Università Degli Studi Di Perugia Facoltà Di Lettere E Filosofia Corso Di Laurea in Letteratura Italiana E Linguistica
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA IN LETTERATURA ITALIANA E LINGUISTICA TESI DI LAUREA Il cinema in trenta secondi. Analisi degli spot d'autore per la Monte dei Paschi di Siena. Laureanda Relatore Iride Tommarelli Prof. Andrea Bernardelli Anno Accademico 2011/2012 1 INDICE PREMESSA Pag. 3 INTRODUZIONE Pubblicità: la decima arte? » 4 Cinema e pubblicità: connessioni e divergenze » 7 Spot d'autore o "cinema pubblicitario" » 9 CAPITOLO PRIMO Tornatore, Bellocchio, Veronesi: » 14 tre maestri, un solo soggetto La regia come unità creativa » 15 Giuseppe Tornatore » 17 Marco Bellocchio » 43 Giovanni Veronesi » 88 CAPITOLO SECONDO Monte dei Paschi di Siena: una banca dal 1472 La storia » 104 Strategie comunicative » 105 La pianificazione dei media » 106 Vent'anni di spot televisivi » 109 CAPITOLO TERZO Criteri di analisi » 114 Gli audiovisivi analizzati "Una storia italiana dal 1472" » 117 Una giornata italiana secondo Tornatore » 118 Una giornata italiana secondo Bellocchio » 125 Una giornata italiana secondo Veronesi » 130 CONCLUSIONI Tre registi a confronto » 135 BIBLIOGRAFIA » 137 2 Premessa Ognuno di noi è in grado di distinguere un quadro da una poesia, un film da una pubblicità, una sinfonia da una fotografia, ma tutti per contro sappiamo e sentiamo che in opere così diverse c'è un quid comune che ce le fa valutare alla stessa stregua e sotto un medesimo aspetto. Tutti sappiamo, ancora, che un quadro è composto da colori e linee, una poesia da rime e ritmi, una sinfonia da note musicali, un film o uno spot da fotografie in movimento, aspetti molto distanti tra loro che creano linguaggi differenti, ma che contengono un alcunchè di comune che ci induce persino a confrontarli tra loro. E' frequente, infatti, sentire elogiare l'armonia delle linee o la musicalità dei colori di un quadro, la plastica scultorea di una strofa, l'elegante disegno di una frase musicale, servendosi dei termini di una data categoria artistica per mettere in risalto i valori di opere appartenenti ad altri ambiti. Ciò nasce dalla consapevolezza che tali elementi che costituiscono i particolari espressivi delle singole arti, rispecchiano in realtà un unico valore: l'immagine come traduzione del mondo interiore dell'artista. E' a partire da tali premesse che si giunge alla constatazione che anche la pubblicità, al pari del cinema, della letteratura e delle arti figurative, è una forma d'arte. Il presente lavoro si propone di analizzare come questa possa diventare veicolo della soggettività dell'autore e in particolare del regista cinematografico. Passando attraverso le loro rispettive storie, vengono analizzati i rapporti tra cinema e pubblicità al fine di individuarne connessioni, divergenze o zone neutre in cui si collocano forme ibride nate dalla loro contaminazione. Rientrano in quest'ultima categoria gli spot d'autore, ovvero le pubblicità firmate dai più grandi nomi del cinema. Come esempi del fenomeno vengono presi in esame gli spot che Tornatore, Bellocchio e Veronesi hanno realizzato per la Monte dei Paschi di Siena. Per capire come ciascuno di essi ha interpretato e reso diverso lo scorrere di una giornata italiana, soggetto di tutti e tre gli spot, è stato necessario ricostruire l'immaginario, lo stile e i tratti distintivi della loro filmografia. Dopo aver analizzato singolarmente i filmati, tenendo conto sia dei contenuti che dei parametri filmici, è stato possibile operare un confronto tra gli stessi. Da questo è emerso che le varianti apportate da ciascun regista al soggetto sono riconducibili all'estro, alla poetica e alla particolare visione che egli ha della realtà. 3 Introduzione Pubblicità: la decima arte? “La pubblicità, bella o brutta che sia, piacevole o molesta, è uno straordinario specchio della nostra vita individuale e sociale; le sue metafore e i suoi simboli che lo vogliamo o no, ci parlano di noi, come individui e come corpo collettivo, mettono a nudo i nostri desideri, i nostri difetti, le rigidità e le ingenuità del nostro modo di ragionare, le nostre velleità”1. Muovendo da queste premesse risulta piuttosto riduttivo definire la pubblicità esclusivamente come uno strumento di marketing, il cui scopo è quello di promuovere prodotti e servizi. E' ovvio che questo rimane il suo compito primario, finalizzata com'è ad ottenere un determinato riscontro presso il consumatore, in termini di notorietà, stima, fiducia, acquisto e fedeltà. Tuttavia nel tempo essa ha acquisito una sua autonomia proponendosi come intrattenimento oltre che informazione, tanto che spesso lo spettatore ricorda più uno spot televisivo che il prodotto che esso promuove. Il suo scopo, dunque, è quello di coinvolgere il suo destinatario, affascinarlo, emozionarlo e, naturalmente, accattivarlo. Per raggiungere questo obiettivo, scavalcando la concorrenza, lo spot può raccontarci storie, ma anche passioni ed emozioni, visualizzando direttamente sullo schermo televisivo le sensazioni collegate al prodotto o alla marca. Quest'ultima sarebbe, secondo Cinzia Bianchi, l'attuale tendenza della pubblicità, “che sembra caratterizzarsi per far leva sulle valorizzazioni soggettive del prodotto e sulla costruzione simulacrale del soggetto consumatore che prova passioni, generalmente intense ed euforiche, nei confronti del prodotto” 2 . Potremmo dire che se Carosello, primo modello della pubblicità televisiva in Italia, era il racconto, una sorta di fiaba pubblicitaria, lo spot moderno, sia per la sua brevità, che per la sua condensazione linguistica, tende quasi sempre a costruire una simulazione di racconto, a creare un'atmosfera che lo evochi, a proporre una citazione o un rimando: si tratta di quella che Fausto Colombo3 definisce “narrazione commentativa”, sempre più vicina al videoclip o ad alcune sequenze cinematografiche. Per costruire le storie o le passioni di cui si fa veicolo, la pubblicità può attingere alla vita quotidiana o a universi spettacolari, citare libri e film famosi o richiamarsi a miti collettivi, inserendosi all'interno di 1 Cfr. MANETTI G., Specchio delle mie brame. Dodici anni di spot televisivi, Pisa, ETS, 2006. 2 Cfr. BIANCHI C., Spot. Analisi semiotica dell'audiovisivo pubblicitario, Roma, Carocci, 2005, cit., p. 14. 3Fausto Colombo è direttore del Centro di Ricerca sui media e la comunicazione dell'Università Cattolica di Milano, dove insegna Teoria e tecnica dei media e Media e politica. 4 quella dinamica tipica dell'estetica e della cultura post-moderne, che Ferraro definisce “catena intertestuale”, in cui si crea un “continuo colloquio di gruppo spontaneo e ricchissimo in cui tutto è definito, commentato, ritradotto in nuovi testi”4, che migrano da un medium all'altro. Non è difficile, infatti, trovare nei testi audiovisivi (film, telefilm, spot televisivi, videoclip) citazioni o riferimenti letterari e culturali in genere. Ma oltre che alla letteratura, la pubblicità attinge spesso a quella forma d'arte che nell'immaginario collettivo si presenta come una vera e propria fabbrica di desideri: il cinema. E' proprio quest'ultimo che, invadendo il piccolo schermo, ha nobilitato la pubblicità televisiva, conferendole un valore, un significato rinnovato e trasformandola da mero strumento commerciale a forma di spettacolo e intrattenimento. Tuttavia gli stretti rapporti che la pubblicità intrattiene con le varie espressioni artistiche e l'uso che fa dei loro strumenti e linguaggi non hanno spento il sospetto nei confronti del suo fine dichiaratamente commerciale, né le resistenze a considerarla una forma d'arte in piena regola. Se parlare di arte per il cinema è ormai assodato e accettato da tutti, non si può dire lo stesso per la pubblicità, spesso demonizzata per i suoi poteri di seduzione e fascinazione. Gli stessi studi semiologici sulla pubblicità, pur non avendo un intento valutativo, ma descrittivo non sono meno severi nei confronti della comunicazione pubblicitaria. Come ricordano Marrone nel suo saggio Utopie pubblicitarie5 e Cinzia Bianchi nel più recente Spot. Analisi semiotica dell'audiovisivo pubblicitario6, essi obiettano alla pubblicità il fatto di banalizzare le tecniche retoriche e di ridurre l'aspetto creativo di ogni inventio retorica, utilizzando nobili arti a scopi persuasivi o “consolatori”, come è stato detto da Eco7. In realtà anche il cinema ha dovuto scontare un lungo periodo di anticamera prima di essere ammesso nel sistema delle arti e raggiungere pari dignità culturale di un libro, un quadro o una scultura. La formula “film d'autore”, infatti, si afferma relativamente tardi rispetto alla nascita del cinema. Soltanto all'inizio degli anni '50 i cineasti acquisiscono una nuova coscienza del linguaggio cinematografico, che li conduce a riconoscerne lo statuto artistico. Da ciò scaturisce la necessità di differenziare i film “importanti”, “di qualità” (come li definisce Bazin 8 ), dalla produzione mercificata, industriale, rappresentata sostanzialmente dall'industria 4 Cfr. FERRARO G., La pubblicità nell'era di Internet, Roma, Meltemi, 1999, cit., p.100. 5 Cfr. MARRONE G., Utopie pubblicitarie, 2001, pp. 137-214. 6 Cfr. BIANCHI C., in Id., Spot, p. 18. 7 Cfr. ECO U., La struttura assente, Milano, Bompiani, 1968, pp. 165-166. 8 Cfr. BAZIN A., Sur la “politique des auteurs”, 1957; tr. it. Sulla “politique des auteurs”, in “La pelle e l'anima. Intorno alla Nouvelle Vague, a cura di Grignaffini G., Firenze, La casa Usher, 1984, p. 73. 5 cinematografica hollywoodiana. Fondamentale, da questo punto di vista, fu la riflessione teorica dei giovani critici dei “Cahiers du Cinéma”,