RACCONTARE PER RITROVARSI Pratiche Di Narrazione Online Come Uso Del Territorio
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Sapienza Università di Roma Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Ambientale Dottorato di Ricerca in Ingegneria dell’Architettura e dell’Urbanistica XXXI Ciclo RACCONTARE PER RITROVARSI Pratiche di narrazione online come uso del territorio Francesco Aliberti Supervisore Prof. Carlo Cellamare Co-supervisori Prof. Luciano De Bonis, Prof. Pierluigi Cervelli a Elisa, che è il senso più profondo di ogni mio luogo Foto di copertina: Daniele Quadraccia Si ringrazia Flavio Lorenzoni per la partecipazione Indice 9 Introduzione 19 Dei ringraziamenti e delle scuse 23 1. Cosa sta cambiando? 30 - Abitare è un processo 40 - Produrre, costruire, organizzare 50 - La produzione della località 57 - Sul consumo 70 - La pratica dell’immaginazione 78 - La quotidianità mediatica 97 2. «Non sei mai solo su internet» 98 - Da dove partire? 107 - Montesacro 119 - Le classi sociali sui social network 136 - La vita come metodo 143 - Cosa succede qui? 156 - Sperimentare, socializzare, navigare 196 - Narrazioni incidentali 208 - Palomar, o dello spaesamento 220 - Tre ipotesi sul “ritorno” del territorio 231 3. I gruppi su Facebook e il vicinato digitale 232 - L’intimità culturale è su Facebook 254 - Il degrado di Montesacro 263 - «Questo luogo, ma tanti anni fa» 268 - Ricostruzione al negativo 277 - Da Menenio Agrippa a Simon Bolivar 284 - «I bei tempi, in cui ancora si poteva giocare in strada» 294 - Come quando nevica a Roma 301 - Scegliere la storia 305 - Gli spazi del conflitto 312 - «Non posso dire niente, quindi non posso cambiare niente» 321 - Noi e gli altri 328 - Il pericolo perbenista 338 - Chi è ancora convinto che Roma sia una delle città più belle del mondo? 348 - “Ne abbiamo avuto l’esperienza, ma ci è sfuggito il significato” 356 - Il ricercatore nella rete 361 4. Gli spazi digitali e i loro “nativi”: la ricerca in una scuola tra restituzione e formazione 374 - Ricerca-formazione e deutero-apprendimento 384 - L’aula 3.0 398 - La scuola è una località? Dalle tattiche alle strategie 412 - Progettarsi 419 5. Raccontare per ritrovarsi 431 6. La ricerca spaesata 435 Bibliografia 447 Sitografia 9 Introduzione Vorrei iniziare questa tesi in maniera forse poco ortodossa ma, credo, fortemente funzionale, partendo da una piccola ammissione e un breve racconto autobiografico. Una battuta che circola spesso tra i corridoi del dipartimento di Antropologia Culturale della Sapienza, sulla cui origine non mi sono mai realmente informato, recita più o meno così: «chi non si trova bene con sé stesso, studia psicologia; chi non si trova bene con la società studia sociologia; chi non si trova bene né con sé stesso né con la società, studia antropologia». Continuando su questa linea, immagino che io non debba trovarmi bene con me stesso, con la società e nemmeno con l’urbanità, visto che sono andato a tentare la strada del dottorato di ricerca all’interno della facoltà di ingegneria della Sapienza, nel curriculum, appunto, di tecnica urbanistica. In realtà, ho sempre interpretato quella battuta come un invito a individuare quanto del proprio vissuto si va in maniera più o meno consapevole a cercare di studiare nello scegliersi un campo di ricerca. Così, nel mettermi a scrivere quest’introduzione mi sono domandato: perché ho scelto questo tema? Perché 10 ho deciso di occuparmi di analizzare i modi in cui le nuove tecnologie di comunicazione incidono sul nostro modo di vivere lo spazio e in particolare lo spazio urbano, partendo non da qualcosa di più auto-evidente come, non so, i tempi degli spostamenti o la gestione del traffico, ma preferendo invece iniziare il mio ragionamento dalle pratiche di narrazione del sé che avvengono online? Forse perché è così che io ho conosciuto, in qualche misura, sia la vita in città che la comunicazione su internet. Nonostante possa vantare, sempre che sia necessario farlo, di avere ben più di tre generazione d’ascendenza romana, con la mia famiglia ho abitato a Mentana, un paese nella provincia della capitale, finché non mi sono trasferito a Roma proprio per iniziare questa ricerca. A Roma però, oltre ai miei altri parenti, c’erano anche i posto di lavoro dei miei genitori e le scuole che ho frequentato, quindi le amicizie e le relazioni sociali le ho sempre vissute qui, lasciando Mentana ad essere semplicemente un punto di partenza e d’arrivo dei miei percorsi. In questa mia pendolarità, rimanevo necessariamente escluso dalla possibilità di vivere la vita di quartiere con i miei compagni di scuola e, crescendo, a dover sempre sudare la possibilità di rimanere a dormire a Roma, appoggiandomi da un amico o da un parente. Così, quando, credo intorno ai quindici anni, scoprii l’esistenza prima dell’ADSL, cioè di una connessione internet veloce ed economicamente sostenibile, e soprattutto di MSN Messenger, programma di chat online con cui molti della mia generazione sono cresciuti e abbandonato pian piano dopo l’arrivo dei Social Network, le mie possibilità cambiarono improvvisamente: INTRODUZIONE 11 magari non potevo incontrarmi con gli amici per andare a comprare qualcosa, perché ci separavano una ventina di chilometri, ma potevo quantomeno continuare a parlare con loro tutto il tempo che ritenevo necessario. Questo piccolo momento autobiografico penso possa dare contezza del perché sia così affascinato da queste tecnologie di comunicazione e da come cambiano il modo di vivere gli spazi, di stare in un luogo, di esplorare il mondo, di socializzare. Mentre alcuni studiosi dovevano sudare le proverbiali sette camice per far accettare alla comunità scientifica, ma anche al senso comune, che il motivo per cui i ragazzi passano tutto il tempo a usare il cellulare è che parlare con i propri amici è più interessante di quasi ogni altra cosa per un adolescente -sicuramente più di un pranzo in famiglia-, questa cosa per me era abbastanza chiara in luce della mia esperienza personale. Questa tesi però non si intitola: “Abitare la città con internet” o qualcosa del genere, ma: “Raccontare per ritrovarsi”. Viene quindi chiedersi, raccontare cosa, per ritrovarsi dove? La risposta, in breve, è narrare sé stessi e il proprio mondo, per ritrovare sé stessi e il proprio mondo (la risposta lunga è tutto questo testo). Con questo lavoro vorrei infatti trattare di un tema molto lontano dall’antropologia più classica e ancora oggi a mio parere troppo poco frequentato, cioè il “noi”, quello che accade nei luoghi dove viviamo e ci formiamo. Non intendo però semplicemente un “noi” geografico o culturale, ma soprattutto sociale, mi riferisco 12 cioè a un certo tipo di persone che sono molto lontane dall’idea di subalternità, alterità, esoticità che spesso viene legata allo sguardo antropologico o etnografico. I protagonisti di questa tesi infatti sono quelli che definirò “classe media spaesata”, piccolo-borghesi che si trovano a confrontarsi con una difficoltà di certo non nuova ma che, negli ultimi decenni, sembra essersi ingigantita: trovare un senso alla propria esistenza in un determinato contesto, da significare anch’esso. E proprio i media digitali, come definirò tutto quell’assemblaggio socio-materiale che compone i nuovi canali di comunicazione, sembrano i principali colpevoli del sorgere di questa crisi, poiché permettono a troppe voci di parlare e rispondersi tutte insieme, a troppe fonti di informazioni di visitarci e raccontarci qualcosa, a troppe culture e stili diversi di sgomitare in cerca della nostra attenzione. Molte di quelle che Bausinger (2008) definisce le “tradizioni tradizionali” vengono sempre più a perdere di solidità, intaccate ed erose da tutte queste novità che giungono sempre più velocemente e sempre più numerose, lasciandoci privi degli strumenti per orientare la nostra azione e, spesso, privi di senso per quest’ultima. La mia proposta è che i media digitali si propongano paradossalmente anche come gli strumenti più adeguati per risolvere questa crisi, grazie alle loro caratteristiche di incidentalità; voglio dire che utilizzare queste tecnologie avveniristiche -pensiamo a quanto sia “magico” che la mia voce o il mio volto possano essere sentiti e visti in diretta all’altro capo del mondo- spesso non è un fatto emozionante ed eccezionale, limitato a un contesto preciso, come poteva essere un tempo l’accesso alla sala giochi di un INTRODUZIONE 13 bar o al computer dell’ufficio. Oggi i media digitali vengono utilizzati in maniera routinaria e contestuale, quasi nascosta e appunto, incidentale. Unendo questa considerazione a quella di Bausinger (2014) che ritiene l’arte del racconto essere divenuta anch’essa sempre più incidentale, propongo che proprio le narrazioni incidentali multimediali, cioè calibrate tramite le affordances e i linguaggi dei media digitali, siano la tattica (de Certeau, 2001) utilizzata per mettere ordine in questo marasma e risolvere questa crisi. All’interno del primo capitolo “Cosa sta cambiando?”, cercherò quindi di articolare la domanda originaria che ha mosso il mio interesse per questo lavoro, cioè “come cambia il modo di abitare un luogo dopo la diffusione dei media digitali?”. In particolare, cercherò di esplorare proprio il concetto di abitare arrivando a definirlo, attraverso la rilettura del fondamentale contributo di Appadurai (2012), come un processo di produzione della località che viene messo quotidianamente in atto nelle abitudini e nelle routine con cui viviamo il nostro spazio. Questa produzione della località consta, secondo Appadurai, della messa in pratica del lavoro dell’immaginazione come fatto sociale ed è proprio capire quali siano le pratiche che mettono all’opera