DA BERENGARIO AL GRANDE ARIBERTO Con la fine della dinastia carolingia, in tutta Europa si apriva una fase di gravissima instabilità. Anche in Italia. fra le invasioni ricorrenti degli Ungari e dei Normanni, si combatté la lotta per il regno, conteso tra gli effimeri re d'Italia prima che la restaurazione di Ottone I il Grande ponesse le basi per un nuovo impero universale. E intanto cresceva l'influenza della Chiesa, Stato anch'esso nascente, fra luci e ombre, fra virtù di fede e sete di mondano potere. Per quanto riguarda la Lombardia e le nostre terre di Monza e Brianza, questo burrascoso periodo si apre nel nome di Berengario, primo re d'Italia e grande benefattore di Monza, e si chiude nel nome di Ariberto, vescovo di Milano, grande feudatario, strenuo difensore dei privilegi della Chiesa contro le pretese dei laici, re, imperatori o piccoli nobili che fossero.

Il lungo duello fra Berengario e Guido La caduta di Carlo il Grosso provocò notevoli conseguenze anche in Italia, o almeno in quella parte d'Italia dove governavano gli imperatori carolingi tramite i loro grandi vassalli, e precisamente i duchi e marchesi del Friuli, di Ivrea, di Toscana, di Spoleto, oltre ai vescovi e arcivescovi legati all'impero, primo fra tutti l'arcivescovo di Milano.

Tutti aspiravano alla corona italica, e tutti complottavano l’uno contro l'altro, poiché,

come scrive Liutprando vescovo di riberto A Cremona, "tenevano a freno il re del momento con la minaccia di eleggerne un altro; potendo, preferivano avere due re, come pretesto per non ubbidire a nessuno". Appresa la notizia della deposizione di Carlo il Grosso, questi grandi feudatari ai

primi di gennaio dell'anno 888 si riunirono a

Da Berengario al grande Dagrande Berengario al

Pavia ed elessero re d'Italia il marchese del – Friuli Berengario, pronipote di Carlomagno.

Alcuni di loro, però, non riconobbero

Brianza Brianza

Berengario e gli contrapposero Guido da La croce di Berengario I, Donata 1

Spoleto. al tesoro di Monza Pagina

Alcuni di loro, però, non riconobbero Berengario e gli contrapposero Guido da Spoleto. Inizio così la lunga contesa fra il marchese del Friuli e il duca di Spoleto. I due si affrontarono una prima volta presso Brescia, senza conseguenze, e poi nel febbraio dell'889 sulle rive della Trebbia. Qui Berengario venne sconfitto e si ritirò nella Marca orientale, che lo riconobbe come re legittimo, ponendo la sua residenza a . Guido da Spoleto invece si recò nell'antica capitale longobarda, Pavia, dove fu acclamato re d'Italia. Nel febbraio dell'891 Guido venne incoronato imperatore a Roma da papa Stefano V, mentre il titolo di re d'Italia venne conferito al figlio quindicenne Lamberto. È di questo periodo un atto amministrativo di grande importanza per le nostre terre: Guido infatti istituì la Marca di Lombardia, comprendente Milano, Como, Pavia, Sondrio, Bergamo, Lodi, Cremona, Brescia, Mantova, Piacenza, Parma, Reggio, Modena. Ma Berengario non era scomparso per sempre dalla scena, anzi i due continuarono a combattersi, finche, nell'894, Guido morì all'improvviso e quattro anni dopo morì anche il giovanissimo Lamberto per una caduta da cavallo. Berengario riprese così possesso

di Milano, di Pavia e di tutta l'Italia settentrionale dall’Adda

alle Alpi. riberto

Il re che amava Monza A Berengario dovette subito affrontare una grave emergenza: l'invasione degli Ungari, che nell'899 dilagarono nel Friuli arrivando fino al Brenta. Il re armò un esercito di 15.000 uomini, ma venne sconfitto. Gli Ungari

calarono allora in pianura e saccheggiarono Treviso, Padova, Reggio,

Dagrande al Berengario

Modena, Bergamo; incendiarono anche l'abbazia di Nonantola. Sembra che – giunti fin sotto Milano fossero stati respinti dall'arcivescovo Landolfo.

Non era la prima invasione di questo popolo che per tutto il IX secolo

Brianza Brianza

avrebbe devastato l'Europa. 2 Gli Ungari o Magiari1, di etnia mongola, dal VIII secolo avevano iniziato a

calare al centro e al sud dell'Europa, con incursioni rapide e rovinose. Pagina

Proprio per difendersi dagli Ungari, fra il 924 e il 952, sorsero i primi castelli lombardi, e precisamente quelli di Caleppio, nel 924, di Treviglio, nel 929, di Inzago, nel 941, di Bozzolo, nel 949, di Medolago, nel 952. Risale inoltre al 919 un atto ufficiale scritto in castro qui est posito in villa Modici, la prima attestazione che a Monza c'era un castello, anteriore a quelli sopra citati, nel quale certamente risiedette Berengario, che da li emanò vari diplomi con i quali compiva donazioni alla Chiesa e concedeva permessi di fiere e mercati. Si tratta dei primi atti ufficiali nei quali ritorna il nome di Monza come sede di corte regale, dopo gli splendori dell'età di Teodolinda. Come mai Berengario risiedeva a Monza più che a Milano o a Pavia? Probabilmente perché a Milano il re aveva pochi amici, mentre Monza era un antico e importante possedimento del fisco regio fin dall'età longobarda. Come scrive lo storico Giulini nel 1760, Berengario, "avendo si per la Il Sacramento di Berengario bellezza del sito, che per la salubrità dell'aria, preso molto affetto per Monza, volle ritornarvi di nuovo, e colmarla di molte grazie".

I favori di Berengario andavano soprattutto alla Chiesa, al fine di ottenere l'appoggio contro i grandi feudatari laici spesso ostili e da lui

ritenuti sempre infidi. riberto All'interno di questa politica delle alleanze si pone l'importante A donazione fatta nel 920 ai canonici della basilica di Monza che, lamentatisi ufficialmente presso il re per la mancanza di mezzi di sostentamento, ottennero il beneficio della corte di Cremella, compresi il monastero delle monache di San Pietro, la corte di Bulciago e la corte di Calpuno, con relativi poderi, case, chiese e abitanti.

Era una donazione veramente cospicua, alla quale era però legato l'obbligo Dagrande al Berengario

da parte dei canonici di provvedere al sostentamento delle dodici – monache di Cremella, al mantenimento ed eventuale restauro della chiesa,

alla provvista annua di cinque anfore di vino e dodici sestari di frumento

Brianza Brianza

ai religiosi che si occupavano della chiesa. –

Questo del 920 è il documento2 più antico riguardante il monastero di 3

Cremella, anche se la leggenda vuole che a fondarlo sia stata la solita Pagina

Teodolinda, che avrebbe poi donato alla comunità monastica un anello di zaffiro che per secoli i Brianzoli considerarono miracoloso contro il mal d'occhi. La corona non fu mai saldamente sul capo di Berengario; di fatto egli regnava soltanto sull'Italia settentrionale, e non senza opposizione da parte dei feudatari. I suoi ultimi anni furono amareggiati dalla contesa con Rodolfo di Borgogna, che reclamava per se il regno d'Italia, e che lo sconfisse a Fiorenzuola, costringendolo ancora una volta a rifugiarsi nella fedele Verona. E qui Berengario viene ucciso a colpi di spada il 7 aprile del 924, una data nota perché riportata in un calendario necrologico della Chiesa monzese del XII secolo: a Monza, insomma, dopo due secoli si conservava ancora la memoria di questo sovrano, verso il quale perdurava la riconoscenza per aver lasciato alla cittadina lombarda i gioielli più preziosi della sua famiglia e aver ricostituito il patrimonio fondiario della basilica. Berengario dona infatti a Monza prima del 915 un codice preziosissimo, il cosiddetto Sacramentario di Berengario, sulle cui ultime pagine nei primi decenni del X secolo vennero trascritti due inventari relativi agli oggetti preziosi appartenenti alla cappella di palazzo "del serenissimo re Berengario" e donati alla basilica.

Nel primo elenco troviamo circa quaranta oggetti. fra i quali due corone d'oro, sette croci. due calici, un dittico d'avorio e un liber

sacramentorum, cioè il Sacramentario. riberto Nel secondo elenco sono enumerati circa cinquanta oggetti, fra i quali di A particolare rilievo due croci, una corona, quattro calici, due dittici d'avorio, due codici. Degli oggetti citati nei due elenchi, gli studiosi assegnano all'età di Berengario una grande croce detta appunto di Berengario e la famosa Corona Ferrea3-4.

Il perfido Marchese d’Ivrea

Dagrande al Berengario

Rodolfo di Borgogna aveva dunque sostituito Berengario I nella corona – d'Italia, ma nel 926 quegli stessi feudatari che lo avevano appoggiato lo

ripudiarono a favore di Ugo di Aries, signore di Provenza.

Brianza Brianza

Anche per lui la corona fu effimera e perennemente contestata, prima da 4

Arnolfo di Baviera, poi da Berengario marchese d'Ivrea, che tramo con Pagina altri signori italiani per impadronirsi del regno. Ma Ugo reagì e obbligo il marchese a scappare in Germania. Ugo di Provenza morì nel 947 o 948; gli succedette il figlio Lotario, cui si affianco come consigliere e primo ministro proprio Berengario d'Ivrea, che stabilitosi a Milano, si guadagno subito l'odio del popolo per la sua esosità. Lotario regno per poco, e morì nel 950 forse avvelenato dal perfido Berengario, il quale venne subito acclamato re d'Italia. Lotario aveva lasciato una vedova giovanissima Adelaide, che il nuovo re avrebbe voluto sposa per il Proprio figlio Adalberto - o secondo alcuni per se stesso – difronte al rifiuto di Adelaide, venne ostinatamente perseguitata. Rifugiatasi a Como, nel 951 Berengario la fece rapire e rinchiudere nella rocca di Garda. Secondo la tradizione, probabilmente assai romanzata, con l'aiuto del vescovo di Reggio e del cappellano della rocca la regina riuscì a fuggire travestita da uomo, nascondendosi fra le paludi di Mantova. Qui lo stesso Berengario l'avrebbe cercata senza riuscire a trovarla. Soccorsa da un pescatore, Adelaide venne raggiunta dal vescovo di Reggio che l'affidò a un suo vassallo del castello di Canossa. Dalla Germania seguiva le sorti di Adelaide un sovrano allora quarantenne,

Ottone di Sassonia. che si riteneva illegittimo aspirante alla corona

Italiana e a quella imperiale. Soccorrere la vedova di Lotario e ottenere la

mano gli sembro un ottimo mezzo per raggiungere il suo scopo. riberto Così, nel 951 Ottone scese dal Brennero con un forte esercito, e non A incontro resistenza alcuna. A Verona il conte Milone gli aprile porte della città e Berengario si vide perduto. Fuggi quindi nella fortezza di San Marino e Ottone entro in Pavia il 23 settembre 951. I signori italiani si affrettarono a rendergli omaggio e a promettergli fedeltà come nuovo re d'Italia.

Da Pavia Ottone mando a Canossa ricchi doni per Adelaide, chiedendola in Dagrande al Berengario

sposa. Adelaide accetto la sua proposta di matrimonio, che fu celebrato – con grande sfarzo Nel 952 Ottone torno in Germania, lasciando a Pavia il

genero Corrado di Franconia con alcune truppe.

Brianza Brianza

Subito Berengario e il figlio Adalberto trattarono con Corrado, – persuadendolo ad accompagnarli in Germania per chiedere pace a Ottone 5

e ottenere il governo dell'Italia in nome del re, che venne loro concesso Pagina nella Dieta di Augusta dell'agosto 952. Ma Ottone era lontano, e i due ripresero a infierire sui nemici e sulle popolazioni, contestando la legittimità del potere esercitato dal sovrano tedesco. La ribellione di Berengario durò quattro anni. Nel 956 il figlio di Ottone, Liudolfo, scese in Italia, sconfisse i seguaci del marchese d'Ivrea in una in Lombardia e ottenne la sottomissione dei signori e dei vescovi. Berengario e Adalberto restavano tuttavia padroni dell'Emilia e della Toscana e rialzarono subito la testa quando il giovane Liudolfo nel 958 morì improvvisamente sulla strada del ritorno in Germania. Soltanto tre anni dopo, nel 961, Ottone ridiscese in Italia, occupando Pavia e costringendo Berengario a rifugiarsi nella rocca di San Leo in Romagna. Terminava qui l'avventura del secondo Berengario, che morì in esilio tre anni dopo senza lasciare rimpianti; iniziava invece il sogno imperiale di Ottone e della sua breve dinastia.

La dinastia Ottoniana. Ottone venne solennemente incoronato imperatore nel 962 da papa Giovanni XII, che gli promise fedeltà. In cambio, Ottone confermò alla Chiesa tutti i suoi possedimenti. L'intesa tra il papa e l'imperatore venne formalizzata nel cosiddetto "privilegio ottoniano" secondo il quale clero e popolo romano erano dichiarati liberi nella elezione del papa, che però, prima di essere consacrato, avrebbe dovuto ottenere l'approvazione dell'imperatore, al quale sia il pontefice sia il popolo di Roma dovevano prestare giuramento

di fedeltà. riberto A Analogamente, anche i vescovi e gli arcivescovi del territorio dell'impero sarebbero stati nominati dal papa e dal popolo previa approvazione dell'imperatore. verso il quale dovevano mantenere il vincolo di fedeltà. A conferma della sua predilezione verso la Chiesa. Ottone pose a capo di molte città i vescovi-conti. "investiti" dall'imperatore del potere statale e giudiziario.

Sembrava l'inizio di una proficua collaborazione, ma in realtà nel

Dagrande al Berengario

"privilegio ottoniano" si ponevano le basi per la prossima, devastante – guerra fra i due poteri, imperiale e papale, la lotta per le investiture.

Ottone il Grande morì nel 973. Gli succedette per dieci anni il figlio

Brianza Brianza

Ottone II, quindi il terzo e ultimo degli Ottoni, che sognò la renovatio 6 dell'impero romano.

Pagina

Egli abbandonò la sua terra germanica per porre la sede imperiale a Roma dalla quale intendeva richiamare tutti i signori a lui soggetti al rispetto dell'autorità universale dell'imperatore. Non ebbe successo. In Italia i grandi feudatari, che già si erano opposti al potere accordato ai vescovi, rifiutarono la concezione ottoniana e si ribellarono. Ottone III morì per febbri malariche nel 1002 e con lui morì il tentativo di far rinascere l'impero universale di Roma. Monza compare in un documento di Ottone Ottone I, fondatore della dinastia ottoniana III, ovvero nel diploma datato da Pavia il 10 luglio dell'anno 1000 con il quale il sovrano prende sotto la sua protezione la canonica di San Giovanni Battista, con i canonici e i possedimenti annessi, mobili e immobili. Vengono così citati il castello di Blauciago (Bulciago), le corti di Cremella, Calpuno (Lurago), Leucate (Locate) e Garlinde (Garlate). Tre settimane dopo la morte di Ottone a Pavia i signori Italiani elessero re d'Italia Arduino d'Ivrea che aveva guidato la rivolta dei feudatari,

mentre in Germania venne eletto re di Germania e "re dei romani" il duca di Baviera Enrico II, che subito riprese ad Arduino il regno d'Italia,

sconfiggendolo a Verona nell'aprile del 1004. riberto Nel mese di maggio l'arcivescovo di Milano incorono Enrico re d'Italia, A con una solenne cerimonia nella basilica di San Michele a Pavia; nel1014 il papa Benedetto VIII lo incorono imperatore a Roma. Ed è proprio Enrico II a nominare arcivescovo di Milano un personaggio importante, per la storia di Monza e della Brianza il grande Ariberto d'Intimiano.

L'Arcivescovo che veniva dalla Brianza

Dagrande al Berengario

Ariberto era il rampollo di una nobile famiglia longobarda che possedeva – la corte d’Intimiano presso Cantù. Fin da giovanissimo aveva scelto la

carriera ecclesiastica all'interno del clero milanese, dal quale dipendeva

Brianza Brianza

appunto la pieve gallianate, e quando, nel 1018, morì l'arcivescovo Arnolfo 7 II, l'imperatore Enrico II di Baviera nomina l'ancor giovane ma

determinato ecclesiastico primate di Milano. Pagina

In quanto vescovo-conte, cioè grande vassallo imperiale, Ariberto partecipa nel 1019 alla Dieta di Strasburgo indetta per affrontare la grave situazione dell'Italia meridionale, contesa fra Bizantini e Normanni, e in quanto massima autorità della diocesi milanese prese parte al Concilio di Pavia del 1022, convocato per riformare i corrotti costumi del clero. Nel concilio si decise di ripristinare le Ariberto in un affresco della basilica di Galliano norme sul celibato del clero, poiché da anni era invalso il costume da parte dei chierici di unirsi a donne e di averne figli, cui venivano poi date in eredità le terre e i beni goduti in beneficio. Questo portava a un grave impoverimento delle proprietà della Chiesa, oltre allo scandalo che ne nasceva presso i fedeli. Ariberto firmò il decreto di condanna del concubinato, ma sembra che manifestasse tolleranza verso quei chierici che celebravano matrimoni regolari con donne di elevato stato sociale e lasciavano ai figli terre e beni di loro proprietà. All'arcivescovo, insomma, interessava soprattutto

la salvaguardia del patrimonio ecclesiastico, più che la purezza dei costumi. Di qui, forse, la leggenda, accettata da alcuni come fatto storico.

del matrimonio dello stesso Ariberto con la nobile Usseria. riberto Nel 1024 Enrico II morì senza eredi e si scatena la lotta di successione. A Molti nobili italiani manifestarono allora una certa propensione per l'aspirante francese, Guglielmo di Aquitania, e fu proprio Ariberto a sbloccare la situazione nel 1025 recandosi in Germania con vasto seguito e rendendo omaggio a Corrado II detto il Salico, sostenuto dall'imperatrice vedova Cunegonda.

Nella sua visita Ariberto5 invito l'imperatore a recarsi a Milano. dove lo Dagrande al Berengario

avrebbe incoronato re d'Italia, cosa che avvenne nella primavera del – 1026, come testimoniano le cronache dell'abbazia di Nonantola.

Iniziava cosi il lungo rapporto con Corrado II, destinato a durare fra alti

Brianza Brianza

e bassi fino alla morte dell'imperatore. –

8 Pagina

Il primo atto della riconoscenza di Corrado verso il suo grande elettore fu il tacito assenso a che Monza, da secoli corte regia, divenisse praticamente possedimento dell'arcivescovo di Milano. Del resto, la corte di Monza apparteneva alla basilica di San Giovanni, e un arcivescovo poteva legittimamente considerarla come una pieve della sua diocesi. Naturalmente i canonici di San Giovanni non erano d'accordo, anzi, e la proprietà della corte di Monza sarebbe stata l'oggetto di una delle questioni discusse alla Dieta di Roncaglia del 1158, presieduta dal grande Barbarossa. Sta di fatto che Ariberto soggiorno spesso nel palazzo di Monza, e li trascorse gli ultimi anni della sua vita. Ariberto amava le terre brianzole, delle quali era originario, e sembra che nell'estate del 1026 abbia invitato l'imperatore a soggiornare presso di lui ultra Atim fluvium, ovvero in Brianza, al fresco. L’amicizia con Corrado II continuò con atti significativi, dalla presenza di Ariberto all'incoronazione imperiale del 1027 a Roma, all'aiuto prestato nella riconquista della Borgogna nel 1034. Dalla spedizione Ariberto tomo carico di gloria e di onori, e sempre più potente, tanto che contro di lui si scatena una rivolta da parte dei valvassori, i nobili minori.

Tradito dall’imperatore

L'occasione, probabilmente. venne data dalla revoca di un feudo a uno di loro da parte di Ariberto. Sta di fatto che questi valvassori se ne 6

andarono da Milano. cercando aiuto presso i signori del Seprio e della riberto A Martesana. cui si unirono anche le milizie di Lodi. Nel 1036 si giunse allo scontro aperto a Campomalo, fra Milano e Lodi, ma il colpo mortale all’arcivescovo, paradossalmente, venne dal suo imperatore. Infatti i nobili minori chiesero aiuto proprio a Corrado perché si stendessero norme scritte contro gli arbitri dei grandi feudatari e dei vescovi-conti, e questo coincideva con la politica dell'imperatore che in

Germania stava appunto cercando di porre freno allo strapotere

Dagrande al Berengario

dell'aristocrazia. – Nelia Dieta di Pavia del 1036, Corrado, ascoltate le lagnanze contra

Ariberto, ne decretò l'arresto.

Brianza Brianza

Rinchiuso in un castello presso Piacenza, l'arcivescovo riuscì a evadere e 9

tornò a Milano accolto dall'entusiasmo della popolazione. Pagina

Corrado, tentato invano di assalire la città, decise di agire per vie politiche. Nel 1037 emanò quindi quella Constitutio de feudis con la Quale si dichiaravano ereditari anche i feudi minori e, nel 1038. dichiara decaduto l'arcivescovo. Ariberto chiama il popolo milanese alla mobilitazione, formando un esercito composto da tutte le classi sociali, raccolto intorno al simbolo della città. il Carroccio. "inventato" dallo stesso arcivescovo. Quando un anno dopo Corrado morì, e gli successe il figlio Enrico III per Ariberto giunse il momento di porre fine alle ostilità; così nella Pasqua del 1040 si presenta al nuovo imperatore e gli rese omaggio, avendone in cambio il ripristino dei suoi poteri. Ritornato a Milano, l'arcivescovo trova una situazione esplosiva. Ottenuti i loro privilegi, infatti, anche i nobili minori si erano dati alle prepotenze e all'arbitrio, angariando mercanti, professionisti, artigiani. Questa borghesia laboriosa e capace si diede dunque un capo, Lanzone da Corte, e caccia i nobili dalla città. Era il 1042: resosi conto di non essere più in grado di prendere in pugno la situazione, Ariberto decise di tirarsi fuori da quella che era ormai diventata una vera guerra civile. atroce e spietata e, secondo Landolfo Seniore, se ne andò da Milano stabilendosi a Monza proprio per dimostrare la propria estraneità a questa lotta fratricida.

Ammalatosi gravemente, nel dicembre del 1044. sentendosi alla fine, l'arcivescovo si fece trasportare nella sua Milano, dove chiuse gli occhi 7

per sempre il 16 gennaio 1045 . riberto A

Dagrande al Berengario

Brianza Brianza

10

Pagina

1) “Arrivano gli Ungari” torri e castelli della Brianza “Arabie Ungherorum libera nos Domine". Con questa supplica rituale, introdotta dalla Chiesa in anni in cui le popolazioni del Veneto e della Lombardia vivevano nel terrore, si scongiuravano gli assalti dei terribili Ungari, mentre ovunque si innalzavano strutture difensive, approfittando di un'altura o di un antico insediamento strategicamente favorevole. L'intera Brianza è oggi disseminata di ruderi, testimonianza dell'ampia diffusione dell'incastellamento, che a partire dal X secolo per tutta l'età feudale interessa l'occidente europeo. In un primo tempo una semplice cinta muraria custodiva al suo interno altre costruzioni, specie nel momento in cui decadde la loro funzione difensiva. Fra i resti più antichi, la grande torre di Cesano Maderno è ciò che rimane di un più vasto complesso dopo un'insurrezione scoppiata nel 1.228 per liberare la popolazione dalla servitù feudale del monastero di Arona. Torre di Barzanò

È un esempio di quel decastellamento che oggi fa si che di molte antiche sedi fortificate non sia rimasta alcuna traccia. La torre sorse

probabilmente ne X secolo, come attesta la tecnica muraria del riberto basamento in bugnato irregolare, ancora visibile nonostante i diversi A rifacimenti. Simili interventi si riscontrano in numerose costruzioni del genere e si spiegano con la ricorrente trasformazione delle torri in abitazioni; accanto a tale fenomeno, si assiste talvolta a un completo assorbimento di queste antichissime strutture nel tessuto urbano più recente, come nel caso di Maisano o di Costamasnaga. A Brivio è ancora

possibile vedere parte dell'antica rocca del X secolo: spiccano due torri Dagrande al Berengario

rotonde e un torrione quadrato con un massiccio sperone sull'Adda. È – verosimile che quest'ultimo fosse una torre di avvistamento o di

segnalazione preesistente, probabile nucleo originario del più vasto

Brianza Brianza

complesso. Allo stesso periodo risale infine anche il castello di Barzanò, distrutto all'inizio del Duecento, scomparso come molti altri castelli con il 11

declino del feudalesimo, all'affacciarsi di una nuova realtà sociale e di Pagina nuove esigenze che portarono alla ribalta un diverso assetto dei centri abitati e altre tipologie architettoniche.

2) Gli antichissimi affreschi della basilica di Agliate Come altre chiese medioevali della Brianza, anche la basilica di Agliate vanta un interessante ciclo di affreschi che il restauro (a metà degli anni ottanta) e i seguenti studi condotti dal grande esperto Oleg Zastrow hanno contribuito a rivalutare ampiamente e a rivedere in una nuova prospettiva storica. Considerando in particolare ciò che rimane dei dipinti altomedioevali nella navata centrale, parte di un vasto ciclo andato perduto, lo studioso, ben lungi dal considerarli opera di pittori provinciali e "ingenui" dell'XI secolo, come vuole un'illustre tradizione critica, li attribuisce al secolo precedente, sottolineandone gli influssi tardocarolingi e riscontrandovi una tecnica espressiva straordinariamente rara all'epoca. Naturalmente questa datazione degli affreschi comporterebbe uno spostamento della fondazione della Affreschi nella basilica di basilica alla fine del IX secolo, sollevando Galliano problemi non indifferenti e contraddicendo autorevoli studi fin qui

compiuti. Tuttavia, al di la di qualsiasi polemica, il decisivo restauro riberto A accompagnato dalla ricerca di Zastrow ha l'indiscutibile pregio di avvicinare il pubblico a un patrimonio pittorico fino a poco tempo fa trascurato, e ora finalmente messo in luce.

3) La basilica di Galliano: gioiello romanico. Un’impresa di grande portata si trovò ad affrontare Ambrogio Annoni quando, in due campagne 1909/13 e dal 1932/34, diede inizio ai lavori di

restauro che restituirono all’antico splendore la basilica di San Vincenzo a Dagrande al Berengario

Galliano, ridotta per tutto XIX secolo ad abitazione colonica. Oggi, grazie –

all'opera di Annoni e agli interventi di recupero degli anni seguenti, Brianza Brianza

possiamo ammirare questa rara e preziosa testimonianza degli sviluppi

tecnici raggiunti dall'architettura del X secolo, precedente importante 12

per il successivo corso dell'arte romanica. Risulta evidente che il Pagina presbiterio e la zona delle navate risalgono a due diversi periodi. La parte dell'abside si deve all'intervento del potente Ariberto, custos della basilica. Essa è degli anni intorno al Mille, come suggeriscono le volte a crociera e gli archi traversi della cripta, realizzati secondo moduli tipici di quell'epoca. Diversa per materiali e tecniche costruttive, è priva di ogni decorazione, se si escludono gli incavi a forma di rombo tra le finestre, la zona delle navate risale a un periodo precedente a quello in cui fu edificata l'abside, senz'altro entro il X secolo, momento in cui si ricostruì l'originario edificio paleocristiano. Le anomalie che si riscontrano nel punto di congiunzione tra il presbiterio e il corpo principale si aggiungono a confermare le differenti età delle due parti della chiesa. Molte finestre del corpo longitudinale sono otturate, e si pensa che ciò sia avvenuto per fare spazio agli affreschi che si trovano all'interno, anch'essi voluti da Ariberto (che figura nell'abside come offerente) e realizzati nel 1007, anno in cui la basilica fu consacrata.

Queste pregevolissime pitture - la più vasta superficie affrescata del Basilica di Galliano

periodo che sia rimasta in tutta l'Italia settentrionale - corrono in tre riberto A diversi registri lungo la navata centrale e sulle pareti dell'abside, dove spicca una Maiestas Domini, mentre nell'emiciclo inferiore è narrato il Martirio di san Vincenzo, il più antico ciclo dedicato a questo santo. Il Maestro dell'abside si rivela come una delle personalità più interessanti del suo tempo: gli elementi tradizionali sano rielaborati in chiave molto personale; una straordinaria capacità di composizione rende questi

affreschi un esempio che, superando altre illustri opere coeve, fece

Dagrande al Berengario

scuola non solo in Italia (battistero di Novara), ma anche in Spagna, in – Inghilterra e in Baviera.

4) Il battistero di Galiano Brianza

A Galliano, attiguo alla basilica di San Vincenzo, sorge un altro edificio di 13

grandissimo interesse artistico. Pagina

Il battistero, costruzione molto complessa e articolata, di poco successivo al Mille, si rifà a modelli classici e tardo antichi, mediati da influssi carolingi. Se da un lato è innegabile l'importanza del monumento per comprendere i successivi sviluppi dell'arte romanica, annunciati specialmente nei matronei e nei tiburi, ciò che maggiormente colpisce è tuttavia l'eco della rinascenza carolingia che si avverte nella struttura d'insieme e in particolar modo nell'imponente Il battistero di galliano sviluppo verticale, che accomunano il battistero alla celeberrima cappella Palatina di Aquisgrana. Tali corrispondenze si spiegano pensando alla fittissima rete di scambi che animava quei secoli; monaci e abati, artigiani e artisti, imperatori e re attraversavano l'Europa da un capo all'altro, segnando le tappe del loro cammino con inconfondibili tracce di culture diverse, che davano nuovo impulso alle tradizioni locali, particolarmente numerose in zone come la Brianza, da sempre terra di passaggio e meta obbligata lungo i principali percorsi che univano le grandi città del tempo.

5) La corona di Aginulfo: un falso riberto

Per l'incoronazione a re d'Italia di Corrado II il Salico l'arcivescovo di A Milano Ariberto scelse, come prescritto dal cerimoniale, una corona d'oro, la cosiddetta "corona di Agilulfo", ovvero quella che sarebbe stata indossata dal consorte della grande Teodolinda. A Monza, come è oggi noto, c'erano pero due corone, una di Teodolinda e l'altra di Gisla, quella che poi sarebbe stata detta "ferrea", mentre non si trova alcuna menzione di una terza attribuita ad Agilulfo.

Molti studiosi quindi ritengono

Dagrande al Berengario che questa corona l'abbia fatta – fare lo stesso Ariberto,

spacciandola per un prezioso Brianza

reperto longobardo, onde 14 conferire maggior prestigio alla

cerimonia. Lamina della corona di Agilulfo Pagina

Scomparsa dal 1797, quando venne requisita dai Francesi, portata in Francia e lì, probabilmente, rubata e fatta fondere, la "corona di Agilulfo" ci è nota dalle incisioni riprodotte nei volumi di Ludovico Antonio Muratorie del canonico Frisi, nelle quali si legge la seguente iscrizione: AGILVLF(us) GRAT(ia) D(ei) VIR GLO(iosissimus) REX TOTIUS ITAL(iae) OFFERET SCO IOHANNI BAPTISTE IN ECL(es)A MODICIA. Prima del IX secolo, nessun re si chiamo rex Italiae o rex totius Italiae, lo stile ornamentale, inoltre, cosi come si vede nelle incisioni, sembra appartenere al X, XI secolo, cioè all'età ottoniana.

6) La regione del Seprio Il Seprio è una regione storica della Lombardia, oggi corrispondente grossomodo alla porzione centro-meridionale dell'attuale Provincia di Varese ed alla parte sud-occidentale della Provincia di Como. Nato come fines della città di Castelseprio, crebbe durante l'ultimo secolo dell'Impero Romano. In epoca longobarda e poi franca, si costituì come iudicaria e poi comitatus contado autonomo perlomeno dall'VII secolo d.C. Durante il periodo di maggiore espansione e potenza (IX-X sec.), il contado del Seprio controllava un'area che si spingeva dal fiume Ticino alla Val d'Intelvi e dal contado di Burgaria (l'odierno Alto Milanese) fino al Sotto Ceneri, nell'attuale Canton Ticino.

Dal 961 il Contado iniziò a essere retto da una discendenza di legge salica, i Conti del Seprio, il cui capostipite fu Nantelmo, figlio di Rostanno.

Con il XII secolo ha inizio un riberto A periodo di decadenza, tant'è che la famiglia comitale è costretta a trasferirsi prima a Venegono, quindi a Milano e a Reggio. I possedimenti settentrionali del Seprio furono perduti almeno nel 1158 con il

Trattato di Reggio quando

Dagrande al Berengario l'Imperatore Federico Barbarossa – è costretto a ridimensionare

notevolmente il contado nell'area Brianza

– tra Ticino, Seveso e Tresa, e 15 consegnandolo de facto in mano ai Regione del Seprio

milanesi. Pagina

Nel XIII secolo il Seprio è coinvolto nelle lotte per il controllo di Milano fra Visconti e Torriani e perde il controllo sulla Burgaria. Nel marzo del 1287, probabilmente nella notte fra il 28 e il 29 marzo, alcuni mercenari della Val d'Ossola assoldati da Ottone Visconti, entrano in Castel Seprio, probabilmente in occasione della fiera di Santa Maria Foris Portas, e se ne impadronirono con l’inganno. L’arcivescovo distrusse la rocca e il borgo risparmiando le chiese e fa inserire negli statuti di Milano la seguente sentenza: “Castel Seprio sia distrutto e resti distrutto in perpetuo affinché nessuno ardisca o presuma di abitare su questo monte”. Con la fine della sua capitale il contado viene inserito nei territori viscontei della nascente Signoria di Milano, fino al 1339, anno in cui Lodrisio Visconti usurpò il titolo di Signore del Seprio ed alla guida della , muove contro Milano. Uscito sconfitto dalle truppe ambrosiane di Luchino Visconti il 21 febbraio a Parabiago, venne rinchiuso nel castello di San Colombano, ed il titolo passò ai Signori milanesi Luchino e Giovanni Visconti. Successivamente il nome sopravvive nelle istituzioni ducali e austriache poi, fino alla riforma della province moderne attuata dall'Imperatore Giuseppe II nel 1788. Da allora il Seprio divenne la Provincia austriaca di Varese.

7) Il testamento di Ariberto Lasciata Milano per i gravi disordini della

guerra civile e ritiratosi nella Monza da lui riberto A sempre amata, Ariberto, ormai settantenne, si ammalò gravemente. Nel dicembre del 1044, sentendosi prossimo alla fine, decise di stendere il suo testamento. L'arcivescovo si dimostrò generoso verso la basilica e il suo clero, cui lasca la corte di

Casale (ora Casate) con il castello, la torre e la

Dagrande al Berengario chiesa e un mulino sopra il Lambro presso – l'attuale Cascina Occhiate.

Al Tesoro della basilica lascia un evangeliario Brianza

ricoperto d'oro e di gemme che, al pari della 16 cosiddetta corona di Agilulfo, andò perduto al La croce di Ariberto nel Duomo di Milano

tempo dell'occupazione francese del 1797, ed Pagina

è nota purtroppo soltanto tramite le incisioni riprodotte nei volumi del

canonico Frisi e del Giulini.

riberto

A

Dagrande al Berengario

Brianza Brianza

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