Copertina_519.ai 1 31/01/13 11.28 cineforum 520 30 TORINO FILM FESTIVAL TORINO 30 SPECIALE

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9 SCHEDE

· OLTRE LE COLLINE LE COLLINE OLTRE · SPECIALI MOONRISE KINGDOM

Cineforum Via Pignolo, 123 Speciali Moonrise Kingdom Oltre le colline 24121 Bergamo · TRA I FILM DEL PROSSIMO NUMERO Anno 52 - N. 10 dicembre 2012 Spedizione in abbonamento postale Bertolucci, Burshtein, Affleck, Mendes, Vicari, THE MASTER DL 353/2003 (conv.in Dayton e Faris, Loach, De la Iglesia, Vinterberg L.27/2/2004 n. 46) art. 1, comma 1 - DCB LA REGOLA DEL SILENZIO cineforum 520 Poste Italiane S.p.a. Speciale 30 Torino Film Festival € 8,00

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NON SOLO GRAN TORINO

Adriano Piccardi Gran parte di questo numero di «Cineforum» è dovero- racconta Mungiu nel suo Oltre le colline: ma con ben samente riservata agli approfondimenti sulle sezioni del altre implicazioni e altro registro. Qui l’amore è destina- Torino Film Festival, che ha dimostrato in questa trente- to alla sconfitta, calpestato da princìpi e diktat religiosi sima edizione tutta la sua vitalità organizzativa e la sua di fronte ai quali la fragilità delle creature non può che capacità propositiva – fattori essenziali, al di qua di ogni soccombere. Amore e orrore si intrecciano: la speranza strategia di marketing, per valutare una manifestazione non è di casa nel cinema di Mungiu. cinematografica di una tale portata locale, nazionale e Tra le recensioni spicca poi in questo numero, per posi- internazionale. Come ci si attendeva, una volta chiuso il zione e spazio, il film di , Io e te. festival non si è fatto attendere molto l’annuncio del Altra coppia, altra relazione “irregolare”che contrappone cambio di direzione. Annuncio messo in circolazione pre- i suoi protagonisti al mondo esterno abitato da adulti che ventivamente, con modalità irriguardose e senza alcun rivestono un ruolo ambiguo, fonte di ricordi traumatici, rispetto per chi ancora stava portando a termine un lavo- portatori di comportamenti castranti. Il conflitto tra ro importante e tutt’altro che facile, a dimostrazione di l’adolescente combattivo e la sorellastra più grande si come la politica in certe faccende può far danni come trasforma in un incontro e si apre finalmente in un com- pochi altri. Al prescelto ora viene consegnata un’eredità miato dalle tinte chiare come quelle del mattino che gli certo entusiasmante ma anche la grandissima responsa- fa da cornice. Anton Giulio Mancino scrive di un film bilità derivante dal fatto che, dopo un’edizione come «innovativo e terapeutico [che coglie] segnali di palinge- quella di quest’anno, non sarà facile ripeterne i fasti né nesi in un finale vagamente accidentale». Accolto in introdurre novità decisive. Auguri. modo contrastato, ci è sembrato che Io e te meritasse un In apertura due speciali. Due film di registi che discorso critico più approfondito degli altri film recensi- «Cineforum» ha seguito anche nelle opere precedenti, ti su questo numero. riservando loro l’attenzione corrispondente al grado di Due considerazioni, infine, sulle preferenze che i letto- novità che – sia pure in ambiti e percorsi completamen- ri troveranno espresse dai nostri collaboratori su quanto te diversi – hanno saputo mostrare. Entrambi presentati visto nel corso degli ultimi dodici mesi. Facendo seguito in concorso a Cannes, avevano ottenuto un elevato gradi- a un appassionato dibattito interno, abbiamo deciso di mento da parte dei collaboratori di «Cineforum», come è lasciare – per chi lo volesse – la possibilità di inserire possibile verificare guardando la media dei voti sul n. nella sua classifica personale non soltanto titoli di film 515. In particolare, il primo dei due, Moonrise Kingdom usciti regolarmente in sala nel 2012, ma anche di altri, di Wes Anderson, si era piazzato secondo, subito dietro il visti nei festival, o di serial televisivi dallo spiccato carat- film di Carax, sul cui destino distributivo pendono peral- tere cinematografico. Scelta rischiosa, ce ne rendiamo tro ancora incertezze tutte italiche. Sospeso tra ordine conto. Sperimentale. Che abbiamo provato a regolamen- geometrico (delle inquadrature) e caos (dell’esistenza e tare ponendo limiti e correttivi, ma che pensiamo possa dei sentimenti), ancora una volta nella ricerca di una servire ai lettori per ricevere interessanti suggerimenti conclusione appesa a una qualche precaria ma ostinata per quelle visioni che – lo sappiamo tutti – è possibile forma di speranza. Se tutta la vicenda di Suzy e Sam è recuperare in molti modi, alla faccia del circuito naziona- mossa dall’amore, lo stesso avviene per la storia che ci le, pavido e/o colpevolmente distratto. 520_01-03_Editoriale.qxd 24-01-2013 11:00 Pagina 2

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cineforum rivista mensile di cultura cinematografica anno 52 - n. 10 - Dicembre 2012 In copertina Edita dalla Moonrise Kingdom Federazione Italiana Cineforum di Wes Anderson Direttore responsabile: Adriano Piccardi • [email protected] Comitato di redazione: Chiara Borroni, Gianluigi Bozza (direttore editoriale), Roberto Chiesi, Bruno Fornara, Luca Malavasi, Emanuela Martini, Angelo Signorelli, Fabrizio Tassi Segreteria di redazione: Chiara Boffelli, Arturo Invernici, Daniela Vincenzi SOMMARIO Collaboratori: Sergio Arecco, Elisa Baldini, Alberto Barbera, EDITORIALE Marco Bertolino, Francesca Betteni-Barnes D., Adriano Piccardi/Non solo Gran Torino 1 Pietro Bianchi, Pier Maria Bocchi, Paola Brunetta, Francesco Cattaneo, Massimo Causo, SPECIALE MOONRISE KINGDOM Rinaldo Censi, Carlo Chatrian, Andrea Chimento, Giacomo Calzoni/L’ultimo fantasy possibile 4 Pasquale Cicchetti, Jonny Costantino, Fabrizio Tassi/Siamo uomini o topi? 8 Emilio Cozzi, Giorgio Cremonini, Lorenzo Donghi, Simone Emiliani, Michele Fadda, Giampiero Frasca/Geometrizzare lo spazio e le passioni 11 Davide Ferrario, Andrea Frambrosi, Giampiero Frasca, Leonardo Gandini, SPECIALE OLTRE LE COLLINE Federico Gironi, Giuseppe Imperatore, Roberto Chiesi/Il plagio e il martirio 14 Lorenzo Leone, Fabrizio Liberti, Nuccio Lodato, Francesco Saverio Marzaduri/L’amore probabilmente 18 Pierpaolo Loffreda, Alessandra Mallamo, Roberto Manassero, Anton Giulio Mancino, Giacomo Manzoli, Michele Marangi, I FILM Matteo Marelli, Tullio Masoni, Emiliano Morreale, Anton Giulio Mancino/Io e te di Bernardo Bertolucci 23 Alberto Morsiani, Umberto Mosca, Paola Brunetta/La sposa promessa – Fill the Void di Rama Burshtein 28 Lorenzo Pellizzari, Alberto Pezzotta, Tina Porcelli, Tina Porcelli/Argo di Ben Affleck 31 Piergiorgio Rauzi, Nicola Rossello, Luca Malavasi/Skyfall di Sam Mendes 34 Lorenzo Rossi, Antonio Termenini, Dario Tomasi, Paolo Vecchi, Rinaldo Vignati, Chiara Zingariello. Elisa Baldini/La nave dolce di Daniele Vicari 37 Federico Gironi/Ruby Sparks di Jonathan Dayton e Valerie Faris 40 Progetto grafico e impaginazione: Paolo Formenti - PiEFFE Grafica* Andrea Chimento/La “parte” degli angeli di Ken Loach 43 Matteo Marelli/Ballata dell’odio e dell’amore di Álex de la Iglesia 46 Amministrazione: Antonio Termenini/Il sospetto di Thomas Vinterberg 49 Cristina Lilli, Sergio Zampogna Redazione e amministrazione: Giampiero Frasca, Alessandro Uccelli, Fabrizio Liberti, Via Pignolo, 123 IT-24121 Bergamo Nicola Rossello, Simone Emiliani, Lorenzo Leone, tel. 035.36.13.61 - fax 035.34.12.55 Riccardo Lascialfari, Paola Brunetta, Rinaldo Vignati, e-mail: [email protected] Federico Pedroni, Giacomo Calzoni/Alì ha gli occhi azzurri - http://www.cineforum.it La bicicletta verde - La collina dei papaveri - Paris-Manhattan - Abbonamento annuale (10 numeri): Un’estate da giganti - Acciaio - Grandi speranze - Italia: 60,00 Euro E la chiamano estate - Code Name: Geronimo - Di nuovo in gioco - Estero: 80,00 Euro Troppo amici. Praticamente fratelli - Venuto al mondo 52 Extra Europa via aerea: 95,00 Euro Versamenti sul c.c.p. n. 11231248 intestato a Federazione Italiana Cineforum, TORINO FILM FESTIVAL via Pignolo, 123 - 24121 Bergamo Tullio Masoni/Concorso 68 e-mail: [email protected] Giampiero Frasca/Festa mobile 71 spedizione in abbonamento postale Marco Bertolino/Festa mobile classics 73 DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. Lorenzo Donghi/Onde 75 1, comma 1, DCB - Bergamo Lorenzo Rossi/Rapporto confidenziale 77 stampato presso Graficasette Alberto Morsiani/Joseph Losey 79 Bagnolo Mella, Brescia Paolo Vecchi/Miguel Gomes 82 Distribuzione in libreria: Chiara Zingariello/Figli e amanti 84 Joo Distribuzione - via F. Argelati 35 Chiara Boffelli/TFFdoc 87 20143 Milano - tel. 028375671 - fax 0258112324 e-mail: [email protected] DVD a cura di Arturo Invernici e Tullio Masoni 89

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SPECIALE MOONRISE KINGDOM Wes Anderson

L’ULTIMO FANTASY POSSIBILE Giacomo Calzoni

Il cinema di Wes Anderson non è la riproduzione bellissimo e meraviglioso, di un grande romanzo rac- esatta del nostro mondo, bensì una pagina (scritta, dise- contato con uno sguardo unico e sempre incredibilmen- gnata, filmata) attraverso la quale poterlo raccontare; te partecipe. Con i suoi protagonisti vestiti sempre nello l’universo che mette in scena non trova mai una corri- stesso modo, con la sua attenzione maniacale verso spondenza diretta e immediata nel reale: nei film del ogni singolo dettaglio, con il suo stile fatto di inquadra- regista texano i personaggi, le case, i luoghi e le storie ture geometriche e controllatissime. Stile che non si è non appartengono alla vita quotidiana, e non sono mai mai trasformato in maniera, pur rimanendo sempre la rappresentazione fedele di ciò che si potrebbe incon- immediatamente riconoscibile.

520 trare e vivere ogni giorno. Come è stato detto fin trop- Anche Moonrise Kingdom quindi, come qualsiasi pe volte, insomma, la verosimiglianza non gli appartie- altra opera del regista, è pura letteratura filmata; ne: e per fortuna, aggiungeremmo. Questo perché ogni che brutta espressione, penserà qualcuno. Ma qui si elemento della filmografia Andersoniana è un capitolo, parla di immaginari e di proiezioni fantastiche, e cineforum

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Moonrise Kingdom è un altro racconto sulla neces- sità del vivere insieme, sul costruire una famiglia fon- data su fattori innanzitutto umani, e non necessaria- mente anagrafici; sul senso di appartenenza a un qual- cosa (una casa, un gruppo) che non sia mera istituzio- ne, ma il risultato di tante vite confluite in esso. Questo ci viene ricordato sin dall’incipit, da un nastro regi- strato che spiega come «ogni orchestra sinfonica sia formata da parti più piccole, chiamate variazioni. Ovvero, diversi modi di suonare la stessa melodia»: è solamente grazie all’unione dei suoi elementi che un mondo, piccolo o grande che sia, può funzionare. E i mondi di Anderson sembrano sempre sul punto di scoppiare, emigrare, di cercare qualcosa, di proiettarsi verso orizzonti nuovi e sconfinati. Come la casa dei coniugi Bishop, filmata attraverso una serie di movimen- ti di camera orizzontali e verticali, esattamente come la Belafonte di Le avventure acquatiche di Steve Zissou (The Life Aquatic with Steve Zossou, 2004); o come l’isola stessa del New England nella quale è ambientato il film, un set circoscritto e delimitato come lo erano la scuola di Rushmore (id., 1998), l’abitazione di I Tenenbaum (The Royal Tenenbaums, 2001) o la carroz- za passeggeri di Il treno per il Darjeeling (The Darjeeling Limited, 2007). Non soltanto ambienti fisici, ma veri e propri luoghi dell’immaginario, attraverso i quali Anderson disegna (anche letteralmente: pensiamo a Fantastic Mr. Fox [id., 2009]) i contorni di un’umanità che va ben oltre i costumi e i dettagli entro i quali sem- bra costringere i suoi protagonisti. Ecco perché i suoi film – e Moonrise Kingdom non fa eccezione – sono sempre così pieni di libri, dischi, storie e capitoli: perché li guardiamo con lo stesso spirito di quando intraprendevamo le prime letture, e tutto sem- non certo di opere subordinate alla scrittura. Del brava così ricco e meraviglioso. Quando ogni personag- resto, Robert Bresson parlava di teatro filmato per gio spalancava infiniti universi sconosciuti, e i racconti intendere il modesto cinema di quei colleghi che non generavano lo stupore per le piccole grandi cose. Ecco, riuscivano a infondere vita alle proprie sceneggiatu- quello di Anderson è un cinema che ancora si dimostra re; Wes Anderson invece è innanzitutto un grande capace di stupirsi nei confronti di tutto quello che mette narratore innamorato dell’arte del racconto, da sem- in scena, attraversando le sue inquadrature allo stesso pre impegnato in un’operazione di trasfigurazione modo di un volume sfogliato pagina dopo pagina. dei suoi personaggi da caratteri monodimensionali Moonrise Kingdom è un film che guarda lontano, (che trovano nella divisa l’identificazione in un come il binocolo della piccola Suzy: anche in termini determinato ruolo) a figure eroiche – o tragiche, a puramente temporali (siamo negli anni Sessanta), seconda dei casi. Lo si chiami pure processo di for- guarda indietro per cercare un paradiso sepolto negli mazione, se si preferisce: ma quello raccontato nel angoli della memoria, in una dimensione fantastica e suo cinema è sempre qualcosa di così incredibilmen- costantemente sull’orlo di una terribile minaccia (la te grande – che sia un sentimento, un gesto, un viag- tempesta preannunciata dal metereologo/narratore). gio, o addirittura una vita intera – che tutti gli ele- Messi di fronte al loro passato, i padri non possono che menti, gli oggetti e i colori dei suoi set finiscono per contemplarne le macerie: appare quindi evidente come diventare parte integrante e insostituibile di questo tutto ciò sembri sempre più una prosecuzione del

mondo. Quasi un universo fantasy, se vogliamo: che capolavoro Le avventure acquatiche di Steve Zissou, in 520 non ha bisogno di draghi, elfi e nani per raccontarci maniera forse meno magniloquente e più dimessa, ma cosa eravamo, dove abbiamo fallito e, soprattutto, a non per questo inferiore. Anche qui, come nel film del cosa aspiriamo. Insieme. 2004, il regista parla infatti di paternità mancate e cineforum

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MOONRISE KINGDOM - UNA FUGA D’AMRE Wes Anderson

Titolo originale: Moonrise Kingdom. Regia: Wes Harvey Keitel (il comandante Pierce). Produzione: Anderson. Sceneggiatura: Wes Anderson, Roman Wes Anderson, Jeremy Dawson, Steven M. Rales, Coppola. Fotografia: Robert D. Yeoman. Montaggio: Scott Rudin, Eli Bush, Molly Cooper, Lila Yacoub per Andrew Weisblum. Musica: Alexandre Desplat. Moonrise/American Empirical Pictures/Scott Rudin Scenografia: Adam Stockhausen. Costumi: Kasia Productions. Distribuzione: Lucky Red. Durata: 94’. Walicka-Maimone. Interpreti: Jared Gilmam (Sam), Origine: USA, 2012. Kara Hayward (Suzy), Bruce Willis (il comandante Sharp), Edward Norton (il caposcout Ward), Bill Isola di New Penzance, New England, 1965. In un Murray (il signor Bishop), Frances McDormand (la campo scout l’orfano Sam sta passando l’estate fra signora Bishop), Tilda Swinton (la signora Servizi adunate ed esercitazioni; in un altro punto dell’isola Sociali), Jason Schwartzman (il cugino Ben), Bob l’inquieta Suzy, che vive con i genitori e tre fratelli Balaban (il narratore), Lucas Hedges (Redford), più piccoli in una casa sulla costa, continua a scruta- Charlie Kilgore (Occhio Pigro), Andreas Sheikh re l’orizzonte con un binocolo. I due sembrano avere (Panagle), Chandler Frantz (Gadge), Rod Campbell qualcosa che bolle in pentola: infatti, Sam diserta il (Deluca), L.J. Foley (Izod), Gabriel Rush (Skotak), campo dopo essersi rifornito di provviste, Suzy fugge Seamus Davey-Fitzpatrick (Roosevelt),Tommy Nelson di casa portando con sé un mangiadischi, una valigia (Nickleby), Jake Ryan (Lionel Bishop), Tanner Ford piena di libri e il suo gattino. È una fuga d’amore. (Murray Bishop), Wyatt Ralff (Rudy Bishop), Larry Sam e Suzy si accampano in una piccola insenatura, 520 Pine (il signor Billingsley), Liz Callahan (la signora ma gli adulti riescono a rintracciarli. Fine forzata del Billinglsey), Marianna Bassham (Becky), Neal Huff tenero idillio? Una tempesta di dimensioni bibliche (Jed), Eric Chase Anderson (il segretario McIntire), sta raggiungendo l’isola… cineforum

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inseguite; di figli privati di una qualsiasi appartenenza non possiedono più, e dinanzi alla quale trovano, in un che non sia quella che si sono costruiti da soli, con le ultimo, bellissimo gesto collettivo, la forza di rimedia- proprie mani (il matrimonio celebrato a Fort re: fornendo ciascuno il proprio insostituibile contribu- Lebanon), nella continua perdita/riappropriazione di to, umano, legale o paterno che sia; tutte variazioni di un’identità (il distintivo violentemente strappato a questa grande, immensa orchestra sinfonica che è l’in- Edward Norton) che solo nell’accettazione di una sieme dei personaggi del film. dimensione “comunitaria”può trovare una vera e pro- Il “regno della luna nascente” fondato da Sam e pria soddisfazione. Se i due ragazzi protagonisti (gli Suzy è il mondo fiabesco dove risiede il segreto di straordinari Jared Gilman e Kara Hayward) parlano, una felicità nascosta nel/dal tempo, in grado di spa- ragionano e si comportano in una maniera poco credi- lancare gli occhi di chi non riesce più a vedere alla bile per la loro giovane età, è perché portano sulle pro- stregua di un bambino. Un luogo dove esistono anco- prie spalle il peso della generazione dei genitori, delle ra i superpoteri, in grado di far vedere le cose «più quali mancanze sono costretti a sopperire a modo loro. vicine anche se sono molto lontane», e dove la poesia Tutti gli adulti, nel film, sono l’emblema di un falli- «non ha bisogno di rime» per dimostrare la portata mento morale e professionale; da Edward Norton, capo del proprio contenuto. Forse, Moonrise Kingdom è il scout che non riesce a tenere insieme la propria trup- film più apertamente scoperto di Anderson, quello pa, a un immenso Bruce Willis, frustrato poliziotto di dove il collante del tessuto umano è rappresentato da frontiera («Non è scemo, ma triste sì»), passando ovvia- un sentimento incredibilmente fanciullesco e puro: se mente per Bill Murray e Frances McDormand, avvoca- non è più tempo per portarsi appresso i pesanti far-

ti mediocri e padri assenti che comunicano tra loro delli del passato (come ci ricorda il finale di Il treno 520 attraverso letti separati. Figure a loro modo tragiche, per il Darjeeling), allo stesso modo non ci si può più che riconoscono però nell’innocente ostinazione dei permettere di ignorare qualcosa di talmente grande ragazzi quella fiamma di vitalità e speranza che loro che rischia di passare inosservato. cineforum

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SIAMO UOMINI O TOPI? Fabrizio Tassi

Un paio di forbici rosse appese al muro. Un quadro sando davanti a una casa giocattolo col tetto rosso, ricamato a mezzopunto con al centro una grande casa. muovendosi in direzione contraria. Un altro bambino, Rossa. Una borsa (scozzese, rossa), appesa accanto al invece, lo troviamo dentro un’altra inquadratura quadro e alle forbici. L’inquadratura è frontale. immobile, in cui tutto è simmetria, riempita per metà Immobile. Quell’immobilità instabile, ironica, che ti dall’immobile movimento circolare di un enorme tap- lascia lì sospeso (e ci stai bene!), appeso a un senti- peto. Qui i toni sono gialli-beige-marroni. Calore e mento insolito, singolare, una specie di precarietà gio- distanza insieme. Simpatia e straniamento. Una fru- cosa. L’abbiamo provato un sacco di volte stando den- stata della mdp a novanta gradi verso destra (qui un tro i film di Wes Anderson (Fantastic Mr. Fox [id., bambino sbuca da dietro uno stipite). Un’altra ancora

520 2009], in questo, è un apice, una summa poetica, altro (una ragazzina scende dalle scale e passa davanti a un che pausa ludica o scherzo d’autore). pianoforte rosso). Non ci sono angoli, spigoli, spazi Poi la macchina da presa scorre verso destra, men- obliqui nella messinscena geometrica di Wes tre un bambino sale dalle scale ed esce a sinistra, pas- Anderson, non c’è visione periferica o “invisibile che cineforum

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filtra attraverso il visibile”. Non è neanche cinema za, l’eleganza, ma poi ci sono cose come la “verità dei cubista, perché invece di moltiplicare i punti di vista e sentimenti” e la “crudeltà del mondo”. Beata ingenui- sovrapporli, fa in modo che tutto venga rigorosamen- tà. te appiattito e squadernato, da destra a sinistra, dal- La ragazza ha un cannocchiale inseparabile. È la l’alto in basso, lungo l’asse della profondità. sua arma magica. «Aiuta a vedere le cose vicine anche Il cinema di Wes è superficie. È in superficie che se sono molto lontane». Tipo la madre che tuba col tutto emerge, si muove e sta appeso; è lì che i perso- poliziotto. Lei punta il cannocchiale contro di noi, gli naggi si ritrovano a vagare (o a stare immobili), den- spettatori, la mdp, e ristabilisce le distanze. Lei lo sa tro un ordine (geometrico) apparente che finisce per che è tutta una messinscena. Lo sappiamo anche noi. esaltare il caos evidente; è lì che i sentimenti diventa- Bisogna trovarsi a metà strada. Che non è la “giusta no cose fatte invece di essere cose dette soltanto per misura delle cose”, una distanza appropriata, una evocare chissà quale “di dentro”o “al di là”dalle appa- dimensione adeguata allo scopo. È la smisurata liber- renze. tà del cinema (anche quando è geometria surreale). Ogni inquadratura di Wes Anderson è piena di cose Qui si passa dal primissimo piano di un nodo ingarbu- da guardare, con cui giocare (da godere) con gli occhi. gliato e inestricabile al campo lungo di una casetta Niente è solo decorazione, solo ambientazione, niente sospesa nel vuoto a un’altezza vertiginosa, in quell’al- è messo lì tanto per metterci qualcosa. Ciò che c’è è ciò tra magnifica sequenza in cui il caposcout passa in che importa, fosse anche la cosa più sciocca, futile, rassegna il campo Ivanhoe (in realtà, in quella pateti- stramba. Cinema-inventario. Non proclama Grandi ca parodia di una vita avventurosa, un vero eroe, un Idee ma colleziona piccoli ricami. La trama della vita. cavaliere, c’è davvero, è l’occhialuto Sam Shakusky, Forbici e borse appese ai muri (che poi saranno al cen- che alla fine sposerà la sua bella Rowena-Lucy), con tro della fuga), quadri a mezzopunto, mangiadischi una carrellata verso destra, fino al tavolone in cui azzurri, ami da pesca e scarabei come orecchini, gran- di fari e piccoli fari (con la macchina della polizia sem- pre a fianco, per dare la misura delle cose ufficiali e di quelle fatte di nascosto, che poi sono le più importan- ti; per non parlare del faro che sta in un quadro den- tro la casa rossa), l’«Indian Corn» con l’editoriale Siamo uomini o topi? (chiedere a Steinbeck), una ragazza con il vestitino rosso e le scarpe inappropria- te, una valigia troppo pesante piena di libri d’avventu- ra e magia, trascinata dentro un’avventurosa fuga verso il Moonrise Kingdom. Nella prima sequenza, passiamo da una stanza all’altra come potremmo scivolare tra le pagine di un libro illustrato. Dopo il secondo schiaffo a novanta gradi ci ritroviamo, in controcampo, in una camera con tutti i bambini insieme. Suzy Bishop legge Shelly and the Secret Universe. Loro ascoltano le Variazioni di Britten su un tema di Purcell, smontate e rimonta- te per sezioni orchestrali. Smontiamo e rimontiamo anche la casa, la storia, il cinema, per gioco, per curio- sità, perché non è vero che dobbiamo dimenticare la forma per credere alla sostanza, quando possiamo vedere la forma della sostanza che ci emoziona pure (i detrattori dicono che Wes Anderson è un manierista giocherellone, come se fosse per forza un difetto, come se la “maniera”avesse solo un significato negativo). Suzy apre la tenda della finestra, e la musica, che stava dentro la scena, improvvisamente finisce fuori campo, insieme a noi, è colonna sonora, commento, metafora, e la casa rossa del quadro è illustrata in campo lungo. Cosa è dentro e cosa è fuori? Futili curiosità di gente ammalata di realismo, convinta di “fare sul serio”, ché va bene il cinema, l’arte, la bellez-

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siede come un Gesù tra i giovanissimi apostoli: ne molto più intelligente di lui: «È stato provato dalla manca uno, il Giuda Sam, che ha fatto un buco nella storia. Tutti gli uomini commettono errori». tenda e si è ripreso la sua libertà. Suzy e Sam riscattano l’opacità, l’imperfezione, la Non viviamo nel migliore dei mondi possibili. fragilità. Si amano. Ed è qui che il film di Wes Anderson Suzy è depressa e si è ferita colpendo uno specchio, ci prende di sorpresa: nella tenerezza, il calore, la gra- perché «ho perso la pazienza con me stessa»; i suoi zia (che si aggiungono, “scaldandola”, all’ironia, l’illu- genitori sono inconsolabilmente tristi, falliti (altra strazione, la de-strutturazione). Nelle esitazioni. Nella sequenza strepitosa? Il dialogo in letti separati, gravosa serietà sincera di quei bambini che hanno capi- mentre guardano il soffitto, e il mondo là fuori con- to tutto. «Ti amo ma non sai di cosa stai parlando» (dice siste nell’ombra delle due finestre là in alto, con i Sam a Suzy, quando lei si lancia in una superficiale rami mossi dal vento della tempesta in arrivo: apologia dell’essere orfani).Wes ci fa provare una strug- «Spero che il tetto voli via e io venga risucchiato gente nostalgia per quel Moonrise Kingdom, in cui dallo spazio»); Sam è stato abbandonato anche dai forse siamo stati (saremo) davvero liberi e felici. genitori a cui è stato affidato dopo aver perso quel- Gli adulti ritrovano i due bambini grazie allo li veri, e risulta “emotivamente disturbato”; il poli- gnomo-storico-meteorologo-narratore col cappottino ziotto è inguaribilmente solo e incompiuto, così rosso che conosce i segreti degli indigeni Chickchow. come quel bambinone del caposcout. Tutte persone Ma dovranno guadagnarsi la loro fiducia, mentre tutto imperfette, tutte a loro modo affettuosamente fragi- intorno crolla. Il raccolto, dopo il disastro, sarà straor- li, a parte le impietose personificazioni del Potere: la dinario. Resta il fatto, però, che l’amore va ostinata- signora Servizi Sociali in vestitino blu notte, e il mente rincorso, cercato, conquistato, non è mai dato e capo dei capiscout, che giudica, si gode i suoi privi- pacificato. Sam alla fine è lì che dipinge il sogno che legi, ma poi si scioglie di fronte alla prima vera dif- l’ha unito a Lucy, ma quando è il momento (dentro le

520 ficoltà. Il mondo è opaco. «Era un buon cane?», regole e il buonsenso della casa) deve tornare a fuggi- chiede Suzy a Sam, di fronte alla morte dell’anima- re. E quell’ultimo sguardo alla finestra! Lei è bellissi- le; «Chi può dirlo?», risponde saggiamente lo scout. ma. Lui è bellissimo. E gli spettatori vissero felici e Dice il poliziotto, conversando con quel ragazzo contenti. Mille di questi Wes! cineforum

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GEOMETRIZZARE LO SPAZIO E LE PASSIONI Giampiero Frasca

Se non avesse fatto il regista,Wes Anderson probabil- sequenza vivificando questa fissità, dandole spessore e mente avrebbe illustrato libri per ragazzi. Quelli raffi- parola attraverso un passaggio dimensionale e narrati- nati, con il disegno in miniatura a inizio capitolo. vo dal disegno sulla pagina a una fotografia inserita in Quelli, per rimanere nell’ambito, che caratterizzavano i un ambiente accuratamente contraddistinto, con colori vari capitoli di I Tenenbaum (The Royal accesi e pastosi e una simmetria quasi asfissiante. Tennenbaums, 2001), il secondo episodio, dopo Situazione che, in una scelta dal sapore quasi di corto- Rushmore (id., 1998), di quella saga inesauribile sulla circuito, era resa estrema, seppur rappresentativamente disfunzionalità delle famiglie che da sempre è il suo evi- consequenziale, in Fantastic Mr. Fox (id., 2009), in cui dente assillo narrativo. Forzando l’ipotesi e osservando il disegno di partenza si trasformava nella sua anima- lo stile di messa in quadro, ancora prima di soffermar- zione diretta, senza intermediazione dell’immagine si sulla conseguente tendenza della messa in scena, pare pseudorealistica cui Anderson fa solitamente ricorso proprio che Anderson, da sempre, non faccia altro che nelle altre occasioni per allargare i confini di un target dilatare quel piccolo disegno utilizzato per ornare l’in- altrimenti meno ampio. Mr. Fox, addirittura, evidenzia- cipit del capitolo, renderlo plastico con la corporeità va questa tendenza inaugurando alcuni segmenti in

delle sue figure, inserire queste in un ambiente squadra- palese sovrapposizione di forme e volumi, rivelando, ad 520 to nella sua essenza di cornice, animarle quel tanto che esempio, dietro la fotografia di un albero stampata su basta per farne percepire la tridimensionalità e il respi- un quotidiano posto davanti allo schermo, lo stesso ro dell’esistenza. I Tenenbaum iniziava ogni singola albero collocato a distanza, a dominare una valle. cineforum

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Al netto delle trasformazioni sugli stessi motivi che a tagliare in due il quadro, dilatandone contempora- da sempre riempiono le sue vicende, e che il regista neamente il distacco. Un’autentica esplicitazione delle dichiara apertamente presentando l’universo di distanze, rimarcata da un repentino movimento di Moonrise Kingdom con la Variazione e fuga su un macchina all’indietro, passando da un piano ravvici- tema di Henry Purcell di Benjamin Britten, ascoltato nato della ragazza che osserva con il suo binocolo a un dai tre fratelli minori di Suzy nella loro stanza, la campo lungo sulla casa inserita nel paesaggio costiero. volontà figurativa del cinema di Anderson è tutta qua: Sopra il tetto della casa, in un piano che replica il infondere un impulso di vitalità a un bozzetto o a dipinto iniziale, la comparsa del titolo del film. Una un’istantanea e moltiplicare l’immagine che ne scatu- presentazione che funziona come indicazione per la risce in un insieme organico e rigidamente perpendi- successiva visione. L’inquadratura di Anderson non colare, la cui ripetizione modulata e continuativa accoglie lo spettatore, lo invita all’esplorazione, ma lo genera l’intera storia narrata. Moonrise Kingdom ini- allontana da sé, non gli consente l’abitabilità della zia con un dipinto (una variazione sul tema, per l’ap- scena, separandolo dal criterio di identificazione. punto), una casa sulla scogliera dallo stile vagamente Come una fotografia, appunto. Un invito allo sguardo naïf che si rivelerà qualche inquadratura dopo la casa nell’impossibilità di un congiungimento, anche ideale. da cui la giovane Suzy sta osservando con il cannoc- Dall’unità alla costruzione figurativa di un univer- chiale un orizzonte apparente che coincide con l’origi- so. Narrativo, certo, ma che affonda le sue radici in ne stessa dell’immagine e con il suo fine, lo schermo una motivazione psicoanalitica, desunta dall’organiz- della sala. Un’immagine che tuttavia non interpella lo zazione spaziale della rappresentazione. La prima spettatore, non lo chiama in causa come si è soliti cre- sequenza di Moonrise Kingdom è uno dei tanti dere con lo sguardo in macchina, ma lo tiene a distan- momenti del cinema di Anderson in cui si esplicita la za. Come una fotografia. «Perché usi sempre il binoco- sua inflessibile e fin troppo evidente cartesianizzazio-

520 lo?», chiede a un certo punto Sam a Suzy; «Perché ne dello spazio. La fotografia di Anderson, che costi- aiuta a vedere le cose più vicine, anche se sono molto tuisce il suo nucleo basilare di rappresentazione, lontane», risponde la ragazza. Amore del paradosso: ci costruisce un mondo articolato gestendo lo spazio si concentra sull’oggetto, posizionato sempre al centro, scenografico come una serie infinita di successive pro- cineforum

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iezioni ortogonali, pronte a mettere in relazione spazi dell’isola. Una progressione essenzialmente grafica, contigui attraverso il parallelismo e la perpendicolari- dal basso verso l’alto, lungo il congiungimento di due tà. Anderson solca lo spazio, ma ne espelle totalmen- punti distinti (dal quartier generale degli scout khaki, te la profondità, compatibilmente con la sua natura di Fort Lebanon, primo luogo a essere coperto dalle fotografia (o di disegno) animata. L’inquadratura sul acque della tempesta, fino al campanile della chiesa in dipinto della casa (a lato del quale sono collocati un cui trovano rifugio), il cui intervallo è la direttrice di paio di forbici e un mangiadischi portatile che accom- un’evoluzione narrativa che rende letterale ed effettivo pagneranno Suzy nella sua fuga d’amore) scivola il significato etimologico di climax. Non una progres- infatti verso destra a mostrare uno dei tre fratelli sione accrescitiva del pathos in funzione della tensio- della ragazza emerso dalla grande scalinata che con- ne dello spettatore, quanto una linea retta camuffata giunge i due piani dell’abitazione. A dispetto del attraverso un passaggio dimensionale, prodotto dalla movimento verso il fuoricampo di sinistra del bambi- salita su una scala (eccola, l’etimologia) a superare la no, la macchina da presa scivola ulteriormente verso palizzata dell’accampamento scout, un passaggio su destra, mostrando una stanza, nella quale rientra il un ponte sospeso su una diga di legno prossima alla bambino dopo aver prelevato il mangiadischi visto in distruzione, il nascondiglio sul parapetto del grande precedenza. A quel punto l’inquadratura ruota velo- organo della chiesa e il bacio elettrico sul cornicione cemente di novanta gradi per introdurre lo spazio del campanile. Con un’appendice che funge da colpo immediatamente successivo, occupato dagli altri due di scena, la caduta dei due ragazzi dovuta a un fulmi- fratellini di Suzy. Altra rotazione ad angolo retto, ne che spezza in due la torre campanaria e il salvatag- sempre verso destra. Un’altra stanza, prospiciente gio operato dal capitano Sharp con una corda aggan- rispetto alla prima, un binocolo al centro del piano, ciata alla sommità della stessa torre. Ancora una linea una ragazza, Suzy, che scende da una rampa di scale, continua proposta in un piano ampio, distante, pron- si avvicina al binocolo, ne mette a tracolla la cordicel- to a fornire la geometria della soluzione più che la sua la ed esce a destra rispetto all’inquadratura. Stacco, valenza drammatica, come avrebbe fatto qualunque Suzy entra nella stanza di fronte, dove i tre fratellini, altro regista interessato alla tensione dell’evento. In un ora riuniti, sono sdraiati intorno al mangiadischi, li universo fatto di segmenti e angoli retti, per una gar- oltrepassa, per sedersi vicino alla finestra con l’inten- bata storia d’amore che non è altro che il collegamen- zione di leggere un libro. Il singolo piano lineare crea- to tra due punti isolati nello spazio. Disposti tra un to da Anderson crea la complessità spaziale e il suo asse delle X e uno delle Y. sviluppo lungo la terza dimensione soltanto grazie alle intersezioni tra le varie inquadrature. Una serie di fotografie in sequenza pronte a dare vita a un diora- ma che non è soltanto scenario, ma è esso stesso una delle motivazioni fondanti del racconto. Un fatto di stile, certo, ma che deriva da una concezione idiosin- cratica con cui si traduce il mondo e che rivela, in fili- grana, un’ossessione compulsiva per la coordinazione degli spazi e per l’equilibrio creato dagli elementi posti a livello profilmico. Sia esso il mangiadischi azzurro in un ambiente con una dominante beige oppure la brocca bianca al centro di un’inquadratura, quella sui genitori affidatari di Sam, costruita sulla preponderanza assoluta del colore giallo. La linearità ortogonale di Anderson, in Moonrise Kingdom, ha un correlativo sul piano dello sviluppo narrativo. La storia della fuga d’amore dei due ragaz- zi, il loro bisogno di affrancarsi da una famiglia da cui ci si sente odiati (Suzy) o da un freddo orfanotrofio (Sam), cercando di creare in proprio quel nucleo di affetto che pare esser loro negato, ha un andamento speculare rispetto al Mr. Fox: se in quest’ultimo la famiglia della volpe fuggiva dalla protervia del terzet- to capitalista Boggis, Bunce & Bean scavando a piene zampe nel sottosuolo, Sam e Suzy scelgono invece di ascendere progressivamente verso il punto più alto

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SPECIALE OLTRE LE COLLINE Cristian Mungiu

IL PLAGIO E IL MARTIRIO Roberto Chiesi

Nel giugno del 2005, nella piccola città rumena di diventati ormai numerosi in Romania, dove i mona- Tanacu (Moldavia), una religiosa di ventiquattro steri (e le vocazioni) si erano moltiplicati in modo anni, suor Irina Cornici, venne portata in ospedale, esponenziale nel corso dei vent’anni intercorsi dalla ma era già morta da ventiquattr’ore. L’inchiesta caduta di Ceausescu. appurò che il suo decesso era avvenuto in seguito alle Cristian Mungiu, che all’epoca aveva diretto un pratiche di un esorcismo cui era stata sottomessa da unico film, Occident (2002), e stava preparando 4 padre Daniel, pope del monastero di Sfanta Treime (la mesi, 3 settimane e 2 giorni (4 luni, 3 sãptãmâni si 2 Santa Trinità). Scoppiò uno scandalo che finì per zile, 2007) con cui avrebbe ottenuto la Palma d’oro a

520 avere risonanza internazionale. La Chiesa Ortodossa Cannes, rimase colpito dall’episodio. Ma dovettero tra- condannò l’episodio, scomunicò padre Daniel e le scorrere sei anni prima che trovasse la chiave per monache coinvolte e prese le distanze dall’accaduto, allontanarsi dalla cronaca nera e convertire quella sto- che però aveva rivelato come gli esorcismi fossero ria enigmatica in un racconto filmico, basandosi su cineforum

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le. I personaggi, osservati con distacco da entomologo, parlano e si svelano con azioni e reazioni fisiche e ver- bali racchiuse in pochi spazi coatti, dove agiscono dinamiche opposte e contrarie.

LA PASSIONE INNOMINATA

Innanzitutto la dinamica passionale. L’amore di Alina per Voichita, un amore che fin dalle prime inquadrature appare squilibrato: Alina piange di com- mozione nel rivedere e riabbracciare l’amante che invece è irrigidita nella sua nuova identità di monaca novizia e si preoccupa che nessun passante possa notare la particolare corrente affettiva che passa fra le due donne. La relazione amorosa fra le due ragazze è interamente relegata nell’ellissi del passato e Alina è rimasta sola a vivere l’intensità di un sentimento che non trova più rispondenze nell’amante di un tempo. In realtà,Voichita appare, all’inizio, una figura non priva di ambiguità: ha rinnegato l’amore per l’amica ma vuole ugualmente tenerla accanto a sé e conver- tirla alla sua nuova esistenza, dove, dietro la dedizio- ne a Dio (come Alina comprende lucidamente), si cela l’amore per “papà”, un uomo di trent’anni, pre- cocemente invecchiato e consacrato al ruolo patriar- cale e dogmatico che esercita sulla piccola corte di donne ai suoi ordini. Mungiu mostra il grado di dipendenza di Voichita da “papà”, nei momenti in cui si rivolge all’uomo, lo implora, ne sollecita una diret- tiva rassicurante. Come in ogni dinamica sadomasochista, tanto più Voichita si sottrae all’amore esclusivo di Alina, tanto più questo diventa assoluto e totalizzante per quest’ul- due libri della scrittrice (all’epoca giornalista della BBC tima e si manifesta in ribellioni che la isolano sempre a Londra) Tatiana Niculescu Bran,che ne ricostruisco- più dalle altre donne e si caricano di un malessere no le complesse implicazioni: Irina, la ragazza vittima insieme fisico e interiore. All’opacità di Voichita corri- delle pratiche esorcistiche, era innamorata di un’altra sponde quindi la disarmata trasparenza affettiva e giovane suora e, a causa di questo suo amore proibito, sentimentale di Alina che, la prima volta in cui rima- padre Daniel e le monache avevano ritenuto che fosse ne sola in camera con l’amica, si denuda i seni in un posseduta dal Maligno. tentativo di seduzione che si conclude in ellissi. Mungiu si è impadronito di una materia così incan- La sofferenza di Alina e le accensioni irrazionali cui descente, raschiandola da ogni possibile connotazione la conducono, vengono spesso raccontate indiretta- mélo. L’ha denudata alla cruda essenzialità di un pro- mente e a posteriori, mostrando la corsa allarmata di cesso persecutorio che isola e poi sopprime un elemen- una monaca che si precipita urlando da Voichita, to anomalo all’interno di una comunità cementificata descrivendo la ragazza come “irriconoscibile”, altra, in se stessa. È un processo dipanatosi sotto il segno ossia indemoniata. Solo successivamente Alina viene dell’indifferenza della comunità religiosa alle reali, inquadrata, in una solitudine che ha subito una effettive sofferenze della ragazza, un processo che dimensione fisica, drammatica e irreversibile. segue un crescendo degenerativo mostrato nella sua È significativo che l’amore saffico non sia mai evo- fenomenologia in lunghi piani sequenza, evitando (a cato, nemmeno velatamente, fra le mura del mona-

differenza del film precedente) l’impatto emotivo dei stero, dove l’unica traduzione che viene data dell’ori- 520 primi piani e adottando uno spettro ridotto di croma- gine di quei comportamenti è, appunto, la possessio- tismi, a favore di un’immagine grigia, bluastra, quasi ne demoniaca. L’ottusa indifferenza allo strazio inte- buia, ottenuta anche grazie alla postproduzione digita- riore di Alina sembra anche celare la vulnerabilità cineforum

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OLTRE LE COLLINE Cristian Mungiu

Titolo originale: Dupã dealuri. Regia e sceneggiatura: Alla stazione di una cittadina rumena, la giovane Cristian Mungiu. Soggetto: dai libri di Spovedanie la suora Voichita accoglie la coetanea Alina, appena Tanacu (Confessione mortale) e Cartea Judecatorilor giunta dalla Germania e commossa fino alle lacrime (Il libro del giudice) Tatiana Niculescu Bran. nel rivedere l’amica, sua compagna di orfanotrofio. Fotografia: Oleg Mutu. Montaggio: Mircea Olteanu. Voichita la accompagna nello sperduto monastero Scenografia: Mihaela Poenaru, Calin Papura. Costumi: moldavo dove vive con le altre monache sotto l’auto- Dana Paparuz. Interpreti: Cosmina Stratan (Voichita), rità di un giovane pope autoritario, che si fa chiama- Cristina Flutur (Alina), Valeriu Andriuta (il pope), re “papà”. Alina, profondamente innamorata di Dana Tapalaga (la madre superiora), Catalina Voichita, vorrebbe trasferirsi con lei in Germania e Harabagiu (suor Antonia), Gina Tandura (suor quando si rende conto che invece l’amica è decisa a Iustina), Vica Agache (suor Elisabeta), Nora Covali continuare un’esistenza monacale, esprime la sua (suor Pahomia), Ionut Ghinea (Ionut), Liliana Mocanu disperazione con atteggiamenti strani e aggressivi. (madre Elena), Doru Ana (papà Nusu), Costache Babii Viene ricoverata in ospedale ma il medico la dimette (il dottor Solovastru), Luminita Gheorghiu (il profes- quasi subito, convinto che l’ambiente più adatto per sore), Alina Berzunteanu (la dottoressa Radu), Teodor la sua convalescenza sia proprio il monastero. Corban (l’ispettore di polizia), Calin Chirila (il poli- Incapace di separarsi da Voichita, Alina decide ziotto), Cristina Cristian (Camelia), Dionisie Victu (il all’improvviso di disfarsi di tutti i suoi risparmi per signor Valerica). Produzione: Cristian Mungiu, Adrian prendere i voti, anche se il pope diffida della sua Moroca, Pascal Caucheteux, Grégoire Sorlat, Vincent instabilità. Quando i comportamenti aggressivi di Maraval, Jean-Pierre e Luc Dardenne per Mobra Alina aumentano e investono lo stesso pope, questi

520 Films/Why Not Productions/France 3 Cinéma/Les decide di sottometterla a un esorcismo, legandola in Films du Fleuve/Mandragora Movies. Distribuzione: catene e costringendola al digiuno. La ragazza ha un BIM. Durata: 150’. Origine: Romania/Francia/Belgio, collasso e muore. Voichita, turbata dalla crudeltà 2012. delle pratiche esorcistiche, appare trasformata. cineforum

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tipica dei dogmatici: nella sequenza in cui Alina la diversità, l’estraneità, l’irriducibile natura di Alina – aggredisce verbalmente il padre, alla presenza delle intrusa nel monastero anche per la sua visione prag- monache, appare infatti l’inadeguatezza dell’uomo, matica e materialistica della realtà (in felice contrasto la sua mancanza di reale carisma e autorità. Il “papà” con la sua intensità passionale). Il religioso si affida non riesce a fermare la furia di Alina e a riconoscere ipocritamente alle regole, convocando il fratello debo- la gelosia e l’odio che lei nutre per lui. Esita smarri- le di mente della ragazza e chiedendogli l’autorizzazio- to e solo quando sta per perdere completamente il ne a praticare l’esorcismo, come se questi fosse in controllo della situazione si decide a ricorrere alla grado di assumersi la responsabilità di una decisione. forza e fa portare via la ragazza. È proprio la convinzione profonda e l’intransigenza Riacquista il suo potere con il rito dell’esorcismo. dei carnefici di Alina a rendere più atroce questa parte La violenza primordiale di quel rituale, mostrato da del racconto, dove si sfiora un disperato humour nero, Mungiu senza farne materia di spettacolo, ma come perché più ripetono di voler salvare la ragazza e più le atto di banale barbarie, si condensa nell’immagine infliggono abusi e brutalità. Quando le monache esco- delle monache che si chinano su Alina facendone no dal convento e arrivano all’ospedale dove la dotto- scomparire il corpo, la volontà, l’energia, sotto le ressa di turno constata la morte della ragazza, ecco loro vesti nere e sinistre, lasciando udire le loro che si rompe l’incantesimo “medioevale”che domina il grida isteriche e concitate mentre tirano e legano le clima del monastero e la realtà si afferma in tutta la catene del martirio. concretezza del suo orrore. L’orrore di un lungo pro- La sequenza dell’esorcismo determina l’avvio della cesso d’indifferenza. metamorfosi di Voichita che inizia a dubitare di “papà” in un piano dove appare per la prima volta assente dalla comunione di intenti e opere delle monache, e di lì a poco fugge l’insostenibilità della scena, correndo sulle colline che dominano il monastero. È un primo momento di riaffermazione della propria individualità che non sfugge alle monache, concordi nell’escluderla, in seguito, da quel rito. Oltre le colline, infatti, è anche il racconto dell’affrancamento di un io dal plagio, oltre che la storia di un martirio. La prima azione di effettiva disobbedienza da parte di Voichita – che nottetempo libera Alina dalle catene – è troppo tardiva e precede uno dei momenti più intensi del film: poco prima del collasso definitivo, alla presenza delle monache, Alina guarda l’amata con uno strano sorriso, dolcissimo e straziante. La liberazione di Voichita è resa esplicita dal suo abbandono della divisa da monaca e dal ritorno agli abiti laici, e, in modo ancora più esplicito, dalla sua scelta di dettagliare alla polizia le violenze e gli abusi compiuti dai religiosi sulla ragazza durante la messin- scena dell’esorcismo. In questa sequenza, Voichita campeggia sullo sfondo dell’inquadratura e interviene ogni qualvolta il racconto del pope divenga reticente o elusivo, rendendo flagrante la colpevolezza sua e della comunità. Alla fine, anche Voichita entra nel cellulare con le monache ma in abiti laici, come a non volersi sottrarre a una responsabilità che coinvolge anche lei. La dinamica opposta e contraria che percorre il film, è naturalmente l’energia ottusa del credo e delle convinzioni, condivise dal pope e dalle suore, che l’anomalia di Alina vada repressa con sanzioni, inter- dizioni, umiliazioni, con la reclusione e infine soprat- tutto con la violenza dei riti esorcistici. Il pope teme il caos, anzi è terrorizzato dalla carica di perturbamento che insinua nel suo piccolo dominio la disobbedienza,

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L’AMORE PROBABILMENTE Francesco Saverio Marzaduri

«Non c’è altro amore che l’amore di Dio. ma ch’è presente e che torna ad affiorare. Anche in Non c’è altro amore che l’amore. Non c’è altro amore. questo suo terzo lungometraggio (e mezzo) di cui è Non c’è altro». regista e sceneggiatore, Cristian Mungiu mette in (Carmelo Bene, Salomè) gioco topoi e stilemi figurativi, corpi e luoghi ricor- renti che riconducono Oltre le colline, coerentemen- Non c’è, ma c’è. Anche in quest’opera cinemato- te, nel novero stilistico della nuova produzione rume-

520 grafica, meno direttamente “politica”all’apparenza e na. Ne mantiene lo stesso sguardo lucido sin quasi al focalizzata su un tema sin qui inedito per il Noul Val cinismo, l’analisi priva di condiscendenze, l’attenzio- Românesc – quello della spiritualità popolare, di ne agli aspetti sociali più tipici del Paese, e magari quel retaggio religioso accantonato e a volte rimosso, più sconosciuti fuori. cineforum

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Non distante da film anche recenti, quali Magdalene re lei al mondo asettico del convento, che non intende- (The Magdalene Sisters, 2002) di Peter Mullan o rebbe abbandonare ma, casomai, averci accanto l’ami- Uomini di Dio (Des hommes et des dieux, 2010) di ca di un tempo. La vita della comunità è scandita dal- Xavier Beauvois, dove l’ambiente religioso fungeva da l’obbedienza a regole monastiche, ortodosse e millena- sfondo non meno carico di tormenti e assilli, con Oltre rie; quello esterno dalla sofferenza, dal freddo, dalla le colline, per la prima volta, lo sguardo di un cineasta confusione. In mezzo, le colline del titolo fungono da romeno entra nella clausura d’un monastero femmini- sfondo a una pletora di dicotomie, al gelo che la per- le sulle colline a ridosso dei Carpazi, in quella tzara mea, e sulle quali monta come una fiamma fatale la românesti ch’è culla e cuore della cultura nazionale, crescente insofferenza di Alina. tradizioni e religiosità comprese. Ne ostenta abitudini, Alina simboleggia la rabbia cieca. Lo smarrimento regole, figure, ed è uno sguardo che dalla propria neu- di un popolo. Quel popolo cui Ceausescu, anni addie- trale innocenza trae forza e diritto per farsi requisito- tro, ha sottratto la capacità di (poter) credere a ria. Senza mai cadere nel facile escamotage o nel colpo un’Entità Superiore. In conseguenza di tale smarri- di scena morboso e/o compiaciuto, lasciando che mento, va da sé, Alina è seme di scompiglio, germe di siano le contraddizioni ad affiorare dal microcosmo disordine entro un’area ordinata, “immacolata” come monastico sino a investire molti aspetti dell’istituzione la neve sulla soglia. La ferrea volontà della ragazza di religiosa, quelli più dogmatici e di Sistema. portare con sé Voichita in Germania, da cui è evasa a Requisitoria innocente, si diceva. Il proposito della inizio film e verso cui anela tornare, è una sfida lancia- giovane Alina di raggiungere Voichita (amica, sorella, ta ai massimi sistemi: bambina inesperta, incapace di madre, amante: unica figura di riferimento della sua carpire i meccanismi di un giocattolo, non trova altro vita) e portarla via con sé, è dettato unicamente dal- consono rimedio che farlo a pezzi e sfogare la propria l’amore. Amore terreno. Amore possessivo, incontrol- dissennata frustrazione (la riprova è la scena in cui, al lato ed egoista, ma incondizionato. E da questo suo proposito d’amore – ingenuo come può esserlo l’amo- re assoluto, tanto da credere facilmente realizzabile ciò che forse è impossibile – l’occhio vigile di Mungiu fa scattare i suoi giochi di contrapposizione. Dall’inizio alla fine, Oltre le colline è un’opera giocata sul paral- lelismo, sull’elemento discordante. Sul quid che desta- bilizza e disordina, e che fatalmente è portato a scon- trarsi coi fattori che ne sono l’opposto corrispettivo. Fin dalla prima apparizione di Alina, ripresa sul- l’opposto binario (della stazione come della vita) rispetto a quel «volto di porcellana da madonna russa» (1) ch’è Voichita, il suo amore per lei è elemento di confusione, di separazione. Le immagini iniziali non evidenziano ancora il disagio che di lì a poco Alina scatenerà, mostrano anzi Voichita nell’atto di accoglie- re l’ospite a braccia spalancate conducendola poi entro le mura, tra i piccoli corridoi del convento (non ancora consacrato, si saprà poi), luoghi conclusi e rac- colti, un interno che si contrappone all’esterno. Che infatti si presenta nebuloso e opaco, dai colori schiet- tamente grigi e scabri, tesi a contrappuntare un’area sprofondata nella neve e isolata dal resto del mondo. Dove pure la presenza dell’intrusa è figura aliena, e richiama l’antitesi tra l’ambiente urbano e quello più profondamente rurale. Il tentativo di Alina di convincere Voichita a partire con lei, e con lei recuperare l’intimità di un tempo, si risolve in un nulla di fatto. Ma tale tentativo, violento, si misura con la determinatezza di Voichita di adegua-

(1) Ilaria Feole, Oltre le colline, «Film Tv» anno XX, n. 45, 11 novem- bre 2012, pag. 28.

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limite del sacrilegio, scaraventa a terra un’icona sacra, Data la decisione delle gerarchie monastiche di gettando nello sgomento la comunità). confinare Alina nelle adiacenze del convento ma Se nel precedente capolavoro di Mungiu si mostra- fuori da esso, la giovane rivede la famiglia che qual- vano i laceranti esiti della legge antiabortista promul- che anno prima l’aveva adottata (anche questo, un gata dal regime che colpiva la sessualità femminile dualismo che si stacca dal concetto di nucleo familia- colpevolizzandola e mortificandola, in Oltre le colline re cui si accennava). Ma il grembo domestico che l’ortodossia religiosa colpevolizza e mortifica la donna prima le garantiva un rifugio ha nel frattempo offer- attraverso la confessione, col ricatto di un’assoluzione to asilo a un’altra ragazza, né Alina desidera più di che si può pure non concedere ai cosiddetti impuri. tanto restare. Lo stesso concetto di “famiglia”si rive- Così Alina non può accostarsi alla comunione, e se ne la traditore: per quanto Alina – sentiamo dire dai fa forza per creare scompiglio nella comunità: la sua genitori adottivi – si sia guadagnata l’alloggio lavo- impudicizia, che letteralmente macchia il candore die- rando, buona parte dei risparmi di lei è andato speso. tro cui si prostrano popa e suore, le proibisce di con- E se un brandello di famiglia l’è rimasto (il fratello è formarsi al nuovo ambiente. un ritardato mentale sfruttato in un autolavaggio), Alina è però per Voichita una figura familiare, testi- l’unico sentimento che spinge la protagonista a vive- mone e legame con un passato incancellabile, a cui si re è l’amore per Voichita. contrappone l’altra famiglia, il convento: un alveo Nel rapporto che le lega, lo spettatore ritrova il lega- tanto florido di fervore mistico che il prete è chiamato me altrettanto forte al centro di 4 mesi, 3 settimane e “papà”, e la madre superiora, dal fare dolce e premu- 2 giorni (4 luni, 3 sãptãmâni si 2 zile, 2007): due anti- roso, “mamma.” Alina è depositaria di un trascorso tetici caratteri femminili, Otilia e Gabita, inquadrati in ch’è senz’altro elemento di difformità. In nome di quel un ambiente non meno sinistro e ostile («Romania, trascorso, è portata suo malgrado a un corpo a corpo 1987», recitava la didascalia in apertura). Se è l’univer- con eventi che paiono stabiliti dal destino ma che, so femminile ad affratellare le pellicole, la contrapposi- forse, son dettati dal Caso, topos onnipresente nel zione nel disegno dei rispettivi rapporti termina qui: a nuovo cinema romeno, in perpetua redde rationem dispetto di 4 mesi, dov’era Otilia a farsi carico di tutto con un passato che non passa mai. Pensiero e deside- – e di più – per consentire a Gabita di abortire, in Oltre rio di Alina, opposizione e ribellione, confliggono le colline è Voichita ad assumere un ruolo protettivo, fatalmente con ciò che non vuole e non capisce. sollecitata in ciò dalla superiora e dal confessore che, in ottemperanza al codice monastico, le impongono assunzioni di responsabilità verso la nuova arrivata. Non solo nelle sequenze iniziali, ma anche nel pre- finale: relegata Alina nella semioscurità di una cella del monastero, dalle fedeli tenuta rigorosamente lon- tana dal “contagio”con l’amata, una Voichita in lacri- me decide di sciogliere i polsi dell’amica dalla rozza croce a cui è stata legata per scacciare il Maligno, essendo il prete ormai convinto ch’esso s’annidi in lei. Voichita le offre, in extremis, una possibilità di fuga: da quel momento, la fede che sembrava anima- re la sua volontà monastica comincia a mostrare la propria fragilità. Chi è o crede di stare dalla parte del Bene, tenta di opporsi al caos scaturito dal Male. E un esorcismo è al centro dell’ultima, straziante parte della pellicola: un’Alina sempre più sconfitta e disperata, inutilmente cerca di opporsi all’estraneità di coloro che le hanno sottratto l’amore. Pie donne che, in nome del proprio paradigma d’amore, la legano, la imbavagliano. E fini- scono col seviziarla: le allacciano gambe e polsi a due tavole di legno; qui la distendono e incatenano, lasciandola senza cibo né acqua allo scopo di fiaccare il Maligno. Dopo che Alina si è opposta con tutte le proprie forze ai diktat religiosi cui prete e suore costantemente l’hanno richiamata (i quattrocentoses- santaquattro peccati di cui la giovane potrebbe esser-

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si macchiata, stilati dalla Chiesa Ortodossa e letti aniolów, 1961) di Jerzy Kawalerowicz – film ingiu- come una penitenza). stamente dimenticato di cinquant’anni prima, che lo L’autore ci mostra qui la plurale materia di cui è fatto ricorda assai. il fanatismo, non esclusa l’ingenua benevolenza, l’inno- Ma le dicotomie non si arrestano: Voichita è infor- cenza disarmante e plagiata, la non colpevolezza di chi mata dalle consorelle che Alina, dopo il calvario, sta non sa e l’inferno negli occhi di chi sa. Il rito si fa bolgia, meglio e ha chiesto di lei. Corre a vederla e n’è accol- donne abbigliate come uno stormo di corvi si accanisco- ta con un sorriso tenue, dolce ma incerto, prima che si no su un corpo sempre più indifeso, trasportato nella accasci priva di forze. In ospedale, una cinica dottores- neve dalla chiesa alla cella più volte al giorno, per gior- sa ci informerà poi del suo decesso, ma molte ore ni. Di nuovo, nel segno di un dualismo d’insostenibile dopo. E nell’ultimo fotogramma, il furgone della poli- tensione (chi è il vero invasato?). Da una parte, l’eterna zia con a bordo i responsabili dell’omicidio sosta per egolatria di chi non ha dubbi e non li ammette (il popa), minuti e minuti a un semaforo rosso, e nulla sembra dall’altra una giovane convinta di poter bastare all’og- volerci dire di più. Sappiamo però, dall’inizio, che i getto del suo amore e di farsene bastare. fatti sono autentici, e una conclusione sembra averla In Oltre le colline, s’avverte un rabbioso tête-à-tête avuta. I colpevoli furono scomunicati dalla Chiesa tra chi non crede, e prontamente è tacciato di anor- Ortodossa, il convento raso al suolo, la preghiera di malità, e un nucleo ch’è (o dovrebbe essere) garanzia San Basilio proibita. La realtà ha trasceso la fantasia.

di comprensione, prima che di fede. E conduce il film Una povera fantasia incapace di spingersi oltre le col- 520 a ricordare certi apologhi di Bergman, ma più anco- line, ostaggio di un fantasma. Lo spettro di un trascor- ra opere del disgelo esteuropeo come il polacco so oltranzista che s’avvinghia come un morto che Madre Giovanna degli angeli (Matka Joanna od afferra un vivo. cineforum

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IO E TE Bernardo Bertolucci

Edipo recluso Anton Giulio Mancino

Cominciamo dalla fine. Dalla divertente possibilità Regia: Bernardo Bertolucci. Soggetto: dal romanzo omo- che l’inquadratura finale di Io e te, con il fermo imma- nimo di Niccolò Ammaniti. Sceneggiatura: Niccolò gine del protagonista Lorenzo mentre si lascia sfuggire Ammaniti, Umberto Contarello, Francesca Marciano, uno sguardo in macchina, sia un errore. Un “errore”per Bernardo Bertolucci. Fotografia: Fabio Cianchetti. modo di dire. Uno di quelli che si verificano su un set Montaggio: Jacopo Quadri. Musica: Franco Piersanti. cinematografico, dove vige la regola tacita del divieto Scenografia: Jean Rabasse. Costumi: Metka Kosak. per gli attori di indirizzare lo sguardo direttamente nel- Interpreti: Jacopo Olmo Antinori (Lorenzo), Tea Falco l’obiettivo. Una svista, insomma, in tutti i sensi, che si (Olivia), Sonia Bergamasco (Arianna),Veronica Lazar (la trasforma – o meglio: l’autore Bernardo Bertolucci tra- nonna), Tommaso Ragno (Ferdinando), Pippo Delbono sforma – in singolare lapsus. In questo modo il film, con (lo psicologo), Francesca De Martini (la proprietaria del una banalissima infrazione, chissà quanto involontaria, negozio di alimentari), John Paul Rossi (lo spacciatore). consumatasi tuttavia non nello spazio filmico prestabi- Produzione: Mario Gianani, Lorenzo Mieli, Olivia Sleiter lito e normativo ma in quello cosiddetto del “profilmi- per Fictions Films/Wildside Media. Distribuzione: co”, avrebbe, un po’ per scaltra, irriverente vocazione, Medusa. Durata: 97’. Origine: Italia, 2012. un po’ per disponibilità al caso e alla necessità stilistica a esso connessa, trovato il suo perfetto finale: coerente Attenzionato fin troppo dalla madre, il quattordicenne, con l’ipotesi che l’adolescente, dopo giorni di program- introverso Lorenzo, anziché partecipare come tutti i suoi mata autoreclusione nella cantina di casa, abbia inco- compagni alla gita scolastica, decide di rintanarsi nel sot- minciato davvero a vivere, a riconciliarsi con il mondo, toscala del palazzo in cui vive, dopo aver fatto provviste ad affacciarsi alla realtà. di alimentari. Avendo fatto credere di essere in gita non può permettersi di uscire da questo covo per vari giorni, ma per puro caso lo raggiunge la sorellastra Olivia, giovane foto- grafa e tossicodipendente che ha bisogno di un posto in cui disintossicarsi prima di ripren- dere una relazione interrotta con l’ex fidanzato. I due ragaz- zi, molto diversi e assai poco disposti l’uno verso l’altra, in questa circostanza eccezionale imparano invece a conoscersi, a condividere lo spazio comu- ne, al riparo da tutto e da tutti, in particolare vivendo lontano da adulti e familiari. Quando le

loro strade torneranno a sepa- 520 rarsi, qualcosa in entrambi sembrerà essere cambiato. cineforum

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Non occorre cercare di scoprire se le cose siano particolare Il conformista (1970), Ultimo tango a andate effettivamente così, né aspettarsi una conferma Parigi (1972), La luna (1979), La tragedia di un uomo dallo stesso Bertolucci. La scommessa dell’ultimo, ridicolo (1981), Io ballo da sola (1996), L’assedio innovativo e terapeutico suo film consiste proprio nel (1998), The Dreamers (2003), che immediatamente cogliere segnali di palingenesi in un finale vagamente anche lo spettatore, non soltanto il critico, il cinefilo, o accidentale. L’arte sta nel sottolineare la dimensione qualsiasi altro destinatario di informazioni mirate, a autoreferenziale, enunciandola in continuazione con sua volta trova e riconosce tra le pieghe di questo rimandi insistenti alla filmografia pregressa e al cine- nuovo e risolutivo racconto, per ovvie ragioni non ori- ma in generale, salvo in extremis compiere a sorpresa ginale ma originato. una sterzata, fuori dagli schemi, dai codici, dall’illusio- Senza contare che Bertolucci, come lo spettatore in ne di realtà indotta dallo schermo. Lorenzo, con il suo sala, si ritrova ora costretto e immobilizzato su una furtivo, inconfessabile, sintomatico sguardo in macchi- sedia: condizione ingrata che tuttavia lo porta ad na spezza d’un tratto le catene. Prima ancora di usci- accorgersi di come la sua sedia a rotelle non sia solo il re eventualmente di campo, da giovanissimo portavo- veicolo con cui far fronte a un sofferto handicap ma ce dell’autore, innesca la più elementare delle “figure anche la (im)postazione per eccellenza del regista, che dell’assenza”. Quella che Marc Vernet ha collocato giu- con la sua “macchina”può muoversi comunque, effet- stamente all’inizio del suo fondamentale contributo tuare carrellate, riscoprendo perciò il piacere di fare – teorico (1) volto a individuare cinque tipiche vie di e disfare – un film, spingersi oltre il film in quanto tale fuga dall’istanza realistica della messa in quadro cine- e oltre specifici film, quelli del proprio repertorio e del matografica. repertorio storico e culturale della propria generazio- La scoperta e la messa a nudo del dispositivo filmi- ne. co diventa inoltre lo stratagemma attraverso cui, tra le Contestualmente scopre il vantaggio di compiere righe, l’Io e te bertolucciano si scioglie dal patto di una trasposizione che diventa sinonimo di trasgressio- fedeltà nei confronti del testo letterario di partenza. ne rispetto all’occasionale libro scelto. Il provvidenzia- Marcando una distanza fondamentale, semplice, le “errore”, recuperato all’occorrenza come principio immediata rispetto all’omonimo romanzo di Niccolò attivo e virtuoso, gli permette di sottrarsi nel modo più

520 Ammaniti, pur contemplato tra gli sceneggiatori, insospettabile all’annosa questione dei rapporti tradi- Bertolucci riscopre il piacere di tirarsi fuori dalla sua zionali tra letteratura e cinema incombenti su un per- di prigione, una doppia prigione, letteraria e cinema- corso biografico, familiare e artistico che da sempre tografica. Egli ricapitola e spazza via tutti quei film, in implica e trascende l’attività di cineasta/cinefilo. Per cineforum

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orchestrare questa suggestiva proposta pratica e teori- dal film. Di lasciar intendere una vita vera e diversa ca non sono serviti sforzi dinamici, acrobazie, riprese dopo il film, senza il film, a prescindere dal film. Ha ardite a lui così care, che pure in Io e te non mancano l’opportunità, grazie all’aiuto che dà e nel contempo e si fanno sentire. Basta un pretesto, narrativo, classi- riceve da Olivia, non soltanto di uscire dal rifugio co, dunque letterario, per escogitare o far deflagare materno, dal ventre ugualmente domestico e iperpro- l’atto mancato, frutto maturo di un liberatorio, defini- tettivo, ossia da un locale interrato arredato alla tivo “discorso riuscito” (2). meglio per la circostanza eccezionale, sottoposto tutta- Un atto subliminale, invisibile, da rendere altresì fin via al dominio assoluto e perpetuo della camera/mac- troppo visibile a sigillo del film finito è ciò che fa al china da presa onnipresente. caso suo: uno strappo, un’occhiata lanciata di sbieco L’ulteriore atto, nel film e del film, di guardare spes- in macchina, in grado di violare quindi la gamma non so e volentieri in alto, come cercando in alto uno sboc- illimitata delle traiettorie oculari consentite alla per- co, quindi di idealizzare visivamente un’esigenza di formance del giovane attore, ed ecco che l’effetto di crescita, nasce dalla tendenza dell’autore cinemato- straniamento, di sospensione, di apertura consente a grafico ad assecondare il suo protagonista mediante Io e te di dire molto. Molto di più che se fosse ricorso continue evoluzioni verticali. Questo tipo di ripresa a un finale qualsiasi, fedele o infedele al libro, non fa ricorrente condensa una presa di posizione in fieri, che differenza. Lorenzo da questo momento, da questo sembra puntare all’esterno dell’inquadratura e dello punto di vista e di non ritorno che sospende allusiva- spazio fisico autoimposto, premere sui bordi, immagi- mente la conclusione del film, può considerarsi poten- nare uno sfogo. La spinta ideale procede dal basso zialmente libero, poiché sciolto dal giuramento che verso l’alto, mentre quella istintiva, realistica, pratica- lega indissolubilmente il quadro e il fuori quadro. E ta lo ha portato in basso. Detto altrimenti, la provviso- perciò l’al di là e l’al di qua della macchina da presa, ria e regressiva fuga dal mondo consiste dapprincipio, l’interno in cui si è rinchiuso e ha vissuto per l’intero cioè per (quasi) tutta la durata del film, nel cercare periodo della gita scolastica (quindi del film) e lo spa- riparo in un oscuro scantinato pieno di cimeli, reli- zio effettivamente esterno in cui potrebbe invece d’ora quie, abiti femminili e nobiliari del passato. Una can- in avanti vivere. tina/magazzino a immagine e somiglianza – si è detto

Diversamente da sua sorella Olivia, condannata a – dell’involucro materno, che allude anche alla sala 520 ricadere nel tunnel della tossicodipendenza (nel libro) buia e prenatale, al cinema del passato, quello dei o a poterci ricadere (nel film), Lorenzo si permette il padri o ereditato dai padri, non fa differenza. Dove lusso, ovviamente cinematografico, di proiettarsi fuori cioè il magistero viscontiano, anch’esso aristocratico, cineforum

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in costume, espressamente rétro, si riallaccia alle cor- ve edipica, cioè bertolucciana, la dimensione alternati- nici storiche retrodatate e fantasmatiche di Strategia va del tu femminile, non più necessariamente circo- del ragno (1970), Il conformista e Novecento (1976). scritto alla figura della madre troppo premurosa e Non è del resto un caso che la reazione all’esistente deresponsabilizzante, o addirittura della confidenziale venga affidata a un adolescente molto introverso e irri- nonna, incartapecorita, ammalata e ospedalizzata, ma solto, immaturo e peduncoloso, non sorretto da alcuna allargato all’inedita sorella(stra), potenziale amante, la passione ideologica o ansia di cambiamento trasferita quale preannuncia un possibile tipo nuovo di donna, nel privato, come ancora in The Dreamers. Il rifiuto, nonché alternativa relazionale/affettiva esterna al non categorico, stavolta non proviene infatti da un nucleo familiare. soggetto consapevolmente antagonista e politico. Il “blocco simbolico” di stampo quindi edipico (3), Lorenzo istintivamente si oppone a un universo fami- che l’autore ha costruito su misura già nel molto liare stabilizzato, borghese – certo – ma soprattutto incompreso La luna, punta stavolta in una chiave istituzionale e diffuso. Non si fa interprete di un disa- meno morbosa a demistificare l’apparato filmico, a gio organizzato, collettivo. Egli è appena un individuo, spogliarlo di suggestioni consolatorie, erotiche e oltretutto scostante, antipatico, che desidera starsene romantiche. Accantonata, ma non del tutto negata la da solo, in santa pace, a mangiare schifezze da super- relazione amorosa con il cinema, d’oggetto, kleiniana mercato, senza neppure allontanarsi da casa, partire, (4), Bertolucci sembra volersi mettere alla prova, pro- visto che non cerca immediatamente un contatto con spettando un presente/futuro ambiguo e scoraggiante. l’esterno né la distanza dalla dimora di famiglia. Uno Ma che nella sua indeterminatezza anche sessuale o “psicopatico”, lo definisce addirittura Olivia, sconcer- pre-sessuale indica nondimento un mondo pseudo- tata nello scoprire cosa egli è stato capace di escogita- reale, quanto meno extracinematografico, metafilmi- re. La sua ribellione, che non è esattamente una rivol- co. Un mondo da svecchiare che tuttavia non si pre- ta, prende le mosse da precise, dichiarate istanze edi- senta come il migliore possibile. Se ad esempio Olivia piche, rivolte con insistenza alla madre a sua volta non usa e rifiuta il “vecchio”comprensivo mecenate, ammi- tanto indignata quanto spazientita, esasperata, imba- ratore, probabile occasionale amante, Lorenzo rischia razzata dall’ennesima manifestazione di eccentricità con il progetto di sopravvivenza alimentare/esisten- del suo ragazzo. Lorenzo vive in un mondo tutto suo, ziale una dieta preconfezionata, assai poco salutare, si nutre di merce da supermercato, di musica, libri e monotona e seriale. I cibi inscatolati, il portatile, inevitabilmente film che nessuno – attenzione – vuol l’iPod o il formicaio di cui si dota questo strano quat- condividere (da quelli di fantascienza classica e disto- tordicenne, meno sventato della sorellastra maggiore, pica evocati nella richiesta esplicitamente edipica ma anche più ingenuo, non presuppongono un’inequi- rivolta alla madre a quello che vedrebbe invece con la vocabile, effettiva svolta positiva, ma una premessa sorellastra per occupare il tempo). sintetica, insapore, tediata, chiusa. Emblematicamente in un film dal titolo non autono- Quella scelta da Lorenzo è, insomma, una forma di mo ma desunto, Io e te, questa tipologia di io tenta il autoemerginazione e di asocialità compulsiva accoma- tutto per tutto di ritrovare se stesso, scoprendo ina- gnata da prodotti alimentari, strumenti, oggetti ani- spettatamente, rigorosamente – lo ripetiamo – in chia- mati e inanimati piuttosto congeniali, che fino a un certo punto procede parallelamente all’altra reazione, autodistruttiva ma anche artistica di Olivia, il cui talento fotografico lascia comunque intuire un’identi- tà segretamente forte. Tanto che non le soluzioni sin- gole ma l’incontro tra i due induce persino a (ben) spe- rare. Se non altro per Lorenzo. Nel senso che, in quan- to aperto, brusco, irrisolto, il finale di Io e te non inten- de chiudere la partita, né tantomeno rinchiudersi in una condizione permanente di nostalgia, recupero, anzi riciclaggio di oggetti e supellettili di un mondo datato, impolverato, ove il discorso filmico è impre- scindibile, ancorché inibito e costipato in uno spazio esiguo, e l’immaginario cinematografico già scritto sembra persistere, letteralmente, come “nuda proprie- tà” acquisita e museificata. Io e te mette dunque in scena e in quadro un novel- lo Edipo recluso in cui si rispecchia un un Bertolucci/Edipo non più re né imperatore (L’ultimo imperatore [1987]), né prescelto (Piccolo Buddha [1993]), ma confinato nello spazio inconcepibile del fuori campo e fuori quadro. Questo soggetto molto

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giovane, senza qualità e senz’arte né parte assume su gedia di un uomo ridicolo, per certi versi Il tè nel di sé le sembianze di un personaggio molto cinemato- deserto [1990], di sicuro Io ballo da sola, L’assedio e grafico, mutuate ora dal fermo immagine con (non) The Dreamers), viene lasciato andare per la sua stra- terminava l’avventura dello scapestrato Antoine truf- da, per sua fortuna di lì a poco con ogni probabilità fautiano di I quattrocento colpi (Les quatre cents fuori campo, dopo aver violato istintivamente il fuori coups, 1959; espressione della rottura operata a suo quadro, svelandolo, denunciandolo, destituendolo di tempo dalla Nouvelle vague), ora dall’incredibile, antico, superato, improponibile fondamento affabula- torva somiglianza con l’Alex kubrickiano di Arancia torio. meccanica (A Clockwork Orange, 1971; che infatti cominciava e finiva con uno sguardo in macchina). L’attore Jacopo Olmo Antinori si fa carico della somi- (1) Cfr. Marc Vernet, Figures de l’absence. De l’invisible au cinema, Cahiers du Cinéma/Editions de l’Étoile, Parigi 1988 (tr. it. Figure glianza fisica, cinematografica e concettuale con i lon- dell’assenza. L’invisibile al cinema, Kaplan, Torino 2008). tani Jean-Pierre Léaud e Malcolm McDowell. Con la (2) Jacques Lacan, Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicanalisi, Relazione del Congresso all’Istituto di Psicologia differenza che Bertolucci lo lascia andare, non ci tiene dell’Università di Roma (26-27 settembre 1953), in Écrits, Éditions a seguirlo. du Seuil, Parigi 1966 (tr. it. Scritti, Vol. I, a cura di G.B. Contri, Einaudi, Torino 1974-2002, pag. 261). Questo tipo di giovane personaggio indefinito, supe- (3) Cfr. Raymond Bellour L’analyse du film, Albatros, Parigi 1979; rata la fase del fantasma del cibo/cinema, non viene né Calmann-Lévy, Parigi 1995 (trad. it. L’analisi del film, Kaplan, Torino 2005). giudicato né capito, soltanto mostrato, osservato con (4) Cfr. Christian Metz, Le significant imaginaire, UGE, Parigi 1977 sguardo entomologico (5). In quanto degno esponente (trad. it. Cinema e psicanalisi, Marsilio,Venezia 1980; 1993, pagg. 9- 23). di una prassi istituita da tutte quelle opere diverse, (5) Curiosa coincidenza: per restare in ambito kubrickiano il formi- 520 relativamente piccole, claustrofobiche, private, nean- caio che Lorenzo acquista suggerisce anche l’obiettivo crudele e stra- che più anomale o minoritarie nella filmografia berto- tegico, denominato appunto il Formicaio, dei ripetuti attacchi che decimano l’esercito francese nel film Orizzonti di gloria (Paths of lucciana (come Ultimo tango a Parigi, La luna, La tra- Glory, 1957). cineforum

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LA SPOSA PROMESSA - FILL THE VOID Rama Burshtein Messiscena e sentimento Paola Brunetta

Mentre gli scontri tra israeliani e palestinesi stanno Titolo originale: Lemale et ha’halal/Fill the Void. Regia e portando la striscia di Gaza a una nuova escalation di sceneggiatura: Rama Burshtein. Fotografia: Asaf Sudry. violenza e subito dopo la settima edizione del Montaggio: Sharon Elovic. Musica: Yitzhak Azulay. Pitigliani Kolno’a Festival di Roma e la proiezione del Scenografia: Ori Aminov. Costumi: Chani Gurewitz. documentario Ebrei a Roma nell’ambito del settimo Interpreti: Hadas Yaron (Shira Mendelman),Yiftach Klein Festival Internazionale del Film della Capitale, di cui è (Yochay Mendelman), Irit Sheleg (Rivka Mendelman), stato l’evento speciale, esce nelle sale il film che insie- Chayim Sharir (Aharon), Razia Israeli (la zia Hanna), me ad altri quattro, due di Gitai fuori concorso, uno in Hila Feldman (Frieda), Renana Raz (Esther Mendelman), Orizzonti e uno, israeliano e palestinese insieme, che è Yael Tal (Shifi), Michael David Weigl (Shtreucher), Ido stato anche per questo motivo un Evento speciale Samuel (Yossi Mendelman), Neta Moran (Bilha), Melech della Mostra, ha rappresentato Israele al Festival del Thal (il rabbino). Produzione: Assaf Amir per Norma Cinema di Venezia, ottenendo la coppa Volpi per l’in- Producions/Avi Chai Fund. Distribuzione: Lucky Red. terpretazione di Hadas Yaron. Il film è il primo lungo- Durata: 90’. Origine: Israele, 2012. metraggio di Rama Burshtein, newyorkese di nascita, studentessa di cinema a Gerusalemme e, dai ventisei Shira è la figlia più giovane di una famiglia ebrea ortodos- anni, convertita all’ebraismo ortodosso, quello chassi- sa di Tel Aviv. Promessa sposa a un coetaneo della sua dico, e madre di quattro figli. stessa estrazione sociale, è felice ed eccitata per il sogno La cosa sorprendente di questo film, quella di cui si che si sta avverando. Durante la festività del Purim, sua è parlato fin dalla presentazione veneziana, è il fatto sorella maggiore Esther muore di parto mettendo al che mostri la vita della comunità chassidica di Tel Aviv mondo il suo primogenito. L’angoscia e il dolore che col- dall’interno, empaticamente, in quanto ambiente di piscono la famiglia fanno sì che il matrimonio di Shira passi in secondo piano. Tutto cambia quando a Yochay, il marito di Esther, viene proposto di unirsi a una vedova belga. L’uomo ritiene che sia troppo presto, pur sapendo che prima o poi l’eventualità di un nuovo matrimonio sia da tenere in conto. Quando la suo- cera scopre che Yochay potrebbe lasciare il Paese con il suo unico nipote, propone una unione tra Shira e il vedovo. Shira

520 dovrà dunque scegliere se ascoltare il suo cuore o seguire la volontà della famiglia. cineforum

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appartenenza della regista, che ci fa così conoscere mondo rappresentato. C’è la comunità ortodossa di Tel tradizioni e usanze di queste persone: le feste (il Aviv, appunto, ma ci sono anche Shira e le altre ragaz- Purim), i riti (matrimoni, funerali, circoncisioni), il ze della sua età, che attendono di sposarsi e che per costume quotidiano relativo per esempio alla netta come sono raffigurate (il termine non è casuale) ricor- suddivisione dei ruoli tra uomini e donne, la preghie- dano da vicino la May di L’età dell’innocenza o le ra come elemento onnipresente. In realtà, gli aspetti di ragazze di Picnic ad Hanging Rock o quelle di Il giar- maggior interesse dell’opera della Burshtein sono dino delle vergini suicide, fanciulle in fiore appunto, altri. anche se il riferimento più appropriato è Bright Star, Innanzitutto lo stile. Sicuro, curato, morbido. l’innocenza e la semplicità di Fanny al suo primo Patinato ma non eccessivamente raffinato. Primissimi amore che è un amore non approvato dalla famiglia e piani spesso, e spesso tagliati, con la profondità di dalla società, ma alfine accettato nella sua folgorante campo ridotta al minimo in modo da giocare sul fuoco evidenza. Anche qui, anzi soprattutto qui la protago- e sul fuori fuoco. L’effetto flou, ancora, spesso. La cura nista deve confrontarsi con la famiglia, con il volere nella composizione dell’inquadratura, con evidente della famiglia e con quello della comunità religiosa che ispirazione pittorica nell’accostamento di forme e decide i matrimoni dei suoi giovani membri, ma, colori (la scena del funerale). Morbidezza e colori nuova eroina romantica (si è fatto non a caso il nome pastello, innocenza e grazia di un’adolescente che di Jane Austen per definire l’atmosfera del film), come diventa donna, piano. Il ritmo infatti è lento, cadenza- provava un qualche sentimento per il suo promesso to. Saggio. Brani musicali della tradizione accompa- sposo lo proverà piano piano anche per Yochay, che gnano questo film girato in interni, anche quello che dopo vari passaggi tra cui quello del “compito da svol- Shira suona con la fisarmonica e che, all’asilo, da gio- gere” per soddisfare tutti, sceglierà di sposare per ioso si trasforma in malinconico. La camera fissa, amore immersa nel bianco che dicevamo, lei “pura” spesso, con i personaggi che si muovono all’interno con un uomo che di strada, invece, ne ha già fatta un dell’inquadratura. Yochay disteso sull’amaca con suo po’ e che deve “riempire un vuoto”trovando una madre figlio in braccio nell’azzurro, ripreso dall’alto (a piom- per suo figlio, anche se in realtà anche lui, dopo il bo) e poi lateralmente mentre Shira suona l’armonica primo momento di smarrimento alla proposta di con sguardo assorto, tra il perplesso e il sognante. È lì Rivka, si renderà conto di amare la ragazza. con loro, non è lì? Il montaggio comunque unisce, col- «Non c’è contraddizione tra religione e passione», ha lega. Anticipa. Fa capire a noi per lei, che la vita di dichiarato al regista «La religione è passione sotto quelle tre persone è indissolubilmente legata. Le vuoto«, perché «la passione viene dal non avere qual- inquadrature “piene” (il titolo inglese che riprende cosa e dal desiderio che quest’assenza produce, e la l’originale ebraico è Fill the Void, “riempi il vuoto”), religione lavora su questo», aiutando a preservare la specie quando a sostanziarle sono i primi piani dei passione come «desiderio volutamente represso» (1). E personaggi femminili, spesso due per quadro, ma qui siamo, entriamo nel vivo della questione. Perché il anche quelle vuote nel campo-controcampo del dialo- film presenta vari temi, la religione, la nascita, la go-chiave tra Yochay e Shira, vuote per Shira che è morte, le convenzioni sociali, i riti comunitari, le posta a destra dell’inquadratura, mentre l’uomo è costrizioni sociali anche, ma è fondamentalmente un posto al centro. Lei infatti deve sposarsi, deve “prende- film d’amore o meglio, quello che a noi, con occhio re marito”, mentre per lui non si tratterebbe (uso volu- occidentale o laico che dir si voglia, può sembrare la tamente il condizionale) che di riempire il vuoto cau- crudeltà di un matrimonio combinato quindi di inte- sato dalla morte prematura della moglie, che non è un resse e poi la desolazione di un matrimonio “riparato- vuoto esistenziale ma piuttosto sociale. La fotografia re” di cui Shira è la vittima sacrificale, agli occhi di un vellutata appunto, luminosa e densa, a sottolineare ebreo ortodosso ma anche forse di un cattolico prati- ogni risvolto e sfaccettatura dei sentimenti dei perso- cante (2) è semplicemente il compiersi di un destino naggi, vicino a loro. Il sentimento che trapela, emozio- che può essere imposto ma che diventa scelta propria nante e vivo, dai minimi segni del volto e dagli sguar- nel momento in cui si entra in un’ottica di fede, che è di ora decisi, ora sofferenti, ora pieni di desiderio. Ma innanzitutto fiducia (in Dio, nella vita, e in quello che sempre discreti e riservati, perché niente va esplicitato i tuoi cari o il capo della tua comunità hanno in serbo o affrettato. Le possibilità, tutte sfruttate, dell’angola- per te). Dice infatti il rabbino, quando Shira inizial- zione e dell’inclinazione della macchina da presa. mente afferma che «non è una questione di sentimen- L’abito bianco della sequenza finale,in cui Shira è let- ti» la decisione di sposare Yochay ma una cosa che va teralmente immersa, con quei veli e quegli sbuffi di fatta per accontentare tutti, che al contrario «è solo sposa novella, e lo stacco nero del finale, a indicare il una questione di sentimenti», e Shira lo scoprirà nel mistero spaventoso ma eccitante, estremamente sen- corso del film, e arriverà a desiderare Yochay e a deci-

suale, dell’inizio di una storia d’amore. E della fine di dere di sposarlo perché lo ama, di un amore che tra- 520 uno stato, quello della Shira adolescente, inesperta e spare da tutto il suo essere sia pur venato dell’ambi- ingenua. guità che vediamo nella sequenza finale, quando il sor- E qui entriamo in un aspetto contenutistico, il riso sull’abito nuziale è anche un pianto di gioia e di cineforum

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paura e di abbandono. Del resto tutte le ragazze del matrimonio combinato e senza amore. E anche Water, film, che sottostanno alla tradizione dei matrimoni il film israelo-palestinese sopra citato, presenta nell’ul- combinati, in qualche modo scelgono o sono comun- timo episodio una ragazza che, in attesa del primo que felici del compiersi di quello che vedono come il incontro con il suo promesso sposo, intesse una con- loro destino nel senso religioso del termine, e la zia versazione con l’idraulico rimanendo dietro a una stessa, che è rimasta da sola anche se porta il coprica- porta. Costrizione, sottomissione, conseguenze non po delle donne sposate, quando racconta a Shira del- gradite di qualcosa che viene deciso da altri: l’istitu- l’uomo che stava per sposare le dice che, alla fine, non zione del matrimonio combinato sembra essere una l’ha fatto perché lui non le piaceva. Forse la visione violazione in piena regola del concetto di libertà anzi della regista è un po’ troppo ottimistica o forse sempli- del diritto di libertà del singolo, specie a noi illumini- cemente il suo racconto dall’interno comporta un’ade- sti di formazione. Ma se la Burshtein dichiara che solo sione totale alla realtà che rappresenta, ma questo è i veri sentimenti rendono liberi, la Yaron, da laica, quello che vuole dirci e cioè concettualmente il contra- afferma di credere che «le persone di questa comunità rio di un film come Kadosh, che propone l’antitesi tra trovino la strada per fare quello che vogliono, muoven- sguardo laico e sguardo religioso sulla società ebraica, dosi tra le regole imposte dalla fede» (3). Che è quello mostrando le aberrazioni dell’ebraismo ortodosso e che ci auguriamo anche noi. una possibilità di fuga da esso. A pensarci in effetti, i film israeliani usciti negli ulti- mi anni nelle nostre sale propongono la medesima (1) Intervista di Paola Piacenza alla regista apparsa su «Io donna» dell’8 novembre del 2012, unita a una dichiarazione della Burshtein visione di Gitai, quando toccano il tema del matrimo- in occasione della presentazione veneziana del film. nio: Matrimonio tardivo mostra l’assurdità della logi- (2) Istruttiva la lettura della recensione del film apparsa su «Milano Sette», inserto settimanale di «Avvenire», il 18 novembre 2012, un ca del matrimonio combinato per un uomo già impe- esempio illuminante di come la forma sia la sostanza e di come, nella gnato che è costretto a mantenere la sua donna nel- fattispecie, le parole che Bernardini usa siano ispirate dalla fede e collochino la scelta di Shira in un’ottica provvidenziale, all’interno di 520 l’ombra, Prendere moglie sottolinea la sottomissione «un disegno che viene dall’alto» e che è quindi necessariamente posi- che si chiede alla donna israeliana all’interno della tivo per chi vi si sa abbandonare. (3) Fulvia Caprara, Hadas Yaron – “La sposa promessa” che sogna famiglia, La sposa siriana evidenzia le conseguenze l’Oscar, «La Stampa», 15 novembre 2012. concrete, su una giovane donna del Golan, di un cineforum

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ARGO Ben Affleck

La grande illusione Tina Porcelli

Ben Affleck, all’anagrafe Benjamin Géza Affleck- Titolo originale: id. Regia: Ben Affleck. Soggetto: dall’arti- Boldt, classe 1972, è riuscito nell’impresa più ambita colo Escape from Teheran di Joshuah Bearman. per un autore. Azzeccare la terza opera. L’esordio a Sceneggiatura: Chris Terrio. Fotografia: Rodrigo Prieto. volte è frutto di fortuna, il secondo film può essere un Montaggio: William Goldenberg. Musica: Alexandre incidente di percorso nel bene o nel male, ma il terzo Desplat. Scenografia: Sharon Seymour. Costumi: è la conferma del valore di un regista. Affleck ha fatto Jacqueline West. Interpreti: Ben Affleck (Tony Mendez), centro e all’improvviso ci si accorge che questo qua- Bryan Cranston (Jack O’Donnell), Alan Arkin (Lester rantenne di bella presenza che ogni madre americana Siegel), John Goodman (John Chambers), Victor Garber avrebbe voluto come genero ha anche altre doti. In (Ken Taylor), Tate Donovan (Bob Anders), Clea DuVall effetti, la sua filmografia di attore annovera interpreta- (Cora Lijek), Scoot McNairy (Joe Stafford), Rory Cochrane zioni eterogenee, non sempre azzeccate. Debutta al (Lee Schatz), Christopher Denham (Mark Lijek), Kerry cinema con Buffy – L’Ammazza Vampiri (1992) e si Bishé (Kathy Stafford), Kyle Chandler (Hamilton Jordan), fa notare per la prima volta nel 1995 in Generazione Chris Messina (Malinov), Zeljko Ivanek (Robert Pender), X di Kevin Smith, di cui diventa amico e che continue- Titus Welliver (Bates), Keith Szarabajka (Adam Engell), rà a chiamarlo per vari ruoli secondari. Protagonista, Bob Gunton (Cyrus Vance), Richard Kind (Max Klein). tra gli altri, di Armageddon – Giudizio finale (1998), Produzione: Ben Affleck, George Clooney, Grant Heslov Pearl Harbor (2001) e Shakespeare in Love (1998), per GK Films/Smoke House/Warner Bros. Distribuzione: Affleck è famoso più per l’avvicendamento di fidanza- Warner Bros. Durata: 120’. Origine: USA, 2012. te celebri che per meriti propri. Però, con l’amico di sempre Matt Damon, nel 1998 vince l’Oscar per la Teheran, 4 novembre 1979. Una folla inferocita assedia sceneggiatura di Will Hunting – Genio ribelle di Gus l’ambasciata statunitense in Iran, chiedendo il rimpa- Van Sant e, a sorpresa, nel 2006 viene insignito della trio dello scià Reza Pahlavi, colpevole di genocidio con- Coppa Volpi alla Mostra del Cinema di Venezia per tro la sua gente e fuggito negli USA. La situazione dege- Hollywoodland di Allen Coulter. nera e l’ambasciata è occupata dai manifestanti. Negli anni Duemila, non particolarmente soddi- Cinquantadue funzionari sono presi in ostaggio, ma sei sfatto della propria carriera, decide di prendersi una dipendenti riescono a fuggire, trovando ospitalità nella pausa dai riflettori, si dedica a opere filantropiche, residenza privata dell’ambasciatore canadese. Però i fonda una famiglia e una casa di produzione, e poi “guardiani della rivoluzione” sono sulle loro tracce e il sceneggia e gira il suo primo film Gone Baby Gone gruppo, l’ambasciatore e sua moglie, rischiano la con- (2006), con il fratello Casey nel ruolo del protagoni- danna a morte. Il Dipartimento di Stato e la CIA si atti- sta. Nel mezzo, scrive anche con gli amici di sempre vano per farli fuoriuscire in clandestinità, ma sfortuna- una serie tv mistery, Push, Nevada (2002), basata su tamente i loro piani sono irrealizzabili. Tutti tranne un macchinoso tentativo di interazione con i tele- uno, il più folle, proposto dall’agente Tony Mendez spettatori. Ogni episodio nascondeva degli indizi esperto in esfiltrazioni. La sua idea è semplice: mettere necessari a risolvere il mistero, che spaziavano dai in piedi una produzione cinematografica che realizzi un siti web contenuti nei titoli di testa alle conversazio- film di fantascienza in Iran e trasformi i sei fuggiaschi ni dei personaggi. Chi svelava l’enigma, riusciva cioè in membri di una troupe canadese in cerca delle loca-

a ricostruire la frase risultante in un numero telefo- tion. Viene così organizzato tutto, e annunciato pure il 520 nico e lo chiamava, vinceva un premio da un milione titolo del film: Argo. Una storia talmente assurda da di dollari. Per la cronaca: se lo aggiudicò un venti- sembrare vera… Il film è la cronistoria di quegli avve- quattrenne del New Jersey, sebbene la programma- nimenti terribilmente reali. cineforum

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zione di Push, Nevada fosse stata interrotta dopo più spettacolari degli action movie degli ultimi anni sette episodi (sui dodici previsti) per mancanza da Speed in poi. d’ascolti, ma i restanti indizi erano stati trasmessi D’altronde, nelle interviste concesse da Ben Affleck durante un programma radiofonico. prima per The Town e ora per Argo, si nasconde la È con The Town (2010), suo secondo film presen- chiave di tutto il suo cinema. A chi lo incensa come tato a Venezia e Toronto, che molti si accorgono che “autore”, nel senso europeo del termine, egli rispon- Affleck ha una padronanza ragguardevole della regia de che non pensa di avere ancora acquisito un perso- e possiede la rara dote di incollare gli spettatori alle nale marchio di riconoscibilità e preferisce definirsi sedie come nel migliore cinema di genere. Storia un “regista commerciale”. Gli interessa realizzare avvincente (di nuovo da lui cofirmata), magnifica prodotti che non costino una fortuna e quindi meno direzione degli attori (tra cui egli stesso), e una came- soggetti alle imposizioni delle mega produzioni hol- ra mirabolante che si appiccica addosso agli sposta- lywoodiane. Film per adulti drammatici e “di merca- menti concitati degli interpreti senza mollare la presa, to”. Nelle dichiarazioni di Affleck, affiora solo una tra le ombre e i densi neri che frequentemente li volta il nome di Clint Eastwood, ma i registi che lo avvolgono. La scelta del cast artistico e tecnico sugge- entusiasmano, i suoi frequentemente ripetuti “eroi”, risce le aspirazioni e i riferimenti stilistici di Affleck. sono Paul Thomas Anderson e González Iñárritu (1). Tanto per citarne qualcuno: l’attore Jeremy Renner, E, guarda caso, alla direzione della fotografia di Argo vincitore dell’Oscar 2010 per The Hurt Locker di troviamo il messicano Rodrigo Prieto, che ha firma- Kathryn Bigelow (il cui Point Break è apertamente to tutti i film di Iñárritu. riecheggiato in The Town); Robert Elswit, il direttore Affleck spiega inoltre che per Argo si è documenta- della fotografia prediletto di Paul Thomas Anderson e to accuratamente guardando molti film degli anni prescelto per Good Night, and Good Luck dall’altro Settanta, soprattutto Tutti gli uomini del presidente esordiente d’eccezione, George Clooney (figura tra i (di Alan Pakula, 1976) e persino il sincopato e visiva- produttori di Argo); Alexander Witt come regista mente trasgressivo L’assassinio di un allibratore cine- della seconda unità, l’uomo che sta dietro alle riprese se di Cassavetes (1976). È chiaro che Affleck sa il fatto suo e d’altronde, tra i suoi registi preferiti, spic- ca un nome che da lui non ti aspetteresti mai: Jean Renoir. Del quale egli si sforza di riprodurre la pro- fonda umanità della narrazione, quel suo mettere sempre al centro l’essere umano e il sentimento di connessione degli uni con gli altri, le relazioni con la famiglia e le persone amate, i valori, persino un po’ anacronistici, di lealtà e generosa solidarietà. E di Renoir, mi pare naturale aggiungere, Affleck cerca anche di riprodurre quell’essere in bilico tra realtà e finzione, la stuzzicante e contraddittoria coesistenza dell’ancoraggio alla tradizione, da una parte, e lo slancio progressista dall’altra. Non è certo casuale se, in tutti e tre i film di Affleck, la storia personale del protagonista s’intreccia alle vicende principali della narrazione e, nel caso di Argo, è proprio durante una telefonata con il figlio che affiora nell’agente Mendez l’idea vincente per la sua missione (2). In fondo il progetto “Argo”, il nome in codice del finto film che non vedrà mai la luce, altro non è che una grande illusione, come se la menzogna vivesse di vita propria. Un titolo che deriva dalla parola d’ordi- ne utilizzata dalle reclute della CIA, prescelto anche per la simbolica connotazione mitologica che spesso si ritrova nelle storie di fantascienza (3), e perfetta- mente calzante a una vicenda con una patina medio- rientale. La premessa ideale di un’operazione di intelligence sotto copertura è che deve essere troppo assurda da risultare inventata e impossibile da veri- ficare. Ma, soprattutto, deve individuare a priori chi è il proprio pubblico e convincerlo. In questo caso si tratta dei fondamentalisti iraniani, sospettosi e atten- ti a ogni segnale contradditorio, per cui è meglio che

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la storia risulti confusa e ammantata da un astruso gergo intellettuale. Fondata su due piedi una finta casa di produzione (la Studio Six Productions, dal numero dei fuggiaschi da esfiltrare), il futuro film viene presentato a Hollywood in pompa magna e lustrini grazie alla copertura pubblicitaria delle mag- giori riviste di settore. Tre mondi (Iran, Hollywood e Washington), tre stili di ripresa differenti. Come nei film di Iñárritu, la demarcazione delle storie è supportata da differenti estetiche visive. Dal realismo documentario dell’assal- to all’ambasciata (c’è anche lo stesso Affleck, mescola- to ai manifestanti, a riprendere con il formato Super8 dei filmini amatoriali anni Settanta) ai movimenti netti della Stedicam nella CIA, fino allo scintillio appa- rente di una Hollywood in declino. In quest’ultima sezione, si lavora per accentuare quella “sensazione del vetro”, propria di un mondo falso e ovattato, tramite l’utilizzo insistente dello zoom, talvolta combinato alla carrellata. Insomma, per quanto affermi di orientarsi alla confezione di un prodotto “di mercato”, Affleck si conferma fin troppo attento a tutti gli aspetti del manufatto. Il suo ricercato stile visivo è frutto di inge- gnosa e meditata perizia che poggia su una sofisticata ricerca dei collaboratori, prescelti tra quelli dei registi che stima di più (oltre ai già citati, non dimentichiamo il compositore della colonna sonora, Alexandre Desplat, tra i favoriti di Jacques Audiard, il cui film Il profeta Affleck nomina tra i suoi preferiti di sempre). L’imitazione come aspirazione a migliorarsi, tale e quale a quei pittori che, prima di giungere al proprio stile, si esercitavano nel copiare i dipinti famosi. Ma tazione fittizia, riecheggiato nei tanti apparecchi tele- già spiccano le tenaci predilezioni di Affleck, di per sé visivi disseminati un po’ ovunque nelle inquadrature, avvisaglie autoriali, per le storie che mettono al centro a ricordarci la regola del gioco, la bizzarria della vita i personaggi e le relazioni umane, insieme a un certo reale che si mescola alle avventure che scorrono sullo senso dell’umorismo, onnipresenti in tutti i suoi film. schermo. Perché, come diceva Jean Renoir, il sincroni- Come già successe nel 1944 per La porta del cielo di smo è il segreto della vita e la maggior parte dei dram- De Sica e Zavattini, durante l’occupazione nazifascista mi, non solo storici ma anche quotidiani, scaturiscono a Roma, quando per evitare l’estradizione nei campi proprio dall’impossibilità di fare coincidere le tempo- di concentramento furono reclutati gli ebrei come ralità multiple delle situazioni in perenne evoluzione. comparse (oltre trecento), Argo ci consente di dire, let- E il nome del finto film per convincere gli iraniani – un teralmente, che il cinema a volte salva la vita. In que- progetto di fantascienza e di fantascientifica realizza- sto caso non è un modo di dire, è reale. Con Argo, zione – è in fondo lo stesso del titolo del film che noi Affleck firma un magnifico lavoro di equilibrismo spettatori stiamo guardando (4). della regia, dove l’alternanza dei livelli narrativi, tanto cara a Renoir, si amplifica a volte anche nella contrap- posizione duale dello spazio. Si vedano per esempio le (1) Mathieu Carratier, (a cura di), Big Ben, «Première» n. 403, settem- bre 20120; Denis Rossano (a cura di), Ben Affleck. Naissance d’un sequenze iniziali ambientate a Teheran,dove il silenzio réalisateur, «Studio Ciné Live» n. 42, novembre 2012; Rachel K. surreale e la calma apparente delle attività che conti- Bosley, Creative Conspiracies, «American Cinematographer», novem- bre 2012. nuano come se nulla fosse dentro l’ambasciata, con- (2) Non succede così nel romanzo a cui il film si ispira (cfr. Antonio trastano con la folla inferocita che si ammassa pre- J. Mendez, Matt Baglio, Argo, Mondadori, Milano, 2012). (3) Come spiega appunto l’agente Mendez nel suo romanzo, il titolo mendo sulla cancellata all’esterno. E, ancora, la conta- “Argo”fu scelto anche perché era «il nome della nave su cui viaggia- minazione dei due registri: la tensione emotiva del rono Giasone e gli Argonauti per recuperare il Vello d’oro» (op. cit.). (4) E questo articolo, che state leggendo, contiene indizi di film dei thriller e la leggerezza della commedia pervasa di registi amati da Affleck le cui iniziali compongono una parola di

humour, che spesso si inseguono e si sovrappongono. quattordici lettere, a cui bisogna sottrarre il nome “argo”. E le rima- 520 nenti sillabe riportate in cifre corrispondono a un numero di cellula- Il centro strutturale di Argo risiede nell’assiduo e re. E il primo che lo indovina e chiama entro due mesi dalla pubbli- destabilizzante sfasamento dei piani, che giunge cazione della rivista, vincerà un abbonamento annuale a all’apice nel dualismo tra la realtà e la sua rappresen- «Cineforum». cineforum

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SKYFALL Sam Mendes

Il tempo (per un poco) ritrovato Luca Malavasi

Skyfall è un curioso film sul tempo. Curioso perché Titolo originale: id. Regia: Sam Mendes. Soggetto: da per- mette al centro della saga bondiana un tema – il sonaggi creati da Ian Fleming. Sceneggiatura: Neal tempo e il suo trascorrere, appunto – che mal s’accor- Purvis, Robert Wade, John Logan. Fotografia: Roger da, in genere, con le vite degli eroi (più o meno super). Deakins. Montaggio: Stuart Baird. Musica: Thomas Però non a caso, visto che James Bond compie con Newman. Scenografia: Dennis Gassner. Costumi: Jany questo film cinquant’anni (in ventitre pellicole): quasi Temime. Interpreti: Daniel Craig (James Bond), Judi forzato dall’anniversario – che, come tutti gli anniver- Dench (M), Javier Bardem (Raoul Silva), Ralph Fiennes sari, impone qualche riflessione sul passato –, il film (Gareth Mallory), Naomie Harris (Eve), Bérénice Marlohe prova a fare due cose insieme: da un lato, omaggia, (Sévérine), Albert Finney (Kincade), Ben Whishaw (Q), facendolo vedere per mezzo della citazione, il tempo Rory Kinnear (Tanner), Ola Rapace (Patrice), Helen della saga e del personaggio (che è anche un tempo McCrory (il deputato Clair Dowar), Nicholas Woodeson (il dello spettatore, legato da una memoria resistente alle dottor Hall), Bill Buckhurst (Ronson), Beatrice Curnew icone e al “modernariato” bondiano); dall’altro lato, (Susan Horrocks), Elize du Toit (Vanessa). Produzione: cerca di neutralizzare l’invecchiamento, mettendo in Barbara Broccoli, Michael G. Wilson, Andrew Noakes, scena un rito di morte e rinascita che, come sanno David Pope per EON Productions/Danjaq/Metro- bene gli eroi, è il tagliando della sopravvivenza e, al Goldwyn-Mayer. Distribuzione: Warner Bros. Durata: tempo stesso, la verifica della loro immortalità. 143’. Origine: Gran Bretagna/USA, 2012. Del resto, come confessa lo stesso 007 (sempre Daniel Craig, sempre perfetto), la sua specialità è proprio quel- In missione a Istanbul, James Bond deve recuperare la la di resuscitare – risorsa caratteristica dell’eroe. E in lista, sottratta all’MI6, degli agenti britannici sotto coper- Skyfall Bond resuscita letteralmente: dopo la prima tura. La missione fallisce, e Bond viene dato per morto. Quando la sede dell’MI6 subi- sce un pesante attacco, al punto da costringere M a cam- biare la sede dell’agenzia, il redivivo Bond rientra in azio- ne. Mentre l’autorità e la posi- zione di M sono messe in discussione dal funzionario ministeriale Mallory, M e Bond iniziano a dipanare la matassa, identificando nel potente e sfuggente Silva l’au- tore di tutti gli attacchi alla sicurezza dei servizi segreti inglesi. Per Bond, per M e per lo stesso Silva, mosso eviden-

520 temente da sentimenti di ven- detta, la lotta costituirà anche un obbligo a guardare al pro- prio passato. cineforum

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sequenza di inseguimento a mezzo variabile (nell’ordi- tecnologia e nemici, ma punta direttamente a recupera- ne: gambe, macchina, motocicletta, scavatrice e ancora re il privato del personaggio, di cui la serie – in cin- gambe su treno in movimento verso una galleria) – quant’anni – si è occupata sempre pochissimo e anzi un’overture che vale soprattutto come primo omaggio quasi per nulla, fedele a una regola fondamentale delle al passato –, e dopo i titoli in perfetto, anticato stile saghe eroiche: esiste soltanto il tempo presente, quello Bond (nonostante Adele, come se un certo tipo di sofi- dell’azione. Questa volta, invece, sopraffatto dal peso sticatezza digitale non fosse mai stato inventata), Bond del corpo che invecchia, dentro un cortocircuito memo- muore e risorge. Meglio: lo si crede morto, e dunque lo riale che sembra innescato proprio dalla memoria sedi- è, almeno all’interno del racconto. In realtà, come sco- mentata sottopelle e muscoli, Bond ricorda. Basta una pre lo spettatore prima di M, sta curando le ferite, den- parola, Skyfall: il nome della residenza scozzese in cui è tro e fuori. Quindi torna a Londra, viene riassunto dal- cresciuto fino alla prematura morte dei genitori. l’MI6 tra molto scettiscismo (nel frattempo, e non è un Intanto, l’altro racconto continua, e ha per protagoni- dettaglio da poco, casa sua è stata venduta come si fa sta un ex agente dell’MI6, Raoul Silva (Javier Bardem), quando un agente muore) e ricomincia. che è poi un doppio di Bond. Il “cattivo” non ha, se non E qui, ancora una volta, il grande protagonista è il all’apparenza, desideri di distruzione planetaria o ricat- tempo, il tempo del corpo che invecchia, perde colpi, to internazionale o arricchimento selvaggio o altre chiede riposo. La parte dei test a cui Bond è costretto a megalomanie; è animato, piuttosto, dalla vendetta, del sottoporsi (e che di fatto non passerà, anche se mamma tutto personale, contro le persone che hanno determi- M si tiene l’informazione per sé, visto che quel figlio nato e guidato il suo passato – rieccolo, il tempo –, M, rinato e tornato è il suo preferito) è un passaggio cru- la madre, in primis, che a lungo, per quasi un decennio, ciale: spiega il senso dell’iniezione di realismo voluta da lo ha preferito a chiunque altro. Per costringerla a Sam Mendes, avvia il processo di ricostruzione del- ricordare e riaprirle le ferite – le sue, quelle di Silva, non l’eroe, inaugura il film nel film, vale a dire l’inatteso si sono mai chiuse – le fa saltare in aria l’ufficio e racconto biografico di Bond – del tempo di Bond. minaccia di vendere un segretissimo elenco dei suoi Perché è come se di questo anniversario si accorgesse agenti. Non serve un curriculum da psicoterapeuta per

per primo il personaggio stesso, e fosse costretto, in comprendere la coerenza – psichica, appunto – dei gesti 520 qualche modo, a viverlo e a scontarlo. Nel corpo ma, e delle minacce, e l’intelligenza con cui la sceneggiatu- anche, nella memoria: che non è più, soltanto, memoria ra costruisce il mélo famigliare di Silva e M senza “testuale”– condivisa con lo spettatore – di vini, donne, copiare e incollare definizioni da manuale. cineforum

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Bond, reintegrato nonostante le scalfitture – alcune Il gioco citazionistico svolge dunque un ruolo fonda- recenti, altre quasi incurabili perché, appunto, portano mentale in questo Bond proustiano: in primo luogo, la firma del tempo che passa – trova Silva, perché introduce una specie di sospensione temporale, evocan- Silva si fa trovare. Legato a una sedia, si sorbisce il do, attraverso la citazione, un tempo che è quello della racconto del suo doppio. E visto che questo Skyfall, saga di Bond, sottratto allo scorrere del tempo (il tra morti e rinascite, madri, padri e ricordi d’infanzia, tempo del mito, per semplificare un po’); in secondo processi memoriali e confronti col tempo, è, in fondo, luogo, attiva un richiamo astuto allo spettatore e alla un bellissimo film sulla (ri)costruzione dell’identità sua, di temporalità, nonché al rapporto antico col per- («Il mio nome è Bond, James Bond»), quello che suc- sonaggio, confermando l’appartenenza di questo Bond, cede tra Bond, legato a una sedia (con citazione al diverso e sfuggente, alla tradizione. Un gioco mai paro- Casino Royale del 2006), e Silva non è solo una picco- distico e necessario, perché contribuisce, anche, ad argi- la, curiosa scena, ma l’ennesimo – anzi, l’estremo – nare preventivamente il disorientamento dello spettato- movimento di verifica della tenuta dell’eroe. Perché re. Innovazione e nostalgia, senza rivoluzione. Bond deve subire l’aggressione omosessuale dell’ex La seconda metà di Skyfall irrobustisce sia il ver- collega: e, come si sa, la sfera della sessualità, nel caso sante mélo famigliare di Silva e M (ma in cui entra, degli eroi, non sopporta ambiguità o zone d’ombra. In naturalmente, anche Bond), sia lo scavo biografico, genere, è di due tipi: o del tutto anestetizzata dal valo- ancora una volta condotto in forma di verifica sul re dell’impresa, oppure semplicisticamente tratteggia- tempo. E più ci si avvicina all’origine – alla casa in cui ta (maschi maschi, e anche un po’ maschilisti). Bond, Bond è cresciuto, a Kincade, il guardiacaccia della per tradizione (e per imprinting fleminghiano), appar- tenuta (una traccia del passato dalla funzione crucia- tiene alla seconda categoria. Ma è giusto che in questo le: ricorda il piccolo Bond, e lo riconosce in quello Skyfall che processa Bond, sprofondandolo per testar- adulto), alle tombe dei genitori –, più il tempo si accar- ne – e infine celebrarne – la rinascita, anche la sfera toccia e rischia di deflagrare. Di fronte alle lapidi di sessuale venga, anche se per poco e senza effetti, mamma e papà nel cimitero che sorge accanto alla minacciata. In fondo, per tornare a essere Bond, il per- chiesa di famiglia, offerte allo spettatore dalla sogget- sonaggio deve riappropriarsi anche dei suoi poteri tiva di Silva (che crede, in quel momento, di aver desti- maschili (e anche qui, senza insistere troppo sui sim- nato allo stesso luogo Bond), il tempo della memoria bolismi psicoanalitici, è evidente che la scenetta raffor- non solo finisce la sua corsa, ma incontra anche la sua za, da un lato, la regressione di Bond all’età – asessua- scultura immortale, la sua scrittura eterna; troppo, ta – dell’infanzia, protagonista della seconda parte del perfino per un film tanto diverso e rischioso; troppo film; dall’altro, declina la crisi del personaggio – che, per la vita di un eroe. E allora, con una vera e propria finora, è stata soprattutto questione di riflessi appan- scancellatura – un’assenza che vale più di una presen- nati e reazioni lente – in termini di vera e propria za –, scompaiono dalle lapidi le date di nascita e di impotenza o passività). morte, e il tempo ricomincia finalmente a non scorre- Aggiungiamoci, per chiudere la pars destruens del re – se non secondo la logica atemporale dell’eroe; film, la questione alcolica, che tanto ha scandalizzato intanto, Bond, per l’ultima e definitiva volta, sta resu- i puristi. La cronaca ci dice che Bond beve birra per- scitando dal lago ghiacciato in cui l’ha sprofondato ché la Heineken ha pagato qualche milione di dollari Silva. Rinasce dall’acqua, giusto per chiudere il cer- per il product placement; vero, giusto. Ma poco impor- chio e la metafora. ta: Bond, comunque sia, in questo Skyfall non beve i E poi, inevitabilmente, tre finali. Il primo conclude suoi Martini, il suo Vesper, il suo Dom Perignon. la metà avventurosa e classicamente bondiana di Aggiungiamo anche questo alla lista degli atti manca- Skyfall. Il secondo, quello mélo, segue immediatamen- ti perché irripetibili. Senza contare che, tra una storia te, con la morte di M tra le braccia di Bond – un’altra e l’altra, tra il Bond numero ventitre e La storia di Madre se ne va, quella che “conosce tutta la storia”(di Bond (che è una specie di superfilm dentro il film), Bond); quella che, in una tappa del viaggio verso questo repertorio di slittamenti e macro e microcrisi Skyfall – viaggio mentale e interiore, tra vallate deser- viene fatto duettare – con ironia sottile – con una spe- te e nebbie sottili – ha confessato che «gli orfani sono cie di terzo film, che è il tutto-Bond (cinquant’anni di sempre le reclute migliori» e, così dicendo, ha ribadito personaggio, appunto). Il citazionismo, mai assente – il suo ruolo materno nei confronti dei Bond – anche di per definizione – da una saga, vive in Skyfall una vita Silva, naturalmente; quella che, appena prima di mori- davvero curiosa, perché le icone dell’universo Bond – re, guardando negli occhi 007, capisce di aver fatto dalla penna esplosiva alla Aston Martin – vi figurano qualcosa di buono. E Bond piange, M e la madre vera sia come veri e propri gadget, memorie del passato e, (Monique Delacroix), sepolta appena fuori. Ma tutto, al tempo stesso, simboli dell’identità bondiana, sia finalmente, è stato resuscitato e rivissuto e, insieme,

520 come emblemi di un tempo ormai irrecuperabile, chiu- (ri)sepolto, per poter ricominciare. Il tempo si è ferma- si in se stessi, da cui è necessario che il personaggio to – è stato fermato – di nuovo. Questa, in fondo, era prenda le distanze per non diventare un altro articolo la missione di 007 in Skyfall. Terzo e ultimo finale: di questa galleria di memorabilia. Bond è pronto a rimettersi al lavoro. cineforum

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LA NAVE DOLCE Daniele Vicari Un viaggio al contrario verso la libertà Elisa Baldini

Erano in ventimila. Nessuno di loro sapeva bene Regia: Daniele Vicari. Soggetto: Antonella Gaeta, Daniele cosa avrebbe trovato nell’altra riva del mare, in quella Vicari, da un’idea di Luigi De Luca, Silvio Maselli e Ilir Terra Promessa che appariva così vicina in televisione, Butka. Sceneggiatura: Antonella Gaeta, Benni Atria, Daniele e si dimosterà così lontana nella vita reale. In Italia si Vicari. Fotografia: Gherardo Gossi. Montaggio: Benni Atria. sta bene. Ci sono le macchine, il lavoro, la libertà. La Musica: Teho Teardo. Con: Eva Karafili, Agron Sula, Halim libertà. È questa la leva trainante, la forza motrice di Milaqi, Kledi Kadiu, Robert Budina, Eduart Cota, Ervis quel tragitto che Halim Milaqi, comandante della Alia, Ali Marjeka, Giuseppe Belviso, Nicola Montano, Vlora, si è visto costretto a percorrere, senza guardare Domenico Stea, Fortunata Dell’Orzo, Luca Turi, Raffaele né avanti né indietro, ma semplicemente sotto minac- Nigro, Luigi Roca, Maria Brescia,Vito Leccese. Produzione: cia di morte. Perché sembra un gioco, partire tutti Nicola Giuliano, Grancesca Cima, Carlotta Calori, Silvio insieme, senza prendere niente, quasi per scherzo; Maselli per Indigo Film/Apulia Film Commission/Rai radunare i familiari più stretti, o provare l’ebbrezza Cinema/Skandal Production. Distribuzione: Microcinema. della fuga senza avvertire nessuno. Ma non c’è niente Durata: 90’. Origine: Italia, 2012. di più lontano dal gioco che poter partire lasciando tutto dietro di sé senza rimpianti, proprio perché forse L’8 agosto del 1991 nel porto di Durazzo approda una nave, quel tutto, alla fine, non c’è. la Vlora (dal nome della città albanese di Valona), adibita al L’8 agosto 1991 una nave gigantesca adibita al tra- trasporto intercontinentale di zucchero, appena rientrata da sporto di zucchero e proveniente da Cuba si palesa Cuba. Il Paese si è da pochi mesi liberato dalla dittatura come un’enorme, mistica, scialuppa di salvataggio nel comunista di Enver Hoxha, e si sta diffondendo tra la gente una grande voglia di cambiamento e liber- tà. Da un momento all’altro si sparge la notizia che il porto è finalmente aperto e la Vlora salperà diretta verso un Paese stra- niero. In pochissimo tempo circa ventimila persone salgono sulla nave, e il comandan- te è costretto a partire con pochissimo car- burante e nessun tipo di approvvigiona- mento. Vicina alla costa italiana, la nave viene respinta a Brindisi e dirottata verso Bari, dove la città si troverà totalmente impreparata di fronte all’arrivo di un quantitativo enorme di clandestini albane- si affamati e bisognosi di cure. Il documen- tario di Vicari ripercorre l’avventura di chi ha deciso istintivamente di tentare una nuova strada verso la libertà, attraverso un ricchissimo materiale di repertorio e le

testimonianze di chi su quella nave ci è 520 salito davvero: tra gli altri il ballerino Kledi Kadiu, il regista Robert Budina, il comandante della nave Halim Milaqi. cineforum

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porto di Durazzo, e si sparge la voce che è finalmente butivo, e riuscendoci, per giunta. Vicari ha scelto la possibile imbarcarsi e lasciare l’Albania. Il regime stressa strada, sia per il documentario sulla Vlora, che comunista di Henver Hoxha è finito anch’esso sotto per la ricostruzione fiction dei fatti del G8 di di Genova l’effetto domino indotto dalla caduta del muro di 2001. Avrebbe potuto fare un documentario didascali- Berlino, e il freno che aveva costretto il Paese nelle co, così come avrebbe potuto spiegare Genova, le dina- sembianze di uno Stato fermo agli anni Quaranta è miche, le domande. Ma se ha deciso di non essere for- improvvisamente lasciato andare. L’ipotesi della liber- malmente esplicativo in nessuna di queste due opere, tà non è più un concetto astratto, ma materializzata in non lo ha fatto perché non ha una tesi da dimostrare, una nave vuota che ti porta lontano. Qualcuno avrà ma perchè non c’è miglior modo di dimostrare una pensato per primo di salire, magari premeditandolo tesi che esporre i fatti (e le carte) sul tavolo, in bella con la violenza della disperazione. Poi la voce si è dif- mostra, perché parlino da sole. fusa come una macchia di vino sulla tovaglia, e chi si Ci vuole molta coerenza per fare questo tipo di cine- è trovato sulla traiettoria di questa notizia non ha ma, che può facilmente essere frainteso come cinema potuto fare a meno di considerare, per lo meno, l’idea senza direzione, mentre al contrario una esposizione di lasciarsi alle spalle il rigore, le limitazioni, la penu- lineare e asciutta prende posizione fin da subito. ria di cose e di possibilità, e salpare verso qualcos’al- Decidere in che modo raccontare le cose e farlo, sem- tro, qualsiasi cosa questo altro potesse essere. plicemente, è spesso anche più compromettente che Daniele Vicari, regista intelligente e oramai più che raccontare eventi con le note ben leggibili a margine. maturo, ha deciso di raccogliere la proposta della Per tratteggiare il tragitto dell’entusiasmo, dell’ine- Apulia Film Commission, qui alla sua prima grossa dia e della speranza compiuto dalla Nave Dolce Vlora produzione, e ricostruire attraverso un documentario da Durazzo a Brindisi, poi dirottata verso Bari,Vicari il giorno il cui l’Italia, Paese di tradizione e pratica cat- ha scelto di entrare già nella “tragedia”in atto, con il tolica e di reputazione ospitale, ha perso per sempre la supporto visivo di un ricchissimo apparato di reperto- sua innocenza. Vicari si è dedicato a La nave dolce rio ripescato negli archivi della tv albanese e nei cas- prima e durante le riprese di un altro film che, anche setti polverosi della nostra televisione statale e non.

520 se di finzione, è il crudo resoconto di eventi che hanno Ad alternare le immagini documentarie dell’epoca reso il nostro un Paese più colpevole e contraddittorio, sono stati inseriti, di fronte a un minimale fondale quel Diaz che ha diviso l’opinione pubblica e la criti- bianco, gli interventi di chi su quella nave è veramen- ca, lottando per trovare un canale produttivo e distri- te salito in preda all’euforia della rinascita e della sco- cineforum

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perta, e ha voglia di ricordare dall’inizio. Da quell’at- Lo smarrimento dei baresi, delle autorità locali e timo in cui, come in un film, da sotto la nave si sono dello Stato è enorme: è agosto, la burocrazia è in ferie ritrovati sopra la nave, schiacciati gli uni agli altri e anche i suoi rappresentanti di spicco. A non tirarsi come sardine impazzite e bramanti, diretti, come dice indietro sarà il sindaco di Bari, Enrico Delfino, che più volte Kledi Kadiu (ballerino professionista giunto rimarrà in prima linea a coordinare gli aiuti, opponen- successivamente in Italia e reso famoso dai program- dosi strenuamente alla decisione dello Stato di tra- mi di Maria De Filippi), «verso l’ignoto». sportare tutti i clandestini nello stadio cittadino, chiu- Il viaggio è inizialmente una festa, una liberazione. derli dentro in attesa di poterli imbarcare su voli di Nessuno pensa alla fame, alla sete, allo spazio, alla linea, diretti nuovamente verso casa. Le manifestazio- paura. È estate, fa caldo, il clima è mite. Ci sono dei ni di dissenso del primo cittadino verranno aspramen- criminali a bordo, delle persone poco raccomandabili te e pubblicamente biasimate dal presidente Cossiga, e che non hanno paura di usare la violenza per costrin- la linea ufficiale verrà applicata: lo Stadio della gere il capitano a salpare, con poco carburante e nes- Vittoria (nome ironicamente in linea con il gesto ripe- sun approvvigionamento. Ma, come dice Robert tuto dei profughi albanesi) diventerà il bunker a cielo Budina (regista teatrale e cinematografico, imbarcato- aperto dove quasi ventimila persone consumeranno la si con un gruppo di compagni della scuola di regia), loro delusione, la rabbia e la vergogna di essere tratta- ricordando quell’avventura con il sorriso sulle labbra, ti come bestie, costretti a raccogliere il cibo che vola partire è una sfida, anche a se stessi. dall’alto e a litigarsi briciole e viveri, a fuggire per ten- Quello che colpisce nel racconto per immagini e tare invano di mescolarsi ai baresi, quando chiunque parole che Vicari mette in piedi in un’ora e mezzo di li riconoscerebbe in mezzo a un milione, tanto sono film, è il netto stacco tra il prima e il dopo. Nonostante diversi, sfrontati, e incapaci di abbandonare il branco il prima rappresenti temporalmente solo meno di un dei propri simili. terzo di La nave dolce, che si concentra soprattutto Qualcuno ce l’ha fatta a sfuggire alle maglie del con- sull’arrivo sul suolo italiano di questa orda di eroi tra- trollo, a confondersi tra gli italiani. La gran parte vede gici in costume da bagno, i pochi tratti disegnati come finire il proprio viaggio con un moto inverso sulla stes- premessa trasmettono perfettamente allo spettatore il sa rotta, magari provando per la prima volta nella vita brivido di questa situazione di bilico, andare o non il brivido del volo in aereo, con in tasca la rassegnata andare, che i più risolvono per disperazione, spirito di consapevolezza che un’alternativa migliore non è poi emulazione, giovinezza, incoscienza. così a portata di mano. L’arrivo alla meta restituisce un immaginario anco- Alla fine, La nave dolce non è che il racconto di un ra più scioccante: mentre le telecamere della tv alba- viaggio che si prospettava avvincente e che è stato nese sono sostituite da quelle dei giornalisti italiani e male interpretato, sia da chi è partito sia da chi ha dei videoamatori pugliesi, ci troviamo immersi nello visto arrivare. Ed è anche lo specchio inaspettato della stupore dell’apparizione di una miriade di persone a precarietà della condizione umana: un concetto tal- forma di nave, figure irriconoscibili arrampicate ovun- mente abusato che ci si stupisce quando l’immagine que, penzolanti da tutti i lati: chi si butta in acqua, chi cinematografica, fragrante di repertorio, ce lo ricorda si spoglia. Tutti gridano «Italia». Tutti fanno il segno ancora una volta così impietosamente. “V” di Vittoria con le dita. A Brindisi non li vogliono, a Bari li fanno fermare. Un elicottero sorvola la zona e si ferma vicino al pen- none della nave: qualcuno lancia una ciabatta, che viene interpretata come un gesto di offesa. È il primo presagio che la festa della liberazione si sta trasfor- mando in qualcosa di indefinibile, ma che ha tutta l’aria di essere un netto rifiuto. Quando a poco a poco la nave si svuota e la massa di agglomerato umano diventa finalmente un insieme di facce riconoscibili, stracci e corpi magrissimi, l’effet- to visivo ed emotivo è dirompente. Se nella prima parte del film l’immagine dei clandestini passava sol- tanto attraverso il racconto di persone pulite e rispet- tabili in vena di ricordi, e l’equivalente visivo del rac- conto era solo folla e moltitudine indistinta, sulla ban- china del porto di Bari vediamo sballottati da una parte all’altra, con l’aiuto di manganelli, bimbi, ragaz- zi, donne e uomini con le sembianze di un’altra epoca, il sorriso a metà sulle labbra di chi ancora sta smal- tendo la delusione.

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RUBY SPARKS Jonathan Dayton e Valerie Faris

Oggi è già altrove Federico Gironi

Partiamo da un punto. Partiamo dal pregiudizio cri- Titolo originale: id. Regia: Jonathan Dayton,Valerie Faris. tico che molti, come chi scrive, avevano o potevano Sceneggiatura: Zoe Kazan. Fotografia: Matthew avere nei confronti del nuovo film firmato dalla coppia Libatique. Montaggio: Pamela Martin. Musica: Nick (artistica e sentimentale, dato da tenere da conto, sep- Urata. Scenografia: Judy Becker. Costumi: Nancy Steiner. pur per il momento da parte) formata da Jonathan Interpreti: Zoe Kazan (Ruby Sparks), Paul Dano (Calvin Dayton e Valerie Faris. I due, infatti, sono stati autori Weir-Fields), Chris Messina (Harry), Annette Bening del film che più di ogni altro ha diviso gli amanti di (Gertrude), Antonio Banderas (Mort), Aasif Mandvi quel cinema indipendente americano che, da almeno (Cyrus Modi), Steve Coogan (Langdon Tharp), Toni un decennio, s’è fatto portatore delle istanze e delle Trucks (Susie), Deborah Ann Woll (Lila), Elliott Gould (il tematiche di una serie di personaggi che rivendicava- dottor Rosenthal), Alia Shawkat (Mabel), Jane Anne no con orgoglio e leggerezza una collocazione obliqua Thomas (Saskia), John F. Beach (Adam), Eleanor Seigler rispetto sia al mainstream che all’indie tradizional- (Mandi), Wallace Langham (Warren). Produzione: Albert Becker, Ron Yerxa per Bona Fide Productions. Distri- buzione: 20th Century Fox. Durata: 104’. Origine: USA, 2012.

È relativamente facile avere successo con un’opera prima, molto meno con la seconda. Calvin Weir-Fields ne sa qualcosa: il suo primo romanzo è stato un trionfo, dopo di che il giovane scritto- re s’è impantanato in un blocco creativo di cui non riesce a vedersi una fine. Questa situazione comincia a dare i suoi pesanti frutti anche nella sfera sentimenta- le. Calvin ha un’idea: inven- tarsi Ruby Sparks, una ragazza che, innamorata di lui e di cui lui possa innamo- rarsi, lo aiuti a superare l’em- passe. L’espediente sembra

520 funzionare. Un giorno, improvvisamente, Ruby appare realmente, e in carne e ossa, nella vita di Calvin… cineforum

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mente inteso. Perché Little Miss Sunshine (questo il all’onesto lavoro svolto dai due registi, e all’intensa titolo di cui stiamo parlando), se da un lato è stato credibilità data ai due protagonisti e alla loro relazio- esaltato, dall’altro è stato visto come il punto di non ne dai protagonisti Zoe Kazan e Paul Dano: pure loro, ritorno di un’estetica diventata oramai ruffiana e con- non casualmente, coppia anche nella vita. E con que- servatrice nella sua furbesca riproposizione di struttu- st’ulteriore dato a disposizione, non dovrebbe più sor- re narrative e formali; nel suo svilire la carica eversiva prendere come l’intreccio tra la dimensione della com- di modelli originali decisamente – quanto, forse, volu- media e del dramma romantico, della disamina delle tamente – meno compresi e universali. Va ammesso, dinamiche delle relazioni amorose, vadano di pari quindi, che trovarsi di fronte a un film riuscito, misu- passo, inestricabilmente legate, con la riflessione sul- rato e intelligente come Ruby Sparks è stata fonte di l’atto creativo e sul rapporto tra autore e opera d’arte; sorpresa: a dimostrazione di come, a volte, i copioni e come la crisi sentimentale e quella creativa del prota- gli sceneggiatori contino più dei registi e non il contra- gonista siano l’una causa e conseguenza dell’altra, in rio. Che poi quest’osservazione nasca da un film che, un loop infinito e difficilmente interrompibile. come quello scritto dalla giovane Zoe Kazan, ragioni Forte, su tutto, di una prospettiva privilegiata, squi- in maniera esplicita sulla creazione narrativa (che la sitamente femminile ma mai inutilmente o anacroni- declinazione sia letteraria o cinematografica è del sticamente femminista (si veda in questo come è stato tutto accessorio) e sul rapporto tra creazione e autore, tratteggiato, con bonarietà ma non senza tracce di appare curioso e significativo. Ma andiamo per gradi. amarezza, il personaggio della madre post hippie del Come lo si voglia leggere o interpretare nelle sue protagonista Calvin, interpretata da una rilassata strutture soggiacenti, Ruby Sparks (uno dei quei film Annette Bening), Ruby Sparks non si trastulla in dove non stona che il titolo sia il nome proprio di uno maniera più o meno (f)utile con i lati magici o sovran- dei suoi protagonisti) brilla per l’equilibrio della sua naturali della storia che racconta. Siamo lontani,

scrittura, per la voglia di non strafare in termini di ori- insomma, da sfumature pirandelliane, da istrionismi 520 ginalità senza mai scadere nel banale, per la leggerez- alla Charlie Kaufman, ma anche dalle atmosfere stra- za con la quale riesce a toccare corde e tematiche deli- lunate del Vero come la finzione di Marc Foster o per- cate e a tratti perfino rischiose. In questo, va dato atto fino da certe modalità alleniane come quelle di una cineforum

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Rosa purpurea del Cairo o di un Midnight in Paris.In conforme alle regole di genere o di pensiero di un Ruby Sparks, che il personaggio di Kazan prenda vita mondo hollywoodiano comunque sfiorato e mai sta- secondo chissà quale modalità magica o mistica, è tutario, per riuscire a creare qualcosa di nuovo e di infatti funzionale solo ed esclusivamente allo studio stabile – che si tratti di un libro o di un nucleo fami- di come un modello dominante di pensiero, per quan- liare –, è necessario abbandonare ogni modello pree- to sensibile e democratico come quello incarnato dal sistente e preconcetto, abbandonarsi a esperienze Calvin di Dano, sia oramai inevitabilmente in crisi nuove e financo traumatiche, e affrontare il futuro con quanto da lui stesso idealizzato, generato e decre- facendo tabula rasa di un passato che non può più tato. Sia che questo riguardi il “piccolo” privato del darci alcun appiglio nel vortice imprevedibile e spiaz- rapporto sentimentale e della relazione uomo-donna zante di un oggi in costante mutamento, eppure figlio sia il livello più “alto”e universale della creazione arti- del nostro ieri. stica: anzi, partendo sempre e comunque dal primo Superato il panico e lo smarrimento iniziali, di fron- per toccare – tangenzialmente o più direttamente – te alla versione in carne e ossa della creatura ideale da anche il secondo. lui stesso pensata e creata, Calvin esaurisce in tempi La questione centrale di Ruby Sparks, insomma, relativamente brevi anche l’entusiasmo iniziale e la non riguarda tanto il grado di libertà che un uomo è ritrosia morale a modificare e plasmare ulteriormente capace di concedere alla sua compagna, o un artista secondo il proprio desiderio una creazione che svilup- alla sua creazione. Non riguarda nemmeno unicamen- pa presto legittime richieste e tratti caratteriali non te il concetto, a quello collegato, di libero arbitrio da previste da quanto scritto dal suo autore. parte di una singola persona e dell’uso, rispettoso o Certo, in questo giocano un ruolo di primo piano le meno dell’altro, che ne può essere fatto. Né è quello, dinamiche di coppia che tutti conosciamo, le gelosie e pur importante, della visione del ruolo femminile da gli egoismi reciproci, le insicurezze maschili e i deside- parte di un mondo artistico (indubbiamente soprattut- ri femminili di emancipazione. Ma è significativo che to cinematografico) che impone una serie di stereotipi ogni correzione Calvin provi ad attuare, ogni modello e di gabbie alle giovani attrici e che la stessa Zoe stereotipato di comportamento femminile tenti di far Kazan può aver sperimentato sulla sua pelle, come adottare a Ruby, il risultato sia comunque disastroso. sottolinea Roger Ebert negli Stati Uniti. E non (solo) perché l’imposizione arbitraria e dall’al- Il punto centrale, in Ruby Sparks, sta nella dimo- to è impossibile o moralmente disdicevole, ma soprat- strazione di come, nel mondo che ci circonda, nulla di tutto perché non c’è orizzonte ideale cui il giovane quanto è (stato finora) considerato ideale, nessun scrittore possa fare riferimento per adattare Ruby a sé; modello pensabile secondo le vecchie strutture – e né sé a Ruby. Perché Calvin è prigioniero (in)volonta- applicabile nella vita come nella creazione artistica – rio del passato. Di un passato che per lui è diventato può risultare mai del tutto soddisfacente. Come anche gabbia che limita e circoscrive il futuro: di un succes- dimostrato da un finale leggermente deludente, e più so editoriale da ripetere tramite emulazione, di una relazione che getta il suo imprinting su tutte le altre, di abitudini calcificate e castranti. Come spesso accade nel cinema più giovane e libe- ro proveniente dagli Stati Uniti, ma oramai anche in diversi prodotti industriali e mainstream dotati della giusta sensibilità, la chiave per superare l’impasse del presente, per Calvin, sta nell’ammissione della scon- fitta e dell’impossibilità di procedere con le modalità più rugginose e rassicuranti. Nell’abbracciare un reset che significa rinuncia a Ruby, la sua liberazione totale da ogni tipo di costrizione personale, sentimen- tale, artistica e ideologica: una libertà donata che diverrà libertà conquistata nel momento in cui Calvin trova anche il coraggio di confrontarsi con una pub- blica e intima denuncia della sua inadeguatezza. Solo così, liberandosi da ogni fardello passato (persino quello di una macchina da scrivere che si trasforma in computer, e non certo per spirito modaiolo) Ruby e Calvin, donna e uomo, creatura e creatore, opera e artista, possono rincontrarsi liberi da ruoli e precon- cetti, per affrontare una storia finalmente possibile grazie al rifiuto della sola idea di un finale che possa essere stato già scritto. Da chiunque. E ricominciare a scrivere, ad amare, a vivere.

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LA “PARTE” DEGLI ANGELI Ken Loach

Poesie contro la crisi Andrea Chimento

«Every year about 2% of the spirit is actually lost. It Titolo originale: The Angels’ Share. Regia: Ken Loach. just disappears and evaporates into thin air. Gone Sceneggiatura: Paul Laverty. Fotografia: Robbie Ryan. forever. It’s what we call the “angels’share”». È uno dei Montaggio: Jonathan Morris. Musica: George Fenton. momenti centrali in La “parte” degli angeli: un’inser- Scenografia: Fergus Clegg. Costumi: Carole K. Fraser. viente di una grande cantina di whisky spiega segreti Interpreti: Paul Brannigan (Robbie), Siobhan Reilly e magie del prodotto invecchiato in ampie botti di (Leonie), John Henshaw (Harry), Gary Maitland legno. In una pellicola rigorosamente ancorata alla (Albert), William Ruane (Rhino), Jasmin Riggins (Mo), realtà, un piccolo spazio ai limiti dell’onirico e del tra- Roger Allam (Thaddeus), Charles MacLean (Rory sognante lascia disorientati spettatori e protagonisti, McAllister), Scott Dymond (Willy), Scott Kyle (Clancy), rimasti a bocca aperta di fronte alle parole della ragaz- James Casey (Dougie), Caz Dunlop (Caz), Gilbert Martin za. In qualche modo il cinema di Ken Loach è tutto (Matt), David Goodall (Angus Dobie), Lyndsey-Anne qui, in un istante in cui la poesia riempie un mondo Moffat (Grace), Neil Leiper (Sniper), Joy McAvoy che sembrava non avere più spazio da riservarle. (Mairi), Chooye Bay (Tai Pan), Jim Sweeney (Beanpole). Presentato all’ultimo Festival di Cannes, dove ha Produzione: Rebecca O’Brien per Sixteen Films/Why ottenuto il Premio della Giuria, La parte degli angeli è Not Productions/BFI/Les Films du Fleuve/Urania stato uno dei casi dibattuti del (pre) Torino Film Pictures/France 2 Cinéma/Canal +/CineCinéma/ Festival 2012.Tra i più attesi del programma, il film di Sificinéma 8/Le Pacte/Cineart/France Télévisions/ Loach è stato cancellato dal calendario, pochi giorni Canto Bros. Distribuzione: BIM. Durata: 101’. Origine: prima dell’inizio della kermesse, perché il regista ingle- Gran Bretagna/Francia/Belgio/Italia, 2012. se ha declinato l’invito a essere presente sotto la Mole per ritirare il Gran Premio Torino. Loach ha scelto di Robbie, un ragazzo di Glasgow, vuole liberarsi dalla schierarsi dalla parte dei dipendenti della cooperativa situazione in cui si trova. Osteggiato dal padre della sua che si occupa della gestione del Museo del Cinema, che ragazza, vive di espedienti e per questo ha continuamen- avrebbero subito licenziamenti, tagli, abusi e intimida- te problemi con la giustizia. Quando entra di nascosto nel zioni. Il regista ha affermato in un comunicato: reparto maternità dell’ospedale per far visita a Leonie, la «Accettare il premio e limitarmi a qualche commento sua ragazza, e prendere in braccio per la prima volta critico sarebbe un comportamento debole e ipocrita. Luke, il figlio appena nato, Robbie è sopraffatto dal- Non possiamo dire una cosa sullo schermo e poi tradir- l’emozione e giura che Luke non avrà la vita di privazio- la con le nostre azioni». Si è parlato molto, troppo, di ni che ha vissuto lui. L’occasione giusta arriva quando, questo gesto, forse anche per l’attinenza con le temati- dopo aver scampato per un soffio la galera e vedendosi che narrate nella pellicola, trascurando una conseguen- assegnato a un buon numero di ore di servizi socialmen- za altrettanto importante: l’assenza in cartellone di un te utili, Robbie entra in contatto con il mondo della lavo- titolo di così grande rilievo. razione del whisky. Il suo tutore Harry, infatti, ha scoper- La storia è quella di Robbie, un giovane (ex) teppi- to nel ragazzo una non comune abilità nel degustare lo sta, deciso a rigare dritto dopo la nascita del primoge- squisito liquore, e lo spinge a farne buon uso. Con Rhino, nito. Per via del suo passato burrascoso, trovare lavo- Albert e Mo, suoi amici per i quali un impiego è, come per ro è ancora più difficile e in pochi si fidano del suo lui, poco più di un sogno remoto, Robbie decide di dare

cambiamento. Processato per aver picchiato a sangue una svolta alle loro vite proprio attraverso una botte del 520 un ragazzo, Robbie evita per un soffio la galera (il giu- miglior whisky del mondo. Ce la farà, Robbie, a riscrive- dice tiene conto della sua imminente paternità) ed è re il suo destino con la uisge beatha, l’“acqua di vita”? condannato a trecento ore di lavori socialmente utili. Solo gli angeli lo sanno… cineforum

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Nonostante possa apparire come un grigio dramma la esistenziale che offre diversi spunti di spessore per sociale, in piena sintonia con le corde del regista, La riflettere su ironie e contraddizioni dell’età contem- parte degli angeli è una sorta di curiosa favola contem- poranea: dalla ricerca tragicomica di un lavoro alla poranea, originale e divertente a partire dall’evolversi necessità di trovare nuovi affetti e passioni. Ken della trama. Robbie è aiutato da Harry, il suo tutore- Loach ha dichiarato che l’idea del film è nata analiz- responsabile, che, scoperta la particolare sensibilità zando un dato preoccupante: nel 2011 i giovani gustativa del ragazzo nei confronti di vari tipi di whi- disoccupati in Gran Bretagna hanno superato il sky, decide di introdurlo nell’ambiente degli amatori milione. Con questa premessa, il regista e il fidato del malto: è così che al giovane, e al suo gruppo di rie- sceneggiatore Paul Laverty hanno scelto di raccoglie- ducazione, viene l’idea di un “colpo”tutt’altro che con- re storie di ragazzi nella zona di Glasgow: tra questi venzionale, in grado di offrir loro un futuro sereno. hanno trovato Paul Brannigan, il futuro protagonista C’eravamo preoccupati, vista la pochezza del prece- della pellicola, che non aveva mai lavorato per il dente L’altra verità (Route Irish, 2010), che un altro cinema. Brannigan, ennesima scoperta di un autore dei nomi più sicuri e affidabili del cinema contempo- che continua a scovare attori di talento, ha alle sue raneo avesse perso il suo smalto: dopo diverse pellico- spalle una storia molto simile a quella del personag- le rilevanti e personali, comprese le recenti In questo gio che avrebbe interpretato. mondo libero… (It’s a Free World…, 2007) e Il mio Le premesse di una dura opera di denuncia c’erano amico Eric (Looking for Eric, 2009), L’altra verità dunque tutte, ma il tema sociale riesce ad alleggerirsi segnava un’inquietante involuzione, un racconto in cui lasciando spazio a una commedia positiva e solare. Se neppure il suo autore sembrava credere fino in fondo. già in Riff Raff (id., 1991) o in Piovono pietre Eppure, con La parte degli angeli, bastano pochi (Raining Stone, 1993) Loach aveva dato sfogo alla sua minuti per scacciare dubbi e incertezze. Uno degli inci- verve umoristica, in La “parte” degli angeli fa un ulte- pit più esilaranti, profondi e, persino, feroci degli ulti- riore passo avanti, lavorando per contraddizione: le mi anni apre una pellicola davvero riuscita, particolar- scene più buffe sono anche quelle dove la drammatici- mente adatta a fare il suo ingresso in sala (solo in tà si fa più intensa e dove il tragico s’incorpora nel

520 quelle italiane, in Patria ha esordito a inizio giugno) comico. Il mondo di oggi sembra dire ai giovani che nel periodo delle feste. non c’è bisogno di loro e questi, per risposta, sono Anarchico e persino sovversivo nel suo andamento vitali, fantasiosi e ancora ottimisti per il futuro. narrativo, La parte degli angeli è un’intensa parabo- Proprio come Robbie che, freddo e brillante, non si cineforum

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limita a chiedere soldi al ricco compratore del presti- Se molto cinema contemporaneo, compreso quello gioso Malt Mill appena rubato. Sa che spenderebbe il di casa nostra, sta arrancando sempre più nel tentati- semplice denaro inutilmente, come faranno i suoi vo di rappresentare adeguatamente la crisi (economi- compagni di sventura, e allora aggiunge una clausola: ca, ma non solo), inciampando tra visioni eccessiva- avere un lavoro. Trova la via dell’onestà soltanto dopo mente crude e deprimenti, da un lato, o banalmente un ultimo crimine, senza il quale non sarebbe mai riu- grottesche e a forte rischio di superficialità, dall’altro, scito a sfuggire a un’esistenza segnata da un’intermi- l’approccio del regista inglese è forse quello più ade- nabile sequenza, moralmente abietta, di vendette e guato. Arrivando ai limiti dell’ossimoro, la coppia pestaggi tramandati stupidamente di padre in figlio. Loach-Laverty ci mostra un allegro brindisi in cui non Vuole salvare il suo Luke (che «si chiamerà sempre manca la malinconia, in cui la speranza di un futuro così», ripete in una struggente sequenza di fronte al migliore si mescola (più che scontrarsi) all’angoscia padre della sua compagna) da quel destino degrada- per l’apparente impossibilità di un cambiamento. to, fuggendo da quella realtà e dedicando il resto Mimetizzando (e proprio per questo esaltandolo della vita alla sua nuova passione. Ci riesce, ma senza ancor di più) l’impegno sociale sull’argomento, il regi- dimenticare di ringraziare il suo angelo custode sta regala un’opera ottimist(ic)a, in cui ribadisce a Harry con una parte importante del suo bottino. In chiare lettere le sue convinzioni e la sua idea di cine- fondo, La parte degli angeli è, paradossalmente, una ma. In attesa di tornare al documentario, una delle sue triste ballata che brinda alla bellezza di una vita, prime passioni, con The Spirit of ’45 (incentrato sulla dove la prova più dura è non smettere mai di cerca- nascita del welfare state post-seconda guerra mondia- re la felicità: la si può trovare dietro l’angolo oppure le), Loach, arrivato a settantasei anni, ci offre una delle dentro una botte di whisky. pellicole più sentite della sua carriera, un vero e pro- In qualche modo, il film ricorda l’andamento tragi- prio messaggio di speranza che mai dimentica e mai comico di alcune pellicole del cinema muto, oltre a manca di rispetto alle dolorose situazioni che raccon- richiamare quel Whisky a volontà (Whisky Galore, ta. Una poesia moderna (e morale) i cui versi mettono 1949) di Alexander Mackendrick che appare più che in rima verbi scurrili e parole di conforto. In un certo

una semplice ispirazione. Non a caso, intelligente- senso un film di cui il mondo di oggi ha davvero biso- 520 mente, gli organizzatori del Torino Film Festival gno. Da vedere, possibilmente, con un bicchiere di avrebbero riproposto la pellicola classica accanto whisky in mano, ma ricordatevi: la parte degli angeli all’opera di Ken Loach. offritela a Ken Loach. cineforum

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BALLATA DELL’ODIO E DELL’AMORE Alex de la Iglesia

Post-moderno neo-picaresco Matteo Marelli

Muoversi all’interno delle coordinate postmoderni- Titolo originale: Balada triste de trompeta. Regia e sce- ste significa aver per orizzonte un panorama detritico; neggiatura: Álex de la Iglesia. Fotografia: Kiko de la Rica. una landa di macerie come unica scaturigine da cui Montaggio: Alejandro Lázaro. Musica: Roque Baños. attingere per le proprie creazioni, destinate, proprio a Scenografia: Eduardo Hidalgo. Costumi: Paco Delgado. causa della loro origine residuale, a poter essere solo e Interpreti: Carlos Areces (Javier), Antonio de la Torre soltanto ri-creazioni. Il mash-up è vero e proprio para- (Sergio), Carolina Bang (Natalia), Sancho Gracia (il digma costitutivo, tanto sul piano strutturale che su colonnello Salcedo), Alejandro Tejerías (il macchinista quello contenutistico. Alex de la Iglesia lo sa bene e fantasma), Enrique Villén (Andrés), Manuel Tallafé ogni suo film è un crossover di generi opposti; un frul- (Ramiro), Manuel Tejada (il maestro di cerimonie),Gracia lato transmediale; un ibrido che è sommatoria di sug- Olayo (Sonsoles), Santiago Segura (il Pagliaccio Tonto), gestioni cinefile, catodiche, letterarie e Roberto Álamo (il capitano della milizia), Fofito (il fumettistiche. Ballata dell’odio e dell’amore – all’ana- Pagliaccio Furbo), Sasha Di Benedetto (Javier da picco- grafe Balada triste de trompeta, Osella per la miglior lo), Jorge Clemente (Javier da giovane), Juana Cordero (la sceneggiatura alla sessantasettesima Mostra interna- madre del bambino), Luis Varela (Manuel), Terele Pavez zionale d’Arte Cinematografica di Venezia –, è quin- (Dolores), Fran Perea (il soldato franchista), Juan Viadas t’essenza di questa spregiudicata mescolanza di stili e (Francisco Franco). Produzione: Yousaf Bokhari, Vérane toni narrativi senza soluzione di continuità. Frédiani, Gerard Herrero, Franck Ribière per Tornasol A ben vedere, tuttavia, il film di de la Iglesia è pos- Films/Castafiore Films/La Fabrique 2/uFilm/Canal+ sibile collocarlo anche nel solco di un patrimonio cul- España/TVE. Distribuzione: Lucky Red. Durata: 108’. turale che è retaggio peculiarmente spagnolo: quello Origine: Spagna/Francia, 2010. del folclore picaresco. Javier è un pícaro, un emargina- to, un antieroe, un “pover’uomo”, gettato in un mondo 1937. La Spagna è nel mezzo della terribile Guerra civi- imprevisto di insidie e costretto a una sorta di para- le. Il pagliaccio di un circo viene interrotto nel mezzo del dossale bildungsroman; un viaggio che, in opposizione suo numero e reclutato con la forza da un gruppo di alla tradizione borghese, collabora a una strutturazio- repubblicani. Mentre indossa ancora il suo costume di ne, pur sempre problematica, del soggetto, in direzio- scena, gli viene messo in mano un machete; condotto in ne, però, di un processo di antiformazione, cioè di una battaglia contro i soldati franchisti, massacra da solo un connotazione in negativo del personaggio. Il pícaro intero plotone di nemici. 1973. Ultimi giorni del regime richiede il contesto, la prospettiva di una storia, e per- franchista. Javier, il figlio del pagliaccio distintosi in fino di una preistoria. Nel caso di Javier quest’ultima battaglia, sogna di seguire le orme del padre, ma ha è rappresentata dalla figura del clown, una vocazione visto troppe tragedie nella sua vita e per questo, come più che una professione, ereditariamente trasmessa da clown, stenta ad avere successo. Trova quindi lavoro padre in figlio. Egli non si domanda neppure se è ciò come Pagliaccio Triste in un circo composto da vari biz- che desidera fare; sa che deve continuare per evitare zarri personaggi. Lì vi lavora Sergio, un individuo bru- che venga recisa la catena parentale. tale che, anche lui clown, non perde occasione di umi- È un’infanzia disgraziata quella del pícaro: spesso liarlo al solo scopo di fare spettacolo. Natalia, la moglie orfano in un mondo senza pietà per i deboli. Ancora di quest’ultimo, è la bella acrobata del circo: Javier se ne

520 bambino Javier subisce lo spettacolo del reclutamen- innamora, e cerca di sottrarla alle angherie che anch’el- to del proprio genitore da parte delle forze repubbli- la subisce dal marito. Il quale, però, reagisce con estre- cane per combattere contro i soldati franchisti. ma gelosia e violenza. Ha inizio, quindi, una feroce bat- Cresce, sotto la dittatura del Caudillo, senza educazio- taglia tra clown. cineforum

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ne, se non quella che si fa a sue spese dal contatto tanto le astuzie, i raggiri, gli egoismi, le piccole risor- diretto con la dura realtà quotidiana. Rimane nel se. In Ballata dell’odio e dell’amore è rintracciabile corso degli anni un primitivo, più che un semplice; quello che Bachtin ha descritto come cronotopo pica- privo di una sua precisa funzione sociale, senza ecces- resco: cioè «il carattere di un dato luogo entra effetti- sivi scrupoli; trascorre la sua esistenza nella margina- vamente nell’evento come sua parte costitutiva»; che lità, in balìa della sorte mobilissima che a lui, più può esprimersi anche così: quello che accade dipende d’ogni altro, nega stabilità. Javier vede la vita in modo strettamente dal dove esso accada. L’impalcatura del- picaresco, non crede né nelle idee, né tantomeno nei l’analisi bachtiniana ha un fondamento spaziale inne- valori ideali e, quindi, si aggrappa all’unica cosa che gabile: lo sviluppo è vincolato a degli spazi specifici. a suo avviso è certa e sicura: l’istinto. Si muove trasci- Nei personaggi del film di de la Iglesia è avvertibile il nato – più che spinto – dall’istinto di un senso di peso del determinismo nato dall’influenza dell’am- rivalsa che lo porta a cercare una qualche forma di biente socioculturale in cui questi si trovano a vivere. vendetta. Non sa bene di che cosa vada in cerca: il suo L’osmosi comico tragico, il rapido cambiamento di è uno sdegno segreto, quasi una protesta, si direbbe, registro, la vocazione di de la Iglesia alla contamina- contro la morale. La filosofia che sottende le sue azio- zione, al pastiche, alla citazione, all’ibridazione stilisti- ni è fatta di folle orgoglio, disprezzo totale del mondo ca tra alto e basso che siamo soliti ricondurre alla sen- e della società, anarchismo, stoicismo, pessimismo, sibilità postmoderna sono aspetti in realtà già propri disinganno, culto etico ed estetico della bravata e del del filone picaresco; esattamente come la frammenta- bel gesto temerario; come quello di non assecondare zione della narrazione, che prende un aspetto digressi- gli sbalzi bipolari di Sergio – in particolare le vampe vo e cumulativo. È evidente la serialità virtualmente di rabbia che sfoga contro la trapezista Natalia, la sua aperta all’infinito degli episodi data dalla struttura a donna –, proprio partner di scena nonché leader umo- “schidionata”, una costruzione che, come teorizzato da rale del terremotato gruppo circense in cui Javier è Sklovskij, si fonda sulla concatenazione incalzante di scritturato. scene a successione libera frantumante la successione Come ogni pícaro Javier è prodotto di una società in lineare del racconto.

degrado, si muove tra i mostri di una città in disordi- Questa miscela impura di varie esperienze formanti 520 ne, nel labirinto di una folla che lo prende come in un una nuova struttura che è il picaresco è permeata da vortice; un ambiente gretto e meschino, dove l’umani- forme, motivi e temi dell’imagérie grotesque, registro tà è spiritualmente angusta e della vita possiede sol- formale che de la Iglesia declina nella sua forma più cineforum

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truculenta e sconcertante, facendogli prendere una re sopra le righe, così tanto da perdere frequentemen- traiettoria cupa volta a finalizzare l’immaginario della te le fila del discorso. La forza della produzione pica- morte e della dannazione. Da tradizione il pícaro accu- resca è quella di inserirsi nel solco della lunga e presti- mula la vergogna e il protagonista del film traduce giosa tradizione moralistica. Un moralismo da ricerca- questa condizione di degrado morale sottoponendosi a re nella concezione generale delle opere, che si pongo- una deformazione fisica furiosa. Quello di Javier è un no globalmente come racconti esemplari, in cui è il corpo grottesco, secondo l’accezione bachtiniana del rapporto tra la moralità del personaggio e quella termine, un corpo «in divenire […] mai dato né defini- accettata dalla società del tempo che creano lo spazio to: si costruisce e si crea continuamente, ed è esso stes- di riflessione. Il regista vorrebbe fare lo stesso, subli- so che costruisce e crea un altro corpo», un corpo che mando, ad esempio, gli orrori del franchismo attraver- «inghiotte il mondo ed è inghiottito da quest’ultimo» so la brutalità rabbiosa e autoinflittiva del protagoni- (1). Una deturpazione esagerata e iperbolica che porta sta, ma, troppo concentrato a mandare ai massimi giri alla perdita dell’identità a vantaggio di quella del dive- il proprio congegno spettacolare, purtroppo quello che nire. Il corpo grottesco è un corpo di transito continuo, alla fine rimane sono solo poche sequenze liberatorie il cui processo di alterazione avviene anche necessaria- – su tutte l’incipit del film e il morso alla mano con cui mente nel volto, che si trasforma in maschera attraver- Javier aggredisce il generale Franco. Questo gusto per so l’abbassamento e la caricatura del ritratto. In il sovraccarico fa di Ballata dell’odio e dell’amore un Ballata dell’odio e dell’amore si è di fronte a un grot- film citazionista elevato a potenza; il rimando di un tesco che ha perso la sua capacità ricreatrice. La forza rimando – si va dal war movie all’horror; da Browning del grottesco qui si impone come puramente cinica e a Burton; da Fellini a Gilliam; dal thriller alla tragedia negativa e si avvicina alle forme del mostruoso e del greca. Ma il rischio di una creazione dall’identità mol- raccapricciante; smarrisce la purezza dell’ambiguità e teplice è forse quello della dissoluzione della propria della rinascita per tingersi inevitabilmente di nero, personalità, di scomparire del tutto.

520 mortuario. Il problema di de la Iglesia è di non sapersi contene- re cedendo così al manierato parossismo, diventando (1) Cfr. Michail Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, vittima dei propri eccessi debordanti. Tutto deve esse- Einaudi, Torino 1979, pag. 347. cineforum

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IL SOSPETTO Thomas Vinterberg

Dietro le apparenze Antonio Termenini

Con Il sospetto, Thomas Vinterberg ci propone Titolo originale: Jagten. Regia: Thomas Vinterberg. un’opera tanto aperta a mille interpretazioni e signi- Sceneggiatura: Thomas Vinterberg, Tobias Lindholm. ficati da lasciare il dubbio o, forse appunto, “il Fotografia: Charlotte Bruus Christensen. Montaggio: sospetto” che si tratti, in realtà, di un’opera di altis- Janus Billeskov Jansen, Anne Østerud. Musica: Nikolaj sima consapevolezza autoriale e significante. Il cinea- Egelund. Scenografia: Torben Stieg Nielsen. Costumi: sta danese, e questo non solo per il suo percorso arti- Manon Rassmussen. Interpreti: Madds Mikkelsen stico e per la sua storica vicinanza a Lars Von Trier, è (Lucas), Thomas Bo Larsen (Theo), Susse Wold (Grethe), regista troppo compreso nella sua parte di veicolato- Annika Wedderkoop (Klara), Lasse Fogelstrøm (Marcus), re di significati per poter pensare che la vicenda di Anne Louise Hassing (Agnes), Lars Ranthe (Bruun), Lucas sia una semplice parabola di espulsione e Alexandra Rapaport (Nadja), Ole Dupont (l’avvocato), ricongiungimento in una piccola comunità del Nord Katrine Brygmann (Kirsten), Daniel Engstrup (Johan), Europa. Sin dalle prime inquadrature, Vinterberg si Steen Ordell Guldbrandsen (Lars), Bjarne Henriksen appella allo sguardo dello spettatore, e introduce i (Ole), Karina Fogh Holmkjær (Ulla), Jacov Højlev personaggi in un certo modo, con una caratterizza- Jørgensen (Erkik), Jytte Kvinesdal (Inger). Produzione: zione precisa. La tutrice dell’asilo, Grethe, rigida e Morten Kaufman, Thomas Vinterberg, Karen Bentzon, tradizionalista, tutta tesa a proteggere il sistema edu- Sisse Graum Jørgensen, Jessica Ask, Madeleine Ekman, cativo che ha costruito, ancor prima dei bambini che Charlotte Pedersen, Martin Persson per Zentropa deve accudire; Theo e Agnes, la coppia che litiga con- Entertainment/Film i Väst. Distribuzione: BIM. Durata: tinuamente e che trascura i figli; Klara, la loro bam- 118’. Origine: Danimarca, 2012. bina dagli occhi penetranti e ambigui. E Lucas, un quarantenne piuttosto ordinario, dal volto quasi Lucas ha da poco trovato un’occupazione in un tranquil- annoiato, non certo turbato e angosciato da una lo asilo dove instaura ben presto un ottimo rapporto con situazione famigliare che lo ha allontanato dal tanto i bambini e gli altri tutori. Questo quarantenne dall’aria tranquilla in realtà soffre molto per la mancanza del figlio Marcus, che la moglie Kirsten gli impe- disce di vedere. Anche i rapporti con il resto della piccola comunità in cui vive sono ottimi. Da Theo, a sua moglie, agli altri amici con i quali spende gran parte del tempo libero in battute di caccia. Una delle bambine più affezionate a Lucas è proprio la figlia di Theo, Klara, introver- sa e che, in nuce, a causa del rapporto conflittua- le tra i genitori, inizia a sviluppare un disturbo ossessivo-compulsivo. Proprio mentre anche la sua vita sentimentale sembra prendere una piega positiva, grazie al nuovo rapporto con una delle tutrici dell’asilo, Nadia, Lucas viene improvvisa-

mente accusato di violenze sessuali nei confronti 520 di alcuni bambini. Verrà interrogato dalla polizia e da questo momento, su di lui, graverà un terri- bile sospetto. cineforum

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amato figlio Marcus e in perenne lotta con la moglie L’espediente della violenza sessuale nei suoi confronti Kirsten che sente solo telefonicamente. ci viene mostrata da Vinterberg in modo ancora più Sin dalle prime inquadrature, Vinterberg fa proprio chiaro quando gli amici del fratello di Klara, di tutto per farci amare Lucas: premuroso con i bam- Thomsen, mostrano un’immagine pornografica alla bini, desideroso di ritrovare il figlio, educato, timido bambina. Il cineasta danese, per tutta la prima parte, nelle riunioni tra amici, quando, come nella migliore insiste, insomma, non con sottili riferimenti, ma con tradizione nordica, si beve molto e ci si divide i frutti scene esplicite e cronologicamente consequenziali, sul- della cacciagione nei boschi. È comprensivo nei con- l’innocenza di Lucas. fronti di Theo, perché conosce i contrasti di coppia, è L’immagine di questo placido quarantenne viene, persino refrattario e reticente nei confronti di Nadia, però, in parte ribaltata in un’altra sequenza chiave del altra assistente dell’asilo che si è invaghita di lui e che film, quella della battuta di caccia. Gli amici di Lucas tenta di costruire una relazione. E se è vero che, anche avanzano lentamente in una foresta che ricorda quel- nei fatti di cronaca, è il più mansueto e defilato a mac- la minacciosa di Antichrist di Von Trier. Lucas proce- chiarsi delle azioni più nefaste e ignominiose, è altret- de lentamente, con la stessa cadenza e le stesse espres- tanto vero che, in una delle scene chiave del film, sioni di quando si approccia ai bambini all’interno vediamo Klara che cerca con insistenza l’affetto che dell’asilo. All’improvviso fa esplodere un colpo perfet- non riceve dai famigliari: bacia Lucas sulla bocca e gli to che tramortisce il cervo. Indizi contrapposti e con- prepara un regalo. Con disinvoltura Lucas risponde tradditori che troveranno la loro conferma nell’altret- che i baci sulla bocca si devono dare soltanto ai geni- tanto sorprendente scena finale, sempre durante una tori e la bambina, già in uno stato pre-ossessivo com- battuta di caccia. pulsivo (che manifesta nella paranoia di non voler cal- Vinterberg è regista troppo ambizioso, consapevo-

520 pestare le righe che trova sul suo cammino), si incupi- le e cerebrale per aver raccontato con Il sospetto solo sce. Dentro di lei, in quello sguardo trasversale che la parabola di un uomo che viene travolto da qualco- annida i pensieri più reconditi, cova un risentimento sa più grande di lui, un uomo inerte, inetto, travolto che sarà poi vendetta nei confronti di Lucas. dagli eventi. È molto abile a nascondere indizi, a cineforum

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cambiare registro, a misurare le poche, ma significa- saggio e allo sviluppo narrativo, Il sospetto è come tive, ellissi temporali. Fatti i debiti paragoni, la vicen- avviluppato da un’atmosfera di perenne sospensione, da di Lucas appare come quella di Bess, l’eroina del come se ci si trovasse in una favola o in un reale cri- mélo di Lars Von Trier Le onde del destino. Come là, stallizzato. Il dubbio di fondo, il sospetto, giocando anche qua una piccola comunità conservatrice, tradi- con il titolo del film, risiede, quindi, non tanto nella zionalista e bigotta si ferma alla superficie, si affida detection iniziale, nell’appurare se realmente Lucas alle convenzioni, ed è spietata nel giudicare e poi ha commesso violenza nei confronti di Klara e di emarginare un suo membro non in linea con il natu- altri bambini, quanto nell’intento programmatico di rale corso della quotidianità. Certo, laddove Von Trier Vinterberg di aver pensato e realizzato questo film. infiammava la materia narrativa, Vinterberg in que- Operazione cerebrale che gioca con lo spettatore e le sto caso la raffredda, la contiene, in un gioco di con- sue paure con una struttura apparentemente sempli- tinua sottrazione. ce e lineare ma, in realtà, ricca di sottotesti voluta- Pensate però alla scena della chiesa, momento sim- mente criptici, tesa alla costruzione di un’opera di bolo in cui la comunità si riunisce per pregare e “rico- significati reconditi? O, più semplicemente, vicenda noscersi”. È qui che avviene il turning point narrativo che sottolinea ancora una volta la complessità del di Il sospetto. Dopo essere stato picchiato e cacciato reale, la sua natura multiforme e l’impossibilità di da un supermercato, e dopo essere stato minacciato in accertare una realtà e un’unica verità? casa sua quando si trova con il figlio Marcus, Lucas Il dubbio, il sospetto rimane; ma rimane anche la trova il coraggio di sfogarsi, di ribellarsi al conformi- bravura del regista danese nell’aver intessuto una smo diffuso, al fatto, come dice Grethe, che «i bambini ricca tela narrativa, dove tutti i personaggi hanno uno dicono sempre la verità» per antonomasia. spessore compiuto, dove i tempi sono perfettamente Anche se collocato, con tutta una serie di riferi- azzeccati e dove l’interpretazione di Madds Mikkelsen menti ben riconoscibili legati alle tradizioni, al pae- spicca per la sua naturalezza.

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I FILM IN SALA luppato progetti come un ampio immigrati di cui si seguivano le ALÌ HA work in progress sull’Italia che cam- vicende scolastiche (tra questi anche bia. Anzi, che è già cambiata. Perché Alin Delbaci, il riottoso ragazzo pro- GLI OCCHI AZZURRI l’interesse verte sul come è cambia- tagonista di Welcome Bucarest: ta, su chi sono i cittadini di domani. come si diceva, un continuo lavoro Claudio Giovannesi Alì ha gli occhi azzurri ha già nel in costante progressione). titolo indirizzo, tema fondamentale Nader vive a Ostia con la famiglia di Regia: Claudio Giovannesi. Sogget- e ascendenza culturale: un verso, tra osservante fede musulmana. Salta to: Claudio Giovannesi, Filippo Gra- i più famosi di Pasolini, tratto da spesso la scuola, compie piccole rapi- vino. Sceneggiatura: Claudio Gio- Profezia e utilizzato come citazione ne in oscuri supermercati e ruba i vannesi, Filippo Gravino, Francesco nel momento in cui il vaticinio paso- soldi alle prostitute romene in un’as- Apice. Fotografia: Daniele Ciprì. liniano ha finalmente preso corpo, surda e disperata guerra tra poveri, Montaggio: Giuseppe Trepiccione. seppur privo di quelle bandiere trot- ma la famiglia, ignara delle sue male- Musica: Claudio Giovannesi, Andrea skiste con cui i piccoli Alì avrebbero fatte, si preoccupa di ostacolare il suo Moscianese. Scenografia: Daniele dovuto partire alla conquista del rapporto con la fidanzata Brigitte, Frabetti. Costumi: Medile Siaulyty- mondo. Per ora si sono appropriati italiana, opponendo una diversità te. Interpreti: Nader Sarhan solo delle periferie: le abitano, le sol- culturale inconciliabile. (Nader), Francesco Panetta (l’assi- cano in lungo e in largo, coltivano Il dissidio di Nader è tutto in questa stente), Stefano Rabatti (Stefano), rapporti più o meno amichevoli, crisi d’identità che lo porta a con- Brigitte Apruzzesi (Brigitte), Marian sbagliano a causa del loro smarri- fondere la sua origine con lenti a Valenti Adrian (Zoran), Cesare mento, pagano le conseguenze dei contatto azzurre (per l’appunto) e a Hosny Sarhan (il padre di Nader), loro errori perché incontrano altro lottare contro i genitori che osteg- Fatima Mouhaseb (la madre di smarrimento, altra rabbia repressa giano la sua relazione. Nader), Yamina Kacemi (Laura), che si scontra con la loro. Tuttavia, come appare evidente da Salah Ramadan (Mahmoud), Marco Alì ha gli occhi azzurri, sempre in ogni crisi d’identità, Nader è anche Conidi (il padre di Brigitte), Ales- funzione del titolo illuminante, è il il terreno su cui emergono insana- sandra Roca (la madre di Brigitte), conflitto interno di un’identità che bili contraddizioni. Rivendica con Elisa Geroni (Eleonora), Roberto non c’è ancora e che faticosamente veemenza il suo essere italiano nei D’Avenia (Ruggero), Totò Onnis, si fa largo nelle caratteristiche confronti della famiglia, ma al con- Alfonso Prudente (i vigili). Produ- somatiche, negli atteggiamenti con- tempo, a scuola, sfila pretestuosa- zione: Fabrizio Mosca per Acaba traddittori, in una condotta spesso mente il crocifisso dal chiodo, rifiu- Produzioni/Rai Cinema. Distribu- gratuita. Giovannesi punta la sua tandosi di far campeggiare sulla zione: BIM. Durata: 100’. Origine: soffocante osservazione principal- parete «un uomo morto». Allo stes- Italia, 2012. mente su questo aspetto: protagoni- so modo, si batte per la sua relazio- sta Nader, egiziano nato in Italia, già ne con Brigitte, ma diventa violen- La linea di Claudio Giovannesi, visto nel precedente documentario temente irrazionale se il suo miglio- romano, nato nel 1978, diploma al del regista, Fratelli d’Italia (2009), re amico Stefano si avvicina a sua Centro Sperimentale, è chiara: nel quale era uno dei tre giovani sorella minore Laura. affrontare gli squilibri esistenti in una parte ben determinata della nuova società multietnica della provincia romana come sineddoche geografica del resto d’Italia. È tra i pochissimi giovani registi italiani a perseguire questa strada con una forte ostinazione, fin dai tempi di Welcome Bucarest (2007), medio- metraggio ambientato nella classe III B dell’Istituto Tecnico Industria- le Toscanelli di Ostia, teatro dei conflitti con gli insegnanti e i com- pagni, anch’essi immigrati, di un romeno diciassettenne, spesso incompreso, talvolta vittimista, già

520 convinto della sua esclusione dalla collettività. Giovannesi ha sempre osservato sul campo rapporti e interazioni e svi- cineforum

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Un’irrazionalità che Giovannesi orga- Rafa Al Sanea (Fatima), Sara Alja- nizza in tre tappe, in un singolare per- ber (Leila), Noura Faisal (Abeer), corso di (de)crescita, attuato metoni- Alanoud Sajini (Fatin),Tahanu Yusef micamente attraverso la presenza e (Yasemine), Mariam Alghamdi (la l’utilizzo delle armi: a un Nader che nonna), Faoziah Alyaaqop (la signo- non riesce a utilizzare la pistola, ra Jamilia), Mohammed Zaihi nonostante sia a salve, nella prima (Iqbal), Ibrahim Almnozael (il ven- sequenza, quella della rapina al super- ditore di giocattoli). Produzione: market, segue il timore per i colpi spa- Gerhard Meixnerm Roman Paul, rati per prova con un Mauser sul ter- Amr Alkahtani per Razor Film Pro- razzo di casa dal padre di Brigitte, duktion GmbH/Highlook Commu- colpi che gli impediscono di portare a nications Group/Rotana Studios. termine “la sua prima volta”. Distribuzione: Academy 2. Durata: L’insensatezza della gelosia nei con- 97’. Origine: Arabia Saudita/Ger- fronti della sorella, invece, lo porte- mania, 2012. rà, come ultima tappa, a superare il suo comprensibile turbamento, e a Possiamo sorvolare sul fatto che, per sparare contro l’amico di sempre l’ennesima volta, un distributore ita- Stefano, fortunatamente senza col- liano (Academy 2) abbia deciso di pirlo. Fortunatamente anche per il forzare la traduzione di un titolo, di riggio gioca con Abdullah, un coeta- film, che in caso contrario si sarebbe ri-focalizzarne la comunicazione neo, di cui invidia la libertà, e trasformato in una tragedia della spostando l’accento sull’oggetto del soprattutto lo strumento con cui disperazione fortemente annunciata desiderio e non sul soggetto? È questa libertà si esprime, una bici- e non nel prezioso documento socio- esplicita, dietro a questa scelta, l’in- cletta: secondo l’ortodossia islami- logico che invece rappresenta. tenzione di accattivarsi il pubblico ca, però, guidare un mezzo, che sia Ora da Giovannesi, vista la perizia, con quell’eterna, nobilitante, “fun- una bici o un’auto, non si addice grazie anche alla fotografia illustre zione-De Sica”, con l’evocazione di all’onore di una donna (e la quoti- di Daniele Ciprì, ci si aspetta del bambini e mezzi a due ruote. E in dianità della madre alle prese con cinema. Che abbia origine sì dalla qualche modo la scommessa è vinta: l’autista ne è la riprova), nel caso realtà, ma che non ne rifiuti le even- il film, che pareva destinato a essere specifico potrebbe addirittura com- tualità offerte da un racconto anco- una meteora del grande schermo, ha prometterne la verginità. ra troppo pervicacemente affeziona- tenuto, e molti hanno indicato nella Ma un giorno una bicicletta verde to ai corpi e alle singole sensazioni pellicola tracce di ispirazione al neo- appare a Wadjda, leggera e veloce, dei suoi personaggi per proporsi realismo. Ovviamente non per la trasportata sul dorso di un furgone, come sguardo autentico e veramen- bici in sé, né per qualità linguistiche quasi una visione, una vocazione a te originale. o stilistiche inaudite, che cercherem- tentare l’impossibile; ed è un mira- mo invano nel “primo film integral- colo, dettato dalla determinazione a Gianpiero Frasca mente girato in Arabia Saudita”(con procurarsi il denaro per quell’ogget- una troupe però in gran parte tede- to agognato, il fatto che una studen- sca e, apriti cielo, da una regista tessa indisciplinata riesca in poche donna), ma per quello spaccato di settimane a vincere una gara di LA BICICLETTA VERDE vita e società che approda per la Corano, recitando in prosodia per- prima volta nelle sale occidentali fetta una sura che inizialmente non (non certo in quelle saudite, che per era nemmeno in grado di compitare. Haiffa Al-Mansour legge non esistono). D’altro canto la materia narrativa Wadjda è una preadolescente del film è fitta di scarti e contraddi- Titolo originale: Wadjda. Regia e inquieta, come tante sue coetanee, zioni, così come è contraddittoria la sceneggiatura: Haifaa Al-Mansour. che vive con la madre in un sobbor- quotidianità nella monarchia saudi- Fotografia: Lutz Reitemeier. Mon- go di Riyadh; è un concentrato di ta: a partire dalla condizione delle taggio: Andreas Wodraschke. Musi- energia e ostinazione che cova, insie- donne, che, nel film come nella real- ca: Max Richter. Scenografia: Tho- me a sneakers e t-shirt eloquenti, tà, sono personaggi sfaccettati e mas Molt. Costumi: Peter Pohl. sotto l’abaya nera, indossata contro- stratificati, moderne tra le pareti di Interpreti:Waad Mohammed (Wadj- voglia: frequenta senza grande inte- casa (la madre che compra un abito da), Reem Abdullah (sua madre), resse la madrasa femminile, condot- rosso fuoco per un ultimo disperato

Sultan Al Assaf (suo padre), Abdul- ta da insegnanti frustrate e aguzzi- tentativo di trattenere il marito), 520 lrahman Al Gohani (Abdullah), Ahd ne, ovviamente ipocrite (nella vincolate a consuetudini arcaiche (la signora Hussa), Dana Abdullilah miglior tradizione dei film sulla nella vita pubblica; al contrario gli (Salma), Rehab Ahmed (Noura), repressione scolastica). Ma di pome- uomini, come già nelle opere di Shi- cineforum

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rin Neshat, non hanno quasi spesso- re, e per loro non c’è gran distinzio- ne tra pubblico e domestico. Un padre Wadjda ce l’ha, ma non è chiaro per quale ragione stia fuori casa a chi non ricordi che, in una famiglia musulmana osservante, una donna che non sia in grado di dare al marito un erede maschio è un ramo amputabile o sostituibile (lo racconta con ben altra finezza psicologica Brillante Mendoza): la madre, divenuta sterile, non potrà avere altri figli; la bambina è un ger- moglio che può essere ignorato o virtualmente potato dall’albero genealogico. Haifaa Al-Mansour è figlia di uno dei più importanti poeti sauditi, e il contesto in cui è cresciuta è molto differente rispetto a quello tratteg- wa/Giulia Tarquini (Umi “Mer”Mat- Giappone sta rialzandosi dalla tra- giato nel suo film: polemiche, invet- suzaki), Junichi Okada/Lorenzo De gedia della guerra e dell’occupazio- tive, anatemi si possono leggere sul Angelis (Shun Kazama), Shunsuke ne americana. La speranza nel futu- web tra i commenti alle sue intervi- Kazama/Alessio De Filippis (Shirô ro rinasce, l’industria cresce veloce, ste e agli estratti del film.Tuttavia, a Mizunuma), Keiko Takeshita/Auro- le città si espandono così come l’in- ben guardare, in La bicicletta verde ra Cancian (Hana Matsuzaki), Tsu- quinamento e nel cinema tutto que- la denuncia di una condizione fem- basa Kobayashi/Andrea Di Maggio sto si traduce nell’epopea di Godzil- minile quasi medievale non è mai (Riku Matsuzaki), Rumi la e dei suoi amici mostri. davvero radicale; il film piuttosto Hiiragi/Benedetta Ponticelli (Sachi- Goro Miyazaki invece racconta una presenta, e in questo è “neorealista”, ko Hirokôji), Jun Fubuki/Roberta tenera storia di amicizia e amore tra un personaggio le cui vicende sono Paladini (Ryôko Masuzaki), Yuriko due giovani studenti dell’ultimo un seme di speranza, e un invito alle Ishida/Laura Romano (Miki Hoku- anno della scuola superiore. Lei è donne del mondo islamico a rivede- to), Haruka Shiraishi/Sara Labidi Umi, che appartiene a una unita re i propri obiettivi. In fondo Wadj- (Sora Komatsuzaka), Nao famiglia matriarcale, orfana però del da persegue con tenacia l’oggetto, la Omori/Roberto Draghetti (Akio padre marinaio disperso durante la bici, ma i contorni della libertà di Kazama), Takashi Naito/Luca Bia- Guerra di Corea. Lui è Shun, capo cui quel mezzo si fa simbolo conti- gini (Yoshio Onodera), Teruyuki redattore del giornale scolastico e nuano a rimanere fuori fuoco. Kagawa/Giorgio Favretto (il diretto- animatore del circolo studentesco re Tokumaru) Goro Miyazaki (il del “Quartier Latin”. Alessandro Uccelli professore di storia). Produzione: Ogni mattina Umi innalza, nel corti- Tetsuro Sayama,Toshio Suzuki,Chi- le della sua casa che si affaccia sul zuru Takahashi, Geoffrey Wexler, mare dalla “Collina dei papaveri”, Rogyn Klein per Studio Ghibli/Nip- delle bandiere marinare traducibili LA COLLINA pon Televi/Dentsu/Hakuhôdô con le lettere U-W-M-E-R, dove U e DYMP/Disney/Mitsubishi/Tôhô W indicano “buon viaggio” mentre DEI PAPAVERI Company. Distribuzione: Lucky le lettere M-E-R significano mare in Red. Durata: 91’. Origine: Giappo- francese (così come la parola U-M-I ne, 2011. che in giapponese indica appunto il Goro Miyazaki mare…), un piccolo pensiero dedi- Piccoli Miyazaki crescono. Dopo cato a quel padre tanto amato. Il Titolo originale: Kokuriko-zaka l’ambizioso e piuttosto irrisolto I fatto è raccontato sul giornale scola- kara. Regia: Goro Miyazaki. Sogget- racconti di Terramare, Goro Miya- stico da un ignoto testimone e Umi, to: dal shôjo manga omonimo scrit- zaki torna alla regia con La collina che vi si riconosce, entra in contatto to da Tetsurô Salama e disegnato da dei papaveri, alla cui sceneggiatura con Shun. Tra i due nasce un senti-

520 Chiziru Takahashi. Sceneggiatura: ha collaborato anche il padre mento pudico, ma il loro rapporto Hayao Miyazaki, Keiko Niwa. Foto- Hayao. Siamo nella città portuale di viene pesantemente incrinato dal grafia: Atsushi Okui. Musica: Sato- Yokohama nel 1963, l’anno che pre- dubbio che i due in realtà siano fra- shi Takebe. Voci: Masami Nagasa- cede i Giochi Olimpici di Tokyo. Il telli, in quanto Shun è stato adotta- cineforum

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to neonato e il vero padre potrebbe ne natalizia in home video, ottenen- loro splendore modernista dalla essere proprio lo stesso di Umi… do al botteghino un successo davve- commedia classica americana e dal Ambientato in uno scenario che ro niente male. cinema di Woody Allen in particola- ricorda quello del paterno Ponyo re, sul piano narrativo, la pellicola sulla scogliera, questo film di Goro Fabrizio Liberti si struttura intorno al tema canoni- Miyazaki se ne discosta proponen- co dell’incontro impossibile tra un dosi come un racconto di passaggio lui e una lei diversissimi come più nell’età adulta. È un film concentra- non si potrebbe per temperamento, to sul fenomeno della trasformazio- stile di vita, cultura – Alice è gene- ne. Di quella sociopolitica del Giap- PARIS-MANHATTAN rosa, solare, sognatrice: cinefila pone e di quella affettiva e intellet- incallita, nutre un’adorazione asso- tuale di due ragazzi che stanno luta per il regista di Zelig e cura, entrando nel periodo delle responsa- Sophie Lellouche come farmacista, i suoi clienti con i bilità personali. Il film è ispirato da dvd di Lubitsch e dei fratelli Marx; uno shôjo manga (manga per fan- Titolo originale: id. Regia e sceneg- per contro, Victor è un uomo con- ciulle) di Tetsuo Sayama e Chizuru giatura: Sophie Lellouche. Fotogra- creto e di rude buon senso, segnato Takahashi apparso negli Anni fia: Laurent Machuel. Montaggio: da un amore infelice e, sacrilegio!, Ottanta e pubblicato nel mensile Monica Coleman. Musica: Jean- del tutto ignaro del cinema di «Nakayoshi». Michel Bernard. Scenografia: Philip Woody Allen; dunque, due perso- Gli Anni Sessanta raccontati dal L’Évêque. Costumi: Fabienne Kata- naggi in apparenza inconciliabili, e film sono anche quelli delle rivolte ny. Interpreti: Alice Taglioni (Alice), tuttavia destinati, una volta risolti i studentesche che Miyazaki Hayao Patrick Bruel (Victor), Marine Del- contrasti e gli impedimenti del caso, ha vissuto in prima persona, però in terme (Hélène), Louis-Do de Len- a finire inevitabilmente tra le brac- una prospettiva decisamente ribal- cquesaing (Pierre), Michel Aumont cia l’uno dell’altro nel lieto fine di tata rispetto a quelle più o meno (il padre), Marie-Christine Adam (la prammatica. coeve che avvenivano in Occidente. madre), Yannick Soulier (Vincent), A noi pare, tuttavia, che il principale In Giappone infatti gli studenti non Margaux Châtelier (Laura), Arsène problema del film vada individuato si facevano promotori della distru- Mosca (Arthur), Gladys Cohen (la nell’incapacità della giovane cineasta zione delle tradizioni; piuttosto, signora Gozlan), Julie Martel (la di lavorare in modo adeguato sulle invece, della loro salvaguardia pro- cliente depressa), Roman Guisset (il esatte cadenze e sulla logica implaca- prio perché l’occupazione occiden- ladro), Juliette Kruh (l’assistente di bile del genere. La sceneggiatura, di tale mirava a dissolverle. Ci trovia- Alice), Paul-Edouard Gondard esile respiro, denuncia una tessitura mo dinanzi a una naturale evoluzio- (Achille), Woody Allen (se stesso). sconnessa e disarmonica, e tende sin ne di quanto raccontato magica- Produzione: Philippe Rousselet per troppo spesso a sbandare lungo terri- mente dallo stesso Miyazaki con Il Vendôme Production/France 2 tori non pertinenti. Se l’idea di parten- mio vicino Totoro e dallo straordi- Cinéma/SND. Distribuzione: Archi- za era, sulla carta, abbastanza accatti- nario e dolente Una tomba per le bald. Durata: 77’. Origine: Francia, vante, e la trovata dei dialoghi tra lucciole di Takahata Isao. 2012. Alice e il poster di Woody Allen (che si In questo film la magia scompare, offre qui, attraverso le battute delle gli orrori della guerra diventano A Sophie Lellouche, qui alla prova vibrazioni dolorose che restano con- d’esordio nel lungometraggio, è finate nel cuore e che provocano stato rimproverato di aver voluto solo tanta malinconia. C’è però la giocare tutte le sue carte sul consue- nascita di un sentimento prezioso, to repertorio di stereotipi e luoghi quello della speranza. Umi e Shun comuni della commedia sentimen- sono due bravi ragazzi che non sfug- tale alla francese. Ora, è anche vero gono le responsabilità e Umi a buon che Paris-Manhattan non intende diritto può entrare nel pantheon esibire ambizioni di originalità né miyazakiano delle ragazzine mature reinventare i codici del genere, di e piene di iniziativa. cui ripropone certi passaggi obbli- Un film delicato e disegnato nella gati secondo un meccanismo che migliore tradizione dello Studio rischia talora di apparire prevedibi- Ghibli, che in Italia è stato distribui- le e ripetitivo. E così se l’accattivan- to da Lucky Red con un lancio te cornice ambientale (la vicenda è

alquanto inedito. Una sola giornata calata nei quartieri alti di Parigi, 520 di proiezione in circa cento cinema abitati dalla ricca borghesia ebrai- italiani nella giornata del 6 novem- ca) ricorda assai da vicino i luoghi bre, quale anticipo della distribuzio- della mitologia urbana celebrati nel cineforum

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sue pellicole, come mentore e maestro ghiozzo, sommerso da un paesaggio di vita per la protagonista femminile) UN’ESTATE DA GIGANTI filmato con campi lunghi che tende poteva risultare un saporoso omaggio quasi a sovrastare le vicende umane a Provaci ancora, Sam e al fulminan- Bouli Lanners dei suoi protagonisti. te umorismo verbale del Maestro Zak e Seth, due fratelli adolescenti, americano (il quale, oltre a prestare la Titolo originale: Les géants. Regia: si ritrovano nella casa di campagna sua voce inconfondibile, fa una breve Bouli Lanners. Sceneggiatura: Bouli di famiglia senza soldi e lasciati soli apparizione nel finale del film), ben Lanners, Elise Ancion. Fotografia: da una madre sempre più assente. presto lo svolgimento del racconto Jean-Paul de Zaeytijd. Montaggio: La loro monotonia quotidiana è conosce battute a vuoto, fratture stili- Ewin Ryckaert. Musica: The Bony interrotta grazie all’incontro con stiche, vertiginose cadute di ritmo. La King of Nowhere. Scenografia: Paul Dany, un ragazzo del luogo. Potreb- regia della Lellouche si rivela tituban- Rouschop. Costumi: Elise Ancion. be quasi essere un romanzo di for- te e senza scatti, incapace di sostenere Interpreti: Zacharie Chasseriaud mazione, scandito dalle musiche dei appieno quel tono di svagata gaiezza (Zak), Martin Nissen (Seth), Paul The Bony King of Nowhere. Alcune e lucidità leggera che era nelle inten- Bartel (Dany), Karim Leklou letture hanno sottolineato infatti la zioni. E così il film si accontenta di (Angel), Didier Toupy (Boeuf), Gwen vicinanza con lo spirito di avventura inanellare qualche stracca situazione Berrou (Martha), Marthe Keller di Huckleberry Finn di Mark Twain, comica inseguendo tonalità enfatiche, (Rosa). Produzione: Jacques-Henri ma Un’estate da giganti sembra pos- scivolando talora nello stucchevole Bronckart, Jani Thiltges, Carole Scot- sedere invece più lo spirito di una (Laura e il suo ragazzo che danzano ta per Versus Production/Haut et “fiaba nera”, in cui è accentuato il per strada festeggiando il loro anni- Court/Samsa Films/Arte France contrasto tra la dimensione più rea- versario), avventurandosi incauta- Cinéma/RTBF. Distribuzione: Miner- listica (la condizione dei protagoni- mente lungo sentieri drammatici fuori va/Atalante. Durata: 84’. Origine: sti) e quella più fantastica. registro (il ritratto sfocato dell’assil- Belgio/Francia/Lussemburgo, 2011. Lanners mostra, da una parte, una lante famiglia ebraica dell’eroina: la condizione di degrado (il cibo sca- madre di Alice che affoga nell’alcol il Si riparte da una macchina. Quasi duto), di abbandono, di devianza proprio oscuro malessere; la scoperta un segno di continuità con il prece- mentale, di adulti distanti che ten- dei passatempi libertini a cui si dedi- dente lungometraggio diretto dal dono a prevaricare su di loro. Dal- cano Pierre ed Hélène, e il conseguen- belga Bouli Lanners, Eldorado l’altra, invece, si assiste a delle te chiarimento tra le due sorelle). Road, dove un’automobile accom- mutazioni del corpo (il cambio del Persa nel suo mondo fantasticato, da pagnava il viaggio tra un rivendito- colore dei capelli), a improvvisi cui soltanto alla fine Victor saprà re d’auto d’epoca e il ladro che squarci di libertà (i tre sotto la piog- emanciparla per ricondurla alla vita aveva tentato di rubargliela. Dalle gia) e alla comparsa di figure positi- reale («I suoi sogni sono banali. La traiettorie on the road di quel film, ve (la donna che li porta a casa sua realtà può offrirle di meglio», lui le si passa invece dal luogo definito, e suona il piano, quasi inquadrata assicura), Alice sembra avere compre- quasi invalicabile di Un’estate da come un’apparizione, forse emana- so ben poco del cinema di Woody giganti. Qui il veicolo procede a sin- zione della fata di Pinocchio). Allen, verso cui pure esibisce un’am- mirazione fanatica (è ancora Victor a parlarle del cupo pessimismo che sostiene l’umorismo amaro del regista newyorkese). C’è da supporre che anche la Lellouche abbia tratto assai scarso giovamento dalla lezione dei grandi maestri della commedia classi- ca, che pure lei dice di aver studiato con somma diligenza («Ho frequenta- to assiduamente la Cinémathèque»). Di fatto, da un’opera come Paris- Manhattan non sembra emergere un’idea di cinema, un autentico pro- getto di messa in scena, un talento autoriale. Non c’è da farsene necessa- riamente un cruccio. La Lellouche

520 potrà sempre venire a girare i suoi film in Italia.

Nicola Rossello cineforum

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Non ha mezze misure, Un’estate da tragico companatico di adulti, chi giganti. Incanta e respinge, avvolge ACCIAIO irrisolto chi senza l’ombra di un in un paesaggio fatto di campi di minimo senso di paternità/materni- granturco, boschi e fiumi, e poi si Stefano Mordini tà, con i quali si interfacciano poco e lascia andare a un’eccessiva defor- male. mazione dei caratteri che potrebbe Regia: Stefano Mordini. Soggetto: Diviso in due, un po’ inspiegabil- richiamare anche la tentata ricerca Giulia Calenda, Stefano Mordini, mente visti i risultati, il film di Mor- della selvaggia fisicità del cinema di dal romanzo omonimo di Silvia dini regge bene la prima parte dove Bruno Dumont (in questo caso Avallone. Sceneggiatura: Giulia le due acerbe e aspre ragazzine se la soprattutto L’età inquieta), ma Calenda, Stefano Mordini, Silvia cavano egregiamente mostrando soprattutto la vena grottesca del Avallone. Fotografia: Marco Onora- con un pizzico di sano compiaci- duo Benoît Delépine-Gustave Ker- to. Montaggio: Jacopo Quadri, mento il proprio corpo sbarazzino – vern, la coppia di cineasti con cui Marco Spoletini. Musica: Andrea mentre il regista sembra indugiare Bouli Lanners ha lavorato come Mariano. Scenografia: Luciano Ric- nel farci sbirciare e qualche movi- attore in Louise-Michel e Mammuth ceri. Costumi: Ursula Patzak. Inter- mento di macchina scivola verso lidi (oltre a recitare anche nell’ultimo preti: Michele Riondino (Alessio), non proprio necessari – le tappe fon- Audiard di Un sapore di ruggine e Vittoria Puccini (Elena), Anna Bel- damentali dell’evoluzione umana ossa e in Kill Me Please e Niente da lezza (Francesca), Matilde Giannini con il ciclico alternarsi di sogno e di dichiarare?). Lo spacciatore col (Anna), Massimo Popolizio (Artu- cadute («Toccava il cielo con un dito casco in testa sembra infatti arriva- ro), Francesco Turbanti (Mattia), e sanava le ferite con la rivoluzione», re direttamente dal personaggio di Monica Brachini (Sandra), Luca Rino Gaetano, I miei sogni d’anar- Gérard Depardieu di Mammuth. Guastini (Cristiano). Produzione: chia). Certo, qualche sviluppo butta- Certo, Un’estate da giganti ha il Carlo Degli Esposti per to qua e là meriterebbe forse miglior merito di discostarsi da quella visio- Palomar/Rai Cinema. Distribuzio- sorte (il rapporto pseudo-lesbo con ne adolescenziale un po’ nostalgica, ne: Bolero. Durata: 95’. Origine: Ita- un’amica delle due, risolto troppo un po’ arrabbiata, un po’ cinefila lia, 2012. velocemente e senza la necessaria presente in tanto bel cinema france- profondità psicologica) così come se (su tutti i film di Céline Sciam- Ragionare con la testa, evitare di alcune scelte narrative poco credibi- ma), ma fa anche sentire forzata farlo con la pancia perché Acciaio è li (la deriva da lap-dancer che pren- quella ricerca di grazia che va oltre la classica pellicola che rischia di de una delle due ragazzine, senza una rappresentazione dove si sente esser letta più con la seconda che che vi sia praticamente alcuna inter- il respiro, il dolore, il movimento, la con la prima. Quindi, prima di tutto, ferenza da parte degli adulti: stiamo ripetizione che invece segnano spes- una doverosa premessa: un plauso a sempre parlando di una quattordi- so l’opera dei connazionali fratelli Mordini e alla produzione Palo- cenne!). Dardenne e che, sotto questo punto mar/Rai Cinema per aver riportato Eppure tutto, anche le esagerazioni, di vista, aveva raggiunto la massima al cinema la classe operaia, che dal concorrono nel delineare se non fedel- compiutezza in Rosetta. Paradiso in poi ha perso pratica- mente ma con efficacia una tendenza In alcuni casi, e questo può essere mente tutto, compresa la possibilità segno della crescita ma anche del di esser rappresentata. Ecco, i con- limite di Lanners al suo terzo lungo- venevoli però finiscono qui. metraggio da regista, si ha l’impres- Stefano Mordini, documentarista di sione che il film tenda troppo a sof- lungo corso, torna al lungometrag- fermarsi sui volti, quasi come deri- gio di fiction sette anni dopo l’imba- vazioni dal cinema di Kaurismäki. razzante Provincia meccanica con In più si lascia andare a precise una storia che, fin dal titolo, ne composizioni troppo elaborate come richiama alla mente l’essenza.Tratta le nuvole che si riflettono dal fine- dall’omonimo bestseller di Silvia strino dell’auto e la “U” rovesciata Avallone, Acciaio racconta di una disegnata dalla macchina sul provincia industriale e inquinata campo. L’ispirazione comunque c’è, come quella di Piombino, città è autentica anche se, come si è visto, dominata dalle ciminiere dell’indu- intralciata da tanti piccoli ma fasti- stria e dal colorito perennemente diosi ostacoli. Il riscatto definitivo è plumbeo del pulviscolo, dove due lì nel finale. L’ombra della madre quattordicenni si muovono come

(Marthe Keller) a quel punto è defi- schegge impazzite alla ricerca di una 520 nitivamente scomparsa. risposta a nessun quesito. Su di loro incombe un futuro plumbeo come il Simone Emiliani cielo della propria città nonché il cineforum

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al bruciarsi di un’intera generazione. L’adolescenza frustrata e ingenua di Francesca e Anna, che vivono con pas- sione l’ineluttabile sconfitta che il fato prescrisse loro (da Piombino succur- sale dell’Inferno non si scappa), è il centro focale del film finché Mordini non decide di portare alla luce quel mondo fatto di adulti che prima era nella penombra di un universo che fa già meglio senza di loro. Ma le para- bole di Alessio (operaio), dei suoi amici e della ex (una stralunata Vitto- ria Puccini) portano in dono con sé vaghi tentativi di ridare fiato a tutta una serie di tematiche impegnate (dalla lotta di classe al mal de vivre, passando per le pene d’amor) con la consapevolezza di trasformare un onesto film di sturm und drang adole- scenziale in un mélo con pretese sociali sfilacciato e frammentato. Ecco tornare quindi in tutto e per Dickens. Sceneggiatura: David te su «All the Year Round» tra il tutto i difetti della prima fatica di Nicholls. Fotografia: John Mathie- 1860 e il 1861, non deve trarre in Mordini: la pretesa di universalità, son. Montaggio: Tariq Anwar. Musi- inganno. La verità è che il soggetto l’horror vacui musicale che costringe ca: Richard Hartley. Scenografia: mal si presta: quasi impossibile il regista ad accompagnare ogni scena Jim Clay. Costumi: Beatrix Aruna rimanere fedeli alla struttura narra- con un commento sonoro a tratti più Pasztor. Interpreti: Jeremy Irvine tiva originaria senza sacrificare che invadente. Non è quella musicale (Pip), Holly Grainger (Estella), qualcosa di importante. Anche il una scelta, per fortuna, che tende a Helena Bonham Carter (miss Havi- film di Mike Newell (Quattro matri- enfatizzare un momento piuttosto che sham), Ralph Fiennes (Magwitch), moni e un funerale, Donnie Brasco, un altro, alla ricerca di chissà quale Olly Alexander (Herbert Pocket), Harry Potter e il calice di fuoco), emozione da far rivivere allo spettato- Jason Flemyng (Joe Gargery), Rob- messo a punto in occasione del re, perché Acciaio è un film che scivo- bie Coltrane (Jaggers), David Wal- bicentenario della nascita dello la sottotraccia, senza lambiccarsi in liams (lo zio Pumblechook), Tamzin scrittore inglese, non si sottrae a un susseguirsi di scene madri. Anzi, il Outhwaite (Molly), Sally Hawkins questo rischio. Si dirà: succede per meglio di sé la pellicola lo dà quando (la signora Joe), Ewen Bremner quasi tutti libri trasferiti sul grande si allontana un attimo dalla volontà (Wemmick), Jessie Cave (Biddy), schermo. D’accordo. In questo caso, “diegetizzante” che la pervade, in una Ben Lloyd-Hughes (Bentley Drum- però, lo scarto potenzia le ragioni scena densa di attimi sospesi nella mle), Toby Irvine (Pip da piccolo), della letteratura e indebolisce, di quale fratello e sorella si avvicinano Helena Barlow (Estella da piccola), parecchio, quelle del cinema. veramente con la scusa di far guidare Charlie Callaghan (Herbert Pocket Non potendo infatti comprimere la macchina per la prima volta alla da piccolo), Bebe Cave (Biddy da dentro la cornice filmico-temporale ragazzina. Ma non basta a togliere il piccola),William Ellis (Compeyson), la complessa e ondivaga trama del sapore di un’occasione perduta. Ralph Ineson (il sergente). Produ- romanzo, Newell, con la complicità zione: David Faigenblum, Elizabeth dello sceneggiatore David Nicholls Lorenzo Leone Karlsen, Emanuel Michael, Stephen (l’autore di One Day), non solo eli- Woolley, Laurie Borg per BBC mina vari personaggi secondari, Films/Lipsync Productions/Num- come Orlick, il malvagio assistente ber 9 Films/Unison Films. Distribu- del fabbro Joe, ma ricorre a numero- GRANDI SPERANZE zione: Videa-CDE. Durata: 128’. Ori- se ellissi, tagli diegetici, fino a inven- gine: Gran Bretagna/USA, 2012. tariare, soprattutto nella parte cen- trale, una quantità eccessiva di Mike Newell Il fatto che nella storia del cinema, informazioni e snodi narrativi. La

520 dal 1917 a oggi, siano diventate sensazione di un accumulo mal Titolo originale: Great Expecta- ormai più di dieci le trasposizioni di gestito è abbastanza palese. tions. Regia: Mike Newell. Soggetto: Grandi speranze, il capolavoro di In effetti, a differenza della voce dal romanzo omonimo di Charles Charles Dickens pubblicato a punta- fuori campo del “Pip-Dickens”utiliz- cineforum

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zata da David Lean, regista nel spettatore sia disposto ad ascoltare. ne: Officine Ubu. Durata: 89’. Origi- 1946 della versione forse più riusci- Le orecchie di Pip rimangono sorde. ne: Italia/Francia, 2012. ta, qui lo stratagemma per non far “Cavaliere di una favola infantile”, perdere allo spettatore il filo della innamorato perdutamente della sua Che dire del tanto contestato film di storia si fa più meccanico e postic- antica compagna di giochi, non sop- Franchi, il suo terzo lungometrag- cio, e i necessari plot-point si riduco- porta l’idea che proprio Estella gio? Quali aspetti considerare, quel- no a ricognizioni fatte in flashback abbia giocato con il suo cuore, che li esteriori (il Festival di Roma e le prima dal tutore Jaggers e poi dal- non sia miss Havisham la benefat- reazioni di critica e pubblico alla l’ex galeotto Magwitch. trice, che tutto fosse già scritto. Noi proiezione oltre ai fischi e al con- Più efficaci gli accorgimenti formali abbiamo cominciato a supporlo fin traddittorio in conferenza stampa, e e stilistici, a tratti veri guizzi che da subito, Pip no. Non può ma poi i premi, miglior regia e interpre- vivificano una messa in scena fin soprattutto non vuole. tazione femminile, e per finire il troppo preoccupata di apparire son- Cogliendo un dato incontrovertibile, ricorso cautelare della vedova di tuosa ed elegante: in una Londra gran parte della critica ha ravvisato Martino), o quelli più strettamente scura, piena di anfratti, tutta mate- in questa versione di Grandi speran- relativi all’opera? ria, carne e sangue, vediamo scende- ze un eccesso di sentimentalismo, a Saremmo tentati di glissare sul primo re dalla carrozza uno stupefatto Pip, discapito di una riflessione più alta aspetto della questione, che è tra l’al- in completo bianco, ricolmo di great sul destino degli uomini, sul cinismo tro quello che, paradossalmente, ha expetactions, autentico angelo in della società borghese e vittoriana. È dato visibilità al film molto più che se mezzo ai diavoli, deciso però a spor- proprio così. Anzi, la stessa figura di le polemiche non le avesse avute, ma carsi pur di rispettare il desiderio Estella, nel libro eroina romantica non possiamo esimerci dal fare alcune dell’ancora ignoto benefattore: che governa fin dall’inizio le scelte di considerazioni la prima delle quali dimenticare la condizione di povero, Pip, nel film appare evanescente e verte sul rispetto che qualunque opera di orfano e diventare finalmente un fuggevole, più motore immobile della e dunque ogni persona che in essa si gentiluomo. storia che personificazione vibrante mette in gioco, che sia il regista o un Un uso contrastivo e ben studiato dei di un destino al quale si è deciso di attore, deve meritare e anche, dicia- colori e dei cromatismi, dunque, che andare incontro a tutti costi. molo, qualunque tema e qualunque si applica non solo ad altri personag- genere di film. Perché l’erotismo al gi del film (il blu e il viola dei vestiti Riccardo Lascialfari cinema non è meno interessante di di Estella che ravvivano le buie stan- altri argomenti, e il film erotico quin- ze del castello di miss Havisham) ma di, d’autore o meno e ci si perdoni che si estende anche agli ambienti e questa distinzione, non è per defini- ai paesaggi, fino a caricarli emotiva- E LA CHIAMANO ESTATE zione meno interessante o meno nobi- mente di un significato speciale: ele- le di un altro genere cinematografico, menti della natura come l’acqua e il indipendentemente da quello che o da sole, la stessa atmosfera serena e Paolo Franchi quanto il registra mostra; quello che riposante della campagna inglese alla fa la differenza è il modo che egli ha di quale il protagonista fa ritorno dopo Regia e soggetto: Paolo Franchi. “mostrare”, e il significato che sta die- che tutte le ambizioni sono svanite, Sceneggiatura: Paolo Franchi, tro a questo “modo”. rimanda a un anelito di grembo Daniela Ceselli, Rinaldo Rocco, Hei- materno, accogliente e sicuro, che il drun Schleef. Fotografia: Cesare giovane Pip non ha sperimentato a Accetta, Enzo Carpineta. Montag- sufficienza e al quale si sente inesora- gio: Alessio Doglione, Paolo Fran- bilmente richiamato. chi. Musica: Philippe Sarde. Sceno- Newell azzarda, ma senza crederci grafia: Gian Maria Cau. Costumi: troppo, una costruzione dramma- Alessandro Lai. Interpreti: Isabella turgica sapiente e meditata, semi- Ferrari (Anna), Jean-Marc Barr nando qua e là tracce, indizi che (Dino), Luca Argentero (Alessan- alludono al destino infausto di Pip. dro), Filippo Nigro (lo scambista), Gli ammonimenti escono addirittu- Eva Riccobono (la prostituta sfre- ra, espliciti, dalla bocca dei tanti giata), Anita Kravos (l’altra prosti- personaggi che popolano il film tuta), Jean-Pierre Lorit (l’ingegner («Un giorno le vostre strade si incro- Laudani), Christian Burruano ceranno» gli dice Miss Havisham; (l’amante giovane di Anna), Mauri-

«Ma non hai ancora capito?», lo rim- zio Donadoni (Carlo), Romina Car- 520 provera Estella; «Hai creduto a risi (Chiara). Produzione: Nicoletta quello che hai voluto», lo sgrida Jag- Mantovani per Produzione Pavarot- gers), eppure sembra che solo lo ti International 23 Srl. Distribuzio- cineforum

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Le altre considerazioni sarebbero dalla lettura reiterata di una lettera dall Lampkin. Fotografia: Peter sull’uso strumentale della polemica, ad Anna che Dino alla fine brucerà, Holland. Montaggio: Ben Callahan. sul valore pubblicitario della stessa, e che ci fa capire molto della sua Musica: Paul Haslinger. Scenogra- sui possibili modi di reagire a pole- “stanchezza”, più psicologica che fia: Guy Barnes. Costumi: Miye miche di questo tipo da parte di chi esistenziale, e del senso di vuoto che Matsumoto. Interpreti: Cam Gigan- ne è il bersaglio, sui ricorsi fatti con- lo attanaglia. det (Stunner), Xzibit (Mule), tro opere non viste sulla base di quel- Spesso questi morceaux sono divisi Kathleen Robertson (Vivian), Anson lo che i giornali ne hanno scritto, sul da stacchi neri, altre volte per “cam- Mount (Cherry), Freddy Rodríguez tema della sessualità e su come essa biare la scena”e dare una pausa allo (Trench), Kenneth Miller (Sauce), oscuri in certi casi ogni altro conte- spettatore viene usata la dissolvenza William Fichtner (Guidry), Mo Gal- nuto, su quanto essa condizioni su bianco, e il bianco (quello abba- lini (Ziad), Eddie Kaye Thomas anche la critica, che sui quotidiani si gliante degli interni) e il nero (il (Christian), Jenny Gabrielle (Tricia), è schierata decisamente a favore o mare notturno soprattutto) o il chia- Lora Martinez-Cunningam (Torres), decisamente contro il film in relazio- roscuro sono i due poli su cui gioca Kristen Rakes (l’analista della CIA), ne a considerazioni molto esteriori simbolicamente il film, il bene e il Alma Sisneros (la ragazza di sul tema che tratta, sui premi dei male, il vuoto e il pieno, i due tipi di Trench). Produzione: Nicolas Char- festival e sul loro valore, su cosa donna nell’impossibilità di trovarne tier, Zev Foreman, Tony Mark, John significhi fare un film “coraggioso”, una che lo sia a tutti gli effetti, senza N. Ward per Voltage Pictures/The sui finanziamenti pubblici ai film e rappresentare la madre amata-odia- Weinstein Company. Distribuzione: sugli aspetti produttivi, e su quanto ta che abbandona e che però viene Koch Media. Durata: 101’. Origine: la politica influenzi la ricezione di idealizzata o la donna-oggetto USA, 2012. un’opera, anche in senso critico. degradata da sfruttare… E questo è Più interessante ci sembra però rappresentato prevalentemente in La tempistica della distribuzione ha occuparci del film, a partire da una interni, con una fotografia curata, messo curiosamente il film di John domanda: cosa intendeva fare Fran- con dialoghi essenziali e con la Stockwell a diretto confronto con chi? Più che una storia di sesso o un musica sognante di Philippe Sarde, Argo di Ben Affleck, un lavoro col “porno d’autore” com’è stato impro- come di sogni (raccontati) è costella- quale ha più di un punto di contat- priamente definito, il film ci sembra ta quest’opera dal chiaro taglio psi- to. Entrambi incentrati su dei raid in la storia di una profonda solitudine, coanalitico, lenta e sofferta. Medio oriente organizzati dalla CIA, quella del protagonista, e del grande È interessante il tentativo di ricerca hanno somiglianze di struttura (la amore che egli prova per la sua del regista, in cui convivono i riferi- costante alternanza tra le stanze donna, Anna, che non riesce ad avvi- menti ad Antonioni, al cinema fran- della sede centrale della CIA e i luo- cinare sessualmente (quello che in cese degli anni Sessanta e ad autori ghi dell’operazione; il processo deci- conferenza stampa ha fatto imbe- di oggi come Guadagnino, altrettan- sionale in cui una soluzione minori- stialire Franchi, la definizione di to freddo e rigoroso nella messinsce- taria diventa prevalente; l’improvvi- «impotenza secondaria situazionale» na; ma è poco compiuto, poco riusci- sa accelerazione delle operazioni o selettiva, è clinicamente esatto e to. C’è infatti una certa meccanicità dettata dalle coperture che saltano; del resto il regista ha dichiarato di nei dialoghi, alcune situazioni sono il mercato affollato è, in entrambi i essersi ispirato a un caso riportato scontate, e la ricerca formale rischia casi, il luogo dove gli agenti sotto dalla rivista della Società Psicanali- di sfociare in estetismo fine a se stes- copertura si rivelano vulnerabili) e – tica Italiana), oltre che del dolore so. Ed è un peccato, specie conside- particolare non secondario, in un legato al pensiero della sofferenza rando i due film precedenti del regi- certo senso rivelatore dei riflessi che lei può per questo provare e sta, il primo in particolare, e il fatto condizionati di uno sceneggiatore dello sfogo nel sesso compulsivo che che la volontà di innovare c’è. hollywoodiano, dei “dizionari” tema- lui mette in atto con altre donne, tici ai quali attinge per elaborare le fino alla decisione del suicidio. Paola Brunetta proprie storie – entrambi fanno Il film ha una struttura circolare, ricorso allo stesso contrappunto comincia cioè e finisce con il mare tematico alla vicenda principale. notturno e illuminato dalla Luna nel Se il terrorismo evoca la rottura con quale Dino si butterà alla fine, e pro- l’ordine e con le più solide certezze cede per momenti di racconto retro- CODE NAME: GERONINO della vita quotidiana, in contrappo- spettivo intervallati dagli inserti di sizione a esso è la famiglia, fonda- amici e conoscenti che, supportati mento di questo ordine, che viene da foto, ricordano alcuni momenti John Stockwell messa in primo piano: in entrambi i

520 della vita del protagonista e, da film, la storia della preparazione e metà film in poi, ci fanno capire che Titolo originale: Seal Team Six: The dell’esecuzione del raid si alterna al non è più in vita e che la morte è Raid on Osama Bin Laden. Regia: motivo della coppia e della famiglia. dovuta a un suo gesto; e intervallati John Stockwell. Sceneggiatura: Ken- I protagonisti hanno un matrimonio cineforum

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che attraversa una fase difficile (tele- scelta non c’è tanto una riflessione Code Name: Geronimo sfrutta, fur- fonate senza risposta, senso di soli- sull’esperienza della guerra, sulla bescamente, l’interesse per avveni- tudine e dubbi sul futuro: in entram- “realtà” e la “verità” (alla Redacted, menti ancora al centro del dibattito bi i film si trova, ad esempio, l’in- su cui si veda l’articolo di Lorenzo pubblico (americano) e sui quali quadratura delle dita che tormenta- Donghi su «Cineforum» n. 517), restano interrogativi aperti (negli no incerte la fede nuziale), a espri- quanto, al contrario, un intento spet- USA il film, destinato al consumo mere una crisi che tocca i fonda- tacolare: cercare di mettere lo spetta- televisivo, è stato diffuso due giorni menti della vita di un individuo. tore il più possibile “all’interno” del- prima delle presidenziali, facendo Rilevate queste similitudini, però, la l’azione, rendendolo adrenalinica- pensare all’apparizione finale di qualità di realizzazione delle due mente partecipe (in questo senso, si Barack Obama che annuncia la riu- opere non potrebbe essere più diver- potrebbe dire che Code Name: Gero- scita della missione come a un espli- sa: se il film di Affleck è un buon nimo assomigli a un film di tutt’altro cito sostegno alla sua candidatura). prodotto medio, capace di unire genere dello stesso Stockwell, Blue Proposto al cinema mostra tutte le suspense e spunti di commedia, Crush, che, con le sue inquadrature sue debolezze (povertà di mezzi e quello di Stockwell è un lavoro fret- soggettive delle surfiste all’opera tra semplificazione narrativa), rivelan- toloso e poco avvincente. Le imma- le onde, voleva farci sentire in mezzo dosi come un instant movie che dice gini delle azioni di guerra sono fre- all’azione). Ma se questo era l’obiet- poco o nulla sia dal punto di vista quentemente restituite attraverso le tivo, il risultato è però deludente, dello spettacolo che da quello del- riprese di telecamere montate sugli visto che, alla prova dei fatti, si risol- l’analisi politica. elmetti dei soldati in missione. In ve in una sequela di immagini a questa scelta si avverte forse l’inten- bassa definizione che riducono la Rinaldo Vignati zione di rendere evidente la distin- spettacolarità di queste azioni. zione tra il momento della decisione D’altra parte, il quadro politico- (riservata agli agenti, che osservano decisionale dell’amministrazione dai loro schermi nella sede centrale americana viene drasticamente sem- e che impartiscono i comandi a plificato: lo scontro sembra giocarsi DI NUOVO IN GIOCO distanza) e quello dell’esecuzione (i solo tra due giovani e ambiziosi con- soldati sul campo), così da trasfor- sulenti, in una rivalità che ha molto mare i soldati in omini di un video- di personale. Viene così lasciata del Robert Lorenz gioco, manovrati da altri e privi di tutto in ombra la complessità delle volontà (al centro del film c’è – non reali dinamiche che hanno portato a Titolo originale: Trouble with the a caso – una breve scena in cui i pro- una decisione carica di rischi e di Curve. Regia: Robert Lorenz. Sceneg- tagonisti giocano a un videogame incertezze come quella di compiere giatura: Randy Brown. Fotografia: bellico) e problematizzare dunque la il raid nel presunto rifugio del capo Tom Stern. Montaggio: Joel Cox, questione delle scelte di un militare. di Al Qaeda e non vengono esplora- Gary Roach. Musica: Marco Beltrami. A questo spunto rimane un’intenzio- te le fazioni di potere che in una Scenografia: James J. Murakami. ne che si può intuire, ma che non rie- decisione simile si sono scontrate e Costumi: Deborah Hopper. Interpreti: sce a essere sviluppata. In questa le loro motivazioni. Clint Eastwood (Gus), Amy Adams (Mickey), Justin Timberlake (Johnny), John Goodman (Pete Klein), Matthew Lillard (Philip Sanderson), Robert Patrick (Vince), Jay Galloway (Rigo Sanchez), Tyler Silva (Carlos San- chez), Norma Alvarez (Grace San- chez), Chelcie Ross (Smitty), Ray- mond Anthony Thomas (Lucious), Ed Lauter (Max), Scott Eastwood (Billy Clark), Julia Walters (Mickey da pic- cola). Produzione: Clint Eastwood, Robert Lorenz/Michele Weisler per Malpaso Productions/Warner Bros. Pictures. Distribuzione: Warner Bros. Durata: 111’. Origine: USA, 2012.

Gus Lobel lavora da decenni per la 520 squadra di baseball degli Atlanta Braves. Il suo mestiere consiste nello scovare nuovi giocatori: deve cineforum

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Eastwood ripete un copione inter- pretato mille volte, mentre Amy Adams e Justin Timberlake fanno il possibile, compressi in personaggi a una sola dimensione. Ciò che manca a Di nuovo in gioco è la capacità – o meglio, la volontà – di spiazzare, di sorprendere, di cam- biare registro. Il film è incanalato lungo binari prevedibili, senza uno scarto psicologico o una giravolta narrativa. Eastwood, che è stato capace di ritrarre personaggi in feroce contra- sto con il proprio tempo, qui sembra seguire l’istinto senza affidarsi alla complessità. Sono lontani gli umori nerissimi del Frankie Dunn di Mil- lion Dollar Baby, in cui non era pen- sabile una consolazione predestina- capire se le giovani promesse che ne dell’eroe. Una struttura classica ta (anzi la rivalsa personale era cerca fin nei più isolati campetti che non riesce però a nascondere segnata da un ineluttabile dolore), o delle periferie americane possiedo- l’ovvietà della storia raccontata e la lo scontroso umanesimo del Walt no il talento necessario per trasfor- prevedibilità dei suoi esiti. Kowalski di Gran Torino, che man- marsi in campioni. Gus sta invec- Dal punto di vista sportivo Di nuovo teneva zone d’ombra dietro l’appa- chiando, la sua vista peggiora, i in gioco è una risposta conservatrice rente e conciliatoria conversione malanni avanzano e la dirigenza è e moralista a Moneyball, il film di morale del finale. incerta se seguire le illuminazioni Bennett Miller scritto da Aaron Sor- Qui la primaria necessità degli auto- granitiche dell’anziano dinosauro o kin che ha usato la metafora del ri sembra proprio la negazione di servirsi di metodi più in linea con i baseball per analizzare spietatamen- ogni conflitto, il ricongiungimento tempi. L’unica persona che può aiu- te i meccanismi della società ameri- (enfatico e assoluto) di affetti e valo- tarlo a mantenere il lavoro e ritro- cana. Lì l’introduzione di una valu- ri senza neppure quel sapore agro- vare la fiducia dei suoi capi è la tazione statistica dei giocatori met- dolce presente anche nelle prove figlia Mickey, con cui i rapporti teva in crisi un sistema basato sulla meno convincenti della recente fil- sono deteriorati e sopravvivono in forza economica – le squadre ricche mografia eastwoodiana. Di nuovo in un clima di afasica distanza. comprano i migliori – che non pote- gioco è un prodotto convenzionale, Di nuovo in gioco parte da premes- va essere cambiato dai vecchi osser- in cui il regista sembra nascondersi se tipicamente eastwoodiane: l’uo- vatori, oracoli onniscienti che pre- dietro il corpo/icona di Eastwood – mo ormai appassito che non perde tendono di sentenziare sulle qualità con la sua complicità – senza sfiora- convinzione nella giustezza dei pro- degli atleti. re nessuna delle sue ragioni profon- pri mezzi, le difficoltà dei rapporti In Di nuovo in gioco quella mentali- de di uomo e cineasta. familiari – soprattutto quelli tà rivoluzionaria (anche se perden- padre/figlia – che divengono stru- te) è vista come forza turbativa di Federico Pedroni mento di catarsi, la contrapposizio- una visione quasi sacerdotale dello ne tra un mondo antico fondato sui sport. Le regole d’ingaggio sono valori e un mondo moderno basato quelle della tradizione, gli innovato- su avidità e mancanza di scrupoli, la ri sono squali accecati dal profitto e lealtà e l’intuito – oltre alla solidità dall’avidità di vittoria, ogni poten- TROPPO AMICI morale – come espressioni dello spi- ziale conflitto è evitato con cura; il rito creativo americano. risultato è una narrazione consape- PRATICAMENTE FRATELLI Eastwood ha costruito il progetto vole ma pigra e un po’ asettica. del film, l’ha prodotto e interpretato La regia di Lorenz – che cerca di Olivier Nakache, Eric Toledano affidando la regia a Robert Lorenz, ricalcare lo stile eastwoodiano senza assistente e produttore dei suoi film. intuirne lo spirito nervoso e a volte Titolo originale: Tellement proches.

520 La sceneggiatura di Randy Brown anticonformista – è corretta ma Regia e sceneggiatura: Olivier segue uno schema collaudato: pre- senza guizzi, con un senso del ritmo Nakache, Eric Toledano. Fotografia: sentazione dei personaggi, descrizio- piuttosto balbettante. Gli attori fun- Rémy Chevrin. Montaggio: Dorian ne dei conflitti, caduta e resurrezio- zionano senza entusiasmare: Rigal-Ansous. Musica: Frédéric Tal- cineforum

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gorn. Scenografia: Hervé Gallet. comportamenti), su una comicità Costumi: Caroline de Viviaise. Inter- che attinge a un repertorio variega- preti: Vincent Elbaz (Alain), Isabelle to, che spazia dal farsesco al carica- Carré (Nathalie), François-Xavier turale – e più avanti si coglieranno Demaison (Jean-Pierre), Audrey schegge di stanco umorismo ebrai- Dana (Catherine), Omar Sy (Bruno), co (le scene nella comunità israeliti- Joséphine de Meaux (Roxane), Jean ca), indigesti lacerti bollywoodiani Benguigui (Prosper), Max Clavelly (le sequenze con gli immigrati (Lucien), Lionel Abelanski (Charly), pachistani) –, anche se poi il respiro Renée Le Calm (la signora Grimpe- esagitato e dissonante dell’avvio rai), Talina Boyaci (Gaëlle), Lizzie della narrazione richiama alla Brocheré (Clara), Arsène Mosca memoria certa commedia di costu- (Patrice), Laurence Février (Colet- me di produzione francese, la quale, te), Jean-Pierre Calmi (Étiennne), a sua volta, si nutre degli umori Laurentine Milebo (Fatou). Produ- scanzonati della commedia all’ita- zione: Nicolas Duval-Adassovsky, liana d’antan. Yann Zenou per Quad Produc- Attraverso l’incipit che precede i tions/Studio 37/Mars Films/TF1 titoli di testa (dove si misura l’im- Films Production. Distribuzione: maturità di Alain) e la scena della Moviemax. Durata: 102’. Origine: cena a casa del cognato (dove cia- Francia, 2009. scuno degli ospiti ha modo di esibi- te, in un sentimentalismo populista re il peggio di se stesso) si viene a di basso conio. Dopo il clamoroso successo di Quasi delineare uno spazio famigliare per- La parte conclusiva descrive il ritor- amici (Intouchables, 2011) – un film cepito come un universo chiuso, no dei protagonisti all’ovile dome- indubbiamente accattivante, dove regressivo (l’attaccamento morboso stico. E qui si coglie un’ulteriore però una messa in scena di spavalda fra i tre fratelli), e al tempo stesso caduta di stile (e di tensione). Il film scaltrezza non sempre sapeva elude- come una trappola soffocante, la rinuncia a ogni intenzione comica, re le insidie della demagogia spiccio- stessa da cui nel proseguo del rac- sacrifica il necessario e salutare la, scivolando talora in quel vieto conto Catherine, Nathalie e Jean- distacco umoristico, per inseguire la repertorio di luoghi comuni da cui, Pierre prenderanno (provvisoria- commozione facile, la tenerezza zuc- per contro, Philippe e Driss, i prota- mente) le distanze per aprirsi al cherosa, la retorica insipida dei gonisti della storia, non cessavano diverso, dando il via a un percorso buoni sentimenti. L’epilogo prevede, mai di farsi beffe attraverso la loro di scoperta e conoscenza dell’altro come da tradizione, la ricomposizio- incontenibile e disinibita clownerie (il pachistano, l’ebreo, il delinquen- ne dei dissidi attraverso il meccani- –, è passato in televisione anche tello della banlieue) che conserva smo rassicurante e normalizzante Primi amori, primi vizi, primi baci tuttavia qualcosa di macchinoso e dell’happy end: quello che il pubbli- (Nos jours heureux, 2006), ispirato inconcludente. co del sabato sera si attende da una alle esperienze nelle colonie estive Toledano e Nakache hanno forse commedia che vuole essere innanzi dei due cineasti: un’operina diligen- presunto troppo da se stessi lancian- tutto una pellicola “simpatica”, inof- te ma nulla di più (la regia era senza dosi, incautamente, su un terreno fensiva, “per famiglie” – che si con- nerbo, il copione poco rifinito). scivoloso, a loro poco congeniale clude, non a caso, con un inno Troppo amici (Tellement proches, («Dal momento dello schiaffo, cam- melenso alla sacralità dei legami del 2009) è il terzo lungometraggio del bia tutto. Si passa dalla commedia sangue. duo Toledano/Nakache (il loro film pura a un soggetto più profondo. d’esordio, Je préfère qu’on reste Tutte le storie si fanno più comples- Nicola Rossello amis, è da noi inedito) e giunge ora se»). E così, se da un lato non ci ven- sugli schermi italiani a confermare gono risparmiati i consueti cliché perplessità e dubbi circa l’effettivo sociali (il pregiudizio razziale di cui talento della coppia su cui qualcuno è fatto oggetto Bruno, il medico di VENUTO AL MONDO era giunto a spendere elogi forse colore che tutti scambiano per un troppo arrischiati e prematuri. infermiere), dall’altro i due cineasti La parte iniziale del film, felicemen- non riescono a mantenere la narra- Sergio Castellitto te risolta, propende all’iperbole, zione sul piano di uno svolgimento all’esasperazione parossistica, coerente e convincente. Nella secon- Regia: Sergio Castellitto. Soggetto:

costruita com’è sull’accumulo e sul- da parte del film la regia opta per un dal romanzo omonimo di Margaret 520 l’iterazione (di personaggi, trovate percorso convenzionale affidandosi Mazzantini. Sceneggiatura: Marga- comiche, scontri verbali), sulla fre- a soluzioni narrative e formali pre- ret mazzantini, Sergio Castellitto. nesia (ritmo sussultante, isteria di vedibili e scivolando, inevitabilmen- Fotografia: Gian Filippo Corticelli. cineforum

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questo contesto bellico finisca per suonare forzato e pretestuoso, al punto che non si capisce (anzi, non si sa) chi combatta contro chi, e per quali ragioni. Ne viene fuori un film completamente impotente e inerme rispetto ai vincoli del suo narrato, dove ogni personaggio deve necessariamente rivendicare la propria origine letteraria rac- contando una storia, un episodio, introducendo un lungo flashback o appoggiandosi a dialoghi inesora- bilmente scritti e inascoltabili; fino a un piccolo svelamento/colpo di scena finale, che però non turba più di tanto per la propria scorret- tezza: appunto perché in qualche modo coerente con tutto il resto del film. Montaggio: Patrizio Marone. Musi- un prodotto preconfezionato da Castellitto rimane ovviamente un ca: Eduardo Cruz. Scenografia: catena di montaggio (per la serie: ottimo attore, capace di mettersi Francesco Frigeri. Costumi: Sonu dal-libro-al-film), pieno com’è di in ombra quando necessario; il Mishra. Interpreti: Penélope Cruz tutti quegli elementi che sembrano suo alter ego regista purtroppo si (Gemma), Emile Hirsch (Diego), inseriti appositamente per attirare rivela l’esatto contrario, preoccu- Adnan Haskovic (Gojko), Pietro l’attenzione delle grandi platee pato com’è di dare a tutti i costi Castellitto (Pietro), Saadet Isil (internazionali e non, considerando una forma “esplicita”alla sua pel- Aksoy (Aska), Luca De Filippo i grandi incassi nelle sale italiane). licola. E così, Venuto al mondo è (Armando), Sergio Castellitto (Giu- Un film ricco di personaggi, situa- tutto un inseguire incessantemen- liano), Jane Birkin (la psicologa), zioni, spostamenti fisici e tempora- te la scena madre, un ricorrere Mira Furlan (Velida), Jovan Divjak li nel quale, nonostante tutto ciò, la ininterrottamente ai ralenti e ai (Jovan), Brank Djuric (il dottore), vera protagonista è la scrittura primi piani su attori sempre sopra Isabelle Adriani (la giornalista), della Mazzantini; così letteraria, le righe e mai credibili, un appog- Luna Mijovic (Danka), Igor Zoric così poco cinematografica, così giarsi a elementi preesistenti nel- (Bojan). Produzione: Sergio Castel- fedele al testo omonimo da appiat- l’immaginario per facilitare l’in- litto, Guido De Laurentiis, Roberto tire qualsiasi spunto e qualsiasi gresso degli spettatori nelle vicen- Sessa, Ornella Bernabei, Álvaro possibile apertura verso lidi più de mostrate: dall’entrata in scena Augustin, Ghislain Barrois, Fernan- aperti e liberi; soffocando di conse- di Emile Hirsch, strappata di peso do Bovaira, Simón de Santiago, guenza sia la Storia collettiva (il a Into the Wild, all’uso fin troppo Jaime Ortiz de Artiñao per Picome- conflitto serbo-bosniaco) che quella facile e prevedibile delle tante, dia/Alien Produzioni/Medusa privata dei suoi protagonisti. troppe canzoni in colonna sonora Film/Telecinco Cinema/Mod Pro- Quasi due film in uno, che però non (se un personaggio si dichiara ducciones. Distribuzione: Medusa. riescono mai a fondersi completa- appassionato di Kurt Cobain e dei Durata: 127’. Origine: Italia/Spa- mente: da un lato la guerra nei Bal- Nirvana, di lì a breve lo si vedrà gna, 2012. cani, dall’altro un viaggio (o necessariamente ballare sulle note meglio, un ritorno) verso un passa- di Something in the Way). Dopo una poco fortunata incursio- to ancora pieno di ombre e dolore. In questo programmatico susseguir- ne nella commedia, Sergio Castel- A Castellitto interessa fino a un si di eventi e tragedie, dove gli unici litto rientra prepotentemente nei certo punto raccontare cosa sia segni tangibili che il Tempo lascia ranghi per rifugiarsi di nuovo sotto successo, e perché, nell’ex Jugosla- sui corpi degli attori sono quelli del l’ala protettrice della moglie Mar- via dei primi anni Novanta, dato make-up, le emozioni sono troppo garet Mazzantini, replicando così il che il fulcro di Venuto al mondo è urlate per risultare spontanee: che grande successo di pubblico di Non certamente un altro: più nascosto, Sergio Castellitto voglia forse diven- ti muovere. Un’operazione molto più intimo, più umano; e questo va tare il nuovo Bille August? Con le

520 più impegnativa dal punto di vista bene, del resto siamo al cinema, migliori intenzioni, purtroppo, non produttivo, ma certamente più faci- non a scuola. sempre si fanno bei film. le e immediata su quello artistico: Peccato però che, dinanzi al risul- Venuto al mondo nasce così come tato compiuto, l’inserimento di Giacomo Calzoni cineforum

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I MIGLIORI DEL 2012 Secondo i collaboratori di Cineforum

Sergio Arecco: AMOUR, C’ERA UNA VOLTA IN ANATOLIA, Carlo Chatrian: TABU (Miguel Gomes, Berlino), AMOUR, STU- IO E TE, PIETÀ, IL SOSPETTO DENT (Darezhan Omirbayev, Cannes), HOLY MOTORS (Cannes), J. EDGAR Elisa Baldini: COSMOPOLIS, REALITY, TAKE SHELTER, MOONRISE KINGDOM – UNA FUGA D’AMORE, KILLER JOE Roberto Chiesi: UN SAPORE DI RUGGINE E OSSA, BELLA ADDORMENTATA, COSMOPOLIS, AMOUR, OLTRE LE COLLINE Alberto Barbera: HOLY MOTORS (Leos Carax, Cannes), LA SPOSA PROMESSA, REALITY, NO (Pablo Larraín, Cannes), Andrea Chimento: HUGO CABRET, REALITY, HOLY MOTORS C’ERA UNA VOLTA IN ANATOLIA (Cannes), PIETÀ, C’ERA UNA VOLTA IN ANATOLIA Francesca Betteni-Barnes: HOLY MOTORS (Cannes), LA Pasquale Cicchetti: MOONRISE KINGDOM – UNA FUGA TALPA, REALITY, BEASTS OF THE SOUTHERN WILD D’AMORE, AMOUR, NOT IN TEL AVIV (Nony Geffen, (Benh Zeitlin, Cannes), AMOUR Locarno), BERBERIAN SOUND STUDIO (Peter Strickland, Locarno), BELLA ADDORMENTATA Pietro Bianchi: HOLY MOTORS (Cannes), NO (Cannes), 11.25: THE DAY HE CHOSE HIS OWN FATE (Koji Wakamatsu, Emilio Cozzi: IL SOSPETTO, HOMELAND 1a stagione (tv), Cannes), REALITY, COSMOPOLIS BLACK MIRROR (tv, Channel Four), AMOUR, RALPH SPAC- CATUTTO Pier Maria Bocchi: In ordine alfabetico – C’ERA UNA VOLTA IN ANATOLIA, HOLY MOTORS (Cannes), J. EDGAR, REALI- Giorgio Cremonini: HUGO CABRET,BELLA ADDORMENTA- TY,WAR HORSE TA, COSMOPOLIS, J. EDGAR Chiara Borroni: MOONRISE KINGDOM – UNA FUGA Marco Dalla Gassa: In ordine sparso – C’ERA UNA VOLTA IN D’AMORE, OLTRE LE COLLINE, NO (Cannes), SKYFALL ANATOLIA, A SIMPLE LIFE, L’INTERVALLO, THREE SISTERS (Bing Wang,Venezia), OLTRE LE COLLINE Paola Brunetta: MOONRISE KINGDOM – UNA FUGA D’AMORE, C’ERA UNA VOLTA IN ANATOLIA, AMOUR, Lorenzo Donghi: HUNGER, AMOUR, COSMOPOLIS, NO BELLA ADDORMENTATA, ANOTHER HEART (Cannes), BOSS 1a stagione (tv) Giacomo Calzoni: J. EDGAR, COSMOPOLIS, BELLA ADDOR- Simone Emiliani: IO E TE, DARK SHADOWS, OLTRE LE

MENTATA, LA GUERRA È DICHIARATA, MOONRISE KIN- COLLINE, HOLY MOTORS (Cannes), KILLER JOE 520 GDOM – UNA FUGA D’AMORE Bruno Fornara: NO (Cannes),TABU (Berlino), BELLA ADDOR- Massimo Causo: COSMOPOLIS, C’ERA UNA VOLTA IN ANATO- MENTATA, BEASTS OF THE SOUTHERN WILD (Cannes), LIA, BELLA ADDORMENTATA, MAGIC MIKE,WAR HORSE REALITY cineforum

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Alessandra Mallamo: J. EDGAR, CESARE DEVE MORIRE, LA GUERRA È DICHIARATA, BELLA ADDORMENTATA, REALITY Roberto Manassero: HOLY MOTORS (Cannes), TABU (Berlino), NO (Cannes), C’ERA UNA VOLTA IN ANATOLIA, MOONRISE KINGDOM – UNA FUGA D’AMORE Anton Giulio Mancino: ROMANZO DI UNA STRAGE, WAR HORSE, COSMPOLIS, IL PRIMO UOMO, IO E TE Matteo Marelli: COSMOPOLIS, I COLORI DELLA PASSIONE, A ULTIMA VEZ QUE VI MACAU (Joao Pedro Rodriguez/Joao Rui Guerra da Mata, Locarno), SPRING BREAKERS (Harmony Korine,Venezia), HOLY MOTORS (Cannes) Emanuela Martini: LA “PARTE” DEGLI ANGELI, BEASTS FROM THE SOUTHERN WILD (Cannes), HOLY MOTORS (Cannes), L’INTERVALLO Tullio Masoni: C’ERA UNA VOLTA IN ANATOLIA, IL PRIMO UOMO, OLTRE LE COLLINE, BELLA ADDORMENTATA, AMOUR Emiliano Morreale: REALITY, NO (Cannes), LA SPOSA PRO- MESSA, AMOUR, TAKE SHELTER Alberto Morsiani: A LIAR’S AUTOBIOGRAPHY (Bill Jones/Jeff Simpson/ Ben Timlett, Torino), SINAPUPUNAN (Brillante Mendoza, Venezia), BOARDWALK EMPIRE (tv), PERVERT’S GUIDE TO IDEOLOGY (Sophie Fiennes, Torino), SPRING BREAKERS (Venezia) Federico Pedroni: BEASTS OF THE SOUTHERN WILD (Cannes), MOONRISE KINGDOM – UNA FUGA D’AMORE, REALITY, LA SPOSA PROMESSA, NO (Cannes) Adriano Piccardi: IL PRIMO UOMO, BELLA ADDORMENTA- TA, COSMOPOLIS, J. EDGAR, C’ERA UNA VOLTA IN ANA- TOLIA Giampiero Frasca: ARGO, MOONRISE KINGDOM – UNA Tina Porcelli: AMOUR, HUNGER, UN SAPORE DI RUGGINE FUGA D’AMORE, C’ERA UNA VOLTA IN ANATOLIA, TAKE E OSSA, LEVIATHAN (Locarno), IL GEMELLO SHELTER, MILLENNIUM – UOMINI CHE ODIANO LE DONNE Nicola Rossello: UN AMORE DI GIOVENTÙ, OLTRE LE COL- LINE, C’ERA UNA VOLTA IN ANATOLIA, COGAN – KIL- Federico Gironi: MOONRISE KINGDOM – UNA FUGA D’AMO- LING THEM SOFTLY, REALITY RE, HOLY MOTORS (Cannes), BEASTS OF THE SOUTHERN WILD (Cannes), LEVIATHAN (Lucien Castaing-Taylor/Verena Lorenzo Rossi: OLTRE LE COLLINE, HOLY MOTORS Paravel, Locarno), PAVILION (Tim Sutton, Torino) (Cannes), NO (Cannes), TAKE SHELTER, HUNGER Giuseppe Imperatore: In ordine sparso – BEASTS OF THE Angelo Signorelli: BELLA ADDORMENTATA, OLTRE LE SOUTHERN WILD (Cannes), MOONRISE KINGDOM – UNA COLLINE, COSMOPOLIS, IL PRIMO UOMO, C’ERA UNA FUGA D’AMORE, LA SPOSA PROMESSA, REALITY VOLTA IN ANATOLIA Arturo Invernici: In ordine di uscita – J. EDGAR, HUGO Fabrizio Tassi: NO (Cannes), MOONRISE KINGDOM – UNA CABRET, WAR HORSE, COSMOPOLIS, BELLA ADDOR- FUGA D’AMORE, BELLA ADDORMENTATA, SINAPUPU- MENTATA NAN (Venezia), ERNEST ET CELESTINE Lorenzo Leone: BOSS 1a stagione (tv), 38 TEMOINS (Lucas Antonio Termenini: OLTRE LE COLLINE, DARK SHADOWS, Belvaux, Rotterdam), HOMELAND 1a stagione (tv), BLACK UN SAPORE DI RUGGINE E OSSA, L’INTERVALLO, PIETÀ MIRROR (tv), SAFETY NOT GUARANTEED (Colin Trevorrow, Sundance Film Festival) Paolo Vecchi: C’ERA UNA VOLTA IN ANATOLIA, OLTRE LE COLLINE, MOONRISE KINGDOM – UNA FUGA D’AMORE, Fabrizio Liberti: AMOUR, C’ERA UNA VOLTA IN ANATOLIA, SISTER, HUGO CABRET UN SAPORE DI RUGGINE E OSSA, HOMELAND 1a stagione (tv), LEVIATHAN (Locarno) Rinaldo Vignati: TABU (Berlino), MOONRISE KINGDOM – UNA FUGA D’AMORE, FINAL CUT – HOLGYEIM ES Nuccio Lodato: In ordine alfabetico – BELLA ADDORMENTA- URAIM (Gyorgy Palfi, Torino), DARK SHADOWS, C’ERA TA, CESARE DEVE MORIRE, L’INTERVALLO, IL PRIMO UNA VOLTA IN ANATOLIA UOMO, REALITY

Pierpaolo Loffreda: MOONRISE KINGDOM – UNA FUGA I FILM AI PRIMI CINQUE POSTI D’AMORE, OLTRE LE COLLINE, BELLA ADDORMENTA- PER VOTI RICEVUTI SONO: 520 TA, SILENT SOULS, AMOUR Bella addormentata; C’era una volta in Anatolia (16 voti) Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore (15 voti) Luca Malavasi: HOLY MOTORS (Cannes), REALITY, BOAR- Amour; Holy Motors (13 voti) DWALK EMPIRE (tv), MOONRISE KINGDOM – UNA FUGA Cosmopolis (12 voti)

cineforum D’AMORE, BELLA ADDORMENTATA Oltre le colline (11 voti)

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TORINO FILM FESTIVAL 30 FESTIVAL

Shell di Scott Graham cineforum 520

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temi della solitudine femminile e del da 2012) di Mikael Marcimain, I.D. viaggio (o della fuga) si intrecciava- (Carta d’identità, India 2012) di CONCORSO: no occupandone sei e sette. Intendo Kamal K.M., Tabun Mahabuda (Il dire che se in Arthur Newman (USA primo aggregato, India/Gran Bre- 2012) di Dante Ariola, The Liabili- tagna 2012) di Emyrt Ap Richard e DONNE SOLE, ty (Gran Bretagna 2012) di Craig Darhard Endenibulag, e Terrados Viveiros, Una noche (Cuba/Gran (Spagna 2012) di Demian Sabin. Bretagna/USA 2012) di Lucy Mul- Rifacendosi alle usanze della COMUNQUE loy, Pavilion (Usa 2012) di Tim Sut- sacra rappresentazione il “veterano” ton, Sun Don’t Shine (USA 2012) di Giovanni Columbu (è all’esordio nel Andare alla ricerca di costanti Amy Seimetz e anche, in certo modo lungometraggio a soggetto ma vanta tematiche (o stilistiche, tantomeno) Noi non siamo come James Bond una lunga e prestigiosa carriera di quando si debbano considerare film (Italia 2012) di Mario Balsamo, il documentarista e autore RAI) raccolti in una rassegna di concorso secondo tema appariva pressoché ambienta la passione di Cristo fra le e con provenienze nazionali, conti- esclusivo, in altri, sui quali mi soffer- pietre e le nebbie della sua Sardegna nentali e culturali diverse può essere merò appena un poco, risaltava ripetendo brani dai quattro Vangeli un’impresa sciocca, ma accade tal- spesso la coesistenza con quello per ellissi. Opera pregiata sul piano volta che l’evidenza permetta “natu- della solitudine femminile. figurativo e di profonda convinzione ralmente” di farlo, con ciò rimedian- Più distaccati dal rapporto i due drammatica, Su Re mostra un Gesù do in parte all’impaccio nel quale si film italiani: Su Re (2012) di Gio- del tutto inusuale (fra Bosh e trova chi riferisce, ed è consapevole vanni Columbu e Smettere di fuma- Masaccio) per il cui aspetto fisico il che i film visionati al festival avran- re fumando (2012) di – pseu- regista ha voluto ricordare l’unica no di rado circolazione e fruibilità. Il donimo di Gian Alfonso Pacinotti descrizione che precede i Vangeli, Concorso Torino XXX ha offerto –, poi Am Himmel der Tag (Supe- cioè quella di Isaia: «… non ha quest’anno sedici titoli – sempre rare l’orizzonte, Germania 2012), apparenza né bellezza per attirare i opere prime e seconde, non necessa- di Pola Beck, Call Girl nostri sguardi, non splendore per riamente “giovanili” – fra i quali i (Svezia/Norvegia/Finlandia/Irlan- potercene compiacere».

Am Himmel der Tag (Superare l’orizzonte) di Pola Beck

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Simpatico come il suo autore si è mostrato in pubblico e “tecnologi- camente” seduttivo per i giovani che si provano con microcamere e cellulari, Smettere di fumare fumando sconta, come parecchie operine analogamente concepite, gli sbilanciamenti della durata. Dif- ficile “tenere” esperimento di improvvisazione e naïveté, autoiro- nica fin che si vuole ma anche gra- tuita e giocoforza ripetitiva, per quasi settanta minuti. Quanto a The Liability e Arthur Newman la professionalità dei pro- dotti e certo smaliziato gioco di rimando ai generi consacrati (road movie, appunto, e noir) non mi sembra riscatti il déja-vu con la sola esibizione, sempre fascinosa, di Tim Roth e Colin Firth. Una certa esilità mi è parso poi ravvisare in Pavilion e il già menzio- nato Noi non siamo James Bond (premio speciale della Giuria ex aequo); il primo dotato di sensibilità spaziale e plastica ma di respiro un Az do mesta as (Fatta di cenere) di Eveta Grófová po’ corto nell’addentrarsi in certa fenomenologia adolescenziale, il zonato Terrados, che ha il pregio di nella piccola stazione di servizio secondo assai sincero, e ricco di infilare qualche nota lirica o fanta- (che è anche la casa), la fatale mor- spunti sul tema dell’amicizia virile, stica nella visione talvolta goliardi- bosità che una simile condizione di della malattia e dell’invecchiamen- ca dell’attuale crisi spagnola, e di vita induce; tutto spinge verso una to, ma non originalissimo nella servirsi di un gruppo di attori fre- liberazione urgente ma improbabi- forma di un diario a due che forse schi e affiatati. La crisi loro (e le, a meno che la sorte non inter- avrebbe tratto forza da un più accu- nostra) è una brutta cosa e non vale venga per favorire uno strappo rato lavoro di sintesi e sospensione. consolarsi troppo coi “beni dello improvviso. Forse appesantito da Una noche cerca di combinare la spirito”, ma osservarla dall’alto qualche accadimento o metafora di polemica verso la deriva sociale come fanno gli spiantati di Demian troppo, il film si fa apprezzare ben cubana con un pícaro vitalismo che Sabini, cioè da adolescenti cresciu- oltre le suggestioni del paesaggio e ritmo e colore trasfigurano talvolta ti in vena di monellerie, offre qual- denuncia, per così dire, uno dei in fiction coreografica; ma l’ansia che pausa salutare. tanti modi coi quali la moderna di spettacolo può confondere l’ana- Venendo a quello che, come scri- marginalità si presenta oggi. Belle lisi, e l’ambiguità di atteggiamento vevo in apertura, mi è parso il tema figure, bravi attori e, da quel che mi dell’autrice esprimersi senza la ricorrente più forte, cioè la solitudi- è parso avvertire in sala, immedia- dovuta precisione. ne femminile (talvolta accompa- to consenso di pubblico. Troppo malickiano, nel senso di gnata dal viaggio o dalla fuga), il Il premio per la migliore attrice è Badlands (e in minore) mi è parso film vincitore con merito Shell andato, credo giustamente, alla gio- poi Sun Don’t Shine che, dal mae- (Gran Bretagna 2012) di Scott vane Aylin Tezel di Am Himmel der stro, trae solo e imitativamente l’ec- Graham è davvero esemplare. Alla Tag. Bene per l’attrice e il perso- cesso, mentre Tabun mahabuda, giovane protagonista – orfana di naggio, ma il film credo meritasse ancorchè abile nel descrivere certo madre nei fatti, perché la madre se qualcosa di più. Se la storia di una disorientamento giovanile in una n’è andata quando lei era bambina maternità inattesa e della sua per- forma che parla più lingue (i registi – non può bastare la bellezza delle dita soffre di qualche concessione vengono dalla Gran Bretagna e Highlands scozzesi che fanno da al “colore ambientale”, la tessitura

dalla Mongolia), può lasciare un naturale scenografia al suo isola- drammatica attorno alla protagoni- 520 senso di involontaria vacuità. mento. Un padre a cui è affezionata sta – che a dispetto delle concessio- Un po’ sopra, a mio modesto ma soffre di epilessia, l’inverno ni di cui sopra porta fino in fondo avviso, il pur epidermico ma scan- impietoso, il lavoro “insensato” un conflitto poco misurabile con gli cineforum

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Present Tense di Berlmin Soylemez

schemi abituali – mi è parsa varia, mesta as (Fatta di cenere, Slovac- ai margini dell’agiatezza. Da giova- equilibrata e di prim’ordine. Una chia/Repubblica Ceca 2012) di ne “moderna”e con brillanti aspetta- ragazza sola senza saperlo, poi Iveta Grófová, dove una giovanissi- tive Charu è condotta abilmente dal coscientemente per l’unicità del- ma slovacca emigra in Boemia regista a una sorta di solitaria “resa l’esperienza e del dramma che ha occidentale in cerca di lavoro. Gio- dei conti” sociale. deciso di accettare; una ragazza che vanissima, dicevo, ma presto usata Donna sola per antonomasia, diventa donna distinguendosi come da vecchi che vanno e vengono infine, è la Mina di Present Tense persona. nello scompigliato panorama ex (Turchia 2012) di Berlmin Soyle- Da quel che mi è parso capire un socialista. L’autrice viene dal docu- mez, che vive nella precarietà a certo interesse ha sollevato Call Girl, mentario, e fino a quando mantiene Istanbul dopo il divorzio. Con che racconta di un’adolescente diffi- le immagini nei confini di una par- andamento quasi monocorde – cile indotta prostituirsi da un’orga- lante sobrietà la storia – uno spac- forse voluto per aderire meglio al nizzazione al servizio di politici e cato impietoso di certe migrazioni personaggio – la regista parla della gente d’alto bordo. Siamo alla fine interne e dei guasti della transizio- condizione femminile in una gran- degli anni Settanta e la vicenda si ne in Europa orientale – appare de città attraverso il mestiere che la rifà a uno scandalo che aveva effetti- credibile e incisiva. Il danno arriva protagonista ha accettato per emer- vamente scosso la società svedese. Il da alcune pretenziose svisature genza: leggere il futuro di altre tema della solitudine è senza dubbio fotografiche e, soprattutto, dalle donne nei fondi di caffè. L’antica rintracciabile fra la multiforme feno- insistenze che talvolta fanno girare usanza, più che magica, si rivela menologia della corruzione maschi- il film a vuoto. presto come un mezzo di socialità e le, e il regista riconosce di averlo Nell’India della classe media, che consolazione. Il che, in questo posto in primo piano abbassando la negli ultimi anni sta conoscendo un melodramma asciutto, ben ritaglia- temperatura del thriller a cui pensa- certo inusitato benessere, tre giova- to sui caratteri e le diseguaglianze va di attenersi. Ciò detto, il film mi ni, fra i quali Charu, cercano di farsi sociali, sposta ma non attenua le sembra prolisso al punto di vanifica- strada con inedita disinvoltura difficoltà della donna più debole: re i diversi spunti di analisi che (I.D.). Quando però il manovale che turca, prossima al costume occi- emergono e, sul piano stilistico, doveva imbiancare una parete dentale e al tempo stesso reimmer- assai confuso. muore sotto gli occhi della ragazza, sa, come le tazze di caffè dopo il

520 Più interessante e ancora sul la ricerca che lei dovrà compiere per rito, nel travaglio antico della pro- tema del destino di prostituzione, stabilirne l’identità apre un mondo pria condizione. ma in un ambito storico-sociale imprevisto: quello dell’immigrazio- completamente diverso, Az do ne anonima e clandestina che preme Tullio Masoni cineforum

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rimossi, ricordi del tempo che fu e dopo il successo di Little Miss Sun- timori di dover ammettere tutto il shine. Racconta di Calvin, un gio- FESTA MOBILE peso di un passato glorioso su un vane scrittore che ha prodotto un presente velleitario ma finalmente primo folgorante libro, pur non Festa Mobile, piano nobile del vero. Ritmo indiavolato dei dialo- avendo una vita sociale, una ragaz- Festival, ricognizione ad ampio rag- ghi, una regia asservita al protago- za e degli amici. Patisce il blocco gio sullo stato della produzione nismo degli attori, esaltati con dello scrittore, ma una notte sogna mondiale, con un occhio di riguar- piani ravvicinati e un montaggio una ragazza e l’ispirazione torna: do a quella europea e americana. ritagliato sulla loro istrionica per- scrive della sua visione notturna e Se la sezione è il check up del cine- sonalità e sulla potenza delle battu- la ragazza si materializza nella ma dell’ultimo anno, la diagnosi è te, alcune delle quali da antologia realtà. Una fanciulla (quasi) ideale, di una condizione stazionaria, («L’opera è quando un personaggio perché creata ad arte e immagina- senza picchi, con qualche lavoro viene colpito, e invece di sanguina- zione del suo autore e gestita attra- interessante e altri forse troppo re, canta», spiega ai suoi allievi Tom verso i bisogni che la scrittura tra- sopravvalutati, benché ci si conce- Courtenay). Una piccola grande sforma in quotidianità. Idea di par- da un piccolo beneficio del dubbio, opera che lega insieme allegorica- tenza ottima, nonostante non sia dovuto alle peculiarità della visione mente arte e vita, così come è nelle così originale, visto che già Cortá- festivaliera, fatta di cocciuta reite- corde di Harwood. zar fece uccidere un uomo dai per- razione, insana concentrazione, spi- Ruby Sparks è invece il ritorno di sonaggi del romanzo che stava leg- rito di volontà, momenti di stasi e, Jonathan Dayton e Valerie Faris gendo (nel racconto Continuità dei infine, ma proprio infine, al termine di tutto, occhi vorticanti. Tra i motivi d’interesse, l’esordio alla regia di Dustin Hoffman alla veneranda età di settantacinque anni. Quartet è una produzione inglese (c’è la partecipazione anche della BBC) che ha nella scrittura e nella recitazione i suoi punti di forza. Tratto da una frizzante com- media di Ronald Harwood (al suo attivo, vale la pena ricordarlo, gli script di Il pianista, Il servo di scena, Lo scafandro e la farfalla) e interpretato da alcuni mostri sacri dello spettacolo inglese (Maggie Smith e Tom Courtenay su tutti, più l’apprezzata attrice televisiva Pauli- ne Collins e Billy Connelly), il film è una riflessione lirica sulla progressi- va evanescenza di esistenze condot- te con un costante do di petto giun- to ormai alla quiescenza. Una casa di riposo per musicisti immersa nella calma delle verdi pianure inglesi, uno spettacolo da allestire per raccogliere fondi per la soprav- vivenza della prestigiosa dimora, una diva dell’opera appena arrivata che sconvolge gli equilibri ma che rappresenta una risorsa indispensa- bile per l’esibizione finale. Hoffman e Harwood realizzano un’opera profondamente metanar- rativa, nella quale il titolo rispec- chia soprattutto il ditirambico rap- porto tra i personaggi, la loro tur- bolenta relazione basata su affetti The Pervert’s Guide to Ideology di Sophie Fiennes

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parchi), senza citare gli ovvii nomi versione particolare della fiaba di tazione di Cristo, passando per di Genet, Pirandello o Robbe-Gril- Biancaneve, che in questo caso è Tutti insieme appassionatamente, let, o anche il Will Ferrell di Vero una torera vessata dalla perfida Full Metal Jacket, Arancia mecca- come la finzione (Marc Forster, matrigna (una Maribel Verdù sado- nica, Lo squalo, Titanic, Sentieri 2007), ribellatosi al suo destino maso), che in una bizzarra compa- selvaggi, Breve incontro, ogni narrativo di morte. Parte finale un gnia di toreri nani trova la salvezza sequenza diventa il pretesto per po’ farraginosa, ripetuta fino al e il successo, prima che la matrigna annotare e mostrare le contraddi- punto di oltrepassare il tollerabile, e un contratto capestro con un zioni presenti nei grandi sistemi fors’anche prevedibile in certi suoi impresario la costringano a una narrativi esibiti per mezzo del cine- snodi, ma prodotto intrigante nel morte civile molto particolare. Ciò ma, che Zizek mette a nudo con il rappresentare la solitudine demiur- che fa pensare, tuttavia, è il senso suo inglese consonantico e fluente, gica di uno scrittore, oltre che, dell’operazione: se The Artist rivoltando pellicole e generi, pro- generalizzando, nel denunciare l’in- mostrava in sé la pratica autorifles- spettive e senso comune. confessata volontà dell’uomo di siva di un cinema delle origini, con Eccettuato Le fils de l’autre di conformare la donna alle sue preci- pochi strappi che pur avevano fatto Lorraine Levy, pellicola importante se esigenze. discutere i puristi filologici, perché perché sul filo del paradosso rac- Blancanieves di Pablo Berger ricorrere al cinema muto per narra- conta, attualizzando la storia di concorre all’Oscar come migliore re una fiaba con spruzzate mélo in Isacco e Ismaele, una vicenda di film straniero per la Spagna. La assenza di una salda logica di rife- incroci, scambi (di territorio, di traccia è quella lasciata da The rimento ai film del passato, se si famiglia, di identità), che diventano Artist, pellicola muta, con propor- eccettua il vago legame con Sangue reciprocità, in un’allegoria di con- zioni dello schermo d’antan,e il e arena di Fred Niblo? vivenza possibile nell’odierna fondamentale ausilio della compo- E a proposito di riferimenti al Israele, poco altro da segnalare. La nente musicale, con i ritmi flamen- cinema, illuminante appare la magniloquenza calligrafica di Joe co a dettare le cadenze del montag- nuova ricognizione di Slavoj Zizek Wright e del suo Anna Karenina, gio e il movimento interno all’in- sulla matrice ideologica di molti di cui la scrittura di Tom Stoppard quadratura. Elegante, estremamen- film del passato in The Pervert’s è responsabile del consueto gioco te curato nella forma, divertente, Guide to Ideology di Sophie Fien- di scatole cinesi a causa del quale persino ironico nel raccontare una nes. Da Essi vivono a L’ultima ten- la trasposizione del romanzo di Tol- stoj diventa l’ennesima meditazio- ne sui criteri fittizi della rappresen- tazione. La ricostruzione (adultera- ta) della vita di Graham Chapman dei Monty Python attraverso i nastri audio registrati da lui stesso poco prima della morte in A Liar’s Autobiography: The Untrue Story of Monty Python’s Graham Chap- man di Bill Jones, Jeff Simpson, Ben Timlett, storia narrata per mezzo di diciassette episodi a dise- gni animati, piuttosto autoreferen- ziali, non sempre compiuti. Il diffi- coltoso percorso di consapevolezza erotica e sentimentale di un uomo costretto a vivere in un polmone d’acciaio a causa di una poliomeli- te infantile visto in The Sessions di Ben Lewin, con una prima parte veramente gustosa dedicata al costante confronto tra i precetti della religione cattolica e la liceità delle sensazioni, e una seconda, centrata sul rapporto tra passione e dovere, più prevedibile e spesso un po’ ruffiana. A Liar’s Autobiography: The Untrue Story of Monty Python’s Graham Chapman di Bill Jones, Jeff Simpson e Ben Timlett Giampiero Frasca

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L’estate di Bruno Cortona di Gloria De Antoni

goffo tentativo di raccogliere l’ere- impegno intellettuale, il protagoni- dità risiana. sta confida alla mdp i suoi ricordi FESTA MOBILE Analogo l’approccio di Furio affettivi, professionali, politici. Scarpelli: il racconto prima di tutto Dalla militanza nella repubblica di (2012) che ricostruisce l’iter perso- Salò alla conversione all’antifasci- CLASSICS nale e artistico di uno dei massimi smo, dall’abbrivio della lunga e for- sceneggiatori del cinema italiano. tunata carriera giornalistica ai Un preciso leitmotiv risuona In coppia col non meno celebre numerosi fatti legati a personaggi lungo i titoli di questa rassegna: la Age, Scarpelli ha infatti firmato i noti del cinema italiano, Morando nostalgia per un cinema che non copioni di pellicole di eccezionale Morandini offre con ammirevole esiste più. rilievo, da I soliti ignoti a La gran- naturalezza un lucido amarcord, Emblematico allora L’estate di de guerra, da L’armata Brancaleo- una riflessione contrappuntata Bruno Cortona (2012) di Gloria De ne a C’eravamo tanto amati: ne rie- dalla musica di un gruppo folk Antoni, rievocazione di location e vocano la figura amici e colleghi d’avanguardia. situazioni legate alla realizzazione ma anche illustri allievi, da Ettore Di vera e propria archeologia si del celeberrimo Sorpasso. Un viag- Scola a Stefania Sandrelli, da Fran- deve parlare a proposito della “ras- gio nell’estate in cui Dino Risi con- cesca Archibugi a Paolo Virzì. Il segna nella rassegna” Pasinetti ferì tratti, per certi versi, definitivi e regista Francesco Ranieri Martinot- avrebbe cent’anni, (ri)scoperta di insuperati alla commedia all’italia- ti alterna le testimonianze visive uno dei pionieri italiani della setti- na, narrato dalla voce del doppiato- giocando sull’eterogeneità dei ma arte: Francesco Pasinetti fu re di Jean-Louis Trintignant/ materiali visivi proposti. infatti il primo studente a laurearsi Roberto Mariani, coprotagonista Morando’s Music (2012) è un con una tesi cinematografica, il della pellicola insieme a Vittorio affettuoso ritratto del Morandini a primo critico nostrano a considera- Gassman/Bruno Cortona. Marco opera dell’amico regista Luigi re il cinema una forma artistica, ma Risi e Catherine Spaak, il cosceneg- Monardo Faccini, che da più di fu anche fotografo e autore di docu-

giatore Ettore Scola, Nada e Edoar- quarant’anni ha instaurato uno sti- mentari. Il festival ne ha presentati 520 do Vianello raccontano il proprio molante rapporto epistolare col quattro: mentre i cortometraggi apporto al film, mentre Paolo Virzì, veterano della critica nostrana: Città bianca (1942), Lumiei (1948) allora giovanissimo, si propone nel ripreso nella quotidianità del suo e Latte per la città (1949) si occu- cineforum

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pano con passione e senso lirico di Bergman mostra le proprie elevatis- Doppio omaggio a una pratica questioni sociali o legate al mondo sime qualità con una performance cinematografica legata ai grandi del lavoro, Il canale degli angeli capace di passare dall’introversione movimenti artistici e letterari del (1934), unico lungometraggio e all’isterismo con impagabile natura- Novecento con Viva la muerte onirico peana all’amata Venezia, lezza. O que arde cura (2012) è inve- (1971) e Arrabal (1979) previa denuncia uno sguardo che anticipa ce una versione contemporanea e surreale introduzione dell’autore quello neorealistico. squisitamente omosessuale della presente in sala, lo scrittore e regi- Supera invece con un balzo il stessa opera teatrale, che d’altronde sta spagnolo Fernando Arrabal. Il Neorealismo e anticipa la Nouvelle era stata scritta per un uomo che si ritratto dedicatogli da Humberto Vague e tanto cinema contempora- rivolgeva a un altro uomo: ambien- López y Guerra lo presenta al cen- neo Viaggio in Italia (1954) di tato nella Lisbona in preda alle tro degli scandali creati dalle sue Roberto Rossellini, presentato in fiamme nel 1988 ma interamente rivoluzionarie rappresentazione una copia restaurata. Pur non girato all’interno di una stanza, il teatrali attraverso le testimonianze rinunciando alla presa “ontologica” cortometraggio del portoghese João di attori e colleghi. Viva la muerte sulla realtà, Rossellini scopre e spe- Rui Guerra da Mata vede il dramma è invece una testimonianza estre- rimenta arditezze formali in nome del protagonista stagliarsi sullo ma di un cinema all’insegna del- di una libertà espressiva che avreb- sfondo di quello collettivo. Strug- l’eccesso da parte di un artista be sempre rivendicato, con uno gente benché minimale, è forse nello nemico di ogni fanatismo e strenuo sguardo filmico insieme lucido e spirito la versione più vicina agli difensore della libertà: una pellico- appassionato e un’eguale attenzio- intenti dello scrittore e regista fran- la autobiografica e onirica in cui le ne alle dinamiche umane e sociali. cese cui si ispira. oppressioni sociali e religiose sono Tantissimo è stato scritto su un Manila Paloma Blanca (1992) di messe alla berlina da un’immagi- capolavoro di cui all’epoca solo i Daniele Segre, proiettato a vent’anni nazione senza freni, volta a scioc- «Cahiers du Cinéma» riconobbero dalla sua realizzazione, giocato sul care a tutti i costi lo sguardo spet- la grandezza artistica. contrasto fra realtà e finzione, tatoriale. Non è casuale l’abbinamento con norma e follia, sensibilità individua- Ultima menzione per il recupero un altro film di Rossellini interpre- le e indifferenza sociale, ha per pro- di La lunga estate di Hermann tato da Anna Magnani e con un’al- tagonista un ex attore di teatro che Hesse (dvd, 1986), documentario tra, meno nota, interpretazione di ha optato per una “non vita”fra un dello svizzero Werner Weick dedica- Ingrid Bergman: Una voce umana, reparto psichiatrico e un dormitorio to alla lunga permanenza del celebre episodio di L’amore (1948) e The pubblico, fin quando l’amore per scrittore nella sua residenza nel Human Voice (1966) di Ted Kot- una donna e una forse ritrovata Canton Ticino dove morì nel 1962, cheff. Tratti entrambi dalla pièce La vena artistica non parrebbero ricon- ritratto originale di un artista che voix humaine di Cocteau, presenta- durlo su una buona strada (ma è aborriva le convenzioni e le ipnosi di no due eccelse prove attoriali gioca- solo un’illusione). Nostalgia per un massa. Delle quali certamente non te su registri radicalmente diversi: cinema “del sociale”che fu, realizza- sentiamo più la nostalgia. laddove la Magnani porta ad altezze to con sobrietà di mezzi pari da melodramma il testo originale, la all’asciuttezza della messinscena. Marco Bertolino

Il canale degli angeli Morando’s Music di Luigi Faccini di Francesco Pasinetti 520 cineforum

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Age Is di Stephen Dwoskin

val, composto da The Sun and the cinema sperimentale americano. Moon (2007), Mom (2008) e Ascol- Jacobs, ospite fisso della sezione ONDE ta! (2008) – designer, fotografo e curata da Causo e Manassero, pre- produttore statunitense, nonché sente in questa edizione del TFF Nuova edizione del TFF,ma, regista attivo sin dall’inizio degli anche con Blankets for Indians ormai consolidata, la presenza anni Sessanta tra gli Stati Uniti e (TFF/DOC – Documenti), con Cyclo- della sezione Onde, così come inva- l’Inghilterra, scomparso nel giugno pean 3D continua la sua esplorazio- riata è la formula (vincente) che di quest’anno all’età di settantatre ne della tecnica tridimensionale caratterizza questo spazio, anoma- anni: si tratta di Age Is…, opera adattandola a una serie di immagini lo e irrequieto, che si è saputo rita- personalissima e inevitabilmente fotografiche prelevate dai propri gliare il ruolo di osservatorio privi- testamentaria, in cui i volti di amici album di famiglia, in cui si ricono- legiato su un proteiforme orizzonte e parenti del regista si alternano scono, oltre a Flo, gli amici Richard dell’audiovisione, rispetto cui il fino a comporre una galleria intima Foreman, Jim Hoberman e Michael vestito del “cinema”sembra calzare di ritratti e autoritratti, alla ricerca Snow. L’effetto è assai suggestivo: la sempre più stretto. Lungometraggi, di scampoli di esistenza che, grazie fotografia, sedimento statico, ecce- corti, tre lavori del collettivo Zim- agli insistiti primi piani, sembrano zione rispetto a una vita che passa e merFrei e un omaggio, corposo, sprigionarsi dai segni del tempo che scorre, ritrova movimento grazie all’opera del regista portoghese incisi sulla pelle. all’uso del flickering e profondità Miguel Gomes, i materiali presen- L’intimità è il territorio in cui si grazie all’immersione 3D, restituen- tati quest’anno dalla sezione. muove anche Ken Jacobs, di cui doci la potenza di uno sguardo ecci-

Tra essi, l’ultimo lavoro di Ste- Onde ha presentato Cyclopean 3D: tato che sfonda la piattezza bidi- 520 phen Dwoskin – cui Onde, o meglio Life with a Beautiful Woman, dedi- mensionale dello schermo. La Zona, aveva dedicato un omag- cato alla moglie Flo, da sempre ispi- Delicato, eppure dotato di uno gio nella XXVI edizione del festi- ratrice dell’opera del maestro del spiccato potere fascinatorio, Les cineforum

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nuits avec Théodore, di Sébastien per un sentimento che sembra pos- Radicale, invece, l’approccio allo Betbeder, che racconta dell’amore sibile solo in precise coordinate stesso concetto di cinema da parte lunare tra Anne, giovane studentes- spaziali. Il parco simbolo dell’eso- di Victor Iriarte, artista che lavora sa parigina, e il ragazzo che dà il terismo parigino viene mostrato tra la Spagna e Montevideo, e di cui nome al film. Ogni notte si incon- come un luogo sinistro e misterioso è stato presentato Invisible, il suo trano al parco di Buttes-Chaumont, che, come una droga, entra in circo- primo lungometraggio. Storia di ogni giorno la lontananza da quel lo giorno dopo giorno: l’assenza vampiri senza vampiri, film privo luogo acuisce in lui gli attacchi porta all’astinenza, la condivisione di immagini, fatta eccezione per le d’asma, in lei la preoccupazione conduce a fatali atti di egoismo. didascalie, immagini grafiche, e per gli inserti che mettono in scena una Les nuits avec Théodore di Sébastien Betbeder ragazza davanti a un microfono, intenta a comporre la colonna sonora del film stesso. Un film che oscura le immagini e dà forma visi- va ai suoni, privilegiando lo stru- mento del racconto a quello della mostrazione: messa in discussione dei codici dell’audiovisione tradi- zionale, per così dire, anche se risulta piuttosto inafferrabile l’in- tento di tale operazione. Arianna, di Alessandro Scippa, è una libera interpretazione dell’anti- co mito, in cui l’immagine della Donna si sovrappone a quella del- l’Isola – Procida – in quanto, entrambe, figure dell’abbandono: come l’isola, raggiunta dagli uomi- ni che la abitano temporaneamen- te, per poi lasciarla senza indugi, così Arianna intuisce il dramma dell’incombente separazione da Nanni, ermetico apicoltore locale, vivendone appieno l’inquietudine, tradotta in un bianco e nero sospe- so, in un linguaggio coraggioso ma incerto, spartito tra atmosfere inte- riori à la Garrel e un ritmo, secco e sincopato, che pare invece più vici- no all’Aronofsky di – Il teorema del delirio. Les Gouffres, di Antoine Ber- raud, che relega al ruolo di compar- sa la star del cinema francese Mathieu Amalric, porta invece in primo piano l’incubo angoscioso di un’altra protagonista femminile, che, lasciata da sola in una casa isolata dal marito speleologo, vive in parallelo la discesa del marito nelle profondità della Terra con la calata nell’abisso della propria psi- che, che ha inizio con la scoperta di una botola segreta in camera da letto. La casa altrui si fa così scher- mo su cui materializzare il proprio inconscio, e la profondità, nelle Pude ver un puma di Eduardo Williams stesse parole del regista, si fa

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rimando immediato a qualcosa di Tower Block di Ronnie Thompson e James Nunn arcaico, che richiama a sé con un’attrazione irresistibile, manife- standosi tuttavia con visioni per- turbanti, modulate da Berraud con una certa forza espressiva, ma che, alla lunga, rischiano di prendere il sopravvento sulla tenuta narrativa del film. Da segnalare inoltre il corto Pude ver un puma, dell’argentino Eduardo Williams (classe 1987), che immagina un tempo postapo- calittico, non meglio specificato, in cui un gruppo di ragazzi si muove tra le macerie di una città distrut- ta, all’interno di un paesaggio urbano tanto devastato quanto poetico; e – forse la rivelazione di questa edizione – l’omaggio a Zim- merFrei, collettivo di artisti bolo- gnesi (Massimo Carozzi, Anna de Manincor, Anna Rispoli) che lavo- ra nella direzione di “filmare lo glie di popolare di mostri, demoni e spazio” attraverso alcuni luoghi creature diaboliche, ma anche di peculiari. Tre quelli presentati: RAPPORTO immani catastrofi e apocalissi, pro- Piazza del Popolo a Roma (Pano- prio per la necessità e il bisogno di rama_Roma, 2004), in cui la piaz- esorcizzare, ma allo stesso tempo za è interpretata come un set in CONFIDENZIALE dare forma, alle paure più recondite continuo transito, percorsa da pas- di ognuno di noi. santi e insiders, e mostrata con E la paura forse più ancestrale e panoramiche a trecentosessanta OSSESSIONI agghiacciante (oltre che di assoluta gradi lungo l’arco di un’intera attualità), quella della fine del giornata, mentre la compressione mondo, è al centro della pellicola di del time-lapse agisce da alterante & POSSESSIONI Jorge Torregrossa Fin. Opera tesa e vettore temporale; Nørrebro, quar- angosciante nella quale le persone, tiere popolare di Copenaghen, in Rapporto Confidenziale anno senza una ragione né una precisa cui, nel cortile di un quadrilatero quarto. La sezione più multiforme, spiegazione, svaniscono improvvi- di condomini, si erge una collinet- eterogenea e cangiante del TFF ha samente nel nulla una dopo l’altra. ta artificiale costruita su una pale- scelto, come già due anni fa, di pro- Un altro tipo di fine, invece, stra pubblica, caratteristica morfo- porre una rassegna di film fra loro ugualmente spaventoso e, purtrop- logica unica più che rara, in una legati da un sottile filo conduttore, po, molto meno fantasioso è quello città completamente piatta (The abbandonando quindi gli omaggi di che racconta Sion Sono (che del Hill, 2011); e ancora, l’ottavo stampo monografico. Horror, thril- Torino Film Festival è ormai un distretto di Budapest (Temporary ler ma anche film non prettamente habitué) nel proprio Kibou no 8th, 2012), oggetto di un’intensa legati ai generi od opere che alterna- kuni, dolente distopia su un’apoca- ristrutturazione urbanistica, inter- no commedia, dramma e impegno lisse nucleare che potrebbe colpire rotta a seguito della crisi economi- civile, le pellicole viste a Torino, in il Giappone in un futuro molto ca globale, che ha lasciato uno sce- tutto diciotto, sono scorci sul con- prossimo: il Paese nipponico, già nario pieno di contraddizioni, temporaneo e testimonianze di come piegato dal disastro di Fukushima, come gli enormi palazzi abbattuti il cinema sia in grado di cogliere le non avrebbe più alcuno scampo. e mai ricostruiti, spazi vuoti che la urgenze e le preoccupazioni che ci Proprio come non hanno scampo popolazione sente il bisogno di tormentano.“Ossessioni e possessio- i protagonisti di Tower Block,degli riempire con riti comunitari e riap- ni” – come recita il sottotitolo della inglesi Ronnie Thompson e James

propriativi, rispondendo allo stallo sezione – che sono metafore di Nunn. Il film, un curioso thriller nel 520 con fattivi segnali di vita. incertezza e di inadeguatezza di quale un misterioso cecchino pren- fronte al mondo di oggi. Un mondo de di mira gli ultimi abitanti di un Lorenzo Donghi che il più delle volte il cinema sce- fatiscente casermone di una perife- cineforum

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ria metropolitana prossimo alla E a proposito di zombi, il film di che nei contenuti, e Compliance di demolizione cercando di eliminarli serie zeta dello statunitense Terrill Lee Craig Zobel, che mette in scena la uno alla volta senza una ragione Lankford Christmas with the Dead vera storia di una giovane dipen- apparente, è anche insospettabil- merita una menzione almeno per la dente di un fast food accusata di mente intessuto di attualità sociale. capacità di saper mischiare horror e furto sul lavoro che lentamente si E lo è, allo stesso, modo Citadel, comicità con grande disinvoltura. trasforma in un gioco al massacro, esordio dell’irlandese Ciarán Foy, Sempre dagli USA presenziano in convince per la sottile tensione psi- horror nel quale il suburbio cittadi- rassegna altri otto titoli. Tra questi cologica che attua, vale la pena di no, popolato da adolescenti il pregevole Maniac, film diretto da soffermarsi su due film che, seppur mostruosi e violenti, diviene lo spec- Franck Khalfoun e prodotto da diversissimi, sono sembrati fra i più chio (sin troppo limpido) del disagio Alexandre Aja. Uno slasher per sto- notevoli della sezione. sociale delle giovani generazioni maci forti – la storia è quella di un Si tratta di Robot & Frank di Jake che, specialmente nel Regno Unito e serial killer che si procura scalpi di Schreier e di V/H/S di Adam Win- in Irlanda, ha fatto registrare i casi donne per regalare fluenti capiglia- gard, David Bruckner, Ti West, di cronaca più efferati. ture ai manichini che colleziona – Glenn McQuaid, Joe Swanberg e del E se in Come Out and Play, rema- remake dell’omonimo film del collettivo Radio Silence. Il primo, ke di Ma come si può uccidere un 1980 di William Lustig, tutto gira- vicenda di un ladro in pensione che bambino? film spagnolo del 1976, il to in soggettiva e con alcune in un futuro molto vicino, si affezio- misterioso regista russo celato sotto sequenze da antologia del genere. na al proprio robot-badante al lo pseudonimo di Makinov ci avverte O, ancora, il poco convincente punto da convincere quest’ultimo a – senza scordarsi di rendere omaggio ultimo lavoro di Rob Zombie The progettare un colpo insieme a lui, è b-movies degli anni Settanta dalla Lords of Salem, confuso pastiche di un’arguta riflessione sulla vecchiaia prima all’ultima inquadratura – che mostruosità di genere e forma varia e sulla modernità che relativizza con non si sta troppo al sicuro nemmeno in cui le streghe fanno molto meno intelligenza tanti luoghi comuni del in mezzo ai bambini, il suo connazio- impressione delle divagazioni pop vivere e sentire contemporanei. Il nale Mikhail Brashinsky nel suo che il regista si concede. secondo, vorticosa antologia di epi- Shopping Tour, mockumentary a E se Chained, nuovo film della sodi di stampo orrorifico che utiliz- tinte orrorifiche tra i più interessanti figlia di David Lynch, Jennifer – za tanto le dinamiche del mocku- della sezione, rivela la natura sinistra storia a tinte fosche di un serial kil- mentary quanto le tecniche del e malvagia dei finlandesi: persone ler che, dopo aver ridotto in schia- found footage, è un omaggio tutt’al- pacifiche capaci di trasformarsi, il vitù un bambino di nove anni, tenta tro che banale al “vecchio” nastro giorno della festa nazionale, in zombi di educarlo a divenire il proprio home video e ai film horror a episo- cannibali a caccia di turisti! successore – piace più nella forma di degli anni Ottanta. Il film francese Wrong, ultima fatica di Quentin Dupieux, alias Mr. Oizo, con cui chiudiamo la nostra panoramica, è invece, senza dubbio, il lavoro più bizzarro e stravagante dell’intera sezione. Carico di una surrealtà e di un non- sense spinti alle estreme conse- guenze, con momenti di puro diver- timento, la storia sfilacciata di un uomo a cui una mattina, d’improv- viso, viene rapito il cane, ha l’aria di uno sguardo sul mondo che più che apparire disincantato o cinico sembra essere attonito e sbalordito. In fondo pare davvero più semplice accettare di vivere in un pianeta dove piove all’interno degli uffici invece che all’esterno, dove le palme crescendo diventano abeti e dove ci si sveglia alle 7:60 del mat- tino, piuttosto che nella monotona e triste realtà di ogni giorno.

Shopping Tour di Mikhail Brashinsky Lorenzo Rossi

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M

scena in cui perde il controllo dei dalla metropoli corrotta che abita e DESIDERI suoi nervi nell’hangar è quasi un nella quale diventa un fuggitivo supplizio da vedersi. In precedenza, terrorizzato da ogni angolo chiuso. altri grandi momenti visivi: la stan- M è il migliore dei thriller a DI DISTRUZIONE: zetta espressionista del killer, lui a basso budget girati dal regista del letto immobile, poi mentre plasma Wisconsin prima di essere costretto una statuetta femminile di plastili- a emigrare in Europa dal maccarti- LA SCENA na che strangola con un laccetto; il smo: migliore certo dei politica- deposito di manichini all’interno mente correttissimi ma un po’ del centro commerciale, in cui l’as- mosci Il ragazzo dei capelli verdi PRIMARIA sassino si nasconde con la bambina (The Boy with Green hair, 1948) e e di cui, forse, si ricorderà qualche Linciaggio (The Lawless, 1950), anno dopo il giovane Stanley migliore anche del più celebrato DI LOSEY Kubrick per il suo Il bacio dell’as- Sciacalli nell’ombra (The Prowler, sassino. Losey vi mostra la propria 1951), un po’ troppo programmati- abilità di organizzatore di spazi co nel prevedere gli esiti tragici del- Dei (pochi) film di Losey che non chiusi attentamente filmati dall’an- l’incontro tra un poliziotto ambi- avevamo mai avuto la possibilità di golazione migliore possibile, lascito zioso e una bella signora upper vedere, ci ha sorpreso innanzitutto certo dei tanti anni trascorsi a met- class – questa però è la scena pri- M (id., 1951). L’assassino di bam- tere in scena per il teatro. Ancor maria del cinema del regista, la rea- bini, interpretato da un fantastico più di quello di Lang, il finale del lizzazione del desiderio da parte di

David Wayne, non è meno marto- film è di una tragicità disperata: un personaggio svantaggiato 520 riato dalla propria natura di quan- Wayne vi appare l’archetipo del- (socialmente, sessualmente, psico- to fosse Peter Lorre nell’originale l’uomo-massa moderno americano, logicamente…) nei confronti di un di Lang. Una figura vulnerabile: la sensibile, sconvolto, reso pazzo altro personaggio sopraelevato che cineforum

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misteriosa (The Intimate Stranger, 1956) è stata una gran bella sco- perta. Il film è un piccolo, magnifi- co thriller dall’andamento voluta- mente lento, che si conclude con un climax barocco nella penombra di uno studio cinematografico. Il pro- tagonista è un produttore america- no costretto, per uno scandalo ses- suale, a trasferirsi a lavorare a Lon- dra (chiaro il parallelismo con la vicenda dello stesso Losey, che firma il film con uno pseudonimo dato che è appena dovuto emigrare anche lui dagli States perché blac- klisted) e che subisce il ricatto di una donna. Come sempre in Losey, sia il predatore che la sua vittima godono di un piacere quasi patolo- gico nel loro inesorabile gioco di reciproca distruzione. La scena primaria loseyana ritor- na in un altro splendido film che non avevamo mai avuto occasione di vedere, La zingara rossa (The Gypsy and the Gentleman, 1958). Melina Mercouri in vesti sgargianti La zingara rossa irrompe a sconvolgere l’esistenza dell’aristocratico Deverill e si lui vuole possedere/distruggere. I e naturalezza; la capacità di estrar- instaura nella sua dimora. L’incon- due finiscono per instaurare un re quasi sempre buone performan- tro fatale tra due esseri appartenen- rapporto sadomaso a cui in genere ces dagli attori. Come il serial killer ti a classi sociali differenti porta nessuno sopravvive (fisicamente o pedofilo di M, anche il poliziotto anche in questo caso all’irruzione almeno emozionalmente). M è più omicida di Sciacalli nell’ombra è improvvisa della violenza, come interessante di altri film perché, una personalità difettosa, spinta nella grandiosa sequenza notturna con molto anticipo sui suoi tempi, alla propria autodistruzione da una dell’invasione di Deverill Court da si traduce in un commento desola- società nociva che lui è assoluta- parte della banda di gitani determi- to e feroce sulla società americana mente inadeguato a comprendere. nati a distruggere tutto. L’avidità e dell’immediato dopoguerra, i cui Da questo punto di vista, il bellissi- la rapacità dei proletari va di pari connotati di massa e “democratici” mo Giungla di cemento (The Cri- passo con la diagnosi impietosa vengono ribaltati mostrando la minal, 1960), nonostante sia girato della decadenza di una classe solitudine delle persone, anche nel periodo inglese del regista, parassitaria che ha fatto il proprio degli assassini malati. rimane per molti versi un film ame- tempo. Il tutto, attraverso un melo- Losey vi mostra le doti che si ricano: le gerarchie contrapposte dramma rutilante, sfocia in un fina- porterà dietro in Europa, però della legge e del crimine si compri- le di brutale necrofilia: il lord sem- ancora (e per fortuna) sgombri da mono l’una sull’altra e schiacciano, bra voler salvare la donna che lo ha quella tendenza verso l’artisticità, con la somma del loro peso, l’istin- condotto alla rovina, e invece ina- dal gusto per la metafora signifi- tiva solitudine del personaggio di spettatamente si inabissa e annega cante, dall’ambizione alla conside- Stanley Baker. insieme a lei nelle acque blu di un razione critica (soprattutto france- Dunque, il serial killer, il poliziot- lago (un finale autodistruttivo di se e italiana, molto meno inglese e to marcio e il gangster di questi rara potenza che anticipa quell’al- americana) che ne zavorrerà molti film sono personaggi a cui viene tro memorabile di Giungla di lavori: l’economia narrativa; le concessa una chiara rilevanza poli- cemento, con Baker colpito a morte inquadrature elaborate che si sfor- tica, di critica generale del sistema. mentre fugge allo scoperto nella

520 zano di costruire una composizione È il Losey che ci piace di più, quel- brughiera). In precedenza, la mac- drammaturgicamente efficace; lo che sa usare il genere thriller per china da presa aveva attentamente l’abilità di far sì che i vari perso- fini più ampi. Precisamente per perlustrato gli spazi della sontuosa naggi rivelino se stessi con rapidità questo motivo, anche L’amante dimora di Deverill, ma anche quelli cineforum

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di un capanno a forma di pagoda de in qualche misura a quella che trasto edipico col figlio ingiusta- sul lago e perfino i boschi e le cam- avviene nel salone dell’università in mente accusato di omicidio, la pagne attorno, facendo convergere L’incidente e anche all’incontro di polemica anticapitalista contro la le traiettorie verso il vortice finale. lotta nella brughiera di La zingara pena di morte…) ma che si apre Nella sua dialettica di obbligazioni rossa) suona abbastanza pomposo, con una folgorante scena di omici- sociali e psicologiche il film antici- statico nella sua bellezza ostentata e dio che include anche il simboli- pa in modo evidente la dinamica di come raggelata. La relazione smo di un toro goyesco e che si Il servo (The Servant, 1963), uno “impossibile” tra l’aristocratica conclude con il vero assassino dei tre film che Losey ha realizzato Marian e il fattore Ted ha un qual- messo all’angolo dalla volontà del con la collaborazione di Harold cosa di costruito a tavolino per giu- padre di redimersi spingendosi fino Pinter; ma qui il gioco è meno dis- stificare un discorso ideologico sulle al proprio suicidio. seccato, meno “di testa”. classi britanniche, non possiede Preda e predatore diventano un Il servo è uno studio assai “lavo- l’eruzione spontanea e sanguigna tutt’uno in Mr. Klein (id., 1976), rato” di autodistruzione e sociolo- che c’è ad esempio nella Zingara che ha un soggetto straordinario gia sessuale, ben superiore sotto rossa. Il gioco delle classi sociali e (nella Parigi occupata dai nazisti questo aspetto a Eva (Eve, 1962). dei conflitti tra ricchi e poveri un commerciante d’arte scopre un Usa gli interni come una estensione indulge sovente all’ideologismo, Doppelganger ebreo e finisce per dei personaggi e mostra una capa- come in Per il re e per la patria rovinarsi) che in parte dissipa per cità unica di suggerire gli spazi e le (King & Country, 1964), Imbarco a la consueta tendenza da parte del forme di una casa. I suoi movimen- mezzanotte (1952) o in L’inchiesta regista di risolvere il fatalismo in ti di macchina risultano meticolosi dell’ispettore Morgan (Blind Date, una costruzione troppo meccanici- ma anche enfatici. Esprime una 1959), in cui la scena primaria stica e, ancora una volta, ideologi- logica priva di rimorsi e sbavature avviene questa volta tra uno spian- ca. Stesso problema di Hallucina- in base alla quale le persone civili tato pittore olandese (il tema dello tion, con i suoi Grandi Temi (l’olo- possono trasformarsi in bruti straniero in terra straniera compare causto, l’arte, la vita, la morte) che attratti dalla carne e cadere preda praticamente in tutti i film del regi- finiscono per disperdere una par- di impulsi contradditori. La misan- sta) e una ricca borghese moglie di tenza fantastica con la scena pri- tropia di Losey rifulge nel tetro un ministro. La mediazione tra i maria, raffigurata, questa volta, dal finale, e a questo proposito potrem- due è affidata all’ispettore del titolo brutale scontro all’inizio del film, mo citare il commento di Freya in italiano, che rappresenta la forza davanti agli edifici tardo vittoriani Hallucination (The Damned, 1963) della legge quando essa si sforza di di una cittadina balneare inglese, a proposito del personaggio di compensare socialmente i conflitti. tra una banda di rustici e arrogan- Macdonald Carey: «Mi piace perché Anche qui, però, manca la forza e il ti teddy boys in Triumph Bonnevil- non gli piace il mondo. È un buon vigore di altri film. Come manca in le e giubbe di cuoio e il ricco ame- inizio». Nei film pinteriani, infatti, L’alibi dell’ultima ora (Time ricano sbarcato con il suo yacht l’attenzione è forse un po’ troppo Without Pity, 1957), che mette nella baia di Weymouth. rivolta a raffigurare il senso di troppa carne al fuoco (il padre alco- colpa dell’upper class britannica. lizzato che vuole riscattarsi, il con- Alberto Morsiani L’intelligenza si ritorce contro i membri della classe che la esprimo- Giungla di cemento no: come in L’incidente (Accident, 1967), considerato uno dei capola- vori loseyani, ma che a una nuova visione appare lievemente preten- zioso, molto arty (Jacqueline Sas- sard che rompe con una mano la ragnatela aggirata un attimo prima da Bogarde!), troppo consapevole della propria intelligenza, dell’uso insistito della metafora e della seducente bellezza dei propri movi- menti di macchina. Allo stesso modo, Messaggero d’amore (The Go-Between, 1970),

terza collaborazione con Pinter, 520 nonostante l’indubitabile splendore figurativo e alcune belle sequenze (la partita di cricket, che corrispon- cineforum

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Tabu

giro di vite, a un montaggio serrato hai quella che ti meriti», recita che decolla in un crescendo di cru- l’adagio riportato in exergo. Franci- PERSONALE deltà tra animali, sviluppando con sco, maestro elementare, partecipa un’ironia prossima al sarcasmo in abito da cowboy alla festa alle- l’idea pasoliniana dei falchetti che, stita per i bambini della scuola MIGUEL GOMES nonostante siano stati educati al dove insegna. La sua parabola esi- Verbo, continuano a ghermire i pas- stenziale viene letteralmente canta- Il sorprendente corto Cantico das seri (1). ta da Marta, la collega-amica vesti- Criaturas (2006), il cui risultato, Come ha scritto Massimo Causo ta da fatina, prima che gli sviluppi secondo il suo autore, sta «tra Ros- nel Catalogo del trentesimo TFF,i della narrazione evidenzino i moti- sellini e Zeffirelli, tra una grande film del quarantenne regista porto- vi del suo smarrimento. Poi il film arte cinematografica e la sua carica- ghese poggiano su «architetture prende un’altra direzione, sette tura semplicistica», è quasi paradig- narrative inattese e sghembe» e personaggi, come i nani di Bianca- matico delle modalità di fare cinema conoscono sempre uno o più punti neve, diventano protagonisti di un di Miguel Gomes. Nel prologo, gira- di svolta, spesso apparentemente altrove fiabesco che interagisce in to in un traballante 16mm, un contraddittori rispetto alle premes- maniera poco automatica ma del menestrello in abiti di oggi si aggira se. Inoltre sono dei musical, o per tutto conseguente con la prima tra gli ulivi umbri cantando la sua lo meno attribuiscono alla musica parte, quasi a esemplificare la dia- volonterosa ballata. L’iconografia una funzione portante. lettica mentale di cui Francisco, trascorre ex abrupto nei colori A cara que mereces (2004), lun- come suggerisce Gomes, è in qual- pastello delle figurine Liebig o di un gometraggio d’esordio di questo ex che modo regista. presepe napoletano, il tono sembra enfant prodige della critica, mette Ancor più complesso e frammen-

520 sconfinare nell’agiografia. Ma lo in scena la linea d’ombra che tato Aquele querido mes de agosto strepitoso pianismo sinfonico di incombe su chi sta per raggiungere (2008). Si tratta anzitutto di un Liszt (Francesco d’Assisi predica la maturità. «Fino a trent’anni hai docufiction sulla stagione estiva agli uccelli) introduce a un nuovo la faccia che Dio ti ha donato, dopo nell’Arganil, una regione montuosa cineforum

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che in agosto si popola di villeg- Nell’incipit, collocato nell’Africa no/notte in Nosferatu, paradiso/ gianti. Una mdp insieme curiosa e portoghese degli inizi del secolo, un paradiso perduto in Tabu». Del distratta mostra il pullulare di gio- esploratore finisce divorato da un muto il regista recepisce le sugge- vani e meno giovani impegnati coccodrillo. La prima parte, intitola- stioni sposandone gli stilemi nella nelle attività che caratterizzano le ta Paradiso perduto e ambientata parte africana, nella quale la voce ferie: bagni nel fiume, idilli adole- nella Lisbona odierna, racconta di off è usata in sostituzione delle scenziali, processioni con la statua Pilar, cattolica impegnata nel socia- didascalie. Ma è il côté lusitano, del patrono… A scandirle, canzoni le, dei suoi rapporti di solidarietà infarcito di dialoghi, a giustificarla Pimba, un genere popolare con fre- con la vicina di casa Aurora, una e ad attribuirle spessore, sospen- quenti allusioni sessuali, eseguite centenaria che, in assenza della dendone la vettorialità tra storia e da complessini da balera, quasi a figlia, è assistita da una badante di memoria, sensi di colpa e rimozio- comporre il quadro di una Nashvil- colore che legge Robinson Crusoe. ni. Come ha scritto Joachim Lepa- le lusitana, screziato per un attimo Giunta ormai alla fine, Aurora stier, nella sua libertà errabonda, dall’intrusione del clavicembalo di manda Pilar a chiamare un certo da bateau ivre, Tabu riesce nel- una frase delle Variazioni Gol- Ventura, che arriva al suo capezzale l’impresa non facile «di essere dberg. In seguito la narrazione si quando ormai è tardi. L’uomo rac- nutrito di cinema, ma di dimenti- concentra sulla cantante di un conta la seconda parte del film, care il cinema» (2), reiventandolo gruppo, sul padre anima ferita dal- Paradiso: durante il suo soggiorno in funzione di una originalissima l’abbandono della moglie, sulla in Mozambico era stato amante narratività. contrastata storia d’amore della della giovane Aurora anche quando ragazza con un coetaneo, svoltando questa era incinta del marito, fazen- Paolo Vecchi in mélo e telenovela. Il tutto messo dero di professione, cantante per come tra parentesi, con il prologo passione, assassinato infine dalla che mostra la troupe al completo donna, salvata dalla rivendicazione (1) Per questioni di spazio ci limitiamo a alle prese con un domino le cui tes- del delitto da parte della resistenza elencare gli altri corti di Gomes, Entretan- to (1999), stralunato Jules et Jim adole- sere si rincorrono nella caduta, anticoloniale. scenziale aperto e chiuso dalla voce di immagine dell’aleatorietà della «Una delle cose che volevo recu- Doris Day che canta Que Sera Sera tra le nuvole, Inventario de Natal (2000), reper- costruzione che seguirà, l’epilogo in perare è qualcosa che oggi può torio dolce e crudele di ricordi d’infanzia cui il regista rimprovera il tecnico essere visto come un’idea obsoleta: legati alla festività familiare per eccellen- za, 31 (2001), che l’autore ha definito «un del suono per scelte a suo dire con- le opposizioni binarie», ha dichia- braccio di ferro tra cinema e politica, tra Il troproducenti, a ribadire la centra- rato Gomes a Francisco Ferreira mago di Oz, la Rivoluzione dei garofani e una specie di fantascienza che preannun- lità del dispositivo cinema, altra nell’intervista pubblicata nel Cata- cia una catastrofe», e Kalkitos (2002), il costante nell’opera di Gomes. logo «Il cinema muto, specialmente più astratto ed estremo nel suo linguaggio Tabu (2012) rappresenta, a tut- quello di Murnau, ne è pieno: ribaldamente decostruito. (2) Paradis retrouvé, «Cahiers du Cinéma» t’oggi, il film più maturo del regista. città/campagna in Aurora, gior- n. 684, dicembre 2012. 520

A cara que mereces Aquele querido mes de agosto cineforum

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Wild Bunch di Sam Peckinpah

Che le cinque pellicole proposte Una violenza da cui presi le distan- quest’anno, per caso o per destino, ze, ma senza la quale non sarei quel- FIGLI E AMANTI incarnano una domanda. Che la che sono». quando si spengono le luci in sala, C’è qualcosa che scalpita nel film. non troviamo una risposta: la Qualcosa che ci fa pensare al cuore. L’AMORE vediamo accadere. Che, occhi e La partecipazione furiosa e dolorosa cuore aperti, ogni volta è un primo del regista a un mondo che muore. amore. Un occhio, quello di Peckinpah, che SECONDO affonda nel mucchio e rimane a guardare: gringos vestiti con la divi- SELVAGGIO sa dell’esercito americano, bambini IL CINEMA che osservano divertiti due scorpio- The Wild Bunch: western del ni divorati dalle formiche, civili, san- L’amore è: completate questa 1969, diretto da Sam Peckinpah. Lo gue, proprietari terrieri, sfruttatori frase. rivedi nel 2012 e non ne esci vivo. messicani e i bambini – quegli stessi Ma è davvero possibile? Spiegare La violenza non risparmia nessuno, bambini – che danno fuoco al muc- l’amore, darne una definizione esat- dentro e fuori dal Mucchio. E l’amo- chio di piccoli animali in lotta. Un ta? Nella trentesima edizione del re non c’entra, almeno in apparen- tempo già morto. Il coraggio di Torino Film Festival, la sezione Figli za. Ma Francesca Comencini motiva rimanere a guardare un finale di e Amanti ha accettato la sfida. Cin- così la sua scelta: «Questo film rac- partita già scritto. que registi, accompagnati da alcuni conta un tempo distante, il mito cre- Filippo Scicchitano vede il film attori, scelgono un film – quello del- puscolare di un’America e di un per la prima volta: «Trovo la storia

520 l’elezione cinematografica, dell’epi- tempo perduti; e ci parla dell’epoca ancora molto attuale», dice «Ci sono fania, dell’innamoramento – e lo in cui è stato girato, gli anni Settan- gli inseguitori e gli inseguiti, ma nes- propongono al pubblico del Festival. ta. La mia adolescenza è legata a suno è un santo. Nessuno si salva». Cosa succede allora? quegli anni di violenza e di rabbia. Se vince qualcuno, vince la ferrovia cineforum

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che si porta via tutto. Eppure non larsi di dosso la città, il rapporto «Lettera da una sconosciuta» – il possiamo staccare gli occhi dai fisico con la strada a cui deve torna- meraviglioso film di Max Ophuls – ralenti di Peckinpah. Una scelta, per re, per ritrovarlo, per spostarsi da un «racconta di quel fenomeno amoro- nulla estetizzante, di avvicinarsi e luogo all’altro, in cerca di salvezza. so chiamato cristallizzazione. Ci cadere sul fondo di ogni scena. «È C’è un “dialogo errante”tra i due, in innamoriamo di un’idea, più che di questo amore selvaggio che mi ha cui l’amore nasce dalla distanza tra una persona», spiega Pappi Corsi- guidata nei miei film», dichiara la i corpi e dall’impossibilità di fer- cato «e costruiamo l’oggetto d’amo- Comencini. Quando tutto sembra marsi. «Il finale è stato letto da alcu- re, perfetto e immobile, affinché dire «If they move, kill them!», il ni come un sogno del bambino, ma nessuno, neanche l’amato, possa cuore, lento, in caduta libera, per me Gloria non è morta. Il lieto metterlo in discussione». Ci sembra risponde: «Let’s go… Why not?». fine è l’unico finale possibile per già scritto, perché è già scritto. questa grande storia d’amore». Ophuls è un maestro nel rendere visibile ciò che in amore è pura illu- ERRANTE sione. Ci sono dei momenti del film IMPOSSIBILE in cui tutto è messa in scena: il Giuseppe Piccioni sceglie Gloria: treno è una giostra, i paesaggi fuori film di Cassavetes del 1980, vinci- Questa è la storia di un amore dal finestrino sono fondali, la mela tore del Leone d’Oro a Venezia. «Il romantico. Di una ragazzina in un è caramellata, le rose sono bianche suo film più hollywoodiano», spie- cortile, di una finestra aperta e (e non rosse, perché non si parla di ga Piccioni «ma questo stare in della musica di un piano. Lui e lei un amore reale). Il regista Corsica- bilico tra industria e sguardo del- non si conoscono, ma già si deside- to e l’attore Alessandro Preziosi l’autore, lo rende interessante. Mi rano. Si incontreranno, è inevitabi- rimangono incantati, come il pub- colpisce soprattutto la capacità di le. Si ameranno, sembra già scritto. blico in sala. «Questa finzione è una costruire una figura femminile che Alt. Ora fermiamo l’immagine. Pro- trappola magistrale», dice Preziosi rimane nella mitologia del genere viamo a guardarci attraverso. Eccolo: «Lo spettatore rimane coinvolto americano, al di là del tempo, un capolavoro di messa in scena. nella storia di un’ossessione celata. senza essere un personaggio trop- po “spettacolare”». Lettera da una sconosciuta di Max Ophuls Gloria. O Gena Rowlands. Nei film di Cassavetes c’è sempre una forte aderenza della finzione alla realtà, del personaggio all’attore. Abbiamo l’impressione che nessuna meglio della Rowlands avrebbe potuto vestire questi panni: una donna forte, entrata in una fase della vita in cui è difficile rinunciare alle proprie sicurezze; eppure una donna, l’unica, che può mettere in crisi un sistema prettamente maschile, di violenza e sopraffazio- ne. L’amore muove Gloria, perché l’amore muove la storia – personale e artistica – della Rowlands. «Vedo nel ragazzino portoricano (Phil), l’alter ego di Cassavetes: un bambi- no che parla come il regista – lo stesso modo di piegare la testa e sor- ridere – e quella capacità di dirigere, respingere e attirare Gloria, senza permetterle di allontanarsi». È Il gioco sentimentale, continua Piccio- ni, il vero motore della storia. Gli sguardi tra i due protagonisti, l’az- zardo di lei di lasciare il bambino per strada e rifugiarsi in un bar – accendersi una sigaretta che non finirà mai – e l’incapacità di scrol-

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Un amore che si misura attraverso hanno rappresentato un mondo invi- storia ispirata al romanzo di Bran- il non detto: lei non parla, lui non vibile, desertificato come lo sono gli cati e sceneggiata da Pasolini, che sa, lei ricorda, lui dimentica». esseri umani, hanno anticipato l’im- sposta l’ambientazione dal primo «Siamo di fronte a un mélo molto maginario letterario che ritroviamo fascismo al 1958 e la rende attuale, moderno», aggiunge Corsicato «L’amo- nei romanzi di Cormac McCarthy». ancora oggi. re dichiarato nel film non ha coscienza È un deserto che ricorda il presen- Marco Tullio Giordana ama la di sé. È un amore immaginato, univer- te, per questo Vicari lo porta in sala. regia e la fattura di questo film: «La sale e attuale. Un amore in cui lei non Dialoga con l’attore Michele Riondino fotografia è coraggiosa. Il film è vede lui e lui non vede lei. Un amore in sulla necessità di una risposta, altret- girato quasi completamente in cui la conoscenza di ciò che è reale tanto libera e radicale, alla crisi cultu- ambienti dal vero, si vede poco e si ucciderà lei e manderà al patibolo lui». rale e dell’industria cinematografica intuisce molto volutamente: è un Un amore impossibile. italiana. «Mi sembra che un tentativo film buio per scelta e necessità, la tv di rinnovamento possa arrivare da di oggi non lo prenderebbe neanche una nuova generazione di attori, in considerazione». Sottolinea poi GIOVANE meno divi e più vicini alla società e ai quanto sia stato meticoloso il lavoro suoi problemi. E poi c’è il cinema sui costumi. «Le giacche di Mastro- Giovane l’amore, come la rabbia. documentario, che oggi riesce a guar- ianni, per esempio. Tagliate di due Daniele Vicari ha scelto Badlands, dare il mondo con occhi nuovi». misure in più sulle spalle, per dare esordio alla regia di Terrence al personaggio quell’aspetto legger- Malick: «Una brutale libertà mente “cadente” e “sprofondato”». espressiva. L’unica risposta possibi- BELLO Veggente sul potere e crudele sul- le alla crisi dell’industria holliwoo- l’impossibilità fisica di possedere ciò diana di metà anni Sessanta». L’amore bello, bellissimo, conte- che amiamo. «Bolognini è un grande Vicari confessa di dover tornare so, incarnato in Marcello Mastro- regista», dichiara Giordana «ingiu- alla New Hollywood per riuscire a ianni. Il Bell’Antonio piange e si stamente accusato di formalismo e guardare avanti. Film carichi di una dissolve, contro l’immagine di un relegato in un angolo rispetto ai suoi libertà che rasenta l’incoscienza: muro che rimane, solido e presente, contemporanei». Così, la storia pare «Sono riusciti a contraddire e a rein- ad accogliere la parola «Fine». destinata a ripetersi. Bello e solo, terpretare il mito americano – la Si accendono le luci. Non è cam- l’amore circondato da muri. strada, la frontiera, Martin Sheen che biato niente. Non è caduto il muro, gioca con la figura di James Dean – né l’audacia del film di Bolognini: Chiara Zingariello

Badlands di Terrence Malick

Il bell’Antonio di Mauro Bolognini

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Isqat Al Nizam

[Ai confini del regime, Italia 2012] uomo a Macao, alla ricerca dell’ami- di Antonio Martino; The Pixelated ca Candy che, trovandosi nei guai, TFFDOC Revolution [Libano 2012] di Rabih gli ha chiesto aiuto tramite una Mroué) al movimento 15M (Vers mail; un vero e proprio viaggio inte- Un’idea di documentario, quella Madrid – The Burning Bright! riore, girato interamente in soggetti- che Torino Film Festival persegue da [Francia 2012] di Sylvain George), va. anni, in controtendenza con il pano- dalle proteste statunitensi cresciute Il premio speciale invece è anda- rama festivaliero nazionale, non sotto l’appellativo Occupy Wall to a Leviathan di Lucien Castaing- certo priva di contrasti e divergenze. Street (Blankets for Indians [USA Taylor e Véréna Paravel (Gran Bre- Una scelta al limite, che supera la 2012] di Ken Jacobs) alle rivolte tagna/Francia/USA 2012), già pre- dicotomia fiction/documentario, russe anti Putin (Zima, uhodi! sentato al passato Festival di proponendo un cinema personale, [Winter, Go Away!, Russia 2012], Locarno, una vera e propria espe- intimo, poco narrativo. Una propo- film collettivo di alcuni studenti rienza estetica mozzafiato, girato sta originale e determinata, che fa di della Scuola di Teatro e Cinema con dodici videocamere piazzate su Torino (sezione documentari) un Documentario di Marina Razbe- un peschereccio, per raccontare e festival insolito e atipico. zhkina e Mikhail Ugarov) o alla la mostrare l’epico rapporto tra l’uo- In questa trentesima edizione la crisi greca filmata in Super8 e mo e la natura, in quelle stesse sezione diventa una sola: TFFdoc, 16mm nei dodici corti del program- acque, al largo del New England, che racchiude sia il concorso nazio- ma curato da Vassily Bourikas. dove venne ambientato il racconto nale che internazionale, più un Nel concorso internazionale il dalla baleniera all’inseguimento di nutrito gruppo di film fuori compe- riconoscimento come miglior docu- Moby Dick nel celebre romanzo di tizione, dei veri e propri percorsi al mentario è stato attribuito al film A Melville. Un film che stupisce, una

limite, tra avanguardia e sperimen- Última vez que vi Macau di João vera e propria esperienza sensoria- 520 tazione, con una tenace attenzione Rui Guerra da Mata e João Pedro le e visiva, un racconto etnografico alla contemporaneità, dalle rivolte Rodrigues (Portogallo/Francia di rara potenza. Interessante con- in Medio Oriente (Isqat Al Nizam 2012), il racconto del ritorno di un statare che Lucien Castaing-Taylor, cineforum

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oltre a essere artista, fotografo e FID Marseille 2012. Il regista ha operai che paiono vere e proprie regista, è anche antropologo. raccolto per otto mesi le immagini entità astratte. Da segnalare poi il curioso 4 registrate da una livecam installata Per quanto riguarda il concorso bâtiments, face à la mer (Francia dalla Tepco all’esterno della cen- italiano è stato premiato il film I 2012) del video artista francese trale di Fukushima; immagini spet- Don’t Speak Very Good, I Dance Philippe Rouy, presentato anche a trali, apocalittiche, popolate da Better (Egitto/Italia 2012) di Maged El Mahedy, che affronta alcune delle contraddizioni e delle difficoltà dell’Egitto contempora- neo. Il fratello e la sorella del regista sono gravemente malati di epatite C; viene, quindi, messa in luce la diffi- coltà e incapacità del sistema sanita- rio nazionale, di fronte a questa malattia che colpisce quasi un quar- to della popolazione. Un racconto intimo, personale, ma che sa aprirsi anche alla denuncia sociale, il tutto ritmato a passo di danza (hanno partecipato i danzatori dervisci Mahmud Reda e Farida Fahmy). Il Premio speciale della Giuria è andato a Fatti corsari (Italia 2012) di Stefano Petti e Alberto Testone, una delle opere migliori viste in quest’edizione; il film cuce un intel- ligente ritratto di Alberto Testone, un odontotecnico che vive a Fidene, una borgata di Roma, il quale Leviathan vanta un’incredibile somiglianza con , e rincorre da anni il sogno di diventare attore, Fatti corsari fra teatro e cinema. Il film, in real- tà, è il pretesto per raccontare la marginalità e l’esclusione, con tono vivace e sensibile. La menzione speciale, infine, è stata attribuita a La seconda natu- ra (Italia 2012) di Marcello Sanni- no, già ospite del festival nel 2010 con Corde, che si aggiudicò il Pre- mio speciale della giuria. Anche in questo documentario Sannino resta legato alla sua città, offrendo un ritratto coinvolto e coinvolgente di Gerardo Marotta, avvocato e filoso- fo italiano, uno dei più importanti intellettuali dell’Italia repubblica- na. Sannino ci fa conoscere Marot- ta, presidente e fondatore dell’Isti- tuto per gli Studi Filosofici di Napoli, sottolineando con maestria la tenace lotta del protagonista per la conservazione della cultura e dei valori di quel mondo che ha contri- buito a creare.

Chiara Boffelli

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All’inizio degli anni Sessanta, Wyler sente la necessità di QUELLE DUE approfittare dell’attenuazione dei rigori del Codice per ripren- dere il soggetto e, non potendo avvalersi nuovamente della (THE CHILDREN’S HOUR, 1961) collaborazione di Lillian Hellman (ancora prostrata dalla recente scomparsa del suo compagno Dashiell Hammett), ripiega su John Michael Hayes, brillante scrittore che ha di William Wyler all’attivo, fra l’altro, quattro film scritti per Alfred Hitchcock nel decennio precedente. Il nuovo adattamento è molto fedele A&R Productions, 2012 - € 12,99 alla pièce (con i dovuti ammodernamenti), e le due parti prin- cipali sono affidate a Audrey Hepburn e Shirley MacLaine «Un cambiamento radicale si rese necessario quando realiz- (nella prima erando state Merle Oberon e Miriam Hopkins), zammo These Three di Lillian Hellman nel 1936: all’epo- che affrontano il lavoro con grandissima sensibilità. ca l’omosessualità era tabù, e la stessa Hellman modificò la Uno dei motivi di interesse maggiori nel film è dato dall’uti- vicenda trasformandola in un normale triangolo. Ne feci lizzo, in chiave psicologica, che Wyler fa dello spazio. Il colle- più avanti, nel 1961, un remake, ed è curioso notare che ciò gio, una vecchia casa riadattata con non pochi sacrifici dalle che pareva forte negli anni Trenta era diventato blando due amiche e colleghe, è all’inizio presentata come il loro negli anni Sessanta: il fatto che due insegnanti fossero regno, da loro totalmente padroneggiato: nella scena di aper- sospettate di avere un rapporto omosessuale non sembrava tura, durante un saggio musicale delle allieve, una panorami- giustificare le tragiche conseguenze previste nella storia, e ca va, dal piano di insieme delle ragazze e dei parenti in visi- molti critici pensarono che lo svolgersi della vicenda fosse ta, verso destra a inquadrare Karen (Audrey Hepburn) che esagerato. A me premeva mostrare l’effetto che una calun- guarda soddisfatta il saggio; stesso movimento, ma speculare nia può avere sulla vita delle persone; diciamo che mi inte- a sinistra, per Martha (Shirley MacLaine) la quale, accortasi ressava fare uno studio analitico del male. Comunque, la di un genitore che sta cadendo vittima di un abbiocco, gli si versione “censurata” del 1936 riuscì benissimo, mentre avvicina con garbo per tenerlo sveglio. In seguito, scale e sca- quella del 1961 fu un fallimento». lette dànno della casa l’aspetto di un labirinto alla Escher; È William Wyler che parla, con una severità forse un po’ infine, nel momento in cui le due amiche, ormai completa- eccessiva. Quelle due, nonostante il parere negativo del suo mente ostracizzate da tutti, sono costrette a rimanere chiuse regista, è un film riuscito molto bene, e nelle prossime righe in casa, le loro figure quasi si fondono con il mobilio e le pare- ne prenderemo senz’altro le difese. Prima di ciò, tuttavia, ti; grigie e spente come la penombra che le ha inghiottite, occorre inquadrarne le origini. The Children’s Hour, dram- paiono dei fantasmi che abitano una casa infestata. ma teatrale scritto e rappresentato a teatro nel 1934, è l’ope- A constrastare questo senso di claustrofobia, quest’aria a ra prima della drammaturga e scrittrice americana Lillian metà strada tra prigione e casa degli spiriti, c’è la scena fina- Hellman. Ispirato a un fatto giudiziario avvenuto a metà le, quella del funerale di Martha: dopo aver dignitosamente dell’Ottocento in Scozia, parla della calunnia di una pestife- ignorato gli ipocriti concittadini (compresa la nonna della ra e viziata ragazzina, ospite di un collegio, che per vendi- piccola calunniatrice, che si è accorta troppo tardi dell’errore carsi di una punizione accusa le due direttrici di intrattene- commesso nell’accusarle; compreso il suo stesso fidanzato, re un rapporto saffico. Attorno alle due donne viene fatta troppo debole nel difenderla), Karen se ne va via a testa alta, terra bruciata, poi la verità è ristabilita ma, spinta dalla ten- sotto un bel sole invernale. Quelle due versione ’61 sarà stato, sione, una di loro (che si è scoperta davvero attratta dalla come dice Wyler, un fallimento. Un fallimento molto ben fatto, collega) finisce per suicidarsi. però, con tutto il rispetto per il giudizio del regista. Argomento troppo spinoso, per il Codice Hays in pieno vigore negli anni Trenta. Per questo, quando due anni dopo Arturo Invernici Wyler mise mano alla versione cinematografica, la storia venne adattata e sceneggiata dalla stessa Hellman in modo che la calunnia fosse diretta contro una supposta relazione fra una delle due insegnanti e il fidanzato medico dell’altra. Il titolo venne cambiato in These Three (in Italia arrivò come La calunnia), e la penna della scrittrice fu così sottile da far quasi supporre, volendo, che nel ménage à troi ci fosse effettivamente qualcosa di più. La drammaturga avrebbe poi ancora collaborato meravigliosamente con Wyler per Strada sbarrata (Dead End, 1937, da una commedia di 520 Sidney Kingsley) e soprattutto per quello che è uno dei mas- simi capolavori del regista, Piccole volpi (The Little Foxes, 1941, da una sua stessa commedia). cineforum

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Seconda guerra mondiale (via Teodosio, via Martini, via Accademia). Ma come un atavico destino pretende, per ALLA PERIFERIA tutti e tre, il “contrario”della morte fa specchio ai signifi- cati: «… già viri verso le acque nere», recita Testa «l’isola DELLA GIOIA. di cenere…» e De Angelis, che non manca di accostare il lavoro con le parole a quello del montaggio filmico: «… i buoni tramonti di ogni cosa… il sacro rottame di ogni MILANO RACCONTATA DA TRE cosa… perciò riposa in questa quiete di canali / sono dolci le mezze luci che cercavi… sono queste, guarda, sono assorte… e tu accetta la tua unica, la tua gentile, GENERAZIONI DI POETI (2012) lentissima morte…» (1) È un racconto di Milano a tre voci, o piuttosto la parziale di Giovanni Martinelli confessione di poeti che danno risalto alla quotidianità affermando, tra le folle e il loro incessante brulichio, il valo- Prod. La Musa, con il patrocinio re minimo e massimo della vita? Martinelli aggiunge con della Provincia di Milano, 2012 - s.i.p. discrezione, ma attento ad analogie contrasti e combinazio- ni visive, il proprio contributo di cineasta-visitatore. Fa pro- Il titolo di questo ultimo film di Giovanni Martinelli è pria la grande città e si serve dei documentari bellici di tratto da un verso di Milo De Angelis, unico fra i tre poeti Lamberto Caimi (già collaboratore di Olmi e Lattuada) per protagonisti (gli altri sono Franco Loi e Italo Testa) a non dimenticarne la storia drammatica; infine si abbandona essere nativo di Milano, anche se Loi – e il suo uso del con visiva leggerezza a voci che potrebbero anche venire da dialetto incide come un marchio – è nella città dall’infan- altri luoghi ma che a Milano si sono omologate. La Milano zia mentre Testa, il più giovane e ultimo arrivato, sembra personale di chi accetta di farsi testimone, una Milano che tutt’ora in una fase di feconda scoperta. Quale Milano, nei suoi molteplici confini racchiude promesse ma, soprat- però? Non certo la Milano storico-monumentale e neppu- tutto, l’inesausto pulsare di esistenze che si incontrano, si re quella fissata dalle tradizioni altre. O meglio, la città perdono, finiscono e ricominciano; una Milano che accoglie che Martinelli e il suo gruppo prediligono è la Milano la preziosa singolarità di chi, con l’aiuto del caso, si offre e e popolare ma solo lambita, senza “soste programmatiche”. contempla: «… l’ispirazione viene quando viene…», dice De Esserci, centellinare un rapporto attraverso l’inesauribile Angelis appena distolto dall’immobilità dell’Idroscalo.Viene movimento tra la periferia nord, dura, industriale, siro- quando viene… può non avere sviluppo e perciò trascura il niana – osserva De Angelis –, e la più verde periferia sud, vincolo, celebrativo o civile, di appoggiarsi ai codici della è ciò che preme ai poeti/attori, al regista e alla sua eccel- Cronaca e della Storia. lente collaboratrice: una Luisa Pecchi coprotagonista, ma soprattutto autrice delle musiche originali e cantante. Tullio Masoni Giovanni Martinelli si dedica da anni ai poeti; per «Cineforum» (n. 506) ho recensito il suo lavoro su e con Attilio Bertolucci, ma potrei citare gli incontri con , Pier Luigi Bacchini, Paolo Ruffilli… Una vera passio- ne, insomma, alla quale il cineasta parmigiano si è dedicato SONO USCITI IN DVD ANCHE: con tenacia e coerenza. Alla periferia della gioia si apre con inquadrature sghembe da un treno e i versi di Franco Loi; Cosmopolis di David Cronenberg sghemba è la posizione del libro che la Pecchi legge e, si Rai Cinema/01 Distribution - € 14,99 intuisce, la posizione del corpo seduto.Vi saranno poi inqua- (Cineforum n. 515) drature “regolari”, in alternanza, ma pochi piani fissi perché Hunger di Steve McQueen nel film domina lo scorrimento, il fluire: mezzi e persone che Rai Cinema/01 Distribution - € 14,99 animano i dintorni del centro, gli autobus, la metropolitana, (Cineforum n. 514) i cieli che – ha scritto Loi – sembrano talvolta un mare, e le nubi inafferrabili come la fatalità del vivere. Le paludi della morte di Amy Canaan Mann Tre poeti. Ciascuno con la sua arte e il suo vissuto ma Rai Cinema/01 Distribution - € 14,99 accomunati, oltre che dalla vocazione letteraria, dal vita- (Cineforum n. 515) listico e meditato amore per lo sport, al quale Martinelli Il primo uomo di Gianni Amelio rende omaggio riprendendo brani storici da Vertov e Vigo: Rai Cinema/01 Distribution - € 14,99 «… non ho saputo capire», recita De Angelis, affermando (Cineforum n. 514) poi la parentela, nel rigore, fra esperienza sportiva e poe- sia «non so ancora / se l’incrocio dei pali è legno o leg- Quella casa nel bosco di Drew Goddard genda…» (riporto i versi avendoli solo ascoltati, come Eagle Pictures - € 16,90 accadrebbe a un comune spettatore; punteggiatura e (Cineforum n. 515) 20 stacchi sono pertanto da considerare del tutto arbitrari). Sister di Ursula Meier Quasi a contrappunto, Italo Testa parla del nuoto come di Cecchi Gori Home Video - € 17,99 una metrica scritta sull’acqua. Loi, dal canto suo, rievoca (Cineforum n. 514) le partite di pallone fra ragazzi in strada prima della cineforum

90 520_91-96_Lune.qxd 25-01-2013 12:50 Pagina 91 LE LUNE DEL CINEMA A CURA DI NUCCIO LODATO [email protected]

24 OTTOBRE 2012 Breien (Caccia alla strega, 1981); Bille August (Con le Muore a Stoccolma a 89 anni Anita (Barbro Kristina) migliori intenzioni, 1992, nuovamente sceneggiato da Björk, nata a Tällberg (Svezia) il 25 aprile 1923. Grande Bergman, che vi narra la storia dei propri genitori, con attrice scenica, tragica e drammatica (i greci, una versione tv di sei ore, in cui interpreta la regina Shakespeare, Strindberg) e, dopo la separazione dal Vittoria). E a Hollywood, dopo essere stata la mancata marito, l’attore Olof Bergström, compagna di vita degli protagonista di Io confesso di Hitchcock per la pruden- scrittori Stig Dagerman (suicida nel 1954) e Graham za moralistica della Warner, con Nunnally Johnson Greene (1904-1991), è stata ripetutamente diretta da (Gente di notte, 1954). Ingmar Bergman con un intervallo di quasi mezzo seco- lo (Donne in attesa, 1952; La marchesa de Sade, 1992, 27 OTTOBRE 2012 per la tv; Conversazioni private e Vanità e affanni, 1997; La condanna di Silvio Berlusconi a quattro anni di soprattutto Il creatore di immagini, 2000, nella quale ha reclusione e cinque di interdizione dai pubblici uffici ha, dato superbamente corpo alla grande Selma tra gli altri meriti, quello di porre in primo piano la figu- Lagerlöf…). Ma ha incrociato anche, in Scandinavia, ra di Frank Agrama (all’anagrafe Farouk Ajraneh, nato Gustav Molander (La furia del peccato, 1947, sceneg- ad Alessandria d’Egitto nel 1935). Attore, produttore e giato da Bergman); Alf Sjöberg (La notte del piacere, regista in Patria e in tutto il Medio Oriente negli anni 1951: una “signorina Giulia” strindberghiana rimasta Cinquanta e Sessanta, lo si ritrova sul finire di questo proverbiale; Amleto, 1955: Ofelia); Maj Zetterling (Gli decennio in Europa col nome d’arte di cui sopra. amorosi, 1964); Bo Widerberg (Adalen 31, 1969), Anja Cosceneggia Ski Fever di Curt Siodmak interpretato da Toni Sailer (1966); mette mano, come sceneggiatore e/o supervisore e/o produttore, ad altri titoli fondamentali: Ombre roventi (Mario Caiano, 1970: «Cultissimo, semi- sconosciuto horror dedito al culto di Anubi e girato dav- vero in Egitto» [Giusti]); Si può fare molto con sette donne (Fabio Piccioni, 1971); I giardini del diavolo (Alfredo Rizzo, 1971); Maria R. e gli angeli di Trastevere (Elfriede: alias Elfriede Gaeng o Diana Thermes, 1975). Passa poi di persona alla regìa: L’amico del padrino (1972), Queen Kong – La regina dei gorilla (1976:“frase di lancio: «La risposta femmini- sta a King Kong» [Giusti]), Dawn of the Mummy (1981). Negli anni Ottanta in Inghilterra riesce a produrre film di registi finalmente qualificati (Buzz Kulik, Peter Sasdy) passando poi a Los Angeles, dove, fonda la Harmony Gold Company e prosegue l’attività produtti- va, inclusa la serie animata Robotech. L’intera alta filo- logia qui sottesa si deve ovviamente all’insostituibile Dizionario dei film italiani Stracult di Marco Giusti e a una preziosa nota non firmata, ma inducibilmente sua, del «Manifesto»… 28 OTTOBRE 2012 L’Unione Europea assegna il Premio Sakharov «per la libertà di pensiero» 2013 (da ritirarsi nel prossimo set- tembre) a due perseguitati iraniani: l’avvocatessa Nasrin Sotoudeh e Jafar Panahi. Assolutamente impensabile che i due – detenuti in Patria – possano presentarsi a Bruxelles per la cerimonia di assegnazione. Tuttavia la sola diffusione della notizia è sufficiente perché il regime iraniano annulli la prevista visita a Teheran di una dele- gazione del Parlamento europeo. «Una donna e un

uomo», motiva il presidente dell’assemblea Martin 520 Schultz «che non hanno ceduto alla paura e all’intimida- Unendo insieme le due sponde dell’Oceano: Gregory Peck e Anita Bjork zione e hanno anteposto il destino del loro Paese al pro- in Gente di notte (1954) di Nunnally Johnson. prio». cineforum

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30 OTTOBRE 2012 Con l’ausilio interpretativo di Maria Paiato, Luca Ronconi tiene una lezione sul proprio metodo di lavoro con testo e attore – riferendosi a diversi autori – al Teatro Valle occupato. 31 OTTOBRE 2012 Walt si pappa George. La Disney annuncia che rileverà, per un miliardo e cinque milioni di dollari, la Lucasfilm. E, contestualmente, che il nuovo episodio di Guerre stel- lari – il settimo – raggiungerà chi sta lì ad aspettarlo nel 2015. 2 NOVEMBRE 2012 Alla cinquantesima Viennale, Hal Hartley presenta il suo nuovo film Meanwhile (60’), precisando che la sua diffusione avverrà esclusivamente in dvd od on demand sul web. Intervistato da Elfi Reiter, il regista precisa: «Per finanziare il film abbiamo indetto una kickstarter campaign, proponendo vari moduli di preacquisto, ven- ticinque dollari per il dvd, trentacinque per dvd e cd della colonna sonora, cinquantacinque il cofanetto con un mio autografo. Chi voleva contribuire con somme più Se ci sei, batti un colpo: una scena di La noche de enfrente (2012), grandi, per cinquecento dollari si è menzionato nei tito- l’opera postuma di Raúl Ruiz coabitante di palinsesto a “Fuori orario” li come “amico del regista”, per mille come “produttore assieme a una nutrita rassegna di film di Koji Wakamatsu. associato”, e per cinquemila come “coproduttore”». (Despair), Skolimowski (Essential Killing, in prima tv) e Ruiz (il postumo La noche de enfrente). Rispetto al palinsesto originario, per fare posto ai Wakamatsu ven- gono momentaneamente accantonati dai curatori Cura la tua destra di Godard e Bras Cubas di Bressane. Secondo la testimonianza ghezziana, al termine di un pranzo a Venezia il regista nipponico gli aveva detto: «Farò in modo che ti venga recapitata in dvd la copia lavoro di ogni mio nuovo film». Chiosa il destinatario: «Caro Wakamatsu, anch’io sono curioso di un perché, rimbalzato dal funerale buddista da te previsto e voluto, col trionfo di fiori». 3 NOVEMBRE 2012 Anche quest’anno, per la settima volta, la Casa del Cinema di Roma ospita il Pitigliani Kolno’A Festival, col quale – a ingresso gratuito – Dan Muggia e Ariela Piattelli, per conto del Centro Ebraico Italiano, portano a conoscenza il meglio dell’annata del cinema israeliano e, più in generale, dei film di argomento ebraico.Titoli di maggior richiamo dell’edizione: La sposa promessa di Rama Burshtein, presentato dalla protagonista Hadas Yaron, che ne ha riportato la Coppa Volpi a Venezia, e la Diventa anche tu coproduttore! Danielle Meyer in Meanwhile (2011) commedia drammatica di Joseph Cedar Footnote, candi- di Hal Hartley, del quale si poteva diventare appunto coproduttori alla dato all’Oscar lo scorso anno. modica cifra di cinquemila dollari. 5 NOVEMBRE 2012 3 NOVEMBRE 2012 Gli esercenti cinema di Torino potranno anche essere Per l’intero week-end,“Fuori orario”programma sei film juventini, ma si oppongono fermamente alla realizzazio- di Koji Wakamatsu, scomparso il 17 ottobre (cfr. Luna ne di una multisala a dieci schermi (duemilaquattrocen- relativa). Passano «quattro inediti rarissimi e due classi- to posti) che la società calcistica della famiglia Agnelli

520 ci» (ghezzi): Segreti dietro il muro (1965), Orgia e ha in progetto di realizzare nel complesso della nuova Vagabondo del sesso (1967), La donna che voleva mori- sede, nel contesto dell’inevitabile centro commerciale, re (1970), Piscina senz’acqua (1982) e Caterpillar con soggiorno e luogo di allenamento della prima squa- (2010). Mescolati a Losey (Mr. Klein), Fassbinder dra, l’immancabile hotel e sette palazzine residenziali. cineforum

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«Non potrebbe mai ricevere l’autorizzazione necessaria, Lucchi, Menzio, Chessa, Pascali, Cintoli, Foschi, Patella, visto che non rispetterebbe la normativa regionale», Grifi e Sarchielli, Frascà, Piccon, Franchina, Brocani, sostiene il presidente regionale ANEC. (Allora dov’è il Schifano, Cioni Carpi, Gioli, Baruchello, Bargellini, problema, si chiede l’ingenuo luniere…). La normativa Bene, Ferrero, Dogliani, Lombardi/Lajolo, Buffa, piemontese vigente prevede infatti una distanza minima Frascà, Sambin, i Loffredo, i Vergine, Turi/Capanna, di otto kilometri tra le multisale, e ben tre complessi Brunatto e Massimo Bacigalupo… analoghi preesistenti sono già funzionanti a distanze minori. In provincia di Torino, inoltre, risulterebbero al 7 NOVEMBRE 2012 momento disponibili per nuove aperture solo seicento- Al Kino di Roma, per la rassegna “Esordi”, dedicata cinquanta posti, in rapporto alla popolazione residente. ovviamente alle opere prime, Gabriele Salvatores pre- Ma l’assessore regionale alla Cultura, Coppola, marcia senta il suo Sogno di una notte d’estate (1983). spedito verso una riforma del regolamento. 7 NOVEMBRE 2012 7 NOVEMBRE 2012 Gli aiuti per il cinema restano fuori dal patto di stabili- Al vecchio caro Jeu de Paume di Parigi, retrospettiva di tà. L’emendamento, condiviso dal governo e tendente a Glauber Rocha a trentun anni dalla sua scomparsa, con prolungare il tax credit in corso fino al 2016, è tra quel- l’aggiunta del documentario-ritratto Anabazys, di Joël li giudicati inammissibili dalla Commissione Bilancio Pizzini e della figlia Paloma. della Camera. Il “competente ministero”si ritrova d’im- provviso con un inatteso scoperto di novanta milioni. 9 NOVEMBRE 2012 Tre giorni di cartellone per il Riccione Tv Festival giun- to alla ventunesima edizione. La rassegna internaziona- le, che tende alla contaminazione linguistica di fotogra- fia, danza, musica, cinema, teatro, videoarte e perfor- mances, è caratterizzata da una grande retrospettiva di Pina Bausch e dalla presentazione del progetto musica- le live Wilder Man. Uomo selvaggio di Teho Teardo. 9 NOVEMBRE 2012 Col documentario loro dedicato I ragazzi di San Miniato di Luciano Odorisio (2002) ha inizio a , su inizia- tiva dell’Ufficio Cinema del Comune (ci sono ancora, allora, da qualche parte: indovinala Grillo!) una retro- spettiva ricca di dodici titoli, da Un uomo da bruciare a Cesare deve morire, che concluderà la rassegna il 17 dicembre con la partecipazione di Giovanna Taviani, figlia di Paolo, italianista, direttrice di festival e regista di documentari lei stessa. 10 NOVEMBRE 2012 Si inaugura a Firenze il glorioso Festival dei Popoli (cin- quantatreesima edizione!) con Journal de France di Claudine Nougaret e Raymond Depardon. 11 NOVEMBRE 2012 Il ritorno di Greenaway. Il Festival Internazionale di Antonio das Mortes (1969) di Glauber Rocha, proiettato nel corso di una Roma presenta Goltzius and the Pelican Company. nutrita retrospettiva dedicata al regista al Jeu de Paume di Parigi. Rilevante il fatto che il commento musicale sia stato affi- dato a un giovane compositore italiano, Marco Robino, 7 NOVEMBRE 2012 e al suo quintetto degli Architorti, che compare anche Si avvia in varie sedi tra Torino e Ivrea, curata da nel film. La collaborazione era nata occasionalmente da Annamaria Licciardello e Sergio Toffetti per conto del un contatto del 2004, quando Greenaway girava a Museo Nazionale, dell’Archivio del Cinema d’Impresa e Racconigi il secondo capitolo di The Tulse Luper del CSC-Cineteca Nazionale, la rassegna “Off & Pop”, che Suitcases e Robino gli aveva potuto sottoporre una pro- tende a ricostruire la stagione d’oro del cinema speri- pria rielaborazione – in chiave appunto greenewayana – mentale italiano fra Torino e Roma negli anni Sessanta. della Musica sull’acqua di Händel. Il quintetto finì per

Imponente e completo il densissimo programma, dove comparire nel film, nel successivo sviluppo della trilogia 520 ricorrono, citati qui alla rinfusa, i nomi di Pistoletto, e in un ulteriore corto. Tre anni dopo Greenaway lo Nespolo, Martelli, Pia Epremian, Kounellis, Bussotti, De avrebbe richiamato per l’allestimento sonorizzato inau- Berardinis/Peragallo, Leonardi, Gianikian/Ricci gurante la Reggia di Venaria, ripetendosi per l’interven- cineforum

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to sul Cenacolo di Leonardo, il successivo corto più singolare è indubbiamente un’edizione 1932 del Rembrandt’s J’Accuse e appunto l’ultimo film. Mein Kampf, regalatole sette anni dopo da Erich Maria Facendovelo sempre anche comparire. Remarque, nel periodo della loro “love story”(1937-40). Imponente la consistenza e la qualità della raccolta, dai 11 NOVEMBRE 2012 classici alle opere contemporanee con dediche autoriali Le Giornate del Muto di Pordenone ringraziano anche alla destinataria. Singolare ricordare come nei progetti quest’anno la città di Sacile (che ospitò magnificamente di Marlene figurasse la fantasia di sedurre Hitler per eli- il festival negli anni difficili dal 1999 al 2006: cfr. anche minarlo a letto con una spilla avvelenata… sotto il 24…) proiettando allo Zancanaro, col consueto accompagnamento dal vivo, l’Oliver Twist di Frank 19 NOVEMBRE 2012 Lloyd, con Jackie Coogan e Lon Chaney. Il quotidiano del Papa parla di festival. Riferendosi a quello di Roma appena concluso, l’«Osservatore Romano» si dichiara insoddisfatto: «Prima di tutto dal punto di vista della qualità delle opere, la cui media non è mai stata così bassa. Per averne un’idea, basterebbe pensare che i film premiati, pur contestati quasi all’una- nimità da critica e pubblico, erano, se non effettivamen- te i migliori, quanto meno lontani dal fondo». E ancora: «Il meglio è passato altrove, in parte nel fuori concorso, in parte nell’innovativa e più riuscita sezione CinemaXXI. Il calo degli spettatori, certificato dagli stessi organizzatori, testimonia la perdita reale di iden- tità del festival». Unicuique suum, non praevalebunt… 19 NOVEMBRE 2012 Muore a San Pietroburgo a 79 anni Boris Natanovic Strugatckij, natovi (ma… a Leningrado!) il 14 aprile 1933. Era il secondo degli Absj (il fratello Arkadij l’ave- va preceduto nel 1991), l’acronimo sotto cui si celava dal 1959, con grande successo, una coppia fraterna di autori di fantascienza popolarissimi prima nell’URSS, poi in Russia. «Un mondo perfetto che nei romanzi pubbli- cati all’estero si chiamava il Mondo del Mezzogiorno e, Da Chaplin a Dickens: il piccolo Jackie Coogan (terzo da destra) in una più prudentemente, in Patria era invece il Mondo del scena dell’Oliver Twist (1922) di Frank Lloyd. Comunismo. Navicelle spaziali e scontri tra civiltà hanno animato i loro racconti ispirando decine di film 13 NOVEMBRE 2012 locali e qualche capolavoro come Stalker di Tarkovskij. Sempre al Festival di Roma, Walter Veltroni e Alberto Perfino Avatar era ispirato a uno dei loro libri. Crespi presentano il primo numero del nuovo annuario Comunisti per forza, avevano posizioni liberali, espresse Cinema & Storia, edito da Rubbettino. Il fascicolo inau- dopo la fine dell’URSS. Prima di cedere a una malattia gurale, curato da Paolo Mattera e Christian Uva, è dedi- devastante Boris Strugatckij aveva preso le parti dei cato agli anni Ottanta: «Quando tutto cominciò: Realtà, immagini e immaginario di un decennio da ri-vedere». 13 NOVEMBRE 2012 In coincidenza col Festival di Roma, i CUB Informazione proseguono nella raccolta di firme per impedire l’ulte- riore sparizione di sale. È a rischio di chiusura con cam- bio di destinazione d’uso il Maestoso, chiudono o vacil- lano le sale del circuito Mediaport, a meno che gli enti locali competenti non si decidano a vietare i mutamenti di destinazione. Le firme raccolte superano già le quat- tromila e tra gli aderenti si annoverano Serena Dandini, Paolo Sorrentino, Valerio Mastrandrea, e Carlo Verdone che ha anche lanciato un personale appello attraverso il «Giornale dello Spettacolo».

520 15 NOVEMBRE 2012 Esce a Londra, dal notissimo librario antiquario Henry Buonasera avvocato! Marlene Dietrich, la cui biblioteca sta per essere Sotheran, il catalogo dedicato all’imminente vendita messa all’asta a Londra, con Charles Laughton e John Williams in una all’asta della biblioteca di Marlene Dietrich. Il “pezzo” scena di Testimone d’accusa (1957) di Billy Wilder. cineforum

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utopia di Mila Lazic e Silvia Tarquini.Intervengono, con la coautrice, Giulio Ferroni, Jean-François Neplaz e Roberto Silvestri, alla presenza del regista e scrittore franco-italo-tunisino. 20 NOVEMBRE 2012 Durante le riprese della trilogia The Hobbit, Peter Jackson respinge le accuse degli animalisti del PETA di aver provocato la morte di almeno ventisette tra equini, ovini e avicoli durante le riprese, senza contare le lesio- ni ad altri esemplari, asserendo che tutte le scene scioc- canti erano state realizzate ricorrendo al computer. Lo stesso mezzo cui il regista ricorre per difendersi, sul blog magniloquente del film (e il lunista congeda, senza rab- brividire, quando mancano diciassette giorni, tredici ore, quaranta minuti e quaranta secondi all’uscita italia- na, antecedente di un giorno quella statunitense, di Un viaggio inaspettato in HFR 3D…). 21 NOVEMBRE 2012 Alla vigilia dell’inangurazione del Torino Film Festival, emerge la notizia che il preannunciatissmo premiato Ken Loach non prenderà parte alla manifestazione né si presenterà alla relativa cerimonia, per solidarietà con un ex lavoratore della cooperativa che presta al Museo Nazionale servizi esternalizzati di sorveglianza e pulizia. Rammarico del direttore Barbera, che pare avesse tenta- to di dissuadere il maestro dalla presa di posizione fin dalla scorsa primavera («Un testone fuori dalla realtà: neppure da lui accetto lezioni di etica»). Consueto dibat- tito su chi abbia ragione, con Ettore Scola che conferma invece la sua presenza premiata ritenendola più produt- tiva forma di solidarietà, editoriale di Gramellini che dà Magnifica desolazione: una suggestiva immagine dell’antidiluviano a Loach, interviste ai giornali del da Stalker (1979) di Andrej Tarkovskij, tratto da un racconto lavoratore solidarizzato (e cinefilo…) e dessert finale di Arkadij e Boris Natanovic Strugatckij. della cooperativa chiamata in causa, la Rear, che per bocca del suo presidente, il consigliere regionale PD contestatori di Putin e scritto una lettera di solidarietà Laus, querela Loach: «Il maestro e io siamo di sinistra in alle Pussy Riot, degne abitanti dell’utopistico Mondo modo diverso: non voglio cavalcare le paure, ma lottare del Mezzogiorno» (Nicola Lombardozzi, «La in modo operativo per far fronte alla crisi: sono un rifor- Repubblica»). Parecchi libri della coppia, a cominciare mista». dal 1961, sono stati tradotti da Feltrinelli, FER, Marcos Y Marcos e nei “Romanzi di Urania”. Stalker era tratto dal loro Picnic sul ciglio della strada (1971); dal romanzo omonimo Peter Fleischmann aveva tratto È difficile essere un dio (1989). 19 NOVEMBRE 2012 Dopo i fischi, i premi e le polemiche al festival romano, la vedova di Bruno Martino, Fiorelisa Calcagno, per mezzo dell’avvocato Sammarco intraprende contro E la chiamano estate di Paolo Franchi un’azione legale, volta «inibire la proiezione e la distribuzione nelle sale del film, lesivo del patrimonio morale, culturale e artistico del musicista. Quantomeno bisognerebbe togliere dalla pellicola le musiche del maestro Martino». E almeno il titolo lo vogliamo lasciare? si chiederà qualcuno… 520 19 NOVEMBRE 2012 Alla Casa del Cinema di Roma, si presenta il volume Marc Scialom. Impasse du cinéma. Esilio, memoria, Una scena di Lettre à la prison 1969) di Marc Scialom. cineforum

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22 NOVEMBRE 2012 Nazioni). Aveva ripreso il ruolo nel sequel di quest’anno, Al MaXXI di Roma, per la serie Contemporanea- come già in due film derivatine nel 1996 e nel 1998. Da MENTE, Emma Dante, in procinto di passare anche al una ventina d’anni era alle prese con problemi oncolo- cinema, parla della propria scrittura teatrale, che inda- gici da alcoolismo. Dalla fine degli anni Cinquanta aveva ga «quello che siamo, senso e follia, forza e debolezza del lavorato molto per il cinema, diretto tra gli altri da nostro essere calati in questa realtà». LeRoy, Ulmer, Logan, Lumet, Preminger, Peter Fonda, Delbert Mann, Mazursky, Kennedy,Yates, John Sturges, Richard Donner, Edwards (S.O.B.), Stone e Nichols. 24 NOVEMBRE 2012 Maria Antonietta Sisini, la gratitudine nei confronti della quale da parte di appassionati e cultori non sarà mai sufficiente, propone Para Siempre, un cofanetto con cd e dvd della grande Giuni Russo. Nel cd, con l’inedita del titolo, una serie di interpretazioni classiche dell’indi- menticato asso canoro, tra cui Johnny Guitar e My Way. Il dvd offre l’intitolazione alla sua memoria della galleria del Teatro Zancanaro di Sacile, dove ebbe luogo la sua ultima, suprema performance pubblica per Napoli che canta di Roberto Leone Roberti (anch’essa disponibile in un dvd impagabile…) cui lo scrivente ebbe l’inusitata fortuna di partecipare. 25 NOVEMBRE 2012 Ancora splendide proposte in dvd: la Eye division pro- pone il Riccardo III (1977) di Carmelo Bene, con un’in- Programma spaziale: Larry Hagman, a destra, con Bill Daily, troduzione di Maurizio Grande e il documentario Bravo Barbara Eden e il collega scimpanzé Sam, in un episodio Bene di Giusti, Luciani e Tadini. Il Luce ripropone in un della serie tv Strega per amore (1965-1970). cofanetto La scoperta del cinema, il volume recante la tesi di laurea 1932 di Francesco Pasinetti, la prima in 23 NOVEMBRE 2012 assoluto dedicata in Italia all’argomento, e tre dischi Muore a Dallas a 81 anni Larry Hagman, nato a Forth contenenti ben diciannove film dello stesso storico pio- Worth (Texas) il 21 settembre 1931. Figlio d’arte (sua niere veneziano (il lungometraggio Il canale degli angeli madre era l’attrice cineteatrale Mary Martin, una vedet- e diciotto corti…), restaurati digitalmente, per le cure di te di Broadway) si afferma nettamente per via tv grazie Maurizio Reberschak, figlio di Ermanno, documentari- alla sitcom Strega per amore (1965), ma soprattutto per sta coetaneo e sodale di Pasinetti, e Carlo Montanaro, merito dell’interpretazione del personaggio di “J.R.” presidente dell’Associazione Italiana Ricerche Storia del Ewing in Dallas (CBS, dal 1978 al 1991: il prototipo pro- Cinema e del Comitato per le celebrazioni pasinettiane. babilmente insuperato del serial da teleschermo, tradot- to in sessantasette lingue ed esportato in quasi cento [email protected] Federazione Italiana Cineforum

La Federazione Italiana Cineforum (FIC) raggruppa in tutta Italia numerosi cineforum e cineclub. La FIC organizza corsi, seminari e convegni, distribuisce film classici e inediti, fornisce consulenze, cura la pubblicazione della rivista «Cineforum» e di altri prodotti editoriali di cultura cinematografica. Per informazioni su come fondare un cineforum e sulle modalità di adesione alla FIC ci si può rivolgere alla Segreteria – Sede operativa di Bergamo, tel. 035 361361 (da lunedì a venerdì 9.30-13.00, mercoledì e giovedì 9.30-13.00, 15.00-18.30) o via e-mail [email protected]. I cineforum di nuova costituzio- ne possono richiedere gratuitamente, nel primo anno di associazione, due film distribuiti dalla FIC e dalla Lab80 Film (via Pignolo, 123 IT - 24121 Bergamo, tel. 035 342239, fax 035 341255, [email protected]). A cinque membri di ogni nuovo cineforum viene mandata in omaggio per un anno la rivista «Cineforum». Tutti i cineforum affiliati ricevono la rivista «Cineforum», ottengono a prezzi speciali i film della cineteca della Fic e del listino della Lab80 Film, hanno la pos- sibilità di partecipare a convegni, corsi, mostre e festival del cinema. Il comitato centrale della FIC, per il triennio 2011-2014, è composto da Ermanno Alpini (Arezzo), Chiara Boffelli (Bergamo), Gianluigi Bozza (presidente, Trento), Maurizio Cau (vicepresidente, Rovereto, TN), Bruno Fornara (Omegna, VB), Raffaella Leonardi (Oleggio, NO), Cristina Lilli (Bergamo), Roberto Marchiori (Legnago, VR), Adriano Piccardi (Bergamo), Walter Pigato (Nove, VI), Jurij Razza (Robbiate, LC), Roberto Santagostino (Tortona, AL), Angelo Signorelli (vicepresidente, Bergamo), Enrico Zaninetti (segretario, Novara). Sono sindaci revisori dei conti e probiviri: Dino Chiriatti (Roma), Roberto Figazzolo (Pavia), Pierpaolo Loffreda (Pesaro), Giuseppe Puglisi (Ragusa), Piergiorgio Rauzi (Trento),Leo Rossi (Caerano San Marco,TV), Claudio Scarpelli (Reggio Calabria),Tonino Turchi (Pesaro), Daniela Vincenzi (Bergamo), Sergio Zampogna (Bergamo). 520 I dati forniti dai sottoscrittori degli abbonamenti vengono utilizzati esclusivamente per l’invio della pubblicazione e non vengono ceduti a terzi per alcun motivo.

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La rubrica di Sergio Arecco Il cinema e il suo doppio si è qualificata negli ultimi cinque anni come uno degli appuntamenti periodici più significativi di «Cineforum». E’ stato quasi naturale pensare, a un certo punto, di proporre una selezione di quei saggi in una veste diversa, accorpandoli in una successione ragionata, selezionati da Sergio Arecco medesimo. Il risultato mette in rilievo un pensiero di cinema e un’idea di critica, che nel lavoro del loro autore si esplicitano di maniera trasparente e coerente, in un continuum che va al di là dell’autonomia e della compiutezza in sé di ogni singolo saggio.

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