Cesare Cantù
Cesare Cantù Margherita Pusterla: racconto storico - Lettor mio, hai tu spasimato? - No. - Questo libro non è per te. 1833. CAPITOLO PRIMO. Entrando il marzo del 1340, i Gonzaga signori di Mantova avevano aperta una corte bandita nella loro città, con tavole disposte a chiunque venisse, con musici, saltambanchi, buffoni, fontane che sprizzavano vino, tutta insomma la pompa colla quale i tirannelli, surrogatisi ai liberi governi in Lombardia, procuravano di stordire i generosi, allettare i vani, ed abbagliare la plebe, sempre ingorda dietro a queste luccicanti apparenze. Fra i tremila cavalieri concorsi a quella festa con grande sfoggio d'abiti, colle più belle armadure che uscissero dalle fucine di Milano, con destrieri ferrati persino d'argento, v'erano comparsi molti Milanesi per fare la corte al giovinetto Bruzio, figliuolo naturale di Luchino Visconti, signor di Milano. Sono fra essi ricordati Giacomo Aliprando, Matteo Visconti fratello di Galeazzo e di Bernabò, che poi divennero principi; il Possidente di Gallarate, il Grande de' Crivelli, e sovra gli altri segnalato Franciscolo Pusterla, il più ricco possessore di Lombardia, e sarebbesi potuto dire il più felice, se la felicità potesse con beni umani assicurarsi, e se da quella non fosse precipitato al fondo d'ogni miseria, come il processo del nostro racconto dimostrerà. Questi campioni milanesi avevano riportato il premio della giostra ivi combattutasi, il quale consisteva in un superbo puledro del valore di 400 zecchini, nero come una pece, colla gualdrappa color di cielo, ricamata ad argento; in un altro, mezzano di grossezza, baio di colore e balzano di due piedi: oltre a due abiti, uno di scarlatto, l'altro di sciamito foderato di vaio.
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