Milano Storia Del Popolo E Pel Popolo
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MILANO STORIA DEL POPOLO E PEL POPOLO Cesare Cantù Io t'ammonisco Che tua ragion cortesemente dica, Perchè fra gente altera ir ti conviene... Troverai tua ventura Fra' magnanimi pochi a chi 'l ben piace PETRARCA. CESARE CANTÙ. I. Topografia. Nel materiale come nel morale converrebbe sempre osservare le cose nel complesso, prima di scendere ai particolari, e osservarle dall'alto il più possibile. Noi pure, accingendoci a delineare le vicende di Milano, contempliamo in prima questa città dalla guglia del Duomo, ponendoci fra quella selva di pinnacoli, sormontanti la maggior mole marmorea d'Europa, la quale desta la meraviglia degli stranieri, e a noi rappresenta la storia di tante gioje e di tanti dolori e la prova delle nostre grandezze passate; e da lontano designandoci il nostro Comune, ci fa battere il cuore per quell'insieme di idee, di affetti, d'interessi, d'abitudini che si compendia nel nome di patria. Quassù noi ci troviamo a 100 metri dal piano della città, e 226 sopra il mare , nella latitudine di 45° 28' e nella longitudine di 26° 51', fra una vasta pianura, dove negli equinozj il sole leva a 5h 57' e tramonta a 6h 31'. La quale pianura, di terreno diluviano, acclive verso settentrione, declive dalla parte opposta, è incorniciata di monti. Son questi le Alpi, le quali, se guardiamo verso porta Tosa (Vittoria), vediamo elevarsi nel Bresciano e stendersi in circolo verso tramontana fino al San Gotardo, poi là verso occidente al Sempione, al monte Rosa, al Cenisio, al Monviso. Lontan lontano, sulla linea di porta Ticinese, cominciano a sorgere gli Apennini, dei quali si scorge la congiunzione colle Alpi Marittime. Lungo la strada Romana si allarga sconfinata la valle del Po, diretta dal nordnordovest al sudsudest. Quasi a metà del pendio, tra le foci, di questo fiume e le radici dell'Alpi, siede la nostra città, in un piano che un tempo esser doveva indisputato dominio di acque che ancor non si denominavano Po, Ticino, Adda. Nella incommensurabile vita del mondo fu un'età dove i ghiacciaj occuparono tutta quella che fu poi Lombardia, stendendosi forse fino al mare. Poco a poco ritirandosi, que' ghiacciaj lasciarono immense morene, cioè il detrito dei monti e delle valli da cui provenivano, di varia natura e formazione. I fiumi, ripreso il corso, s'apersero la via tra quei frantumi, dove sciolti, dove ristretti in dure puddinghe; altrove le acque si avvallarono in laghi; immensi massi, di natura differente dalle circostanti montagne, rimasero erratici per la pianura e fin sulle vette, dove erano scese col ghiacciajo: sopravvennero eruzioni che sollevarono quegli strati: essi medesimi modificaronsi secondo l'ossatura precedente e coll'opera de' fiumi e delle erosioni attraverso i cumuli morenici, e così formossi l'orografia del nostro paese, dove infinite colline, composte di detrito, offrono studj curiosissimi allo scienziato, come gratissima fatica all'agricoltore. I nostri padri cominciarono a lavorare i rialzi, ove ad arene e stagni si alternava una vegetazione palustre: non iscoraggiati dall'infelicità delle prime riuscite, le acque spaglianti adunarono, incanalarono le correnti, e per un labirinto di rigagni le condussero ad irrigare i fondi e deporvi il terriccio; lasciarono crescere foreste là ove giovasse; diboscarono le pendici solatie; e dove prima gracidava la rana o saltellava il grillo, estesero lunghissimi filari di pioppi e salici al basso, di viti, di frutti, di gelsi in poggio; alle campagne silicee calcari argillose chiesero il frumento, il granoturco, la melica, il miglio, il lino; i prati disposero in modo d'averne fin sette tagli di fieno, col quale alimentarono le giovenche, generose di latte e di formaggi; mentre sotto le acque fecero crescere la canapa e il riso. Un'occhiata in giro; e vi parrà vedere un immenso giardino, coltivato con quell'arte che s'asconde, com'è negl'inglesi, e con una vegetazione variatissima; là lontani clivi inghirlandati di pámpani: qua frutteti e ortaglie; poi il verde perenne de' prati a marcita; la succosa verdura de' gelsi in contrasto coll'argentina de' salici e colla tremula del pioppo piramidale; solo al lembo fra borea ed occidente uno sterilume aspetta nuovi trionfi dell'industria umana. Da per tutto poi è una frequenza di ville, di case, di borgate, congiunte da inestricabile rete di strade che ricapitano a questa città, ove più di 200 mila persone operano, soffrono, godono, sospirano senza forse sapere l'una dell'altra, eppur tutte coadjuvandosi ai supremi intenti della Providenza. Sta però il nostro territorio discosto da grossi fiumi, che sono come le arterie della vita industriale; essendo appena lambita dall'Olona, che, scendendo da Varese, dopo adacquate le campagne, ci arriva con poverissime onde; dal Séveso, che piove dai monti sopra Como; dalla Mólgora, scolo dei monti di Brianza; dal Lambro, che bordeggia il lago di Pusiano; e dalle gore della Vetabbia, del Nirone, del Redefosso. Ma non dubitate; i padri nostri provvidero a congiunger la città coi due grandi laghi superiori e col mare. Dal Ticino, fin dal 1177, dedussero il Ticinello o Naviglio Grande, che per 50 chilometri serpeggiando onde vincere la pendenza di 34 metri, portando 51 metri cubi di acqua per ogni minuto secondo e irrigando 38 mila ettare di terreno in estate, 800 in inverno, arriva a Milano. Un altro canale proviene dall'Adda, traverso al paese che chiamavasi la Martesana; e giunto a porta Nuova, lo vedete sottopassare al bastione, circuire internamente la città, e uscendone a Via Arena, congiungersi col predetto. Quivi le loro acque sposate s'avviano per un altro naviglio di 35 chilometri fino a Pavia, donde nel Ticino, nel Po e nel mare. Così il Milanese, affatto mediterraneo, offre una circolazione di 356 miglia d'acqua, delle quali 150 sono artefatte; e 360 metri d'acqua per secondo irrigano 4200 chilometri quadrati di terreno, cioè quattro decimi della pianura lombarda. Questo ci prepararono i padri nostri. Ingrato chi non ricordasse i loro benefizj! maledetto chi pensasse a guastarli! sciagurato chi non si credesse in debito di tramandarne altrettanti ai nipoti! La provincia occupa 2992 chil. quadr. con una frontiera di 825 chilometri; in cui metri 367,286 di strade pubbliche e 3,131,892 di comunali, e un milione d'abitanti. Nocciolo della primitiva città furono i luoghi che ora attorniano il Duomo; e la cerchia sua antichissima giungeva appena a San Giovanni in Conca. Massimiano Erculeo la ampliò con mura nuove, belle, duplici, circuenti per quelle che or sono vie del Durino, del Monte Napoleone, dell'Orso Olmetto, la Cusani, San Giovanni detto perciò sul muro; fra la Brisa e il Monastero Maggiore attraversava Sant'Orsola, indi lungo il Cappuccio, la Maddalena al Cerchio, San Vito al Carrobbio, Sant'Ambrogio de' Disciplini, la Maddalena, le vie Larga e del Pesce, e giù per le Tenaglie e il corso di porta Tosa raggiungeva ancora il Durino. Non è difficile discernere questo precinto dalla maggior larghezza delle vie. L'arcivescovo Ansperto chiuse il Monastero Maggiore entro la mura, la quale così girò pel Nirone di San Francesco. Quando i Tedeschi osteggiarono la nostra città comandati dal Barbarossa, questo muro fu diroccato: ma i Milanesi ne fecero un altro, che è appunto il giro della fossa interna; e porte erano quei che ora son ponti, sopra alcuno dei quali (porta Nuova, Ticinese, Fabbri) sussistono ancora gli archi; altri furono distrutti appena testè (porta Orientale, San Celso, San Marco, Pioppette). Porte maggiori erano la Renza (Venezia), la Nuova, la Romana, la Ticinese, la Vercellina (Magenta), la Comàsina (Garibaldi): minori quelle delle Azze al ponte Vetere, di Borgo Nuovo, di Monforte, la Tosa, quella di Santo Stefano, del Bottonuto, di Santa Eufemia, di San Lorenzo, de' Fabbri, di Sant'Ambrogio, di Brera. Fuor di quelle crebbero i borghi; e quando gli Spagnuoli, come dominatori stranieri e lontani, sentirono la necessità di difendersi dai vicini e dal popolo, rinforzarono la città chiudendola con estesissima mura bastionata nel 1546. E fu quella che fin oggi vediamo, allora munita a guerra con ingente spesa e nessuna utilità, giacchè un sì vasto recinto e in pianura come potrebbe respingere un attacco? Perciò nel 1750 si ridusse accessibile il bastione, piantandolo a gelsi, in modo d'offrire una passeggiata, elevata sopra i campi esterni e le interne abitazioni. Poi sul fine del secolo si spianò e alberò lo spalto fra le porte Orientale e Nuova, pel corso degli eleganti; via via si fece altrettanto col resto ai giorni nostri, talchè ormai è compito un bellissimo ed elegante passeggio, alberato di platani e d'ipocastani. Resta però interrotto ove già stava il castello, fabbricato da Galeazzo II nel 1358, non contro i nemici, ma per tenere in soggezione gli amatissimi e amantissimi sudditi e figliuoli, i quali, tutte le volte che misero il potente anelito della libertà, lo demolirono, per dare ai nuovi padroni la fatica di rifabbricarlo. Fu poi fortificato alla moderna, tanto che abbracciava tutta la piazza presente. Ma i Francesi, assediatolo nel 1796, poi nel 1800, e avutolo a patti, sfasciarono le mura circuenti, lasciando il solo quadrato centrale. Del resto si fe la spianata per gli esercizj e un giardino ad alberi, che, recisi dopo l'insurrezione del 48, ora si rinovellano e si popolano di mercati e di solazzi. La mura dunque a principio comprendeva poco più d'un milione di metri quadrati; a cui 42 mila furono aggiunti nell'879; nel 1158 altri 1,300,000; nel 1555 quasi 6 milioni: laonde oggi la città chiude la superficie di metri 8,182,389, ossia di pertiche censuarie 12,501. Di queste, 2579 sono terreno verde, contando la piazza del Castello per 580 pertiche; per 150 i giardini pubblici e il boschetto de' tigli; 142 gli spalti; 246 i giardini privati, 1515 le ortaglie e i vigneti: 155 sono occupate da acque, 2752 da vie, 6640 da fabbriche, cioè da circa 9000 case.