. Dall’Unità a oggi, G. Giarrizzo, Maurice Aymard, (a cura di), La Sicilia, Einaudi, Torino, 1987, p. 587. 24 I limiti della legge sull’industrializzazione siciliana, Relazione di Lucio Libertini al con- vegno sulla piena occupazione svoltosi a Palermo i giorni 1 e 2 novembre del 1957, in Sal- vatore Butera, op. cit. 25 Sul divario Nord-Sud vedi l’importante contributo di Emanuele Felice, Perché il sud è ri- masto indietro, Il Mulino, Bologna, 2013; Cfr. Vittorio Daniele, Paolo Malanima, Il divario Nord-Sud in Italia. 1861-2011, Rubbettino, Soveria-Mannelli, 2011 26 Rosario Mangiameli (a cura di), Autonomie. Micronazionalismi e regionalismi in Europa, Edit, Firenze, 2011. 27 Enrico La Loggia, Ricostruire, Palumbo, Palermo, 1943. È Mangiameli a evidenziare che in Ricostruire La Loggia rifiutava in realtà soluzioni di decentramento amministrativo inadatte a regioni povere che vantavano un credito storico. La Loggia avrebbe accettato il decentra- mento regionale in quanto strumento utile a rafforzare il potere contrattuale della classe poli- tica locale. Rosario Mangiameli, La regione in guerra (1943-50), cit, p. 536. 28 L’art. 38 dello statuto siciliano imponeva allo Stato di versare annualmente una somma da impiegarsi per lavori pubblici in funzione del minore ammontare di redditi da lavoro in relazione alla media nazionale. La norma doveva ricompensare l’isola di una storica e pregiu- dizievole disattenzione da parte dello Stato. 29 Sugli esiti della riforma vedi Antonio Checco, La riforma agraria e le campagne siciliane negli anni ’50, in Rosario Battaglia, Michela D’Angelo, Santi Fedele, Il Milazzismo. La Sicilia nella crisi del centrismo, Gangemi, Messina, 1988. 30 Questa legge garantiva ai privati la licenza di ricerca e di sfruttamento fino a 100 mila ettari e prevedeva in questo secondo caso royalties che andavano dal 4 al 20 % (in Venezuela o nel Medio Oriente vigeva la regola del 50%) sul valore della materia prima. Le compagnie ameri- cane furono favorite e in pochi anni fecero sondaggi sul 70% del territorio. 31 Sui miti originari del sicilianismo vedi Giuseppe Carlo Marino, L’ideologia sicilianista, Flaccovio, Palermo,1988. 32 Paolo Rizza, Come il Texas la nostra isola, ricca del nascosto tesoro petrolifero, “Il Corrie- re di Sicilia” del 23 aprile 1954. 33 L’oro nero di contrada Pendente è una conquista dell’autonomia, “Il Corriere di Sicilia” del 10 gennaio 1954. 34 Giuseppe Barone, La Cassa e la «ricostruzione» del territorio meridionale, in Leandra D’Antone, Radici storiche ed esperienza dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno, Bi- bliopolis, Napoli, 1994, pp. 227-242. 35 Inaugurato a Porto Empedocle lo stabilimento Akragas, “Il Corriere di Sicilia” del 18 ot- tobre 1955. 36 Enrico La Loggia, Primo schema di un piano quinquennale della Sicilia, in Salvatore Bute- ra (a cura di),op.cit, pp 153-174. 37 L’Utilizzo dei fondi ERP animò un ampio dibattito e fu oggetto di un congresso che si tenne a Catania dal 5 all’’8 agosto del 1948. Vedi Pier Paolo D’Attorre, Ricostruzione e aree depres- se. Il piano Marshall in Sicilia, in «Italia Contemporanea», settembre 1986, n.164. Citato anche da Rosario Mangiameli, op. cit. p. 586. 38 Mario Proto, Il problema del Mezzogiorno e delle isole al centro della politica economica della nazione, “Corriere di Sicilia” del 15 ottobre 1955 39 Sulla figura di La Cavera sono stati pubblicati negli ultimi anni alcuni lavori giornalistici che ne hanno rivalutato la figura e l’opera, soprattutto in relazione all’attualità dell’economia e della politica siciliana. Vedi Marianna Bertoccelli di Altamira, Nuvola Rossa, Flaccovio,

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Palermo, 2006; Nino Amadore, L’eretico. Mimì La Cavera, un liberale contro la razza pa- drona, Rubbettino, Soveria-Mannelli, 2012. 40 Domenico La Cavera, L’insostituibile contributo della Sicilia nel processo di sviluppo eco- nomico del Mezzogiorno, relazione al convegno CEPES dell’ottobre 1955 in Banco di Sicilia, Notiziario economico e finanziario, 1955, pp 517-521. 41 Domenico La Cavera, Liberali e grande industria, Parenti Editore, Firenze, 1961, p. 10. 42 L.Caminiti, L’industrializzazione delle aree arretrate, in Rosario Battaglia, Michela D’Angelo, Santi Fedele, Il Milazzismo. op. cit. Su questo tema vedi G. Giarrizzo, Sicilia oggi (1959-1986), in M.Aymard, G. Giarrizzo, La Sicilia. Storia d’Italia, dall’unità a oggi, Torino, Einaudi, 1987. 43 era stato Presidente della Regione dal 1947, ovvero dalla sua istituzione, al 1949. Dopo la sua presidenza era iniziato il settennato di Franco Restivo. 44 Le dichiarazioni del Presidente Alessi sul programma del nuovo Governo regionale, “Il Corriere di Sicilia” del 19 ottobre 1955. I discorsi di Giuseppe Alessi sono stati raccolti in Giuseppe Palmeri, Domitilla Alessi, Giuseppe Alessi. Il pensiero politico cattolico e le origini dell’autonomia siciliana, Novecento, Palermo, 2004. 45 Saraceno elaborò il piano Vanoni del 1954 per promuovere lo sviluppo nel mezzogiorno riducendo lo squilibrio col Nord, per conseguire la piena occupazione ed eliminare i deficit di bilancio. Rimase lettera morta. In Paul Ginsborg, Storia di’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, Torino, 2006. 46 Vedi Emanuele Macaluso, I comunisti e la Sicilia, Editori Riuniti, Roma, 1970; idem, 50 anni nel PCI, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003. 47 Grammatico, L›autonomia siciliana nel decennio 1947-1957, Rubbettino, Soveria Mannel- li, 2006, pp. 50-51. 48 Cito da Salvatore Lupo, op.cit. p. 113. 49 Su questo tema vedi Caciagli, op. cit; Percy Allum, Potere e società a Napoli nel dopoguer- ra, Einaudi, Torino, 1975. 50 Su Scelba vedi Giuseppe Carlo Marino, La Repubblica della forza. Mario Scelba e le passio- ni del suo tempo, Franco Angeli, Roma, 1995; su Aldisio vedi Giuseppe Costa, Cataldo Naro, . Cristianesimo e democrazia nell’esperienza di un leader del movimento cattolico siciliano, Sciascia editore, Caltanissetta, 1999. 51 Drago è stato a capo della provincia, che allora era carica non elettiva ma nominata dal- la Presidenza della Regione, dal 1958 al 1964, ma con interruzioni. Caciagli ha descritto le modalità attraverso cui questa classe dirigente ha costruito un blocco di potere insieme ad alcune figure dell’imprenditoria e a pezzi del notabilato locale, riuscendo a controllare i flussi di denaro pubbliche e le leve del potere in quegli anni. Mario Caciagli, op. cit. 52 Giorgio Galli, Storia della DC, Kaos, Milano, 2007. I dati di Grammichele sono tratti da Il congresso provinciale della DC, dossier interno a cura della federazione comunista di Cata- nia, in ASCT, FP, B 8. 53 Il congresso democristiano nella provincia di Scelba, “La Lotta”, bollettino della federazio- ne catanese del PCI, n. 2, 21 luglio 1954. 54 Minore rilevanza aveva il gruppo che faceva riferimento a Guarino Amella. 55 Storia di un Convegno, relazione del responsabile di zona della DC Ermete Bortolotti in Archivio Luigi Sturzo (da ora ALS), Fondo DC (da ora DC), Segreteria Politica (da ora SP), Fanfani, scatola (da ora sc.) 59, fascicolo (da ora fasc.) 2. Cfr Calogero Pumilia, La Sicilia al tempo della Democrazia Cristiana, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1998. 56 Vedi AA.Vv, Società e Chiesa a Caltanissetta all’indomani della seconda guerra mondiale, Edizioni del Seminario, Caltanissetta, 1984. 57 Relazione dell’on Attilio Salvatore all’on. Gonella segretario politico della DC, in ALS, Go- nella, b. 39, fasc.2. 58 Lettera di Alessi a Radi commissario della direzione per la revisione del tesseramento, in ALS, Gronchi, sc. 26, fasc. 143. 59 Lettera di Gioacchino Guccione, parroco di Torretta, a Gullotti dell’8 giugno 1955, in ALS, DC, SP, Fanfani, Sc. 68, fasc.3. 60 Ibidem. 61 Oltre a Milazzo venivano eletti anche altri due assessori invisi a La Loggia: Claudio Majora- na e . Questi, però, a differenza di Milazzo si dimettevano. 62 Si trattava della legge regionale n. 51 del 5 agosto 1957 approvata quasi all’unanimità. In questa legge non erano previsti contributi perequativi. Si introduceva il limite del 49% alla

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partecipazione dei privati al capitale della SOFIS, ma si stabiliva anche che questa non po- tesse superare la soglia del 25% nel controllo delle imprese. Claudio Riolo, Politica di indu- strializzazione e gruppi di pressione negli anni cinquanta, in Alberto Tulumello (a cura di), Modelli di sviluppo economico in Sicilia, L’Epos, Palermo, 1995, pp. 69-87. 63 Pasquale Hamel, Da nazione a Regione. Storia e cronaca dell’autonomia regionale sici- liana. 1947-1967, Sciascia editore, Caltanissetta, 1984, p. 81; vedi Grammatico, op. cit, p. 72. 64 Lettera di La Loggia al Presidente del Consiglio Adone Zoli del 4 febbraio 1958, in ALS, Gronchi, sc. 26, fasc. 143. 65 Ibidem. 66 Ibidem. 67 Ibidem. 68 Si trattava di un monocolore appoggiato da monarchici e missini, in cui però tornava ad avere un ruolo importante con l’assessorato all’agricoltura. 69 Il promemoria è anonimo, ma viene attribuito ad Alessi da Gullotti nel corso della Direzio- ne Nazionale del 10 aprile 1959. Alessi si discolpa dicendo di aver inviato il promemoria solo ai vescovi siciliani e ad altre persone. Tra queste vi è certamente Gonella, considerato anche che il documento è contenuto nel Fondo Gonella presso l’Archivio dell’Istituto Luigi Sturzo. Promemoria sui fatti di Sicilia, ALS, Gonella, b. 39, fasc 2. Viene citato anche da Angelo Romano, Vescovi e Democrazia Cristiana in Sicilia. Fonti e problematiche storiografiche, in Maurizio Gentilini, Massimo Naro (a cura di) Le memorie democristiane, Sciascia, Caltanis- setta, 2005, p. 109-126. Il verbale della direzione nazionale in ALS, Dc, Direzione Nazionale (da ora DN), scat. 31, fasc. 370. 70 Ibidem. 71 Si tratta di una lettera a Fanfani firmata da La Loggia, D’Angelo, Gullotti e Lanza datata 9 novembre 1958, in ALS, DC, SP, Moro, Affari diversi, sc. 82, fasc. 3. 72 Ibidem. 73 Su queste ben note vicende rimando, tra i tanti, a Giorgio Galli, Storia della DC, cit. 74 I manifesti Comunisti contro Lo Giudice tappezzavano le città siciliane. Schema di comizio per la campagna elettorale in Sicilia, Archivio dell’Istituto Gramsci (da ora AIG), Fondo Ber- linguer, serie (da ora s.) 19, busta (da ora b.) 86. 75 Per la cronaca di queste fasi si può fare riferimento a vari lavori. Tra questi rimando a: Felice Chilanti, Chi è Milazzo. Mezzo barone, mezzo villano, Parenti, Firenze, 1959; Pasqua- le Hamel, Dalla crisi del centrismo all’esperienza milazzista (1956-1959), Vittorietti, Paler- mo,1978; Alberto Spampinato, Operazione Milazzo. Cronaca della rivolta siciliana del 1958. Come nacque, a chi giovò, come finì, Flaccovio, Palermo, 1979. 76 Promemoria sui fatti di Sicilia, cit. 77 Scelba cercò di convincere Fanfani ad accettare la situazione di fatto, ma l’unica mediazione che si conseguì consistette nel proporre a Milazzo le dimissioni istantanee in cambio di una successiva rielezione voluta dalla DC. Milazzo declinò l’offerta coerentemente con l’idea della «chiamata» dell’Assemblea ritenuta più importante del volere del partito. 78 Ribadito il proprio anticomunismo viscerale, il cardinale Ruffini, arcivescovo di Palermo ed esponente del cattolicesimo più conservatore, si limitava ad auspicare l’unità tra i demo- cristiani, esimendosi, in questa fase, da una chiara condanna, che sarebbe stata proferita solo successivamente, nella primavera del 1959. Francesco Michele Stabile, I consoli di Dio, Salva- tore Sciasca Editore, Caltanissetta 1999, p. 230. 79 Si tratta di un motto sturziano precedente alle elezioni regionali del 1947, in Luigi Sturzo, Appello ai siciliani, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2002, p. 14. 80 AIG, PCI, Segreteria, Bobina 22, p 794. 81 AIG, PCI, Direzione, Bobina 22, p 372. 82 Emanuele Macaluso, op. cit, p. 116. Pochi mesi dopo l’appoggio missino al governo Tam- broni e l’organizzazione del congresso nazionale a Genova diedero il la ad una serie di mani- festazioni in tutta Italia. Furono 5 i morti in Sicilia nel corso di manifestazioni che avrebbero mobilitato anche sindacati e partiti di sinistra. Vedi Andrea Miccichè, op. cit. 83 Idem, p. 99. 84 In particolare i regionalismi e i nazionalismi spagnoli hanno origine da reazioni ai pro- cessi di modernizzazione e dalla rimodulazione profonda dei rapporti tra un centro, ritenu- to ostile, e una periferia virtuosa. Su questo rimando alla letteratura sui nazionalismi basco e catalano.

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85 Verbale della riunione della Direzione Nazionale della DC del 3 novembre 1959, in ALS, DC, Direzione Nazionale, sc. 30, fasc. 39. 86 Vedi Francesco Michele Stabile, op. cit. pp.195-276. 87 Giuseppe Carlo Marino, La repubblica della forza, cit., p. 270 88 Lettera di Gronchi a Fanfani del 6 novembre 1958, in ALS, Gronchi, scat. 26, fasc. 143. 89 Ibidem. 90 Il testo del disegno di legge costituzionale inviato a Fanfani prevedeva all’art 1: «l’art. 9 dello Statuto della regione Siciliana è sostituito dal seguente. “La giunta regionale è composta dal Presidente Regionale e dagli Assessori. Il Presidente della Repubblica, sentiti i Presidenti dei gruppi dell’Assemblea Regionale, nomina il Presidente della Regione, il quale entro 10 giorni si presenta all’Assemblea per ottenerne la fiducia. Il Presidente della Regione, ottenuta la fiducia dell’Assemblea, nomina con suo decreto quattro Assessori effettivi e due supplenti, scelti anche tra persone estranee all’Assemblea Regionale. Il Presidente della Regione e gli Assessori prima di assumere le funzioni prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica. Il Presidente Regionale dura in carica un anno e non può essere revocato prima della naturale scadenza del suo mandato tranne che per atti contrari alla Costituzione o per gravi violazioni di legge.” Ibidem. 91 Le elezioni del 1959 saranno oggetto di un ulteriore saggio, inizialmente parte di questo. L’eccessiva lunghezza ha suggerito una suddivisione degli argomenti. 92 Destavano un certo clamore: lo scioglimento dei consigli di amministrazione dei consorzi di bonifica del Platani del Tumarrano a rischio di infiltrazione mafiosa; l’indagine sull’Ente di Riforma Agraria Siciliano con la nomina del socialista Rosario Lentini come commissario straordinario dell’ente. 93 Gli onorevoli Corrao (USCS) e Marraro (PCI) tentavano di “comprare” l’adesione alla mag- gioranza dell’onorevole democristiano Santalco. Questi fingeva di accettare e incontrava i due esponenti della maggioranza presso l’hotel palermitano per chiudere l’accordo. Ma il giorno seguente, il 15 febbraio 1960, denunciava il tentativo di corruzione in Assemblea provocando le dimissioni del Governo. 94 Giuseppe Giarrizzo, op.cit, p. 627. 95 Nel mese di maggio del 1959 si erano tenute le elezioni regionali in Val D’Aosta che aveva fatto registrare la vittoria della coalizione di centro sinistra costituita da socialisti, comunisti e autonomisti della Unión Valdotaine. 96 Negli anni settanta, per esempio, il PCI guidato da Achille Occhetto lanciava il «progetto Sicilia», una versione locale del compromesso storico, come unione autonomista che impli- casse il dialogo con la Dc di . È invece complessa l’analisi del Movimento Per l’Autonomia di , che ha conseguito un consenso non molto dissimile all’USCS in termini numerici e di occupazione di spazi di potere, senza però averne lo slancio programmatico e ideale. Il movimento è entrato definitivamente in crisi dopo il rinvio a giu- dizio del suo leader per concorso esterno in associazione mafiosa. 97 Basti pensare all’esperienza del movimento dei Forconi, che nel corso del 2012 con un durissimo blocco stradale ha paralizzato l’isola, assurgendo fugacemente agli onori della cro- naca nazionale. Il discorso politico del movimento era un confuso compendio di sicilianismo qualunquista, con rivendicazioni demagogiche e inattuali ma che raccoglievano forti, ma pas- seggere, simpatie in una parte dell’opinione pubblica.

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