Voyage De Charlemagne E La Tradizione Dei Vanti
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SCRITTURA E SCRITTORI Collana di Studi Filologici diretta da LUCIANA BORGHI CEDRINI 20 In copertina: banchetto di Nabuccodonosor, L’Aia KB, 78 D 38 I fol. 234v. Massimo Bonafin GUERRIERI AL SIMPOSIO IL VOYAGE DE CHARLEMAGNE E LA TRADIZIONE DEI VANTI Edizioni dell’Orso Alessandria © 2010 Copyright by Edizioni dell’Orso s.r.l. via Rattazzi, 47 15121 Alessandria tel. 0131.252349 fax 0131.257567 e-mail: [email protected] http://www.ediorso.it Realizzazione editoriale ed informatica di Arun Maltese ([email protected]) È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno e didattico. L’illecito sarà penalmente perseguibile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22.04.41 ISBN 978-88-6274-238-2 Indice Premessa p. 3 Capitolo 1 Il Voyage de Charlemagne 5 Capitolo 2 I vanti nella letteratura critica 47 Capitolo 3 Comparazioni europee 91 Capitolo 4 Continuazioni e rifacimenti 129 Capitolo 5 Nella tradizione letteraria italiana 169 Conclusioni 201 Appendice I Nota al v. 4 del Voyage de Charlemagne 213 Appendice II Una lettura di Peire d’Alvernha, BdT 323,11 217 Appendice III Addenda al capitolo 3 229 Appendice IV Laura Sestri Vanteria al femminile nell’epica popolare russa 235 Appendice V Fortuna del gab di Olivieri 249 Bibliografia 253 PREMESSA Con questo volume porto a compimento, almeno nelle intenzioni, una ricerca che ho cominciato molto tempo fa e che ho più volte ripreso e interrotto, nella sensazione ogni volta di avere di fronte un campo la cui delimitazione variava e si ampliava di continuo; partito dal lavoro di indagine sul Voyage de Charlemagne, che è approdato alla nuova edizione critica apparsa nel 2007, l’interesse per il motivo e la tradizione dei vanti simposiali si è ramificato lungo il percorso, risalendo attraverso le letterature e culture del Medioevo europeo verso le radici storiche, etniche e rituali e discendendo attraverso le relazioni intertestuali e interdiscorsive della letteratura cavalleresca fino alle propaggini rinascimentali e moderne. L’esperienza condotta sulle tracce di questo motivo non mi ha per- messo solo di arricchire le mie competenze di filologo romanzo in direzione di una filologia comparata, che sembra a mio vedere l’unica chiave scientificamente seria e redditizia per affrontare lo studio della cultura medievale, ma mi ha altresì portato a confrontarmi con alcuni aspetti di teoria letteraria e di epistemologia delle scienze umane (si parva licet). Intendo riferirmi all’uso di categorie come quella di mo- tivo (ma si potrebbe pensare anche a tema, tipo, modo, genere ecc.) che in tanto hanno efficacia operativa, cioè ci consentono di descrive- re e interpretare meglio i testi che leggiamo e la cultura che esprimo- no, in quanto sono utilizzate con buona coscienza del loro statuto teorico. In secondo luogo, mi riferisco alla riflessione, che dovrebbe essere più coltivata, sulle logiche e le concettualità in genere che agi- scono nei saggi di critica e scienza della letteratura, cioè di due erme- neutiche che per aver inseguito vanamente (o quasi) il miraggio delle scienze esatte nei decenni trascorsi si trovano ora a dover fare i conti con un ripiegamento utilitaristico e minispecialistico che rischia di perdere di vista i legami istituzionali ed epistemologici con le altre scienze dell’uomo (e dei testi). Senza pretendere a una soluzione buona per tutti i problemi, però, l’esempio della classificazione polite- tica che discuto sommariamente nelle conclusioni di questo lavoro può rappresentare un buon esempio di quanto appena detto. 4 PREMESSA Non nascondo che il volume ha avuto una gestazione complessa e che alcune parti, auspicabilmente, possono essere foriere di ulteriori sviluppi, magari anche da parte di ricercatori più giovani e intrapren- denti (quelli che lo ‘spirito dei tempi’ e l’accademia italiana, mi sia consentito dire, valorizzano di meno). Una prima tappa fu costituita da una pubblicazione del 1990, di cui un recensore almeno sottolineò giustamente l’acerbità;1 ad essa seguirono alcuni contributi in rivista e in occasioni di congressi;2 ora tutto questo materiale è stato rifuso, aggiornato per quanto possibile e, spero, ripensato complessivamente. Ringrazio, oltre ai molti colleghi che mi hanno dato suggerimenti in itinere, i miei studenti e i dottorandi di Macerata a cui ho sottoposto le fasi più recenti del lavoro3 e, in particolare, Eleonora C. Bardoni che ha collaborato alla redazione della bibliografia finale. 1 La tradizione del «Voyage de Charlemagne» e il “gabbo”, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1990; la recensione di A. Gier apparve l’anno seguente sulla Zeitschrift für romanische Philologie. 2 «Impegni presi per gioco. Vanti di cavalieri nell’antica letteratura italiana», in Passare il tempo. La letteratura del gioco e dell’intrattenimento dal XII al XVI secolo, Atti del Convegno di Pienza 10-14 settembre 1991, Roma, Salerno Editrice, 1993, pp. 575-608; «Millanterie dissimulate. Chrétien de Troyes e Walter Map», Medioevo romanzo 18 (1993), 1, pp. 83-89; «I guerrieri al simposio. Morfologia di un motivo», L’immagine riflessa n.s. 2 (1993), 1, pp. 1-37; «Il Voyage de Charlemagne e il riso», in Formes de la critique: parodie et satire dans la France et l’Italie médiévales, Études publiées par J.-Cl. Mühlethaler, A. Corbellari, B. Wahlen, Paris, Champion, 2003, pp. 17-26. 3 Di una di loro, Laura Sestri, accolgo in appendice un contributo originale. I. IL VOYAGE DE CHARLEMAGNE 1. Voyage de Charlemagne La leggenda del viaggio di Carlomagno nel Vicino Oriente, in Ter- rasanta e a Costantinopoli, era nata con tutta probabilità dall’imma- ginazione del monaco Benedetto di Sant’Andrea del Soratte, che, scri- vendo nell’ultimo quarto del X secolo, alterò un passo della biografia di Carlomagno scritta intorno all’830 da Eginardo, contaminandola con resoconti di altri viaggi in Oriente, per autenticare una reliquia del suo convento.1 Il monaco del monte Soratte avrebbe trasformato in due eventi consecutivi i riferimenti alle ambasciate dell’imperatore a Gerusalemme e Costantinopoli che trovava nel racconto di Eginar- do a breve distanza una dall’altra: a suggello della sua pacifica spedi- zione il re dei Franchi piissimus et fortis avrebbe ricevuto dai sovrani bizantini la reliquia di Sant’Andrea che poi donò al monastero di Be- nedetto. Alla fine dell’XI secolo, un testo redatto nell’ambiente del- l’abbazia di Saint Denis (la Descriptio qualiter Karolus magnus clavum et coronam Domini a Constantinopoli Aquisgrani detulerit) avvalorò il racconto della spedizione e dell’acquisizione di importanti reliquie da parte dell’imperatore, spostandone però il baricentro su Gerusalem- me: il patriarca stesso avrebbe chiesto l’intervento armato dei Franchi per riprendere il controllo del Santo Sepolcro.2 Ma la peculiarità del Voyage de Charlemagne3 si staglia sull’oriz- zonte dei testi in latino e in volgare, comunque riconducibili a questa leggenda e compromessi sia con la santificazione dell’imperatore sia con la propaganda legata alle crociate, per quel movente così speciale, che dichiara con enfasi la rubrica dell’unico manoscritto, ormai di- 1 Sulla leggenda di Carlomagno in Terrasanta tengo presente l’ampia e documen- tata sintesi di Federica Monteleone (2003). 2 Sui diversi stadi della leggenda un utile specchietto riassuntivo dà Carla Rossi (2006, pp. 13-16). 3 Nelle citazioni userò sempre la mia edizione: cfr. Bonafin (2007). 6 GUERRIERI AL SIMPOSIO sperso,4 che ce lo ha trasmesso:5 Carlo di Francia va a Gerusalemme e, per certe parole di sua moglie, a Costantinopoli per vedere il re Ugo. Il testo antico francese, la cui datazione alla seconda metà del XII secolo non è priva di incertezze,6 racconta in 870 alessandrini assonan- zati, distribuiti in cinquantaquattro lasse, secondo il metro delle chan- sons de geste, il viaggio compiuto da Carlomagno a Costantinopoli, passando attraverso la Terrasanta, per provare la sua superiorità sul sovrano di quella città, messa in dubbio da un’affermazione avventata della sua regale consorte. La scena iniziale presenta l’imperatore, all’u- scita della chiesa, rivestito dei simboli (la spada, la corona) che ne fan- no un rex et sacerdos, o un rex a Deo coronatus, e attorniato dalla sua corte:7 la circostanza solenne lo induce a vantarsi rivolgendosi alla re- gina con queste parole: «Dame, veïstes unkes hume nul desuz ceil Tant ben seïst espee ne la corone el chef? Uncor cunquerrei jo citez ot mun espet!» («Signora, vedeste mai al mondo qualcuno / a cui stesse la spada così bene o la corona in capo? / Conquisterò ancora delle città con il mio spiedo!», vv. 9- 11) La risposta delude le aspettative e altera l’atmosfera: il sovrano, che assomma in sé funzione religiosa e militare, non trova nella regina il riflesso delle proprie ambizioni universali, ma apprende da lei l’esi- stenza di un rivale, che possiede naturalmente ciò che a lui ancora manca: «Emperere – dist ele – trop vus poez preiser; Uncore en sai jo un qui plus se fait leger Quant il porte corune entre ses chevalers; Kaunt la met sur sa teste plus belement lui set.» («Imperatore – disse ella – assai vi potete vantare; / io ne conosco un altro 4 La storia della scomparsa del manoscritto, un miscellaneo che apparteneva a una collezione del British Museum, è ricostruita e raccontata da Carla Rossi (2005). 5 Riprodotta però nel facsimile che accompagna l’editio princeps di Francisque Michel (1836). 6 Cfr. la «Nota al testo» in Bonafin (2007). 7 Implicito riferimento all’ininterrotto tentativo di re e imperatori medievali di attribuirsi un carattere sacro, soprattutto tramite l’incoronazione-consacrazione che assimila il sovrano ad un sacerdote, unto col sacro crisma: oltre al classico libro di Marc Bloch (1973), sulla regalità sacra cfr. Cardini – Saltarelli (2002). IL VOYAGE DE CHARLEMAGNE 7 che riesce più leggiadro / quando porta la corona fra i suoi cavalieri; / quan- do se la pone in capo gli dona molto di più», vv.