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BIBLIOTECA DELLA SOCIETÀ STORICA VERCELLESE impaginato V congresso-1 11-01-2011 9:57 Pagina 4 impaginato V congresso-1 11-01-2011 9:57 Pagina 5

SOCIETÀ STORICA VERCELLESE

VERCELLI NEL SECOLO XIV

ATTI DEL QUINTO CONGRESSO STORICO VERCELLESE

VERCELLI , A ULA MAGNA DELL ’U NIVERSITÀ A. A VOGADRO , BASILICA DI S. A NDREA 28 - 29 - 30 N OVEMBRE 2008

A CURA DI ALESSANDRO BARBERO E RINALDO COMBA

VERCELLI 2010 impaginato V congresso-1 11-01-2011 9:57 Pagina 6

SOCIETÀ STORICA VERCELLESE via Fratelli Garrone, 20 - 13100 Vercelli - Tel. 0161.254269 [email protected] http://www.retor.it

COMITATO SCIENTIFICO: Dr. Rosaldo Ordano, prof. Alessandro Barbero, prof. Rinaldo Comba, prof. Grado A. Merlo, prof. Aldo A. Settia, prof. Maria Antonietta Casagrande, prof. Claudio Rosso.

IMPAGINAZIONE E STAMPA: tipografia edizioni SAVIOLO - Vercelli tel. 0161.391000 - fax 0161.271256 www.savioloedizioni.it

Proprietà letteraria riservata 2010 ISBN 978-88-96949-00-9 impaginato V congresso-1 11-01-2011 9:57 Pagina 7

PREFAZIONE

Questo congresso è stato realizzato in collaborazione con la Fondazione Cassa di Risparmio di Vercelli, cui va il ringraziamento della Società Storica Vercellese. Mi piace poi ricordare che proprio il presidente della Fondazione, avv. Dario Casalini, ne è stato l’entusiasta propugnatore. Un ringraziamento particolare è poi dovuto ai professori Rinaldo Comba e Alessandro Barbero – ambedue soci della nostra Società Storica - il cui contributo scientifico ed organizzativo è stato assoluta- mente decisivo per rendere possibile questo evento. Siamo così giunti al quinto congresso storico vercellese. Ricordo che il primo Congresso fu indetto nel lontano 1982 con il tema “Vercelli nel sec. XIII”, il secolo più glorioso della storia di Vercelli; seguì nel 1992 il secondo congresso su “L’Università di Vercelli nel Medioevo”, una delle massime glorie del comune di Vercelli; il terzo congresso avvenu- to nel 1997 fu dedicato all’“Abbazia di Lucedio”, il quarto, celebrato nel 2002, ebbe come tema “Vercelli nel secolo XII”, secolo che vide il nascere e il consolidarsi del comune di Vercelli. Questo quinto congresso è stato dedicato a “Vercelli nel sec. XIV”. Perché? Fondamentalmente perché la storia di Vercelli di questo secolo non fu mai studiata in modo adeguato. Se avessimo dovuto compilare una bibliografia della storia vercellese del secolo XIV non saremmo riusciti a mettere insieme neppure una diecina di titoli validi. Eppure questo secolo è stato un secolo decisivo. Un secolo, diciamolo subito, che non fu dei migliori, anzi è quello che segna negativamente la sorte di Vercelli, cambiando in modo radicale la storia della città. Per Vercelli, infatti, nel sec. XIV cessa la gloriosa età comunale e cessa per sempre. La città, incapace di darsi uno stabile ordine interno, nel 1335 entra nella signoria viscontea donandosi ad Azzone Visconti, donec vixerit. Una formula illusoria. Nel 1339 muore Azzone e Vercelli passa sotto quella di Luchino e dell’arcivescovo Giovanni. Dopo la morte di Luchino (1349) il Consiglio generale di Milano affermò l’ereditarietà della signo- ria viscontea; poi con Gian Galeazzo (1395) la signoria viscontea si tra- sformò in un ducato. Il destino di Vercelli era segnato in modo definitivo.

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Sotto la signoria viscontea Vercelli fu amministrata abbastanza bene. Il comune come apparato amministrativo e fiscale non subì grandi cam- biamenti. Nel Medioevo si rifuggiva dalle novità formali, non certo da quelle sostanziali. La sostanza era infatti radicalmente cambiata: Vercelli divenne una proprietà dei Visconti, un bell’oggetto di cui pote- vano liberamente disporre; così nel 1427 la donarono ai Savoia come regalo di nozze. Gli ignari vercellesi si accorsero di aver cambiato padrone quando videro arrivare in città le truppe sabaude. Seguirono per Vercelli i tempi peggiori di tutta la sua storia. Il sec. XIV ha quindi avuto un’importanza decisiva nella storia di Vercelli e meritava di essere studiato, così com’è stato fatto in questo quinto congresso.

Rosaldo Ordano Presidente della Società Storica Vercellese

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RINALDO COMBA Università degli Studi di Milano ______

A PARTIRE DA VERCELLI NEL SECOLO XIV: UN CONVEGNO E UN PROGETTO DI RICERCA SULLA DOMINAZIONE VISCONTEA IN PIEMONTE

1. Dal comune alla signoria: una nuova attenzione per un tema storico dimenticato?

Benché alcuni lavori recenti evidenzino tracce sicure di un rinnova- to interesse storiografico per il Trecento nel suo complesso 1 e in parti- colare – con riferimento alla prima metà del secolo – per il grande tema che tradizionalmente viene definito il passaggio dal libero comune alla signoria 2, non sembra che la medievistica italiana abbia riavviato una riflessione sistematica su questi temi a lungo sostanzialmente dimenti- cati. Le importanti messe a punto realizzate fra gli anni Sessanta e Settanta del XX secolo ancora paiono, in effetti, soddisfare a tutt’oggi le esigenze di molti studiosi 3. In particolare, la celebre panoramica che

1 Il rinnovato interesse per il secolo e per molti dei temi presi in considerazione in questo quinto Congresso Storico Vercellese è evidenziato, per esempio, da una mostra e da un convegno realizzati nella regione Friuli-Venezia Giulia. Cfr. Medioevo a Trieste: istituzioni, arte, società nel Trecento , Catalogo della mostra presso il Civico Museo del Castello di San Giusto a Trieste (30 luglio 2008 – 25 gennaio 2009), a cura di P. CAMMAROSANO e M. M ESSINA , Milano, Silvana Editoriale, 2008; Gemona nella Patria del Friuli: una società cittadina nel Trecento , Atti del Convegno di studio, 5-6 dicem- bre 2008, a cura di P. C AMMAROSANO , Trieste 2009. 2 Senza pretese di esaustività, fra le opere più recenti mi restringo a citare: G. CICCAGLIONI , Dal comune alla signoria? Lo spazio politico di Pisa nella prima metà del XIV secolo , in “Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio evo”, 109 (2007), pp. 235-269; R. R AO , Il sistema politico pavese durante la signoria dei Beccaria (1315- 1356): “élite” e pluralismo , in “Mélanges de l’Ecole française de Rome. Moyen Age”, 119 (2007), pp. 151-187; Storia di Cremona: Il Trecento. Chiesa e cultura (VIII-XIV secolo) , a cura di G. A NDENNA e G. C HITTOLINI , Cremona 2007. 3 Cfr. P. G RILLO , Un dominio multiforme. I comuni dell’Italia nord-occidentale sog- getti a Carlo d’Angiò , in Gli Angiò nell’Italia nord-occidentale (1259-1382) , a cura di R. C OMBA , Milano 2006, pp. 31-101 (a p. 31).

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Rinaldo Comba

Ernesto Sestan propose in una lezione romana del 1961 è stata giudica- ta per almeno un ventennio esauriente, come dimostrano le riedizioni di cui è stata ripetutamente oggetto 4. I successivi contributi di Giorgio Chittolini 5 fornirono poi un solido quadro interpretativo, mirato da un lato a “rifiutare esegesi moraleggianti della transizione dal comune alla signoria, vista come un cammino verso le più articolate forme di gover- no tardomedievali e rinascimentali, dall’altro a sottolineare la continuità della costruzione politico istituzionale cittadina anche nel Quattrocento, quale elemento costitutivo delle nuove strutture statali di dimensione regionale” 6. Non sembra un caso, del resto, che si tenda oggi “a rivalu- tare la creazione delle signorie urbane come momento organico alla sto- ria del comune di popolo, accentuando gli elementi di compatibilità di tali regimi con la tradizione amministrativa municipale” 7. Considerazioni non dissimili esprimeva nel 1973-74 Giovanni Tabacco, che nell’incapacità delle autorità cittadine di stabilire un accet- tabile ordine interno vedeva il frutto del dinamismo sociale caratteristi- co della società urbana 8. Nella sua ottica, “potevano costituire altrettan- te risposte a tale pericolosa instabilità l’istituzione di una “signoria”,

4 E. S ESTAN , Le origini delle signorie cittadine: un problema storico esaurito? , in “Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo”, 73 (1962), pp. 41-69, ripub- blicato in I D., Italia medievale , Napoli 1966, pp. 192-223, e in La crisi degli ordinamenti comunali e le origini dello Stato del Rinascimento , a cura di G. C HITTOLINI , Bologna 1979, pp. 53-75. 5 Cfr. G. C HITTOLINI , La crisi delle libertà comunali e le origini dello stato territo- riale , in “Rivista storica italiana“, LXXXII (1970), pp. 99-120, ora anche in I D., La for- mazione dello stato regionale e le istituzioni del contado , Torino 1979, pp. 3-35. 6 GRILLO , Un dominio multiforme cit., pp. 31-32. 7 R. R AO , Signorie cittadine e gruppi sociali in area padana fra due e trecento: Pavia, Piacenza e Parma , in “Società e storia”, XXX (2007), pp. 673-706 (alle pp. 673- 674), con riferimento ad A. Z ORZI , Una e trina: l’Italia comunale, signorile e angioina. Qualche riflessione , in Gli Angiò nell’Italia nord-occidentale cit., pp. 435-443 (alle pp. 441 sgg.); G. M ILANI , I comuni italiani , Roma-Bari 2005, pp. 133-139; G. M. V ARANINI , Aristocrazie e poteri nell’Italia centro-settentrionale dalla crisi comunale alle guerre d’Italia , in R. B ORDONE , G. C ASTELNUOVO , G. M. V ARANINI , Le aristocrazie dai signo- ri rurali ai patriziati , Roma-Bari 2004, pp. 121-193; G. C HITTOLINI , “Crisi” e “lunga durata” delle istituzioni comunali in alcuni dibattiti recenti , in Penale, giustizia, pote- re. Metodi, ricerche, storiografie. Per ricordare Mario Sbriccoli , a cura di L. L ACCHÉ , C. L ATINI , P. M ARCHETTI , M. M ENCARELLI , Macerata 2007, pp. 125-154. 8 G. T ABACCO , La storia politica e sociale. Dal tramonto dell’Impero alle prime for- mazioni di stati regionali , in Storia d’Italia , a cura di R. R OMANO e R. V IVANTI , II, Dalla

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A partire da Vercelli nel secolo XIV

come si verificò nella maggior parte delle città padane, la chiusura oli- garchica di un ceto dirigente, come avvenne a Venezia, o, come in Toscana, la sopravvivenza formale delle vecchie istituzioni comunali e popolari in un contesto, però, di progressivo irrigidimento della mobi- lità sociale e, in parallelo, delle strutture politiche” 9. Nei decenni seguenti, le riflessioni complessive sulla genesi delle signorie nella Penisola non sono del tutto assenti. Tra di esse spicca – per la ricostruzione in chiave europea della convergenza, tutta italiana, “di esperienza cittadina e di secolari ambizioni familiari”, caratterizza- te da peculiari stili di vita, forme di civiltà e di mecenatismo, orienta- menti di governo di matrice aristocratica – il discorso di apertura che il Tabacco tenne a un congresso storico internazionale svoltosi a Foligno nel 1986 10 . In genere, però, tali riflessioni o sono state inserite in più ampie rassegne degli sviluppi socio istituzionali post-comunali o sono rimaste confinate in volumi dalla limitata circolazione. Soltanto nel Veneto sono state effettuate indagini fondamentali sulla crisi dei comu- ni e su alcune importanti dominazioni politiche 11 .

2. Dalle autonomie regionali alle dominazioni principesche nell’Italia nord-occidentale

Nell’Italia nord-occidentale il superamento di un assetto fondato essenzialmente sulle autonomie comunali portò all’imporsi di domina- zioni principesche capaci di agire su scala almeno regionale, come la contea di Savoia e il principato visconteo. Erano dominazioni non solo più ampie, ma in certa misura strutturalmente diverse rispetto alle sem- plici signorie cittadine. Per quest’area, infatti, gli studi degli ultimi decenni si sono collocati non tanto nella tradizionale prospettiva del

caduta dell’Impero romano al secolo XVIII , t. I, Torino 1974, poi in I D., Egemonie sociali e strutture del potere nel Medioevo italiano , Torino 1979. 9 Cfr. G RILLO , Un dominio multiforme cit., p.32. 10 G. T ABACCO , L’Italia delle signorie , in Signorie in Umbria tra Medioevo e Rinascimento: l’esperienza dei Trinci , Atti del congresso storico internazionale di Foligno, 10-13 dicembre 1986, I, Perugia 1989, pp.1-21 (alle pp. 4 e 13). 11 Il Veneto nel Medioevo. Le signorie trecentesche , a cura di. A. C ASTAGNETTI , G. M. V ARANINI , Verona 1995, con riferimento anche alle approfondite indagini della prima metà degli anni Novanta del secolo scorso.

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Rinaldo Comba

passaggio dal comune alla signoria, quanto in quella dell’origine dello stato territoriale, che lo si chiami “stato moderno”, “stato del Rinascimento” o “stato del XIV e XV secolo”, per citare le formula- zioni in passato più diffuse nella storiografia italiana ed europea. Il pro- gredire delle ricerche sta mettendo in luce, tuttavia, un processo così articolato e contraddittorio, capace di investire così in profondità la società nel suo complesso, che anche un’analisi collocata nella pro- spettiva della ‘formazione dello stato’ rischia di apparire limitativa: in realtà, sono la trasformazione dirompente di tutta una società, ancora affascinata ai suoi vertici dall’ideologia cavalleresca, e una nuova cul- tura politica, che si rivelano attraverso le forme di conflitto politico proprie del Trecento. E infatti: all’inizio del secolo l’Italia nord-occidentale appariva pun- teggiata di medie e piccole città a regime comunale, in gran parte influen- zate – come Vercelli – dall’egemonia milanese 12 , ma senza che la supre- mazia della metropoli lombarda si traducesse in forme di coordinamento stabile né, tanto meno, in una soppressione delle singole autonomie urba- ne. Molti vescovi conservavano quote di potere in città, oltre a una base fondiaria e vassallatica che consentiva loro di ritagliarsi un ruolo non insi- gnificante nel conflitto politico 13 ; almeno nell’area corrispondente all’at- tuale Piemonte, ma non soltanto, una forte aristocrazia militare, spesso organizzata in consortili numerosi, manteneva una salda egemonia sul mondo rurale, pur partecipando attivamente alla vita politica urbana. Alla fine del Trecento il quadro risulta radicalmente mutato. Una dopo l’altra le medie e piccole città hanno perduto la propria libertà, legandosi alle dominazioni dei Savoia e dei Visconti con patti che pre- vedono, sì, una sottomissione negoziata e condizionata, ma che confi- gurano comunque di fatto la fine dell’autonomia comunale. Gli spazi d’azione dei vescovi si sono ovunque drasticamente ridotti, la loro dominazione signorile ridimensionata, le loro clientele vassallatiche

12 Su cui P. G RILLO , Milano in età comunale (1183-1276). Istituzioni, società, eco- nomia , Spoleto 2001. 13 Per due esempi relativi all’area qui analizzata: G. S. P ENE VIDARI , Vescovi e comu- ne nei secoli XII e XIV , in Storia della Chiesa di Ivrea. Dalle origini al XV secolo , a cura di G. C RACCO , Roma 1998, pp. 925-971 (alle pp. 951 sgg.); F. P ANERO , Una signoria vescovile nel cuore dell’Impero. Funzioni pubbliche, diritti signorili e proprietà della Chiesa di Vercelli dall’età tardocarolingia all’età sveva , Vercelli 2004.

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A partire da Vercelli nel secolo XIV

vanificate dai nuovi patti di fedeltà, vassallatica o meno, che i principi territoriali impongono ovunque alle aristocrazie 14 . Al tempo stesso un nuovo soggetto politico è apparso sulla scena: le comunità rurali, che nella dialettica apertasi fra poteri signorili locali e governi principeschi trovano uno spazio di manovra prima inesistente. Concessione di fran- chigie, redazione di statuti, tentativi di liberarsi dall’egemonia signorile o cittadina attraverso una soggezione diretta al principe, e in qualche caso anche l’esplosione di rivolte dall’evidentissimo carattere politico punteggiano questa affermazione delle comunità rurali, che nel periodo tardomedievale avranno, in quest’area, uno dei loro periodi di massima capacità d’azione.

3. Il Piemonte trecentesco: un variegato campo di studio di grande inte- resse scientifico

I tempi appaiono oggi maturi per un programma di ricerca che si pro- ponga di analizzare sistematicamente i diversi soggetti politici attivi in una stessa epoca e su uno stesso territorio, di ricostruire nella loro com- plessità le dinamiche del conflitto politico e di recuperare una visione più ampia e articolata dei processi che tradizionalmente si riconducono sotto le categorie storiografiche dell’origine della signoria cittadina e della nascita dello stato territoriale. Il panorama che abbiamo qui tratteggiato evidenzia come il Piemonte trecentesco si presenti all’occhio dello storico come un campo di studio di rilevante interesse per la coesistenza sul suo territorio di una molteplicità di dominazioni sovralocali organizzate secondo modelli diversi. Vi ambivano, tra gli altri, a un ruolo egemone i conti di Savoia e i principi d’Acaia, dalla cultura di governo di tradizione schiettamen- te transalpina, basata principalmente sull’uso dello strumento feudale per il disciplinamento dei poteri locali 15 e contemperata dalla consulta-

14 Poteri signorili e feudali nelle campagne dell’Italia settentrionale fra Tre e Quattrocento: fondamenti di legittimità e forme di esercizio , a cura di F. C ENGARLE , G. CHITTOLINI , G. M. V ARANINI , Firenze 2005. 15 A. B ARBERO , G. C ASTELNUOVO , Governare un ducato. L’amministrazione sabau- da nel tardo medioevo , in “Società e storia”, 57 (1992), pp. 465-511, ripreso in parte, ma con ampliamenti sostanziali, in A. B ARBERO , Il ducato di Savoia. Amministrazione e corte di uno stato franco-italiano (1416-1536) , Roma-Bari 2002, pp. 3-47.

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zione periodica degli stati generali, ma capaci anche, senza snaturarsi, di coordinare attorno a sé sia piccole città come Ivrea, Aosta, Torino 16 – che talora, come quest’ultima, si trovavano al centro di circoscrizioni diocesane assai vaste – sia, soprattutto, di attrarre nella propria orbita importanti centri commerciali o manifatturieri (come Chieri o Racconigi) a vocazione urbana. Un ruolo di rilievo svolsero pure, nella prima metà del secolo, gli Angiò di Napoli e di Provenza, che, attraverso il sistema dei siniscalca- ti e delle clavarie , miravano alla creazione di più significativi strumen- ti di controllo territoriale trasferendovi forme e metodi di governo lar- gamente sperimentati, che modificavano sensibilmente le consuetudini amministrative locali 17 . Si sa però che nel mondo angioino, oggetto, tre anni or sono, di un importante convegno sull’Italia nord-occidentale, le incrinature non tardarono a manifestarsi e “la coordinazione guelfa potè mantenersi solo al prezzo di faticosi compromessi” 18 . Nella dominazio- ne dei marchesi di Monferrato il dominio si basava invece prevalente- mente su legami feudali e su un ampio coinvolgimento delle comunità soggette, attestato dalla diffusione dei parlamenti, come illustrano chia- ramente le relazioni presentate al convegno casalese su Teodoro I mar- chese di Monferrato, i cui atti, attentamente curati da Aldo A. Settia, sono freschi di stampa 19 . Insomma, nei primi anni di questo millennio hanno visto la luce con- tributi importanti e innovatori sulla dominazione angioina e sul mar- chesato di Monferrato, frutto delle indagini scientifiche coordinate di un

16 Per la crisi dello schema tripartito dei ceti avvenuta nel mondo cittadino e tuttavia resistente nel principato sabaudo, pur orientato verso il controllo delle civitates e dei maggiori nuclei a vocazione urbana nella regione subalpina, cfr. T ABACCO , L’Italia delle signorie cit., pp. 14-16: “l’espansione verso le città comunali d’Italia non poteva inci- dere se non marginalmente sugli orientamenti del governo sabaudo, né in alcun modo incideva sulle forme di vita della dinastia, che proseguiva nelle sue tradizioni, di castel- lo in castello”. 17 Cfr. Gli Angiò nell’Italia nord-occidentale cit., p. 7. 18 A. B ARBERO , Prolusione , in Gli Angiò cit., p. 10. 19 “Quando venit marchio grecus in terra Montisferrati”. L’avvento di Teodoro I Paleologo nel VII centenario (1306-2006) , Atti del Convegno di studi: Casale Monferrato, 14 ottobre; Moncalvo, Serralunga di Crea, 15 ottobre 2006, a cura di A. A. SETTIA , Casale Monferrato 2008, con riferimento prevalente ai saggi di P. Grillo ( Il governo del marchesato , pp. 103 - 11) e di G. S. P ENE VIDARI (Teodoro I e il Parlamento del Monferrato , pp. 119-128).

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articolato gruppo di lavoro, variamente integrato nelle sue competenze, attento alle dinamiche politiche e socio-istituzionali, le cui fatiche già consentono qualche prima comparazione fra i modi di governo e gli atti formali in cui essi si traducono: si tratti di stipulazioni di patti con i comuni maggiori o di fedeltà vassallatiche prestate da famiglie signori- li, da confrontare, ovviamente, con le più note forme di governo della contea sabauda oggetto, in anni un po’ meno recenti, degli studi inno- vatori di Guido Castelnuovo e di Alessandro Barbero 20 .

4. Il Piemonte visconteo: un’opportunità e un programma di ricerca

Nel vivace contesto di studi politico-istituzionali sul Piemonte trecen- tesco è, però, l’analisi della dominazione viscontea a presentarsi oggi come un’eccezionale opportunità di ricerca, non soltanto nella prospettiva di una migliore conoscenza delle dinamiche di affermazione della dinastia, ma anche, grazie alle articolate possibilità di comparazione, come fonda- mentale occasione di riflessione nel più ampio ambito della transizione dal comune alla signoria, prima, allo stato regionale poi 21 . Il recente rifiorire di indagini su tale dominazione, a lungo prevalentemente studiata con rife- rimento alla fase finale del processo di formazione degli stati regionali, si è esteso al secolo XIV, concentrandosi sulle località poi comprese nei più ristretti limiti del ducato di Milano 22 , e invita ad approfondire le ricerche anche sulla tumultuosa espansione trecentesca della signoria viscontea nell’Italia centro-settentrionale. Per quanto riguarda l’affermazione di tale dominio su gran parte della regione subalpina, che giunse a portare nelle mani della dinastia milanese quasi tutto l’attuale Piemonte orientale e

20 G. C ASTELNUOVO , Principati regionali e organizzazione del territorio nelle Alpi occidentali: l’esempio sabaudo (inizio XIII – inizio XV secolo) , in L’organizzazione del territorio in Italia e Germania: secoli XIII-XIV , a cura di G. C HITTOLINI e D. WILLOWEIT , Bologna 1994, pp. 81-92. Cfr. sopra, nota 15. 21 Scarsi elementi di comparazione, per quanto riguarda l’organizzazione distrettua- le urbana, riscontrava ancora una quindicina di anni or sono G. M. V ARANINI : L’organizzazione del distretto cittadino nell’Italia padana dei secoli XIII-XIV (Marca Trevigiana, Lombardia, Emilia) , in L’organizzazione del territorio in Italia e Germania cit., pp. 133-233 (alle pp. 220 sgg.). 22 A. G AMBERINI , Lo Stato visconteo. Linguaggi politici e dinamiche costituzionali , Milano 2005; Poteri signorili e feudali nelle campagne dell’Italia centro-settentrionale cit.

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Rinaldo Comba

meridionale (da Novara a Vercelli, ad Alessandria, Tortona, Asti, Alba, Cherasco, Bra, Mondovì, Cuneo, Demonte e la valle Stura), bisogna infat- ti ancora riferirsi alle pagine di Francesco Cognasso 23 . Come è stato messo in luce da una lunga tradizione di studi 24 , nel corso del XIV secolo il dominio visconteo, che si presentava come un coordinamento di città attorno alla figura del signore, dovette confron- tare le sue modalità di governo con le caratteristiche di un’area di scar- sa urbanizzazione, in cui la presenza di grossi borghi autonomi e di potenti formazioni signorili frammentava e limitava il controllo dei comuni maggiori sulle campagne. In tale prospettiva le soluzioni elabo- rate dai domini meritano oggi una nuova attenzione, che si è cercato di tradurre in un ponderato e a lungo discusso progetto di ricerca coinvol- gente studiosi appartenenti ad associazioni locali di grande prestigio, come, appunto, la Società Storica Vercellese a cui molti di noi si onora- no di appartenere, e a varie università. Rispetto alla ricostruzione rigi- damente istituzionalista del Cognasso, il progetto, coordinato da Alessandro Barbero e dal sottoscritto, a lungo discusso con il Presidente e il Consiglio Direttivo della Società Storica Vercellese e con alcuni relatori ai convegni angioino e monferrino a cui si è fatto riferimento, è aperto ai nuovi orientamenti storiografici più attenti alla dialettica fra i diversi poteri che agivano sul territorio: magistrature signorili, città, comuni rurali, signori locali, enti ecclesiastici e monastici 25 .

5. Vercelli nel XIV secolo: primi passi di un’indagine

Il quinto Congresso Storico Vercellese, che oggi si apre in questa sede prestigiosa, reso suggestivo da una candida coltre di neve, chiude

23 F. C OGNASSO , Note e documenti sulla formazione dello Stato visconteo , in “Bollettino della Società pavese di Storia patria”, XXIII (1923), pp. 23-179, ripreso in ID., L’unificazione della Lombardia sotto Milano , in Storia di Milano , V, Milano 1955, pp. 1-567. Cfr. I D., I Visconti , Milano 1966, pp. 201 sgg. Innovativi sono i saggi di P. GRILLO , L’espansione viscontea nel Piemonte medievale e Bra sotto il dominio viscon- teo , pubblicati recentemente in Storia di Bra dalle origini alla Rivoluzione francese , a cura di F. P ANERO , I, Savigliano 2007, pp. 267-293. 24 Per tutti: C HITTOLINI , La formazione dello Stato regionale e le istituzioni del contado cit. 25 Il più efficace punto problematico di riferimento è ancora costituito dai saggi

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A partire da Vercelli nel secolo XIV

in qualche modo la prima fase delle nostre ricerche sulla storia viscon- tea, innestandosi e coordinandosi felicemente con l’ambizioso progetto di storia urbana promosso dalla Società Storica cittadina, che, sin qui per i secoli XII e XIII, in quattro fondamentali congressi ha sviscerato a fondo aspetti di primaria importanza relativi alla storia istituzionale, culturale e monastica di Vercelli e del suo territorio 26 . L’approfondimen- to delle modalità di funzionamento e di radicamento locale di una vasta e potente dominazione territoriale si incontra così, e fa tutt’uno per il periodo considerato, con le indagini indispensabili al proseguimento in chiave non localistica della Storia di Vercelli, alla cui realizzazione hanno tenacemente lavorato per decenni gli storici vercellesi sotto la guida illuminata e lungimirante di Rosaldo Ordano. Un secondo innesto con la storia di un grosso borgo di nuova fondazione è previsto per la Cherasco del Trecento, in collaborazione con le istituzioni e le associa- zioni storico-culturali locali e con un più attivo impegno di medievisti torinesi guidati da Francesco Panero, ma è chiaro che la realizzazione del progetto, che dovrebbe concludersi con un incontro comparativo finale (e potrebbe, forse, essere ipotizzato proprio a Vercelli) non potrà che giovarsi dell’avanzamento delle indagini in corso su Alba, Cuneo e Mondovì, oltre, che ovviamente, di quanto è stato scritto su Voghera e, più recentemente, su Bra 27 . Delle sezioni in cui il colloquio si articola, tre – Istituzioni e vita politica, Cultura e scritture di governo e Città e territorio – si riallac-

raccolti in Le origini dello Stato. Processi di formazione statale in Italia fra Medioevo ed Età Moderna , a cura di G. C HITTOLINI , A. M OLHO , P. S CHIERA , Bologna 1994. 26 Cfr. Vercelli nel XIII secolo , Atti del primo Congresso storico vercellese: 2-3 otto- bre 1982, Vercelli 1984; L’università di Vercelli nel Medioevo , Atti del secondo Congresso storico vercellese: 23-25 ottobre 1992, Vercelli 1994; L’abbazia di Lucedio e l’ordine cistercense nell’Italia Occidentale nei secoli XII e XIII , Atti del terzo Congresso storico vercellese: 24-26 ottobre 1997, Vercelli 1999; Vercelli nel secolo XII , Atti del quarto Congresso storico vercellese: 18-20 ottobre 2002. 27 In particolare, si rimanda a Alba medievale , a cura di R. C OMBA , Alba 2010; Storia di Mondovì e del Monregalese , II, L’età angioina (1260-1347) , a cura di R. C OMBA , G. GRISERI , G. M. L OMBARDI , Cuneo-Mondovì 2002; P. G RILLO , La monarchia lontana: Cuneo angioina , in Storia di Cuneo e del suo territorio. 1198-1779 , a cura di R. C OMBA , Savigliano 2002, pp. 49-123; I D., Istituzioni e società fra XII e XV secolo , in Storia di Voghera , I, Dalla preistoria all’età viscontea a cura di E. C AU , P. P AOLETTI , A. A. SETTIA , Voghera 2003, pp. 165-224; I D., Bra sotto il dominio visconteo cit.

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ciano più esplicitamente alle tematiche a cui si è brevemente accennato: forme di controllo milanese della città e del territorio, rapporti con fami- glie, con il potere vescovile e con le signorie rurali aristocratiche, costi- tuzione di un’apposita rete di ufficiali viscontei, ristrutturazione delle gerarchie amministrative e giudiziarie, disciplinamento dell’attività notarile, adeguamento della normativa statutaria alla dottrina giuridica europea. Ma c’è anche una relazione che, soprattutto per il Trecento, riprende sulla base di nuovi dati e contestualizzazioni ulteriori un tema già affrontato da Irma Naso nel secondo Congresso Storico Vercellese 28 : quale il peso della cultura, quale il ruolo dell’Università di Vercelli sotto i Visconti, che dal 1361 avranno in Pavia il controllo di una prestigiosa città universitaria? Con le tematiche in esse sviluppate si integra piena- mente la sezione dedicata alla Chiesa eusebiana, che, oltre ad approfon- dire l’accertamento sulla rappresentanza sociale dei canonici vercellesi e sulla base economica e istituzionale del potere episcopale in città e nel territorio, affronta un tema-chiave, molto caro a Grado Merlo, per la sto- ria vercellese: quello dei rapporti con la Sede Apostolica, guastatisi peri- colosamente ai tempi di Federico II. Quali sono nel Trecento i nuovi rapporti con il papato avignonese, sopravvissuto come potere universa- le al fallimento dell’Impero? Parlare della storia di una città, come Vercelli, nel Trecento senza affrontare il tema-chiave della crisi demografica ed economica che caratterizzò quel secolo sarebbe grave. Stando alle stime di Francesco Panero alla fine del XIII secolo Vercelli avrebbe contato non meno di 10.000 abitanti 29 : quale fu l’impatto del crollo demografico? Purtroppo

28 I. N ASO , La fine dell’esperienza universitaria vercellese , in L’Università di Vercelli nel Medioevo cit., pp. 335-357. 29 F. P ANERO , Popolamento e movimenti migratori nel contado vercellese, nel Biellese e nella Valsesia (secoli X-XIII) , in Strutture familiari, epidemie, migrazioni nell’Italia medievale , a cura di R. C OMBA , G. P ICCINNI , G. P INTO , Napoli 1984, pp. 329- 354 (alle pp. 347-348), ora, con qualche variazione e con il titolo Popolamento e movi- menti migratori , anche in I D., Comuni e borghi franchi nel Piemonte medievale , Bologna 1988, pp. 17-42 (alle pp. 36-37, nota 68); I D., L’inurbamento delle popolazio- ni rurali e la politica territoriale e demografica dei comuni piemontesi nei secoli XII e XIII , in Demografia e società nell’Italia medievale (secoli IX-XIV) , a cura di R. C OMBA e I. N ASO , Cuneo 1994, pp. 401-440 (soprattutto alle pp. 413-421). Cfr. M. G INATEMPO , L. S ANDRI , L’Italia delle città. Il popolamento urbano tra Medioevo e Rinascimento (secoli XIII-XVI) , Firenze 1990, pp. 65 e 247.

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A partire da Vercelli nel secolo XIV

la documentazione viscontea e cittadina, a differenza di quella sabauda, non consente di affrontare di petto tale interrogativo. Si è preferito, per la sezione Economia e strutture materiali , seguire una strategia, per così dire, aggirante: da un lato, mettere a frutto una documentazione notari- le straordinariamente ricca rispetto alle altre città e ai maggiori centri piemontesi a vocazione urbana (ma soltanto per la seconda metà del secolo), portando, su questa base documentaria sinora praticamente ine- splorata, nuovi elementi di conoscenza e di valutazione; d’altro lato, offrire a una riflessione più generale nuovi dati (sinora sottoutilizzati dai punti di vista economico, sociale e istituzionale) sulle strutture materia- li, sugli investimenti edilizi nella costruzione di nuovi edifici pubblici e religiosi, sul rinnovamento delle strutture fortificate disseminate nel ter- ritorio. Dovrebbe così emergere, sia pure indirettamente, un quadro d’insieme sufficientemente indicativo. Quello che, con questo quinto Congresso Storico Vercellese, si offre alla nostra attenzione, in un contesto culturale, che, come invita a spe- rare la produzione scientifica più recente della scuola medievistica trie- stina, appare assai più attento che in passato al secolo qui preso in con- siderazione 30 , è dunque un tentativo di ricostruzione storiografica a più mani, aperta a nuovi temi e a nuovi interrogativi di ricerca, ma costan- temente convergente verso il baricentro problematico dell’evoluzione delle forme di vita associata nella coesistenza e interrelazione dei grup- pi parentali aristocratici con la persistente impronta urbana, da leggere anche nei rapporti con i poteri grandi e piccoli con cui Vercelli era in collegamento. Nuove tematiche di ricerca possono offrire utili spunti di analisi, focalizzando in particolare le vivacissime dinamiche del conflitto poli- tico e del negoziato, spesso sorretto da una consumata esperienza e cul- tura giuridica. Se infatti la crisi e il rinnovamento dell’economia sono l’aspetto più noto di quel secolo cruciale per la storia d’Italia, non meno rilevante appare il mutamento politico e culturale: gli assetti ammini- strativi conobbero, com’è ormai ben noto, una costante evoluzione, col rafforzamento degli apparati burocratici e il primo articolarsi della com-

30 Cfr., oltre ai volumi citati nella nota 1, l’approfondita ricerca su un tema-chiave, per lo studio del Trecento, come quello migratorio di M. D AVIDE , Lombardi in Friuli. Per la storia delle migrazioni interne nell’Italia del Trecento , Trieste 2008.

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pagine di stati regionali che avrebbe poi inquadrato il territorio italiano fino all’Unità 31 ; nella società il conflitto si manifestò in forme nuove, spesso dirompenti, e si affermarono soggetti politici capaci di azione organizzata, dai governi principeschi alle comunità rurali, mentre altri, come i signori locali, i vescovi e in molti casi gli stessi comuni urbani, conoscevano un declino più o meno irreversibile; nella cultura e nel- l’arte, rispetto al pubblico destinato a fruirne come rispetto ai valori che esse esprimevano, si accentuarono le tendenze elitarie, spesso tradotte nel mecenatismo dei governi signorili, innestato sulle tradizioni cultura- li dell’età comunale rivisitate alla luce delle nuove esigenze politiche.

31 I. L AZZARINI , L’Italia degli Stati territoriali. Secoli XIII-XV , Roma-Bari 2003.

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RICCARDO RAO Università degli Studi di Bergamo ______

COMUNE E SIGNORIA A VERCELLI (1285-1335)

Rispetto alla vitalità degli studi su Vercelli nella piena età comunale, la fase di transizione dal libero comune alla dominazione viscontea non ha goduto di particolare attenzione. Il punto di riferimento più sicuro rimane la poderosa opera ottocentesca di Vittorio Mandelli, che, malgra- do gli iniziali propositi di spingersi sino alla dedizione della città ad Azzone Visconti del 1335, si arresta alla pacificazione fra Bicchieri e Avogadro del 1254: in realtà, nel quarto volume della sua storia del comune di Vercelli lo storico eusebiano non mancò di tracciare in manie- ra sintetica un’ossatura solida, per quanto non priva di alcuni fraintendi- menti, delle vicende politico istituzionali successive 1. Nella prospettiva del Mandelli, le lotte di fazione che caratterizzarono l’ultima fase di vita del comune rappresentavano il male minore rispetto alla perdita dell’in- dipendenza. Si delineava, nel complesso, un periodo di crisi rispetto alla prima metà del Duecento: gli aspri conflitti intestini e i continui capo- volgimenti alla guida del regime municipale ebbero soltanto l’effetto di procrastinare il lento declino verso l’egemonia viscontea. Nel panorama storiografico nazionale, gli studi recenti tendono a ripensare l’etichetta di ‘crisi’ applicata al periodo di transizione dal comune alla signoria, evidenziandone le specificità. Pur senza negare le difficoltà politiche ed economiche delle amministrazioni municipali in questo periodo, si deve sottolineare che il cinquantennio a cavallo fra Due e Trecento fu animato da uno spiccato dinamismo degli assetti isti- tuzionali, sollecitati a sintetizzare le nuove pratiche di governo intro- dotte da alcune dominazioni sovralocali con la tradizione di partecipa-

Abbreviazioni: ACaV = Archivio del Capitolo di Sant’Eusebio di Vercelli; ACV = Archivio Storico del Comune di Vercelli; ASV = Archivio di Stato di Vercelli; OSA = Archivio dell’Ospedale di Sant’Andrea; AST = Archivio di Stato di Torino

1 V. M ANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo , vol. IV, Vercelli 1861, pp. 95- 205.

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zione dei ceti cittadini propria del comune 2. Nell’Italia padana dell’epo- ca, un ulteriore elemento di originalità è costituito dai tentativi di ege- monia familiare e personale attuati su scala urbana: per esempio, i Beccaria a Pavia, i Tornielli a Novara, i Vistarino a Lodi, gli Scotti a Piacenza, i Correggio a Parma, i Pepoli a Bologna o i Rusca a Como. Si tratta di esperienze che rivestirono una decisiva funzione di mediazione tra la vita cittadina e il più vasto quadro regionale. Di rado esse assun- sero configurazioni istituzionali evidenti, preferendo per lo più mano- vrare all’interno dell’apparato comunale e riuscendo talora a rappresen- tare istanze sociali più vaste 3. Alla luce di una simile chiave interpretativa, è possibile sostituire l’immagine, ereditata dal Mandelli, delle vicende vercellesi dal 1290 al 1335 come di un’epoca nel complesso negativa e confusa, a stento rico- struibile se non sotto il profilo événementiel , recuperandone gli elemen- ti di sperimentazione e di creazione di nuovi assetti istituzionali. In par- ticolare, sottolineare la compresenza di influenze sovralocali, di egemo- nie familiari e di partecipazione politica della cittadinanza nei regimi vercellesi della prima metà del Trecento contribuisce a sdrammatizzare la distanza tra le differenti configurazioni istituzionali adottate. La sto- ria cittadina di questo periodo si presenta non tanto come una contra- stata alternanza tra forme di signoria esterna, progetti di affermazione di alcune famiglie urbane e momenti in cui il comune riuscì a reggersi in maniera autonoma, quanto come una fase in cui tali dinamiche coesi- stettero, tutt’al più con un diverso dosaggio negli equilibri di potere. Il presente contributo prenderà in esame tali differenti livelli, a par- tire dalla lunga, ancorché discontinua, egemonia viscontea sulla città. In

2 All’interno di un’ampia bibliografia, si rimanda a G.M. V ARANINI , Aristocrazie e poteri nell’Italia centro-settentrionale dalla crisi comunale alle guerre d’Italia , in R. BORDONE , G. C ASTELNUOVO , I D., Le aristocrazie dai signori rurali ai patriziati , Roma- Bari, 2004, pp. 121-193, qui alle pp. 134-145; P. G RILLO , Un dominio multiforme. I comuni dell’Italia nord-occidentale soggetti a Carlo I d’Angiò , in Gli Angiò nell’Italia nord-occidentale (1259-1382) , a cura di R. C OMBA , Milano, 2006, p. 31-101. Una recen- te sintesi sull’argomento in G. C HITTOLINI , «Crisi» e «lunga durata» delle istituzioni comunali in alcuni dibattiti recenti , in Penale Giustizia Potere. Metodi, Ricerche, Storiografie. Per ricordare Mario Sbriccoli , a cura di L. L ACCHÈ , C. L ATINI , P. MARCHETTI , M. M ECCARELLI , Milano 2007, pp. 125-154. 3 R. R AO , Signorie cittadine e gruppi sociali in area padana fra Due e Trecento: Pavia, Piacenza e Parma , in «Società e storia», 118 (2007), pp. 673-706.

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Comune e signoria a Vercelli (1285-1335)

seguito saranno considerati i progetti di affermazione di Simone Avogadro di Collobiano e di Riccardo Tizzoni. Infine sarà affrontato il ruolo del comune e delle forze che gravitavano attorno a esso, espri- mendo politiche non riconducibili al solo scontro tra schieramenti ari- stocratici contrapposti. Il filo rosso che guiderà la trattazione sarà costi- tuito dall’attenzione alle relazioni dialettiche tra potere e società urbana e alle politiche di controllo del territorio.

1. L’egemonia milanese

Nel cinquantennio considerato, Vercelli rientrò per lo più nell’area di egemonia viscontea: dal 1290 al 1302, dal 1316 al 1328, dal 1333 al 1335, anche se solo per periodi limitati l’influenza della discendenza milanese assunse un’esplicita configurazione istituzionale signorile. Le dominazioni di Matteo Visconti, a Vercelli come in altri centri, presen- tano tratti comuni: la stretta supervisione imposta al movimento popo- lare, di cui Matteo cercò un inquadramento istituzionale verticale; l’uti- lizzo di personale politico di sicura fedeltà, spesso reclutato tra i suoi familiari; una politica di larghe concessioni ai fedeli locali secondo meccanismi che eludevano le tradizionali regole municipali a salva- guardia degli interessi della cittadinanza, soprattutto sotto il profilo della fiscalità e del disciplinamento del territorio; il rafforzamento degli strumenti militari di controllo della città, dalla presenza di guarnigioni milanesi alla costruzione di fortezze urbane 4.

a) Matteo Visconti capitano del popolo (1290-1302)

Matteo si affermò una prima volta nel 1290. Secondo una notizia di tradizione erudita, il Visconti avrebbe assunto per cinque anni la carica

4 Le prime dominazioni viscontee mancano di studi esaustivi prodotti in tempi recenti. Si deve ancora fare affidamento su F. C OGNASSO , L’unificazione della Lombardia sotto Milano , in Storia di Milano , V, La signoria dei Visconti , Milano, 1955, pp. 1-567. Sulla prima affermazione viscontea si veda ora P. G RILLO , «Reperitur in libro». Scritture su registro e politica a Milano alla fine del Duecento , in AA.VV., Libri, e altro. Nel passato e nel presente. Per Enrico Decleva , Milano 2006, pp. 33-53. Per lo stacco rispetto alle forme di governo attuate dalle signorie monocittadine si rimanda anche a R AO , Signorie cittadine e gruppi sociali cit., pp. 695-697.

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di capitaneus 5. L’informazione pare attendibile ed è confermata da un’ulteriore scrittura dell’agosto 1295, in cui egli si intitolava capitano del popolo di Milano e delle altre civitates soggette, tra cui Vercelli 6. L’attribuzione a tempo dell’ufficio di comando del populus , frequente nell’Italia settentrionale dell’ultimo quarto del Duecento, rispondeva alla necessità di conseguire, oltre a una lauta remunerazione, il vertice delle organizzazioni popolari: all’epoca queste ultime avevano per lo più avocato prerogative centrali nel funzionamento del comune e costi- tuivano, con il loro dinamismo, la maggiore minaccia alla conservazio- ne del governo civico. L’assunzione della carica si poteva accompagna- re alla concessione di garanzie al popolo, quali il giuramento del rispet- to dei suoi diritti, come lo stesso Matteo aveva fatto a Milano nel 1289, al momento del rinnovo quinquennale del capitanato del popolo 7: simi- li aspetti per Vercelli non possono essere verificati, poiché la testimo- nianza del capitanato del Visconti è tramandata da un laconico passag- gio cronachistico. La soluzione adottata non era soltanto in linea con quella sperimentata dallo stesso Matteo a Milano. Anche per la città eusebiana l’attribuzione dell’ufficio di capitano aveva un significato di continuità istituzionale: nel 1278, Guglielmo VII di Monferrato aveva ricevuto il titolo di capitaneus civitatis , con durata quinquennale, poi divenuta vitalizia nel 1285, impegnandosi a nominare un vicario resi- dente all’interno delle mura 8. L’assenza di ulteriori evidenze documentarie che confermino l’eser- cizio dell’ufficio di capitano da parte del Visconti parrebbe indicare la

5 MANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., vol. IV, p. 117, dice di aver trat- to la notizia dagli Annales Mediolanenses ab anno MCCXXX usque ad annum MCCC- CII , in RIS, XVI, a cura di L.A. M URATORI , Milano 1730, coll. 635-839, qui alla col. 682, che si limitano ad asserire: «Mattheus Vicecomes fit dominus Vercellarum». Una simile indicazione compare invece in due cronache manoscritte del XVII secolo con- servate alla Biblioteca civica di Vercelli, G IOVANNI BATTISTA MODENA , Dell’antichità e nobiltà della città di Vercelli , 1629 ca., e C ARLO AMEDEO BELLINI , Annali della città di Vercelli sino all’anno 1499 : è probabile che la notizia fosse stata tratta da materiale documentario conservato a Vercelli. 6 Annales Placentini , in MGH, Scriptorum , XVIII, a cura di G.H. P ERTZ , Hannover, 1863, pp. 403-581, qui alla p. 407. Per l’assunzione del titolo di capitano del popolo, nel 1292, a Como, cfr. L. R OVELLI , Storia di Como , Milano 1962, pp. 231-233. 7 BERNARDINO CORIO , Storia di Milano , a cura di A. M ORISI GUERRA , Torino 1978, vol. I, pp. 535-536. 8 MANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., vol. IV, pp. 102-103. Cfr.

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Comune e signoria a Vercelli (1285-1335)

sua latitanza in città: egli governava, come Guglielmo VII, attraverso i suoi emissari. Finito il mandato, dal 1296, si registra l’attribuzione della carica di capitano del popolo con durata annuale a personale forestiero, comunque milanese vicino al Visconti: si tratta della prima circostanza in cui a Vercelli si ha traccia esplicita di un capitano del popolo recluta- to attraverso le modalità per lo più diffuse nelle altre civitates comuna- li. Il capitanato pluriennale adottato prima d’allora da Guglielmo di Monferrato e da Matteo Visconti, condizionato dalle soluzioni istituzio- nali ‘proto-signorili’ caratteristiche all’epoca nell’Italia comunale, non costituì dunque una trasformazione, funzionale all’affermazione perso- nale, del capitaneus populi con durata annuale: tale figura fu tempora- neamente introdotta in città dall’esterno solo in seguito, proprio attra- verso il veicolo di simili esperienze 9.

b) Matteo Visconti «dominus generalis» (1316-1321)

La seconda dominazione di Matteo, dal 1316 al 1321, rivendicò in forme aperte, anche sul piano istituzionale, una connotazione autorita- ria. In un documento del 1316, il Visconti risultava essere «vicarius ac rector generalis et defensor civitatis et dixtrictus Mediolani ac civitatis et dixtrictus Vercellarum dominus generalis» 10 . Dalla carica emerge la duplice valenza del ruolo di Matteo, che mentre a Milano, almeno in quell’occasione, declinava la sua autorità in forme più sfumate e

Statuta comunis Vercellarum ab anno MCCXLI , a cura di G. B. A DRIANI [in realtà V. MANDELLI ], in Leges municipales , II, Torino 1876 (HPM, XVI), coll. 1088-1584, qui alle coll. 1478-1479. 9 È possibile che la presenza viscontea si fosse associata a forme di governo popo- lari, come parrebbe suggerire l’attuazione di procedure caratteristiche di tali regimi, quali le operazioni di recupero delle comunanze, per le quali a Vercelli esiste una signi- ficativa testimonianza del 1291 (ASV, OSA, Pergamene, mazzo 1823, doc. in data 1291, novembre 14: cfr. G. F ERRARIS , L’ospedale di S. Andrea di Vercelli nel secolo XIII. Religiosità, economia, società , Vercelli 2003, p. 162). Sulla scomparsa della carica, al termine dell’esperienza viscontea, cfr. oltre, testo corrispondente alla nota 95. Per un’al- tra epoca e un’altra area, una significativa introduzione di esperienze istituzionali popo- lari dall’esterno è stata ricostruita da T. L AZZARI , Esportare la democrazia? Il governo bolognese a Imola (1248-1274) e la creazione del «popolo» , in La norma e la memoria. Studi per Augusto Vasina , a cura di T. L AZZARI , L. M ASCANZONI , R. R INALDI , Roma 2004, pp. 399-439. 10 MANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., vol. IV, p. 178.

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ammiccanti verso il consenso urbano, a Vercelli preferiva una denomi- nazione autocratica ( dominus generalis ), diffusasi in quegli anni e pre- sto divenuta caratteristica dell’esperienza viscontea (Matteo la usò – per citare soltanto le situazioni meglio studiate – a Milano nel 1313, a Bergamo tra il 1315 e il 1317 e a Pavia nel 1320-1321; il figlio Galeazzo nel 1313 a Piacenza) 11 . La concessione di esenzioni fiscali sul territorio a favore degli ari- stocratici fedeli, in deroga alla politica comunale, è un tratto caratteri- stico dell’impostazione di governo di Matteo in tale periodo. Negli anni della sua seconda dominazione, il Visconti fu assai lesivo nei confronti degli equilibri cittadini. Nel 1316, egli concesse ai nobiles Giacomo e Michele Buonsignore e Giovanni Arborio, con tutta probabilità guelfi, l’esenzione dagli onera riscossi dal comune di Vercelli, in ricompensa dell’aiuto prestato nella sottomissione di Gattinara 12 . Nello stesso anno, impose un estimo, che suscitò vivaci proteste da parte degli ecclesiastici 13 ; nel 1318, Matteo intraprese la costruzione di una fortezza urbana 14 . Negli anni 1319-1321, attraversati da accesi scontri con l’esercito angioino, i Visconti rafforzarono il controllo militare di Vercelli, inviando in città e in alcuni castelli del distretto guarnigioni provenienti dalla metropoli lombarda: fra il 1319 e il 1320, è attestato

11 Per Milano cfr. C OGNASSO , L’unificazione della Lombardia sotto Milano cit., p. 112, che insiste, forse esagerando, piuttosto sulla natura «comunale» dell’intitolazione, rilevando il contestuale abbandono, da parte di Matteo, della carica di vicario. Per Piacenza e Pavia cfr. R AO , Signorie cittadine e gruppi sociali cit., p. 683. Per Bergamo cfr. B. B ELOTTI , Storia di Bergamo e dei Bergamaschi , Bergamo 1959, vol. II, p. 86. 12 MANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., vol. IV, p. 178. Umberto Buonsignore era tra i sostenitori di Simone da Collobiano nel 1310 ( I Biscioni , 1/1, a cura di G.C. F ACCIO e M. R ANNO , Torino 1934, BSSS 145, doc. 184, p. 377). Gli Arborio sono una famiglia spaccata al suo interno: se Pietro Arborio, nel 1311, era ricordato tra i ghibellini, il grosso della famiglia, in particolare gli Arborio di Gattinara, era schiera- to per gli Avogadro ( ibidem ). Sugli Arborio si veda anche F. F ERRETTI , Le famiglie del consorzio signorile di Arborio nei secoli XIV-XV , in «Bollettino storico vercellese», 33 (1989), pp. 5-42; I D., I Signori di Arborio del ramo «de castro Arborii» , in «Bollettino storico vercellese», 45 (1995), pp. 69-88. 13 ACaV, Statuti e patti, cartella 91, doc. in data 1316 agosto 18. È possibile che il provvedimento colpisse l’asse tra la chiesa vercellese e gli Avogadro. 14 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1318, marzo 4: «pretextu construendi fortalicia seu castrum noviter factum intra fortalicia sive castrum Advocatorum [...] de mandato domini Mathei Vicecomitis Dei gratia et cetera et comunis Vercellarum et pro

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Comune e signoria a Vercelli (1285-1335)

un connestabile milanese del castrum di Caresana 15 ; nel 1320 alcuni sti- pendiari ambrosiani erano di stanza a Salussola 16 ; nel 1321, infine, i milanesi Bertramino e Perrino Pozzobonelli e Faciolius de Merate agi- rono in veste di capitanei , alla guida di cento pedites preposti «ad custo- diam civitatis Vercellarum» 17 .

c) Il governo della città: ghibellini, guelfi e popolo nel 1318

Si possono meglio precisare i contenuti della dominazione di Matteo attraverso alcune scritture del 1318, rogate dal cancellarius comunale, il fedele ghibellino Giacomo Scutario. Il 30 giugno il podestà, il mila- nese Castellano de Gluxiano , riunì il consiglio della credenza e della Società di Giustizia del Popolo ( Societas Iusticie Populi ) nel palazzo degli Alciati. Il giudice del rettore urbano, Grazio da Vimercate, chiese al giudice della societas , Giacomo Falconi, e al consiglio della stessa di provvedere all’esecuzione delle direttive impartite da Matteo Visconti, «comunis Vercellarum dominus generalis», attraverso una lettera reca- pitata a Grazio e al podestà. Matteo aveva elargito un privilegio a Giovanni, ai suoi fratelli e a Gionselino, signori di Castellengo, consen- tendo loro di recuperare una somma consistente, 13.000 lire, come pagamento dei danni subiti dal castello ad opera del comune nel 1301 e nel 1302 18 . È probabile che per il versamento della somma già Lodrisio Visconti,

utilitate maxima dicti comunis et hominum Vercellarum causa faciendi fortiliciam pre- dictam et ad honorem dicti domini Mediolani et ad honorem et utilitatem et pacificum statum comunis et hominum Vercellarum». Al riguardo cfr. il contributo di V. DELL ’A PROVITOLA , in questo stesso volume. 15 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1326, luglio 30. 16 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1321, agosto 20. 17 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1321, agosto 24. Si tratta degli anni di massima pressione delle forze angioine, che nel 1322 arrivarono a nominare Gastone de Lomania «pro Sancta matre Ecclesia et regia maiestate in episcopatu et districtu Vercellarum» vicarius et capitaneus generalis (ASV, OSA, Pergamene, mazzo 1832, doc. in data 1322, agosto 9: suo luogotenente era Bonifacio di Collobiano). Un de Lomania , Oddeto, è menzionato nel 1332 come scutiferus caporalis angioino attivo in Piemonte (G.M. M ONTI , La dominazione angioina in Piemonte , Torino 1930, BSSS 116, doc. 22, p. 373). 18 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1318, giugno 30: «pro emenda et resti- tutione dampnorum et sumptuum et guastorum».

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podestà di Vercelli nel 1316, avesse predisposto un estimo, ma che i signori di Castellengo non fossero stati fino a quel momento rimborsa- ti 19 . La questione fu oggetto di discussione nell’assemblea della socie- tas . Per primo parlò Riccardo Tizzoni, proponendo una soluzione che aderiva in buona misura alle richieste di Matteo 20 . Egli suggerì di stipu- lare in consiglio un «instrumentum promissionis» a favore dei condo- mini, in cui si stabilisse il saldo dell’imposta di Lodrisio, specificando che essa era stata decisa come rimborso dei danni e impegnando, nel caso di insolvenza dell’interesse dovuto, il fodro su tre località vicine a Castellengo: Monte Livone, Montebruardo e Prato Celso 21 . Di diverso avviso era Ardizzone Avogadro di Quaregna, secondo cui, per il momento, bisognava soprassedere all’affare, indagando prima i diritti del comune, poiché si diceva che i Castellengo avessero rinunciato alla rifusione del danno 22 . Una terza posizione fu espressa da tale Codartinus Cochus , che suggerì di scrivere una carta a favore dei Castellengo, contenente l’importo tassato da Lodrisio Visconti, e di effettuare la soluzione entro dieci anni. Messa ai voti, passò la proposta di Riccardo Tizzoni. Il podestà stabilì quindi che si versassero a Gionselino e fratelli le 13.000 lire entro la festa di Ognissanti, preoccu- pandosi di far inserire una serie di clausole volte a evitare che il paga- mento fosse disatteso. In particolare, si specificò che la soluzione doves- se avvenire nonostante uno statuto della societas che imponeva il voto della credenza dell’associazione per le somme eccedenti 10.000 lire 23 .

19 Doc. cit.: «de dando et solvendo eisdem dominis illam quantitatem pecunie que taxata fuit tempore regiminis domini Lodrixii Vicecomitis potestatis Vercellarum et que in instrumento seu pronunciatione dicte taxationis declaratur pro restitucione et emenda dampnorum suorum». 20 Doc. cit.: «ad hoc ut mandata et gesta per ipsum nostrum dominum exequantur et sorciantur effectum dominus Ricardus de Tizionibus miles surgens ad arengaria consu- luit». 21 Tali località furono progressivamente soppiantate da Mottalciata, fondata proba- bilmente durante la dominazione angioina sulla città (al riguardo si veda il contributo di A. B ARBERO , in questo stesso volume, nn. 95 e 225). 22 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1318, giugno 30: «dominus Ardicio Advocatus de Quaregna consuluit quod super dictum negocium supersedeatur ad pre- sens et quod iura communis diligenter inquirantur ad defenssionem predictorum cum diceretur dictos dominos de Castellengo de dictis dampnis fecisse remissionem et finem comuni». 23 Doc. cit.

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Tali atti offrono la possibilità di seguire in profondità i meccanismi del governo civico negli anni di Matteo. Le lettere spedite da Milano venivano recepite dall’apparato visconteo presente in città, che provve- deva alla loro attuazione attraverso il confronto con le istituzioni muni- cipali 24 . Con la disposizione, il Visconti premiava una famiglia di fede- li, i Castellengo (nel 1311, Gionselino era ricordato fra i ghibellini ver- cellesi vicini ai Tizzoni 25 ), a scapito delle casse del comune, interrom- pendo la tradizionale politica di difesa delle prerogative urbane sul ter- ritorio da parte delle autorità municipali 26 . Nei documenti del 1318 è conservata la prima menzione dell’unica società popolare trecentesca, sorta durante la signoria di Matteo e scom- parsa, probabilmente, verso la sua fine, nel 1320 27 . È possibile che pro- prio il Visconti ne avesse promosso, o comunque accettato, la creazio- ne, con l’intento di incanalare le istanze dei cives in un interlocutore isti- tuzionalizzato e controllabile. Una struttura societaria con la medesima denominazione, Societas Iustitie , era stata istituita nel 1311 da Matteo anche a Milano, dove l’ente raccolse l’eredità della Credenza di Sant’Ambrogio 28 . Non bisogna tuttavia trascurare le possibili sollecita- zioni provenienti dal basso: analizzando la successione degli ufficiali viscontei dal 1316 al 1321, Castellano de Gluxiano risulta l’unico pode- stà a non essere stato scelto fra i consanguinei di Matteo, che vedeva nell’invio di cadetti della dinastia uno degli strumenti più sicuri per

24 A. G AMBERINI , Lo stato visconteo. Linguaggi politici e dinamiche costituzionali , Milano 2005, pp. 40-52. 25 I Biscioni , 1/2, a cura di G.C. F ACCIO , M. R ANNO , Torino 1939 (BSSS 146), doc. 197, p. 32. 26 Al riguardo cfr. anche oltre, § 3. 27 Un’ulteriore attestazione in ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1326, luglio 30, con riferimento a provvedimenti del 1319 e del 1320. Cfr. anche I Biscioni , 2/3, a cura di R. O RDANO , Torino 1994 (BSS 211), doc. 547, p. 69. Dopo la fine della domi- nazione di Matteo si ricorda soltanto un richiamo al «generali consilio ac credencia communis et populi» nel 1335, contenuto nell’atto di dedizione della città ad Azzone Visconti: I Biscioni. Nuovi documenti e regesti cronologici , a cura di R. O RDANO , Torino 2000 (BSS 216), doc. 15, p. 65. 28 COGNASSO , L’unificazione della Lombardia sotto Milano cit., pp. 71-72; I D., Storia di Novara , Novara 1971, p. 323. Tale denominazione non è peraltro estranea ad altre società popolari di area piemontese: nel 1301, una Societas Iustitie è documentata ad Alessandria (G UILLIELMI SCHIAVINAE Annales Alexandrini , a cura di V. F ERRERO PONZIGLIONE , in HPM, XI, Scriptorum IV , Torino 1863, coll. 1-688, qui alla coll. 283).

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garantire il controllo della città 29 : a Pavia, per esempio, tra il 1315 e il 1319 fu podestà Luchino Visconti. A Novara, Vercellino Visconti resse il medesimo ufficio nel 1315 e tra il 1318 e il 1320; dalla medesima stir- pe discendeva Stefano, rettore nel 1318. Ad Alessandria Marco fu pode- stà dal 1315 al 1322. A Vercelli, l’incarico fu affidato nel 1316 a Lodrisio, nel 1317 a Vercellino, nel 1319 e nel 1320 di nuovo a Lodrisio, nel 1321 a Stefanino 30 . È dunque possibile che la nomina del de Gluxiano e la costituzione, forse nello stesso anno, della Societas fosse- ro state concesse da Matteo in risposta a una richiesta da parte della popolazione urbana di maggiori margini di autonomia, forse anche in reazione all’aggressiva politica viscontea nei confronti dei diritti muni- cipali: la questione del rimborso dei Castellengo era sorta nel 1316, sotto Lodrisio Visconti, e la clausola degli statuti societari che stabiliva l’intervento dell’associazione per le erogazioni superiori alle 10.000 lire parrebbe esprimere un’esigenza di supervisione della spesa pubblica da parte della cittadinanza. Del resto, pur in un contesto disciplinato, la Società di Giustizia era in grado di esprimere posizioni articolate, che rispecchiavano l’acceso dibattito presente all’interno della società urbana. Nessuna delle tre pro- poste implicava un’erogazione immediata, ma senza dubbio quella del leader ghibellino Riccardo Tizzoni era la più sollecita a soddisfare le richieste di Matteo. Se l’intervento di Codartinus Cochus , forse porta- voce, come meglio si vedrà, di uno schieramento non inquadrato nella rete fazionaria, si limitava a suggerire una dilazione del pagamento, l’ar- ringa di Ardizzone Avogadro di Quaregna era intransigente e parrebbe esprimere posizioni filo-guelfe. Nel 1313, Ardizzone era stato tra i guel- fi vercellesi banditi da Enrico VII 31 . La sua presenza in città era resa

29 Egli fu, peraltro, tra i Milanesi vicini ai Visconti che nel 1322 trattarono con i lega- ti imperiali la destituzione di Galeazzo Visconti e l’assegnazione della signoria sulla metropoli lombarda a Giovanni della Torre: Chronica Mediolani seu manipulus florum auctore G UALVANEO DE LA FLAMMA , in RIS, XI, a cura di L.A. M URATORI , Milano 1727, coll. 537-739, qui alle coll. 727-729. 30 R. R AO , Il sistema politico pavese durante la signoria dei Beccaria (1315-1356): «élite» e pluralismo , in «Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Age», 119 (2007), pp. 151-187, qui a p. 154; G. G ARONE , I reggitori di Novara , Novara 1865, pp. 171-175; G UILLIELMI SCHIAVINAE Annales Alexandrini cit., coll. 313-316; M ANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo , vol. III, Vercelli 1861, p. 283. 31 MANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., vol. IV, p. 209.

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possibile da un provvedimento del Visconti, che, al momento del suo arrivo a Vercelli, aveva pronunciato una pace fra le parti («pacem pro- nunciatam per suprascriptum dominum Matheum Vicecomitem inter partes Vercellarum») 32 . Con la disposizione, Matteo aveva probabil- mente risparmiato alcuni membri di stirpi guelfe dai bandi e dalle con- fische, che pure dovevano esserci state: pochi mesi prima, in marzo, Matteo aveva ordinato la costruzione del castello urbano sui «fortalicia sive castrum» degli Avogadro 33 . Lo stesso Simone, tuttavia, nel 1317 era in città per riscuotere un credito di cento lire nei confronti del comune di Viverone 34 . Dagli atti dell’archivio comunale emergono ulteriori testi- monianze della sopravvivenza latente di una fazione guelfa: nel 1317, l’ufficio di notaio esattore fu acquisito, dopo vari passaggi di mano, da Lanfranco e Giacomo Calvi, appartenenti a una famiglia che nel 1285 e nel 1311 compariva fra i sostenitori degli Avogadro 35 . Tra coloro che avevano ceduto i diritti figuravano membri di discendenze guelfe come i de Moxo e gli Arborio 36 . La tolleranza in città di esponenti guelfi e di una società popolare, anche se dissenzienti rispetto all’operato dei Visconti, era compensata dal saldo controllo del governo civico da parte dei fautori vercellesi della discendenza milanese: le votazioni del consiglio della Societas – di cui non è nota la composizione – premiarono la posizione di Riccardo Tizzoni, che pure sembrerebbe lontana dagli obiettivi per tradizione per- seguiti dal movimento popolare. Riccardo era l’unico personaggio a cui era attribuita la qualifica di miles : il notaio sembra rilevare, attraverso il lessico della distinzione, la sua egemonia 37 .

32 I Biscioni cit., 2/3, doc. 547, p. 69. 33 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1318, marzo 4. 34 ASV, OSA, Pergamene, mazzo 1831, doc. in data 1317, aprile 25. 35 Cfr. Statuta comunis Vercellarum ab anno MCCXLI cit., col. 1477; I Biscioni cit., 1/2, doc. 197, p. 34. 36 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1317, ottobre 9. La cacciata degli Avogadro avvenne soltanto nel 1321 (cfr. anche oltre, nota 122). 37 Già impiegata nel 1314 (cfr. testo corrispondente alla nota 70), tale qualifica divenne in seguito abituale per Riccardo: cfr. anche I Biscioni. Nuovi documenti e rege- sti cronologici cit., doc. 15, p. 65, doc. 17, p. 71; L’abbazia di San Genuario di Lucedio e le sue pergamene , a cura di P. C ANCIAN , Torino 1975 (BSS 193), doc. 36, p. 157; ASV, OSA, Pergamene, mazzo 1832, 1320, maggio 21. Sul lessico della distinzione, cfr. S. CAROCCI , Una nobiltà bipartita. Rappresentazioni sociali e lignaggi preminenti a Roma

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2. La costruzione di una signoria cittadina: Avogadro e Tizzoni

Nei primi decenni del Trecento Avogadro e Tizzoni diedero avvio a peculiari tentativi egemonici. Caratterizzati da prassi politiche differen- ti, essi sono tuttavia accomunati dal basso profilo istituzionale adottato, che esprime in maniera efficace la volontà di far convivere le aspirazio- ni di affermazione personale e familiare con gli indirizzi politici tradi- zionali del comune tardo-duecentesco. La forte concentrazione del pote- re economico e politico nelle mani di pochi lignaggi e le difficoltà del comune nelle finanze e nel controllo del territorio trovarono un punto d’incontro nella creazione di un regime ‘invisibile’ alle istituzioni da parte dei due leader fazionari.

a) L’ascesa di Simone di Collobiano

Nel 1318, Ardizzone Avogadro di Quaregna aveva espresso una posizione in cui le motivazioni antighibelline convergevano con alcune questioni care al movimento popolare. Pur all’interno di una propria ben precisa via egemonica, gli Avogadro in più occasioni erano riusciti a far convivere la loro volontà di affermazione con le istanze del popolo e tal- volta persino a rappresentarle. Nel 1243 la famiglia aveva sostenuto un governo filo-popolare durante lo scontro con i Bicchieri e nel 1266 e nel 1270 aveva offerto due suoi esponenti, Guglielmo e Filippo, alla guida del populus e dei paratici in veste di podestà 38 . Gli Avogadro proveni- vano tuttavia da una tradizione di militanza nella societas aristocratica nei primi decenni del XIII secolo e anche nella seconda metà del seco- lo erano percepiti essenzialmente come magnati 39 . Segnato da alleanze d’opportunità e da reciproche diffidenze, un simile rapporto proseguì nei primi anni del Trecento, quando, dopo la

nel Duecento e nella prima metà del Trecento, in «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano», 95 (1989), pp. 71-122. 38 A. D EGRANDI , Artigiani nel Vercellese dei secoli XII e XIII , Pisa 1996, p. 66. 39 DEGRANDI , Artigiani nel Vercellese dei secoli XII e XIII cit., pp. 63, 67-68. Sulle scelte politiche della stirpe cfr. anche R. R AO , Politica comunale e relazioni aristocra- tiche: gli Avogadro tra città e campagna , in Vercelli nel XII secolo , IV Congresso della Società storica vercellese, Vercelli 2005, pp. 189-216. Si vedano inoltre le circostanze della pace del 1285 (cfr. oltre, testo corrispondente alla nota 94).

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cacciata dei Tizzoni, gli Avogadro instaurarono una forma di signoria per poco più di un decennio. Per il periodo 1302-1315 l’autorità della dinastia, in particolare del suo esponente di maggior rilievo, Simone Avogadro, è sottolineata dalle cronache dell’epoca: secondo Pietro Azario, «erat autem tunc temporis civitas Vercellarum possessa per illos de Advocatis», e a quel tempo «in ipsa civitate fuerunt leges et plebiscita coacte» 40 . Per l’Astigiano Guglielmo Ventura, Simone di Collobiano «tyrannice regebat» 41 . Per il Fiorentino Giovanni Villani e per il Milanese Galvano Fiamma, Simone era semplicemente «signore di Vercelli», mentre per il Reggiano Pietro della Gazzata egli «posse- deva quella terra» («ipsam terram tenebat») 42 . Per Giovanni da Cermenate, egli era princeps «in Vercellis»: tale giudizio ispirò forse Bernardino Corio, un cronista quattrocentesco che attingeva a materia- li più antichi, secondo cui il Collobiano «di Vercelle [...] teneva il prin- cipato» 43 . La crescente egemonia di Simone sulla politica cittadina si segue agevolmente, anche se si deve fin d’ora sottolineare che, a dispetto della sua tangibile percezione denunciata dai contemporanei, essa non conse- guì mai un’evidenza istituzionale, rimanendo nascosta, come molte dominazioni urbane dell’epoca, dietro l’ombra delle strutture di gover- no comunali. L’unico incarico esecutivo rivestito da Simone di cui è sopravvissuta testimonianza è quello di sapiente, esercitato nel 1302 e

40 PETRI AZARII Liber gestorum in Lombardia , a cura di F. C OGNASSO , Bologna, 1926 (RIS 2, XVI/4), pp. 18-19. 41 GUILIELMI VENTURAE Memoriale de gestis civium Astensium et plurium aliorum , in HPM, V, Scriptorum III , Torino 1848, coll. 701-816, qui alla col. 780. 42 GIOVANNI VILLANI , X, CX , 25; Manipulus florum auctore G UALVANEO DE LA FLAMMA cit., col. 719: «Symon Advocatus domino Vercellensi»; Chronicon Regiense. La Cronaca di P IETRO DELLA GAZZATA nella tradizione del codice Crispi , a cura di L. ARTIOLI , C. C ORRADINI , C. S ANTI , Reggio Emilia 2000, p. 142. Anche per N ICOLAI EPI - SCOPI BOTRONTINENSIS Relatio de itinere italico Henrici VII imperatoris , in RIS, IX, a cura di L.A. M URATORI , Milano 1726, coll. 887-934, qui alla col. 889, Simone era domi- nus della sua città. 43 Historia I OHANNIS DE CERMENATE notarii Mediolanensis , a cura di L.A. F ERRAI , Roma 1889, p. 23; C ORIO , Storia di Milano cit., vol. I, pp. 593-594. Anche il Morigia ricordava «Symonem Advocatum Vercellarum tenentem primatum»: Chronicon Modoetiense ab origine Modoetiae usque ad annum MCCCXLIX ubi potissimum agitur de gestis priorum Vicecomitum principum auctore B ONINCONTRO MORIGIA synchrono , in RIS, XII, a cura di L.A. M URATORI , Milano, 1728, coll. 1055-1184, qui alla col. 1095.

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nel 1304 44 . Se i consigli ristretti durante tale periodo ebbero un impor- tante ruolo decisionale, il consiglio generale, la credenza, pare convo- cato con una notevole frequenza, che si intensificò in particolar modo negli ultimi anni di supremazia guelfa, quando il dominio della città fu conferito agli Angiò 45 . Ciononostante, il ruolo nella politica cittadina di Simone, così come degli Avogadro, emerge con chiarezza e legittima la qualifica signorile attribuitagli dai cronisti coevi, i quali, del resto, non individuavano nel riconoscimento istituzionale il tratto distintivo dei domini . Egli compa- re spesso in prima posizione negli uffici esercitati, in posizione di pri- mus inter pares : apre l’elenco dei sapientes del 1302 e del 1304, così come quello dei credendari che nel 1303 approvarono l’accordo del comune con i conti di Masino 46 . Nel 1305 fu il primo degli otto perso- naggi che coadiuvarono il podestà Rizzardo Pietrasanta nella prepara- zione di un compromesso con i governatori del marchesato di Monferrato per la questione di Trino 47 . Tali annotazioni indicano un’in- fluenza sulle decisioni politiche che proseguì anche durante il dominio angioino, fra il 1313 e il 1316: nell’agosto 1314, in particolare, assie- me a Pietro Cho di Robbio, il Collobiano si recò come ambasciatore al parlamento angioino convocato dal siniscalco a Cremona 48 . Il passaggio agli Angiò fu probabilmente mediato da un congiunto di Simone, il vescovo di Vercelli, Uberto: la cronaca dell’itinerario di Enrico VII lo ricorda fervente sostenitore di re Roberto, tanto che dopo essere stato consacrato a Novara nel 1312, alla presenza dell’imperatore, appena tornato nella sua città appose le insegne del sovrano napoletano («insignia regis Roberti in Vercellis posita et in suo hospicio specialiter») 49 . L’ordinario diocesano non esitò a prendere le redini della politica urbana,

44 Documenti dell’archivio comunale di Vercelli relativi ad Ivrea , a cura di G. COLOMBO , Pinerolo 1901 (BSSS 8), doc. 169, p. 291; I Biscioni cit., 1/1, doc. 135, p. 285. 45 Si tratta di aspetti legati anche alle procedure stabilite dalle disposizioni statuta- rie, non facilmente ricostruibili: essi sono comunque significativi del maggiore coinvol- gimento della popolazione urbana in tale periodo. 46 Documenti dell’archivio comunale di Vercelli relativi ad Ivrea cit., doc. 169, p. 290; I Biscioni cit., 1/1, doc. 135, p. 285, doc. 148, p. 317. 47 I Biscioni cit., 1/1, doc. 136, pp. 286-288. 48 ACV, Pergamene, mazzetta 7, doc. in data 1314, agosto 30. 49 NICOLAI EPISCOPI BOTRONTINENSIS Relatio cit., col. 892.

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arrogandosi la difesa della città, come ricordava un documento del 30 gennaio 1313 50 . È verosimile che egli avesse utilizzato le risorse della chiesa eusebiana per propugnare la causa guelfa, come testimonia l’inve- stitura, effettuata il 1° gennaio 1313 a favore della città, di un feudo su cui convergevano ampie prerogative 51 . L’autorità acquisita da Uberto nella gestione degli affari pubblici è confermata da un atto del 1314, con cui gli ufficiali municipali attribuirono l’esazione del fodro su sei località a Giovanni Montonaro, in pagamento di un prestito erogato per saldare il debito dovuto al vicario di Filippo d’Acaia, Andrea della Rovere. Quest’ultimo si impegnò a sua volta a cedere a Giovanni e al comune i suoi diritti su Masserano, Rovasenda e Gattinara, cedutigli dal vescovo attraverso un instrumentum del 1° febbraio 1313 52 . L’ascesa di Simone di Collobiano si accompagnò a una crescente coloritura guelfa delle magistrature cittadine, su cui si tornerà in segui- to: fin d’ora si può tuttavia accennare alla cospicua presenza di membri dei vari rami degli Avogadro nelle magistrature comunali o, semplice- mente, quali testimoni agli atti di rilievo. Alcuni importanti uffici, come quelli di procuratore o di notarius camere , furono rivestiti in maniera pressoché esclusiva da rampolli di eminenti discendenze guelfe, per esempio i Calvi e i Cocorella. È, tuttavia, sul piano delle relazioni economiche fra Simone e gli Avogadro da un lato e il comune dall’altro che si possono cogliere appieno i contenuti della signoria urbana nel primo quindicennio del Trecento. Durante tale periodo gli Avogadro – che sembrano trarre le basi della loro ricchezza, come altre signorie cittadine padane, per esem- pio i Beccaria di Pavia, dalla grande proprietà fondiaria e dall’attività feneratizia 53 – supplirono alla carenza di denaro del comune: esso fu prestato dalla famiglia dominante, che, se consentiva in tal modo la rea- lizzazione degli obiettivi politici municipali, ne approfittò anche per

50 ACV, Pergamene, mazzetta 7, doc. in data 1313, gennaio 30: «cum venerabilis in Christo Patre dominus Ubertus episcopus Vercellensis et comes expenssas magnas sub- stineret pro defenssione civitatis et comunis et hominum Vercellarum ac defenssione eiusdem civitatis». 51 I Biscioni cit., 1/2, doc. 194, pp. 20-24. Cfr. in questo stesso volume il contributo di A. B ARBERO , testo corrispondente alla n. 68. 52 ACV, Pergamene, mazzetta 7, doc. in data 1314, marzo 12. 53 La vivacità economica di Simone e dei suoi congiunti è confermata da una scrit-

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assumere un marcato controllo sulle finanze urbane. Le disponibilità economiche e la penetrazione negli affari comunali paiono proporsi, sotto forme non dissimili da quelle verificate per le esperienze signorili di Guglielmo Cavalcabò a Cremona o di Romeo Pepoli a Bologna negli stessi anni, come la via privilegiata per l’affermazione del Collobiano quale principale referente politico locale, che veicolava le decisioni col- lettive e che si prendeva carico, in prima persona, di alcune necessità pubbliche 54 . I prestiti elargiti in questi anni da Simone e dagli Avogadro – ma anche, in misura minore, da altri guelfi – furono assai numerosi e si accompagnarono a importanti concessioni da parte dell’erario municipa- le ai vari rami della stirpe e, più in generale, agli appartenenti alla fazio- ne guelfa. Da una scrittura del 1308 risulta che in quell’anno il comune aveva un debito di 900 lire con il Collobiano 55 . Nel 1314, Francesco Cocorella e Riccardo Avogadro erogarono alcune quantità di denaro all’erario civico, rispettivamente per una liberazione di ostaggi e per sanare il processo di indebitamento («occaxione sanandi debita dicti comunis»), ricevendo in cambio alcuni appalti relativi alla riscossione del fodro e di alcune cavalcate 56 . Nel settembre del medesimo anno, Simone di Collobiano versò soldi per provvedere al pagamento di una taglia imposta dal siniscalco angioino, Ugo des Baux, per pagare gli sti- pendiari del Delfino Guido 57 . Nel 1315, lo stesso Simone intervenne per riparare al crescente impegno di uffici municipali al fine di conseguire

tura del 1318, che impegnava l’abate di Sant’Andrea a versare 154 staia di segale «pro mercandia et ficto dictorum dominorum», a causa di un precedente credito di 1400 lire di pavesi elargito dal Collobiano (AST, Materie ecclesiastiche, Abbazia di Sant’Andrea, mazzo 5, doc. in data 1318, agosto 20). Un debito di Santa Maria di Lucedio con i Collobiano è attestato nel 1331 (AST, Materie ecclesiastiche, Abbazie, Lucedio, Deposito Ospedale di Carità, mazzo 5, inventario delle scritture). 54 Per Romeo Pepoli cfr. M. G IANSANTE , Patrimonio familiare e potere nel periodo tardo-comunale. Il progetto signorile di Romeo Pepoli banchiere bolognese (1250 c.- 1322) , Bologna 1991; I D., Romeo Pepoli. Patrimonio e potere a Bologna fra Comune e Signoria , in «Quaderni medievali», 53 (2002), pp. 87-112; per Guglielmo Cavalcabò cfr. P. M AINONI , «Cremona Ytalie quondam potentissima». Economia e finanza pubblica nei secoli XIII-XIV , in Storia di Cremona , Il Trecento. Chiesa e cultura (VIII-XIV secolo) , a cura di G. A NDENNA , G. C HITTOLINI , Cremona 2008, pp. 318-373, qui alle pp. 355-364. 55 ACV, Pergamene, mazzetta 7, doc. in data 1308, settembre 4. 56 ACV, Pergamene, mazzetta 7, docc. in data 1314, marzo 21, 1314, luglio 23. 57 MANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., vol. IV, p. 175.

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denaro, sborsando 200 lire «super certis officiis ipsius comunis alia pignoratis» 58 . A inizio Trecento, inoltre, alcuni esponenti degli Avogadro ricevettero case e rogge in affitto dal comune: la transazione conferma il canale privilegiato stabilito fra la casata e le casse municipali 59 .

b) Simone di Collobiano, il comune e il controllo del territorio

In alcune questioni relative al controllo del territorio risalta il nesso simbiotico venutosi a creare tra finanziamenti, necessità collettive, poli- tica comunale e affermazione signorile del Collobiano 60 . Nel 1306, Simone richiese al podestà e ai sapienti, reclutati in quegli anni per lo più tra guelfi vicini all’Avogadro, di potere acquisire la villanova abban- donata di Borghetto Po, al fine di ripopolarla 61 . La credenza urbana, riu- nitasi per deliberare, gli concesse il villaggio in cambio di 150 lire, già versate da Simone per il pagamento di un contingente di soldati stanziati a Trivero contro l’eretico Dolcino. Si deve sottolineare che l’iniziativa insediativa programmata da Simone, per quanto sospinta da un tornaconto personale di incremento dei possedimenti nel territorio comitatino e resa possibile dai crediti vantati nei confronti del comune, trovava una significativa convergenza con gli interessi dell’amministrazione civica 62 . Quest’ultima grazie al

58 ACV, Pergamene, mazzetta 7, doc. in data 1315, gennaio 7. Cfr. anche i crediti elencati in Le carte dell’archivio comunale di Biella fino al 1379 , a cura di L. BORRELLO , A. T ALLONE , I, Voghera 1927 (BSSS, 103), doc. 162, pp. 253-256. 59 Hec sunt statuta comunis et alme civitatis Vercellarum , Vercelli 1562, ff. 145-146. Negli stessi anni, dal 1302 al 1314, gli statuti riportano numerosi affitti di beni del comune, alcuni dei quali confiscati a ghibellini, a favore di guelfi, quali Giudici, Pettenati, de Raymundo . 60 Già nel 1296, il comune aveva costruito una «turrim novam cum sua bastia» nel territorio di Donato. La custodia era stata assegnata alle comunità di Sala, di Donato e di Magnano, previa una cospicua fideiussione di Simone di Collobiano, Guala di San Germano e Martino di Montonario (ACV, Pergamene, mazzetta 5, doc. in data 1296, novembre 24. Per la reazione negli anni seguenti della vicina comunità di Andrate, sot- toposta al vescovo di Ivrea, cfr. ivi , mazzetta 7, doc. in data 1309, giugno 11). 61 I Biscioni , 2/1, a cura di R. O RDANO , Torino 1970 (BSS 181), doc. 63, p. 111: «cum dominus Symon Advocatus dictus de Colobiano petitionem obtulerit dominis potestati, sapientibus et comuni Vercellarum, qua petiit sibi dari per ipsum comune locum seu circuitum loci Burgeti de Pado qui est eremus et inhabitatus, volendo ipsum locum facere reaptari et reddificari et gentibus habitari». 62 Per un confronto, si veda la transazione tra il comune di Piacenza e Alberto Scotti per la località di Fombio (R AO , Signorie cittadine e gruppi sociali cit., pp. 680-681).

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Collobiano aveva provveduto alle operazioni militari contro Dolcino, aveva alleggerito il proprio debito e con la vendita di Borghetto aveva contribuito, in forma indiretta, al consolidamento del contado, ripopo- lando un abitato ubicato al confine con il marchesato di Monferrato. Sebbene nei decenni seguenti fosse andato incontro all’insuccesso, è probabile che il progetto fosse stato effettivamente avviato: a pochi anni di distanza, nel 1310, la comunità di Morano, che nel periodo prece- dente aveva oscillato tra l’influenza marchionale e quella vercellese, si sottomise alle autorità municipali, ottenendo che i suoi abitanti non fos- sero accolti nel Burgus Crescens , il nome con cui veniva altrimenti indi- cato Borghetto Po 63 . Peraltro, nell’alienazione del 1306, il comune ver- cellese preservò i suoi diritti fiscali sul villaggio, che, pur ridotti a una somma poco congrua per i successivi venti anni, forse anche in previ- sione delle operazioni di ripopolamento, l’Avogadro si impegnava a versare. L’anno seguente, nel 1307, scoppiò una lite fra il comune e Pietro d’Azeglio per il versamento dell’estimo dell’omonimo castello 64 . Pietro scelse come suo procuratore Simone di Collobiano, mentre il governo civico fu rappresentato da un uomo vicino all’Avogadro, il guelfo Federico Cocorella. La disputa fu risolta nel 1308 attraverso un com- promesso, mediato dal podestà e da alcuni giurisperiti. La sentenza arbi- trale costituiva un successo per il comune, che vedeva ribaditi i suoi diritti. Essa imponeva all’Azeglio di contribuire alle responsabilità mili- tari e fiscali: egli doveva fornire una cavalaricia di un destriero e di un ronzino, partecipare all’esercito generale («quocienscumque comune Vercellarum iret ad exercitum generale cum militia et populo») ed esse- re iscritto nell’estimo per 120 lire. Il dominus era tenuto a versare arre- trati per 350 lire e, in aggiunta, un emolumento di 100 lire al podestà, più una somma inferiore ai giurisperiti per il loro lavoro nella prepara- zione dell’arbitrato. Il libro delle entrate del comune non registrò tutta- via consistenti introiti: o meglio, Simone di Collobiano versò sì 100 lire «nomine Petri de Azelio pro fodris, bannis et aliis de causis quas dare debebat communi», ma le tenne per sé come compenso per la custodia

63 I Biscioni cit., 1/1, doc. 187, pp. 386-390. 64 Documenti dell’archivio comunale di Vercelli relativi ad Ivrea cit., docc. 172-175, pp. 296-302.

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del castello di Casalvolone («dominus Symon retinuit in se pro custodia castri Casaligualoni»). Il Collobiano effettuò anche un altro versamento di 70 lire, ma pure quelle rimasero nelle sue tasche, per un non meglio precisabile affare approvato dalla credenza: «pro contracambio domino- rum Iacobi de la Scala, Iacobi Lioris et Nicole de Monte, et hoc secun- dum reformationem consilii credencie». Solo 5 lire furono sborsate dall’Avogadro, per il consiglio prestato dai giudici 65 . Al di là della mancata aderenza delle somme registrate nel libro con quelle pattuite, che potevano anche essere state dilazionate, l’incarico rivestito dal Collobiano come procuratore di Pietro d’Azeglio riceve nuova luce da tali scritture. L’Avogadro aveva offerto, con una sorta di partita di giro, il fondamentale ruolo di mediazione affinché si potesse giungere a un accordo con un ridotto esborso di denaro. Il comune vede- va garantiti i suoi diritti giurisdizionali, con la possibilità di potere sfrut- tare in futuro le risorse fiscali e militari di Azeglio. Anche se non si conoscono i termini dell’accordo fra Simone e l’Azeglio, il Collobiano aveva stretto i suoi legami di amicizia con il signore rurale, che aveva chiuso il contenzioso limitando i danni ed evitando una spesa insosteni- bile, forse indebitandosi con il signore cittadino. Si deve, inoltre, osser- vare che quando si passa dai diritti militari teorici del comune, le caval- cate imposte ai centri del contado, che potevano essere sostituite dalla corresponsione di un’imposta 66 , all’effettiva difesa del territorio, l’ap- porto del signore, Simone, appare decisivo nella custodia di Casalvolone così come nel ripopolamento di Borghetto Po. Pur all’interno di un processo di indebolimento della tradizione par- tecipativa della popolazione urbana e di crescente delega delle funzioni pubbliche da parte delle autorità municipali, l’affermazione di Simone passò attraverso una relazione assai calibrata con il comune, di cui rispettò le istituzioni, le forme delle riunioni consiliari, e a cui, soprat- tutto, garantì la presa in carico di impegni finanziari e il perseguimento di istanze condivise dalla cittadinanza.

65 I Biscioni , 2/2, a cura di R. O RDANO , Torino 1976 (BSS 189), pp. 312-313. 66 Cfr. ACV, Pergamene, mazzetta 8, docc. in data 1314, marzo 21 (incanto di alcu- ne cavalcate), 1328, gennaio 21 (all’interno degli accordi tra il comune e i Confalonieri di Villata di Candia si addiviene alla quantificazione di una cavalcata in 80 lire di pavesi).

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c) Responsabilità collettive e interessi finanziari durante il vicariato di Filippo d’Acaia.

Il parallelo percorso di assunzione di responsabilità collettive e finanziarie dei capifazione può essere verificato attraverso un episodio del 1311: in Vercelli, allora retta, assieme a Pavia e a Novara, da Filippo d’Acaia, erano rientrati, a seguito di una pacificazione mediata dappri- ma da Enrico VII e quindi dallo stesso principe d’Acaia, i Tizzoni 67 . Sul finire dell’anno, Filippo chiese una cospicua somma di denaro in paga- mento del suo salario e di quello dei suoi soldati, preposti alla custodia della città, ma secondo l’Acaia talmente privi di denaro da essere costretti a impegnare le armi, così da risultare inabili nel momento in cui fosse stato necessario combattere («cum soldati causa festi indigeant pecunia pro expensis et equos et arma habeant in pignore per hospicia ita quod dictum vicarium et comune Vercellarum servire non possent si necessitas inveniret»). A tal fine, si decise di vendere per 1200 lire la gabella del sale a Riccardo Tizzoni e a Simone di Collobiano, che apri- vano anche la lista dei dodici sapienti del comune in carica. L’operazione rischiava di essere assai impopolare, perché, rispetto al passato, imponeva il monopolio comunale, eliminando la vendita libera del prodotto e duplicandone il prezzo. L’approvazione dei due capifa- zione costituiva un tassello essenziale per la realizzazione del provvedi- mento, conseguito con importanti elargizioni: era loro concesso di ven- dere il sale senza dazi e di poter associare chi avessero voluto nell’affa- re. Tali clausole furono decise in maniera sommessa, nell’abitazione di un privato, Tixius de Arborio , dai rappresentanti dell’Acaia e dai sapien- ti. Essi si premurarono tuttavia di lasciare la ratifica formale al consiglio cittadino, a cui fu assegnato il compito di appaltare l’imposta. La gabel- la fu incantata nella credenza e ceduta, per la somma convenuta, a un ricco intermediario vicino alle posizioni guelfe, Nicola Riccio de Margaria, che probabilmente evitò un effettivo esborso di denaro da parte dei due leader 68 . Pur privi di un adeguato riconoscimento istitu- zionale, Riccardo e Simone furono individuati come figure in grado di

67 I Biscioni cit., 1/1, doc. 184, pp. 375-380; I Biscioni cit., 1/2, doc. 197, pp. 31-40. 68 ACV, Pergamene, mazzetta 7, doc. in data 1311, ottobre 21.

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garantire l’efficacia della transazione e di assumersene la responsabilità politica ed economica di fronte alla collettività urbana.

d) Affari e potere: i Tizzoni e l’egemonia ghibellina

Le modalità di affermazione dei Tizzoni presentano alcuni aspetti analoghi a quelli verificati per l’egemonia di Simone di Collobiano: scarsa visibilità istituzionale, leadership politica scavata all’interno delle strutture di tradizione comunale, rappresentanza delle esigenze collettive 69 . Come per il Collobiano, la guida della parte costituì il tram- polino per l’ascesa di Riccardo Tizzoni. La dimensione ‘pubblica’ assunta dagli organismi fazionari e il ruolo del Tizzoni fra i ghibellini sono ben espressi da una scrittura del 1314: a Crescentino, Riccardo emanò una salvaguardia dalle molestie dei fuoriusciti da lui capeggiati a favore di Santa Maria di Lucedio, intitolandosi «millex et anzianus partis Tizionorum» 70 . In maniera analoga a quanto verificato per la signoria dell’Avogadro, l’egemonia dei Tizzoni e delle famiglie ghibel- line si accompagnò a una forte penetrazione negli apparati finanziari del comune 71 . Nel 1325, per esempio, alcuni importanti redditi, dalla gabel- la del sale al dazio sul vino, risultavano impegnati a Enrico Bondoni, Gionselino di Castellengo, Filippo di Sonamonte e Riccardo Tizzoni 72 . Inoltre, le attestazioni di emendationes equorum subirono un’impenna- ta, tanto che sembra possibile ipotizzare, sulla scia di suggestioni assai note alla storiografia italiana, che esse rappresentassero per il ristretto

69 Per più ampi approfondimenti sul ruolo dei Tizzoni a Vercelli si rimanda al con- tributo di S. P OZZATI in questo stesso volume. 70 AST, Materie ecclesiastiche, Abbazie, Lucedio, Deposito Ospedale di Carità, mazzo 5, doc. in data 1314, giugno 12. 71 Come gli Avogadro di Collobiano, anche Riccardo Tizzoni risulta prestare dena- ro a enti ecclesiastici: cfr., per esempio, Le pergamene di Santo Stefano in Vercelli (1183-1500) , a cura di G. B OLOGNA , Milano 1972, doc. 36, p. 59. 72 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1325, febbraio 13. Occorre comunque sottolineare che sia sotto Simone di Collobiano, sia sotto Riccardo Tizzoni un buon numero di cospicui lignaggi popolari, slegato dalla fazione dominante, continuò a frui- re di rilevanti spazi economici nell’amministrazione municipale: è il caso di Guglielmo de Masino , che operò sotto entrambe le amministrazioni ( ivi , mazzetta 7, doc. in data 1315, febbraio 17; ivi , mazzetta 8, doc. in data 1325, febbraio 13) o di Giovanni de Ecclesia (ivi , mazzetta 7, doc. in data 1315 marzo 50).

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numero di stirpi al potere la garanzia «di uno stato sociopolitico molto vantaggioso, ma anche la possibilità di realizzare a più riprese guadagni sostanziali gonfiando o inventando di sana pianta le perdite» 73 . Fra il 1321 e il 1327 si è conservata una ventina di rimborsi per destrieri peri- ti, che costituiscono la tipologia documentaria più diffusa tra le perga- mene comunali vercellesi di questo periodo. La relativa omogeneità dei nomi dei richiedenti contrasta con il gran numero di emendationes : Giacomo Vialardi, Enrico e Uberto Bondoni, Giacomo, Ubertino e Martino de Bulgaro, Emanuele de Ripis , Perrino Scutario, Guglielmo Bentivoglio, Bondono Guiscardi, Francesco Mussi, Sozzo di Sonamonte, Tommaso ed Enrico Toleo costituivano anche una buona fetta dell’élite ghibellina al potere. Risalta anche la differenza di valuta- zione dei destrieri, che, se di norma si aggirava tra le 12 e le 30 lire, in più occasioni poteva oscillare fra le 50 e le 100, fino alle 340 reclamate da Sozzo di Sonamonte nel 1323 74 . Alla conservazione dell’apparato istituzionale civico, nel caso dei Tizzoni si aggiunse la capacità di qualificarsi come fedeli interlocutori dei Visconti, che costituivano l’altro polo dell’esperienza egemonica della famiglia vercellese. È emblematico di una simile bipolarità il fatto che la larvata signoria di Riccardo Tizzoni e dei magnati ghibellini si aprisse con il già citato intervento nel consiglio comunale in appoggio di Matteo del 1318 e si chiudesse nello stesso modo, nel 1335, con l’ar- ringa che sancì la definitiva sottomissione ad Azzone, che già dall’anno precedente era dominus della città 75 . Lungo tutto il ventennio di predo- minio, i Tizzoni lasciarono intatto il funzionamento dell’organismo

73 J.-C. M AIRE VIGUEUR , Cavalieri e cittadini. Guerra, conflitti e società nell’Italia comunale , Bologna 2004, p. 176. 74 ACV, Pergamene, mazzetta 8, docc. in data 1321, agosto 6, 1322, ottobre 19, 1323, giugno 23, 1323, dicembre 2, 1326, agosto 2, 1327, dicembre 23. La preoccupa- zione di speculazioni sulle emendationes è ben espressa dagli statuti viscontei, che sta- bilirono come somme massime 70 lire per destriero e 10 per ronzino, evase dai rimbor- si del periodo 1321-1328 ( Hec sunt statuta comunis et alme civitatis Vercellarum cit., f. 160v). 75 Per i due consigli cfr. ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1318, giugno 30 e I Biscioni. Nuovi documenti e regesti cronologici cit., doc. 15, pp. 65-68. Per l’effetti- vo dominio di Azzone già dall’anno precedente cfr. I Biscioni cit., 2/3, doc. 547, p. 67. Anche il Corio ricorda che il 7 marzo del 1334, «Vercellesi dopo varii concilii unita- mente trasferirono il principato de la lor cità sotto il dominio di Azo Vesconte» (C ORIO , Storia di Milano cit., vol. I, p. 733).

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municipale, governando attraverso il controllo degli uffici municipali e, quando veniva riunita, della credenza: venivano per lo più approvate le arringhe pronunciate da Riccardo in consiglio, al cui successo poteva rivelarsi utile anche il possesso di abilità retoriche, ma soprattutto l’au- torità di cui godevano il Tizzoni e le stirpi a lui collegate 76 . Rispetto alla signoria degli Avogadro, si possono riscontrare due fon- damentali differenze: innanzitutto il minore coinvolgimento, pur nel rispetto delle istituzioni municipali, dei consigli, ristretti e allargati. Se negli anni della dominazione angioina la credenza veniva convocata con frequenza, per una tipologia di atti piuttosto varia, sotto i Tizzoni essa compare nei documenti comunali più di rado. Anche i sapienti sembra- no cambiare fisionomia in confronto al periodo di egemonia di Simone di Collobiano, quando la magistratura, per quanto ben controllata dai guelfi, è attestata con una certa continuità 77 . È possibile che alcune fun- zioni rivestite dalle assemblee fossero state trasferite ai sindaci, che fra il 1321 e il 1328 sono bene documentati. Non ne sono noti i meccani- smi di nomina, poiché non sono sopravvissuti atti di procura da parte della credenza, ma è probabile che, una volta effettuata l’elezione, essi agissero con ampia balia: ciò potrebbe spiegare le riunioni meno fre- quenti del consiglio cittadino. In secondo luogo, la dominazione della fazione ghibellina ebbe un carattere meno individuale, dando luogo a una diarchia di Riccardo Tizzoni con Sozzo di Sonamonte, assai attenta alla difesa degli interes- si del gruppo di famiglie legate alla parte, quali i Vialardi, gli Scutario, i Bondoni e i de Bulgaro. Anche per tale ragione, oltre che per la forte influenza viscontea, un simile progetto signorile fu meno evidente di quello del Collobiano agli occhi dei cronisti coevi, anche se l’Azario afferma che Ludovico il Bavaro «investì Riccardo Tizzoni e Sozzo di Sonamonte della città di Vercelli» 78 .

76 Modalità di affermazione simili sono documentate per i Beccaria a Pavia, dove negli anni Venti del Trecento Musso Beccaria tenne accese arringhe approvate in forma plebiscitaria dal consiglio cittadino: cfr. R AO , Il sistema politico pavese cit., pp. 156-157. 77 In particolare tra il 1321 e il 1329 sono documentate due sole riunioni, nel 1325, per un atto di procura (ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1325, settembre 19) e nel 1326, per un lasciapassare concesso all’Ospedale di Sant’Andrea (ASV, OSA, Pergamene, mazzo 1833, doc. in data 1326, settembre 16). Per il periodo monferrino cfr. oltre, testo corrispondente alla nota 82. 78 PETRI AZARII Liber gestorum in Lombardia cit., p. 27: «Robaldonum et Calcinum

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La progressiva occupazione degli uffici comunali da parte dei Tizzoni e dei loro aderenti appare evidente sin dagli anni della signoria di Matteo Visconti e della nota arringa pronunciata da Riccardo nel 1318. Nel 1321, Delfino Tizzoni agì come sindaco del comune, in un atto che vide presenti, in veste di testimoni, molti membri della famiglia Vialardi 79 . Il medesimo incarico fu rivestito nel 1323 da Bertolino Tizzoni, Pietro Bondoni e Giovanni Vialardi, assieme a un esponente di un lignaggio popolare, meno coinvolto nella rete di appartenenze fazio- narie, il giurisperito Aimerico Ghigalotus ; nel 1326, tale ufficio fu asse- gnato in un’occasione a Giovanni Tizzoni e Pietro de Blatino e in un’al- tra a Sozzo di Sonamonte, Guglielmo Masino, Bartolomeo de Bulgaro e Uberto Bondoni; nel 1327, a Francesco Tizzoni, Giacomo Freapane, Preposito conte di Langosco e Guieto di Pezzana 80 .

e) Differenti piani di signoria: Tizzoni e marchesi di Monferrato

In tali circostanze la crescente presenza di appartenenti all’élite poli- tica ghibellina era stata bilanciata dall’inserimento di popolari 81 . Negli anni seguenti, con la discesa di Ludovico il Bavaro, si aprì una fase di instabilità istituzionale, durante la quale i progetti egemonici dei Tizzoni e delle famiglie a loro vicine si incrociarono con l’affermazione della signoria sovralocale dei marchesi di Monferrato e con una maggiore richiesta di pluralismo da parte della popolazione cittadina. La cronolo- gia degli avvenimenti non è sicura: sembra comunque che Ludovico il Bavaro avesse emanato alcuni privilegi, che secondo l’Azario avrebbe- ro rafforzato il dominio dei Tizzoni e dei Sonamonte. È invece più certo che nello stesso periodo, dalla fine del 1328, Teodoro Paleologo avreb- be assunto la carica di dominus generalis , probabilmente con l’avallo imperiale, e avrebbe cercato di fare rientrare gli Avogadro 82 .

fratres de Torniellis, de dominio civitatis Novarie investivit, Rycardum de Tizionibus, Suzium de Sonamontis, de civitate Vercellarum». 79 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1321, agosto 24. 80 ACV, Pergamene, mazzetta 8, docc. in data 1323, giugno 23, 1326, febbraio 13, 1326, agosto 21, 1327, dicembre 23. 81 Per l’utilizzo della categoria di élite politica nel contesto delle prime signorie si rimanda a R AO , Il sistema politico pavese cit., pp. 174-176. 82 Rimane valida la ricostruzione di M ANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo

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Il governo monferrino fu precario e non riuscì né a sovvertire le basi di potere delle discendenze ghibelline, né a consentire agli Avogadro di mettere piede in città. Nella riapertura degli equilibri di potere creata dalla difficile convivenza della signoria di Teodoro con le ambizioni dei Tizzoni, la cittadinanza recuperò alcuni spazi di partecipazione cancel- lati negli anni precedenti. Nel 1331, un consiglio generale stabilì che gli uffici comunali non potessero essere assegnati se non nella credenza, probabilmente per evitare eccessive ingerenze da parte del dominus generalis 83 . Nel contempo, tornano a essere frequenti le menzioni di cre- denze generali e di consigli di provvisione, pur reclutati in buona misu- ra fra maggiorenti ghibellini 84 . L’incremento di pluralismo procedette parallelamente all’afferma- zione monferrina, ma non scalzò la signoria di Riccardo Tizzoni: si deve ricordare che quest’ultimo aveva rapporti pregressi con il Paleologo, rafforzati da un non meglio precisabile rapporto di comparaggio 85 . I tre piani di dominio coesistono in maniera armonica nell’autentica di un privilegio di Ludovico, rogata nel novembre 1329 nel luogo dove si

cit., vol. IV, pp. 192-202. Il Cognasso confuta la datazione al 1328 proposta dall’Azario per l’emanazione dei diplomi a favore di Tizzoni e Sonamonte, collocandola nel 1327 o nel 1329 ( PETRI AZARII Liber gestorum in Lombardia cit., p. 27). Nell’ottobre 1329 Ludovico emanò un diploma a favore della cittadinanza. In tale occasione ne venne con- cesso un altro che elargiva alcuni privilegi a favore dei Tizzoni per località del contado: non si può escludere che l’Azario avesse frainteso simili concessioni. Nello stesso perio- do, la città era monferrina, sicché si potrebbe desumere un sostegno del Bavaro, che ricordava i meriti di fedeltà della città a tale dominazione. È, inoltre, possibile che già tra la fine del 1327 e l’inizio del 1328 si fossero verificati patti per il rientro di alcuni fuoriusciti: nel dicembre 1327, pur essendo podestà un ufficiale tratto dal circuito visconteo, Francesco Tettoni, compare come procuratore del comune – a fianco di Francesco Tizzoni, Giacomo Freapane e Guieto Pezzana – Preposito conte di Langosco, forse guelfo (cfr. supra , testo corrispondente alla nota 80). Nel gennaio dell’anno seguente i Confalonieri di Villata, sino a quel momento in conflitto con il comune, si accordarono con le autorità municipali (ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1328, gennaio 21). 83 Hec sunt statuta cit., f. 162r. 84 Nel 1329 ( I Biscioni cit., 2/3, doc. 555, p. 79; ivi , doc. 575, p. 96), nel 1330 e nel 1331 ( Hec sunt statuta cit., f. 162). «Sex sapientes» sono menzionati nel 1331 ( ibidem ). Un consiglio di provvisione è ricordato nel 1331 e nel 1332 ( ibidem ; I Biscioni cit., 2/3, doc. 556, p. 80). 85 AST, Ducato del Monferrato, Materie economiche, mazzo 8, registro dal 1322 al 1325, lettera in data 1323, settembre 3: «nobili et potenti militi compatrui suo illustris-

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esercitava la giustizia. Il podestà di nomina monferrina, Ranieri di Mazzé conte di Valperga, era affiancato dai «sapientes presidentes nego- tiis comunis Vercellarum», nominati sia fra membri di lignaggi popola- ri, sia tra leader della fazione ghibellina 86 . L’ordine del podestà fu ema- nato alla presenza di numerosi Vercellesi («pluribus civibus»), tra cui sono ricordati anche in quest’occasione, a fianco dei maggiorenti legati ai Tizzoni, alcuni populares 87 : l’elenco, in particolare, è aperto da Riccardo Tizzoni, unico esponente qualificato come miles 88 . Si noti peraltro che la famiglia, mentre apriva spazi di partecipazione in città, consolidava i domini nelle campagne, legittimati da privilegi emanati dallo stesso Ludovico 89 . La signoria diretta di Teodoro Paleologo si concluse nel 1331, con la transizione affidata nel 1332 al podestà Lanfranco Mussi dei Cavallazzi di Novara 90 . Un atto redatto nel marzo di quello stesso

simo domino Ricardo de Tiçonibus, Theodor et cetera salutem et in omnibus prosperi- tatem». Su Teodoro cfr., in particolare, i contributi contenuti nel volume «Quando venit marchio grecus in terra Montisferrati»: l’avvento di Teodoro primo Paleologo nel VII centenario (1306-2006) , a cura di A.A. S ETTIA , Casale Monferrato 2008. È possibile che i legami fra i Tizzoni e Teodoro si fossero annodati nel 1312, quando Teodoro, già pas- sato allo schieramento imperiale, aveva retto per breve tempo Vercelli. Durante la domi- nazione angioina, il marchese si era imposto come riferimento per il fuoriuscitismo ver- cellese: significativamente nel 1315 egli concesse una salvaguardia all’Ospedale di Sant’Andrea, garantendo per i «forenses Vercellarum, Casalis, Ast, Alexandrie, et alios nostros iuratos vassallos coadiuctores et sequaces nostros ac se se reducentes in terra nostra» (ASV, OSA, Pergamene, mazzo 1830, doc. in data 1315, febbraio 12). 86 Cfr. anche oltre, testo corrispondente alla nota 112. 87 Si tratta di Giovanni Vialardi, Enrico di Masino, Ardizzone Cagnola, Pietro di Albano, Francesco di Bulgaro, Guglielmo de Bonello , Pietro Scutario, Francesco Cordario, Giacomo de Moxo , Uberto Passardo. 88 I Biscioni. Nuovi documenti e regesti cronologici cit., doc. 17, pp. 71-74. Sulla qualifica di miles cfr. supra , testo corrispondente alla nota 37. 89 Cfr. il contributo di S. P OZZATI in questo stesso volume. Il binomio tra governi cit- tadini a base popolare e privilegi imperiali di legittimazione dei possessi familiari è fre- quente sotto Ludovico il Bavaro: per esempio, per Pavia cfr. R AO , Il sistema politico pavese cit., p. 158. Per i diplomi elargiti ai Landi nel 1327, nel 1328 e, da Giovanni di Boemia, nel 1331, cfr. Archivio Doria Landi Pamphilj: fondo della famiglia Landi. Regesti delle pergamene: 865-1625 , a cura di R. V IGNODELLI RUBRICHI , Parma 1984, reg. 1640, 1646, pp. 414-415; reg. 1653, p. 417; per le conferme dei possessi da parte di Ludovico e di Giovanni di Boemia ai Terzi e ai Rossi, cfr. P.I. A FFÒ , Storia della città di Parma , Parma 1795, vol. IV, docc. 19-20, pp. 370-371. 90 Si deve osservare che nel 1331, secondo diverse notizie cronachistiche, Vercelli si

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anno, la cui contestualizzazione rimane ancora incerta, evidenzia come il potere in città non si esercitasse più soltanto nelle sedi muni- cipali: era ben accettata l’autorità, non formalizzata in un’adeguata magistratura di governo, di Riccardo Tizzoni e dell’élite politica ghi- bellina. Nella casa di Riccardo questi, assieme a Francesco e Giacomo di Guala Tizzoni, Guglielmo Bondoni, Girardino de Bulgaro, Ardizzone di Sonamonte e Giacomo di Verrone, promise, in base a un pronunciamento di Sozzo di Sonamonte e del frate Simone Messarola, di donare 600 lire al podestà Cavallazzi, in quanto «multa et multum magna obsequia tam tempore preterito quam presenti fecerit pro ami- cis et comuni Vercellarum» 91 . Non è possibile stabilire se la donazio- ne fosse effettivamente un riconoscimento a Lanfranco o se da que- st’ultimo non fosse stata in qualche modo estorta. Ad ogni modo la scrittura sintetizza in maniera efficace la funzione pubblica acquisita dai Tizzoni e dagli «amici», pur in assenza di qualsiasi configurazio- ne istituzionale negli ordinamenti municipali. Significativamente il documento, rogato nell’abitazione del leader ghibellino, risulta tra- mandato dall’archivio civico.

sarebbe sottomessa a Giovanni di Boemia. Secondo Galvano Fiamma, inoltre, nel 1332 Vercelli fu assoggettata dai Visconti ( Manipulus florum auctore G UALVANEO DE LA FLAMMA cit., col. 734; I D., Opusculum de rebus gestis ab Azone, Luchino et Johanne Vicecomitibus ab anno MCCCXXVIII usque ad annum MCCCXLII , in RIS 2, XII/4, a cura di C. C ASTIGLIONI , Bologna 1938, p. 11; nel 1333 per gli Annales Mediolanenses cit., col. 707). È difficile ricostruire la situazione di questi anni, anche se sembra che venissero nominati podestà vicini ai Monferrato, ma non avversi ai Visconti. Il Cavallazzi era già stato rettore per il marchese nel 1330 (ACV, Pergamene, mazzetta 9, doc. in data 1338, giugno 4, con legato atto del 1331, 18 aprile: «in libro fodri solidos X pro libra impositi tempore regimimis, domini Lanfrachi Mussi potestatis Vercellarum MCCCXXX»). Lo stesso Cavallazzi era stato però negli anni passati inserito nel circui- to funzionariale visconteo: nel 1322 era stato podestà di Milano, nel 1321 e nel 1323 di Pavia ( Manipulus florum auctore G UALVANEO DE LA FLAMMA cit., col. 727; G. R OBOLINI , Notizie appartenenti alla storia della sua patria raccolte ed illustrate , vol. IV/2, Pavia 1832, p. 299). Gli successe Beccario Beccaria, proveniente da una famiglia per la quale, per un periodo posteriore di poco più di un decennio, sono testimoniati legami con i marchesi di Monferrato (R AO , Il sistema politico pavese cit., p. 178). La presenza, nel 1333, del podestà Uberto di Cocconato potrebbe suggerire che Vercelli non era uscita dall’orbita monferrina. 91 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1332, marzo 24. Il Messarola era mona- co e camerlengo del monastero di Santo Stefano ( Le pergamene di Santo Stefano in Vercelli cit., doc. 40, p. 63).

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3. Una prospettiva dal basso: la voce del comune

Dall’esame delle forme di signoria di Simone di Collobiano e di Riccardo Tizzoni emerge anche un sistema di contrappesi alla loro auto- rità, capace di costringere l’egemonia delle parti a esprimersi per lo più nel rispetto della sovranità popolare e delle istituzioni municipali. Dai primi decenni del Trecento, Avogadro e Tizzoni raccolsero il testimone della tradizione comunale – rivitalizzata con le loro basi economiche e militari di potere –, riprendendo motivi ricorrenti della politica urbana, come l’imposizione degli oneri fiscali e militari nel territorio. Il ruolo del governo civico è risultato finora soprattutto passivo: occorre antici- pare che una simile situazione non dipende soltanto dalla chiave di interpretazione, ma pare in stretta connessione con la fisionomia socio- istituzionale di Vercelli, caratterizzata dalla fragilità del popolo. Un più attento esame delle fonti permette, tuttavia, di evidenziare forme di par- tecipazione estese al di fuori della ristretta élite politica cittadina e inte- se ad affermare propri obiettivi politici. L’esistenza di schieramenti alternativi agli interessi aristocratici sarà verificata attraverso l’esame dei consigli maggiori e minori della città e delle politiche di controllo del territorio.

a) Popolo e signoria

Più che in altri centri dell’Italia nord-occidentale, nella città eusebia- na i due schieramenti fazionari, a carattere magnatizio, riuscirono a con- seguire ampi margini di intervento sulla politica cittadina. Essi ebbero come interlocutore un populus nel complesso fragile, che, dopo un periodo di crescita nella prima metà del Duecento, nell’ultimo quarto del secolo compare in maniera episodica nelle fonti, a indizio di una scarsa capacità di organizzazione autonoma. Negli anni Sessanta del XIII secolo, esso si strutturò come unione dei paratici, facendosi guida- re da contrapposti esponenti di primo piano del conflitto fazionario: fra il 1259 e il 1263 da membri di famiglie ghibelline, quali Uberto Longario Bondoni e Bucino Tizzoni, dal 1266 al 1270 da appartenenti agli Avogadro. Già da tale periodo, che pure costituisce una fase di rilie- vo del movimento popolare, l’affermazione di quest’ultimo parrebbe in buona misura subordinata a forme di accordo con le parti e di delega a

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queste ultime dell’iniziativa politica 92 . Dopo un’accentuata spinta popo- lare nel primo lustro degli anni Settanta, quando sono attestati i rectores societatum , dalla dominazione di Guglielmo VII di Monferrato il popu- lus , in particolare le sue componenti artigianali, paiono avere rivestito un ruolo limitato, quale gruppo di pressione esterno sugli ordinamenti municipali 93 . Qualora si cambi scala di analisi, è tuttavia possibile ricostruire la presenza, per quanto in tono minore, di un’espressione politica che rivendicava propri obiettivi identificabili in buona misura con la tutela delle prerogative comunali e che, almeno in certi periodi, riuscì ad esse- re alternativa alle fazioni di Tizzoni e Avogadro. L’estensione a durata vitalizia del mandato di capitano di Guglielmo VII, nel 1285, era stata decisa dalla credenza, a cui era intervenuta una «magna universitas mili- tum et popularium»: essa era riuscita a fare giurare al marchese che rispettasse gli accordi di pace con gli Avogadro, nei quali si prevedeva la protezione dei popolari dalle angherie dei magnati («et maxime popu- lares ab opressionibus magnatorum») 94 . Il conferimento della leadership cittadina al marchese si era coniugato con la domanda di tutela del popolo nei confronti dei grandi. Il declino istituzionale delle organizza- zioni autonome di popolo non aveva implicato la rinuncia alla rivendi- cazione di una propria politica, che il governo civico, anche a guida per- sonale o signorile, doveva farsi carico di rappresentare. Un sistema di equilibri analogo è verificabile durante l’egemonia di Matteo Visconti, negli anni Novanta del Duecento: contrariamente a quanto finora creduto, il suo avvento coincise con una minore predo- minanza delle fazioni, sia ghibelline sia guelfe, nella vita politica citta- dina e con una forma di salvaguardia nei confronti del populus , di cui il Visconti aveva favorito l’associazione attorno alla figura del capita- no del popolo. Alla luce di una simile funzione di rappresentanza degli interessi popolari da parte di Matteo è possibile definire meglio gli epi- sodi del quinquennio a cavallo tra il 1298 e il 1302, in particolare il

92 DEGRANDI , Artigiani nel Vercellese cit., pp. 65-69. 93 DEGRANDI , Artigiani nel Vercellese cit., p. 76. Sul popolo come gruppo di pres- sione cfr. P. R ACINE , Le «popolo», groupe social ou groupe de pression? , in «Nuova rivi- sta storica», 73 (1989), pp. 133-150. 94 Statuta comunis Vercellarum ab anno MCCXLI cit., coll. 1479, 1481.

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temporaneo allontanamento dalla città, nel 1299, dei Visconti, rientrati dopo pochi mesi. Il capitano del popolo è documentato per l’ultima volta a Vercelli nel 1298, quando l’ufficio fu assegnato a un consan- guineo di Matteo, Filippo. Nel 1299, tale figura non è testimoniata e non ricompare neppure dopo il ripristino della dominazione milanese. È probabile che sul finire del secolo si fosse interrotta la sintonia fra la cittadinanza e Matteo, che aveva provato a ridisegnare in termini auto- cratici la sua egemonia 95 . In tale contesto politico si potrebbe anche meglio collocare la prima attestazione del castello visconteo: Guglielmo Ventura, a dispetto dell’interpretazione erudita, non ha mai assegnato l’episodio al 1290, ma, in un passaggio scarno di riferimen- ti cronologici, soltanto all’ultimo decennio del Duecento, probabil- mente alla fine 96 . Un primo progetto di costruire una fortezza urbana potrebbe avere preso corpo nel momento in cui si era deteriorato il rap- porto con il populus , immediatamente prima del 1299 oppure negli anni seguenti sino al 1302, quando, come si è visto, in un clima di con- trapposizione con i ceti popolari, il Visconti non reintrodusse la magi- stratura del capitano. Pur all’interno di un crescente processo di delega dell’esercizio del potere da parte della cittadinanza alle classi politiche e alle fazioni, non

95 Sono poco noti i personaggi che ressero il temporaneo governo instaurato nel 1299, all’indomani della cacciata viscontea: Uberto Ghigalotus , un individuo di estra- zione popolare, fu affiancato da Francesco Mussi, membro di una casata aristocratica attestata fin dal XII secolo, in veste di procuratore del comune ( I Biscioni cit., 2/1, doc. 19, pp. 41-46). 96 GUILIELMI VENTURAE Memoriale de gestis civium Astensium cit., col. 719. In realtà, le attestazioni documentarie rimandano con sicurezza soltanto al 1318. Un atto rinvenuto dal M ANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., vol. IV, pp. 131-132 è assai ambiguo, poiché cita la distruzione di alcune case nei pressi del castrum et turrim castri porte Servi , per cui il comune promosse un risarcimento nell’agosto 1299: non è esplicito il nesso tra costruzione del castello e distruzione delle case, che pure potrebbe essere verosimile. Anche in tal caso rimane da precisare la natura della fortificazione, se una semplice difesa annessa al sistema delle mura in vista delle operazioni belliche da cui la città era interessata o una vera e propria fortezza urbana. Risalta, inoltre, il fatto che il provvedimento della credenza fu preso nell’agosto del 1299, quando Vercelli non era ancora stata ripresa dai Visconti: se si dovesse ascrivere a questi ultimi l’iniziativa, essi avrebbero potuto erigere il castello immediatamente prima della loro cacciata, sic- ché la credenza avrebbe provveduto a rimborsare gli espropriati. Al riguardo cfr. il con- tributo di V. D ELL ’A PROVITOLA , in questo stesso volume.

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si interruppe la richiesta della collettività urbana di avere un governo rappresentativo delle proprie istanze. Anche se sempre meno visibile dal punto di vista istituzionale, il popolo costrinse le fazioni a muoversi in un orizzonte sociale e a mediare le loro ambizioni egemoniche con il rispetto degli equilibri istituzionali municipali.

b) I «communales»

L’esistenza di una terza voce, non sempre assimilabile a quella dei due contrapposti collegati di famiglie, era emersa come si ricorderà dal- l’analisi del consiglio della Società di Giustizia del 1318. In quell’occa- sione, dopo Riccardo Tizzoni e Ardizzone Avogadro di Quaregna chie- se la parola un esponente di un lignaggio poco noto, Codartinus Cochus , non preceduto, come i membri dei due importanti lignaggi magnatizi, dalla qualifica di dominus . Non essendogli attribuito alcun titolo istitu- zionale, non sembrerebbe identificabile con la figura di sindaco del comune che nei dibattiti consiliari aveva la funzione di opporsi alla decisioni lesive dell’interesse pubblico 97 . Un indizio più sicuro, in grado di individuare un terzo schieramento in città, può essere rintracciato nella pace pronunciata nel 1311 da Filippo d’Acaia «inter Tizonos et Advocatos Vercellenses», come recita la rubrica dei Biscioni. In realtà, a dispetto di una simile denominazio- ne, gli accordi portarono alla formalizzazione di tre partiti: oltre a Tizzoni e Avogadro, compaiono i «communales de dicta civitate et districtus» 98 . Prima di affrontare la questione si impongono alcune pre- cisazioni. Innanzitutto, non bisogna intendere queste liste come indica- tive di schieramenti cristallizzati. L’analisi prosopografica degli elenchi mostra una notevole permeabilità, soprattutto per le discendenze di ori- gine popolare, spesso compresenti in più fazioni. I Freapane, per esem- pio, sono attestati in tutti e tre i raggruppamenti: laddove non si tratti di un caso di omonimia, Giorgio Freapane sembrerebbe pronunciare, il 18 settembre 1311, un primo giuramento fra gli aderenti agli Avogadro per poi essere elencato, il 28 settembre, fra i communales 99 .

97 Per un esempio coevo, cfr. R AO , Il sistema politico pavese cit., p. 157. 98 I Biscioni cit., 1/2, doc. 197, p. 38. 99 I Biscioni cit., 1/2, doc. 197, pp. 34, 38.

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L’assenza nelle fonti dell’epoca di ulteriori ragguagli sui communa- les , di cui non è nota l’epoca di formazione, che poteva anche essere recente, consente di formulare soltanto ipotesi sulla loro natura. È pos- sibile che tale partito avesse preso vita all’interno della fazione guelfa: diversi nomi sono documentati fra i sapienti reclutati durante il periodo di egemonia di Simone di Collobiano 100 . Per alcuni di essi, come Pietro Cho di Robbio, è nota la militanza guelfa anche in seguito a tale data: egli sostenne la dominazione angioina nel 1313-1316 e si batté a fianco degli Avogadro nel 1320 101 . Numerose stirpi, quali i Montonario, i de Moxo , i de Vassallo , i Freapane, erano inoltre compresenti sia nelle liste degli Avogadro, sia in quelle dei communales . Sebbene non se ne possano meglio precisare i contenuti, è possibile che tale schieramento fosse fautore, come parrebbe anche indicare la denominazione, di una politica di salvaguardia delle istituzioni comunali, che intendesse prescindere in buona misura dalle clientele familiari. L’esistenza di una divisione tra i guelfi, di cui una parte sembra sorregge- re le istanze popolari e l’altra spostarsi su posizioni magnatizie, è verifi- cabile in quegli stessi anni in diverse città dell’Italia settentrionale, come Parma, Piacenza e Cremona 102 . L’ipotesi di una convergenza tra guelfismo e istanze popolari troverebbe una parziale conferma nell’analisi prosopo- grafica dei communales : lo schieramento pare essere composto da alcune stirpi dell’aristocrazia rurale lomellina assai coinvolte nella militanza filo- papale – quali i da Robbio, da cui discendeva lo stesso Pietro Cho, e i da Palestro – e, soprattutto, da lignaggi abbienti di origine popolare. Gli

100 Per esempio, Gionselino da Palestro, Giuliano de Cremona , Ottone Freapane, sapientes provisionis , facevano parte di stirpi documentate tra i communales (Documenti dell’archivio comunale di Vercelli relativi ad Ivrea cit., doc. 169, p. 291). Giorgio da Palestro e Giorgio Freapane, che rivestirono il medesimo incarico nel 1304, giurarono tra i communales (I Biscioni cit., 1/1, doc. 135, p. 285). I giurisperiti Guglielmo della Serrata e Paxino de Cremona , anch’essi communales , avevano confe- zionato il compromesso mediato dal Collobiano nel 1308 tra il comune e i signori di Azeglio. Giovanni de Moxo , infine, fu chiavaro nel 1308 ( I Biscioni cit., 2/2, doc. 505, p. 312). 101 ACV, Pergamene, mazzetta 7, doc. in data 1314, agosto 30; PETRI AZARII Liber gestorum in Lombardia cit., p. 23. 102 Per la «pars antiqua ecclesie» di Parma e Piacenza cfr. R AO , Signorie cittadine e gruppi sociali cit., pp. 689, 693; per Cremona si veda M. G ENTILE , Dal comune cittadi- no allo stato regionale: la vicenda politica (1311-1402) , in Storia di Cremona , Il Trecento cit., pp. 260-301, qui alle pp. 267-268.

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Alciati, in particolare, erano una ricca casata affermatasi sin dal XII seco- lo. Fino alla metà del Duecento, essi erano stati fra i leader della societas popolare di Santo Stefano e durante la crisi della metà del secolo erano rimasti ancorati al populus , restando estranei allo scontro fra Bicchieri e Avogadro 103 . Le condanne rivolte a membri della famiglia da parte di Enrico VII potrebbero suggerire che la casata avesse assunto posizioni anti-imperiali 104 . Erano, inoltre, communales stirpi quali gli Almonserio, i de Bertholo , i de Moxo , i da Cremona, i Ferrarotti, i di Biandrate, i della Serrata, i Rossignolo, i de Turriono e i Ghigalotus , di origine popolare e, talora, con un passato duecentesco di militanza nelle società di Santo Stefano e della Comunità 105 . Potrebbe avvalorare l’interpretazione dell’e- sistenza di uno schieramento svincolato dalle reti nobiliari e promotore di una politica a favore dell’integrità delle istituzioni comunali un passo dell’Itinerario di Enrico VII, dove si ricorda che l’imperatore, entrato in città, nominò come vicario un genovese guelfo e, dopo avere imposto la pace, ricevette il giuramento «del vescovo, dei nobili e del comune» 106 .

c) Rappresentanza politica e composizione sociale nei consigli cittadi- ni

Pur all’interno di una documentazione assai scarna, si può cercare di verificare in maniera sommaria l’esistenza di spinte popolari nel gover-

103 Cfr. D EGRANDI , Artigiani nel Vercellese cit., pp. 62-63. 104 MANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., vol. IV, p. 209. Ad ogni modo, alcuni decenni dopo, fra il 1334 e il 1335, gli Alciati risultavano in buoni rapporti con i Visconti (si vedano gli accordi stipulati in questi anni per Mottalciata, per i quali si rimanda al contributo di A. B ARBERO , in questo stesso volume, n.95). 105 I Biscioni cit., 1/2, doc. 197, p. 38. Per la partecipazione di Alciati, di Biandrate, de Moxo e de Masino a tali società si veda Il libro dei «pacta et conventiones» del comu- ne di Vercelli , a cura di G.C. Faccio, Novara 1926 (BSSS 97), doc. 394, pp. 379-380; I Biscioni cit., 1/1, doc. 48, p. 142, doc. 80, p. 180. Almonserio e Rossignolo sono stirpi che entrano a far parte del consiglio cittadino durante il governo popolare degli anni 1243-1246 ( I Biscioni cit., 2/1, doc. 106, p. 167). I Ferrarotti, discendenti da un lignag- gio di notai, contavano tra le loro fila un iurisperitus , Giorgio ( Il Libro degli Acquisti , a cura di A. O LIVIERI , Roma 2009, vol. II, doc. VIII-337, p. 706). Per quanto riguarda i Ghighalotus , Leonardo nel 1290 risultava essere un prestatore: Cartario del monastero di Muleggio e di Selve , a cura di G. S ELLA , Pinerolo 1917 (BSSS 85/1), doc. 92, p. 145. Uberto nel 1299 fu procuratore del comune, allora alleato di Pavia contro Milano ( I Biscioni cit., 2/1, docc. 19-20, pp. 41-46). 106 NICOLAI EPISCOPI BOTRONTINENSIS Relatio de itinere italico cit., col. 892, che rac-

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no della città, capaci di coesistere con il dominio delle fazioni e in parte assimilate da queste ultime, ricostruendo le istituzioni consiliari operan- ti e la loro fisionomia sociale. Si tratta di un’indagine destinata a offri- re risultati interlocutori, sia perché le fonti riportano di rado la compo- sizione di tali organismi, sia perché non si conoscono le regole che ne determinavano il reclutamento. Si è già detto della continuità di funzio- namento del consiglio generale, la credenza, convocata con frequenza ai tempi di Simone di Collobiano e della dominazione angioina, di scarso impiego durante il periodo di egemonia dei Tizzoni, ma con una decisa rivitalizzazione negli anni monferrini. Si è conservato un solo elenco di credendari, relativo al 1303 107 . Alla riunione erano presenti 123 indivi- dui, che si identificavano in buona misura con le famiglie della classe dirigente urbana. A fianco dell’aristocrazia guelfa, cittadina ma anche rurale, sono attestati numerosi lignaggi minori, provenienti per lo più dai settori elevati del popolo: i Borromei, cospicui mercanti poco impe- gnati in politica, i della Serrata, giudici, i di Biandrate, artigiani arric- chiti, i notai Gionselino, Simone de Arro e Giacomo de Margaria, il magister Campanus , gli speziali Giovanni e Giacomo e tante altre discendenze poco note 108 . Rispetto al consiglio maggiore, quelli ristretti rivestirono più accen- tuate funzioni decisionali. Si tratta di organismi che ebbero larga diffu- sione nelle città comunali di questo periodo e che a Vercelli ebbero un numero e una denominazione oscillante: sapientes , consciliarii , sapien- tes provisionis , consilium de provisione oppure, durante il periodo del vicariato imperiale di Filippo d’Acaia, consilium o sapientes de botto e, in epoca monferrina, nel 1329, sapientes presidentes negotiis comunis Vercellarum 109 . Nei primi tempi della signoria di Simone di Collobiano, fino al 1306, i sapienti furono convocati con una certa regolarità.

conta l’entrata di Enrico VII a Vercelli: «ibidem unum vicarium de Ianua de Malosellis qui guelphi sunt dimisit, consanguineum domini comitis Sabaudie. Ibique pace inter eos facta et bona concordia receptisque fidelitatibus domini episcopi, nobilium et communis». 107 I Biscioni cit., 1/1, doc. 148, pp. 317-318. 108 Per i Borromei e per il ruolo degli speciarii a Vercelli si veda il contributo di B. DEL BO, in questo stesso volume. 109 Per le attestazioni documentarie di simili consigli si rimanda alle note seguenti. Per l’identificazione dei sapientes de botto cfr. ACV, Pergamene, mazzetta 7, doc. in data 1313, gennaio 30.

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Simone è sempre ricordato, attorniato da altri fedeli guelfi come Tixius Arborio e da individui in seguito riportati nella lista del 1311 degli ade- renti agli Avogadro 110 . La presenza di lignaggi non inquadrati nella rete clientelare della stirpe dominante pare pressoché irrilevante, come quel Giuliano Cremona sapiente nel 1302, membro di una casata di origine popolare specializzata nella professione giuridica 111 . I Tizzoni fecero scarso uso di una simile magistratura: dopo un’atte- stazione isolata nel 1326, essa compare nel 1329, nel 1331 e nel 1332, nel periodo della dominazione monferrina. Nel 1329, in particolare, il rettore cittadino era affiancato dai «sapientes presidentes negotiis comu- nis Vercellarum», reclutati fra alcuni personaggi di primo piano della fazione al comando. Si tratta di Uberto Bondoni, Tesauro Vialardi e Vercellino Scutario, ma anche di individui di estrazione meno elevata e, a quanto è dato di sapere, non particolarmente legati ai Tizzoni: il giuri- sperito Ottone Lavezzi, Giacomo Ghigalotus e Pietro Bulla 112 . Il ruolo della magistratura potrebbe essere stato quello di creare un polo di pote- re che controbilanciasse l’autorità del Paleologo, ma fu forse anche legato a una maggiore richiesta di partecipazione della cittadinanza, che l’arrivo di Ludovico il Bavaro risvegliò anche in altri centri, come nella vicina Pavia 113 . Se nel 1329 il consiglio pareva di dimensioni contenute, nel 1331 un analogo collegio, chiamato consilium de provisione , com- prendeva sedici persone 114 . Per il 1332, infine, si ha soltanto un accen-

110 Per esempio nel 1302 furono sapientes provisionis Simone da Collobiano, Gionselino da Palestro, Giacomo Arborio, Giuliano de Cremona , Ottone Freapane, Tixius Arborio, Tommaso de Meleto , Nigro Pettenati, Ubertino Vassallo, Giacomo Raimondo ( Documenti dell’archivio comunale di Vercelli relativi ad Ivrea cit., doc. 169, p. 291). Nel 1304, il medesimo incarico fu rivestito da Simone di Collobiano, Tixius Arborio, Martino di Montonario, Giacomo Arborio, Giorgio da Palestro, Guala di Collobiano, Francesco Cocorella, Prevosto de Moxo , Pietro Quaregna, Pietro de Ast , Gotofredo Avogadro di Cerrione e Giorgio Freapane (I Biscioni cit., 1/1, doc. 135, p. 285). 111 Per il testamento di Giuliano cfr. AST, Materie ecclesiastiche, Abbazia di Sant’Andrea, mazzo 5, doc. in data 1302, dicembre 23. 112 I Biscioni cit., 2/3, doc. 575, p. 96; I Biscioni. Nuovi documenti e regesti crono- logici cit., doc. 17, p. 72. Il Lavezzi, per esempio, era fra i Vercellesi presenti all’ele- zione di arbitri fra il marchese di Monferrato e il comune nel 1306, epoca in cui que- st’ultimo era sotto gli Avogadro ( Il Libro degli Acquisti cit., vol. II, doc. IX-369, p. 707). 113 RAO , Il sistema politico pavese cit., p. 165. 114 Non è noto se i sei sapienti attestati nel 1329 (quattro in un’occasione, tre in

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no ai sapientes Vercellarum , forse identificabili nei personaggi, in parte legati al populus vercellese, che lo stesso anno, sotto il podestà Beccario Beccaria, verificarono la correttezza di alcuni provvedimenti di natura daziaria: Mazia de Turrino , Uberto Natta, Agnello Alciati, Ambrogio Carbono, Francesco Guastarello, Tesauro Vialardi, Ardizzone Cagnola 115 . Non si deve tuttavia enfatizzare eccessivamente tali testi- monianze, che rivelano comunque una certa stabilità e uno scarso avvi- cendamento di nomi fra i sapienti documentati nel 1326 e quelli di epoca monferrina 116 . Costituisce un caso a parte la situazione venutasi a creare durante il vicariato di Filippo d’Acaia, fra il 1311 e il 1312: l’a- nalisi dei dodici sapienti documentati nel 1311 farebbe intendere una spartizione dei posti fra Tizzoni, Avogadro e communales 117 . Nel complesso, il ruolo di una simile magistratura appare più esiguo che in altre realtà urbane coeve 118 . Le due signorie cittadine ebbero la tendenza a egemonizzare i consigli ristretti o addirittura a sopprimerli, concedendo limitati spazi a individui estranei alla fazione. La convoca- zione della magistratura fra 1302 e 1306 sembra essere stata usata da Simone di Collobiano come un elemento di continuità con la tradizione partecipativa comunale per legittimare la propria autorità 119 . La frequente consultazione di una credenza dalla fisionomia sociale piuttosto aperta, per quanto confinata nei settori elevati del popolo, per- mise tuttavia la sopravvivenza, pur in maniera sommessa, di limitati spazi di pluralismo: essi furono ampliati, forse anche sulla scia di una

un’altra) rappresentassero la totalità degli appartenenti alla magistratura: è comunque probabile che dovessero essere più della metà perché le loro decisioni avessero validità. I loro nomi coincidono in parte con quelli del 1331 ( Hec sunt statuta cit., ff. 161v-162r). 115 Hec sunt statuta cit., ff. 189v, 191r. 116 I sapienti del 1326 erano Riccardo Tizzoni, Pietro Bondoni, Nicolino di Sonamonte, Giovanni di Castellengo, Giovanni Vialardi, Enrico di Masino, Enrico Tizzoni, il giurisperito Aimerico Ghigalotus , Guido Pezzana e Pietro Bulla (cfr. sopra, n. 77). 117 ACV, Pergamene, mazzetta 7, doc. in data 1311, ottobre 21: Riccardo Tizzoni, Simone di Collobiano, Francesco de Varali iudex , Francesco Cocorella, Delfino Tizzoni, Giorgio Freapane, Giacomo Freapane, Benedetto Ferrarotti, Leonardo Ghigalotus , Martino de Montonario , Ranieri di Sonamonte, Anriotus de Masino . 118 Per un confronto con la vicina Pavia, cfr. R AO , Il sistema politico pavese cit., pp. 154-157. 119 Sulla ricerca da parte dei signori cittadini del consenso delle popolazioni urbane cfr. V ARANINI , Aristocrazie e poteri nell’Italia centro-settentrionale cit., p. 140.

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precisa richiesta proveniente dalla cittadinanza, dalle dominazioni sovralocali, in particolare da quella angioina, da quella di Filippo d’Acaia, da quella monferrina e persino dalla seconda signoria di Matteo Visconti, sebbene quest’ultima sia stata molto più accondiscen- dente nei confronti delle fazioni fedeli ed eversiva del sistema di equili- bri comunale.

d) Politiche comunali nel controllo del territorio

Un ultimo campo di verifica è quello della continuità degli obiettivi politici comunali della prima metà del Trecento con quelli del secolo passato. Da questo punto di vista, sarebbe erroneo esasperare eccessi- vamente gli elementi di contrapposizione fra l’azione comunale, coe- rente con gli orientamenti duecenteschi, e i propositi delle fazioni, che in tale periodo identificarono in buona misura le loro possibilità di suc- cesso con l’adesione all’apparato municipale 120 . Sembra comunque pos- sibile ricostruire una pronunciata sensibilità dell’amministrazione comunale nell’imposizione degli oneri fiscali e militari alle comunità e ai signori del contado, anche quando questi ultimi erano stretti collabo- ratori del partito al potere. Senza tornare sulle già ricordate situazioni di Borghetto Po e di Azeglio, il comune, pur faticando a esercitare in prima persona la dife- sa militare del territorio ed essendo in più occasioni costretto a delegar- la alle fazioni, si premurò di assicurarsi le prestazioni fiscali delle comu- nità e dei signori rurali. Sono sopravvissuti solo estratti dei libri fodro- rum del distretto redatti durante tale periodo: essi mostrano tuttavia con- sistenti introiti che dai centri delle campagne si riversavano nell’erario

120 Sulle possibilità di convergenza tra governi cittadini e fazioni cfr. G. M ILANI , L’esclusione dal comune. Conflitti e bandi politici a Bologna e in altre città italiane tra XII e XIV secolo , Roma 2003, pp. 431-432 e I D., I comuni italiani , Roma-Bari 2005, pp. 129-139. Per le fazioni in area veneta all’inizio del Trecento cfr. G.M. V ARANINI , Nelle città della Marca Trevigiana: dalle fazioni al patriziato , in Guelfi e Ghibellini nell’Italia del Rinascimento , a cura di M. G ENTILE , Roma 2005, pp. 563-602, soprattutto alle pp. 563-578. Simili considerazioni si inseriscono in un quadro storiografico che ha ormai sottratto le fazioni al «mondo del disordine», evidenziandone la capacità di regolare e organizzare la politica (cfr., in particolare, M. G ENTILE , Guelfi, ghibellini, Rinascimento. Nota introduttiva , ivi , pp. VII-XXV, soprattutto alle pp. IX-XII).

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civico 121 . Nel 1314, per esempio, i da Palestro, fedeli guelfi, versarono cospicui importi estimali all’amministrazione comunale angioina 122 . Il pagamento delle cavalcate e dell’estimo fu, inoltre, garantito dagli accordi con la comunità di Morano nel 1310 e da quelli con i signori di Carisio, nel 1325, e di Villata, nel 1328 123 . Anche qualora alcune loca- lità venissero alienate, come nel caso di Trivero, ceduta al vescovo nel 1313, le autorità municipali si assicurarono che tali prerogative fossero eccettuate dalla cessione 124 . La difesa delle prerogative municipali pare essere stata elusa con maggiore frequenza soltanto dalle dominazioni sovralocali, in particola- re da Enrico VII, da Matteo Visconti e da Ludovico il Bavaro 125 . Enrico VII, fra il 1311 e il 1312, esentò dal fodro Pietro d’Azeglio, contraria- mente agli accordi stabiliti con il comune nel 1308, concesse Crescentino a Riccardo Tizzoni e riconobbe a Simone di Collobiano, dietro versamento dell’ingente somma di 120.000 lire di imperiali, pieni diritti su alcune località del contado, inclusa l’esenzione dal fodro.

121 Per la riscossione del fodro a Trino e a Piverone e Palazzo cfr. inoltre I Biscioni cit., 1/1, doc. 109, pp. 252-253; I Biscioni cit., 2/3, doc. 547, p. 68, doc. 559, pp. 83-85, doc. 564, pp. 90-92, . Per gli oneri versati da Motta dei Conti all’inizio del Trecento si veda invece Hec sunt statuta cit., f. 146v. Per Asigliano e Pertengo: I Biscioni cit., 2/1, doc. 64, pp. 113-114 (1290, maggio 25). 122 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1314, agosto 30. 123 I Biscioni cit., 1/1, doc. 177, pp. 386-390; ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1328, gennaio 21. Da quest’ultima pattuizione emerge anche, ma è cosa ovvia, che durante il fuoriuscitismo i signori e le comunità soggette non pagavano più il fodro al comune: i Confalonieri della Villata chiesero che non fosse conteggiato il versamento degli arretrati dal 1321, data della cacciata degli Avogadro. In maniera analoga, gli uomini di San Germano nel 1338 si rifiutarono di saldare gli arretrati del fodro, poiché «steterunt et sunt de parte Advocatorum» e, in base alla pace imposta da Teodoro di Monferrato, non erano tenuti a versare tali somme ( ivi , mazzetta 9, doc. in data 1338, giugno 4). Si deve osservare che in questi anni i fuoriusciti controllavano diverse loca- lità del contado. A Caresana, nel 1326, per esempio, un da Robbio era capitaneus (AST, Ducato del Monferrato, Feudi per A e B, mazzo 12, doc. in data 1326, ottobre 27). Nel 1325, San Germano era ricordato tra i «loca periculossa et suspecta» ai quali non si pote- va accedere «sine mortis periculo propter guerrarum pericula et discrimina occurrentia et imminentia in civitate Vercellarum et districtu» (ASV, OSA, Pergamene, mazzo 1833, doc. in data 1325, aprile 16). 124 ACV, Pergamene, mazzetta 7, doc. in data 1313, gennaio 30. 125 Per le concessioni dei Visconti, oltre a quanto riferito supra , § 1, cfr. gli accordi con i conti di Masino stipulati nel 1316 ( I Biscioni cit., 1/1, docc. 160-161, pp. 339-347).

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L’imperatore assegnò contestualmente a Simone anche una rendita sulla riscossione di regalie possedute in città e nella diocesi («redditus annuos quingentarum librarum imperialium annis singulis de regalibus nostris in civitate et diocesi Vercellensi colligendos») 126 . Il Collobiano, che durante il periodo di egemonia in città era stato assai rispettoso delle prerogative municipali, approfittò della presenza imperiale per conclu- dere simili transazioni: è possibile che nel periodo precedente il con- fronto con la domanda di rappresentanza della popolazione urbana aves- se sconsigliato simili iniziative. Tali provvedimenti mantennero tuttavia un carattere esterno: più che del rafforzamento delle signorie locali, essi sembrano indicativi soprattutto dell’approccio demaniale degli impera- tori e, in misura minore, dei Visconti 127 . La convergenza di interessi fra istanze cittadine e forme di egemonia signorile nell’attuazione di una politica territoriale di stampo comunale è espressa in maniera esemplare dal già menzionato privilegio di Ludovico il Bavaro del 1329 128 . I Vercellesi chiesero all’imperatore la conferma dell’acquisizione effettuata dal comune, con la mediazione del legato apostolico Gregorio da Montelongo, nel 1243, del distretto sulle località sotto la giurisdizione dell’episcopato e, in particolare, dei diritti legati all’esercizio della fiscalità, della giustizia e delle imposi-

126 I Biscioni cit., 2/2, doc. 510, pp. 318-319; AST, Archivio Avogadro di Collobiano della Motta, mazzo 36, doc. in data 1311, gennaio 27. Il documento, tramandato da una copia del XVIII secolo, prevedeva anche la cessione del titolo comitale su tali località, probabilmente frutto di un’interpolazione successiva: cfr. A. B ARBERO , Da signoria rura- le a feudo: i possedimenti degli Avogadro fra il distretto del comune di Vercelli, la signo- ria viscontea e lo stato sabaudo , in Poteri signorili e feudali nelle campagne dell’Italia settentrionale fra Tre e Quattrocento: fondamenti di legittimità e forme di esercizio , a cura di F. C ENGARLE , G. C HITTOLINI , G.M. V ARANINI , Firenze 2005, pp. 31-45, qui a p. 37. Più in generale si vedano i contributi di A. B ARBERO , par. 3, e di S. P OZZATI , in que- sto stesso volume. Cfr. anche Le carte dell’archivio comunale di Biella cit., p. 255. 127 La questione della concessione del ruolo dei poteri sovrani, in particolare del- l’impero, nella legittimazione delle signorie costituisce un tema sviluppato a fondo dalla storiografia fin dai primi decenni del Novecento: per una sintesi sull’argomento cfr. D. QUAGLIONI , Il processo Avogari e la dottrina medievale della tirannide , in Il processo Avogari (Treviso, 1314-1315) , a cura di G. C AGNIN , Roma 1999, pp. V-XXIX. 128 Sottolinea i tratti di continuità fra la politica di controllo del territorio del comu- ne e quella delle signorie monocittadine G.M. V ARANINI , L’organizzazione del distretto cittadino nell’Italia padana dei secoli XIII-XIV (Marca Trevigiana, Lombardia, Emilia) , in L’organizzazione del territorio in Italia e Germania: secoli XIII-XIV , a cura di G. CHITTOLINI , D. W ILLOWEIT , Bologna 1994, pp. 133-233, qui alle pp. 195-196.

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zioni militari («merum et mistum imperium et semplicem iurisdictio- nem, et ius fodrendi et omne ius in causis civilibus et criminalibus cum fodris, bannis, cavalcatis prestatis, exercitibus»)129 . L’importante riven- dicazione territoriale si inseriva all’interno della conflittualità del gover- no civico ghibellino con l’ordinario diocesano, di posizioni guelfe, ma avveniva in un preciso momento di trasformazione degli assetti istitu- zionali. Pur rimanendo la città sotto la signoria di Riccardo Tizzoni, la dominazione monferrina, appoggiata dal Bavaro, si era accompagnata all’apertura di nuovi spazi di partecipazione per la cittadinanza.

Conclusione

Gli assetti istituzionali vercellesi fra il 1290 e il 1335 sembrano attra- versati da alcune dinamiche di fondo, capaci di convivere su piani diver- si nel sistema politico cittadino. Innanzitutto, si delinea la progressiva integrazione di Vercelli nel quadro regionale. La popolazione urbana dovette confrontarsi a più riprese con dominazioni sovralocali di matri- ce differente: angioina, viscontea, imperiale, sabauda e monferrina. Nel complesso, Vercelli stazionò a lungo nell’orbita viscontea. Nei momen- ti di debolezza della dinastia milanese, legati alle discese di Enrico VII e di Ludovico il Bavaro e agli effimeri successi della Lega guelfa e degli Angiò, si aprirono spazi per cambiamenti di fronte. In tali occasioni si verificarono ‘effetti domino’, che legarono le sorti della città eusebiana a quelle dei centri circostanti: la crisi ghibellina del 1299 portò a un cambio di regime a Vercelli, ma anche a Bergamo, Pavia e Novara. L’arrivo in Italia settentrionale di Enrico VII favorì una dominazione congiunta da parte del vicario imperiale Filippo d’Acaia su Vercelli, Pavia e Novara: reazioni simili causò la venuta di Ludovico il Bavaro. Lo slancio angioino in Lombardia nel 1312 causò dedizioni a catena a Roberto: di Asti, Casale, Pavia e Vercelli 130 .

129 I Biscioni. Nuovi documenti e regesti cronologici cit., doc. 17, pp. 69-74 (cita- zione da p. 73). Sulla complessa questione cfr. F. P ANERO , Particolarismo ed esigenze comunitarie nella politica territoriale del comune di Vercelli (secoli XII-XIII) , in I D., Comuni e borghi franchi nel Piemonte medievale , Bologna 1988, pp. 73-99, qui alle pp. 81-95; B ARBERO , Da signoria rurale a feudo cit., pp. 35-36. 130 Per un quadro d’insieme delle dedizioni agli Angiò nel 1312 cfr. M ONTI , La domi- nazione angioina in Piemonte , cit., pp. 131-133.

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Più in generale, si deve sottolineare il crescente collegamento delle vicende vercellesi con le esperienze dei centri vicini: le signorie di Matteo Visconti nell’ultimo decennio del Duecento e tra il 1316 e il 1321 conobbero episodi analoghi a Novara, Pavia, Piacenza, Alessandria e Bergamo 131 . Pur rapportandosi in maniera differente con gli assetti istituzionali urbani, le forze sovralocali, quando acquisirono la dominazione effettiva di Vercelli, si accompagnarono in diverse occa- sioni a importanti presenze militari: il trasferimento della giurisdizione e il controllo armato si tradussero per lo più in una nuova capacità fisca- le, con l’imposizione di pesanti esborsi alla popolazione. Filippo d’Acaia, per esempio, introdusse una gravosa gabella del sale per paga- re il suo stipendio e quello dei suoi soldati. È possibile seguire l’affermazione al vertice del governo urbano di alcune famiglie, in particolare degli Avogadro e dei Tizzoni. Si tratta di esperienze differenti, accomunate tuttavia dalla capacità di agire in sim- biosi con le istituzioni municipali, in più occasioni finanziandone le casse (ma anche avvantaggiandosene ampiamente) e facendosi promo- tori di iniziative politiche funzionali al comune. Anche se, rispetto ad altri centri dell’Italia nord-occidentale, a Vercelli le élite che si conten- devano la scena politica sembrano essere riuscite a concentrare in buona misura il potere decisionale, lasciando minori margini di partecipazione al resto della popolazione urbana, una simile egemonia si espresse all’interno delle strutture costituzionali comunali. A quanto risulta dalla documentazione, i privilegi imperiali conseguiti da tali lignaggi non riu- scirono a modificare gli assetti istituzionali e a legittimare la signoria: essi furono tuttavia in grado di corroborare le prerogative e i possessi signorili nelle campagne, in controtendenza rispetto alle tradizionali relazioni fra domini e comune. Si può ricostruire la sopravvivenza di una tradizione di rispetto delle istituzioni e di rappresentanza delle istanze sociali reclamata dalla citta- dinanza: in tale aspetto risiede il filo rosso in grado di collegare il siste- ma cittadino della piena età comunale con gli esiti successivi 132 . Una

131 Per Bergamo, cfr. B ELOTTI , Storia di Bergamo e dei Bergamaschi cit., vol. II, pp. 84-87. 132 Cfr. V ARANINI , Aristocrazie e poteri nell'Italia centro-settentrionale cit., pp. 125- 130, 134-143.

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simile tradizione a Vercelli risulta meno evidente che altrove, a causa di un movimento popolare nel complesso fragile, che appare scarsamente istituzionalizzato e che emerge in maniera discontinua nelle fonti. Per quanto risalti per lo più in chiaroscuro, è verificabile per tutto il perio- do preso in considerazione la richiesta dei ceti popolari di una politica comunale non asservita agli equilibri familiari e attenta a istanze più generali, soprattutto per quanto concerne l’estensione della fiscalità urbana, il controllo del territorio e l’integrità delle istituzioni municipa- li. I progetti egemonici delle famiglie maggiori e delle dominazioni sovralocali furono costretti a confrontarsi con le sollecitazioni prove- nienti dalla popolazione urbana, talora supportandole o accogliendole parzialmente, nel caso degli Avogadro, degli Angiò e della dominazio- ne dei Tizzoni, talora, come per Matteo Visconti, cercandone una più rigorosa istituzionalizzazione, attraverso la creazione di magistrature popolari controllate. In particolare, è stato possibile evidenziare l’esi- stenza di sinergie nell’ultimo quarto del Duecento fra alcune domina- zioni territoriali, quali quelle di Guglielmo di Monferrato e Matteo Visconti, e il populus vercellese, che le vedeva come elemento di prote- zione e di garanzia nei confronti delle violenze magnatizie. Ne risulta un quadro complesso e mutevole, che non consente ecces- sive semplificazioni nell’individuazione dei rapporti di forza. Il periodo di transizione verso la dominazione di Azzone Visconti non è né l’epo- ca dell’arbitrio signorile, né quella della sopravvivenza dell’egemonia popolare duecentesca, soltanto mascherata dietro il conferimento della leadership cittadina ad alcuni potenti. Si tratta piuttosto di una fase di metamorfosi, che, a dispetto degli elementi di continuità e della persi- stente legittimità dei quadri di governo creati dagli ordinamenti munici- pali, propone dinamiche originali.

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SIMONETTA POZZATI ______

LA FAMIGLIA TIZZONI NELLA POLITICA VERCELLESE DALLE ORIGINI ALLA DEDIZIONE DEL 1335

1. Il nucleo familiare tra XII e XIII secolo

I Tizzoni, destinati a capeggiare per secoli una delle due fazioni in cui si divide l’aristocrazia vercellese, non appartengono al gruppo di cives che dà origine all’istituzione comunale: come molte altre famiglie cittadine, essi appaiono sulla scena politica alla fine del XII secolo, in una fase di allargamento del consiglio di Credenza. I primi ad affacciar- si alla vita politica sono Dromone e Delfino, figli dell’eponimo Tizzone, attestati come membri della Credenza per molti anni a partire dal 1184 1. Questa improvvisa comparsa nel ceto politico cittadino – di Tizzone in realtà non sappiamo quasi nulla – pone il problema delle origini della fortuna familiare. La presenza di Dromone, nel 1186, a un arbitrato del console di giu- stizia Ardizzone Alciati, in una causa che coinvolge il capitolo di S. Eusebio, farebbe propendere per la sua appartenenza al gruppo degli esperti di diritto 2. Questa attestazione è infatti più significativa di quel che si potrebbe credere a prima vista. I testimoni dell’arbitrato sono un giudice, Lantelmo de Marcho , un membro della famiglia de Iudicibus , Tealdo, poi Dromone “et alii”: segno, come minimo, che il Tizzoni era

Abbreviazioni: ACV = Archivio Storico del Comune di Vercelli; AST = Archivio di Stato di Torino; ASV = Archivio di Stato di Vercelli; BRT = Biblioteca Reale di Torino; OSA = Archivio dell’Ospedale di Sant’Andrea

1 Il libro dei «Pacta et conventiones» del comune di Vercelli , a cura di G.C. F ACCIO , Novara 1926, p. 296, doc. 273. 2 Le carte dell’archivio capitolare di Vercelli , a cura di D. A RNOLDI , G.C. F ACCIO , F. GABOTTO , G. R OCCHI , Pinerolo 1914, p. 183, doc. 470. Ardizzone Alciati sentenzia su una questione tra Manfredo, prevosto della chiesa di S. Eusebio, e “presbiterum de Marello” per una terra sita sulla riva del Sesia, ordinando che la terra sia restituita al pre- vosto.

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uno dei personaggi considerati di maggior rilievo rispetto ad altri pre- senti, e forse anche di una sua vicinanza al gruppo dei giurisperiti citta- dini. Questo dato resterebbe solo un’ipotesi, se non fosse che nel 1197 Dromone è attestato come console di giustizia, e che negli anni succes- sivi occuperà la stessa carica almeno altre due volte 3. Appare quindi plausibile che all’affermazione della famiglia abbia contribuito anche una formazione giuridica di alcuni suoi esponenti; mentre non pare che i Tizzoni siano caratterizzati dall’attività notarile: alcuni di loro saranno attestati come notai, ma solo nel Quattrocento inoltrato 4. Già nella generazione di Dromone e Delfino la famiglia sembra avvi- cinarsi nei comportamenti al gruppo dei milites cittadini. Nel febbraio 1192, in seguito a una prolungata protesta popolare, i consoli avviano un’inchiesta al fine di individuare quali beni comuni, situati in due aree del suburbio vercellese, fossero detenuti in modo indebito e da chi. I possessori espropriati in questa occasione, che evidentemente si erano avvalsi della propria influenza per privatizzare illegalmente quote dei comunia , sono per lo più enti ecclesiastici o membri dell’aristocrazia militare cittadina; è dunque significativo trovare fra loro anche Dromone Tizzoni 5. Di lì a poco, la crescita politica della famiglia è con- sacrata dall’accesso al consolato del comune: Delfino è console nel

3 Su questo si veda A. B ARBERO , Vassalli vescovili e aristocrazia consolare a Vercelli nel XII secolo , in Vercelli nel secolo XII . Atti del quarto congresso storico vercellese, Vercelli 2005, pp. 217-309, alle pp. 304 e 308. 4 Sul ruolo dei giudici all’interno delle aristocrazie comunali obbligatorio è il riferi- mento a J.-C. M AIRE VIGUEUR , Gli «iudices» nelle città comunali: identità culturale ed esperienze politiche , in Federico II e le città italiane , a cura di P. T OUBERT e A. PARAVICINI BAGLIANI , Palermo 1994, pp.161-176. Per il caso vercellese, si veda A. DEGRANDI , Vassalli cittadini e vassalli rurali nel Vercellese del XII secolo , in “Bollettino storico-bibliografico subaplino”, XCI (1993), pp. 5-45, alle pp. 30-36. 5 Pacta et conventiones cit., pp. 128 sgg., doc. 60. Il recupero fu promosso e inco- raggiato direttamente dal movimento popolare, che trovava espressione e appoggio poli- tico nella società di S. Stefano, i cui vertici peraltro, spesso coinvolti nell’appropriazio- ne indebita, escono assai danneggiati da tale operazione. Tra il 1202 e il 1209 alcune delle famiglie inquisite nel 1192 protestano per l’acquisizione da parte del comune, da loro considerata illegittima, di terre che essi dichiaravano di loro proprietà. In questa vicenda, i Tizzoni compaiono non come parte in causa, bensì come testimoni, oppure tra i consoli di giustizia, ai quali è stato affidato il giudizio delle cause ( op. cit. , pp. 134- 186, docc. 61-100). Per l’interpretazione di questa azione del comune del 1192 si veda R. R AO , I beni del comune di Vercelli , Vercelli 2005, pp. 23-43, sp. p. 37.

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1196, e Dromone per l’anno 1205-1206 6. Il pieno conseguimento di quel prestigio sociale, che si accompagna tanto alla qualificazione giuridica quanto alla condizione cavalleresca, sarà poi confermato col più giova- ne cugino Federico, credendario dal 1199 al 1236, e tre volte console di giustizia: è lui il primo dei Tizzoni ad essere indicato col titolo di domi- nus nell’elenco dei credendari del 1224 7. La presenza dei Tizzoni nella vita politica cittadina non diminuisce col passaggio al comune podestarile: pur essendosi affermati alquanto tardi, i Tizzoni si erano inseriti stabilmente nel gruppo dirigente vercel- lese, venendo costantemente rappresentati da almeno un membro all’in- terno del consiglio di Credenza 8. Alla vigilia dei conflitti di parte che spaccarono l’aristocrazia vercellese dagli anni Quaranta del XIII seco- lo, la famiglia era presente già da due generazioni ai vertici delle istitu- zioni cittadine, anche se il suo peso non era certamente paragonabile a quello di altri grandi nuclei parentali come gli Avogadro o i Bicchieri. Curiosamente, però, la preminenza dei Tizzoni si limita alle sole magi- strature comunali, perché essi sono del tutto assenti non solo dall’epi- scopato vercellese, ma anche dai canonicati della cattedrale, contraria- mente a quelli che diverranno i loro avversari storici, ovvero gli Avogadro. Un fatto, questo, da segnalare come peculiare della famiglia

6 I Biscioni , I/3, a cura di R. O RDANO , Torino 1956, p. 78, doc. 516. Il 15 agosto 1196 Delfino Tizzoni e Corrado Avogadro, consoli del comune, ricevono da parte di Gilius Qualia una terra con casa vicino alla porta Aralda, nella zona della chiesa di S. Eusebio. Per Dromone, si vedano gli atti editi in Pacta et Conventiones cit., p. 336, doc. 337 e p. 342, doc. 341. 7 L’attestazione di Federico del 9 febbraio 1224 è citata da Francesco Panero, secon- do il quale, per questo atto, “l’unica conclusione possibile (…) è quella di ritenere che siano qualificati come domini gli individui di ascendenza militare, oppure possessori di diritti signorili acquisiti, che siano al tempo stesso capifamiglia e quindi detentori, de iure , di tali diritti signorili” (F. P ANERO , Istituzioni e società a Vercelli. Dalle origini del comune alla costituzione dello studio (1228) , in L’università di Vercelli nel Medioevo . Atti del secondo congresso storico vercellese, Vercelli 1994, pp. 77-165, p. 164, nota 194), mentre Alessandro Barbero ricorda che, anche a Vercelli come in altre città italia- ne, il ceto dominante cittadino non si definiva in base all’addobbamento rituale, ma solo in base al possesso e all’uso dei cavalli da guerra (B ARBERO , Vassalli vescovili cit., p. 267, nota 164, e J.-C. M AIRE VIGUEUR , Cavalieri e cittadini. Guerra, conflitti e società nell’Italia comunale , Bologna 2004, p. 347). 8 Per gli intervalli tra una magistratura e l’altra, si veda V. M ANDELLI , Il comune di Vercelli nel medioevo: studi storici , IV voll., Vercelli 1857-1861, I, p. 15.

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fin dall’inizio, ma non certo da collegare a una troppo anticipata mili- tanza ghibellina dei Tizzoni e alla loro contrapposizione agli Avogadro, che, come vedremo tra poco, non è riscontrabile a livello documentario fin dopo la metà del XIII secolo.

2. Il ruolo dei Tizzoni nella prima e nella seconda guerra civile vercellese

I Tizzoni sono sempre stati presentati dalla tradizione storiografica come gli immediati successori dei Bicchieri alla guida dello schieramento ghibellino dopo la morte di Pietro Bicchieri nel 1250. Tra il 1243 e il 1254, in realtà, i Tizzoni si dimostrano piuttosto defilati dalla politica comunale, e l’individuazione del loro profilo politico non è priva di oscillazioni. In un primo momento, infatti, essi appartengono al gruppo delle grandi famiglie vercellesi che appoggiano la politica popolare degli Avogadro di acquisi- zione del districtus vescovile. Nei primi mesi del 1243 Giovanni Tizzoni è console della società di S. Stefano: in questa veste partecipa alle decisioni prese dai consoli delle società e da quelli del comune in vista del passag- gio di Vercelli dallo schieramento imperiale a quello papale 9; partecipa inoltre alle riunioni con Gregorio da Montelongo che precedono la vendi- ta formale del districtus nell’aprile 1243 10 . Quando poi i Bicchieri vengo- no banditi nell’estate di quell’anno 11 , i Tizzoni rimangono in città, mostran- do così di non poter essere ancora identificati con la loro parte. Quando però nel 1249 i Bicchieri rientrano e vengono cacciati gli Avogadro 12 , i Tizzoni continuano ad essere attestati in Vercelli: è il primo possibile indi- zio di adesione alla parte filoimperiale, nel quadro, comunque, di un note- vole spirito di adattamento alle varie contingenze politiche. A conferma della fluidità delle parti in questo periodo possiamo porta- re il caso dei Pettenati, anch’essi attestati in Vercelli il 16 marzo 1249 13 ,

9 Statuta communis Vercellarum ab anno MCCXLI, Statuta et documenta nova , a cura di G.B. A DRIANI , in Monumenta Historiae Patribis , XVI, Leges Municipales II-2, Torino 1876, docc. 12-16. 10 ACV, Pergamene, m. 3, n. 149. 11 Documenti dell’archivio comunale di Vercelli relativi a Ivrea , a cura di G. COLOMBO , Pinerolo 1901, p. 201, doc. 124. 12 Statuta cit., coll. 1306 segg. 13 I Biscioni , a cura di R. O RDANO , II/1, Torino 1970, p. 216, doc. 131. Si tratta di una compravendita tra il comune e Ardizzone e Giovanni Pettenati di alcuni mulini siti nelle vici- nie di S. Lorenzo e S. Agnese. R AO , I beni del comune cit., pp. 185-186.

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ovvero in un momento in cui gli Avogadro sono banditi dalla città; mentre di lì a pochi anni saranno elencati tra i più fedeli alleati degli Avogadro, proprio nel momento in cui costoro rimangono estrinseci dopo la pacifica- zione del 1254 14 . Le contemporanee e ininterrotte presenze in città sia dei Pettenati sia dei Tizzoni in un periodo di così repentini rivolgimenti politi- ci mostrano assai chiaramente come sia lo schieramento filopapale sia quello filoimperiale fossero ancora ben lontani dalla struttura fissa e rigida che spesso è stata loro attribuita in questo momento. È quindi da non sopravvalutare la permanenza dei Tizzoni in città all’epoca del primo bando contro gli Avogadro, anticipando così la successione politica della famiglia nella guida dello schieramento filoimperiale subito dopo la morte di Pietro Bicchieri, nel 1250, in un periodo in cui non appare neppure così solida la loro adesione a questa parte 15 . Il primo indizio indiretto di un ruolo significativo assunto dai Tizzoni nella vita politica del comune a guida ghibellina si ha soltanto nel 1252, quando il comune stanzia dei fondi per riscattare i cavalli di “dominus Iacobus de Tizzone” che erano stati impegnati per conto del comune stesso 16 . Alla pacificazione del 1254 segue un periodo di concordia cittadina rotto solo nel 1265, con l’arrivo di Carlo d’Angiò e il rientro di Vercelli nell’orbita milanese. Nel 1266 viene assassinato il podestà vercellese Pagano della Torre 17 : i Tizzoni vengono accusati di aver partecipato al fatto, e sono dichiarati malesardi 18 , ma non sono ancora identificati come i capi dei ghibellini vercellesi. Tale riconoscimento avviene solo

14 Statuta cit., coll. 1491-1500. Si veda anche l’atto con cui, nel 1249, il conte pala- tino Enrico di Lomello, podestà di Vercelli, vende a Lanfranco Pettenati una casa nel vicus di S. Donato, mostrandoci ancora una volta “gli ottimi rapporti che intratteneva con la fazione imperiale allora, e da breve tempo, a capo della città a danno della fazio- ne guelfa capeggiata dagli Avogadro” (A. O LIVIERI , I Pettenati nel Tardo Medioevo. Produzione documentaria e cultura archivistica in una famiglia dell’aristocrazia ver- cellese tra XIII e XIV secolo , Tesi di Dottorato di Ricerca in Storia Medievale, Torino 1996, p. 33). A testimoniare la familiarità dei Pettenati con ruoli di responsabilità nelle istituzioni comunali, monopolizzate in quel momento da parte ghibellina, sta anche chi riceve il pagamento di Lanfranco, il clavario del comune, Ardizzone Pettenati. 15 Statuta cit., col. 1584. 16 MANDELLI , Il comune di Vercelli cit., I, p. 319. 17 MANDELLI , Il comune di Vercelli cit., III, p. 38. 18 Compendium seu index documentorum omnium quae in Archivio civitatis Vercellarum et in regestis seu voluminibus sequentibus in pergamenta continetur ordine quidem chronologico servato , a cura di S. C ACCIANOTTI , Vercelli 1868, p. 216.

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il 24 agosto 1271 quando Giacomo giura fedeltà “pro se et parte extrin- seca Vercellarum” al re di Castiglia, che sta coordinando intorno a sé e al marchese di Monferrato, suo genero, i ghibellini italiani 19 . Solo a par- tire da quella data dunque i Tizzoni possono essere definiti la famiglia ghibellina più importante di Vercelli, anche se a comandare davvero sono prima il marchese di Monferrato, nominato capitano a vita della città nel 1285 20 , e poi i Visconti che, alla sua morte, si sostituiscono inin- terrottamente a lui nell’egemonia politica fino alla fine del secolo. Le fonti mostrano una grande intraprendenza economica dei Tizzoni per il periodo compreso tra il 1286 e il 1301. Ad occuparsi degli affari di famiglia sono soprattutto Giacomo Berloffa e Delfino, zio e nipote, che costituiscono un binomio quasi indivisibile. Li si ritrova impegnati nella gestione di un vasto patrimonio immobiliare, protagonisti di com- pravendite e affitti 21 , preoccupati di accrescere la ricchezza familiare in molteplici modi: ottenendo dal comune di Vercelli concessioni di terre in cambio di affitti annui 22 ; gestendo i beni della chiesa di S. Cristoforo di Vercelli 23 ; naturalmente col prestito ad usura 24 .

3. La cacciata dei Tizzoni da Vercelli

La coesistenza di guelfi e ghibellini, prima sotto il marchese di Monferrato poi sotto i Visconti, viene meno alla fine del Duecento. Secondo Mandelli, a scuotere la pace che regnava a Vercelli fin dal 1285 sono nuovamente circostanze esterne, imputabili questa volta alla sete di dominio, ma forse soprattutto di vendetta, del marchese Giovanni I, figlio di quel Guglielmo VII morto nelle prigioni alessandrine. Già nel

19 Annales Placentini Gibellini , in MGH, Scriptores , XVIII, a cura di G. H. P ERTZ , Hannover 1863, p. 553. 20 Statuta cit., col. 1467-1484. 21 AST, Provincia di Vercelli, m. 8, 20 maggio 1293, 1 novembre 1293; BRT, Fondo Scarampi-Tizzoni, c. 2462, 16 aprile 1298; AST, Provincia di Vercelli, m. 8, 22, 23, 29 ottobre 1299: in questi tre atti, Giacomo Tizzoni nomina suo procuratore il nipote Delfino. Si veda anche in ASV, OSA, Pergamene, m. 1828, 3 maggio 1308, dove in realtà viene riassunta una serie di prestiti che Giacomo Berlofa e Delfino hanno con- cesso tra il 1293 e il 1298. 22 CACCIANOTTI , Compendium seu index cit., p. 232, 3 e 4 maggio 1289. 23 AST, Provincia di Vercelli, m. 8, 16 aprile 1293 e 9 giugno 1293. 24 ASV, OSA, Pergamene, m. 1832, 13 febbraio 1324.

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1299 il marchese e gli Avogadro si alleano, cacciando nel marzo di quel- l’anno il podestà filovisconteo Musso da Monza 25 . Non ci sono prove documentarie che nel 1299 vengano cacciati anche i Tizzoni: una buona parte delle fonti cronistiche fissa infatti l’esilio dei ghibellini vercellesi al marzo 1301 26 . È da rilevare che il 6 e 7 maggio 1301 Giorgio Tizzoni, giudice e console di giustizia, pronuncia presso il banco di giustizia di Vercelli una sentenza a favore dell’ospedale di S. Andrea: il cognome di questo personaggio è però accompagnato dalla qualifica de Laude , il che porterebbe piuttosto a pensare a una curiosa omonimia 27 . A dimostrazione invece che l’esclusione dal comune a Vercelli colpisce solo i maschi delle famiglie bandite, è da segnalare il matrimonio celebrato nel 1304 tra Agnese, figlia di Giacomo Berloffa Tizzoni, e Uberto Vassallo, membro di una famiglia guelfa già attestata fra gli esiliati del 1285 28 : si tratta senza alcun dubbio di un’unione poli- tica e certamente finalizzata a una riconciliazione tra le due parti. Assente dal gruppo dei testimoni del contratto di nozze qualunque membro ricon- ducibile al clan dei Tizzoni, in quel momento extrinseci , mentre sono presenti solo aderenti allo schieramento guelfo, a cominciare da Giacomo Vassallo e Pietro Avogadro di Quaregna.

4. Enrico VII e il primo trentennio del Trecento

L’esilio dei Tizzoni dura fino all’arrivo di Enrico VII in Italia. Riccardo Tizzoni, esule da Vercelli da nove anni, si preoccupa immediatamente di

25 MANDELLI , Il comune di Vercelli cit., IV, p. 127. 26 Su tutti, si vedano G UGLIELMO VENTURA , Chronicon Astense , in Antiche cronache astesi , Asti 1978, col. 720, e G ALVANO FIAMMA , Manipulus Florum, in Rerum Italicarum Scriptores , XI, Mediolani 1727, cap. CCCLIX, p. 716. Mandelli ci attesta che i Tizzoni esuli da Vercelli si rifugiano a Milano presso Matteo Visconti: M ANDELLI , Il comune di Vercelli cit., IV, p. 135 e note corrispondenti. 27 ASV, OSA, Pergamene, m. 1826. Come ha dimostrato Heers per il caso genovese, l’aggiunta di un altro cognome sottolinea la provenienza da un altro nucleo familiare recentemente ammesso in un consortile più importante; raramente quest’uso si conserva nelle generazioni successive alla prima. J. H EERS , Il clan familiare nel Medioevo: studi sulle strutture politiche e sociali degli ambienti urbani , Napoli 1976, p. 123. 28 AST, Provincia di Vercelli, m. 8. Giacomo concede a sua figlia una dote di 500 lire metà in beni immobili e l’altra metà in contanti. Il giorno delle nozze, Uberto si impegna a donare alla moglie 25 lire.

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fargli conoscere la sua lealtà: per questo motivo gli scrive il 28 maggio 1310 da Trento, dove forse si era spinto proprio per avvicinarsi all’impe- ratore, promettendo di fargli da scorta in tutte le tappe del suo viaggio verso Milano 29 . In dicembre il corteo imperiale giunge a Vercelli, dove Enrico impone una pacificazione generale, giurata dalle parti tra il 15 e il 16 del mese 30 , ordina che gli esuli ritornino in possesso dei loro beni, pone sotto il bando imperiale tutti coloro che romperanno il giuramento di man- tenere la pace. Probabilmente in questa occasione l’imperatore nomina il fedele Riccardo Tizzoni vicario di Cremona e gli concede la signoria del borgo di Crescentino, sottraendolo al districtus della città di Vercelli 31 . Neanche un anno dopo, nel settembre 1311, il vicario imperiale di Vercelli, Filippo d’Acaia, deve intervenire per pacificare le parti con un nuovo arbitrato, che riprende quasi integralmente quello giurato nel 1310 32 . Ma ormai l’equilibrio tra le parti è rotto: la datazione topica di una seduta del consiglio di Credenza del 6 febbraio 1312, avvenuta non nel palazzo del comune, né quello nuovo né quello vecchio, bensì nella casa di uno dei nobili di parte guelfa, Tixio di Arborio, “ubi nunc tene- tur et fit regimen Vercellarum” 33 , porta a pensare che in quel momento

29 Heinrici VII Constitutiones , in MGH , a cura di J. S CHWALM , Hannover 1906, IV, p. 306. L’assenza di Riccardo dal Vercellese, del tutto priva di giustificazioni o di altre atte- stazioni, è ancora più curiosa se pensiamo che i guelfi, appena prendono il potere, proi- biscono a chiunque di uscire dai confini del vescovato vercellese. D. C APELLINA , I Tizzoni e gli Avogadri. Saggio di storia vercellese dalla venuta di Arrigo VII sino alla caduta della repubblica esposta con documenti , Torino 1842, pp. 16-17. 30 I Biscioni , I/1, a cura di G. C. F ACCIO , M. R ANNO , Torino 1934, p. 375, doc. 184. 31 Non è conservato l’atto di nomina a vicario di Cremona di Riccardo Tizzoni, che però viene attestato in questa veste il 5 agosto 1311: W.M. B OWSKY , Henry VII in Italy. The Conflict of Empire and City-State. 1310-1313 , Lincoln 1960, p. 113 e note corri- spondenti. In occasione di questo incontro vercellese, l’imperatore investe Riccardo Tizzoni del feudo di Crescentino. Cfr. il saggio di Alessandro Barbero in questo stesso volume, p. 432. 32 I Biscioni , I/2, a cura di G.C. F ACCIO , M. R ANNO , Torino 1939, p. 31, doc. 197. Le cause di questo nuovo scontro, dopo così poco tempo dalla pacificazione imperiale, non sono state riportate a livello documentario, ma non è certo da scartare l’interpretazione data da Avogadro di Vigliano, che afferma che i ghibellini “reclamando un numero mag- giore di cariche cittadine, furono di bel nuovo attaccati dagli Avogadro e dai loro seguaci, quindi sopraffatti ed ancora una volta cacciati dalla città”: F. A VOGADRO DI VIGLIANO , Uberto Avogadro di Nebbione e Valdengo vescovo di Vercelli (1310-1328) , in Pagine di storia vercellese e biellese , a cura di M. C ASSETTI , Vercelli 1989, pp. 2-15, p. 6. 33 MANDELLI , Il comune di Vercelli cit., IV, p. 139. Non risulta quindi molto attendi-

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l’egemonia degli Avogadro e della loro pars sulla città sia assoluta. Stando al cronista astigiano Guglielmo Ventura, tra il luglio e l’agosto del 1312 a Vercelli iniziano nuovi scontri: un terzo della città è incen- diata, i Tizzoni hanno la peggio e sono cacciati, mentre Simone Avogadro “tyrannice gubernabat”. Egli si oppone anche all’imperatore, che vuole far rientrare in città gli esiliati Tizzoni: Enrico viene battuto, e i Tizzoni rimangono esuli 34 . Alla notizia della ripresa delle ostilità tra i vercellesi, il conte Guarnerio di Homberg, capitano generale della Lombardia, chiamato dai Tizzoni accorre a Vercelli con l’aiuto dei milanesi 35 . Riportata momentaneamente la pace, il conte Guarnerio entra in urto col vicario Filippo d’Acaia: per questo si rende necessario un arbitrato pronuncia- to dal vescovo di Lione, dal delfino Guido e dalla contessa di Savoia, i quali stabiliscono che sia Filippo, sia Guarnerio devono lasciare Vercelli, seguiti da diciotto della parte dei Tizzoni e dodici di quella degli Avogadro, e impongono una tregua di due mesi. Appena ripartito l’Homberg, Filippo di Langosco, alleato dei guelfi, fa sì che si riaccen- dano gli scontri: entra in Vercelli e incendia le case dei Tizzoni col favo- re del vescovo Uberto Avogadro 36 . Il 14 luglio 1313 Enrico VII dichia- ra ribelli e posti al bando dell’impero la città di Vercelli, Simone Avogadro e Filippo di Langosco, che vengono privati di “ogni privile-

bile l’affermazione di Cognasso, basata esclusivamente sulla condanna pronunciata da Enrico VII del luglio 1313, secondo la quale i Tizzoni sarebbero stati cacciati da Vercelli non prima dell’aprile 1313. Si veda P. A ZARIO , Liber gestorum in Lombardia , a cura di F. C OGNASSO , in Rerum Italicarum Scriptores , n. ed., XVI, Bologna 1939, p. 18, nota 7. 34 Chronicon Astense cit., col. 780. 35 Op. cit ., col. 782. 36 Op. cit. , ma anche P IETRO DA RIPALTA , Chronica Placentina. Nella trascrizione di Iacopo Mori (M S PALLASTRELLI 6) , a cura di M. F ILLIA e C. B INELLO , Piacenza 1996, p. 94, che riporta come nell’agosto 1312 ci fosse in Vercelli una nuova fase della guerra civile definita “grande e implacabile”. In aiuto dei guelfi accorrono la contessa di Savoia, Filippo d’Acaia, e Filippo di Langosco, mentre per i ghibellini arrivano Matteo Visconti e suo figlio Marco, il marchese del Monferrato e Guarnerio di Homberg. Dopo 49 giorni di guerra le parti decidono di sottostare all’arbitrato della contessa di Savoia, del marchese di Monferrato e di Filippo d’Acaia, rifiutato solo da Filippo di Langosco. L’imposta pacificazione prescrive innanzitutto che escano da Vercelli “tutti quelli che erano venuti da fuori”. I Visconti pongono il loro campo nei pressi di Bulgaro , l’odier- na Borgo Vercelli; il campo viene assaltato dal Langosco, che, “simulans se esse Marcum Vicecomitem” (sic), riesce ad entrare in Vercelli, facendo aprire le porte ai

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gio, grazia, ragione, franchigie, libertà” 37 ; ordina inoltre che la città di Vercelli sia distrutta dalle fondamenta, e che paghi una multa di 6000 lire. Se le condanne pronunciate non vengono eseguite, è solo per la morte improvvisa dell’imperatore, che non era ancora riuscito a prende- re la città 38 .

5. Il ritorno dei Visconti a Vercelli e l’anno terribile: il 1320

La morte di Enrico VII permette alla parte guidata da Simone Avogadro di rimanere al comando delle istituzioni vercellesi almeno fino al maggio 1316, quando Matteo Visconti viene eletto “signore generale della città e distretto” di Vercelli, e iniziano ad essere attestati podestà di Vercelli membri della famiglia Visconti 39 . C’è motivo di pen- sare che sebbene i Visconti siano alla testa del ghibellinismo italiano, in questo caso l’alleanza con Vercelli sia stata negoziata con i guelfi loca- li; inoltre, anche se le più importanti cariche del comune sono in mano viscontea, i Tizzoni non sono attestati in Vercelli prima del giugno 1318 40 . Nel luglio 1320 arriva in Piemonte Filippo di Valois, che tenta di instaurare la propria dominazione anche in Vercelli, provocando così

guelfi che cacciano i ghibellini. Analizzando la cronaca piacentina, Gabotto afferma che nell’arbitrato ivi riportato Filippo d’Acaia è il rappresentante dei guelfi, mentre il mar- chese del Monferrato agisce come delegato dei Tizzoni: solo la contessa di Savoia, quin- di, sarebbe stata la reale mediatrice: F. G ABOTTO , Storia del Piemonte nella prima metà del secolo XIV (1292-1349) , Torino-Firenze-Roma 1894, pp. 243-244. Teodoro Paleologo in questo momento sostiene i ghibellini vercellesi: questa sua scelta politica è confermata anche da un documento del 1315 con il quale egli promette protezione al monastero di S. Andrea di Vercelli su alcuni luoghi, dando ai suoi uomini la possibilità di “andare, stare, lavorare e tornare sicuramente, pur di non offendere il marchese, i fuo- riusciti di Vercelli e i loro aderenti, e non favorirne gli avversari”. M ANDELLI , Il comu- ne di Vercelli cit., IV, p. 176. Mandelli riporta anche, rifiutandolo piccato, il giudizio di alcuni autori lombardi che mostrano come Filippo d’Acaia, invece di svolgere il proprio compito di vicario imperiale, “maneggiasse a mezza via tra i guelfi e i ghibellini”, accu- sandolo di favorire i primi piuttosto che i secondi, op. cit. , p. 140. 37 GABOTTO , Storia del Piemonte cit., pp. 73. 38 Op. cit. ; B OWSKY , Henry VII in Italy cit., p. 182, e A VOGADRO DI VIGLIANO , Uberto Avogadro cit., pp. 6-7. 39 MANDELLI , Il comune di Vercelli cit., IV, pp. 178-179, e A ZARIO , Liber gestorum cit., p. 18. 40 Si veda l’intervento di Riccardo Rao in questo stesso volume.

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La famiglia Tizzoni nella politica vercellese

nuovi scontri di strada tra Tizzoni e Avogadro 41 . Pietro Azario ci rac- conta di una città posseduta per tre quarti dagli Avogadro, mentre la quarta parte era occupata dai Tizzoni e dai loro alleati. Dobbiamo imma- ginare Vercelli anche fisicamente divisa tra le due parti, che avevano occluso alcune strade con muri e travi e altre barriere atte a separare net- tamente la città; solo la porta di S. Stefano era in mano ai ghibellini 42 , mentre le altre erano controllate dai guelfi che notte e giorno le teneva- no aperte controllando e filtrando chi entrava e chi usciva 43 . Simone Avogadro il 1 agosto 1320 riunisce la propria parte nel palazzo vesco- vile e non nel palazzo del comune, perché questo, sito nella parte di città sotto il controllo dei Tizzoni, risulta parzialmente distrutto dai sassi lan- ciati dai ghibellini 44 . Da un mese i Tizzoni subiscono un assedio che li costringe a cibarsi solamente di fave 45 : in loro aiuto i Visconti inviano un contingente di soldati tedeschi, che pongono l’assedio a Vercelli nella zona compresa tra il fiume e la città 46 . Contemporaneamente ai tedeschi, si accampa presso Vercelli anche Filippo di Valois, chiamato dagli Avogadro, che gli promettono in cambio del suo aiuto l’enorme cifra di 10000 fiorini d’oro 47 . A questo punto la situazione subisce uno stallo di alcuni mesi, duran- te i quali non arrivano gli aiuti al francese, bensì ai Tizzoni: da Novara arrivano i cavalieri e i fanti radunati dai figli di Matteo Visconti, che nel frattempo aveva compreso come ottenere la vittoria evitando una vera e propria battaglia. Dopo soli tre giorni, Filippo di Valois viene prelevato da un soldato inviato da Matteo, che lo conduce in luogo segreto. Cosa si siano detti i due non è riportato da alcuna fonte, ma sta di fatto che Filippo toglie il campo per ritornare in Francia 48 . Il Ventura e l’Azario sono con- cordi nell’affermare che Matteo ha comprato la partenza di Filippo; ma,

41 Chronicon Astense cit., col. 805. 42 AZARIO , Liber gestorum cit., p. 23 e segg. 43 Op. cit. , p. 22. 44 Archivio di Stato di Biella, Archivio Avogadro di Valdengo, pergamene Avogadro di Collobiano (cartella unica). 45 AZARIO , Liber gestorum cit., p. 22. 46 Op. cit. , p. 22. 47 MANDELLI , Il comune di Vercelli cit., IV, p. 145. 48 Chronicon Astense cit., col. 805.

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Simonetta Pozzati

mentre Ventura si limita a dire che Matteo ha pagato “molti fiorini”, Azario è più preciso, dicendo che, durante questo “murmuramentum” Matteo Visconti ha pagato due botti piene di soldi d’argento 49 . Vercelli rimane in balia dei Tizzoni e delle truppe viscontee, che asse- diano gli Avogadro asserragliati nelle loro torri cittadine. Sfiancato da un assedio di circa sei mesi, Simone Avogadro, anche per aver salva la vita dei suoi, è costretto ad arrendersi, e raggiunge un accordo con i figli di Matteo Visconti: ai ghibellini vengono cedute tutte le fortezze detenute dai guelfi vercellesi. A garanzia dell’accordo, Simone e altri dodici mag- giorenti della sua parte sono condotti prigionieri a Milano da Matteo Visconti 50 . Il vescovo Uberto Avogadro, che tanto si era adoperato per salvare i suoi, è costretto a fuggire nottetempo verso Biella, tradizionale roccaforte dei vescovi vercellesi, dove morirà nel 1328 51 .

6. Il legame dei Tizzoni con i Visconti e l’accusa di eresia

Nonostante alcune contraddizioni dovute all’occasionale presenza in campo di altri giocatori, come l’imperatore Enrico VII o il principe d’Acaia, durante i primi venti anni del Trecento la relazione tra Tizzoni e Visconti si rinforza sempre più, sino a raggiungere una sorta di ratifi- ca formale per via matrimoniale, con l’unione tra Uberto Tizzoni e Bernardina Visconti. Non sappiamo quando siano state decise e cele- brate le nozze; del contratto di matrimonio ci resta solo una sintetica memoria inserita all’interno di un documento più tardo rogato l’8 mag-

49 Op. cit. e A ZARIO , Liber gestorum cit., p. 23, ma anche M ATTEO VILLANI , Chronica , a cura di G. P ORTA , Parma 1995, lib. IX, cap. 108. Per il giudizio della tradi- zione erudita sul comportamento di Filippo di Valois, M ANDELLI , Il comune di Vercelli cit., IV, pp. 144-148, G ABOTTO , Storia del Piemonte cit., pp. 98-99, ma anche G. TABACCO , La casa di Francia nell’azione politica di Papa Giovanni XXII , Roma 1953, pp. 198-199. Bisogna pure ricordare che c’è chi ha parlato di uno scambio di doni, che “diedero lo spunto ai cronisti del tempo, ignari di quel che è trattativa diplomatica, di parlare di corruzione del principe francese da parte degli astuti Visconti”. F. C OGNASSO , L’unificazione della Lombardia sotto Milano , in Storia di Milano , V, La signoria dei Visconti (1310-1392) , Milano 1955, p. 135. 50 Ampio il dibattito in sede erudita sulle circostanze della morte di Simone di Collobiano. L’ipotesi più fondata è che egli sia morto nel 1322 prigioniero di Matteo Visconti, e traslato in un secondo momento nella chiesa vercellese di S. Marco, sita nel quartiere degli Avogadro. M ANDELLI , Il comune di Vercelli cit., IV, pp. 154-160. 51 AVOGADRO DI VIGLIANO , Uberto Avogadro cit., pp. 13-14.

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La famiglia Tizzoni nella politica vercellese

gio 1324, ovvero la richiesta formale presentata a Guala Tizzoni, erede di Uberto, da Ludovico e Gaspare Visconti, figli di Pietro e fratelli di Bernardina, per la restituzione della dote della sorella, rimasta vedova, di 1500 lire imperiali 52 . La relazione con i Visconti, se certamente ha giovato molto ai Tizzoni dal punto di vista politico, militare e di prestigio, in almeno un’occasione si è rivelata una fonte non piccola di guai: mi riferisco all’accusa di eresia avanzata da papa Giovanni XXII contro Matteo Visconti, un’accusa dalla quale devono difendersi anche i Tizzoni. I fatti sono noti: Giovanni XXII considera il ghibellinismo una dottrina anti- papale, anticlericale, una vera e propria eresia da colpire come conce- zione e come costruzione politica. Nel gennaio 1317 il papa invia in Italia due frati di grande autorità, il francescano Bertrand de La Tour e il domenicano Bernard Gui, per intimare sotto pena di scomunica a Matteo Visconti di deporre il titolo di vicario imperiale ricevuto da Enrico VII: nonostante Matteo ubbidisca all’ordine papale, il 4 gennaio 1318 viene comunque scomunicato. E da scomunicato morirà, il 24 giu- gno del 1322, dichiarato eretico e scismatico da Giovanni XXII 53 . In questo contesto matura l’inchiesta che colpisce anche gli alleati di Matteo Visconti, in un primo momento non toccati dall’accusa di eresia. Il 6 aprile 1322 Aicardo, arcivescovo di Milano, Barnaba, priore della provincia della Lombardia superiore dei frati minori, e Pasio di Vedano, inquisitore, invitano a comparire gli aderenti ai Visconti di varie località della pianura padana: tra questi troviamo citati anche i loro alleati ver- cellesi, primi fra tutti Riccardo, Guala, Enrico, Giacomo Berloffa e Delfino Tizzoni, oltre a molti della loro parte 54 . Lo scopo dichiarato degli inquisitori è capire se e quanto gli alleati dei Visconti siano come loro da considerare eretici, e in caso affermativo decidere come proce- dere nei loro confronti. Questa fase del processo inizia in un momento particolarmente delicato per il fronte ghibellino: approfittando della malattia di Matteo Visconti, Giovanni XXII spera forse di spezzare il

52 BRT, Fondo Scarampi-Tizzoni, c. 2467. 53 Chronicon Astense cit., coll. 806-812, e F. C OGNASSO , I Visconti , Milano 1966, pp. 124-133. 54 G. F ERRARIS , La pieve di Santa Maria di Biandrate , Vercelli 1984, p. 669, doc. 1.

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fronte avversario. Esattamente un mese dopo, il 6 maggio, è pronuncia- ta la condanna: il gruppo di vercellesi è scomunicato ufficialmente e in contumacia, giacché si è ben guardato dal comparire al cospetto degli inquisitori 55 . Ci si può chiedere, a titolo di ipotesi, se non sia proprio in questo contesto che nasce il falso breve con cui papa Clemente V nomine- rebbe nell’agosto 1307 i Tizzoni fra i protagonisti principali della cro- ciata contro fra’ Dolcino 56 , arso vivo in Vercelli all’inizio di giugno dello stesso anno. In un momento tanto delicato come quello nato da un’accusa di eresia, forse i Tizzoni si sono preoccupati di cercare prove evidenti, o in loro assenza di crearne, per mostrare la loro tota- le adesione alla ortodossia cattolica, e soprattutto la loro fedeltà alla Santa Sede: e quale prova migliore della loro partecipazione a una cro- ciata contro gli eretici 57 ? E poco importa che in quel momento i Tizzoni fossero esuli da Vercelli e in rottura aperta con il vescovo e gli Avogadro, i veri protagonisti della crociata. La falsificazione non sem- bra comunque ottenere il risultato sperato: i Tizzoni vengono sciolti dalla scomunica solo nel 1328, e presumibilmente dopo l’elezione da parte di Ludovico il Bavaro dell’antipapa Niccolò V, avvenuta il 12 maggio di quell’anno. Non che i Tizzoni si fossero improvvisamente scoperti guelfi: molto più semplicemente, se pensiamo che il loro appoggio al Bavaro non aveva prodotto risultati evidenti e importanti, il riavvicinamento al papa può essere loro apparso un atto di opportu- no realismo politico 58 .

55 Op. cit. , p. 676, doc. 3. 56 Carte valsesiane fino al secolo XV conservate negli archivi pubblici a cura di C.G. MOR , Torino 1933 (BSSS 124), p. 171, doc. 67. 57 Si deve concordare con Ordano, che nel 1972 ha dimostrato la falsità di questo e altri documenti che si riferiscono alle vicende della lotta contro Dolcino, e ha bollato l’atto dell’11 agosto 1307 come “tanto grossolano da rasentare il ridicolo”, mentre Cognasso lo definisce una “spudorata falsificazione”. R. O RDANO , Dolcino , in “Bollettino Storico Vercellese”, I (1972), pp. 21-36; a p. 36 Ordano dichiara di aver volutamente trascurato nella redazione dell’articolo tre documenti pubblicati in F. TONETTI , Storia della Valsesia e dell’alto Novarese , Varallo 1875, pp. 350-353. Si veda anche F. C OGNASSO , Storia di Novara , Novara 1975, p. 303. 58 GABOTTO , Storia del Piemonte cit., p. 125 e M ANDELLI , Il comune di Vercelli cit., IV, pp. 197-198.

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La famiglia Tizzoni nella politica vercellese

7. Il ruolo dei Tizzoni nella dedizione ai Visconti del 1335

Dal 1322 al 1328, dunque dalla morte di Matteo Visconti alla calata del Bavaro, Vercelli è rimasta saldamente in mano ai ghibellini: lo dimo- stra chiaramente la serie dei podestà del comune, tutti appartenenti alla famiglia dei Visconti, o ad essi legati 59 . Per questi anni rimane testimo- nianza di una sola riunione del consiglio di Credenza, convocata il 16 settembre 1326 su ordine del podestà Ottone Visconti, per discutere del- l’imposizione di alcuni dazi 60 . Nell’elenco dei credendari sono attestati solo membri di famiglie ghibelline: Riccardo Tizzoni, Pietro Bondoni, Nicolino di Sonomonte, Giovanni di Castellengo, Giovanni Vialardi, Enrico di Masino, Enrico Tizzoni, Aimerico de Ghigalotis giudice, Guido di Pezzana, Pietro Bulla. Per quanto riguarda la politica vercellese di Ludovico il Bavaro rimandiamo all’intervento di Riccardo Rao, in questo stesso volume: noi ci limiteremo a ricordare che l’imperatore cerca di favorire con diverse concessioni i suoi alleati vercellesi, primi fra tutti i Tizzoni, e che secondo l’Azario avrebbe addirittura investito Riccardo Tizzoni e Sucio de Sonomonte della città di Vercelli, un’affermazione di cui non è facile stabilire la portata 61 . Dopo il fallimento del Bavaro la situa- zione politica non accenna a semplificarsi, e la discesa di Giovanni di Boemia scombina ulteriormente gli schieramenti. A Vercelli viene nominato podestà per il secondo semestre del 1331, in rappresentanza del marchese del Monferrato, il suo bastardo Giovanni, che instaura un regime di fatto dittatoriale, coadiuvato da 12 credenzieri da lui nominati, tutti appartenenti allo schieramento ghibellino: Riccardo Tizzoni in primis 62 , ma anche Giorgio Tizzoni, attestato tra i consoli di

59 Op. cit. , pp. 160-161. 60 ASV, OSA, pergamene, m. 1833. 61 Nel 1328 l’imperatore Ludovico il Bavaro investe Riccardo Tizzoni e Sucio de Sonamonte della città di Vercelli (A ZARIO , Liber gestorum cit., p. 311); nel 1329 i figli di Giacomo Berloffa, Bertolino e Francesco, ricevono da Ludovico, forse in un tentati- vo estremo di tener legati a sé alleati tanto fedeli, boschi e gerbidi posti nella diocesi di Vercelli tra le località di Ronsecco e Tricerro come risarcimento per aver combattuto nelle schiere imperiali, BRT, Fondo Scarampi-Tizzoni, c. 2468. 62 Essi sono: Riccardo Tizzoni, Giovanni Vialardi, Enrico di Masino, Pietro di Mandello, Francesco Vialardi, Francesco Tizzoni, Pietro di Albano, Ottone Lavezio,

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Simonetta Pozzati

giustizia del comune 63 . Sebbene la signoria del marchese di Monferrato fosse scaduta nel dicembre del 1331, è evidente come la presenza di Giovanni di Boemia in Italia l’abbia di fatto, se non di diritto, prolun- gata fino al 1334. Il 2 aprile viene ancora attestato come podestà un per- sonaggio legato al marchese, mentre il successivo 18 aprile Azzone Visconti, podestà di Vercelli, viene nominato signore generale della città 64 . Neanche un anno dopo, il 26 settembre 1335, nel palazzo del comu- ne di Vercelli, durante una riunione del consiglio di Credenza, Riccardo Tizzoni, “unus ex consciliaris dicti conscilii”, provvede a far sì che il consiglio di Credenza acconsenta a concedere tutta la potestà, il mero e misto impero e tutta la giurisdizione che compete al comune di Vercelli al “magnifico et potenti domino domino Azoni Vicecomiti, generali domino Mediolani, usque ad vitam”, ratificando formalmente la premi- nenza viscontea e palesando l’egemonia ghibellina, pur in un clima di pacificazione già avviato all’inizio dell’anno, quando Azzone, forte forse di un vasto consenso, concede diritti e risarcimenti agli Avogadro, tra i quali pure gli eredi di Simone Avogadro 66 . Anche in questo caso, come già nel 1334, è evidente che sono stati i Tizzoni a manovrare per questo rivolgimento, per non perdere i privilegi acquisiti durante la signoria di Teodoro Paleologo, in un momento in cui, essendosi il mar- chese nuovamente alleato con i guelfi, i ghibellini sentivano il pericolo di un riorientamento marchionale in grado di influire anche sugli equi- libri politici interni alla città 67 .

Aymerico de Ghigalotis , Guglielmo di Masino, Giovanni della Motta, Pietro Bulla, Pietro Scutario, Enrico Tizzoni, Giacomo Tizzoni e Tesauro Guidalardi. Per la seduta del 28 agosto 1331, M ANDELLI , Il comune di Vercellli cit., III, p. 47. 63 AST, Provincia di Vercelli, m. 8. Giorgio Tizzoni de Laude è attestato come con- sole di giustizia anche il 26 maggio 1330 (AST, Abbazia S. Andrea di Vercelli, m. 6). Ovviamente non possiamo essere del tutto certi che si tratti dello stesso personaggio attestato nel 1301, ma la persistenza del doppio cognome lo suggerisce: sopra, n. 27. 64 MANDELLI , Il comune di Vercelli cit., IV, p. 196. 65 Statuta cit., coll. 1499-1506. 66 AST, Archivio Avogadro di Collobiano della Motta, mazzo 65, 15 gennaio 1335. Si vedano anche I Biscioni cit., I/1, doc. 185. 67 Tale è il giudizio dato da G ABOTTO , Storia del Piemonte cit., p. 29.

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PAOLO GRILLO Università degli Studi di Milano ______

ISTITUZIONI E PERSONALE POLITICO SOTTO LA DOMINAZIONE VISCONTEA (1335-1402)

Il Trecento visconteo non ha goduto di grande fortuna, né fra gli stu- diosi vercellesi, né, più in generale, fra chi si è occupato della storia ita- liana dell’epoca. Dopo gli studi del Cognasso 1, in particolare, l’atten- zione verso la famiglia milanese e i suoi domini si è concentrata soprat- tutto sull’epoca del ducato e a lungo si è interpretata l’età precedente come un semplice, lungo prodromo ai più maturi sviluppi in senso sta- tale compiutisi sotto Gian Galeazzo e Filippo Maria. Solo di recente, alcuni ricercatori hanno iniziato ad occuparsi del XIV secolo 2, ma anche fra costoro bisogna osservare che pochi si sono spinti prima degli anni di Galeazzo e Bernabò (ossia, prima del 1354) 3 e che la maggior parte

1 Soprattutto F. C OGNASSO , Note e documenti sulla formazione dello stato visconteo , in “Bollettino della Società pavese di storia patria”, XXIII (1923), pp. 23-169 e I D., L’unificazione della Lombardia sotto Milano , in Storia di Milano della fondazione Treccani degli Alfieri , V, La signoria dei Visconti (1310-1392) , Milano 1955, pp. 3-567. 2 P. M AINONI , Economia e politica nella Lombardia medievale. Da Bergamo a Milano fra XIII e XV secolo , Cavallermaggiore 1994, M. D ELLA MISERICORDIA , Dividersi per governarsi: fazioni, famiglie aristocratiche e comuni in Valtellina in età viscontea (1335-1447) , in “Società e storia”, 86 (1999), pp. 715-766, A. G AMBERINI , Lo stato visconteo. Linguaggi politici e dinamiche costituzionali , Milano 2005. Una prima ricognizione è fornita da G. C ICCAGLIONI , Ricerche recenti sulla Lombardia viscontea , in “Società e storia”, 107 (2005), pp. 141-155. 3 Indispensabili per la prima età signorile sono le importanti ricerche di C. S TORTI STORCHI , Aspetti generali della legislazione statutaria lombarda in età viscontea , in Legislazione e società nell’Italia medievale. Per il VII centenario degli statuti di Albenga (1288) , Bordighera 1990, pp. 71-101, E AD ., Giudici e giuristi nelle riforme viscontee del processo civile per Milano (1330-1386) , in Ius Mediolani. Studi di storia del diritto mila- nese offerti dagli allievi a Giulio Vismara , Milano 1996, pp. 47-187, E AD ., Francesco Petrarca: politica e diritto in età viscontea , in Petrarca e la Lombardia , Atti del Convegno di studi, 22-23 maggio 2003, a cura di G. F RASSO , G. V ELLI , M. V ITALE , Roma-Padova 2005, pp. 77-121. Da un altro punto di vista, spunti interessanti offre anche P. B OUCHERON , Tout est monument. Le mausolée d’Azzone Visconti à San Gottardo in Corte (Milan, 1342- 1346) , in Liber largitorius. Études d’histoire médiévale offertes a Pierre Toubert par ses élèves , a cura di D. B ARTHÉLÉMY , J.-M. M ARTIN , Genève 2003, pp. 303-329.

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Paolo Grillo

degli studi è stata dedicata alla parte orientale del dominio (ossia quella soggetta a Bernabò): conosciamo dunque bene il governo di Bergamo, Reggio Emilia o Cremona 4, ma mancano ricerche aggiornate per quasi tutti i comuni occidentali 5. Le ricerche più recenti hanno avuto il grande merito di sottolineare la non linearità dello sviluppo del dominio visconteo, la pluralità delle scelte a disposizione di ognuno dei membri della famiglia, le differenze di ideologia e di comportamento politico che contraddistinsero i diversi signori succedutisi al potere 6. Per i primi due terzi del secolo, però, rimangono ancora quasi sconosciuti i modi con cui il dominio stesso veniva governato, i rapporti che intercorrevano tra i Visconti, Milano e le altre città soggette, i gruppi sociali con i quali i nuovi signori aveva- no contatti privilegiati e quelli che rischiavano di venir penalizzati 7, la capacità di intervento del nuovo potere nel consolidare o nel modifica- re i rapporti pregressi fra i comuni urbani e i loro contadi e, più in gene- rale, la percezione che i Visconti avevano del territorio a loro sottomes- so, ossia se questo venisse pensato come un’unità organica, come una sommatoria di distretti differenti o una semplice estensione della prece- dente area di egemonia milanese 8.

4 P. M AINONI , Le radici della discordia. Ricerche sulla fiscalità a Bergamo tra XIII e XIV secolo , Milano 1997, A. G AMBERINI , La città assediata. Poteri e identità politiche a Reggio in età viscontea , Roma 2003, M. G ENTILE , Dal comune cittadino allo stato regionale: la vicenda politica (1311-1402) , in Storia di Cremona. Il Trecento. Chiesa e cultura (VIII-XIV secolo) , a cura di G. A NDENNA , G. C HITTOLINI , Cremona 2008, pp. 260-301. 5 Con l’eccezione di alcune aree periferiche o di località minori: Metamorfosi di un borgo. Vigevano in età visconteo-sforzesca , a cura di G. C HITTOLINI , Milano 1992, Gli statuti medievali di Monza. Saggi critici , Milano 1993, D ELLA MISERICORDIA , Dividersi per governarsi cit., P. G RILLO , Istituzioni e società fra XII e XV secolo , in Storia di Voghera , I, Dalla preistoria all’età viscontea a cura di E. C AU , P. P AOLETTI , A.A. S ETTIA , Voghera 2003, pp. 165-224, I D., Bra sotto il dominio visconteo , in Storia di Bra dalle origini alla Rivoluzione francese , a cura di F. P ANERO , I, Savigliano 2007, pp. 280-294. 6 GAMBERINI , La città assediata cit., pp. 18-20. 7 Per l’età di Bernabò e di Gian Galeazzo si veda invece M AINONI , Economia e poli- tica cit. 8 Una prima ricognizione in quest’ultima direzione è offerta da F. C ENGARLE , Le arenghe dei decreti viscontei (1330ca-1447): alcune considerazioni , in Linguaggi poli- tici nell’Italia del Rinascimento , a cura di A. G AMBERINI , G. P ETRALIA , Roma 2007, pp. 55-88.

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Istituzioni e personale politico

In quest’ottica, è parso utile concentrare l’attenzione su un aspetto particolare, ma estremamente significativo della dominazione, studian- do il personale politico destinato a governare Vercelli a nome dei Visconti. In Italia, tale filone di ricerche ha ormai dimostrato le sue potenzialità sia con alcune indagini sulle realtà statali del pieno Quattrocento 9, sia, soprattutto, con la vasta ricerca coordinata da Jean- Claude Maire Vigueur sui podestà dell’età comunale, che ha visto la luce nel 2000 10 . I due fondamentali volumi hanno potuto popolare le ricostruzioni delle vicende politico-istituzionali dell’Italia duecentesca di figure dai profili definiti, restituendo ai protagonisti del governo urbano i loro diversi retroterra di formazione culturale, esperienza pro- fessionale, abilità personali e, non ultime, idee politiche 11 . Anche per la prima età signorile un simile approccio di ricerca si è rivelato assai fruttuoso, sia per la comprensione delle dinamiche locali, sia per lo studio del processo e delle modalità di costruzione dei domi- ni sovracittadini 12 . In primo luogo, dal punto di vista delle comunità soggette, le caratteristiche dei rettori nominati dai signori rappresenta- vano un importante segnale di continuità o di discontinuità rispetto al passato autogoverno, poiché era possibile che i domini rispettassero la tradizione preesistente, continuando a rivolgersi a bacini di arruolamen- to consolidati, o, al contrario, imponessero drastici cambiamenti, ad esempio affidando gli incarichi a loro protetti, a personaggi di estrazio- ne rurale anziché urbana o addirittura provenienti da aree estranee all’Italia comunale 13 . Ancora, verificare se gli statuti urbani venivano

9 F. L EVEROTTI , Diplomazia e governo dello Stato: i Famigli cavalcanti di Francesco Sforza. 1450-1466 , Pisa 1992. 10 I podestà dell’Italia comunale , parte I, Reclutamento e circolazione degli ufficia- li forestieri (fine XII sec. – metà XIV sec.) , a cura di J.-C. M AIRE VIGUEUR , 2 voll., Roma 2000 (Nuovi studi storici, 51 – Collection de l’École française de Rome, 268). 11 Mi si permetta di rimandare a P. G RILLO , I podestà dell’Italia comunale: recenti studi e nuovi problemi sulla storia politica e istituzionale dei comuni italiani nel Duecento , in “Rivista storica italiana”, CXV (2003), pp. 556-590. 12 Per due esempi: P. G RILLO , Un dominio multiforme. I comuni dell’Italia nord- occidentale soggetti a Carlo I d’Angiò , in Gli Angiò nell’Italia nord-occidentale (1259- 1382) , a cura di R. C OMBA , Milano 2006, pp. 31-101, I D., Un’egemonia sovracittadina: la famiglia della Torre di Milano e le città lombarde (1259-1277) , in “Rivista storica ita- liana”, 120 (2008), pp. 694-730. 13 Così, ad esempio, gli Angiò rispettarono i precedenti meccanismi di designazione

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Paolo Grillo

rispettati ai sensi della durata e della reiterazione degli incarichi può offrire notizie significative sul rispetto che i signori intendevano accor- dare alla normativa locale e sul tipo di rapporto che volevano costruire con le comunità 14 . Pure dal punto di vista del governo signorile, d’altro canto, l’analisi del personale politico locale può fornire importanti informazioni sul ruolo predominante o meno di alcune località, sull’esistenza di rapporti privilegiati fra il signore e determinati gruppi sociali, sull’importanza dei legami personali, delle clientele, delle parentele nella costituzione del nucleo dei principali collaboratori del dominus 15 . Nel caso del dominio visconteo, in particolare, è di grande interesse verificare la validità del- l’affermazione del Cognasso, che vi “fu ovunque una vera invasione di milanesi – o tali veramente od elementi colà stanziatisi – podestà, giudi- ci, castellani etc.” anche se, sempre secondo lo studioso torinese, “appli- cando dei criteri rigidamente livellatori, i Visconti unirono all’elemento milanese gli elementi provenienti dalle varie città del dominio o da altre regioni magari, senza distinzione di sorta, solo pensierosi di formarsi una classe di esecutori di ordini, strettamente fedeli ed obbedienti” 16 .

1. I podestà nell’edificio politico visconteo

Almeno per i primi decenni del Trecento, il controllo sulla nomina dei podestà rappresentò la chiave dell’effettivo potere esercitato dai Visconti sulle città assoggettate e il tramite del dialogo fra il governo dei

del personale politico in Lombardia, mentre in Piemonte imposero rettori per lo più estratti dall’aristocrazia militare provenzale: G RILLO , Un dominio multiforme cit. 14 Sul problema della vigenza e del rispetto effettivo della normativa statutaria, basti qui il rimando a G. C HITTOLINI , La validità degli statuti cittadini nel territorio (Lombardia, sec. XIV-XV) , in “Archivio storico italiano”, CLX (2002), pp. 47-78 e alla bibliografia ivi citata. 15 G. C ASTELNUOVO , Ufficiali e gentiluomini. La società politica sabauda nel tardo medioevo , Milano 1994, G. M. V ARANINI , Reclutamento e circolazione dei podestà fra governo comunale e signoria cittadina: Verona e Treviso , in I podestà dell’Italia comu- nale cit., I, pp. 169-201, G RILLO , Un dominio multiforme cit., pp. 59-68, R. R AO , La cir- colazione degli ufficiali nei comuni dell’Italia nord-occidentale durante le dominazioni angioine del Trecento. Una prima messa a punto , in Gli Angiò nell’Italia nord-occiden- tale cit., pp. 229-290. 16 COGNASSO , Note e documenti , p. 64.

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signori e le élites locali 17 . Questi ufficiali vennero poi affiancati dai castellani, a cui era attribuita la custodia delle fortezze cittadine, e, verso la metà del secolo, dai cosiddetti referendari, ufficiali destinati a veglia- re sull’amministrazione fiscale e sulla gestione finanziaria 18 . Costoro, però, non minarono il ruolo dei podestà, limitandosi a collaborare con loro e a integrarne le prerogative. Prima di procedere all’analisi dei podestà viscontei di Vercelli, sof- fermiamoci un istante sul loro ruolo nel governo cittadino. I patti di sot- tomissione della città ad Azzone prevedevano esplicitamente che egli potesse “delegare suum merum et mistum imperium alii et aliis secun- dum quod eo domino placuerit” e che i salari dei podestà e rettori pre- senti e futuri nominati da Azzone fossero retribuiti dal comune 19 . Il ruolo del principale ufficiale urbano venne poi definito dagli statuti riformati nel 1341 20 . Si noti, innanzitutto, che l’incarico era molto ben pagato, tanto da renderlo sicuramente appetibile per i membri dell’ari- stocrazia milanese. Gli statuti prevedevano infatti un lauto stipendio di ben 2.500 lire al semestre (erano 700 all’anno nel Duecento), anche se bisogna considerare che la somma includeva anche i pagamenti dovuti alla numerosa familia che accompagnava l’ufficiale. Per assicurare il governo della città, infatti, questi doveva contare su un folto nucleo di collaboratori, che includeva cinque giudici, 12 fra cavalieri e scudieri e due cuochi. Egli doveva portare con sé 10 cavalli, di cui quattro da guer- ra. A spese del comune, si sarebbe poi procurato 30 fanti assoldati, gui- dati da un connestabile. La forza militare di cui il podestà disponeva non era dunque trascurabile, soprattutto se ad essa si aggiungevano i 40 fanti che presidiavano il castello agli ordini del castellano 21 . Il podestà nel suo governo doveva attenersi al dettato degli statuti,

17 GAMBERINI , La città assediata cit., pp. 27-36. 18 M. T AGLIABUE , La politica finanziaria del governo di Gian Galeazzo Visconti , in “Bollettino della società pavese di storia patria”, XV (1915), pp. 19-75, C. S ANTORO , Gli offici del comune di Milano e del dominio visconteo-sforzesco (1216-1515) , Milano 1968, pp. 213-216 e 231-232. 19 R. O RDANO , I Biscioni. Nuovi documenti e regesti cronologici , Torino 2000 (BSS, 216), doc. 15, pp. 65-68, a p. 66. 20 Statuta generalia Vercellarum , Vercelli 1541. 21 Lo stesso numero di fanti posti a guardia della fortezza è indice della relativa insi- curezza della posizione viscontea in città; nel primo Quattrocento la forza del presidio

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sopra i quali era tenuto a giurare all’inizio del suo mandato, e al termi- ne dell’incarico veniva sottoposto a sindacato – ossia all’analisi del suo operato alla ricerca di eventuali mancanze o scorrettezze – da parte delle autorità cittadine. Non poteva modificare il dettato degli statuti senza il consenso del consiglio comunale e neppure nominare altri ufficiali urba- ni di propria iniziativa. Il suo incarico era semestrale e non poteva veni- re iterato prima che passassero tre anni 22 . In teoria, dunque, l’operato del podestà era sottoposto a rigidi vincoli; in pratica, però, i Visconti pote- vano autorizzarlo a ignorare i divieti imposti dallo statuto: come vedre- mo, le norme sulla durata e sulla ripetizione dell’incarico erano fre- quentemente disattese, mentre solo indagini più approfondite potranno verificare il ruolo dei podestà nella quotidiana prassi amministrativa 23 . Nell’edificio politico visconteo il podestà aveva in primo luogo il compito di assicurare il dialogo fra i comuni soggetti e i domini . In città l’ufficiale interagiva con i consigli cittadini, che presiedeva e di cui poteva condizionare lo svolgimento, soprattutto dettandone l’ordine del giorno 24 . Si noti che, sebbene i Visconti avessero tentato di favorire nella maggior parte delle città a loro soggette lo sviluppo di consigli ristretti (dei sapienti) a scapito di quelli larghi 25 , a Vercelli le riunioni del consiglio maggiore (la “credenza”) risultano attestate per buona parte del Trecento, a riprova di una buona vitalità dell’organismo assemblea- re, che aveva il potere di confermare o respingere i pareri dei sapienti 26 .

fu dimezzata a soli 20 uomini: T. Z AMBARBIERI , Castelli e castellani viscontei. Per la storia delle istituzioni e dell’amministrazione ducali nella prima metà del XV secolo , Bologna 1988, p. 38. 22 Statuta generalia cit., pp. 1r-6r, 13r. 23 Data l’assenza, a mia conoscenza, di documenti simili negli archivi vercellesi, può essere interessante segnalare la lettera con cui il 4 gennaio 1378 Gian Galeazzo Visconti, saputo del buon operato di Francesco Scotti come podestà a Vercelli, lo conferma anche per il II semestre, ma gli fa sapere di non poter rimettergli né il costo del sigillo, né quel- lo della casa, perché quei prelievi gravano sulle entrate ordinarie che Galeazzo II suo padre gli ha lasciato e se egli li rimettesse a lui, dovrebbe farlo anche con gli altri pode- stà. A RCHIVIO DI STATO DI REGGIO EMILIA , Archivi Privati, Archivio Malaspina Torello Scotti, Cartulario Scotti (sec. XV), f. 226, 1378 gennaio 4, Pavia. Ringrazio Andrea Gamberini per la gentile segnalazione. 24 S. B ERENGO , L’Europa delle città. Il volto della società urbana europea tra Medioevo ed Età moderna , Torino 1999, pp. 39-40. 25 STORTI STORCHI , Aspetti generali della legislazione statutaria cit., pp. 96-100. 26 Interazioni fra i podestà e il consiglio maggiore sono ad esempio attestate in

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Il rettore signorile doveva dunque rendere conto del suo agire a un’as- semblea ampia e rappresentativa, fatto che sicuramente non mancò di condizionarne l’operato. Con il consolidamento del dominio visconteo e la conseguente stabilizzazione politica scomparirono invece quelle forme di rappresentanza esterne alle istituzioni comunali, come la società del Popolo o la società di Giustizia, che avevano caratterizzato i decenni precedenti 27 . Più complicati dovevano essere i rapporti con i domini . Questi inte- ragivano con le città soggette soprattutto tramite lettere e decreti da loro inviati, ma, come ha rilevato Andrea Gamberini, a causa della scarsa organizzazione della cancelleria e dei suoi archivi i Visconti non avevano il pieno controllo sui privilegi e gli ordini da loro stessi emanati, che spesso risultavano contraddittori 28 . Nel complesso rap- porto fra città, comunità del contado e famiglie signorili si creavano così ingarbugliate vertenze, in cui ciascuna delle parti era in grado di mostrare rescritti viscontei che avvaloravano la propria posizione. Nell’Archivio storico civico di Vercelli non manca una bella serie di esempi in tal senso 29 . Si noti che in questi casi, di norma il podestà si faceva fautore e portavoce degli interessi della comunità urbana da lui governata e che, di conseguenza, spesso la decisione nella lite finiva col venir avocata direttamente a Milano, dai signori stessi o dai loro ufficiali diretti 30 .

ORDANO , I Biscioni cit., pp. 147-150, doc. 11; A RCHIVIO STORICO CIVICO DI VERCELLI (d’ora in poi ASCVc), Pergamene , mazzetta 10, 1340 marzo 21, mazzetta 11, 1347 [...] 14, 1349 dicembre 4, 1353 maggio 26. 27 Si veda in questo stesso volume il contributo di R. Rao. 28 A. G AMBERINI , Istituzioni e scritture di governo nella formazione dello stato visconteo , in I D., Lo stato visconteo cit., pp. 35-67. 29 Si segnala in particolare la vertenza che nel 1343 vide il comune opposto a Ottone di Azeglio per il pagamento del fodro, nel corso della quale le due parti esibirono una serie di lettere signorili palesemente contraddittorie (ASCVc, Pergamene , mazzetta 10, 1343 giugno 4): cfr. in questo stesso volume il contributo di A. Barbero, testo corri- spondente alle nn. 99-101. 30 Così, ad esempio, la causa citata nella nota precedente venne infine attribuita al giudizio del vicario generale dei domini a Milano, Giacomo Stricto. La curia dei giudi- ci e dei vicari signorili fu istituita prima del 1339 e operava in forma stragiudiziale e inappellabile: S TORTI STORCHI , Giudici e giuristi cit., pp. 103-105, E AD ., Francesco Petrarca cit., pp. 84-85.

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2. Gli anni di Azzone (1335-39)

È opportuno ora esaminare più dettagliatamente chi erano i podestà vercellesi di nomina viscontea, come venivano scelti e come evolvette la loro figura nel corso degli anni. Vercelli si consegnò nelle mani di Azzone Visconti il 26 settembre del 1335, quando il potere già detenu- to dal signore di Milano a partire dalla primavera dell’anno precedente venne reso perpetuo dal consiglio generale del comune, presieduto dal podestà Giovanni da Bizzozzero, un fedelissimo del Visconti 31 . Azzone si presentava di solito come signore-pacificatore, il cui intento era supe- rare le divisioni di parte e ricostruire i fondamenti di una pacifica con- vivenza civile, sotto la sorveglianza del nuovo signore 32 . A Vercelli, però, vi furono difficoltà supplementari, dato che il cronista Galvano Fiamma afferma che Azzone “contrariamente alle sue abitudini, non diede pace a questa città”. Gli accordi con gli Avogadro, già banditi nel 1334, non servirono probabilmente a tranquillizzare del tutto la situa- zione 33 . Forse in conseguenza del perdurante stato di tensione, negli anni di Azzone le podesterie furono lunghe e affidate a uomini di particolare fiducia, come Giovanni da Bizzozzero, che fu il protagonista della sot- tomissione di Vercelli e di gran parte delle prime conquiste viscontee. Già podestà di Novara nel 1331 e fra 1333 e 1334, dopo due anni di mandato vercellese (1335-36) nel 1337 fu inviato quale podestà a Cremona e nell’anno successivo fu a Brescia, primo rettore della città dopo la conquista viscontea; seguì, nel biennio 1339-40, la podesteria di Bergamo. Terminò la sua carriera con incarichi militari, quale capitano

31 Cfr. sopra, nota 19. Per il contesto: C OGNASSO , L’unificazione della Lombardia cit., p. 261. 32 COGNASSO , Note e documenti cit. Si vedano anche le recenti osservazioni di N. COVINI , Castellani e castellanie del ducato visconteo-sforzesco , in De part et d’autre des Alpes: les châtelains des princes a la fin du Moyen Âge , Actes de la table ronde de Chambéry, 11 et 12 octobre 2001, a cura di G. C ASTELNUOVO , O. M ATTEONI , Paris 2006, pp. 113-152, qui a p. 117. 33 GALVANEI DE LA FLAMA Opusculum de rebus gestis ab Azone, Luchino et Johanne Vicecomitibus ab anno MCCCXXVIII usque ad annum MCCCXLII , a cura di C. CASTIGLIONI , Bologna 1938 ( RIS 2, XII/4), p. 11. Per le mosse amichevoli di Azzone nei confronti degli Avogadro si veda il contributo di Alessandro Barbero in questo stesso volume, par. 4b.

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generale dell’esercito sia per Luchino, sia per Giovanni, sia per Bernabò Visconti. Altro personaggio di fiducia fu Bonriolo da Castelletto, che resse Vercelli per oltre due anni dal 1338 al primo semestre del 1340, dopo una lunga carriera che l’aveva visto podestà di Novara nel 1317, nel 1322 e nel 1328-29, nonché della Valtellina nel 1336. La sua carrie- ra finì precocemente, poiché nel 1340 fu coinvolto nella fallita congiu- ra antiviscontea promossa da Francesco Pusterla e, rimosso repentina- mente dalla podesteria vercellese, fu imprigionato e messo a morte 34 . Per la scelta degli ufficiali potevano però essere predominanti anche motivazioni più squisitamente politiche, come dimostra la nomina di Gasparino dei Grassi di Cantù a podestà di Vercelli nel 1337. Solo due anni prima, infatti, Azzone aveva ricondotto i Grassi all’obbedienza signorile, dopo che per quasi un decennio essi avevano governato auto- nomamente il grosso borgo brianzolo, tentando anche di impadronirsi di Como per creare un proprio dominio nella Lombardia settentrionale 35 . La riconquista di Cantù era stata incruenta ed è probabile che l’incarico a Gasparino abbia rappresentato un segno dell’immediata riammissione della famiglia nelle grazie del dominus , nonché una ricompensa per la mancata resistenza al ritorno milanese. Egli peraltro doveva essere dota- to anche di buone capacità di governo, dato che era già stato podestà di Piacenza fra 1336 e 1337 e vi tornò nel 1338-1339 36 .

3. Gli anni di Luchino e Giovanni (1339-1354)

Alla morte di Azzone Visconti il potere passò a Giovanni, vescovo di Novara, e Luchino. Essi riuscirono a riavvicinarsi al papa, che nel 1341 concesse a entrambi il vicariato imperiale su Milano e nel 1342 nominò il primo arcivescovo della sede ambrosiana 37 . I due signori cercarono anche la legittimazione della popolazione di Milano, ottenendone l’in-

34 Si veda l’ Appendice prima. 35 Da ultimo si veda P. G RILLO , Rivolte antiviscontee a Milano e nelle campagne fra XIII e XIV secolo , in Rivolte urbane e rivolte contadine nell’Europa del Trecento. Un confronto , a cura di M. B OURIN , G. C HERUBINI , G. P INTO , Firenze 2008, pp. 197-216, alle pp. 211-212. 36 Si veda l’ Appendice prima. 37 COGNASSO , L’unificazione della Lombardia cit., p. 292. Sull’attività di Giovanni quale arcivescovo: R. C ADILI , Giovanni Visconti arcivescovo di Milano , Milano 2007.

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vestitura in consiglio generale 38 . Negli anni di Luchino si ebbe la prima grande espansione viscontea in Piemonte, aperta il 9 agosto 1342, dalla sottomissione di Asti e culminata fra il 1347 e il 1348 con la conquista di Alba, Mondovì, Cuneo e Cherasco. La morte di Luchino, nel 1349, segnò la fine di questo tumultuoso allargamento del dominio 39 . Giovanni governò poi da solo fino alla sua scomparsa, avvenuta il 5 ottobre 1354. Il dominio fu spartito fra i tre nipoti, Matteo (morto però dopo meno di un anno), Bernabò e Galeazzo. A quest’ultimo toccarono le terre occidentali, fra cui Vercelli, che rimase nelle sue mani fino al 1373 40 . Un’analisi della durata e dei rinnovi degli incarichi podestarili porta a concludere che la situazione vercellese sembra esser stata abbastanza tranquilla durante il dominio di Luchino, Giovanni e Galeazzo. Il perio- do qui preso in considerazione è di 33 anni, ma per cinque di essi non è noto il nome del podestà. Sui 28 anni rimanenti, si possono contare 31 differenti podesterie, affidate a 26 personaggi diversi (cinque, infatti, reiterarono la carica), con una durata media dell’ufficio inferiore all’an- no. La lettera degli statuti, che prevedeva una durata semestrale, non era rispettata, ma è comunque evidente che vi era un ricambio frequente, che doveva impedire un eccessivo radicamento locale degli ufficiali e la formazione di blocchi di clientele e di favoritismi. Pochissimi incarichi ebbero durata superiore all’anno, e anche ciò avvenne solo in caso di situazioni di particolare emergenza, solitamente in occasione delle non infrequenti guerre contro i Monferrato e i Savoia 41 . La provenienza degli ufficiali mandati a reggere Vercelli conferma le note lamentele dell’Azario 42 e le parole del Cognasso, già ricordate, sulla diffusione capillare dei Milanesi negli incarichi di governo del dominio 43 .

38 F. S OMAINI , Processi costitutivi, dinamiche politiche e strutture istituzionali dello Stato visconteo-sforzesco , in Comuni e signorie nell’Italia settentrionale. La Lombardia , Torino 1998 ( Storia d’Italia diretta da G. G ALASSO , vol. VI), pp. 681-786, pp. 715-717. 39 COGNASSO , L’unificazione della Lombardia cit., p. 322. 40 COGNASSO , L’unificazione della Lombardia cit., pp. 361-364. 41 Si veda l’ Appendice prima. 42 PETRI AZARII Liber gestorum in Lombardia , a cura di F. C OGNASSO , Bologna, s.d. (RIS 2, XVI), p. 70. 43 Sopra, nota 16.

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Su 26 rettori noti fra 1339 e 1372, ben 19 furono milanesi (il 73%), spes- so appartenenti a famiglie che già avevano avuto una lunga tradizione quali fornitrici di podestà, sin dall’età comunale, come i Mandelli, i Pietrasanta, i Pirovano, i Burri 44 . Si trattava di figure rassicuranti per i rap- presentanti del comune vercellese, compartecipi di una lunga tradizione di governo cittadino, al quale erano certamente meno estranei, ad esempio, dei nobili monferrini imposti dal marchese Teodoro I durante la sua breve supremazia sulla città negli anni 1331-1333 45 . I non milanesi rappresentavano un gruppo poco omogeneo, anche se è evidente che la maggior parte di loro ottenne l’incarico per le proprie spiccate attitudini militari. Due, il bolognese Taddeo Pepoli e il verone- se Bartolomeo dal Verme (rettori rispettivamente nel 1363 e nel 1372), erano veri condottieri, inviati a difesa della città minacciata durante le guerre fra i Visconti e i principi piemontesi coalizzati. Altri due, Guglielmo e Giovanni Pelavicini, dovevano essere comunque vocati in tal senso 46 . Maffeo Foresti e Febo Anguissola erano invece esponenti di due famiglie, rispettivamente di Bergamo e di Piacenza, di solide radici ghibelline e filoviscontee 47 . Si noti che i due Pelavicini erano gli unici esponente dell’aristocrazia rurale, mentre tutti gli altri erano di tradizio- ne schiettamente urbana. La maggior parte dei podestà nominati a Vercelli era composta da personaggi esperti e dotati di competenze di governo. Pochi erano i giu- risperiti, mentre molti rettori portavano il titolo di “cavaliere addobba- to”. Ricostruendo l’attività professionale dei podestà vercellesi, si può constatare che quasi tutti esercitarono incarichi in più città nel corso della loro vita, talvolta alternandoli ad altri uffici di governo o militari al servizio dei Visconti. Si possono così ricostruire delle vere e proprie carriere podestarili, che talvolta, per numero di incarichi, poco hanno ad invidiare a quelle dei rettori di età comunale, anche se geograficamente sembrano esser state limitate entro i confini del dominio visconteo.

44 Si veda l’ Appendice prima. Su queste famiglie: P. G RILLO , Milano in età comu- nale (1183-1276). Istituzioni, società, economia , Spoleto 2001, ad indicem . 45 P. G RILLO , Il governo del marchesato , in “Quando venit marchio Grecus in terra Montisferrati”, L’avvento di Teodoro I Paleologo nel VII centenario (1306-2006) , a cura di A.A. S ETTIA , Casale Monferrato 2008, pp. 103-118. 46 Si veda oltre, testo corrispondente alle note 80 e 90. 47 Si veda l’ Appendice prima.

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Come si può vedere dagli esempi presentati nell’Appendice seconda, in un ideale cursus honorum funzionariale, Vercelli si situava fra i primi incarichi attribuiti, preceduta spesso da uffici in località del contado. Come Como, Novara o Tortona, Vercelli era una città di dimensioni non eccessive ed era relativamente tranquilla, per cui poteva essere assegna- ta a personaggi all’inizio della carriera, che poi avrebbero terminato in ruoli di maggior responsabilità nelle più grandi e ricche realtà del domi- nio, come Cremona, Piacenza o Pavia o in un centro sempre turbolento per i conflitti di fazione, quale Bergamo. Ovviamente, le capacità personali svolgevano un ruolo di rilievo nella scelta, soprattutto in occasione di eventi o di decisioni particolar- mente delicate, come alcuni esempi possono dimostrare. Nel 1341 Luchino e Giovanni Visconti promossero la revisione degli statuti di Vercelli e la realizzazione di un nuovo codice che sosti- tuisse quello duecentesco, “ad amplificationem reverentie, honoris et laudis magnificorum dominorum Iohannis atque Luchini de Vicecomitibus” 48 . I Visconti, in effetti, annettevano grande importanza a tale prassi. La revisione degli statuti urbani segnò la loro presa di dominio nella gran parte delle città, dalla stessa Milano (1330) a Bergamo (1333), a Como (1335) e a molti altri centri minori 49 . È pro- babile che a Vercelli la redazione del 1341 abbia segnato la definitiva affermazione del nuovo dominio, dopo i problemi incontrati da Azzone, e la riuscita pacificazione con quell’aristocrazia guelfa che, come ha messo in evidenza Alessandro Barbero, ottenne dai Visconti protezione e legittimazione 50 . Non ci si soffermerà in questa sede sui contenuti della riforma nor- mativa, qui oggetto dell’analisi di Elisa Mongiano 51 . A sovrintendervi, quale podestà non venne posto un giurista – questo fu probabilmente il ruolo spettante al suo vicario, il parmigiano Sandrino Spadarecta – ma un uomo di assoluta fiducia dei Visconti, Protasio Caimi. Il Caimi infat- ti si era distinto nella battaglia di Parabiago, combattuta nel 1339 da

48 Statuta generalia Vercellarum cit., primo foglio non numerato. 49 STORTI STORCHI , Aspetti generali della legislazione statutaria cit., E AD ., Giudici e giuristi cit. 50 Si veda il contributo di Alessandro Barbero in questo stesso volume. 51 Si veda il contributo di Elisa Mongiano, in questo stesso volume.

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Azzone contro il tentativo di usurpazione da parte di Loderisio Visconti; in quell’occasione venne anche addobbato cavaliere 52 . Dopo l’incarico vercellese fu podestà di Como nel 1342 e di Asti probabilmente nel 1343. In seguito ebbe incarichi di grandissima responsabilità nel gover- no del dominio e, secondo la testimonianza dell’Azario, diventò poi uno dei consiglieri più fidati di Galeazzo II 53 . Nel 1342 scoppiò un duro conflitto fra Luchino e il vescovo di Vercelli, Lombardo della Torre 54 , che portò a scontri armati e all’inva- sione delle signorie episcopali e di Biella da parte delle forze viscon- tee 55 . La responsabilità dell’azione fu affidata a un altro personaggio di rilievo, ossia Paganino da Bizzozzero, noto soprattutto per la sua amici- zia con Francesco Petrarca. Egli non era privo di esperienza, dato che era già stato podestà di Bergamo nel 1340. In seguito fu rettore di Cremona, nel primo semestre del 1346, e nella seconda metà dello stes- so anno divenne fu il primo podestà visconteo di Parma, dopo la con- quista da parte di Luchino Visconti 56 .

4. Galeazzo II e la crisi del dominio visconteo (1354-1373)

Sebbene nelle scelte dei podestà si possa istituire una continuità fra il periodo di Giovanni e Luchino e i primi anni del dominio di Galeazzo II, i rapporti di quest’ultimo con la città furono profondamente segnati dal peggioramento del quadro politico nazionale, con la formazione di una serie di grandi coalizioni antiviscontee che, sebbene puntassero principal- mente all’eliminazione di Bernabò, non mancarono di coinvolgere anche la parte occidentale del dominio 57 . In più occasioni, dunque, Vercelli venne a trovarsi in prima linea, minacciata in particolare dalle velleità espansionistiche dei marchesi di Monferrato e dei conti di Savoia.

52 GALVANEI DE LA FLAMA Opusculum cit., p. 29. 53 Si veda l’ Appendice prima. 54 CADILI , Giovanni Visconti cit., p. 111. 55 Nel 1342, infatti, Lombardino scomunicò il Bizzozzero, reo di “fecisse exercitum contra dictum episcopum sepedictum ac eciam contra certas terras et loca ac homines ecclesie Vercellensis”. Il provvedimento fu revocato l’anno successivo: ASCVc, Pergamene , mazzetta 10, 1343 aprile 24. 56 Si veda l’ Appendice prima. 57 COGNASSO , L’unificazione della Lombardia cit., pp. 364-450.

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Già nel 1356 la guerra investì il Piemonte, dove si formò una coali- zione di signori locali decisi a sbarazzarsi del predominio milanese, che riuniva i marchesi del Carretto, Giovanni II Paleologo di Monferrato, Tommaso II di Saluzzo, Amedeo VI di Savoia e la regina Giovanna d’Angiò. L’offensiva dei coalizzati portò a un’impressionante serie di successi: a gennaio, i marchesi del Carretto riprendevano Ceva e altri centri minori, mentre contemporaneamente Giovanni II Paleologo di Monferrato si impadroniva di Asti, Alba e Mondovì e, a febbraio, Tommaso II di Saluzzo entrava in Cuneo. Nel Piemonte meridionale, soltanto Bra, isolata, rimase nelle mani dei Visconti 58 . Dal 1356 al 1358, dunque, Vercelli si trovò direttamente esposta all’of- fensiva dei principi piemontesi, che nel 1357 giunsero a conquistare anche Novara, arresasi senza combattere grazie a un colpo di mano delle famiglie antiviscontee 59 . L’offensiva diplomatica lanciata dal marchese Giovanni di Monferrato verso le antiche fazioni guelfe e popolari coin- volse anche Vercelli, dove gli Avogadro, appoggiati anche dal vescovo Giovanni, tentarono di aprire le porte ai coalizzati; il podestà però reagì prontamente, facendo presidiare massicciamente le mura, sicché il tenta- tivo fallì e le forze marchionali dovettero ritirarsi 60 . Gli Avogadro furono conseguentemente colpiti da bando e allontanati dalla città 61 , mentre molti ostaggi furono portati a Milano, dove ancora si trovavano nel 1360 62 . Rimasta assieme a Bra quale unica enclave viscontea in Piemonte, Vercelli si trovò in prima linea nei duri scontri degli anni seguenti. In conseguenza del fallito colpo di mano guelfo, nel 1357 il territorio ver- cellese fu saccheggiato dalla Grande Compagnia del conte di Landau, che prese Gattinara e Arborio e per tutto l’inverno combatté ai margini del Canavese 63 . Secondo il Corio, Vercelli subì poi un vero e proprio

58 GRILLO , Bra sotto il dominio visconteo cit. 59 Cronica di MATTEO VILLANI a miglior lezione ridotta coll’aiuto dei testi a penna , III, Firenze 1847, p. 257. 60 Cronica cit., p. 258. Per la posizione del vescovo: F. G ABOTTO , L’età del Conte Verde in Piemonte secondo nuovi documenti (1350-1383) , in “Miscellanea di storia ita- liana”, XXXIII (1895), pp. 75-333, qui a p. 96. 61 B. C ORIO , Storia di Milano , a cura di A.M. M ORISI GUERRA , vol. 1, Torino 1979, p. 843. 62 AZARII Liber gestorum cit., p. 157. 63 AZARII Liber gestorum cit., pp. 87-88.

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assedio, nel corso del 1358 64 . Dopo tre anni il conflitto si concluse per l’estenuazione delle due parti, come efficacemente racconta Matteo Villani: “quasi per spazio di tre anni era continovata la guerra da’ signo- ri di Milano a’ collegati lombardi, nella quale erano i signori di Mantova, di Ferrara e di Bologna e il marchese di Monferrato, Genova e Pavia ... e come che la possanza de’ signori di Milano fosse grandissi- ma, pure avevano perduto la maggior parte delle terre che tenere solea- no nel Piemonte, e Novara, Como, Pavia e Genova e Savona ... ma tutto che queste terre fossero loro tolte, per loro entrata e potenza conducea- no gente d’arme e nuove osti faceano avendo più forza l’un dì che l’al- tro, almeno in apparenza” 65 . Fra il giugno e l’agosto del 1358 si arrivò a una pace che restituiva Alba, Ceva e Novara a Galeazzo. Anche Asti avrebbe dovuto tornare al Visconti, ma Giovanni di Monferrato si rifiutò di cederla 66 . In queste circostanze difficili, la difesa di Vercelli fu indubbiamente un successo per il governo visconteo. Protagonisti del periodo furono in effetti tre rettori particolarmente vocati in senso militare. Fu questo il caso di Ambrosolo Trivulzio, podestà nel 1356; egli aveva già governa- to Cremona nel 1350: era dunque un uomo di provata esperienza che, contrariamente al solito, venne inviato nella critica posizione vercellese dopo aver avuto esperienza in una città assai più grande 67 . Anche Gianazzo Aliprandi, che lo sostituì, era esponente di una famiglia che stava costruendo la sua ascesa sociale grazie all’arte delle armi 68 . Nel 1358, infine, si trova in carica Giovannolo da Pirovano, che aveva già retto la città nel 1353 e che quindi doveva ben conoscere la situazione locale, potendo forse contare su appoggi e clientele fidate. Egli vi rima- se infatti per un intero biennio, fra il 1358 e il 1359. La sua buona prova locale fu compensata da una brillante carriera successiva, che dopo la podesteria di Piacenza, nel primo semestre 1355, lo vide governare Novara nel 1360, nel 1362 (ancora una volta in una posizione di grande

64 CORIO , Storia di Milano cit., I, p. 797. 65 Cronica cit., p. 310. 66 COGNASSO , L’unificazione della Lombardia cit., p. 399. 67 Si veda l’ Appendice prima. 68 Pinalla Aliprandi era stato comandante militare per Azzone Visconti e operò contro l’usurpatore Lodrisio nel 1337: C ORIO , Storia di Milano cit., I, p. 739.

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responsabilità, dato che dovette fronteggiare la minaccia della Bianca Compagnia inglese), nel 1368-69 e nel 1370, nonché Pavia nel 1361 69 . La perdurante conflittualità col marchese Giovanni II Paleologo fece sì che Vercelli continuasse a trovarsi impegnata in una logorante guerra di confine. Nel 1360, infatti, le truppe viscontee utilizzarono la città quale base per una serie di puntate offensive verso terre del Monferrato e del Canavese 70 , alle quali non mancarono le risposte, come attestano i provvedimenti presi dal comune nell’aprile del 1361 per aiutare i signo- ri di Arborio, danneggiati dalla “guerra presente” 71 . La situazione tornò ad aggravarsi nella tarda primavera di quell’anno, quando comparve sulla scena la Bianca Compagnia, inviata da papa Innocenzo VI contro Milano e passata attraverso i territori monferrini con l’appoggio esplici- to di Giovanni II 72 . Guidati da e forti di almeno 2-3.000 cavalieri i mercenari inglesi penetrarono in Piemonte nel maggio del 1361 e nel novembre di quell’anno si accordarono col marchese di Monferrato per operare comunemente contro i nemici viscontei e sabau- di 73 . Nel 1362 la compagnia assalì Romagnano, conquistandola, poi si spostò a sud, contro Pavia e contro Voghera, che cadde in mani monfer- rine 74 . Agli inizi del 1363 gli inglesi si spinsero fino ai sobborghi di Milano e a maggio si combatté la battaglia di Canturino, nel Novarese, durante la quale la Grande Compagnia del conte di Landau fu sconfitta e distrutta 75 . La pace giunse solo nel gennaio del 1364, col riconosci- mento al marchese del controllo di Asti e vari aggiustamenti territoriali minori 76 .

69 Si veda l’ Appendice prima. 70 AZARII Liber gestorum cit., p. 109. 71 ORDANO , I Biscioni cit., pp. 90-93, doc. 7, a p. 91. 72 La bibliografia sulla Bianca Compagnia e la sua campagna piemontese è vastissi- ma. Basti qui il rinvio ai più recenti D. B ALESTRACCI , Le armi, i cavalli, l’oro. Giovanni Acuto e i condottieri nell’Italia del Trecento , Roma-Bari 2003 e W. C AFERRO , . An English Mercenary in Fourteenth-Century Italy , Baltimore 2006, dove sarà possibile reperire anche i riferimenti alle opere precedenti. 73 W. C AFERRO , “The Fox and the Lion”. The and the Hundred Years War in Italy , in The Hundred Years War. A Wider Focus , a cura di L.J.A. VILLALON , D.J. K AGAY , Leiden-Boston 2005, pp. 179-195. 74 GRILLO , Istituzioni e società cit., p. 181. 75 BALESTRACCI , Le armi, i cavalli, l’oro cit., p. 26. 76 COGNASSO , L’unificazione della Lombardia cit., p. 425.

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Vercelli e il suo contado, sebbene non investiti direttamente, patiro- no assai per le conseguenze degli scontri e della presenza degli Inglesi 77 . Galeazzo non mancò comunque di prendere provvedimenti al fine di guarnire la città e di garantirne la difesa, nominando podestà alcuni per- sonaggi di provate competenze militari. Già nel 1360 arrivò in città Ottino de Marliano. Non a caso Ottino era un cavaliere addobbato 78 ed era stato collaterale signorile, ossia responsabile militare, dal 1348 al 1351. Egli non mancava inoltre di esperienza amministrativa, dato che aveva già governato Bergamo nel 1357-58 e Novara nel 1358-59, raffor- zandovi il potere visconteo – anche con maniere assai brutali – dopo il ritorno della città nelle mani di Galeazzo; egli fu poi inviato a Piacenza nel secondo semestre del 1360 79 . Si noti che egli operò nelle due metà del dominio, sia al servizio di Galeazzo II, sia agli ordini di Bernabò, a ulteriore riprova delle sue capacità, che furono riconosciute da entram- bi i signori. A Ottino subentrò Giovanni dei marchesi Pelavicini di Scipione, che rimase fino al 1361 e rappresenta la prima importante eccezione alla prevalenza totale di rettori milanesi. Anche in questo caso le capacità militari del personaggio, uno dei capitani dell’esercito di Bernabò, ebbe- ro sicuramente un ruolo nella scelta. Giovanni aveva comunque anche una solida esperienza amministrativa, dato che era già stato rettore di Novara, nel primo semestre del 1360, e passò poi a Como nel secondo semestre del 1361 e a Pavia nel 1364 80 . Il Pelavicino fu rimpiazzato a Vercelli da Speronolo da Concorezzo, personaggio poco noto, ma sicu- ramente di grande fiducia visto che nel 1378 venne nominato “familia- re” di Gian Galeazzo 81 . Si ignora purtroppo il nome del podestà per il 1362, mentre estrema- mente significativa per il 1363 è la presenza di Taddeo Pepoli, bologne- se, che nel biennio precedente era già stato in prima linea quale rettore

77 AZARII Liber gestorum cit., pp. 128-129. 78 AZARII Liber gestorum cit., p. 108. 79 Si veda l’ Appendice prima. 80 Si veda l’ Appendice prima. La carriera di Ottino attesta una sostanziale uniformità amministrativa del dominio, pur in presenza di differenze nello stile di governo dei due fratelli (sulle quali si veda G AMBERINI , Lo stato visconteo cit., p. 46). 81 Si veda l’ Appendice prima.

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di Novara. Il Pepoli era uno dei migliori comandanti militari a disposi- zione dei Visconti, tanto che sarebbe poi stato destinato alla carica di Capitano generale del Piemonte nel 1368 e a quella di comandante del- l’esercito contro il Monferrato nel 1370 e contro i Savoia nel 1373. Si trattava dunque di una figura dal profilo schiettamente militare, posta al governo della città con il compito di organizzare il contrasto a un’even- tuale irruzione nel territorio da parte della Bianca Compagnia 82 . È probabile che gli eventi del 1360-63 abbiano ulteriormente mina- to la solidità del domino visconteo in Vercelli erodendo il consenso di cui i signori ancora godevano. Oltre all’insicurezza che regnava nel con- tado, l’aumento incontrollato della pressione fiscale finì per suscitare un forte malcontento. L’Azario ricorda che dal 1360 al 1363 a Vercelli operò come ufficiale delle entrate Mazzacane de Melegnano, “familia- re” di Galeazzo 83 , di cui il cronista sottolinea l’esosità, tanto da affer- mare che meglio sarebbe stato chiamarlo “Mazzauomini” 84 . L’autore novarese ricorda ancora le gravose spese richieste ai centri soggetti per le feste di nozze fra Gian Galeazzo (il figlio di Galeazzo) e Isabella di Valois, nel settembre 1360 85 . In effetti, il peso finanziario del domino visconteo, anche per l’opera di tesorieri poco scrupolosi, doveva essere particolarmente gravoso 86 . Sin dal 1349, infatti, il comune si era trova- to grandi difficoltà finanziarie, tanto che quell’anno dovette ricorrere all’incanto degli uffici “per pagare il ‘salarium domini’ (ossia la cifra mensile che tutti i centri del dominio erano tenuti a versare ai Visconti), la taglia per Parma, e i soldati a cavallo e a piedi che presidiano la città, il castello di Salussola, e il castello del signore sito nella città di Vercelli, lo stipendio del podestà e il debito verso Francesco Mazzocchi tesorie- re comunale per 14.000 lire di Pavia” 87 . Quasi un decennio di guerra ininterrotta finì coll’aumentare gli aggravi ed esasperare la situazione. Inoltre, gli Avogadro e i loro seguaci restavano banditi 88 , con tutti i

82 Sul Pepoli quale Capitano del Piemonte si veda P. G RILLO , L’espansione viscon- tea nel Piemonte medievale , in Storia di Bra cit., pp. 267-279, a p. 276. 83 ORDANO , I Biscioni cit., p. 90, doc. 7. 84 AZARII Liber gestorum cit., p. 109. 85 Ibid. 86 In generale, si può ancora rimandare a T AGLIABUE , La politica finanziaria cit. 87 ASCVc, Pergamene , mazzetta 11, 1349 dicembre 4. 88 CORIO , Storia di Milano cit., I, p. 843.

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problemi connessi, soprattutto nel controllo di quelle parti del contado dove la famiglia era più solidamente radicata 89 . Le difficoltà del dominio si riflessero nella politica urbana e nelle scelte dei podestà. Nel 1368, come è noto, iniziò l’edificazione della cit- tadella volta a rafforzare il controllo militare del centro urbano, sia verso l’esterno, sia verso le possibili sommosse interne. L’operazione fu effet- tuata durante la lunga podesteria di Giovanni Pelavicini, che dopo la buona prova fornita durante la guerra del 1361-63 fu nuovamente nomi- nato nel 1368 e, stando alla documentazione in nostro possesso, rimase in carica per ben 4 anni fino al 1371: una durata straordinaria, che ben illustra il momento di grave difficoltà del dominio. Non a caso in questi stessi anni, a protezione della città, soggiornava nel contado la compa- gnia di ventura tedesca di Anechino Bongarten, uno dei principali comandanti dell’epoca, molto legato ai Visconti 90 . La situazione, come era prevedibile, tornò in effetti a peggiorare. Nel 1369 Giovanni II di Monferrato, approfittando della presenza di forze inglesi nel Piemonte meridionale, tentò di eliminare la presenza viscontea nell’area. Galeazzo reagì duramente: già entro la fine dell’anno ricondus- se in suo potere Cuneo e Cherasco; in seguito il capitano generale di Piemonte, il già ricordato Taddeo Pepoli, attaccò direttamente il marchesa- to, strappando al Paleologo Valenza e Casale, che venne assediata a con- quistata nel novembre del 1370. La morte di Giovanni II, nella primavera del 1372, sconvolgendo quanto restava degli equilibri regionali, finì con l’allargare la guerra. Amedeo VI di Savoia e Ottone di Brunswick, tutore degli eredi di Giovanni II, si allearono e trovarono l’appoggio di Giovanna d’Angiò. I coalizzati antiviscontei potevano anche contare sull’appoggio di papa Gregorio XI e sulle sue larghe disponibilità finanziarie 91 .

89 A. B ARBERO , Da signoria rurale a feudo: i possedimenti degli Avogadro fra il distretto del comune di Vercelli, la signoria viscontea e lo stato sabaudo , in Poteri signorili e feudali nelle campagne dell’Italia settentrionale fra Tre e Quattrocento: fon- damenti di legittimità e forme di esercizio , a cura di F. C ENGARLE , G. C HITTOLINI , G. M. VARANINI , Firenze 2005, pp. 31-45. 90 GABOTTO , L’età del Conte Verde cit., pp. 196-197. Su Anechino Bongarten: S. SELZER , Deutsche Söldner im Italien des Trecento , Tübingen 2001, pp. 371-373. Sull’edificazione della cittadella cfr. il contributo di V. Dell’Aprovitola in questo stesso volume. 91 Per tutto ciò: C OGNASSO , L’unificazione della Lombardia cit., pp. 467-488.

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Non è il caso di ripercorrere qui nel dettaglio le operazioni belliche. In questi anni Vercelli si trovò in prima linea contro le forze sabaude e probabilmente tornarono ad accrescersi le tensioni interne. Di conse- guenza, alcune grandi famiglie videro nei Savoia una valida alternativa ai Visconti e non tardarono a fare atto di dedizione ai conti, soprattutto per i loro domini posti ai confini con il territorio sabaudo. Anche il vescovo Giovanni Fieschi fece una scelta simile consegnando al conte molti castelli 92 . In queste drammatiche circostanze, il ruolo militare della carica podestarile prese decisamente il sopravvento. Nel 1372, infuriando il conflitto contro il conte di Savoia e il marchese di Monferrato, fu invia- to a Vercelli quale rettore Bartolomeo dal Verme, di origine veronese 93 . Si noti che alla guida delle forze milanesi che si battevano contro il Monferrato si trovava Iacopo Dal Verme, nipote di Bartolomeo: si realizzava così una sorta di blocco familiare che gestiva la resistenza nel Piemonte orientale. Vercelli venne infine investita direttamente dalla guerra. Nella pri- mavera del 1373, scomunicati Bernabò e Galeazzo, le forze coalizzate tentarono l’invasione della Lombardia. Sebbene la campagna si fosse risolta in un sostanziale fallimento, Amedeo VI di Savoia con l’appog- gio del vescovo e delle forze del novarese Ottone Brusato riuscì ad entrare in Vercelli, anche se per un altro anno la cittadella resistette nelle mani dei viscontei 94 . L’autunno vide i contendenti in situazione di stallo e il conflitto si arrestò per l’inverno. Le parti, ancora una volta, erano sfinite: il 6 giugno 1374, visto che il loro scontro minacciava di favorire un ritorno in forze degli Angiò, Galeazzo e Amedeo VI con- clusero la pace. Nel luglio del 1375, anche il papa, sotto le pressioni diplomatiche di Carlo V di Francia, rinunciò alla guerra. La crisi in Piemonte fu risolta solo due anni dopo, il 7 luglio 1377, con la pace fra Monferrato e Visconti, che vide infine Vercelli tornare sotto il control- lo di Milano 95 .

92 CORIO , Storia di Milano cit., I, p. 841. Cfr. in questo stesso volume il contributo di A. Barbero, par. 5. 93 Si veda l’ Appendice prima . 94 CORIO , Storia di Milano cit., I, p. 842. 95 COGNASSO , L’unificazione della Lombardia cit., pp. 489-490.

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5. Le innovazioni di Gian Galeazzo (1378-1402)

Come si è detto, nonostante le difficoltà incontrate durante la signo- ria di Galeazzo II Visconti a causa dei conflitti interni ed esterni, i rap- porti dei primi quattro esponenti della dinastia con Vercelli risultano esser stati abbastanza omogenei, e si espressero in una sequenza di podestà di prevalente origine milanese, che spesso ebbero l’incarico nella prima fase della loro carriera, essendo la città considerata tran- quilla, almeno fino al 1357. Molto mutò invece durante il dominio di Gian Galeazzo, iniziato alla morte del padre, nel 1378, proprio quando Vercelli e il suo territorio tornarono all’obbedienza viscontea. Gian Galeazzo aveva un’idea profondamente differente del proprio governo rispetto al padre e agli altri membri della famiglia. Egli tentò di separare i destini della dinastia da quelli della città di Milano, anche con atti dal profondo significato simbolico, quale la crescente attenzione verso le antiche tradizioni regie di Pavia 96 , dove sempre più spesso la corte si recò a soggiornare e dove venne fondata la nuova Certosa, che avrebbe dovuto diventare il vero tempio dinastico dei Visconti 97 . La concessione del titolo ducale da parte imperiale, nel 1396, non fu che l’episodio culminante di un processo di ridefinizione e di rilegittima- zione 98 del potere signorile, non più emanazione della prevalenza mila- nese, ma dominio praticamente “monarchico” su un territorio omoge- neo, su “un’unità giurisdizionale all’interno della quale è opportuno ridurre al minimo le interferenze esterne e interne” 99 . Dall’osservatorio vercellese è ben visibile una conseguenza di que- sta tendenza, ossia il crollo del numero dei cittadini milanesi fra i colla- boratori signorili. Il mutamento fra Gian Galeazzo e i suoi predecessori è evidente: su 19 podestà attestati fra il 1378 e il 1402, soltanto cinque furono cittadini milanesi (Lanfranco Porro, Guido da Vimercate,

96 P. M AJOCCHI , Pavia città regia. Storia e memoria di una capitale altomedievale , Roma 2008. 97 E. S. W ELCH , Art and Authority in Renaissance Milan , New Haven-London 1995, pp. 24-29. 98 Sull’investitura, da ultimo, S OMAINI , Processi costitutivi, dinamiche politiche cit., pp. 719-720. 99 CENGARLE , Le arenghe dei decreti viscontei cit., p. 75.

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Balzarolo da Baggio, Paolo Mantegazza, Giovanni Pusterla), a cui si possono aggiungere due esponenti dalla famiglia Visconti (Azzone e Antonio); nove provenivano da altre città del dominio o dall’esterno (Francesco Scotti di Piacenza, Giovanni Guarzoni di Lucca, Taddeo Pepoli di Bologna, Castellino Beccaria di Pavia, Loterio, Corradino e Aliolo Rusca di Como, Comino Suardi di Bergamo e Rizzardo Abati di Parma) e tre appartenevano all’aristocrazia rurale (Spinetta della Mirandola, il conte Goffredo degli Ubaldini, Giovanni Malaspina mar- chese di Varzi) 100 . Ancora, risulta evidente una drastica rivitalizzazione del ruolo delle “parti”, forse anche in occasione dello scontro con la guelfa Firenze, che portò i Visconti a cercare di “accreditarsi davanti a tutta l’Europa come i grandi campioni del ghibellinismo italiano” 101 . La maggior parte dei rettori menzionati, dai Beccaria di Pavia ai Rusca di Como ai Porro di Milano, per non parlare degli Ubaldini, appartenevano infatti a stirpi di schiettissima e ormai secolare tradizione ghibellina. L’unica eccezione è rappresentata dal guelfo piacentino Francesco Scotti, non a caso il primo ufficiale inviato dopo il ritorno di Vercelli nel dominio visconteo, probabilmente quale garante nei confronti degli Avogadro e dei loro seguaci, che avevano accettato di rimanere in città anche sotto il nuovo regime. Pure in questo caso, dunque, si riscontra una netta frattura delle scelte di Gian Galeazzo rispetto alla logica più pacificatrice dei suoi pre- decessori, che sembrano aver piuttosto premiato fedeltà, competenza ed esperienza. Non che queste ultime, in realtà, non avessero un peso. Ancora una volta, l’analisi ravvicinata delle carriere degli ufficiali nominati da Gian Galeazzo rivela che i rettori cittadini venivano scelti in un gruppo di personaggi di provata fiducia, che di solito percorsero carriere signifi- cative all’interno del vasto quadro del dominio, talvolta alternando inca- richi nei comuni urbani ad altri uffici amministrativi o militari. Il primo podestà inviato a Vercelli dopo il ritorno nelle mani dei Visconti fu, ad esempio, una figura di peso, Francesco Scotti, che oltre ad essere uno

100 Si veda l’ Appendice prima . 101 F. S OMAINI , Il binomio imperfetto. Alcune osservazioni su guelfi e ghibellini a Milano in età visconteo-sforzesca , in Guelfi e ghibellini nell’Italia del Rinascimento , a cura di M. G ENTILE , Roma 2005, pp. 131-216, qui a p. 146.

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dei maggiorenti di Piacenza, aveva già acquisito un’importante espe- rienza di governo, avendo retto Bologna nel 1376 102 . Gli seguirono altri due uomini fidatissimi, il giovane Azzone, figlio illegittimo di Gian Galeazzo, che a sua volta si era già fatto le ossa a Novara nel 1375, e il lucchese Giovanni Guarzoni, che a Vercelli iniziò una brillante carriera, destinata poi a portarlo ad amministrare Cremona, Piacenza e Reggio Emilia 103 . Negli anni successivi si ebbero altri personaggi di rilievo, strettamente legati al signore, quali il milanese Lanfranco Porro, il pave- se Castellino Beccaria, il comasco Loterio Rusca, nonché Taddeo Pepoli, già noto ai vercellesi, e un altro Visconti, Antonio. È dunque evi- dente che Gian Galeazzo voleva consolidare il ritrovato dominio sulla città ponendole a capo una schiera di funzionari di provata fede politica – il Porro, il Rusca e il Beccaria erano a capo delle fazioni ghibelline nelle rispettive città – e di affidabile esperienza 104 . Negli anni di Gian Galeazzo, la situazione vercellese sembra essersi stabilizzata, anche se non mancavano gli attriti, soprattutto per l’attra- zione che i conti di Savoia esercitavano verso i signori e le comunità situate nella parte occidentale del distretto 105 . Il conte di Virtù tentò comunque di instaurare buoni rapporti con gli stessi Savoia e con i mar- chesi di Monferrato 106 , sicché le guerre di conquista compiute dal nuovo signore si diressero soprattutto verso il Veneto e verso la Toscana, risparmiando l’area piemontese che perse di interesse e, dopo la cessio- ne di Asti agli Orléans, nel 1387, visse un periodo di tranquillità 107 . Nello specchio delle nomine podestarili appaiono evidenti da un lato la presenza di personaggi politicamente schierati e di buona esperienza – talvolta, è il caso di Guido da Vimercate, anche militare – dall’altro la regolarità nella rotazione degli incarichi, che sembrano essersi attestati

102 Si veda l’ Appendice prima . 103 Si veda l’ Appendice prima . 104 Si vedano le loro schede nell’ Appendice prima . 105 BARBERO , Da signoria rurale a feudo cit. 106 COGNASSO , L’unificazione della Lombardia cit., p. 524. Nel 1387 vi furono comunque scontri al confine fra contado vercellese e territori sabaudi: F. G ABOTTO , Documenti inediti sulla storia del Piemonte al tempo degli ultimi Principi d’Acaia (1383-1418) , in “Miscellanea di storia italiana”, XXXIV (1896), pp. 113-341, p. 136, doc. 38. 107 GRILLO , L’espansione viscontea cit., pp. 278-279.

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su una durata annuale, superiore a quella prevista dagli statuti, ma tutto sommato ben distante da quanto si era verificato nel difficile crepusco- lo del dominio di Galeazzo II.

6. Una conclusione generale

Nonostante la scarsa disponibilità di notizie cronachistiche e la man- canza di fonti seriali almeno fino agli anni Ottanta del Trecento, lo stu- dio del personale politico ha consentito di individuare con maggior det- taglio l’evoluzione del dominio visconteo in Vercelli. In particolare, è possibile così proporre una periodizzazione di massima dei rapporti fra la città e i suoi signori. Il quinquennio 1335-1340 rappresentò il momento del primo asse- stamento del regime visconteo, caratterizzato da podesterie eccezionali di lunga durata, affidate a personaggi di esperienza e di provata fedeltà al dominus . I quindici anni fra il 1341 e il 1356 furono un periodo di progressiva stabilizzazione del nuovo governo. Il consolidamento del dominio, san- cito dalla redazione dei nuovi statuti, vide probabilmente i Visconti godere di un certo consenso, soprattutto come protagonisti del ritorno alla pacificazione e all’ordine interno. Il periodo, di conseguenza, fu caratterizzato da podesterie brevi, affidate a personaggi di estrazione urbana, prevalentemente milanesi. Nonostante lo scontro fra il comune e il vescovo, del 1343, e le prime difficoltà finanziarie, la situazione della città risultava tranquilla, sicché vi venivano inviati podestà all’ini- zio della carriera. Nel periodo 1356-1363 si verificò la prima crisi del dominio viscon- teo. Il continuo stato di guerra contro il marchese di Monferrato e la rin- novata conflittualità di parte, con il nuovo esilio degli Avogadro, causa- rono una forte stretta repressiva in città e un forte aumento del prelievo fiscale. La pestilenza del 1361 e il passaggio della Bianca Compagnia inglese non fecero che aggravare una situazione già tesa. Di conseguen- za mutò la composizione del personale politico, con maggiore attenzio- ne verso le qualità militari: ciò portò a una presenza più significativa di non milanesi, legati a questo ambito. La crisi si aggravò ulteriormente negli anni 1364-1373. Per reagire,

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Galeazzo II ordinò l’edificazione della cittadella, al fine di rafforzare il controllo militare sulla città. In parallelo, ci fu un aumento della durata straordinaria delle podesterie, che divennero pluriennali, affidate a per- sonaggi di grande esperienza in campo bellico. Nonostante queste con- tromisure, la situazione politica generale e la nuova recrudescenza della parzialità interna portarono alla momentanea perdita della città, rimasta nelle mani dei Savoia e dei legati pontifici fino al 1377. Infine, nel periodo 1378-1402 si ebbero profondi mutamenti nelle modalità di governo della città, ritornata sotto il dominio visconteo. Il regime di Gian Galeazzo si propose sotto vesti completamente nuove, con una connotazione meno “milanese” e vocato a una maggiore inte- grazione fra le diverse componenti del dominio. La proclamazione del ducato, nel 1396, sancì ufficialmente la nuova situazione. I podestà, un tempo prevalentemente ambrosiani, vennero ora arruolati in tutto il ter- ritorio del ducato e si ebbe una crescita del peso dei rettori di origine rurale e signorile rispetto a quelli di estrazione cittadina 108 . Per tutto il secolo, comunque, un dato rimase costante: i Visconti, di norma, si rivolsero a personaggi di ampie competenze, che, qualunque fosse la loro provenienza, ebbero quasi sempre una vivace carriera, reg- gendo un buon numero di città e alternando agli incarichi podestarili altri ruoli in seno al governo civile e militare del dominio. La potenza della dinastia milanese, per oltre un secolo, seppe basarsi non solo sulle doti personali dei signori e sulla ricchezza della metropoli ambrosiana e delle terre vicine, ma anche sulla capacità di scegliere oculatamente un consistente gruppo di validi collaboratori e di circondarsi di persone a cui affidare con buon esito la responsabilità di reggere le città e i terri- tori da esse dipendenti.

108 Per l’età di Gian Galeazzo si segnala anche che la disponibilità di fonti seriali, assenti per le epoche precedenti, consentirebbe un’analisi molto più dettagliata delle interrelazioni fra ufficiali viscontei e poteri cittadini, purtroppo impossibile da condur- re in questa sede.

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Appendice prima: i podestà di Vercelli durante la signoria viscontea, fino alla morte di Gian Galeazzo (1335-1373, 1377-1402).

L’elenco qui presentato si basa sui dati forniti da Vittorio M ANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medio Evo , III, Vercelli 1858, pp. 283-286. Laddove i dati documentari da me raccolti hanno fornito integrazioni o correzioni alla cronologia proposta dal Mandelli, ho segnalato il fatto in nota.

AZZONE VISCONTI (1335-1339)

1335 – 1336 Giovanni da Bizzozzero di Milano . Fu uno dei prota- gonisti della grande espansione viscontea nella prima metà del Trecento. Già rettore di Novara nel 1331 e nel 1333-34, dopo il governo di Vercelli, nel 1337 fu inviato quale podestà a Cremona e nell’anno suc- cessivo fu a Brescia, primo rettore della città dopo la conquista da parte di Azzone. Nel 1339-40 fu podestà di Bergamo, nel 1343 di Piacenza 109 . Consigliere di Giovanni, nel 1354 venne inviato a Brescia quale suo rappresentante 110 . Ebbe importanti incarichi militari per Luchino, Galeazzo e Bernabò. Divenne comandante dell’esercito di quest’ultimo sotto le mura di Bologna nel 1361, vi fu sconfitto e catturato per poi morire in prigionia alcuni anni dopo 111 . 1337 Gasparino Grassi di Cantù . Membro della famiglia che aveva tentato di insignorirsi del borgo di Cantù, poi riconciliatasi coi Visconti. Era già stato podestà di Piacenza fra 1336 e 1337 e vi tornò nel 1338- 1339 112 . 1338-1339 Bonriolo de Castelletto di Milano . Fedelissimo di Azzone, già rettore di Novara nel 1317, nel 1322 e nel 1328-29 113 nel

109 G. G ARONE , I reggitori di Novara , Novara 1865, pp. 182-183, 188, S ANTORO , Gli offici cit., pp. 89 e 95; B. B ELOTTI , Storia di Bergamo e dei Bergamaschi , II, Bergamo 1959, p. 422. 110 SANTORO , Gli offici cit., p. 235. 111 G. G IULINI , Memorie spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione della città e campagna di Milano ne’ secoli bassi , V, Milano 1856 2, pp. 453-454. 112 SANTORO , Gli offici cit., p. 342. 113 GARONE , I reggitori di Novara cit., pp. 173, 175, 178, 179.

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Istituzioni e personale politico

1336 era stato podestà della Valtellina 114 . Nel 1340 fu coinvolto nella fallita congiura antiviscontea promossa da Francesco Pusterla e con- dannato a morte 115 .

LUCHINO E GIOVANNI VISCONTI (1340-1349)

inizi 1340 Bonriolo de Castelletto di Milano . Vedi all’anno 1338. da aprile 1340 Guglielmo Pelavicini di Borgo San Donnino . Nel 1338-39 era stato podestà e capitano di Como e forse nel 1347 fu pode- stà di Tortona 116 . Nel 1348 ricevette la sottomissione di Asti a nome di Luchino 117 . Nel 1351 combatté nella zona di Arezzo contro i Fiorentini e nel 1353 fu rettore di Genova a nome di Giovanni Visconti 118 . Nel 1352 fu inviato con Protasio Caimi per firmare la pace con Firenze e suoi alleati 119 . II sem. 1340 120 – I sem. 1341 Protasio Caimi fu Stefano di Milano , cavaliere. Protasio fu un personaggio molto vicino alla corte viscontea: apparteneva a un’importante famiglia milanese, distintosi nella battaglia di Parabiago, dove fu addobbato cavaliere 121 , nel 1350 aprì l’elenco dei testimoni presenti all’assegnazione della dote a Bianca di Savoia, sposa di Galeazzo II 122 ; fu podestà di Como nel 1342 e di Asti, probabilmente nel 1343 123 , nel 1352 fu inviato con Guglielmo Pelavicini per firmare la pace con Firenze e suoi alleati 124 , e secondo la testimonianza dell’Azario

114 SANTORO , Gli offici cit., p. 301 115 CORIO , Storia di Milano cit., I, pp. 748-749. 116 SANTORO , Gli offici cit., pp. 292 e 353. 117 CORIO , Storia di Milano cit., I, p. 766. 118 SANTORO , Gli offici cit., p. 326. 119 Repertorio diplomatico visconteo. Documenti dal 1263 al 1402 raccolti e pubblicati in forma di regesto , I, 1263-1363 , Milano 1911, p. 60, reg. 548. 120 Per la presenza del Caimi nel secondo semestre 1340: ASCVc, Pergamene , mazzetta 10, 1340 novembre 9. 121 GALVANEI DE LA FLAMA Opusculum cit., p. 29. 122 C. S ANTORO , La politica finanziaria dei Visconti. Documenti , vol. I, Settembre 1329-agosto1385 , Milano 1976, p. 50, doc. 73. 123 SANTORO , Gli offici cit., p. 292. 124 Repertorio diplomatico cit., I, p. 60, reg. 548.

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diventò poi uno dei consiglieri più fidati di Galeazzo II, ricoprendo ruoli di grande responsabilità nel governo del dominio 125 . II sem. 1341 – I sem. 1342 Paganino da Bizzozzero di Milano. Già podestà di Bergamo nel 1340, giunse a Vercelli alla fine del 1341 e si trovò a dover reperire 16.000 lire che il comune doveva agli Avogadro 126 . Agli inizi del 1346 fu podestà di Cremona 127 . Nel secondo semestre dello stesso anno fu il primo podestà di Parma, conquistata da Luchino Visconti. Il cronista parmigiano Giovanni da Cornazzano lo definisce “aspro e feroce rettore” 128 . Diversa l’opinione del Petrarca che ne fu amico e corrispondente 129 . II sem. 1342 – I sem. 1343 Tommasino Lampugnani di Milano . Fu podestà della Valtellina nel 1338 e di Bergamo nel 1341 130 . II sem. 1343 – I sem. 1344 Pietro Visconti fu Gasparino di Milano . Apparteneva al ramo dei Visconti di Somma Lombardo, possedeva il castello di Ierago, nel Varesotto, e nel 1334 era stato esentato da ogni onere per i suoi beni fondiari 131 . Personaggio di fiducia e di esperienza, nel 1352 fu podestà di Cremona, nel 1353 di Brescia, nel 1355 e poi nel 1358-59 e nel 1365-66 e nel 1374-75 di Bergamo, nel 1368 di Parma, nel 1372 ancora di Cremona 132 II sem. 1344 – I sem. 1345 Giovanni Scacabarozzi di Milano . Distintosi nella battaglia di Parabiago, dopo la quale fu addobbato cava- liere 133 , fu podestà di Bergamo nel 1343-44, di Tortona nel 1348 e addet- to all’arruolamento di truppe nel 1361 e nel 1362 134 .

125 AZARII Liber gestorum cit., p. 153, si veda anche S ANTORO , Gli offici cit., p. 235. 126 Repertorio diplomatico cit., I, p. 27, reg. 246. 127 SANTORO , Gli offici cit., p. 319. 128 Historiae Parmensis fragmenta , auctore fratre IOHANNE DE CORNAZANIS , a cura di L.A. Muratori, in Rerum Italicarum scriptores , XII, Mediolani 1728, coll. 727-754, qui col. 746. 129 P.G. R IZZI , Bizzozzero Paganino da , in Dizionario biografico degli italiani , X, Roma 1968, pp. 751-752. 130 SANTORO , Gli offici cit., p. 301, B ELOTTI , Storia di Bergamo cit., II, p. 422. 131 SANTORO , La politica finanziaria cit., I, p. 8, doc. 7 e nota. 132 SANTORO , Gli offici cit., pp. 286, 319-20; B ELOTTI , Storia di Bergamo cit., II, p. 423, A. P EZZANA , Storia della città di Parma , I, 1346-1400 , Parma 1837, p. 85. 133 GALVANEI DE LA FLAMA Opusculum cit., p. 30. 134 Repertorio diplomatico cit., I, p. 28, reg. 257, p. 36, reg. 332, p. 133, reg. 1166, p. 134, regg. 1171, 1174, p. 135, reg. 1178; B ELOTTI , Storia di Bergamo cit., II, p. 422.

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II sem. 1345 – I sem 1346 Giovannolo Mandelli di Milano . Giurisperito, fu rettore di Novara dal 1343 agli inizi del 1345, podestà e castellano di Piacenza nel 1347, podestà di Cremona nel 1349, di Pavia nel 1351, di Bergamo nel 1355-56 135 . II sem. 1346 136 – I sem. 1347 Enrico (o Enricolo) Burri di Milano . Podestà di Crema nel 1343, della Valtellina nel 1343, di Como prima del 1343, di Piacenza nel 1348/inizi 1349 137 . II sem. 1347 – I sem 1348 138 Febo Anguissola di Piacenza . Non è nota la sua ulteriore carriera politica. II sem. 1348 – I sem 1349 Francesco Scacabarozzi di Milano . Podestà di Novara nel 1345-46 139 . II sem. 1349 Guidetto de Casate di Milano 140 . Fu poi podestà di Bergamo, nel 1352 141 .

GIOVANNI VISCONTI (1350-1354)

1350 Ignoto I sem. 1351 Maffeo de Foresti di Bergamo . Appaltatore del teloneo del ferro a Bergamo nel 1323, di famiglia di magnati bergamaschi ghi- bellini 142 , nel 1329 aveva ricevuto da Ludovico il Bavaro prerogative pari a quelle di un conte palatino 143 . II sem. 1351 – 1352 Pietro Visconti di Milano . Vedi sopra, all’an- no 1343-44. I sem. 1353 Giovannolo da Pirovano di Milano . Podestà di

135 GARONE , I reggitori di Novara cit., p. 195; S ANTORO , Gli offici cit., pp. 319, 343; BELOTTI , Storia di Bergamo cit., II, p. 423. 136 ASCVc, Pergamene , mazzetta 11, 1346 ottobre 21 in copia del 1347 maggio. 137 SANTORO , Gli offici cit., pp. 301, 316, 343. 138 Per la presenza dell’Anguissola nel primo semestre del 1348, cfr. O RDANO , I Biscioni cit., p. 97, doc. 10. 139 GARONE , I reggitori di Novara cit., p. 195. 140 È errata la dizione “de Casale” del cognome riportata dal Mandelli. Cfr. ASCVc, Pergamene , mazzetta 11, 1349 dicembre 4. 141 BELOTTI , Storia di Bergamo cit., II, p. 423. 142 MAINONI , Le radici della discordia cit., pp. 71 e 130. 143 BELOTTI , Storia di Bergamo cit., II, p. 94.

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Piacenza nel 1 semestre 1355, di Novara nel 1360 e di Pavia nel 1361 e ancora di Novara nel 1362, nel 1368-69 e nel 1370 144 . II sem. 1353 - 1354 Uberto Pietrasanta di Milano 145 . Nel 1363 fu capitano di Pavia e nel 1367 podestà di Novara 146 .

GALEAZZO II V ISCONTI (1355-1373)

1355 Ignoto I sem. 1356 Ambrosolo Trivulzio di Milano . Già podestà di Cremona nel 1350 147 II sem. 1356 -1357 Gianazzo Aliprandi di Milano . Di famiglia legata all’arte delle armi 148 1358 - 1359 Giovannolo da Pirovano di Milano . Vedi sopra, all’an- no 1353. I sem. 1360 Ottino de Marliano di Milano . Collaterale signorile dal 1348 al 1351 149 . Fu inoltre rettore di Bergamo nel 1357-58, di Novara nel 1358-59 e di Piacenza nel secondo semestre del 1360 150 . II sem. 1360 – I sem. 1361 Giovanni marchese Pelavicini di Scipione . Fu tra i capitani che guidarono le truppe di Bernabò contro la Lega Guelfa nel 1363 e fu rettore di Tortona nel 1357, di Como, nel secondo semestre del 1361, di Pavia nel 1362 e nel 1364, di Novara nel 1369 e nel 1379 151 . II sem. 1361 Speronolo da Concorezzo di Milano. Nel 1378 viene nominato familiare di Gian Galeazzo 152 .

144 GARONE , I reggitori di Novara cit., pp. 208, 210, 212, 213, S ANTORO , Gli offici cit., pp. 330, 344, C OGNASSO , Note e documenti cit., p. 117. 145 Per la presenza del Pietrasanta nel secondo semestre 1354, cfr. O RDANO , I Biscioni cit., p. 124, doc. 3. 146 G. R OBOLINI , Notizie appartenenti alla storia della sua patria , vol. V/1, Pavia 1834, p. 30, G ARONE , I reggitori di Novara cit., p. 212. 147 SANTORO , Gli offici cit., p. 319 148 P. M AINONI , Guerra e finanza privata a metà del Trecento , in E AD ., Economia e politica cit., pp. 129-157, a p. 146 nota. 149 SANTORO , Gli offici cit., p. 258. 150 BELOTTI , Storia di Bergamo cit., II, p. 423, G ARONE , I reggitori di Novara cit., pp. 207-8, S ANTORO , Gli offici cit., p. 330, 344. 151 GARONE , I reggitori di Novara cit., p. 213, G. R OVELLI , Storia di Como , III/1, Como 1802, p. 17, A ZARII Liber gestorum cit., pp. 108n e 159. 152 Repertorio diplomatico cit., II, p. 287, reg. 2432.

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Istituzioni e personale politico

1362 Ignoto 1363 Taddeo Pepoli di Bologna . Uno dei principali condottieri a disposizione di Galeazzo. Già podestà di Novara nel 1361-62, ebbe la carica di Capitano generale del Piemonte nel 1368 e quella di coman- dante dell’esercito contro il Monferrato nel 1370, nell’anno successivo resse ancora Novara, come pure fra 1380 e 1381 153 . Nel 1379 partecipò alla conclusione della tregua fra Giovanni III di Monferrato e Gian Galeazzo Visconti 154 . 1364 Balzarolo da Baggio di Milano . Fu poi rettore di Piacenza nel 1370 e di Parma nel 1382 155 . 1365 Ignoto 1366 Ignoto 1367 Nicola Pepoli di Bologna . Cavaliere addobbato, era già stato rettore di Novara, nell’anno precedente 156 . 1368 Giovanni de Scipiono marchese Pelavicini . Si veda sopra, all’anno 1361. 1369 Forse lo stesso 1370 Forse lo stesso 1371 Forse lo stesso 1372 Bartolomeo dal Verme di Verona . Condottiero e capo milita- re, Bartolomeo era stato bandito da Verona nel 1354, assieme a suo fra- tello Luchino 157 , era già stato castellano di Vercelli nel 1370 e fu rettore di Novara nel secondo semestre del 1372 e nel 1373 158 . Morì nel 1379. 1373 Ignoto

1374-1376: D OMINIO DELLA CHIESA

GIAN GALEAZZO VISCONTI (Signore di fatto dal 1377, di diritto dal 1378, duca dal 1395)

153 GARONE , I reggitori di Novara cit., p. 210, 213, 217, G RILLO , L’espansione viscontea cit., pp. 276-277. 154 ROBOLINI , Notizie cit., p. 45. 155 SANTORO , Gli offici cit., p. 345, P EZZANA , Storia della città di Parma , cit., p. 142. 156 GARONE , I reggitori di Novara cit., p. 214. 157 D. M ALLETT , Dal Verme Iacopo , in Dizionario biografico degli Italiani , XXXII, Roma 1986, pp. 262-267, a p. 262. 158 GARONE , I reggitori di Novara cit., p. 214.

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II sem. 1377 – I sem. 1378 Francesco Scotti di Piacenza. Detto anche Franceschino, era capo dell’omonima squadra (fazione) piacenti- na 159 . Nel 1376 fu podestà di Bologna e nel 1396 di Verona 160 . II sem. 1378 – I sem. 1379 Azzone Visconti. Figlio illegittimo di Gian Galeazzo, era già stato podestà di Novara nel 1375 ed era proba- bilmente giovanissimo, dato che nel 1378 non aveva l’età per sposarsi e morì “ancor giovinetto” nel 1381 161 . II sem. 1379 – I sem. 1380 Giovanni Guarzoni di Lucca. Uno dei più fidati collaboratori di Gian Galeazzo, fu suo ambasciatore presso l’imperatore Venceslao nell’aprile del 1379 e podestà di Cremona, nel 1383, di Piacenza, nel 1388, di Reggio Emilia, fra la fine del 1382 e l’i- nizio del 1384 162 . II sem. 1380 – I sem. 1381 Lanfranco Porro di Milano . Era uno dei leader della fazione ghibellina in Milano 163 . Fu podestà di Tortona, nel 1376, di Novara nel 1381 e di Reggio nel 1386 164 . II sem. 1381 – I sem. 1382 Taddeo Pepoli di Bologna. Si veda all’anno 1363. II sem. 1382 – I sem. 1383 Castellino Beccaria di Pavia . Sembra improbabile che fosse davvero nato verso il 1365, come ritiene un suo biografo 165 , visto che nel 1375 ricoprì la carica di podestà di Como 166 . Dopo l’incarico vercellese, fu rettore di Novara nel 1385-86, di Crema, nel 1397 e ancora di Novara nell’anno successivo 167 . Insignoritosi di

159 GAMBERINI , La città assediata cit., p. 68. 160 GAMBERINI , Lo stato visconteo cit., p. 240, G. S OLDI RONDININI , La dominazione viscontea a Verona (1387-1404) , in Verona e il suo territorio , IV/1, Verona 1981, pp. 3- 237, a p. 149. 161 GARONE , I reggitori di Novara cit., p. 215. 162 Repertorio diplomatico cit., II, p. 298, reg. 2522, S ANTORO , Gli offici cit., pp. 321, 245, 350. 163 Sul ruolo politico dei Porro, signori di Pollenzo, in Piemonte si veda anche P. GRILLO , Pollenzo feudo visconteo , in Storia di Bra cit., pp. 298-304. 164 SANTORO , Gli offici cit., p. 353, G ARONE , I reggitori di Novara cit., p. 217, GAMBERINI , La città assediata cit., p. 31n; I D., Lo stato visconteo cit., p. 58n. 165 N. C RINITI , Beccaria di Robecco Castellino , in Dizionario biografico degli Italiani , VII, Roma 1970, pp. 478-482, a p. 478. 166 ROVELLI , Storia di Como cit., III/1, p. 31. 167 SANTORO , Gli offici cit., p. 316, G ARONE , I reggitori di Novara cit., pp. 218, 221, CRINITI , Beccaria di Robecco Castellino cit., p. 479.

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Voghera dopo la morte di Gian Galeazzo, fu accusato di tramare contro Filippo Maria Visconti e fatto uccidere nell’ottobre del 1413 168 . II sem. 1383 – 1384 Antonio Visconti di Milano . Personaggio di spicco nella vita milanese e cavaliere addobbato, fu tra i comandanti della Compagnia della Stella e poi rettore di Novara nel 1364, membro del consiglio di Provvisione di Milano nel 1385, 1386 e 1388 e consi- gliere del comune nel 1403 e nel 1408 e deputato della Fabbrica del Duomo quasi ininterrottamente dal 1390 al 1408 169 . Fu anche podestà di Cremona nel 1397-98 170 1385 Loterio Rusca di Como . Imparentato coi Tizzoni di Vercelli 171 , fu uno dei maggiori collaboratori di Gian Galeazzo Visconti. Fu podestà di Milano nel 1373, di Piacenza, 1374, di Pavia nel 1376, di Asti nel 1380, di Parma nel 1386, di Verona nel 1389-90 172 . Dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti si fece signore di Como, che poi cedet- te nuovamente a Filippo Maria nel 1416, in cambio della creazione della contea di Lugano e della sua nomina a titolare 173 . 1386 Comino Suardi di Bergamo. Podestà di Cremona, nel 1387 174 . 1387 – I sem 1388 Spinetta della Mirandola . Figlio di Paolo dei Pico della Mirandola, fu un fedele alleato dei Visconti e venne compen- sato con la podesteria vercellese, che però pare esser stata l’unica tappa della sua carriera politica 175 . II sem 1388 Guido da Vimercate di Milano . Giureconsulto e conte palatino. Podestà di Parma nel 1362, di Cremona, nel 1370, di Piacenza,

168 CRINITI , Beccaria di Robecco Castellino cit., G RILLO , Istituzioni e società cit., pp. 191-193. 169 GARONE , I reggitori di Novara cit., p. 211, S ANTORO , Gli offici cit., pp. 127, 129, 131, 238, Annali della Fabbrica del Duomo di Milano dall’origine fino al presente. Indice generale , Milano 1885, p. 328. 170 SANTORO , Gli offici cit., p. 322. 171 GABOTTO , Documenti inediti cit., p. 123, doc. 16. 172 SANTORO , Gli offici cit., pp. 112 e 345, R OBOLINI , Notizie cit., p. 348, F. CENGARLE , Feudi e feudatari del duca Filippo Maria Visconti. Repertorio , Milano 2007, pp. 214-215, doc. 39, P EZZANA , Storia della città di Parma , cit., p. 162, S OLDI RONDININI , La dominazione viscontea cit., p. 147. 173 F. C ENGARLE , Immagini di potere e prassi di governo. La politica feudale di Filippo Maria Visconti , Roma 2006, pp. 16 e 23. 174 SANTORO , Gli offici cit., p. 321. 175 GAMBERINI , La città assediata cit., pp. 226-227.

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nel 1390 176 . Capitano di Parma, nel 1374 e nel 1376 177 . È forse da iden- tificare con un Guidolo da Vimercate, capitano di Brescia nel 1359, nel 1363 e nel 1364 178 , che nel 1364, con l’incarico di collaterale, ebbe l’in- carico di arruolare e pagare la compagnia di Anechino Bongarten nel Bresciano 179 . 1389 Corradino Rusca di Como . Podestà di Novara nel 1387-88 e membro del consiglio di Provvisione di Milano, nel 1410 180 . 1390 – I sem 1391 Balzarolo da Baggio di Milano . Milite, già podestà di Piacenza dal 1370 al 1372, nell’anno 1400 fu al servizio della Fabbrica del Duomo 181 II sem 1391 - I sem. 1393 Paolo Mantegazza di Milano . Consigliere di provvisione nel 1385; podestà di Parma nel II semestre 1393 e di Crema, nel 1399 182 . Fu denunciato come usuraio, e confessò, nel 1403 183 . 1394 Conte Goffredo degli Ubaldini di Perugia . Rettore di Cremona, nel 1390-91 e di Novara, nel 1391-92 184 . I sem 1395 Aliolo Rusca di Como . Podestà di Brescia, nel 1391 185 . II sem 1395 – 1396 Paolo Mantegazza di Milano . Vedi all’anno 1391-92. 1397 Giovanni Pusterla di Milano . Cavaliere addobbato, era fra i più ricchi milanesi chiamati a contribuire all’estimo del 1395, molto attivo in prestiti, presi e concessi 186 . Prima dell’incarico vercellese fu rettore di Novara, nel 1395-96 e di Alessandria nel primo semestre 1397, nonché castellano di Monza nel 1404 187 . Imparentato con Gian

176 PEZZANA , Storia della città di Parma cit., p. 69n, S ANTORO , Gli offici cit., p. 320, 345. 177 GAMBERINI , La città assediata cit., p. 235n, P EZZANA , Storia della città di Parma cit., p. 117. 178 SANTORO , Gli offici cit., p. 287. 179 MAINONI , Economia e politica cit., p. 150. 180 GARONE , I reggitori di Novara cit., p. 221, S ANTORO , Gli offici cit., p. 134. 181 SANTORO , Gli offici cit., p. 345, Annali della Fabbrica cit., I, p. 201. 182 PEZZANA , Storia della città di Parma cit., p. 193, S ANTORO , Gli offici cit., p. 128, 316. 183 MAINONI , Economia e politica cit., p. 175. 184 SANTORO , Gli offici cit., p. 321, G ARONE , I reggitori di Novara cit., p. 222. 185 SANTORO , Gli offici cit., p. 290. 186 MAINONI , Economia e politica cit., pp. 172, 176. 187 GARONE , I reggitori di Novara cit., p. 223-24.

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Istituzioni e personale politico

Galeazzo ebbe un ruolo di rilievo nella cerimonia dell’investitura duca- le. Capofazione ghibellino, fu coinvolto nei tumulti del 1404 e venne messo a morte nel 1408 188 . 1398 – I sem. 1399 Giovanni Malaspina marchese di Varzi . Vassallo dei Visconti 189 , è forse da identificare con il Giovanni Malaspina che fu podestà visconteo di Genova nel 1426 190 . II sem. 1399 – I sem.1401 Conte Goffredo degli Ubaldini. Vedi all’anno 1394. II sem 1401 – I sem 1402 Rizardo de Abatis de Parma.

188 Su Giovanni si vedano le notizie raccolte in B. B ETTO , Il testamento del 1407 di Balzarino da Pusterla, milanese illustre e benefattore , in “Archivio storico lombardo”, 114 (1988), pp. 261-302. 189 Inventari e regesti del R. Archivio di Stato in Milano , I, I registri viscontei , a cura di C. Manaresi, Milano 1915, p. 6, reg. 98. 190 R. Musso, Le istituzioni ducali dello “stato di Genova” durante la signoria di Filippo Maria Visconti , in L’età dei Visconti. Il dominio di Milano fra XIII e XV secolo , a cura di L. C HIAPPA MAURI , L. D E ANGELIS CAPPABIANCA , P. M AINONI , Milano 1993, pp. 65-111, a p. 96.

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Paolo Grillo

Appendice seconda: le carriere di alcuni podestà viscontei 191

Paganino da Bizzozzero 1362 Novara 1340 Bergamo 1368-69 Novara 1341-42 Vercelli 1370 Novara 1346 Cremona 1372 Tortona 1346-48 Parma Ottino de Marliano . Pietro Visconti 1357-58 Bergamo 1343-44 Vercelli 1358-59 Novara 1352 Cremona 1360 Vercelli 1353 Brescia 1360 Piacenza 1355 Bergamo 1358-59 Bergamo Giovanni Pellavicini 1365-66 Bergamo 1357 Tortona 1368 Parma 1360-61 Vercelli 1372 Cremona 1361 Como 1374-75 Bergamo 1362 Pavia 1364 Pavia Giovannolo Mandelli 1369 Novara 1343-45 Novara 1379 Novara 1345-46 Vercelli 1347 Piacenza Giovanni Guarzoni 1349 Cremona 1379-80 Vercelli 1351 Pavia 1383 Cremona, 1355-56 Bergamo 1388 Piacenza 1382-84 Reggio Giovannolo da Pirovano 1353 Vercelli Lanfranco Porro 1355 Piacenza 1376 Tortona 1358-59 Vercelli , 1380-81 Vercelli 1360 Novara 1381 Novara 1361 Pavia 1386 Reggio

191 Sono stati presi in considerazione i personaggi di cui siano noti almeno quattro incarichi.

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Istituzioni e personale politico

Castellino Beccaria 1375 Como. 1382 Vercelli 1385-86 Novara 1397 Crema 1398 Novara

Loterio Rusca 1373 Milano 1374 Piacenza 1376 Pavia 1380 Asti 1385 Vercelli 1386 Parma 1389-90 Verona

Guido da Vimercate 1362 Parma 1379 Cremona 1388 Vercelli 1390 Piacenza

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ANTONIO OLIVIERI Università degli Studi di Torino ______

LA SOCIETÀ DEI NOTAI DI VERCELLI E I SUOI STATUTI ALLA FINE DEL TRECENTO

1. Introduzione

Si sa assai poco, oggi, della storia della Società dei notai di Vercelli nel Trecento. Per le vicende anteriori alla sua rifondazione del 1397 restano poco più che tracce 1, utili quasi soltanto a testimoniare la sua esistenza. Per l’epoca stessa della rifondazione e per gli anni immedia- tamente posteriori la documentazione è scarsa e per di più unilaterale: accanto al Libro della matricola, giunto in originale, che testimonia della puntuale applicazione di un capitolo degli statuti societari, si dispone soltanto di questi ultimi, in un esemplare, allegato all’unico codice superstite degli statuti viscontei di Vercelli, sulla cui tradizione testuale non è facile formulare un giudizio. Della ricca produzione documentaria prevista da quello stesso statuto e connessa alle attività del Collegio, produzione alla quale si dedicherà qualche cenno in que- sta relazione, non si è conservato nulla – almeno, che io sappia, per il Trecento e il Quattrocento – a parte la citata matricola. Le conseguenze di questa povertà documentaria appaiono gravi, soprattutto se si opera un confronto con situazioni più fortunate, quali, per fare solo pochi esempi, quelle ben note di Genova e di Perugia 2,

1 Statuti del 1341, l. IV, cap. 8 (f. 60v; stampa 1541, ff. 63v-64r): «Item quod qui- cumque de cetero fuerit potestas Vercellarum sub debito iuramenti et librarum quinqua- ginta Papiensium pro qualibet vice amissionis sui salarii teneatur et debeat infra decem dies a tempore introitus sui regiminis convocare coram se vel eius familia consules col- legii notariorum et sex iudices collegii iudicum Vercellarum et vigintiquatuor notarios de melioribus collegii notariorum communis Vercellarum et plures si sibi placuerit et octo de aliis bonis viris laicis civitatis vel districtus Vercellarum (…)». Si veda anche nello stesso libro il cap. 11 (f. 61r): «Item statutum est quod circa confectionem instru- mentorum…». Per il codice manoscritto degli statuti viscontei e per la copia a stampa di essi del 1541 si vedano le indicazione date qui oltre, n. 8. 2 G. C OSTAMAGNA , Il notaio a Genova tra prestigio e potere , Roma 1970; Il notariato a Perugia. Mostra documentaria e iconografica per il XVI Congresso nazionale del nota- riato (Perugia, maggio-luglio 1967) , catalogo a cura di R. A BBONDANZA , Roma 1973.

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Antonio Olivieri

oppure quella di Milano 3 o, per menzionare realtà di scala più vicina a quella di Vercelli, quelle di Como 4 e di Treviso 5. Come è noto gli statuti municipali, le loro successive redazioni e le loro rinnovazioni - o invece, talvolta, la mancanza di tali interventi - possono costituire un indice significativo del modo in cui mutano o si consolidano gli equilibri nei rapporti tra principe e città, del modo in cui nuovi rapporti si instaurano nel mutare complessivo dei regimi politici 6. Su scala diversa non ha minore rilievo la vicenda degli statuti societari. Nel caso degli statuti dei collegi notarili, le successive conferme, i muta- menti, le redazioni ex novo attestano bene il ruolo chiave, evidente generatore di tensioni, che i notai e le loro associazioni rivestono in ambito cittadino e nei rapporti che la città intrattiene con i poteri regio- nali 7. Da parte loro i capitoli che disegnano le basi normative dell’ope- ra di rifondazione della società notarile vercellese, pur costituendo una sorta di masso erratico che si erge entro un panorama documentario spo- glio, riescono per i caratteri loro propri, come si vedrà, a documentare in modo efficace la coesistenza di valutazioni assai diverse sul ruolo e le funzioni da assegnare alla corporazione nello spazio sociale e istitu- zionale di una città dominata.

3 A. L IVA , Notariato e documento notarile a Milano. Dall’Alto Medioevo alla fine del Settecento , Roma 1979. 4 M. L. M ANGINI , Il notariato a Como. “Liber matricule notariorum civitatis et epi- scopatus Cumarum” (1427-1605) , Varese 2007. 5 Per il collegio notarile di Treviso nel Trecento si vedano le ricerche e le edizioni di fonti di Bianca Betto: Uno statuto del collegio notarile di Treviso del 1324 , in Contributi dell’Istituto di storia medievale. Raccolta di studi in onore di Sergio Mochi Onory , I, Milano 1968, pp. 10-60; Strutture e compiti del Collegio notarile di Treviso attraverso documenti editi ed inediti del secolo XIV , Contributi dell’Istituto di storia medievale. Raccolta di studi in onore di Sergio Mochi Onory , II, Milano 1972, pp. 53- 251; Il collegio dei notai, dei giudici, dei medici e dei nobili di Treviso, secc. XIII-XVI , Venezia 1981, pp. 19-129. 6 Cfr. p. es. E. F ASANO GUARINI , Gli statuti delle città soggette a Firenze tra ‘400 e ‘500: riforme locali e interventi centrali, in Statuti città territori in Italia e Germani tra Medioevo e Età moderna , a cura di G. C HITTOLINI e D. W ILLOWEIT , Bologna 1991, pp. 69-124 e, nello stesso volume, G.M. V ARANINI , Gli statuti delle città della terraferma veneta nel Quattrocento , pp. 247-317. 7 Si pensi, per esempio, alla travagliata vicenda trecentesca degli statuti notarili tre- vigiani, illustrata dai lavori citati sopra (n. 5).

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La Società dei notai di Vercelli e i suoi statuti

2. La redazione statutaria e la (ri)fondazione del collegio

Lo statuto del rinnovato collegio notarile di Vercelli reca in apertura l’approvazione di Gian Galeazzo Visconti in forma di lettere inviate dal duca al podestà e agli anziani della città di Vercelli. Il duca aveva rice- vuto («Vidimus») settanta capitoli che il podestà e gli anziani, agendo «sub nomine communis nostri Vercellarum», avevano fatto redigere per la regolazione («pro ordinatione») del collegio dei notai della città e del distretto di Vercelli. Li aveva fatti esaminare e correggere e li aveva quindi rimessi al podestà e agli anziani, ratificandoli con le lettere stes- se cui erano allegati, riservandosi in pari tempo l’arbitrio di emendare e mutare gli statuti e di derogarvi secondo le esigenze, precisando che l’approvazione non si intendeva effettuata in deroga dei decreti ducali vigenti e futuri. Ordinava poi di inserirli nel volume degli altri statuti del comune, facendoli osservare inviolabiliter 8. Le lettere viscontee recavano la data del 26 maggio 1397. Nel prolo- go degli statuti, con ogni probabilità anteriore all’approvazione ducale, si legge che essi erano stati approvati e confermati dalla credenza gene- rale della città di Vercelli (dunque gli anziani cui si rivolgeva Gian Galeazzo erano verosimilmente i credenziari) il precedente 10 aprile. La

8 Citerò lo statuto del Collegio dei notai dal manoscritto degli statuti viscontei di Vercelli conservato presso l’Archivio Storico Civico di Vercelli. Nel volume appena citato lo statuto societario occupa la parte finale (ff. 195r-216r), mentre nell’ampia por- zione iniziale trovano luogo gli statuti municipali del 1341. Occorre tenere conto del fatto che nell’attuale legatura, risalente probabilmente al XVIII secolo, la fascicolazio- ne della porzione del codice che reca lo statuto del collegio dei notai presenta delle irre- golarità e che la stessa cartulazione moderna mostra degli scarti. Per una analisi dei fascicoli di questa parte del codice si veda P. K OCH , Die Statutengesetzgebung der Kommune Vercelli im 13. und 14. Jahrhundert , Frankfurt am Main 1995, pp. 174-177. Dopo il f. 202, ultimo di un quaterno, e fino al f. 211, primo di un terno che non pre- senta irregolarità, la sequenza attuale della cartulazione moderna è la seguente: 204 (manca il 203), 205, 207[bis] (Koch lesse 203), 206, 207, 208, 209, 210. La sequenza giusta, cui si farà riferimento nelle note seguenti, è: 207[bis], 208, 209, 204, 205, 206, 207, 210. Una copia a stampa del detto codice statutario venne pubblicata a Vercelli nel 1541: in essa lo statuto del collegio dei notai, i cui capitoli si presentano nella giusta sequenza, occupa i ff. 204v-228r. Per gli statuti cittadini del 1341 e per l’esemplare a stampa si veda il saggio di Elisa Mongiano in questo stesso volume; si veda anche KOCH , Die Statutengesetzgebung der Kommune Vercelli cit., pp. 171-256. Le lettere di Gian Galeazzo stanno al f. 195r (stampa 1541, f. 204v).

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credenza aveva naturalmente agito in presenza e con il consenso del podestà visconteo di Vercelli, il milanese Giovanni de Pusterla, e del suo vicario, il dottore di leggi pavese Agostino de Ozula, mentre alla reda- zione degli statuti erano stati deputati «octo sapientes cives», dei quali purtroppo ignoriamo i nomi. Una volta approvati dal signore gli statuti, essi, prevedeva il prologo, avrebbero dovuto essere inserti nel volume degli altri statuti del comune e osservati «pro lege municipali prout alia dicti comunis observantur statuta» 9. L’altra importante fonte di cui disponiamo sul rinnovato collegio notarile di fine Trecento è, come si accennava, il libro della matricola 10 . Il prologo di tale libro veicola, sotto il velo di una retorica sostenuta e distorcente, notizie decisive: l’ officium tabellionatus della città e del distretto di Vercelli, già compromesso da inconvenienti, varietates e errori, disperso da circostanze di eccezionale gravità, viene ridotto a unità in un collegio che ci si spinge a definire sacrum 11 . A onore del principe, a tutela della res publica della città e per ovviare agli errores che avevano disperso il notariato vercellese viene redatto «liber iste membraneus sive matricula» nel quale i notai che desideravano operare per la clientela privata («instrumenta conficere») ed exercere gli acta publica , vale a dire essenzialmente operare in uno dei molti offici nota- rili previsti entro le articolate strutture istituzionali del comune, aveva- no depositato il loro segno tabellionale e il testo della loro sottoscrizio- ne. Ciò era accaduto al tempo, come già sappiamo, del podestariato del generosus miles Giovanni de Pusterla e del vicario Agostino de Ozula di Pavia famosus legum doctor . Quest’ultimo era anzi il fondatore stesso del collegio, colui che «pro statu bono dicte civitatis dictum collegium adunavit et ipsius extitit adinventor», nell’anno 1397 12 .

9 F. 195r (stampa 1541 ff. 204v-205r). 10 Anch’esso conservato presso l’Archivio Storico Civico di Vercelli. Una edizione del libro della matricola con riproduzione fotografica completa è stata pubblicata dal Comune di Vercelli su CD-Rom: Liber matriculae. Il libro della matricola dei notai di Vercelli (sec. XIV-XVIII) , ideazione e realizzazione di A. B UONOCORE e C. D E VITA , edi- zione e testi a cura di A. O LIVIERI , Vercelli 2000. 11 Un prologo di pari drammaticità, impostato sulla metafora della malattia e della sua cura, è quello che apre gli statuti del collegio dei notai di Treviso del 1324: B ETTO , Uno statuto del collegio notarile di Treviso cit., p. 28 (e cfr. p. 17 sg.). 12 Libro della matricola del collegio dei notai di Vercelli, f. 1r.

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La Società dei notai di Vercelli e i suoi statuti

Il collegio, visto attraverso la lente del prologo della matricola, risulta- va quindi una istituzione nuova, di cui il famoso giurista Agostino de Ozula era stato addirittura il fondatore, reagendo allo stato di dispersione e pro- strazione in cui versavano non i notai di Vercelli ma quell’entità astratta che veniva significativamente denominata officium tabellionatus 13 , la cui immensa bonitas veniva, per essere salvaguardata, ridotta a unità, raccolta in un sacrum collegium . Ma non era poi solo a una condizione di grave decadimento, determinato, come si potrebbe pensare, da una colpevole inerzia, che si faceva fronte, quanto anche a veri e propri disordini, ad azio- ni nefande ( enormitates ) che, per essere accuratamente taciute, non dove- vano risultare meno chiare alle persone che le avevano vissute. Che dove- vano essere poi, innanzi tutto, i cittadini di Vercelli, le élites della ricchez- za e della politica, ma anche, in qualche misura, gli altri abitanti della città e del distretto, e poi i funzionari del principe e il principe stesso. Il senso in cui si era proceduto è chiaro, e il suo carattere peculiare non sta tanto nell’impronta schiettamente autocratica, del resto sconta- ta, impressa all’intera operazione, quanto nell’incardinamento del colle- gio e delle norme che ne dovevano regolare la vita nelle istituzioni comunali e, attraverso queste ultime, per saldi tramiti, nelle strutture dello stato visconteo: l’ unitas rivendicata nel prologo della matricola era sì quella del collegio, ma in quanto collocato entro quell’universo poli- tico gerarchizzato costituito, innanzi tutto, dal principe, con il suo honor e il suo status che occorreva conservare, e poi dalla res publica cittadi- na. Tale incardinamento era simboleggiato in modo efficacissimo dal- l’inserimento degli statuti notarili, prescritto dal mandato visconteo, nel volume degli statuti del comune della città di Vercelli, anzi nel volume degli altri statuti («aliorum statutorum») cittadini, e dalla prescrizione

13 Nel primo capitolo dello statuto notarile l’espressione tabellionatus officium risul- ta accostabile o sovrapponibile a quella di collegium : (f. 195rv, stampa 1541 f. 220v) «D E MODO PRINCIPIANDI OFFICIUM NOTARIORUM RUBRICA . In primis ut modus debitus apponatur in principiando fidelem ordinem istius tabellionatus officii statutum est quod dominus potestas Vercellarum vel eius vicarius una cum aliquibus ex sapientibus dicte civitatis eligere debeant sex vel octo ex intelligentibus et prudentibus notariis ipsius civitatis, qui in principio dicti tabellionatus officii et donec officiales notariorum officii secundum ordinem comprehensum in presenti volumine ordinabuntur, una cum ipso domino potestate vel eius vicario ad dictum tabellionatus officium sufficientes et ido- neos admittendos admittant et alios insufficientes omittant».

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che fossero osservati «pro lege municipali, prout alia dicti comunis observantur statuta». Inoltre il comune stesso, insieme con il duca, appariva promotore della redazione del corpo statutario. Lo stesso Gian Galeazzo lo aveva dichiarato nel mandato posto in testa allo statuto: i 70 capitoli erano stati redatti per volontà del podestà visconteo e dei membri della credenza (gli anziani) della città «sub nomine communis nostri Vercellarum pro ordinatione collegii notariorum dicte civitatis et districtus». Prima di essere proposti all’approvazione del signore i capitoli erano stati appro- vati e confermati «per generale consilium credentie civitatis Vercellarum, facta ad ordinationem notariorum civitatis et districtus ipsius civitatis». Era insomma la città in quanto organismo politico- amministrativo a volere e proporre l’ ordinatio dei notai della città e del distretto, quindi del loro collegio. Il che poi, in senso generale, non costituiva affatto una novità, data la tradizionale attenzione del comune nei confronti del notariato come fatto di pubblico interesse 14 . Qui, nello specifico, è l’esibizione della sollecitudine del comune verso l’organiz- zazione corporativa dei notai l’elemento di cui bisogna tenere conto. Sembrerebbe, in sostanza, di poter dire che il collegio non fosse stato istituito come corpo accanto ad altri corpi amministrativi cittadini, con una propria giurisdizione normata da uno ius proprium , dunque con un proprio autonomo, sia pure particolare, spazio giuridico, insomma come una corporazione d’età comunale. Il collegio veniva invece presentato come una sorta di articolazione dell’istituto comunale, come una magi- stratura destinata a disciplinare un settore della vita istituzionale di un comune cittadino nell’età del principato. Si vedrà di seguito come in realtà questa esibita integrazione del collegio dei notai entro l’organi- smo comunale non avesse trovato nello statuto coerente realizzazione. Da un lato infatti il gruppo cittadino dei redattori dello statuto lo aveva concepito come un corpo tendenzialmente autonomo, dai poteri limita- ti, certo, ma rilevanti, dunque altra cosa rispetto al comune. Ma dall’al-

14 Si veda, come esempio tra i molti possibili della sollecitudine del comune cittadino per il corretto esercizio dell’ officium notarie e nei confronti dell’organizzazione societaria dei notai, quanto traspare dagli statuti notarili di Bergamo della seconda metà del Duecento: Statuti notarili di Bergamo (secolo XIII) , a cura di G. S CARAZZINI , Roma 1977; cfr. anche C. P ECORELLA , Statuti notarili piacentini del XIV secolo , Milano 1971, pp. 23-27.

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tro i revisori incaricati dal principe avevano agito, per quel che si può vedere, per semplice sottrazione, inserendo clausole che correggevano il dettato statutario, talvolta in modo drastico. Su questa interferenza tra i due orientamenti istituzionalmente distin- ti vorrei soffermarmi. Ma prima di affrontare qualcuno dei problemi di maggiore interesse posti dalla normativa assegnata alla rifondata società dei notai di Vercelli, mi sembra necessario, da un lato, offrire alcune informazioni sulle grandi scansioni dello statuto collegiale, dall’altro mostrare, attraverso la normativa societaria, il rapporto tra notai aderenti al collegio e notai esercitanti l’ ars notaria a Vercelli e nel distretto. Quanto allo statuto, esso risulta diviso in due sezioni. Tale divisione non viene annunziata né dalle lettere di approvazione di Gian Galeazzo né dal proemio vero e proprio dello statuto, ma da un «Prohemium secunde partis» che si situa dopo il capitolo 36, che è quindi l’ultimo capitolo della prima parte. Tale proemio costituisce una vera e propria cerniera tra le due parti dello statuto, che in esso è definito liber statu- torum . Nel dichiarare terminata la prima parte, che dice consistere in una ordinatio dedicata agli statuti dei consoli e degli altri officiali, il proemio introduce la successiva, dedicata agli statuti monitorii et pena- les riguardanti tutti i notai della città e del distretto 15 . La seconda sezio- ne risulta composta da 33 capitoli: un capitolo in meno rispetto alla compilazione originaria – che, come si ricorderà, doveva contare in tutto 70 capitoli – per la caduta di uno statuto cui si accenna in un capitolo della prima parte (il cap. 25) che ne cita anche la rubrica, rubrica che non è dato rinvenire nell’esemplare di cui disponiamo 16 .

15 F. 207r, stampa 1541 f. 220v: «P ROHEMIUM SECUNDE PARTIS LIBRI STATUTORUM ET ORDINAMENTORUM NOTARIORUM VERCELLARUM . Compilata et finita prima parte huius libri statutorum circa ordinationem predictam de statutis consulum vel aliorum officia- lium specialem faciente mentionem, nunc sequitur secunda pars dicti libri de statutis monitoriis et penalibus spectantibus ad omnes et singulos notarios dicte civitatis et districtus. Que quidem statuta secunde partis predicte sub rubricis et tenoribus infra- scriptis per ordinem continentur». 16 Riporto il periodo di apertura del citato cap. 25, che è quanto qui interessa, omet- tendo il resto (f. 209v, stampa 1541 f. 216v): «Item statutum et ordinatum est quod con- sules dicti collegii qui de cetero fuerint teneantur et debeant precise infra quindicem dies post introitum sui regiminis legi facere et notificare cuilibet sacriste comunis Vercellarum statutum positum infra, in secunda parte, scriptum sub rubrica “De non faciendo per sacristam communis Vercellarum aliquas scripturas de libris et cetera”».

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Si ha dunque uno statuto bipartito nel quale la prima serie di capi- toli dovrebbe disegnare l’architettura del collegio e le sue competenze, la seconda raccogliere i capitoli concernenti gli obblighi e i divieti imposti ai notai e le pene previste per le infrazioni a essi. Che è quan- to grosso modo accade, non senza però l’introduzione di elementi che turbano questo limpido schema e che rivelano, a un’analisi attenta a cogliere i profili giuridici e istituzionali dell’ente, importanti incon- gruenze interne. Questo non apparirà strano per chi conosca, anche solo a grandi linee, i caratteri della legislazione tardomedievale italiana. Essa si con- figura come un accumulo alluvionale di norme che possono, come in genere accade, essere in contraddizione tra loro. È questo un tratto non dirò fisiologico ma certamente costitutivo del sistema, ben noto ai giu- risti e ai pratici del diritto del tempo, risolto, quando veniva a costituire un problema, in modo empirico oppure per decisione del principe che, sul piano giuridico, aveva il potere – come qui si è già visto – di scio- gliere ogni contraddizione, di derogare a qualsiasi norma 17 . Gli statuti notarili del 1397 segnalano l’eventualità: i consoli del collegio prima di entrare nell’ufficio devono giurare nelle mani dei consoli uscenti di osservare per quanto in loro potere gli «statuta et ordinamenta ac refor- mationes» del collegio «dummodo non sint sibi ad invicem repugnantes vel repugnantia» 18 . Quanto invece al secondo punto preliminare, quello del rapporto tra notai collegiati e notai esercitanti nella città e nel distretto di Vercelli, preciso subito che non parlerò dei criteri di ammissione al collegio, che erano poi quelli ordinari, previsti dallo statuto al cap. 16, e quelli straor-

17 Si veda p. es. G. P. M ASSETTO , Le fonti del diritto nella Lombardia del Quattrocento , in Milano e Borgogna. Due stati principeschi tra Medioevo e Rinascimento , a c. di J.-M. C AUCHIES e G. C HITTOLINI , Roma 1990, pp. 49-65. 18 Cap. 7 (f. 197r, stampa 1541 ff. 206v-207r); ma si veda anche il cap. 5 (f. 196rv, stampa 1541 f. 206rv): « Et quod predicti consules et quilibet ipsorum teneantur et debeant observare, attendere et executioni mandare omnia statuta in presenti volumine contenta et que in futurum fieri contingerint nisi tractarent aliquo modo directo vel per obliquum contra honorem et statum illustris principis ac magnifici et excelsi domini domini nostri ac reformationes, provisiones et consilia ipsius collegii factas et facta, fiendas et fienda, dum tamen non obstent vel repugnent alicui statuto dicti collegii in hoc volumine contento vel quod fieri contingerit in futurum».

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La Società dei notai di Vercelli e i suoi statuti

dinari previsti da una disposizione transitoria posta in testa allo statuto 19 , relativa al primo reclutamento dei notai effettuato nelle fasi preliminari di istituzione del rinnovato collegio, «in principiando fidelem ordinem istius tabelionatus officii». Accennerò piuttosto al fatto che il collegio, tramite i suoi aderenti iscritti alla matricola, si riservava il monopolio dell’esercizio della pratica notarile nella città e nel distretto, stabilendo (cap. 17) che nessun notaio «civis vel districtualis seu de episcopatu Vercellarum» oppure straniero di qualsivoglia condizione, stato e grado, non ricevuto nella societas del collegio e non iscritto alla matricola, potesse rogare istrumenti o redigere atti civili o criminali e neppure sot- toscriversi in atti o istrumenti scritti e traditi da un notaio del collegio. In caso contrario istrumenti e atti sarebbero stati ipso iure nulli e privi di valore, i contraffacenti avrebbero dovuto essere puniti dai consoli o dai sindacatori del collegio, e il provento della pena pecuniaria avrebbe dovuto essere consegnato per metà alla camera del principe e per metà al collegio 20 . Questa disposizione doveva avere valore generale, e si ha traccia di istrumenti annullati, e poi rifatti, per essere stati rogati in vio- lazione a questa norma 21 . Gli statuti accennano a scritture redatte da notai non appartenenti al collegio, ma in passaggi in cui la questione non viene tematizzata e ai quali non si saprebbe che valore dare.

19 Riporto qui il testo di questa disposizione preliminare, che io considero qui come cap. primo dello statuto notarile (f. 195rv, stampa 1541 f. 205r): «D E MODO PRINCIPIAN - DI OFFICIUM NOTARIORUM RUBRICA . In primis ut modus debitus apponatur in principian- do fidelem ordinem istius tabelionatus officii, statutum est quod dominus potestas Vercellarum vel eius vicarius una cum aliquibus ex sapientibus dicte civitatis eligere debeant sex vel octo ex intelligentibus et prudentibus notariis ipsius civitatis, qui in prin- cipio dicti tabellionatus officii et donec officiales notariorum officii secundum ordinem comprehensum in presenti volumine ordinabuntur una cum ipso domino potestate vel eius vicario ad dictum tabelionatus officium sufficientes et idoneos admittendos admit- tant et alios insufficientes omittant». Per il cap. 16 si veda il f. 201r-202v (stampa 1541 ff. 211v-213r). 20 Cito il testo della rubrica del cap. 17 (f. 202v, stampa 1541 f. 213r): «De una matricula notariorum societatis dicti collegii de novo fienda per consules et alios offi- ciales dicti collegii et de forma subscriptionis fienda in ipsa per notarios recipiendos et de nullitate instrumenti facti per notarium qui non sit de collegio et de pena contrafa- cientibus». 21 Conosco per ora solo un caso del primo Cinquecento: il notaio Giovanni Giacomo Cara di San Germano il 4 marzo 1504 rogò nel castello di Mottalciata la vendita di una pezza di terra da parte di Giovanni Bartolomeo de Ludovico del fu Lorenzo Alciati dei

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3. La giurisdizione del collegio

La forte curvatura ideologica che caratterizza i discorsi proemiali dei due importanti documenti di cui disponiamo – lo statuto collegiale e la matricola – consente, mi sembra, di individuare alcuni dei problemi di maggiore momento. Essi riguardano la posizione e il ruolo che al colle- gio vennero assegnati dallo statuto, proposto dalla città e passato al vaglio visconteo, i suoi spazi di autonomia, i suoi rapporti con il comu- ne e con gli officiali viscontei. Se è impossibile affrontare qui tali que- stioni nel loro complesso, si può forse tentare di metterle a fuoco da un punto di vista particolare, studiando quali fossero gli spazi giurisdizio- nali riservati al collegio in quanto istituzione pubblica 22 . Affidata alla magistratura societaria più importante, i due consoli, coadiuvati talvol- ta da sapienti scelti tra i notai collegiati, l’azione giurisdizionale del col- legio ricadeva, come subito si vedrà, su due ambiti ben individuabili: da una parte quello dei facta et negocia relativi al collegio, dall’altra quel- lo, sul quale maggiormente mi soffermerò, che riguardava l’esercizio dell’ officium notarie , ovvero l’esercizio delle pratiche notarili sia entro i ruoli riservati ai notai all’interno delle articolazioni istituzionali del comune sia, e soprattutto, nel campo della documentazione dei rapporti giuridici di diritto privato.

nobili del castello di Mottalciata a Francesco figlio di Uberto Pettenati agente in nome di suo padre; tre giorni dopo il notaio Gerolamo de Raspis, essendo l’istrumento appe- na citato non valido in quanto rogato da un notaio non appartenente al collegio dei notai della città di Vercelli, nel cui distretto di trovava Mottalciata, redasse un rogito in sosti- tuzione di quello precedente (Archivio di Stato di Vercelli, Fondo Berzetti di Murazzano, m. 60, nn. 45-46). 22 Sulla giurisdizione delle arti il contributo fondamentale resta quello di A. P ADOA SCHIOPPA , Giurisdizione e statuti delle arti nella dottrina del diritto comune , in Id., Saggi di storia del diritto commerciale , Milano 1992, pp. 11-63; ediz. orig. del saggio in «Studia et documenta historiae et iuris», 30 (1964), pp. 170-234. Al tema della giuri- sdizione esercitata dalle corporazioni notarili, pur spesso tacitamente trattato illustrando le competenze dei collegi, non vengono in genere riservate esplicite riflessioni: una eccezione di rilievo è costituita da L IVA , Notariato e documento notarile a Milano cit., pp. 217-240; spunti di grande interesse in Il notariato a Perugia cit., pp. 83-85, 95 sg., 103-105, 343 sg. e tavv. dopo p. X e dopo p. 264 (tav. VIII), che riproducono due minia- ture perugine raffiguranti il tribunale dei notai, con i priori del collegio (nel primo caso due, nel secondo tre) assisi su un alto banco nell’atto di rendere giustizia a persone disposte in basso in primo piano, divise in due ali che convergono al centro intorno a un notaio seduto nell’atto di verbalizzare gli atti della seduta giudiziaria.

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Lo spazio giurisdizionale bipartito riservato all’azione dei consoli venne definito in uno dei primi capitoli dello statuto (il quinto). Esso prevedeva che per i fatti rilevanti, non necessariamente di natura giudi- ziaria, che emergevano da tale area i consoli potessero convocare l’in- tero collegio (con il consiglio dei sei sapienti) o alcuni suoi appartenen- ti o anche uno solo dei notai collegiati. Le cause giudiziarie inoltre – stando al cap. 5, ma ciò come si vedrà costituisce un problema – dove- vano svolgersi inter notarios tantum , e i consoli avevano il potere di emanare precetti, condurre indagini, prendere conoscenza delle positio- nes delle parti, ecc., pronunziare infine la sentenza, con il consiglio tut- tavia di un giurisperito non sospetto alle parti, che poteva anche appar- tenere alla curia del podestà di Vercelli. La procedura doveva essere sommaria ed erano espressamente proibiti gli appelli 23 . Il dettato dello statuto appena visto è molto chiaro. Nella seconda sezione della raccolta normativa venivano dettate regole relative a punti determinati dell’esercizio dell’ ars soggetti al controllo dei consoli, e le pene, prevalentemente pecuniarie, relative alle loro violazioni. Così, per esempio, il primo articolo imponeva al notaio del collegio di non redi- gere istrumenti senza che lui stesso o almeno uno dei testimoni ne cono- scesse i contraenti; di scrivere nell’istrumento l’ora e il luogo della tra- ditio dell’istrumento stesso, i nomi dei contraenti, dei loro padri e i loro luoghi di provenienza, ecc. 24 Vi sono poi norme relative ai mestieri proi- biti (p. II, cap. 4); all’esclusione dal collegio di notai che avessero otte- nuto benefici ecclesiastici o fossero stati promossi agli ordini sacri o

23 Rubrica (f. 196rv, stampa 1541 f. 206rv): «De baylia consulum requirendi, consi- lia inquirendi, precipiendi et condamnandi sine remedio appellationis et recipiendi nota- rios et servandi statuta et de tenendo secreta quecumque provisa fuerint et proponenda». 24 «D E MODO TENENDO PER QUEMLIBET NOTARIUM IN TRADENDO QUODLIBET INSTRU - MENTUM SIBI ROGATUM ET DE PENA NOTARII CONTRAFACIENTIS RUBRICA . Item statutum et ordinatum est quod aliquis notarius de dicto collegio notariorum Vercellarum non faciat aliquod instrumentum nisi ipse notarius, vel saltem unus ex testibus notus ipsi notario, cognoscat contrahentes. In quo instrumento ipse notarius ponat et ponere debeat horam et locum traditi instrumenti et nomina contrahentium et patris contrahentis et cognomen, et de qua terra sunt si contrahens non fuerit civis Vercellarum, et similiter de testibus instrumenti sub pena arbitrio consulum dicti collegii usque ad libras centum terciolorum auferenda pro quolibet contrafaciente, inspecta qualitate et quantitate facti et negocii. De quorum contrahentium vel testis noti cognitione stetur sacramento dicti notarii si ob hoc contra eum procedi contingat» (f. 207r, stampa 1541 f. 206rv).

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ascritti a un ordine religioso (p. II, cap. 5); ai notai che disattendevano i precetti dei consoli del collegio (p. II, capp. 6 e 7); alle intitolazioni da dare ai registri redatti dai notai nell’esercizio di offici notarili del comu- ne (p. II, cap. 11); ecc. 25 . Sembrebbe quindi a prima vista che la cognizione dei comporta- menti devianti dei notai spettasse ex officio ai consoli della società. Va osservato però che i comportamenti devianti sanzionati nella seconda parte dello statuto sono classificabili il più delle volte come semplici infrazioni , punite mediante l’imposizione di ammende pecuniarie. Violazioni, insomma, accertate e punite per via molto sommaria nel corso delle due sedute settimanali prescritte ai consoli pro ratione red- denda , al mattino di lunedì e giovedì «ad banchum seu tribunal solitum dicti collegii» 26 . Nella sua prima sezione, che di fatto non venne riser- vata solo alla ordinatio dei consoli e degli altri officiali, lo statuto detta invece norme su questioni di maggiore rilievo sostanziale. È proprio tale normativa a offrire, come si vedrà, i dati più degni di riflessione. Intanto, mi sembra opportuno richiamare l’attenzione sul contenuto di due statuti che, come il quinto, offrono orientamenti di carattere gene- rale. I capitoli 13 e 14 tornano a definire le competenze del tribunale consolare, ribadendo la struttura bipartita, per così dire, dello spazio giurisdizionale del collegio. Sotto questo profilo nessuna novità. Qualcosa di nuovo essi dicono invece riguardo alle modalità di apertu- ra dei procedimenti: se essi venissero avviati su iniziativa dei consoli, dunque ex officio , oppure mediante la presentazione di un’accusa for- male, sulla base, quindi, di una logica di tipo accusatorio 27 . Il capitolo quinto non dava indicazioni chiare a questo proposito, ma nell’assegnare ai consoli la possibilità di convocare i notai del collegio, di «precepta facere, inquirere et inquisitionem facere, procedere, cogno-

25 Si vedano i ff. 207v, 210r sgg.; stampa 1541 f. 120v sgg. 26 Cap. 3 (f. 196r, stampa 1541 f. 205v): «(…) qui consules teneantur et debeant ire et stare bis in ebdomada, videlicet in die lune et iovis horis terciarum tantum, ad ban- chum seu tribunal solitum dicti collegii pro ratione reddenda sub pena solidorum duo- rum tertiolorum pro quolibet et qualibet vice, nisi hoc remanserit casu fortuito vel iusto impedimento vel tempore feriato ordinato per comune Vercellarum in honorem Dei et sanctorum eius». 27 Cfr. M. V ALLERANI , La giustizia pubblica medievale , Bologna 2005, in partic. i capp. III, V e VI.

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scere positiones», ecc., sembrava alludere a procedure di tipo inquisito- rio. I capitoli ora in esame, pur continuando a impiegare un vocabolario simile, suggeriscono invece, sia pure in assenza di una esplicita tema- tizzazione della questione, la necessità di un formale atto di accusa che metta in moto le procedure giudiziarie: i consoli devono inquirere «totiens quotiens ab eis fuerit requisitum» (dove ab eis vuol dire a loro , ai consoli ), devono «reddere rationem» a persone, comunità, università (cap. 13) 28 ; o ancora, con maggiore chiarezza, devono definire le que- stioni relative al collegio «que mote fuerint coram eis post contestatio- nem litis vel contradictionem seu comparitionem partis adverse ad requisitionem partis vel partium» (cap. 14) 29 . Prima di procedere è opportuno riassumere brevemente le questioni sul tappeto. L’analisi delle normativa relativa alle competenze giurisdi- zionali del collegio, poste in capo alla magistratura più importante di esso, i consoli, viene qui intrapresa con lo scopo di valutare il peso pro- grammatico che si intendeva attribuire al collegio entro il quadro delle istituzioni cittadine vercellesi. Gli statuti individuano uno spazio giuri- sdizionale specifico e individuano anche subito, nel quinto capitolo, sia pure ex negativo , l’esistenza di un problema fondamentale, del quale i redattori erano coscienti: quello dei limiti da assegnare al potere di inter- vento dei consoli entro l’ambito individuato, relativo al collegio e all’ of- ficium notarie . Quali erano i soggetti che i consoli potevano convocare? Quali erano i soggetti sui quali la giustizia dei consoli poteva agire? Il capitolo quinto risponde in modo chiaro: i consoli potevano convocare solo gli aderenti al collegio, in numero maggiore o minore; le cause dovevano svolgersi inter notarios tantum . Questione diversa ma collega- ta alle precedenti è poi quella delle modalità di apertura dei procedimen- ti. Il capitolo quinto non è chiaro su questo punto, ma è forse possibile ipotizzare che, almeno su certe materie ordinarie, di peso limitato, i con- soli potessero assumere l’iniziativa in modo autonomo. Altri statuti sem- brano invece postulare la necessità della richiesta formale di una parte. Si vedrà ora, studiando le norme relative a materie di grande rilievo, come proprio sui punti ora segnalati emergano indicazioni contrastanti.

28 F. 200rv, stampa 1541 f. 210v. 29 Ff. 200v-201r, stampa 1541 f. 211r.

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Segnale, a mio parere, che quella della giurisdizione del collegio nota- rile era una questione oggetto di vedute divergenti. Il capitolo 20 dello statuto vietava ai consoli di obbligare i notai a riparare errori commessi nel redigere istrumenti o imbreviature 30 . L’opportunità di correggere tali errori doveva essere anzi lasciata alla coscienza dei notai e i consoli dovevano astenersi da qualsiasi tipo di intervento autonomo. In caso di errori commessi nella redazione di istrumenti i consoli erano tenuti a intervenire solo se lo avesse richiesto il notaio collegiato che ne era responsabile: se un notaio collegiato aves- se commesso errori nella redazione di un istrumento e lo avesse poi con- segnato in pubblica forma a uno dei contraenti o ad altra persona, i con- soli del collegio, su richiesta del notaio, avrebbero dovuto, anche ricor- rendo agli strumenti coercitivi messi a disposizione dal podestà del comune, costringere la persona che aveva ricevuto l’istrumento a resti- tuirlo al notaio che aveva dichiarato di avere commesso l’errore e desi- derava correggerlo. Se colui che aveva ricevuto tale istrumento si fosse rifiutato di restituirlo entro il termine stabilito dai consoli, questi ultimi avrebbero dovuto assoggettare tale persona all’interdetto del collegio finché non avesse soddisfatto la volontà dei consoli. Il contravveniente sarebbe stato ipso iure et facto interdetto e il suo nome scritto nel libro degli interdetti del collegio.

30 F. 208rv, stampa 1541 f. 215r: «D E NON PRECIPIENDO PER CONSULES ALICUI NOTA - RIO UT SUUM ERROREM ALICUIUS INSTRUMENTI REVOCET RUBRICA . Item statutum et ordi- natum est quod consules dicti collegii non debeant precipere alicui notario ut revocet ali- quem errorem alicuius instrumenti vel abbreviature ipsius notarii per ipsum tradite et imbreviate seu traditi vel imbreviati, nec ut suppleat aliquem defectum qui fuerit in ali- quo huiusmodi instrumento vel imbreviatura, sed possit ille notarius errorem in sui defectum supplere iuxta coscientiam suam. Nec possint consules super predictis vel occasione predictorum aliquid aliud committere nec consilium inde habere. Et si aliquis notarius de dicto collegio erraverit in aliquo instrumento et ipsum instrumentum in publicam predictam formam dederit vel dari fecerit alicui ex contrahentibus vel alii per- sone, quod consules dicti collegii teneantur et debeant ad requisitionem ipsius notarii et eorum posse cogere et cogi facere cum brachio et auxilio domini potestatis Vercellarum dictum talem ex dictis contrahentibus vel aliam personam qui seu que dictum instru- mentum receperit ad reddendum et restituendum dictum instrumentum dicto notario qui sic se errasse dixerit et voluerit suum errorem corrigere. Et si dictus tali contrahens vel dicta persona qui seu que dictum instrumentum receperit restituere recusaverit dicto notario infra terminum eis statuendum per consules, quod ipsi consules possint, teneant et debeant dictum contrahentem vel aliam personam habentem seu que habuerit dictum

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Insomma, in casi del genere il collegio poteva intervenire solo su richiesta del notaio che aveva commesso un errore e intendeva riparar- lo. È significativo, d’altra parte, che lo statuto prevedesse per i consoli la possibilità di assoggettare all’interdetto del collegio, che doveva dotarsi di un libro degli interdetti, la controparte, vale a dire un cliente del notaio che nella più gran parte dei casi doveva essere esterno al col- legio non essendo a sua volta notaio. Tale possibilità era contemplata anche da un altro importante statu- to, relativo all’obbligo - per il notaio - della consegna dell’istrumento alla parte che, avendone diritto, ne avesse fatto richiesta, e dell’obbligo corrispettivo di pagare il prezzo per il rilascio della carta (cap. 30) 31 . Poteva infatti accadere che colui che aveva richiesto al notaio di redige- re in mundum un documento – fosse una singola persona o un ente – non se lo facesse poi consegnare e non pagasse quindi al notaio il prezzo relativo: in questo caso i consoli, su richiesta del notaio rogatario, sareb- bero dovuti intervenire per fare in modo che il committente saldasse al notaio il prezzo dovuto; se il committente si fosse rifiutato i consoli avrebbero dovuto, sempre su richiesta del notaio danneggiato, porre il cliente sotto l’interdetto del collegio. La possibilità di esercitare il potere giurisdizionale, sia pure su questioni relative all’ ars notarie , su persone estranee al collegio è, con ogni evidenza, un fatto notevolissimo. Il conferimento di una tale pre- rogativa era, da un canto, il segno tangibile della disponibilità, da parte della commissione che aveva redatto lo statuto, ad assecondare le ambizioni dell’élite dei notai che dovevano dare corpo al collegio; ma era anche, d’altro canto, segno della volontà di porsi sul solco di una tradizione corporativa che poteva vantare una più che secolare vigoria.

instrumentum ponere et tenere interdicto dicti collegii quousque satisfecerit voluntati consulum dicti collegii. Et sic revocandum errorem suum de errore suo non possit accu- sari nec contra ipsum ullo modo procedi. Et si contrafecerit ipso iure et facto sit inter- dictus et in libro interdictorum dicti collegii ponatur, de quo eximi non possit donec sati- sfecerit voluntati consulum et notarii accusati. Et predicta habeant locum in his qui sunt de collegio notariorum in quolibet capitulo supradicto». 31 F. 204v, stampa 1541 f. 217v-218r: «De ratione reddenda cuilibet per consules conquerenti de aliquo notario, occasione alicuius instrumenti rogati et scripti reddendi et consequens exigendi et de pena ipsorum rubrica».

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Il conferimento al collegio di un così ampio potere di intervento rimase però allo stato di intenzione, di pura ambizione, frustrata dalla semplice aggiunta, da parte dei revisori incaricati dal principe, di clau- sole che senza correggere materialmente il contenuto dei capitoli, di fatto lo svuotavano. Di particolare rilievo appare la clausola posta in fondo al cap. 20: essa, contraddicendo il disposto della norma, stabiliva che le azioni giudiziarie prescritte dovessero interessare solo gli appar- tenenti al collegio dei notai («habeant locum in his qui sunt de collegio notariorum») 32 . Allo stesso modo operava la clausola posta in calce al cap. 30: essa ordinava che quanto prescritto avesse luogo solo quando colui che aveva richiesto al notaio di fare l’istrumento, sul quale era nata poi la lite, fosse un notaio del collegio: «Si autem non fuerit de collegio reservetur predicta questio iudici ordinario» 33 . Erano questi i frutti più evidenti della revisione viscontea. Essi inte- ressano sia per il modo, affatto sbrigativo, di procedere, sia per la dire- zione impressa al processo di revisione stesso, volta a operare uno svuo- tamento della giustizia corporativa, limitando la sua efficacia ai soli ade- renti al collegio. Norme che prevedevano una grande ampiezza di inter- vento venivano ridotte a provvedimenti intesi a sedare, con strumenti di grande severità (l’interdetto), le sole beghe tra notai. Accanto a questo punto, che mi sembra decisivo, occorrerebbe anche

32 In realtà il testo intero della clausola suona «Et predicta habeant locum in his qui sunt de collegio notariorum in quolibet capitulo supradicto» (f. 208v, stampa 1541 f. 215r): essa si riferiva quindi non al solo cap. 20 ma a tutti i capitoli precedenti. La com- missione viscontea doveva aver lavorato sull’esemplare giuntole da Vercelli, almeno in casi come questo o altri simili, mediante aggiunte apposte negli spazi bianchi del mano- scritto. Le copie tratte da questo esemplare ‘corretto’ – copie solenni e ufficiali o copie i lavoro – avevano poi, almeno in casi come quello dell’esemplare di cui oggi disponia- mo, posto in modo indebito la clausola d’ordine generale di cui ci stiamo occupando come clausola finale di un singolo statuto. 33 «Et predicta locum habeant quando ille qui fecerit fieri instrumentum vel instru- menta fuerit de collegio. Si autem non fuerit de collegio reservetur predicta questio iudi- ci ordinario» (f. 204v, stampa 1541 f. 218r). Si veda anche il cap. 36 (ff. 206v-207r, stampa 1541 f. 220r): «D E BAYLIA CONSULUM PROCEDENDI ET PUNIENDI , CONDAMNANDI ET EXECUTIONI MANDANDI CUM AUXILIO COMUNIS VERCELLARUM ET RECTORUM IPSIUS QUOS - CUMQUE EIS INOBEDIENTES RUBRICA . Item ut delicta non remaneant impunita statutum est et ordinatum quod consules dicti collegii possint et valeant libere, licite et impune, sum- marie, simpliciter et de plano, sine strepitu et figura iudicii et in scriptis et sine scriptis procedere contra quoscumque inobedientes seu contra contenta in statutis dicti collegii

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valutare il rilievo che ha la netta esclusione, nel dettato delle due norme appena viste, della possibilità per i consoli di intervenire in modo auto- nomo, ex officio . E si tratta qui del dettato che esse avevano nella for- mulazione originale, precedente all’intervento visconteo. Sembrerebbe insomma che, a parte ciò che riguardava le infrazioni punibili con una semplice ammenda, il collegio non potesse intervenire se non su istan- za di un suo associato. La procedura di tipo accusatorio costituiva la cor- nice entro cui si esplicava l’intervento giurisdizionale dei consoli. Gli spazi di tale intervento erano stati poi ulteriormente limitati, come si è già visto, dalla drastica restrizione, sanzionata dall’intervento visconteo, del novero dei soggetti che potevano essere sottoposti alla giustizia societaria, limitato ai notai collegiati. Così, per citare un’altra norma statutaria (cap. 24) 34 , simile del resto al cap. 30 prima sommariamente citato, i consoli del collegio potevano essere richiesti da un notaio – detto prima aliquis de ipso collegio poi notarius – di porre un altro notaio sotto interdetto, negan- dogli in tal modo «omne exercitium et beneficium notarie», per debi- to derivante da questioni strettamente attinenti l’esercizio dell’ offi- cium notarie (la redazione di scritture e il loro prezzo). Nell’ambito di una procedura sommaria i consoli erano tenuti a verificare la fonda- tezza dell’accusa. Nel caso quest’ultima fosse stata provata, scattava l’interdetto e il nome del condannato doveva essere posto nel libro già citato («liber in quo scribantur omnes qui fuerint interdicti, et qua de causa et annus, mensis et dies»). Il condannato sarebbe potuto uscire dall’interdetto solo giungendo ad un accordo con il notaio che ne aveva richiesto la condanna. Nella norma appena vista veniva ipotizzata una controversia ver- tente tra aderenti alla medesima società, relativa ad aspetti pertinenti all’arte praticata dagli associati. La controparte veniva, in ultima ana-

vel aliquid ipsorum faciendis et condamnare et condamnationes facere et executioni mandare et auxilium comunis Vercellarum et quorumcumque rectorum et officialium dicti comunis petere et executioni mandare, omni tempore statuto aliquo in contrarium non obstante. Et predicta locum habeant in concernentibus officium notarie tantum et collegium notariorum». 34 F. 209rv, stampa 1541 f. 216rv: «De modo et forma tenenda per consules super interdictis petitis concedendis et faciendis et quibus de causis ad petitionem cuius fieri debeant interdicta rubrica».

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lisi, accusata del reato di morosità. Sommariamente provata la fonda- tezza dell’accusa, la sanzione consisteva nella temporanea esclusione del reo dal collegio e dunque nella sua temporanea sospensione dal- l’esercizio dell’ officium notarie . Un eventuale sequestro dei beni del debitore moroso e la susseguente messa in solutum di tali beni non sembra fosse questione di pertinenza del collegio (ma si veda il cap. 21 35 ). L’esclusione da quest’ultimo era una pena di pertinenza della giustizia societaria, accessoria rispetto ai provvedimenti che potevano essere assunti dalle istanze giudiziarie del comune, che erano poi quel- le della giustizia ordinaria. Questo carattere accessorio della giustizia del collegio, esercitata a difesa e ausilio degli associati, non è che un aspetto specifico del dovere generico, prescritto ai consoli come a tutti i componenti del collegio, di una solidarietà corporativa da esibire in difesa del consocio, del notaio quindi, che soffra di attacchi portati alla sua persona o al suo avere: i consoli, il collegio e tutti i notai del col- legio devono «defendere, conservare et manutenere omni suo iure» i notai del collegio «in avere et personis, ne fiat eis tortum sive iniuriam vel violentiam» contro chiunque, persona, universitas o comunitas 36 . Si noti: «omni suo iure», quindi mobilitando tutte le prerogative lega- li del collegio. Verrò ora brevemente, prima di concludere, alle norme relative alle

35 F. 208v, stampa 1541 f. 215rv: «D E BAYLIA CONSULUM ET SINDICATORUM CAPIENDI ET PIGNORANDI QUOSCUMQUE CONDAMNATOS ET INOBEDIENTES ET EORUM BONA SEQUE - STRANDI ET VENDENDI RUBRICA . Item statutum et ordinatum est quod consules dicti col- legii et sindicatores ipsius collegii et quicumque ipsorum possint quoscumque inobe- dientes de dicto collegio et condamnatos seu qui condamnati fuerint tam per formam statutorum quam per ipsos consules cum brachio et auxilio domini potestatis Vercellarum capere et pignorare in avere et personis et eorum bona sequestrare et ven- dere quomodolibet eis et cuilibet ipsorum placuerit expensis condamnatorum et dare debentium collegio suprascripto». 36 Ho citato dal cap. 26 (f. 209v, stampa 1541 f. 216v): «D E CONSERVANDO ET MANU - TENENDO PER CONSULES COLLEGII OMNES NOTARIOS DE DICTO COLLEGIO ET OMNIA SUA BONA ET IURA CONTRA QUOSCUMQUE MOLESTANTES ET DAMNIFICANTES IPSOS ET BONA IPSO - RUM PER VIOLENTIAM RUBRICA . Item statutum et ordinatum est quod consules universi et singuli dicti collegii qui nunc sunt et pro temporibus fuerint et totum collegium et omnes notarii de dicto collegio teneantur et debeant precise defendere, conservare et manute- nere omni suo iure omnes et singulos notarios suprascripti collegii et quemlibet nota- rium de dicto collegio in avere et personis, ne fiat eis tortum sive iniuriam vel violen- tiam contra quamlibet personam vel universitatem vel comunitatem». Si veda anche il

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competenze di maggiore rilievo dei consoli: da un lato quella regolante la concessione dell’autorizzazione al rifacimento di istrumenti già altra volta consegnati in mundum alle parti; dall’altro quelle relative alle provvidenze volte a tutelare i protocolli dei notai defunti o sospesi dal- l’esercizio della professione. La decisione di autorizzare il rifacimento di un istrumento «quod appareat alias explicatum», di un istrumento che era già stato quindi estratto dai protocolli del rogatario una prima volta, era certamente una delle prerogative giudiziarie più importanti del collegio 37 . La com- plessa procedura prevista per tali rifacimenti riguardava esclusiva- mente quattro generi di istrumento: di debito o mutuo, di deposito, di comodato e di soccida «ad capitale salvum»; in termini giuridici i documenti relativi a obbligazioni. Sulle ragioni, del resto scontate, dell’esclusione di altri generi di documento da questa procedura non mi soffermerò. Facendo salva in ogni caso la giurisdizione del giudi- ce ordinario – come prescriveva in calce alla norma una clausola che ha tutta l’aria di essere frutto della revisione viscontea –, il capitolo 28 dello statuto notarile stabiliva quale fosse la procedura che i consoli del collegio dovevano seguire per il rifacimento di un istrumento appartenente a una delle quattro categorie appena viste e per la reda- zione obbligatoria di una scrittura definita nel testo come repertorium . Cosa fosse questo repertorium non è detto né nel capitolo in questio- ne né in altro capitolo dello statuto societario (e questo è una circo- stanza di per sé interessante): si può ipotizzare che fosse un registro in cui si dovevano depositare i dati essenziali relativi alla procedura seguita per decretare il rifacimento del documento e le publicationes e il contenuto di quest’ultimo. Tralascio qui i particolari della procedura 38 , per soffermarmi a riflet-

cap. 31, del quale riporto qui la sola rubrica (ff. 204v-205r, stampa 1541 f. 218r): «De consulibus et notariis dicti collegii offensis, damnificatis vel molestatis pro < stampa et> consignatione honoris dicti collegii et pro publicatione et remotione aliquorum notario- rum falsariorum et inobedientium ipsis consulibus manutenendis, defendendis et con- servandis contra quoscumque rubrica». 37 Lo statuto del Collegio dei notai di Vercelli ne tratta in particolare al cap. 28 (f. 204r, stampa 1541 f. 217rv) del quale trascrivo qui la rubrica: «De repertoriis fiendis et de modo et forma tenendis per consules ipsorum occasione repertoriorum fiendorum et que instrumenta possunt nisi semel rubrica».

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tere sul fatto che la norma sopra esaminata riservava ai consoli del col- legio una competenza giurisdizionale – limitata dalla riaffermazione, appena ricordata, dell’intangibilità della sfera della giurisdizione ordi- naria – su un ambito chiave per le società urbane del pieno e tardo medioevo: quello del credito. Il rifacimento di istrumenti che attestava- no il diritto di qualcuno a ricevere entro e non oltre un determinato momento (o anche, a determinate condizioni, oltre un certo momento) una prestazione in denaro o in beni era questione delicatissima, come è noto, e gli statuti comunali italiani, che riservavano ampi spazi alle que- stioni relative al credito e alla sua tutela, trattavano l’argomento con somma circospezione. Si rischiava, per farla breve, che qualcuno riu- scisse per via giudiziaria a ottenere la restituzione di un debito che gli era già stato altra volta saldato. Il collegio aveva insomma competenza su un aspetto particolare della regolamentazione delle operazioni credi- tizie e dei loro esiti contenziosi. Aspetto connesso con la prassi squisi- tamente notarile della redazione in mundum dell’istrumento, ovvero del- l’estrazione dell’istrumento dal registro delle imbreviature e della anno- tazione sulla stessa imbreviatura del compimento di siffatta operazione. Va detto, per altro, che se la competenza sul rifacimento degli istru- menti riservava de facto al collegio una competenza sul corretto svolgi- mento delle operazioni creditizie, ciò avveniva in grazia dell’incidenza sul credito di un fatto tecnico-documentario. L’ambito di elezione della giurisdizione del collegio era, dunque, quello relativo alla gestione dei prodotti documentari frutto dell’eser- cizio dell’ officium notarie , più che un controllo diretto su tale eserci- zio – sempre che la distinzione abbia motivo d’essere. Risulta chiaro, di conseguenza, come la salvaguardia dei protocolli da perdite e dispersioni, ovvero la tutela del prodotto di maggiore rilievo dell’at- tività di notarile, fosse uno dei punti di più vivo interesse per il col- legio. Lo statuto di quest’ultimo dedica a tale salvaguardia, da garan- tire soprattutto nel momento delicato immediatamente posteriore alla morte del notaio, alcune importanti norme. Di là dal loro specifico contenuto, esse confermano abitudini e comportamenti consolidati e

38 Che consisteva essenzialmente nell’accertamento, esperito mediante la citazione e la deposizione della controparte e il giuramento del richiedente, del diritto di que- st’ultimo a ottenere il rifacimento e la connessa repertoriazione di un istrumento.

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ampiamente diffusi altrove nello stesso periodo. I fatti di cui tenere conto sono essenzialmente due: i protocolli e le scritture notarili assi- milabili ad essi costituivano un bene patrimoniale del notaio ed erano quindi oggetto di successione volontaria o ab intestato ; allo stesso tempo protocolli e imbreviature erano veicolo di interessi legittimi di privati e istituzioni tutelati ovunque, nell’Italia comunale e post- comunale, dalle istituzioni pubbliche cittadine, ossia dalle autorità comunali oppure dalle corporazioni notarili 39 . A Vercelli, a partire almeno dal tardo Trecento visconteo e poi per un lungo periodo suc- cessivo, la tutela di questi interessi veniva garantita dal collegio in due modi 40 : a) facendo redigere in un libro apposito un inventario analitico delle scritture appartenute al notaio defunto entro un certo numero di giorni dalla notizia della sua morte; b) controllando la destinazione delle scritture – che, come si è si è già detto, venivano devolute per normali vie successorie – e affidandone la gestione diretta a un notaio del collegio (è la cosiddetta commissio ), il cui nome veniva registrato in un secondo libro, da conservare come il primo nella sacrestia del collegio. Quest’ultimo passaggio necessita forse di un chiarimento: l’affida- mento da parte dei consoli e dei sapienti del collegio della gestione diretta delle scritture del notaio defunto non costituiva una complica- zione se gli eredi del defunto erano notai appartenenti al collegio: essi erano i naturali affidatari dei protocolli; nel caso in cui non fossero notai tali scritture dovevano essere affidate a un notaio collegiato che avesse il gradimento degli eredi; infine, in mancanza di eredi l’affidamento sarebbe avvenuto ad arbitrio degli officiali del collegio. Una norma analoga regolava la gestione dei protocolli dei notai publicati , vale a dire espulsi dal collegio 41 . Tali protocolli dovevano per-

39 Si vedano p. es. C OSTAMAGNA , Il notaio a Genova cit., 217-249; L IVA , Notariato e documento notarile a Milano cit., pp. 112-125; Statuti notarili di Bergamo cit., pp. 26-28; P ECORELLA , Statuti notarili piacentini del XIV secolo cit., pp. 26 sg., 77-80. 40 Faccio qui riferimento alla norma contenuta nel cap. 32 (ff. 205r-206r, stampa 1541 f. 218v-219v) aperta dalla seguente rubrica: «De breviariis, notis, prothocollis et scripturis notariorum defunctorum et de inventario de ipsis fiendo et de ipsis commi- tendo per consules et cui, quando et quomodo ipse commissiones fieri debeant et de penis contrafacientibus rubrica».

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venire al collegio, evidentemente dopo essere stati sequestrati, ed esse- re riposti nella sacrestia, l’archivio del collegio. L’estrazione degli ori- ginali dai protocolli sequestrati doveva essere operata a turno («tempo- ribus successive») da notai eletti a sorte, a cui il diritto a eseguire le ope- razioni di estrazione (non l’affidamento dei protocolli, che restavano depositati nella sacrestia) veniva attribuito mediante l’atto formalizzato della commissio . A differenza di quanto accadeva per i protocolli dei notai defunti le commissiones ricadevano sotto la responsabilità del podestà di Vercelli, o di un suo giudice o vicario, e contemporaneamen- te dei consoli del collegio («et fieri debeant dicte commissiones per dominum potestatem Vercellarum vel aliquem eius iudicem vel vica- rium et consules dicti collegii»). Nel caso in cui il notaio publicatus avesse figli o eredi notai la commissio doveva essere fatta in favore di uno di loro, ma anche in questo caso i protocolli dovevano rimanere depositati presso il collegio.

4. Conclusione

Lo studio di un testo normativo, se non è accompagnato da indagini condotte su fonti in grado di illuminare la prassi quotidiana, i compor- tamenti reali delle istituzioni e degli individui cui la legge è indirizzata, non consente di andare oltre l’esplorazione di ideali, principi, intenzio- ni, rappresentazioni che della realtà si dà chi propone la legge e chi, dal- l’altra parte, la valuta, la corregge, la approva. Il che sarebbe, beninte- so, già moltissimo, e in ogni caso molto di più di quanto si sia fatto nelle pagine che precedono. In queste si è cercato, mediante una descrizione delle competenze giurisdizionali riservate per legge a una istituzione non autonoma, come il collegio notarile di Vercelli, di vedere quali fos- sero gli spazi di azione che si progettava di concederle, quali i controlli e i condizionamenti ai quali veniva programmaticamente assoggettata,

41 Si tratta del cap. 33 (f. 206r, stampa 1541 f. 219v): «De breviariis notariorum publicatorum perveniendis in collegium supradictum et commitendis notariis per con- sules rubrica». Per i notai publicati si vedano i capp. 19, 22, 23, 31 (rispettivamente ff. 207[bis]r-208r, 208v, 208v-209r, 204v-205r e stampa 1541 ff. 214r-215r, 215rv, 215v, 218r).

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quale, in ultima analisi, il peso politico che si voleva fosse attribuito alla categoria che veniva organizzata entro le sue strutture. Il caso degli sta- tuti tardo-trecenteschi del collegio dei notai di Vercelli è di particolare interesse perché non ci consegna, come forse nessuno statuto fa, un’im- magine statica delle competenze che vengono assegnate all’ente: i con- dizionamenti che hanno pesato sulla sua redazione e le esigenze che hanno impresso un determinato orientamento al processo di revisione dello statuto da parte del principe generano punti di tensione che emer- gono con evidenza sul tessuto normativo. Nello statuto si avverte quindi la coesistenza di due idee molto dif- ferenti del ruolo che deve essere riservato al collegio dei notai entro le istituzioni e la società cittadine. Viene disegnato, da un lato, il profilo di un organismo societario che, pur essendo saldamente inserito nel siste- ma delle istituzioni politico-amministrative controllato dal principe, conserva ampi poteri di intervento negli ambiti suoi propri. L’assegnazione di competenze così larghe non fu la conseguenza di valutazioni di natura tecnica. Essa aveva anzi una valenza politica, radi- cata in un retroterra ideale che considerava con favore la coesistenza, accanto al maggiore organismo politico-amministrativo della città, di centri di potere giurisdizionale competenti su ambiti delimitati della vita associata – per esempio il commercio, l’esercizio delle professioni giu- ridiche, l’esercizio del notariato – con capacità di intervento, per certi fatti, su tutti i membri attivi della società. Nel caso specifico dello sta- tuto del collegio dei notai di Vercelli, nel determinare un orientamento siffatto aveva certo giocato la forza della tradizione corporativa notari- le, che era certo anche una tradizione normativa, e l’influenza delle éli- tes notarili. Resta tuttavia difficile valutare esattamente il peso delle diverse influenze. Dall’altra parte, quella ducale, si manifesta l’evidente volontà di limitare le competenze del collegio, ai cui membri viene comunque riservato il monopolio dell’esercizio dell’ ars notarie nel territorio ver- cellese. Alla società si riservano compiti di garanzia del corretto svolgi- mento del lavoro notarile e la risoluzione dei conflitti tra notai per fatti riguardanti l’ officium notarie. I casi che coinvolgono soggetti esterni al collegio, i conflitti emergenti nel rapporto notai-società, vengono inve- ce riservati alla cognizione della giustizia ordinaria, saldamente con-

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trollata dal principe. Si vuole insomma, consolidando il processo di accentramento del potere, ridurre entro stretti confini l’autonomia del- l’organizzazione corporativa. Il lavoro che resta da fare sul collegio è molto: un’analisi puntuale della matricola consentirebbe di studiare sia alcuni aspetti delle primis- sime fasi di vita del collegio sia alcuni sviluppi successivi. Ma è soprat- tutto lo studio della documentazione quattrocentesca, in particolare quella dei numerosi protocolli notarili conservati, che può riservare delle sorprese. Se si riuscisse a individuare qualcuno dei protocolli appartenuti a coloro che ricoprirono la carica di notaio del collegio si potrebbe osservare nel vivo l’attività della società, verificare quali fos- sero gli aspetti pratici, sostanziali e procedurali, dell’azione ammini- strativa e giurisdizionale del collegio.

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ELISA MONGIANO Università del Piemonte Orientale ______

LA RIFORMA STATUTARIA DEL 1341

Nel 1341 il comune di Vercelli, ormai stabilmente inserito nell’orbi- ta del dominio visconteo 1, attendeva alla revisione della propria legisla- zione statutaria, ad un secolo esatto dalla precedente riforma, realizzata appunto tra il 1241 ed il 1242. L’iniziativa venne avviata dal podestà in carica, il milanese Protasio de Caymis , coadiuvato dal proprio vicario generale Sandrino Spadaretta, giusperito di Parma. A quanto si ricava dal proemio degli statuti, alla revisione attesero, in una prima fase, «sex sapientes tam iuris peritos quam alios congruos et expertos ad opus predictum», appo- sitamente designati dal podestà; l’opera degli statutarii fu, quindi, esa- minata «per alios vigintiquattuor sapientes», nominati, questa volta, dal consiglio cittadino sentito il parere del collegio dei giureconsulti, e, da ultimo, sottoposta all’approvazione del consiglio di credenza. La redazione trecentesca è tramandata dall’elegante codice membra- naceo conservato presso l’Archivio storico comunale 2, il solo superstite dei tre esemplari della raccolta statutaria previsti proprio dalle norme del 1341, di cui uno era destinato a stare «ad domum domini potestatis», l’altro ad essere gelosamente custodito «ad cameram turris librorum communis Vercellarum», ossia nell’archivio, facendo fede di originale, ed il terzo a rimanere esposto, ben «firmus et cathenatus», «in domo ubi ius redditur», a disposizione di chiunque volesse prenderne visione o trarne copia. Ed è, appunto, quest’ultimo l’esemplare pervenuto. A distanza di duecento anni, il corpus statutario trecentesco venne, poi, dato alle stampe, nell’edizione, sostanzialmente fedele al testo

1 Sulle vicende del comune vercellese conseguenti all’avvento del dominio viscon- teo, cfr. per tutti, oltre ai riferimenti contenuti nell’ormai classico lavoro di C. DIONISOTTI , Memorie storiche della Città di Vercelli precedute da Cenni statistici sul Vercellese , II, Biella 1864, pp. 239-259, quanto illustrato da R. O RDANO , Storia di Vercelli , Vercelli 1982, pp. 193-210 2 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Sezione Codici.

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manoscritto, curata dal giureconsulto e dottore collegiato Paolo Alciati e realizzata nella tipografia vercellese di Giovanni Maria Pellipari, che, come risulta dall’ explicit del volume, ne terminò l’impressione il 23 giugno 1541 3. È ovvio che la stampa, di per sé, non comportava alcun effetto sul piano giuridico, trattandosi di un’iniziativa del tutto privata, analoga a quelle avviate nello stesso arco di tempo da varie altre comu- nità dell’Italia settentrionale, mosse dall’esigenza di rendere maggior- mente accessibile una delle fonti principali del diritto locale e, talora, anche dall’aspirazione a celebrare ciò che restava di un’autonomia nor- mativa ormai fortemente compressa dal potere signorile 4. Per quanto specificamente si riferisce a Vercelli, la vigenza degli sta- tuti trecenteschi era semmai garantita dalla conferma ducale concessa dal duca Amedeo VIII nel luglio 1428, a pochi mesi dal passaggio sotto la dominazione sabauda 5. Tuttavia la «consolidazione» in un testo a stampa della legislazione statutaria sicuramente contribuì alla sua con- servazione come fonte del diritto locale sino alla codificazione, ossia fino alla prima metà del XIX secolo 6. Del resto, quella cinquecentesca era destinata ad essere l’unica edizione a stampa della raccolta vercelle- se, che non risulta essere stata oggetto di ulteriori edizioni, né finalizza- te alle necessità della pratica forense, né rivolte alla valorizzazione in chiave storica della tradizione comunale e delle fonti normative che ne erano state, al tempo stesso, simbolo e prodotto. Fu in effetti la compi- lazione del 1241-42 ad essere accolta nel programma di pubblicazione dei Monumenta Historiae Patriae e ad essere pertanto stampata, nel

3 Hec sunt statuta communis et alme civitatis Vercellarum , impressum Vercellis, per Iohannem Mariam de Peliparis de Palestro, 1541, a cui vanno riferite le citazioni del testo statutario riportate nel presente contributo. Per la storia dell’edizione, si rinvia a quanto riferito da G. F ERRARIS , A 450 anni dalla prima edizione degli statuti di Vercelli , in «Bollettino storico vercellese», XX (1991) n. 2, pp. 106-108. 4 In ordine a tali edizioni, cfr. G.S. P ENE VIDARI , Censimento ed edizione degli sta- tuti, con particolare riferimento al Piemonte , in Dal dedalo statutario. Atti dell’incon- tro di studio dedicato agli Statuti , Bellinzona 1995, pp.261-288, ed in specie pp. 266- 268, nonché C. S TORTI STORCHI , Edizioni di statuti del secolo XVI. Qualche riflessione sul diritto municipale in Lombardia tra Medioevo ed età moderna , ibid. , pp. 193-218, ora anche in E AD ., Scritti sugli statuti lombardi , Milano 2007 , pp. 153-192 ed in parti- colare p. 179. 5 Nel merito D IONISOTTI , Memorie storiche cit., pp. 261-294; O RDANO , Storia di Vercelli cit., pp. 211-223. 6 In proposito, si rinvia a quanto segnalato infra .

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La riforma statutaria del 1341

1876, nel secondo dei volumi dedicati alle Leges Municipales , con brevi cenni, nella nota introduttiva all’edizione, alla riforma trecentesca 7; ed ancora ad essere pubblicata singolarmente, l’anno successivo, a spese del comune 8. Della redazione del 1341 resta, invece, un’ampia sintesi, dovuta al magistrato e storico vercellese Carlo Dionisotti, nel volume XXIV del Dizionario geografico del Casalis, apparso nel 1853, alla voce Vercelli 9. Date tali premesse, appare chiaro che l’attenzione della storiografia sia stata maggiormente sollecitata dal testo duecentesco, più risalente e più legato alla fase di piena espressione dell’autonomia comunale. Ciò nondimeno, la redazione trecentesca non è certamente priva di interes- se, sia nella forma che nella sostanza, e merita rilievo non foss’altro per- ché in concreto fu quella applicata più a lungo e, dunque, quella che, per secoli, effettivamente costituì la base del diritto municipale. I cento anni che la separano dalla precedente revisione non sono sicuramente inin- fluenti sotto il profilo della tecnica legislativa, mentre risultano assai meno rilevanti sotto quello dei contenuti, che, nonostante adattamenti ed integrazioni talvolta anche significativi, restano in buona misura immutati.

7 Statuta communis Vercellarum ab anno1241 , in Historiae Patriae Monumenta , vol. XVI, Leges Municipales , t. II/2, coll. 1089-1264. 8 Statuti del Comune di Vercelli dell’anno 1241 aggiuntivi altri monumenti storici dal 1243 al 1335, ora per la prima volta editi e annotati a cura del prof. commendato- re Giovambatista Adriani , Torino 1877. Sulla pubblicazione e sulla condotta non del tutto limpida, sotto il profilo della correttezza scientifica, dell’Adriani, per «la grave appropriazione» da questi compiuta del lavoro di edizione svolto dal Mandelli, cfr. I.M. SACCO , Unicuique suum (a proposito di Giovan Battista Adriani) , in «Comunicazioni della Società per gli Studi Storici Archeologici e Artistici per la provincia di Cuneo», VI (1934) n. 2, pp. 33-38. La questione è stata, più di recente, ripresa ed ulteriormente approfondita da I.M. A DORNO , Un “giallo” storico. L’edizione ottocentesca degli “sta- tuti antichi” di Vercelli , in «Rivista di Storia del Diritto Italiano», LXVI (1993), pp. 491- 511; G.S. P ENE VIDARI , Giovan Battista Adriani e la Deputazione di Storia Patria, in L’opera di Giovan Battista Adriani fra erudizione e storia , a cura di D. L ANZARDO e F. PANERO , Cuneo 1996, pp. 19-37 ed in specie pp. 25-29 e 33-34; I D., Vittorio Mandelli e l’edizione degli statuti di Vercelli del XIII secolo , in Vittorio Mandelli (1799-1999). Atti del convegno di studi , Vercelli, s.d., pp. 41-72. 9 Sunto degli Statuti della Città di Vercelli , in G. C ASALIS , Dizionario geografico sto- rico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna , XXIV, Torino 1853, pp. 453-552. Per l’attribuzione al Dionisotti, si veda il cenno fattone dallo stesso Casalis (ibid ., p. 144).

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Di certo la riforma del 1341 si colloca in un quadro politico ed isti- tuzionale sensibilmente diverso rispetto a quello che aveva fatto da sfondo alla revisione duecentesca. Una novità essenziale è ovviamente la presenza del potere signorile, anche se, almeno stando a quel che si ricava dall’esame delle disposizioni statutarie, si tratta di una presenza ancora non troppo incombente. La revisione trecentesca si inserisce pure in una diversa fase della cultura giuridica europea 10 . È nei decenni a cavallo tra Due e Trecento che, attraverso l’apporto della dottrina e il contributo, non meno rile- vante, della pratica, si definisce e precisa il rapporto fra le diverse fonti del diritto, tra diritto generale e diritti particolari, tra ius commune – rap- presentato dalla tradizione del diritto romano giustinianeo, riscoperto ed interpretato dalla scienza giuridica medievale, e dal diritto canonico – e iura propria , siano essi municipali, signorili o regi, secondo un’impo- stazione che accresce l’autorità dell’interprete, facendone per molti versi la chiave di volta del sistema normativo 11 . Gli statuti del 1341 sono in vari punti lo specchio fedele del nuovo orientamento; tenterò in questa sede di accennare almeno ai principali. Un primo punto è costituito dal fatto che, con la revisione trecentesca, la scientia iuris fa, per così dire, il suo ingresso nella legislazione del comune vercellese. Particolarmente significativo si rivela il confronto fra i proemi delle due raccolte. Nel testo duecentesco si punta esclusivamen- te a chiarire le finalità della compilazione, che vengono, tra l’altro, espres-

10 Per un quadro delle linee fondamentali che contraddistinguono l’esperienza giuri- dica medievale tra XIII e XIV secolo, cfr. specialmente M. B ELLOMO , L’Europa del dirit- to comune, Roma 1994, pp. 163-217; E. C ORTESE , Il Rinascimento giuridico medievale , Roma 1992, soprattutto p. 43 sgg.; I D., Il diritto nella storia medievale , II, Il Basso Medioevo , Roma 1995, pp. 391-452; P. G ROSSI , L’ordine giuridico medievale , Roma-Bari 1995, soprattutto pp. 187-235; I D., L’Europa del diritto , Roma-Bari 2007. pp. 37-64. 11 Sulla progressiva «elevazione» del diritto romano giustinianeo a «diritto comune» e sull’influenza esercitata in proposito dagli statuti comunali e specialmente da «prassi giudiziarie e statutarie», cfr. la ricostruzione proposta da A. G UZMAN BRITO , Historia de las nociones de «derecho común» y «derecho proprio» , in Homenaje al profesor Alfonso García Gallo , Madrid 1996, I, pp. 207-240, e da E. C ORTESE , Agli albori del concetto di diritto comune in Italia (sec. XII-XIII) , in El dret comú i Catalunya. Actes del VIII Símposi Internacional, Barcelona 1999 , pp. 173-195, recentemente ripresa da M. CARAVALE , Federico II e il diritto comune , in Gli inizi del diritto pubblico , II, Da Federico I a Federico II , a cura di G. D ILCHER - D. Q UAGLIONI , Bologna-Berlin 2008, pp. 87-109 e in specie pp. 87-89.

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La riforma statutaria del 1341

se in modo estremamente succinto, ancorandole all’esigenza, eminente- mente pratica, di rendere «aperior» a chiunque l’insieme delle disposizio- ni statutarie ed alla conseguente necessità di eliminare la confusione deri- vante dalle aggiunte, cancellature e correzioni via via apportate al corpus normativo 12 . Nella redazione trecentesca, il proemio acquista una veste solenne, ridondante di cultura giuridica. Le motivazioni concrete della revisione, in sostanza del tutto analoghe a quelle della precedente, sono precedute e, in certo modo, fatte derivare da principi di ordine generale. Con ampie e pressoché testuali citazioni tratte dalle fonti canonisti- che, in particolare dal Decretum di Graziano, e da quelle civilistiche, in specie dal Digesto, si richiama la necessità di norme per regolare l’agi- re umano e si afferma l’esigenza di realizzare il sommo bene della giu- stizia per il tramite delle norme di diritto positivo 13 , ossia «tam legum Romanorum principum quam etiam municipalium seu particularium statutorum», ponendo, in certa misura, entrambe le fonti sullo stesso piano, atteso che «municipalium statutorum effectus et robur a Romanis legibus emanavit que universis urbibus tribuerunt auctoritatem conden- di statuta» 14 . Si tratta in tutta evidenza di un passaggio che sembra unire l’interpretazione, al tempo ormai prevalente, della pace di Costanza (privilegium pacis Constantiae ) in ordine al riconoscimento della pote- stas condendi statuta dei comuni e quella della lex Omnes populi , il ben noto passo del Digesto 15 da cui i giuristi del tempo avevano preso le mosse per costruire il rapporto teorico tra ius commune e iura propria 16 .

12 Statuta communis Vercellarum cit., coll. 1089-1093. 13 Il proemio riproduce pressoché alla lettera il ben noto passo di derivazione isido- riana sull’origine delle leggi, contenuto nella prima parte del Decretum di Graziano (D. 4, c. 1), secondo cui: «Factae sunt autem leges, ut earum metu humana coherceatur audacia, tutaque sit inter improbos innocentia, et in ipsis improbis formidato supplicio refrenetur nocendi facultas» ( Corpus iuris canonici , ed. E.A. F RIEDBERG , I, Decretum Magistri Gratiani , Leipzig 1879 [ripr. anast. Graz 1959], col. 5). 14 Hec sunt statuta cit., c. I r. -v. 15 D. 1.1.9. Al riguardo si rinvia alle osservazioni formulate da V. P IERGIOVANNI , Statuti e riformagioni , in Civiltà comunale: libro, scrittura, documento , Genova 1989 (Atti della Società Ligure di Storia Patria, Nuova serie – vol. XXIX (CIII), fasc. II), pp. 83-86, e con specifico riferimento alle posizioni espresse da Alberico da Rosciate in esordio delle sue Quaestiones statutorum . 16 Nel merito si rinvia in particolare a quanto illustrato da G. D OLEZALEK , I com- mentari di Odofredo e Baldo alla pace di Costanza , in La pace di Costanza, 1183. Un difficile equilibrio di poteri fra società italiana ed Impero, Bologna 1984, pp. 59-75; I D.,

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Sempre sulla base del diritto canonico e di quello civile si giustifica, infine, il fatto che le norme umane possano modificarsi «secundum varietatem temporum» 17 , per passare quindi agli aspetti concreti della riforma ed alla descrizione del complesso iter seguito per la revisione. Un secondo punto degno di nota, in quanto elemento di differenzia- zione tra la redazione duecentesca e quella trecentesca, è costituito dal- l’impianto sistematico che le caratterizza. La transizione dalla forma- zione di singoli statuti, risultato di una produzione normativa spesso disorganica ed ispirata da esigenze contingenti, alla redazione di un vero e proprio liber statutorum , ossia di una compilazione unitaria destinata a riunire le norme via via sedimentatesi nel tempo, si può dire già in parte realizzata dalla raccolta duecentesca. Questa, tuttavia, appare ancora il risultato di un’aggregazione alluvionale e per stratificazioni successive, che, partendo da un nucleo chiaramente più risalente di norme, procede per addizioni, inserite nel testo secondo un ordine mera- mente cronologico. È solo con la revisione trecentesca che si imprime al codice statutario una diversa sistemazione, che mira a rifondere i preesistenti materiali in modo tendenzialmente organico, raggruppando- li per materie, ed ad integrarli, aggiornandoli con nuove disposizioni 18 . Da tale operazione, in linea con le tendenze del tempo, deriva appunto la ripartizione degli oltre novecento capitoli che compongono gli statu- ti trecenteschi in sette libri, anche se tradizionalmente considerati otto, essendo il quarto ripartito in due distinte parti.

Der Friede von Konstanz 1183 in der Literatur des «Ius Commune» , in Gli inizi del diritto pubblico cit., pp. 277-307. 17 Il tema è, tra l’altro, accennato nell’arenga della costituzione Non debet emanata da papa Innocenzo III nel Concilio Lateranense IV del 1215 ( Extra , 4, 14, 8), ove, con riferimento alle modifiche introdotte in tema di impedimenti matrimoniali derivanti dal grado di parentela o affinità tra gli sposi, viene appunto sottolineato che: «Non debet reprehensibile iudicari, si secundum varietatem temporum statuta varientur humana, praesertim quum urgens necessitas vel evidens utilitas id exposcit» ( Corpus iuris cano- nici , ed. E.A. F RIEDBERG , II, Decretalium Collectiones , Leipzig 1879 [ripr. anast. Graz 1959], col. 703). Il corrispondente canone conciliare è edito in Constitutiones Concilii quarti Lateranensis una cum Commentariis glossatorum , edidit A. G ARCIA Y GARCIA , Città del Vaticano 1981, pp. 90-91. 18 Sulla formazione delle raccolte statutarie nell’ambito degli ordinamenti comuna- li cittadini, cfr. M. B ELLOMO , Società e istituzioni dal Medioevo agli inizi dell’Età Moderna , Roma 1993 6, pp 363-373.

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Si tratta nel complesso di una sistematica ricorrente in varie altre rac- colte coeve, che, seguendo una prassi largamente diffusa, esordisce con la materia pubblicistica, stante, tra l’altro, l’ovvia aspirazione del comu- ne a porre in primo luogo le norme fondamentali del governo cittadino. Il primo libro, intitolato de officio potestatis et eius vicarii , tratta in pre- valenza della figura del podestà e, come d’uso, si apre con il giuramen- to da prestarsi al momento dell’ingresso nell’ufficio, che ne sintetizza, nel formulario, incombenze ed obblighi. Mentre, nei successivi capito- li, vengono definiti più in dettaglio le attribuzioni e gli oneri attinenti alla carica podestarile, si dispone in merito al giudizio di fine mandato sull’operato del podestà stesso e dei collaboratori, che ne compongono la familia 19 , e vengono pure fissate rigorose regole di condotta, volte a sottrarre il podestà ‘forestiero’ da interferenze esterne e ad impedirne il coinvolgimento in interessi di parte, a garanzia dell’autonomia del comune e della sua pace interna. A ques’ultima esigenza paiono, del resto, da ricollegarsi tanto la riduzione di durata del mandato, che passa dalla annuale, stabilita nei capitoli duecenteschi, a quella semestrale, sancita dal testo trecentesco, quanto il connesso divieto di rivestire nuo- vamente la funzione podestarile prima che sia decorso un triennio dalla conclusione del precedente incarico 20 . Alle norme direttamente riguar- danti il podestà se ne aggiungono poi di ulteriori: come quelle sul fun- zionamento degli organi comunali, ed in specie del consiglio di creden- za, sui rapporti con le terre facenti parte del districtus Vercellarum , sugli oneri imposti a seguito dell’acquisto della cittadinanza ed altre simili, che concorrono, insieme con le precedenti, a formare la base della «costituzione» comunale. Il secondo libro, intitolato ai consoli di giustizia ( de consulibus ), è principalmente dedicato al processo civile, ma comprende pure talune norme di diritto privato. Per quanto si riferisce alla materia processuale, la raccolta consolida le modifiche apportate all’ordinamento giudiziario del comune vercellese agli inizi del Trecento e tendenti a concentrare maggiormente nelle mani del podestà le competenze giurisdizionali. In

19 Hec sunt statuta cit., cc. III v. - IIII r. 20 Sulla scarsa efficacia delle norme statutarie volte ad assicurare l’estraneità del podestà alle fazioni interne ed in specie sulla tendenza ad eludere con vari mezzi il divieto di rielezione immediata, cfr. B ELLOMO , Società e istituzioni cit., pp. 250-251.

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base ad esse l’amministrazione della giustizia veniva ad essere ripartita fra il podestà e cinque giudici, ossia il vicario, al quale spettava l’eser- cizio della giurisdizione, civile e penale, riservata al podestà in caso di assenza o impedimento di quest’ultimo, ed il iudex maleficiorum , aven- te il compito di svolgere funzioni di giudice istruttore e di pubblico accusatore nel campo penale, entrambi nominati dal podestà, nonché i due consoli di giustizia, competenti nei giudizi civili, e il iudex damno- rum datorum , la cui designazione spettava al consiglio di credenza 21 . Era pure prevista la nomina, sempre da parte del comune, di consules laici de iustitia , incaricati dell’aggiornamento degli estimi catastali e dell’assistenza ai minori 22 . Il capitulum generale , con il quale appunto si apre il secondo libro, stabilisce le attribuzioni rispettivamente spettanti, nel campo civile, al podestà, ed in sua vece al vicario, ed ai consoli di giustizia 23 . A questi ultimi era, infatti, assegnata la giurisdizione ordinaria di primo grado, mentre il tribunale podestarile giudicava in grado di appello, ma svol- geva pure funzione di giudice di prima istanza in alcune cause, espres- samente individuate dal capitolo statutario 24 , rispetto alle quali era pre- vista la possibilità d’appello, entro il termine di sei mesi, dinnanzi al vescovo 25 . Nelle successive disposizioni, che occupano un buon numero di capitoli, si tratta in modo specifico dello svolgimento del processo civi- le, delle funzioni del giudice, dell’esecuzione delle sentenze, delle garanzie delle obbligazioni, del pignoramento. Anche la raccolta ver- cellese, in accordo con l’indirizzo adottato da altre legislazioni statuta- rie, prevede un’estesa applicazione della procedura sommaria, ossia del

21 Durante tutto il suo periodo di mandato, il podestà era affiancato da cinque giudi- ci, dei quali «unus sit vicarius, seu assessor, et alius ad officium maleficiorum, et duo ad consulatum qui sint consules et iudices iustitie Vercellarum, et qui in causis civilibus debeant unicuique reddere iusticie complimentum, et alius iurisperitus super exigendis bannis, condemnationibus, fodris, introitibus communis Vercellarum, et conoscere et definire et exigere super damnis datis et dandis» ( Hec sunt statuta cit., c. II r.-v. ). Sul punto, cfr. inoltre Sunto degli Statuti della Città di Vercelli cit., p. 458. 22 Nel merito, cfr. pure le notizie riferite da D IONISOTTI , Memorie storiche cit., pp. 410-413. 23 Hec sunt statuta cit., c. XXVI r. -v. 24 Ibidem . 25 Ibid. , c. XXXVI v.

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rito abbreviato che si era venuto formando proprio nell’ambito della giurisdizione comunale in un’ottica di semplificazione delle formalità previste dal processo romano-canonico e quindi di abbreviazione dei tempi processuali, e che aveva poi trovato, agli inizi del Trecento, più precisa sistemazione in ambito canonico tramite la decretale Saepe di papa Clemente V 26 . In proposito, le norme vercellesi stabiliscono che le cause di competenza del tribunale consolare debbano giudicarsi som- mariamente e, qualora di valore non superiore alle cento lire, esonerano l’attore dal dichiarare al giudice l’azione sulla quale intende fondare la propria richiesta, e dal presentare il libello introduttivo della lite. È inol- tre prescritto che, secondo la formula tipica del processo planario, richiamata appunto dalla clementina Saepe e riportata pure nei capitoli statutari, si debba procedere «summarie et de plano sine strepitu et figu- ra iudicii» in quelle cause che, a prescindere dal loro valore, richiedano una celere definizione, avuto riguardo o allo specifico oggetto del con- tendere – come, tra l’altro, nel caso della riscossione del prezzo di beni mobili, del pagamento di fitti, dell’esazione di decime, di deposito e di commenda 27 – o alla particolare condizione dei litiganti, come nel caso di persone indigenti 28 , e, comunque, nei giudizi d’appello 29 . Quanto, invece, alle norme di contenuto privatistico, esse risultano non solo ridotte nel numero, ma anche circoscritte nella sostanza a taluni, speci- fici settori, secondo un’impostazione tipica delle fonti statutarie. Tali disposizioni, di prevalente formazione consuetudinaria, regolano soprattutto questioni attinenti alle successioni, ai rapporti patrimoniali fra i coniugi e, più in generale, al diritto di famiglia, in una prospettiva

26 Clem. 5,11,2. Nel merito della decretale Clementina e specialmente in rapporto ai problemi di datazione della medesima tra il 1312 e il 1314, cfr. E. C ORTESE , Il diritto nella storia medievale cit., II, pp. 372-373 con la bibliografia ivi citata. Per una com- plessiva ricostruzione dell’emergere della cognizione sommaria nell’ambito della legi- slazione municipale e delle norme canoniche, sempre validi restano i contributi di G. SALVIOLI , Storia della procedura civile e criminale , in Storia del diritto italiano , pub- blicata sotto la direzione di P. D EL GIUDICE , III/2, Milano 1927 [ripr. anast. Frankfurt/Main - Firenze 1979], pp. 327-343; A. L ATTES , Il procedimento sommario o planario negli statuti , in I D., Studi di diritto statutario , Milano 1887, pp. 3-66. 27 Hec sunt statuta cit., c. XXXVII r. 28 Ibid. , c. XXVI r. 29 Ibid. , c. XXXVI v. Per un dettagliato elenco, cfr. Sunto degli Statuti della Città di Vercelli cit., p. 494.

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che riflette la tendenza ad assicurare l’integrità del patrimonio familia- re nei passaggi da una generazione all’altra, privilegiando la trasmissio- ne dei beni in capo alla discendenza maschile 30 . Il terzo libro ( de officialibus ) tratta dei principali ufficiali comunali, dai due tesorieri ( clavarii ), l’uno del comune e l’altro di giustizia, all’e- conomo ( massarius ) ed ai ragionieri ( rationatores ), dai verificatori di pesi e misure ai messi, e, in special modo, dispone sulle funzioni di segretari affidate ai notai, tanto nell’amministrazione della giustizia quanto in quella finanziaria. L’attività di documentazione svolta dai notai non solamente per i privati, ma anche in seno agli organi di gover- no cittadini costituisce indubbiamente un tratto tipico della civiltà comunale 31 . Nel caso di Vercelli, al rilievo assunto dalla funzione nota- rile fa da riscontro il controllo svolto dal comune, sia direttamente sia soprattutto per il tramite del locale collegio notarile, sulle modalità di accesso al tabellionato e sull’esercizio dell’attività professionale, come dimostrano tanto la presenza nella raccolta del 1341 di alcuni accenni in materia, quanto l’inserimento, in appendice al corpus statutario comu- nale, degli Statuta collegii notariorum civitatis Vercellarum del 1397, formati «ad ordinationem notariorum civitatis et districtus», ma «appro- bata et confirmata per generale consilium credentie» 32 . Il quarto libro, che, come già si è anticipato, risulta diviso in due parti, è nel suo insieme incentrato sulla materia penale, che appare ampiamente sviluppata sia sotto il profilo del diritto sostanziale che sotto quello pro- cessuale, a riprova dell’esigenza fortemente avvertita dagli ordinamenti

30 Si segnalano, in particolare, i capitoli relativi ai diritti successori delle donne ( Hec sunt statuta cit., XXVII r. -v. ). 31 Nel merito, cfr. G.G. F ISSORE , Autonomia notarile e organizzazione cancelleresca nel comune di Asti , Spoleto 1977; I D., Alle origini del documento comunale: i rapporti fra i notai e l’istituzione , in Civiltà comunale cit., pp. 99-128; nonché i saggi riuniti nel volume Il notaio e la città. Essere notaio: i tempi e i luoghi (secc. 12-15) , a cura di V. PIERGIOVANNI , Milano 2009. 32 Hec sunt statuta cit., cc. CCIIII v. -CCVIII r. Sull’ordinamento del notariato a Vercelli, cfr. specialmente I. S OFFIETTI , Problemi relativi al notariato vercellese nel secolo XIII , in «Rivista di Storia del Diritto Italiano», LV (1982), pp. 239-252, ora anche in I D., Problemi di notariato dal medioevo all’età moderna , Torino 2006, pp. 25-43, e, per quanto in particolare si riferisce agli statuti del 1397, il contributo di A. Olivieri, in questo stesso volume. Per gli atti ricevuti da notai operanti in Vercelli nel XIV secolo, si veda A. C OPPO , M.C. F ERRARI , Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo. Regesti , Vercelli 2003.

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locali del tempo di assicurare il mantenimento dell’ordine pubblico, miran- do ad evitare che i reati restassero impuniti e ad impedire, nei casi più gravi, il ricorso alla vendetta privata. Nella prima parte ( de penis ), intera- mente dedicata al diritto sostanziale, sono stabilite le pene relative ad una nutrita serie di reati, dai delitti alle semplici contravvenzioni; mentre nella seconda parte ( de maleficiis et ferutis ) sono riunite le norme penali riguar- danti la repressione dei crimini di maggiore gravità, dall’omicidio alle lesioni personali, e quelle sui giudizi penali di competenza del tribunale podestarile. Spettava, infatti, al podestà conoscere dei crimini e delitti; le sentenze emesse dal medesimo, quando fossero state pronunciate «ad lobiam in arengo» erano inappellabili, né «de aliqua ipsarum» era ammes- so chiedere la restitutio in integrum , o eccepire la nullità 33 . Il sistema delle pene è ancora decisamente legato alla tradizione di matrice consuetudinaria. Non solo per le contravvenzioni, ma anche per i delitti sono, infatti, stabilite sanzioni di tipo pecuniario, graduate in base alla natura del reato ed alla qualità delle persone offese; tuttavia l’insolvibilità del reo determina la sostituzione dell’ammenda con una pena corporale, che, nelle ipotesi più gravi, consiste nella mutilazione di membra, come è per i reati contro la pubblica fede (falsificazione di monete, falso in atti pubblici, …), o la fustigazione, così come è dispo- sto per il furto. Permane inoltre la condanna al bando per reati di una certa gravità. Non mancano tuttavia alcuni segnali di innovazione nor- mativa. Per i crimini più efferati, la raccolta trecentesca prevede, infat- ti, pene di natura personale; in particolare, quella capitale è stabilita per l’omicidio ed anche per le rapine, quando i beni sottratti siano al di sopra di un certo valore 34 . Nel processo penale, poi, accanto al rito accu- satorio fa la sua comparsa quello inquisitorio, che riserva al giudice cre- scenti poteri d’iniziativa nell’esercizio dell’azione penale, affidato, dal- l’ordinamento vercellese, al iudex maleficiorum 35 .

33 Hec sunt statuta cit., c. CXII r. Rientravano in tale novero le sentenze che com- portassero condanne a pene personali o anche pecuniarie, quando queste fossero a bene- ficio del comune e non della parte offesa ( ibid. , c. XI r. ). 34 L’introduzione della pena capitale per l’omicidio nella legislazione locale è feno- meno che interessa varie città italiane «a partire dal terzo decennio del Duecento» (P ADOA SCHIOPPA , Storia del diritto in Europa cit., p. 174). 35 Sul procedimento d’ufficio e più in generale sull’affermarsi a partire dal XIII seco- lo di una dimensione pubblica della giustizia penale, cfr., oltre a quanto riportato in G.

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Nel quinto libro ( de damnis datis ) sono accorpate varie disposizioni in tema di risarcimento, ai proprietari o ai conduttori di fondi agricoli, dei danni inferti alle colture e vengono altresì precisate le rispettive attribuzioni dei camparii , investiti di funzioni di polizia rurale, e del giudice comunale, competente alla liquidazione dei danni stessi, oltre che all’esazione di ammende e tributi. Mente il sesto ( de pactis ) racco- glie «concordias, pacta et conventiones» via via stipulati dal comune «cum aliquibus communitatibus et singularibus personis», accordi alla cui puntuale osservanza, come recita uno dei primi capitoli, il podestà in carica è tenuto, purché essi siano riportati «in statuto communis Vercellarum per scripturam que non fuerit cancellata vel deleta vel abo- lita» e sin tanto che vengano rispettati dalla controparte 36 . La sequenza dei capitoli, ripercorsa in una prospettiva storica, offre un quadro assai dettagliato della rete di rapporti instauratisi nel tempo tra il comune ver- cellese e le comunità ad esso soggette o collegate 37 . Il settimo ( de extraordinariis ) infine riunisce, secondo una prassi abbastanza diffusa, tutte quelle disposizioni che, pur collegandosi, assai di frequente, per contenuto a capitoli inclusi nei libri precedenti, ne sono state, per varie ragioni, tenute al di fuori 38 . Alcune interessano il gover-

SALVIOLI , Storia della procedura civile e criminale , in Storia del diritto italiano cit., III/2, pp. 356-362, le considerazioni proposte, con peculiare attenzione alle realtà comunali di matrice cittadina dell’Italia centro-settentrionale, da M. S BRICCOLI , «Vidi communiter observari». Un ordine penale pubblico nelle città italiane del secolo XIII , in «Quaderni Fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 27 (1998), pp. 231-268; A. Z ORZI , Negoziazione penale, legittimazione giuridica e poteri urbani nell’Italia comunale , in Criminalità e giustizia in Germania e in Italia. Pratiche giudiziarie e linguaggi giuridici tra tardo medioevo ed età moderna , a cura di M. B ELLABARBA , G. S CHWERHOFF , A. Z ORZI , Bologna-Berlin 2001, pp. 13-34. Sull’apporto della dottrina si sofferma in special modo E. D EZZA , Accusa e inquisizione: dal diritto comune ai codici moderni , Milano 1989. 36 Hec sunt statuta cit., c. CXXXII r. Il comune aveva pure provveduto a raccoglie- re patti e convenzioni in appositi volumi, come risulta dalla raccolta duecentesca di Pacta et conventiones , presumibilmente all’incirca coeva alla compilazione statutaria del 1241 ( Libro dei «Pacta et conventiones del Comune di Vercelli , a cura di G.C. FACCIO , Vercelli 1926), e dai quattro volumi dei Biscioni a loro volta collegati alla revi- sione trecentesca degli statuti ( I Biscioni , a cura di G. C. F ACCIO e M. R ANNO [poi] R. ORDANO , Torino 1934-2000, 6 voll.). 37 Sull’espansione del comune vercellese, cfr. F. P ANERO , Villenove medievali nell’Italia nord-occidentale , Torino 2004. 38 Soluzione analoga risulta, ad esempio, seguita dal comune di Alessandria in occa- sione della riforma statutaria del 1297. Sul punto, cfr. quanto rilevato da G.S. P ENE

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no del comune e l’esercizio della giurisdizione spettante al medesimo sui territori del districtus , nonché sulle terre e luoghi «quas et que tenet dominus episcopus et ecclesia Vercellarum», a seguito degli accordi sta- biliti con l’episcopato 39 . Altre regolano questioni di polizia urbana e rurale, trattando, tra l’altro, di strade e viabilità, di fiere e mercati, di misure atte a garantire la salubrità entro le mura cittadine. Altre ancora attengono al campo fiscale; esenzioni da tutti gli oneri, reali e persona- li, sono disposte in favore di alcune categorie professionali, tenute in cambio a fornire prestazioni gratuite ai meno abbienti, come nel caso dei medici 40 , o in quello dei doctores aggregati al collegio cittadino dei giureconsulti obbligati a prestare gratuitamente il loro patrocinio tanto ai singoli indigenti quanto agli «hospitalibus pauperum et miserabilium personarum», ed anche a «defendere et patrocinium prestare» nelle con- troversie riguardanti direttamente il comune 41 . Sul terreno del diritto pri- vato, due capitoli toccano aspetti concernenti la rinuncia all’eredità e l’accettazione con beneficio d’inventario 42 . Di indubbio rilievo è la disposizione che dichiara «cassa et irrita» gli «statuta», presenti in «corpore statutorum» o eventualmente da emanarsi per il futuro, che si pongano «contra libertatem Ecclesie» 43 . Il principio dell’invalidità delle disposizioni contrarie alle prerogative ecclesiastiche, ribadito dal Concilio Lateranense IV 44 , venne recepito nelle raccolte statu- tarie a partire dal terzo decennio del Duecento a seguito delle prescrizioni dettate da Federico II nella ben nota costituzione del dicembre 1220, ema- nata, «in basilica beati Petri», in occasione dell’incoronazione imperiale e,

VIDARI , Gli statuti di Alessandria. Noterelle anniversarie , in «Rivista di Storia, Arte e Archeologia per le province di Alessandria e Asti», CVI (1997), p. 51. 39 Hec sunt statuta cit., c. CXLVIII r. 40 Ibid. , c. CLXIIII v. 41 Ibid. , c. CLXIX r. -v. Analoghe esenzioni sono riservate dal medesimo capitolo ad «aliis civibus habentibus duodecim filios vel abiaticos» ( ibid. ). Sull’applicazione di tale immunità, con peculiare riguardo all’area lombarda tra medioevo ed età moderna, cfr. A. M ONTI , L’ immunitas duodecim liberorum nella prassi senatoria lombarda di antico regime , in «Amicitiae pignus». Studi in ricordo di Adriano Cavanna , a cura di A. P ADOA SCHIOPPA , G. DI RENZO VILLATA , G.P. M ASSETTO , Milano 2003, pp. 1509-1563, con i relativi riferimenti bibliografici. 42 Hec sunt statuta cit., c. CLX r. -v. 43 Ibid. , c. CLVIII r.. 44 Constitutiones Concilii quarti Lateranensis cit., pp. 159-160, c. 44.

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poi, accolta nel Corpus iuris civilis 45 . A Vercelli, l’adeguamento della legi- slazione locale ai precetti federiciani venne attuato tramite gli «statuta fra- tris Henrici», una serie di capitoli, compilati, durante il pontificato di Gregorio IX, da frate Enrico da Milano dell’ordine dei Minori francesca- ni, che, sulla scia della costituzione imperiale, disponevano sia in merito alla lotta contro gli eretici sia riguardo alla tutela delle libertà ecclesiasti- che 46 , dedicando a questa tre capitoli, posti rispettivamente sotto le rubri- che «de libertate ecclesie conservanda», «de non observandis statutis con- trariis libertati ecclesie» e «de conservandis privilegiis a summo pontifice concessis» 47 . Cancellati dal codice duecentesco nella fase più acuta di scontro tra vescovo e comune e, a quanto risulta, richiamati poi in vigore per intervento papale 48 , di essi non resta pressoché traccia nella raccolta trecentesca, che, in un clima più disteso di rapporti tra autorità religiose e comune, si limita, come già si è anticipato, a ribadire il principio generale. Con buona probabilità si può ritenere che la sistemazione, talvolta alquanto approssimativa, per ordine di materie compiuta nel 1341 si concluda con il capitolo «de molinariis», che interdice ai mugnai di con- durre «per civitatem Vercellarum» asini o altri quadrupedi, se non tenu- ti «per cordam vel capistrum vel frenum». In ogni caso, tutto lascia sup- porre che gli statutarii abbiano comunque inteso tenere distinti il pre- detto capitolo e quelli seguenti, trascritti nel Liber statutorum forse ancora nel corso del 1341 o in un momento di poco successivo, sepa- randoli anche materialmente con un congruo spazio, poi utilizzato per inserirvi la revisione, approvata nel 1352 49 , di un capitolo in tema di ere-

45 Come è noto, il testo della Constitutio venne incluso nella sua integralità nel Volumen , di seguito ai Libri feudorum , mentre dalle diverse disposizioni furono, poi, trat- te varie Authenticae al Codex , come, per quanto si riferisce al tema in esame, l’Auth. Cassa et irrita ad C. 1, 2, 12. Nel merito, si rinvia al denso saggio di M. G. DI RENZO VILLATA , La «Constitutio in basilica beati Petri» nella dottrina del diritto comune , in Studi di storia del diritto , II, Milano 1999, pp. 151-301 ed in specie pp. 160-174, 215-286. 46 Statuta communis Vercellarum cit., coll. 1230-1238. 47 Ibid. , coll. 1235-1236, cap. CCCLXXX-CCCLXXXII. Ne tratta in generale, ma anche con specifico riferimento alla redazione duecentesca degli statuti vercellesi, M. ROSBOCH , Invalidità e statuti medievali. Pisa, Bologna, Milano e Ivrea , Roma 2003, pp. 303-315. 48 Sul punto Statuta communis Vercellarum cit., coll. 1230-1231, nota 96, nonché ROSBOCH , Invalidità cit., p. 308, nota 57. 49 Hec sunt statuta cit., cc. CLXX r. -CLXXI r.

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dità giacenti, contenuto nel secondo libro della raccolta 50 . Del resto le citate addizioni, pur essendo di data antecedente a quel- la della revisione, si discostano anche sotto l’aspetto formale dai capi- toli che le precedono, in quanto non solo sono, in maggioranza, costi- tuite da più disposizioni riunite sotto un’unica rubrica, ma conservano pure l’originaria forma della delibera, con il relativo proemio e la data- zione. Ne fanno parte, nell’ordine, il capitolo «de iuramentorum forma prestita officialibus communis Vercellarum», che riunisce appunto le formule di giuramento prescritte per le diverse categorie di officiales comunali 51 , le disposizioni emanate nel 1254, «tempore domini Roglerii Georgii potestatis Vercellarum», sul prezzo del pane di frumento e di segale 52 e su quello dell’olio di noci 53 , gli statuta sui pedaggi, «lecta et publicata ad lobiam broleti» il 17 ottobre 1332 54 , e quelli, risalenti al 13 settembre dello stesso anno, sulle modalità di esazione della curadia , da corrispondersi una tantum , in occasione della festa patronale di S. Eusebio, per l’importazione ed esportazione di merci, dalla città, in occasione di fiere e mercati 55 . Si hanno, poi, alcuni importanti provvedimenti in materia di lotta all’eresia, dovuti ai pontefici Innocenzo IV, Alessandro IV e Clemente IV ed all’imperatore Federico II, nonché taluni capitoli statutari di reda- zione locale, riuniti sotto la rubrica «de hereticis ipsorumque defensori- bus et receptatoribus et eorum pena» 56 . È questa una tematica che, come è ben noto, aveva assunto per la Chiesa rilevanza cruciale nei primi

50 Ibid. , c. XL r. -v. , cap. «de hereditate pronunciata pro defecta». Sulla riforma del citato capitolo statutario, si veda il breve cenno in D IONISOTTI , Memorie storiche cit., p. 426. 51 Ibid. , cc. CLXXI v. – CLXXXI v. 52 Ibid. , cc. CLXXXII r. -CLXXXIII v. , il capitolo, che regola il «sazium panis fru- menti et siliginis», è privo di rubrica. Le misure deliberate nel 1254 vennero, poi, sot- toposte a verifica e revisione nel 1357, come risulta dalla delibera adottata il 19 ottobre di tale anno e quindi annotata nel corpus degli statuti ( ibid. , c. CXC v. , cap. «de sazio panis»). 53 Ibid. , c. CLXXXIII v. , cap. «Sazium olei». 54 Ibid. , cc. CLXXXIIII r. -CLXXIX r. «Hec sunt statuta communis Vercellarum facta super pedagiis mercandiarum», a cui fanno seguito varie addizioni in materia di pedaggi approvate tra il 1332 ed il 1333 ( ibid. , cc. CLXXXIX r. -CXC r). 55 Ibid. , c. CXCI r. 56 Ibid. , cc. CXCI v. -CC v.

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decenni del XIII secolo, interessando, specialmente in età federiciana, i rapporti tra Impero e Papato e coinvolgendo pure i comuni cittadini, e soprattutto quelli dell’Italia settentrionale, obbligati a recepire, osserva- re ed eseguire la legislazione papale ed imperiale in materia; obbligo che a distanza di un secolo continuava a restare attuale, come tra l’altro si può desumere, per quanto concerne Vercelli, dalle disposizioni inclu- se nella raccolta trecentesca 57 . Vi figura anzitutto la bolla Ad extirpandum di Clemente IV, risa- lente al 3 novembre 1265, con la quale il papa, nel confermare le disposizioni emanate da Innocenzo IV contro gli eretici ed i loro com- plici e fautori, ingiunge ai «potestatibus sive rectoribus et consulibus et capitaneis et ancianis et consiliis et communitatibus civitatum et aliorum locorum per Italiam constitutis» di disporne la trascrizione «in vestris capitularibus», insieme con «quibusdam adutionibus et modifi- cationibus et declarationibus» fattevi da Alessandro IV e dallo stesso Clemente IV, e di provvedere alla loro puntuale applicazione 58 . Di Innocenzo IV sono poi trascritte tanto la bolla Noverit universitas vestra del 15 giugno 1254, con cui il papa stabilisce le pene sia con- tro i rei del crimine di eresia sia contro i «receptatores, defensores et fautores eorum» 59 , quanto le istruzioni destinate, nel luglio dello stes- so anno, ai «fratribus ordinis Predicatorum» nella loro qualità di inqui- sitori «in provincia Lombardie», a chiarimento dei contenuti della pre- cedente 60 . Al 22 maggio 1254 risulta datata la bolla C um adversum , con la quale Innocenzo IV ordina ai comuni di far copiare nelle rispettive raccolte statutarie «quasdam leges» a suo tempo promulgate da

57 Per un inquadramento generale, cfr. per tutti G.G. M ERLO , Contro gli eretici , Bologna 1996, ed in specie pp. 99-123. 58 Hec sunt statuta cit., cc. CXCI v. - CXCV v. Nel testo del provvedimento sono appunto inserite le «leges» pubblicate da Innocenzo IV il 15 maggio 1252, con la pro- pria bolla Ad extirpanda . Per entrambi i provvedimenti si veda pure l’edizione contenu- ta in Bullarum, Diplomatum et Privilegiorum Sanctorum Romanorum Pontificum Taurinensis Editio , III, Augustae Taurinorum 1858, pp. 743-744, doc. IX; pp. 552-558, doc. XXVII. 59 Hec sunt statuta cit., cc. CXCV v. -CXVI v. ; Bullarum, Diplomatum et Privilegiorum cit., III, pp. 588-589, doc. XL. 60 Hec sunt statuta cit., c. CXVI v. ; Bullarum, Diplomatum et Privilegiorum cit., III, p. 558, in appendice al doc. XXVII.

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Federico II 61 . Si tratta degli edicta contra hereticos , riproduzione pres- soché fedele di antecedenti disposizioni federiciane, fatti pubblicare per i territori dell’Impero tre volte, tra il 1238 ed il 1239, a Cremona, Verona e Padova e recepiti dal provvedimento papale nella redazione padovana del 22 febbraio 1239 62 . Vi sono comprese la costituzione Commissi nobis , risalente al 1232 63 , la celeberrima Inconsutilem , presente nel Liber Augustalis del 1231 64 , ed infine la non meno nota Constitutio con- tra hereticos , emanata da Ravenna il 22 febbraio 1232 65 . A completare il quadro della legislazione federiciana vi è, infine, la «constitutio super hereticos» diretta, da Catania nel marzo 1224, all’arcivescovo di

61 Hec sunt statuta cit., cc. CXVI v. -CXCIX v. Il provvedimento riprende pressoché alla lettera la bolla dello stesso pontefice, datata da Perugia il 31 ottobre 1243, di cui si legge l’edizione in Bullarum, Diplomatum et Privilegiorum cit., III, pp. 503-507. 62 Per l’edizione degli edicta contra hereticos , cfr. MGH, Const. II, edidit L. WEILAND , Hannoverae 1896, pp. 280-285, docc. 209-211. Sul punto, cfr. inoltre M. BELLOMO , Giuristi e inquisitori del Trecento. Ricerca su testi di Iacopo Belvisi, Taddeo Pepoli, Riccardo Malombra e Giovanni Calderini , in Per Francesco Calasso. Studi degli allievi , Roma 1978, p. 20, n. 21 (ora anche in I D., Medioevo edito e inedito , III, Profili di giuristi , Roma 1997, p. 140); M. G. DI RENZO VILLATA , La «Constitutio in basi- lica beati Petri» cit., pp. 157 e 161, con la bibliografia ivi citata. Per una sintesi delle disposizioni antiereticali complessivamente emanate da Federico II,si rinvia alla voce di A. F IORI , Eresie , in Federico II. Enciclopedia Fridericiana , Roma 2006, pp. 540-553. 63 Per il testo dell’antecedente provvedimento del marzo 1232, cfr. MGH, Const. II cit., pp. 195-197, doc. 158. 64 Liber Augustalis , lib. I, tit. I ( Constitutiones Regni Siciliae , ristampa anastatica dell’edizione di Napoli curata da Gaetano Carcani, con una Introduzione di A. R OMANO , Messina 1992, pp. 3-5). Sul rapporto tra le norme antiereticali contenute nella Constitutio in basilica beati Petri e quelle inserite nelle costituzioni melfitane, cfr. spe- cialmente F. L IOTTA , Federico II , la «Constitutio in basilica beati Petri» e il «Liber Augustalis» , in Gli inizi del diritto pubblico … cit., II, pp. 111-130. Sull'estensione ai ter- ritori dell'Impero delle disposizioni antiereticali emanate per il Regnum , cfr. A. W OLF , Die Gesetzgebung der entstehenden Territorialstaaten , in Handbuch der Quellen und Literatur der neueren europäischen Privatrechtsgeschichte , ed. H. C OING , I, München 1973, pp. 568-569. Sull'opera legislativa di Fedrico II per l'Impero, cfr. pure P. W EIMAR , Federico II legislatore dell'Impero , in «… colendo iustitiam et iura condendo…» . Federico II legislatore del Regno di Sicilia nell'Europa del Duecento. Per una storia comparata delle codificazioni europee. Atti del Convegno di studi organizzato dall'Università di Messina Istituto di Storia del Diritto e delle Istituzioni, Messina - Reggio Calabria 20-24 gennaio 1995 , a cura di A. R OMANO , Roma 1997, pp. 81-90. Per le influenze della legislazione imperiale su quella statutaria, cfr. V. P IERGIOVANNI , La normativa comunale in Italia in età fredericiana, ibid. , pp. 619-635. 65 Per la redazione del 1232 dell’editto ravennate, cfr. MGH, Const. II cit., pp. 194- 195, doc. 157.

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Magdeburgo, «totius Lombardie legato», già trascritta nel Liber statuto- rum duecentesco di seguito ai citati «statuta fratris Henrici» 66 , anch’es- si riprodotti nella consolidazione trecentesca relativamente alle regole a cui podestà e officiales comunali dovevano fedelmente attenersi nella ‘caccia’ agli eretici ed ai loro fiancheggiatori 67 . In chiusura della raccolta sono posti i «capitula pacis» tra il comune e i fuoriusciti vercellesi, stipulati il 26 ottobre 1285, con l’intervento, in qualità di «arbitri arbitratores et amicabiles compositores», del vescovo di Vercelli, del conte Pietro di Valperga e del vercellese Uberto Pettenati 68 , nonché gli accordi di pace conclusi dal comune di Pavia con quello di Novara e con il vescovo di Vercelli il 22 gennaio 1254 69 . Come già si è accennato, tanto nel codice manoscritto quanto nell’edizione a stampa, dopo gli statuti municipali sono collocati quelli del collegio notarile di fine Trecento. Un terzo punto merita di essere considerato: quello relativo alla peculiare collocazione del Liber statutorum nel composito quadro delle fonti normative, che caratterizza l’esperienza giuridica tardo-medievale. Dall’esame, seppur condotto per sommi capi, dei contenuti della rac- colta, risulta evidente che, nonostante essa regoli numerose materie, non ne offre una disciplina completa. Altrettanto chiaro è che si tratta di interventi settoriali, che toccano gli ambiti maggiormente rilevanti per la vita della comunità, tralasciandone o affrontandone solo marginal- mente altri, e che anche in taluni campi di un certo interesse per l’ordi- nata esistenza del comune, come è, ad esempio, il caso delle regole pro- cessuali e delle norme penali, non offrono «né una costruzione organica del processo, né un’elaborazione giuridica dei diversi istituti o reati» 70 . Peraltro, tutto ciò non stupisce. La legislazione statutaria non ha di per sé pretese di completezza. Essa non esaurisce le fonti del diritto

66 Statuta communis Vercellarum cit., coll. 1234-1235, cap. CCCLXXIX. La Constitutio contra haereticos Lombardiae è edita in MGH, Const. II cit., pp. 126-127, doc. 100. 67 Per la raccolta duecentesca Statuta communis Vercellarum cit., coll. 1230-1234, cap. CCCLXIX-CCCLXXVIII; per la compilazione trecentesca Hec sunt statuta cit., c. CC r. -v. . 68 Hec sunt statuta cit., cc. CCI r. -CCIII v. 69 Ibid. , c. CCIIII r. 70 PENE VIDARI , Gli statuti di Alessandria cit., p. 45.

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vigenti in ambito municipale, poiché la normativa locale è solo in parte scritta, rimanendo in buona misura affidata alle consuetudini, che per un verso integrano e, per un altro verso, spesso intervengono, attraverso la prassi applicativa, addirittura ad adattare e modificare le disposizioni contenute negli statuti. A loro volta, poi, le norme locali non costitui- scono un prodotto isolato, ma si inseriscono nel sistema più ampio e complesso dello ius commune , che riveste, anzitutto, carattere di diritto positivo, con funzione integrativa per le materie che non sono regolate dal ius municipale e, ove questa esista, dalla legislazione signorile: e fra queste rientrano le norme di diritto privato, che, come si è rilevato, i legislatori locali trascurano e che, di conseguenza, restano in larga misu- ra sottoposte al diritto romano giustinianeo, oltre che alle consuetudini e all’autonomia negoziale delle parti. Inoltre, lo ius commune è anche «un forziere pressoché inesauribile di analisi e soluzioni tecnico-giuri- diche» 71 , nel quale sono racchiusi quegli strumenti lessicali e quei prin- cipi generali necessari al legislatore come al giudice per creare, inten- dere ed applicare lo ius proprium . In effetti, benché negli ordinamenti signorili la vigenza delle diverse fonti normative risulti, almeno in linea teorica, ammessa per volontà del principe, secondo una tendenza che si manifesta con crescente intensità tra Tre e Quattrocento, nella pratica è all’interprete che spetta coordinarle in sistema e comporre eventuali antinomie, individuando la fattispecie da applicare. La variegata molteplicità di fonti normative è richiamata nella for- mula di giuramento del podestà, senza peraltro precisarne i criteri di coordinamento e di interazione. Il podestà giura, anzitutto, di «guardare regere et gubernare» la città di Vercelli, tutelandone cittadini ed abitan- ti nelle persone e nei beni; si impegna poi ad amministrare la giustizia, direttamente o per il tramite di giudici da lui delegati, «secundum leges vel statuta communis Vercellarum seu bonas consuetudines et provisio- nes et reformationes consiliorum dicte civitatis», sempre che tali «pro- visiones et reformationes» non siano in contrasto con gli statuti comu- nali 72 . Si obbliga, infine, ad osservare quanto contenuto «in carta atte- stata mihi missa per commune Vercellarum tempore electionis podesta- rie seu regiminis Vercellarum», ossia le condizioni stabilite con lo stes-

71 GROSSI , L’Europa del diritto cit., pp. 56-57. 72 Hec sunt statuta cit., c. I v.

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so comune di Vercelli al momento della designazione, e più in generale ad adempiere tutto quanto attenga «ad honorem commodum et statum pacificum et tranquillum et bonum regimen et conservationem et exer- citium iusticie civitatis communis hominum et districtus Vercellarum secundum iura communia statuta et bonas consuetudines Vercellarum» 73 . Vale la pena di notare che il riferimento alle fonti da applicarsi in ambito municipale fa la sua comparsa nella versione trecentesca, per il resto largamente modellata su quella duecentesca; tale accenno, indub- biamente presente anche in altre raccolte statutarie coeve, nel caso ver- cellese può forse essere inteso anche come un ulteriore indice di quel- l’apertura della legislazione statutaria ai temi propri della scientia iuris , di cui già si è fatto cenno a proposito del proemio; un’apertura che in parte può forse attribuirsi ad un semplice fenomeno ‘imitativo’ di statu- ti di altre località, in parte potrebbe addirittura collegarsi al soggiorno a Vercelli, soprattutto nel corso del XIII secolo, di giuristi di un certo pre- stigio, doctores a vario titolo legati al mondo universitario 74 . Un quarto punto su cui pare opportuno soffermarsi è l’importanza attribuita dal testo trecentesco alla formazione giuridica. Rispetto alla precedente revisione statutaria, quella del 1341 è assai più precisa nello stabilire le competenze professionali richieste agli ufficiali che operano in seno al comune, ed in specie a giudici e notai. Riguardo ai primi, il Liber statutorum prescrive che nessuno possa accedere alla carica di giu- dice del podestà, «nisi prius audierit leges per quinque annos» 75 ; a chi

73 Ibidem . 74 In relazione a tali presenze in ambito cittadino, cfr. specialmente D. M AFFEI , Fra Cremona, Montpellier e Palencia nel secolo XII. Ricerche su Ugolino da Sesso , in «Rivista internazionale di diritto comune», I (1990), pp. 9-30; L. S ORRENTI , Due giuri- sti attivi a Vercelli nel primo Duecento: Omobono da Cremona e Giuliano da Sesso , in «Rivista di storia del diritto italiano», LXVI (1993), pp. 415-449; E AD ., Tra scuole e prassi giudiziarie. Giuliano da Sesso e il suo ‘Libellus quaestionum’ , Roma 1999; I. SOFFIETTI , Contributo per la storia dello ‘Studium’di Vercelli nel secolo XIII , in «Rivista di Storia del diritto italiano», LXV (1992), pp. 241-254; I D., Lo ‘Studium’ di Vercelli nel XIII secolo alla luce di documenti di recente ritrovamento , in «Rivista di storia del dirit- to italiano», LXVII (1994), pp. 83-90; G. F ERRARIS , La convenzione ritrovata. Ancora su Omobono ‘de Cremona’ e lo ‘Studium’ di Vercelli , in «Bollettino storico vercellese», XXVIII (1999) 1, pp. 17-35. 75 Hec sunt statuta cit., c. VII r.

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volesse divenire «iudex iusticie» o essere «advocatus in civitate Vercellarum», ricevendo dal comune «dona sive salarium» previsto in favore dei membri del collegio cittadino dei giureconsulti 76 , era richiesto non solo di aver studiato per cinque anni diritto, ma anche di aver poi patrocinato per ulteriori tre anni. Quanto ai notai, è loro imposto che per poter ottenere incarichi da parte del comune abbiano superato l’esame di ammissione al tabellionato e già esercitato almeno per un anno l’attività professionale. La redazione trecentesca, a differenza di quella del secolo precedente, dispone anche «de examinatione notariorum», precisando le modalità di svolgimento dell’esame stesso, che il candidato deve soste- nere, «presente uno ex iudicibus potestatis et omnibus consulibus nota- riorum» e con l’intervento, di regola, di sedici (o comunque di almeno dodici) notai scelti dal collegio notarile cittadino, dimostrando di saper «recitare ad minus sex cartas bene et sufficienter et facere tria latina» 77 . Come è noto, la materia sarebbe stata poi ampiamente ripresa ed inte- grata, verso la fine del secolo, dai già citati statuti del collegio 78 ; resta comunque degno di rilievo che se ne faccia apposita menzione in quelli comunali. Sul versante della formazione notarile, gli statuti trecenteschi indirettamente documentano, altresì, l’esistenza in ambito cittadino di una scuola di ars notarie , in quanto estendono le esenzioni fiscali, previ- ste in favore di altre categorie professionali, anche ai «doctoribus artis gramatice et notarie legentibus in civitate Vercellarum», a condizione che si impegnino a «docere gratis pauperes et miserabiles personas» 79 . Ancor più dettagliate appaiono le disposizioni riguardanti la forma- zione giuridica di livello universitario, che era stata prevista e regola- mentata dagli accordi conclusi dal comune con i rappresentanti degli studenti padovani e fissati nella ben nota Carta studii del 4 aprile 1228, ritenuta atto fondativo dello Studium vercellese 80 . In proposito va, anzi-

76 All’origine ed all’ordinamento del collegium iudicum Vercellarum sono dedicati alcuni cenni, sempre a cura di C. Dionisotti, in C ASALIS , Dizionario geografico cit., pp. 144-146. 77 Hec sunt statuta cit., cc. CXLVIII v. -CXLIX r. Nel merito, cfr. S OFFIETTI , Problemi di notariato cit., pp. 35-36. 78 SOFFIETTI , Problemi di notariato cit., pp. 37-39. 79 Ibid. , p. 37. 80 La Carta Studii è stata più volte oggetto di edizioni; le più recenti sono quella curata da R. O RDANO , I Biscioni , I/3, Torino 1956 (BSSS, CLXXVIII), pp. 69-74, doc.

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tutto, notato che, nel corso della sua travagliata ed effimera esistenza 81 , gli insegnamenti giuridici appaiono, per certi versi, il filo conduttore destinato a legare le tre distinte fasi attraverso le quali, pur con lunghe interruzioni e tentativi di ripresa, si svolse l’attività didattica: la prima, che prende avvio con la convenzione del 1228 per protrarsi sin verso i primi anni quaranta del secolo XIII, la seconda, che sembra aver uni- camente interessato gli anni sessanta sempre del Duecento, ed, infine, la terza, che riguarda essenzialmente il triennio 1338-1341 82 . A fronte dei rapidi, anche se comunque significativi, accenni inseriti nella rac- colta duecentesca 83 , gli statuti del 1341 dedicano un lungo capitolo, che

DXIII, e quella proposta, corredata di traduzione italiana, da G. C ASIRAGHI , Carta stu- dii et scolarium commorancium in studio Vercellarum. Trascrizione e traduzione , in Carta studii et scolarium commorancium in studio Vercellarum, 4 aprile 1228. Intorno al primo documento della Università medievale di Vercelli , Alessandria-Novara-Vercelli 2005, pp. 19-33. Per un quadro complessivo delle edizioni, cfr. I D., La “Carta studii” di Vercelli. Note di paleografia e diplomatica , ibid. , 37-45. 81 Sulle vicende dello studio vercellese, anche in rapporto al quadro politico cittadi- no, cfr. almeno R. O RDANO , L’istituzione dello Studio di Vercelli , in L’Università di Vercelli nel medioevo. Atti del secondo Congresso storico vercellese, Vercelli 1994, pp. 167-204; C. F ROVA , Città e «Studium» a Vercelli (secoli XII e XIII) , in Luoghi e metodi di insegnamento nell’Italia medioevale (secoli XII-XIV) , a cura di L. G ARGAN , O. LIMONE , Galatina 1989, pp. 83-99; G. G ANDINO , Lo «Studium» di Vercelli tra contesto e tradizione , in Carta studii et scolarium cit., pp. 47-78. 82 Nel merito, cfr. I. N ASO , La fine dell’esperienza universitaria vercellese , in L’Università di Vercelli nel Medioevo cit., p. 337. 83 Cfr. Statuta communis Vercellarum ab anno 1241 cit., coll. 1215-1217, cap. CCCXXXIV e soprattutto col. 1237, cap. CCCLXXXVII. Quest’ultima disposizione, che, forse per la prima volta, utilizza il prestigioso titolo di studium generale per desi- gnare nel loro complesso gli insegnamenti impartiti nella sede vercellese, venne, con tutta probabilità, emanata tra il 1234 ed il 1235 e, quindi, consolidata nella redazione statutaria del 1241. Per l’esatta datazione del capitolo in questione, a lungo ritenuto risalente al 1224, cfr. F ROVA , Città e ‘Studium’ a Vercelli cit., p. 97. Sull’uso, che si venne affermando tra il secondo ed il terzo decennio del secolo XIII, del termine Studium nel significato istituzionale di complesso di scuole e sull’attributo generale , per qualificare «un insieme di scuole che […] dovevano servire per l’insegnamento della teologia, del diritto canonico e del civile e delle arti liberali, queste ultime in fun- zione propedeutica», cfr. P. N ARDI , ‘Licentia ubique docendi’ e ‘Studium’ generale nel pensiero giuridico del secolo XIII , in A Ennio Cortese , scritti promossi da D. M AFFEI e raccolti a cura di I. B IROCCHI , M. C ARAVALE , E. C ONTE , U. P ETRONIO , II, Roma 2001, pp. 471-477, con gli ulteriori riferimenti bibliografici ivi citati. Nel merito delle dispo- sizioni relative allo Studio contenute nella raccolta, cfr. pure O RDANO , Origine dell’Università medioevale di Vercelli cit., pp. 2-13; N ASO , La fine dell’esperienza cit, pp. 339-340 e nota 22.

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detta regole per la rinascita dell’insegnamento universitario, riunendo- le sotto l’eloquente rubrica «De his que principaliter et multipliciter pertinent ad honorem, bonum statum, augmentum et maximum com- modum civitatis communis et hominum Vercellarum» 84 . Facendo leva sulla gloriosa tradizione scolastica della sede vercellese, «in qua etiam ab antiquo studium esse consuevit», il testo statutario delinea un pro- gramma abbastanza impegnativo di riattivazione degli insegnamenti. L’ordinamento didattico fissato dalla Carta Studii , tipico del modello universitario ‘classico’ 85 ; appare ridimensionato o, se si vuole, adattato alle concrete esigenze di formazione professionale avvertite in sede locale. Cancellate la teologia e le artes , lo statuto trecentesco punta su due sole aree disciplinari, la medicina e il diritto; ed anche nell’ambito di queste compie una netta scelta di campo in favore delle discipline giuridiche. Sette sono le cattedre complessivamente previste, ma una sola è riservata alla medicina; le altre sono divise tra gli insegnamenti del diritto civile, per il quale sono fissati quattro corsi, e quelli del dirit- to canonico, al quale ne sono assegnati due, uno per la decretistica e l’altro per la decretalistica, secondo il modello stabilito negli statuti dei maggiori studia a cominciare da quelli dell’ Alma mater studiorum bolognese 86 , ma anche con qualche velleità innovativa soprattutto nel campo del diritto civile 87 . È chiara l’intenzione delle autorità comunali di attivare corsi su tutto il Corpus iuris civilis ; il citato capitolo statutario stabilisce, infatti, che

84 Hec sunt statuta cit., c. LXI r. -v. 85 Sull’organizzazione didattica prevista nel 1228, cfr. E. M ONGIANO , L’insegnamento del diritto a Vercelli tra XIII e XIV secolo , in Carta studii et scolarium cit., pp. 79-105 ed in specie pp. 85 e 97-100, con gli ulteriori riferimenti bibliografici ivi citati. 86 Sugli aspetti legati all’insegnamento canonistico presso lo Studio vercellese, cfr. V. P IERGIOVANNI , Tracce della cultura canonistica a Vercelli , in L’Università di Vercelli cit., pp. 242-254. 87 Sull’ordinamento tipico delle scuole di diritto negli studia medievali e sulle diver- se forme della didattica giuridica, cfr. per tutti M. B ELLOMO , Saggio sull’università nel- l’età del diritto comune , Roma 1994 2, in specie p. 207 sgg.; I D., «Legere, repetere, disputare». Introduzione ad una ricerca sulle «quaestiones» civilistiche , in I D., Aspetti dell’insegnamento giuridico nelle Università medievali. Le ‘quaestiones disputatae’ , Reggio Calabria 1974, pp. 13-81 (ora anche in I D., Medioevo edito e inedito , I, Scholae, Universitates, Studia , Roma 1997, pp. 51-97).

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a percepire il dovuto salarium siano non solo «duo doctores ordinarii in legibus», i quali «legant ordinarie», svolgendo presumibilmente i corsi mattutini sul Digestum vetus e sul Codex , ma anche un terzo docente, «qui legat extraordinarie in legibus, scilicet Digestum novum et Infortiatum» ed un quarto, probabilmente chiamato, come il precedente, a tenere le lezioni pomeridiane, «qui legat Volumen», ossia il quinto ed ultimo dei libri legales , contenente Institutiones , Tres libri , ossia i tre ultimi del Codex , e Novellae 88 . L’inclusione del Volumen fra le lecturae previste appare doppiamente significativo, non solo perché di solito tra- scurato dalla didattica, ma anche perché ciò potrebbe denotare una certa attenzione verso la feudistica, tenuto conto che, a partire dai primi decenni del Duecento, poteva dirsi stabilmente realizzata l’inserzione nei manoscritti del Corpus iuris civilis dei Libri feudorum , quale deci- ma collatio delle Novellae 89 . Il progetto, sicuramente ambizioso, potrebbe in qualche misura esse- re stato ispirato dall’intento «di restituire alla città un organismo che ne riqualificasse l’immagine dal punto di vista culturale» 90 in una fase poli- tica assai delicata, o addirittura dall’aspirazione a «proporsi come città candidata a diventare sede dell’Università viscontea» 91 . Per quanto se ne sa, esso non ebbe tuttavia seguito ed il ruolo a cui forse Vercelli ambiva sarebbe, poi, spettato a Pavia, ove nel 1361 la nascita dello Studio si compì sotto l’egida del potere signorile 92 . Resta comunque degno di nota il fatto che, mentre nel Duecento lo strumento legislativo viene uti- lizzato essenzialmente per garantire le condizioni necessarie alla prose-

88 Sulla riscoperta, ricostruzione e riordinamento delle fonti giustinianee ad opera dei giuristi medievali, si rinvia, per un quadro di sintesi, a M. B ELLOMO , L’Europa del diritto comune , Roma 1994 7, pp. 72-75. 89 Sulle complesse vicende che contrassegnarono la formazione della raccolta ed il suo inserimento nei libri legales , cfr. B ELLOMO , Società e istituzioni cit., pp. 467-471; CORTESE , Il diritto nella storia medievale cit., II, pp. 159-167. 90 NASO , La fine dell’esperienza cit, p. 345. 91 Ibid. , p. 343. 92 Sul ruolo dello Studio pavese nel quadro della politica universitaria viscontea, prima, e sforzesca, poi, cfr. per tutti M. C. Z ORZOLI , Interventi dei duchi e del Senato di Milano per l’Università di Pavia (secoli XV-XVI) , in Università e società nei secoli XII- XVI , Pistoia 1982, p. 553-573; A. S OTTILI , L’Università di Pavia nella politica cultura- le sforzesca , in I D., Università e cultura. Studi sui rapporti italo-tedeschi nell’età dell’Umanesimo , Goldbach 1993.

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cuzione della vita universitaria, affidando, invece, l’organizzazione della didattica allo strumento pattizio, alla convenzione tra il comune e gli studenti, nel Trecento è il comune a regolare direttamente con dispo- sizioni statutarie l’attività d’insegnamento, stabilendo quali discipline privilegiare, quali e quanti corsi attivare. Si tratta di un’impostazione che, per certi versi, può anche essere frutto di specifiche condizioni locali, ma che in qualche misura può ritenersi in linea con le tendenze del tempo, che segnano il progressivo declino della componente stu- dentesca nel controllo della vita degli studia e il crescente intervento in essa dell’autorità pubblica, sia essa comunale o signorile 93 . Vi è ancora un ultimo punto a cui accennare: quello dell’effettiva applicazione della legislazione statutaria nel lungo arco di tempo duran- te il quale essa resta formalmente in vigore. La questione evidentemen- te riveste una portata generale. Nel caso di Vercelli, essa va inquadrata nel contesto dei rapporti che, sul piano politico come su quello giuridi- co, legano la città ai Visconti, prima, ed ai Savoia, poi. Nel 1341 il regi- me visconteo non sembra apportare significativi mutamenti rispetto all’autonomia comunale; le disposizioni statutarie non contengono, come già si è accennato in precedenza, espressi riferimenti all’interven- to signorile né nel procedimento di riforma legislativa, che si conclude con l’approvazione del nuovo Liber statutorum da parte del consiglio di credenza, né tanto meno nella nomina del podestà o degli altri officia- les . Mentre carattere di omaggio meramente rituale pare rivestire l’af- fermazione, contenuta nel proemio, secondo cui la riforma stessa dove- va intendersi compiuta «ad amplificationem reverentie, honoris et lau- dis magnificorum dominorum Iohannis atque Luchini de Vicecomitibus magnificorum dominorum civitatum Mediolani, Vercellarum etc.» 94 . Il che ovviamente non esclude la possibilità che vi sia comunque

93 Per un quadro di sintesi delle peculiarità assunte dall’esperienza universitaria nel pas- saggio dalla realtà duecentesca a quella dei secoli XIV e XV, cfr. J. V ERGER , Le università del Medioevo , Bologna 1982, pp. 157-259. Esempi precoci di fondazioni regie sono stati illustrati, con riferimento alla nascita delle più antiche università iberiche, da D. N OVARESE , I privilegi delle Università di fondazione regia fra medioevo ed età moderna , in A Ennio Cortese cit., II, pp. 508-519. Con riferimento alla fondazione dello Studio torinese, cfr. E. MONGIANO , Lo Studio e i principi , in Alma felix universitas studii Taurinensis. Lo Studio generale dalle origini al primo Cinquecento , a cura di I. N ASO , Torino 2004, pp. 75-118. 94 Hec sunt statuta cit., c. I v.

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Elisa Mongiano

stato, almeno sul piano politico, un certo controllo da parte dei nuovi signori, controllo indubbiamente difficile da provare, ma ragionevol- mente ipotizzabile, anche tenuto conto della provenienza milanese del podestà in carica 95 . Tuttavia, a distanza di circa un decennio, la revisio- ne del citato capitolo statutario in tema di eredità giacenti, condotta a termine nel settembre 1352, rispecchia ormai un quadro istituzionale ben diverso: alla delibera degli organi comunali fa seguito, il 2 ottobre, la conferma da parte dell’arcivescovo Giovanni Visconti 96 . Alla ratifica signorile, questa volta del duca Gian Galeazzo, risultano parimenti sot- toposti gli statuti del collegio dei notai del 1397, segno tangibile del- l’accresciuto peso dell’autorità viscontea. Con il Trecento, d’altronde, la produzione legislativa del comune vercellese può dirsi sostanzialmente conclusa, mentre quella signorile viene via via acquisendo una certa ampiezza. Il Liber statutorum , alme- no in apparenza, resta immutato nei suoi contenuti. In realtà, le norma- tiva locale non si regge nella sua integralità, in quanto, specialmente in talune materie, essa viene modificata dalla legislazione signorile, con effetti più limitati sotto i Visconti, stante l’assenza di statuti generali validi per tutto il dominio, di portata più incisiva sotto i Savoia 97 . È ben vero che il duca Amedeo VIII, con le patenti del 17 luglio 1428, nel confermare le antecedenti «libertates civitatis Vercellarum», espressamente mantiene in vigore gli «statuta et capitula» municipali, purché «equitati, honori iuribusque et iuridictioni nostris non repu- gnancia» 98 . Mentre nel proemio dei Decreta seu statuta , pubblicati dallo stesso Amedeo VIII nel 1430 ed almeno tendenzialmente desti- nati a tutte le terre sabaude, si afferma il principio secondo cui la legge

95 Sul ruolo delle autonomie cittadine nel regime signorile visconteo, cfr. C. S TORTI STORCHI , Aspetti generali della legislazione statutaria lombarda in età viscontea , in Legislazione e società nell’Italia medievale , Bordighera 1990, pp. 71-101, ora anche in EAD ., Scritti sugli statuti lombardi , Milano 2007, pp. 85-113, ed in specie p. 100 sgg. 96 Hec sunt statuta cit., cc. CLXX r. -CLXXI r. 97 Nel merito cfr. G. S. P ENE VIDARI , Statuti signorili , in Signori, regimi signorili e statuti nel tardo medioevo , a cura di R. D ONDARINI , G. M. V ARANINI , M. V ENTICELLI , Bologna 2003, pp. 51-61; I D., Considerazioni sugli statuti signorili , in «Amicitiae Pignus» cit., III, pp. 1795-1810. 98 La minuta della patenti ducali è conservata in A RCHIVIO DI STATO DI TORINO , Archivio di Corte , Protocolli ducali , vol. 72 bis, cc. 699 r. -703 v. e per la citazione c. 700 v.

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La riforma statutaria del 1341

ducale non intende derogare né alle «bonis et laudabilibus consuetu- dinibus nostrorum ducatus Auguste et patrie Vaudi», ossia al diritto consuetudinario vigente in Valle d’Aosta e nel Vaud, né ai «rationabi- libus capitulis terrarum nostrarum Italiae, Pedemontium et Provinciae», e quindi agli statuti delle terre d’Italia, fra le quali va compresa appunto Vercelli, del Piemonte e di Provenza, ossia del con- tado di Nizza 99 . Ciò non impedisce tuttavia che, almeno per quanto si riferisce a Vercelli, il passaggio ai Savoia incida sensibilmente sulle istituzioni locali, segnando, tra l’altro, significativi cambiamenti nel- l’ordinamento giudiziario 100 . Proprio in quest’ultimo settore importanti novità si hanno con i Nuovi Ordini sul processo civile e su quello penale, pubblicati rispetti- vamente nel 1561 e nel 1565 dal duca Emanuele Filiberto, che dettano norme generali, valide per tutti i territori soggetti all’autorità del princi- pe, derogando in materia le disposizioni contenute negli statuti 101 . Con le riforme settecentesche, culminate nella pubblicazione delle tre redazioni delle Leggi e costituzioni di Sua Maestà del 1723, 1729 e 1770, la legislazione del sovrano erode ulteriormente gli spazi di com- petenza locale, però senza eliminarli del tutto 102 . Gli statuti comunali, abrogati al momento dell’introduzione in Piemonte del Code civil napo- leonico del 1804, vengono posti nuovamente in vigore con il ritorno, in età di Restaurazione, al sistema normativo di antico regime e, pur sen- sibilmente ridimensionati nella loro portata e nel complesso ormai scar- samente applicati, continuano, comunque, a rientrare tra le fonti del

99 La citazione è ripresa dall’edizione torinese del 1586 ( Decreta seu statuta vetera serenissimorum ac praepotentum Sabaudiae Ducum et Pedemontii Principum , Augustae Taurinorum, apud haeredem Nicolai Bevilaquae, 1586, c. 1 v. ). Nel merito e per un più ampio inquadramento delle questioni sottese alla disposizione ducale, cfr. I. SOFFIETTI , C. M ONTANARI , Il diritto negli Stati sabaudi: fonti e istituzioni , Torino 2008, pp. 8-17. 100 In proposito, cfr. D IONISOTTI , Memorie storiche cit., p. 414-423. 101 Sull’opera legislativa del duca, si rinvia a C. P ECORELLA , Introduzione a Il libro terzo degli «Ordini Nuovi» di Emanuele Filiberto , a cura di C. P ECORELLA , Torino 1989; ID., Introduzione a Il libro quarto degli «Ordini Nuovi» di Emanuele Filiberto , a cura di C. P ECORELLA , Torino 1994. 102 I. S OFFIETTI , Le fonti del diritto nella legislazione del Regno di Sardegna nel XVIII secolo , in Studi in memoria di Mario E. Viora , Roma 1990, pp. 679-689; SOFFIETTI , M ONTANARI , Il diritto negli Stati sabaudi cit., pp. 53-65.

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Elisa Mongiano

diritto 103 . Solo all’entrata in vigore del Codice civile albertino, il 1° gen- naio 1838, la legislazione locale cessa formalmente «di aver forza di legge» 104 : dalla riforma del 1341 erano ormai trascorsi quasi cinque secoli.

103 Cfr. C. M ONTANARI , Gli statuti piemontesi: problemi e prospettive , in Legislazione e società nell’Italia medievale cit ., pp. 103-207 ed in specie pp. 124-134, nonché G. S. P ENE VIDARI , Torino sabauda. L’autonomia legislativa: gli statuti , in Storia di Torino , II, Il basso medioevo e la prima età moderna (1280-1536) , a cura di R. COMBA , Torino 1997, p. 257. 104 Codice civile per gli Stati di S.M. il Re di Sardegna, art. 2415. L'articolo in que- stione sancisce che gli statuti locali cessino di avere valore di legge in «tutte le materie che formano l'oggetto del presente Codice», ossia per le disposizioni concernenti il dirit- to privato, le sole della normativa statutaria che, al tempo, ancora trovavano un certo margine di applicazione. Sul punto, si rinvia alle considerazioni svolte in S OFFIETTI , MONTANARI , Il diritto negli Stati sabaudi cit., pp. 133-135.

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PAOLO ROSSO ______

UNIVERSITÀ E SAPIENTES IURIS A VERCELLI NEL TRECENTO

L’esperienza universitaria vercellese, come è stato posto in evidenza in diverse ricerche dedicate a questa istituzione, si presenta come una realtà chiaroscurata, caratterizzata da fasi nelle quali si addensano in modo consistente le testimonianze dell’attività dello Studium , e da assenze di esplicite attestazioni sulla presenza di un centro di insegna- mento universitario. La ricerca d’archivio e l’indagine condotta nei fondi manoscritti continuano tuttavia a offrire testimonianze in grado di arricchire i dati sul funzionamento dell’Università di Vercelli e sui riflessi di questa nella vita culturale e istituzionale cittadina 1. Nato nel periodo comunale maturo, negli anni che seguirono l’affer- mazione del regime podestarile, lo Studium generale di Vercelli venne in qualche misura coinvolto nella stagione della politica universitaria dell’imperatore Federico II, per poi tornare a una dimensione cittadina che restò la sua cifra sino all’ingresso di Vercelli nella signoria viscon- tea. I Visconti non ebbero un atteggiamento ostile nei confronti dell’u- niversità vercellese, ma, pur senza citarla esplicitamente, ne decretaro- no la fine quando elessero, nel 1361, la città di Pavia alla sede designa- ta per ospitare quello che sarebbe stato per un secolo e mezzo lo

1 Il presente contributo fa parte di una ricerca più ampia, di prossima pubblicazione, dedicata agli insegnamenti di diritto, di arti e medicina e di teologia presso lo Studium di Vercelli nei secoli XIII-XIV, cui rimando per un inquadramento generale. Oltre alla bibliografia via via citata, per l’Università di Vercelli nel Due e Trecento si veda soprat- tutto L’Università di Vercelli nel medioevo . Atti del secondo Congresso Storico Vercellese (Vercelli, 23-25 ottobre 1992), Vercelli 1994; interessanti sono anche le osservazioni nelle recensioni a questo volume apparse in «Bollettino storico vercellese», 21 (1992), pp. 149-154 (L. M INGHETTI RONDONI ); in «Quaderni medievali», 35 (1993), pp. 185-192 (G. G ULLINO ); in «Nuova rivista storica», 77 (1993), pp. 111-114 (M. GAZZINI ), cui si aggiunga il contributo di G. G. M ERLO , L’Università di Vercelli nel medioevo. A proposito di un recente volume , in I D., Forme di religiosità nell’Italia occi- dentale dei secoli XII e XIII , Cuneo-Vercelli 1997, pp. 195-213, in particolare p. 204, già pubblicato in «Bollettino storico vercellese», 23 (1994), pp. 5-26.

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Paolo Rosso

Studium del principato visconteo-sforzesco, oscurando ogni altro centro di istruzione superiore attivo nelle loro terre. L’azione con la quale il comune di Vercelli rivelò i suoi progetti di attivare uno Studio cittadino è il noto invio a Padova dei suoi delegati, nella primavera dell’anno 1228, i quali, il 4 aprile, stipularono con i rap- presentanti della corporazione degli studenti la convenzione conosciuta come Carta Studii . Con questa convenzione, della durata di otto anni, il comune – a fronte del trasferimento a Vercelli dell’intera universitas scholarium padovana (“universum Studium Padue”) – si impegnava a farsi integralmente carico degli aspetti logistici dell’iniziativa e del pagamento degli stipendi dei quattordici docenti previsti, cioè tre pro- fessori di diritto civile, quattro di diritto canonico (due decretisti e due decretalisti), due di medicina, quattro di artes liberales (due di dialetti- ca e due di grammatica) e uno di teologia 2. I dati sullo Studium di Vercelli nei primi decenni della sua esistenza sono estremamente limitati, sebbene non manchino testimonianze di studenti residenti in città. Non abbiamo notizie di formali riconosci- menti giuridici dell’università attraverso privilegi imperiali o papali, come avvenne per lo Studio di Modena, che ottenne il privilegio di Onorio III nel 1224 3. È del tutto assente inoltre per questi anni qualsia- si documentazione relativa ai cerimoniali e agli actus publici 4, all’atti- vità della cancelleria universitaria e alla redazione e conservazione delle matriculae delle singole entità costitutive l’organismo accademico 5.

2 La Carta Studii è stata oggetto di una recente nuova edizione: Carta Studii et Scolarium Commorancium in Studio Vercellarum , trascrizione e commento a cura di G. CASIRAGHI , in Carta Studii et Scolarium Commorancium in Studio Vercellarum. 4 apri- le 1228. Intorno al primo documento della Università medievale di Vercelli , a cura di G. CANTINO WATAGHIN - S. L OMARTIRE , Alessandria-Novara-Vercelli 2005, pp. 22-33. 3 C. G. M OR - P. D I PIETRO , Storia dell’Università di Modena , I, Firenze 1975, p. 10. 4 A. M AIERÙ , Gli atti scolastici nelle Università italiane , in Luoghi e metodi di inse- gnamento nell’Italia medioevale (secoli XII-XIV) . Convegno internazionale di studi (Lecce-Otranto, 6-8 ottobre 1986), a cura di L. G ARGAN - O. L IMONE , Galatina 1989 (Università di Lecce, Dipartimento di Scienze Storiche e Sociali, Saggi e Ricerche, 3), pp. 247-287; I D., Ancora sugli atti scolastici nelle università italiane , in Studi sulle società e le culture del Medioevo per Girolamo Arnaldi , a cura di L. G ATTO - P. S UPINO MARTINI , Firenze 2002, pp. 307-326. 5 Sulla matricola si veda J. P AQUET , Les matricules universitaires , Turnhout 1992 (Typologie des sources du Moyen Âge occidental, 65), in particolare, per un elenco delle

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Università e sapientes iuris a Vercelli nel Trecento

La riforma statutaria del 1341, compilata sotto la dominazione viscon- tea, fa un esplicito riferimento alla possibilità di addottorarsi o licenziarsi a Vercelli in diritto civile o canonico o in medicina, non nominando più l’insegnamento di teologia 6. Questi statuti sono estremamente importanti perché segnano il passaggio da una fase progettuale – rappresentata dalla Carta Studii del 1228, inserita in un generale contesto istituzionale anco- ra sperimentale – a uno stadio più maturo: dalle teoriche e auspicate quat- tordici cattedre del 1228 si scese a sette, distribuite tra insegnamenti ordi- nari e straordinari, su cui torneremo. Continuano tuttavia a essere assenti, o quantomeno mancano attestazioni in tal senso, i reformatores Studii , come venivano generalmente chiamate le magistrature che, incanalando- ne lo spontaneismo, garantivano una stabilità allo Studium attraverso un controllo della regolarità del suo funzionamento nelle varie fasi, come nella condotta dei professori e nella fissazione e nel regolare pagamento dei loro stipendi, nella nomina del personale non docente, nella determi- nazione del luogo e del tempo delle lezioni, nell’intervento sugli aspetti

edizioni delle matricole generali, cfr. pp. 100-108; A. M. B ULTOT -V ERLEYSEN , Les matri- cules universitaires: mise à jour du fascicule n. 65 , Turnhout 2003 (Typologie des sour- ces du Moyen Âge occidental, 65 A). Sull’uso del termine matricula cfr. H. D ENIFLE - F. E HRLE , Die Statuten der Juristen-Universität Bologna vom J. 1317-1347, und deren Verhältnis zu jenen Paduas, Perugias, Florenz , in «Archiv für Literatur- und Kirchengeschichte des Mittelalters», 3 (1887) (rist. anast. Graz 1956), p. 276; Statuti delle Università e dei Collegi dello Studio Bolognese , a cura di C. M ALAGOLA , Bologna 1888, pp. 287, 317; H. D ENIFLE , Die Statuten der Juristen- Universität Padua vom Jahre 1331 , in «Archiv für Literatur- und Kirchengeschichte des Mittelalters», 6 (1892) (rist. anast. Graz 1956), pp. 309-562, in particolare p. 401. 6 “[…] Statutum est inviolabiliter et perpetuo observandum quod in civitate Vercellarum que inter ceteras civitates Italie Studiis scientiarum et artium predictarum est laudibus ipsorum et privilegiis preconia predotata. In qua etiam ab antiquo Studium esse consuevit sit et esse debeat semper et in perpetuum Studium generale, ad quod per- faciendum teneatur precise quilibet potestas presens et futurus operam dare cum effec- tu quod sint et esse debeant ad salarium dicte civitatis in ipsa civitate qui continue in eadem civitate legant in ipsis scientiis duo doctores ordinarii in legibus et qui legant ordinarie et unus tertius qui legat extraordinarie in legibus scilicet Digestum novum et Infortiatum et quartus qui legat Volumen. Et in iure canonico duo, unus quorum legat Decretales et alter Decretum. Et sit etiam unus qui legat in arte medicine […]. Quorum predictorum salarium sit ordinariorum predictorum in legibus, Decretalibus et medicina secundum dispositionem potestatis cum duodecim sapientibus quos eligere voluerit. Possit etiam quilibet doctorari et licentiari in civitate Vercellarum in scientiis supra-

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Paolo Rosso

pratici della vita dello Studio 7. Altro elemento di instabilità fu la mancata istituzione di una fonte fiscale dedicata esclusivamente a dare copertura finanziaria alle spese per l’università, in particolare per gli stipendi dei professori, come avvenne invece di norma negli Studia di fondazione principesca: la regolarità nei finanziamenti permetteva di pattuire condot- te di lunga durata e di contattare docenti di prestigio, che avrebbero richia- mato in città un maggiore numero di studenti 8.

1. La centralità dell’insegnamento del diritto

La preminenza dell’insegnamento del diritto sulle altre discipline accademiche – che rispecchiava l’importanza sociale ed economica

scriptis, et possint scholares undecumque sint ibidem venire, stare et permanere sine impedimento quomodolibet publico vel privato [...]. Et si fuerit aliquis civis origine Vercellarum qui sit vel erit conventatus et licentiatus in iure civili vel canonico qui legat continue scholaribus publice in scholis habeat annuatim a communi Vercellarum pro suo salario libras centum Papie et non ultra, in medicina libras quinquaginta Papie, tantum et minus in utroque, arbitrio domini potestatis et sapientium […]”: Hec sunt statuta communis et alme civitatis Vercellarum , Vercelli, per Ioannem Mariam de Peliparis de Pallestro, 1541, c. LXIr-v. Sulla riforma statutaria del 1341 rimando al contributo di Elisa Mongiano nel presente volume. 7 C. F ROVA , Crisi e rifondazioni nella storia delle piccole università italiane duran- te il medioevo , in Le Università minori in Europa (secoli XV-XIX) . Convegno Internazionale di Studi (Alghero, 30 ottobre-2 novembre 1996), a cura di G. P. B RIZZI - J. V ERGER , Soveria Mannelli 1998, pp. 29-47, in particolare pp. 40-41. Sui compiti dei reformatores Studii presso l’Università di Torino nel Quattrocento cfr. P. R OSSO , “Rotulus legere debentium”. Professori e cattedre all’Università di Torino nel Quattrocento , Torino 2005 (Miscellanea di Storia Italiana, s. V. Studi e fonti per la sto- ria della Università di Torino, XIV), pp. 35-40. 8 Per l’Università di Torino venne adottata la gabella sul sale, mentre il finanzia- mento per lo Studium romano era garantito dalla gabella grossa. Per esempi quattrocen- teschi di tipologie di condotte di professori e per le forme di pagamento dei loro stipen- di cfr., per Firenze, A. F. V ERDE , Vita universitaria nello Studio della Repubblica Fiorentina alla fine del Quattrocento , in Università e società nei secoli XII-XVI . Nono Convegno Internazionale (Pistoia, 20-25 settembre 1979), Pistoia 1982, pp. 495-522; per Pavia: D. Z ANETTI , A l’Université de Pavie au XV e siècle: les salaires des profes- seurs , in «Annales. Économies. Sociétés. Civilisations», 17 (1962), pp. 421-433; P. ROSSO , I “rotuli” dell’Università di Pavia nella seconda metà del Quattrocento: consi- derazioni sull’entità degli stipendi assegnati al corpo docente , in «Schede umanisti- che», n. s., (1996)/1, pp. 22-49; per Torino: I D., Forme di reclutamento del corpo docen- te: i “rotuli” dei professori e dei salari , in “Alma felix Universitas Studii Taurinensis”. Lo Studio Generale dalle origini al primo Cinquecento , a cura di I. N ASO , Torino 2004 (Storia dell’Università di Torino, 1), pp. 235-268; I D., “Rotulus legere debentium” cit.

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Università e sapientes iuris a Vercelli nel Trecento

assunta nella realtà cittadina dai sapientes iuris a partire dall’XI seco- lo, cui si aprì sempre più la via per gli onori, la ricchezza e l’immis- sione nei quadri del potere politico 9 – è evidente nella distribuzione delle cattedre tra le varie discipline disposta nella Carta Studii e nella riforma statutaria del 1341. Le prime condotte di professori presenta- no nomi di importanti giuristi: come accadeva di norma, le piccole università, sprovviste di magistri cittadini di un certo livello, cercava- no di ‘condurre’ professori da altre città, sfruttando spesso i momenti di crisi degli Studia maggiori. Non ci soffermiamo in questa sede sulla docenza giuridica a Vercelli nel corso del Duecento, passando invece a presentare alcuni dati sull’attività dell’ateneo cittadino dalla fine del XIII secolo 10 . In questo torno di anni troviamo alcuni studenti di diritto vercellesi a Bologna e a Padova: Sallandro de Sallandris de Caxase , “condam domini Guillelmi”, e Uberto de Sancta Agata , “filius condam domini Guidonis”, entrambi della diocesi di Vercelli, furono a Bologna nel 1286 11 . L’ Alma mater studiorum esercitò la sua attrazione in particolare sulle maggiori famiglie principesche o di alto lignaggio, le quali invia- rono i loro membri a studiarvi dal secolo XIII: tra le famiglie dell’Italia

9 A questo proposito cfr. F. R EXROTH , “Finis scientie nostre est regere”. Normenkonflikte zwischen Juristen und Nichtjuristen an der spätmittelalterlichen Universitäten Köln und Basel , in «Zeitschrift für historische Forschung», 21 (1994), pp. 315-344. 10 Sull’Università di Vercelli nel Duecento rimando all’annunciato studio di prossi- ma pubblicazione. Per la docenza giuridica presso lo Studio vercellese nel secolo XIII si veda soprattutto I. S OFFIETTI , L’insegnamento civilistico nello studio di Vercelli: un problema aperto , in L’Università di Vercelli nel medioevo cit., pp. 227-242; I D., Contributo per la storia dello «studium» di Vercelli nel secolo XIII , in «Rivista di storia del diritto italiano», 65 (1992), pp. 243-254; I D., Lo “Studium” di Vercelli nel XIII seco- lo alla luce di documenti di recente ritrovamento , in Università in Europa. Le istituzio- ni universitarie dal Medio Evo ai nostri giorni: strutture, organizzazione, funzionamen- to . Convegno internazionale di studi (Milazzo, 28 settembre-2 ottobre 1993), a cura di A. R OMANO , Soveria Mannelli 1995, pp. 191-198, già pubblicato in «Rivista di storia del diritto italiano», 67 (1994), pp. 83-90; E. M ONGIANO , L’insegnamento del diritto a Vercelli tra XIII e XIV secolo , in Carta Studii et Scolarium Commorancium in Studio Vercellarum cit., pp. 79-103. 11 Chartularium Studii Bononiensis. Documenti per la storia dell’Università di Bologna dalle origini fino al secolo XV , IX, Bologna 1931, pp. 56-57, n. XCIX (3351) (1286 aprile 25). Negli anni precedenti era studente di diritto a Bologna, nel 1269, Giulio di Masino da Vercelli: ivi , X, Bologna 1936, p. 119, n. CCLXIV.

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settentrionale, nel 1288 fu a Bologna Matteo Visconti 12 , mentre nel 1296 vi studiarono Pietro di Savoia, “decanus Sancti Martini Leodiensis” e poi arcivescovo di Lione, e il fratello Amedeo, anch’esso canonico di Lione 13 ; l’anno seguente troviamo nella città padana gli “scolares Bononie” Bonifacio e Giorgio, figli del marchese di Saluzzo Tommaso, presentati in un atto bolognese intenti a cambiare trecentosessanta fiori- ni d’oro con ottanta marche d’argento 14 . Presso lo Studio padovano invece, il 27 giugno 1351, è presente il canonico di Cividale Nicolino Testi da Santhià, figlio di Giovanni, studente di diritto nella città vene- ta da un anno; il primo febbraio 1355 e il 18 marzo 1356 è documenta- to come procuratore di Ardiccino de Momo di Novara, dottore in Decreti e arciprete di Monselice, e come canonico di Padova il 31 marzo 1364, quando fu presente nel capitolo cattedrale insieme, tra gli altri, a Francesco Petrarca 15 . Queste rare attestazioni non sono certo indicatori sicuri per ipotizza- re uno stato di crisi dello Studio di Vercelli: non sappiamo se vi furono restrizioni imposte dalle autorità vercellesi alla migratio di studenti presso altri Studia , rivelatesi comunque incapaci – laddove esercitate, come fecero più tardi i Visconti e gli Sforza – a imbrigliare la sempre esuberante peregrinatio academica 16 . Sono invece più interessanti le considerazioni che si possono trarre, in absentia , studiando il soggiorno a Bologna di studenti provenienti dalle regioni subalpine nel primo

12 G. Z ACCAGNINI , La vita dei maestri e degli scolari nello Studio di Bologna nei secoli XIII e XIV , Genève 1926 (Biblioteca dell’«Archivum Romanicum», s. I, Storia, Letteratura, Paleografia, V), pp. 50-51; E. O RIOLI , Matteo Visconti scolaro nello Studio di Bologna , in «Archivio storico lombardo», s. III, 26 (1899), pp. 113-115. 13 D. C ARUTTI , Pietro e Amedeo di Savoia allo Studio di Bologna nel 1296 , in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», 4 (1899), pp. 1-2; F. G ABOTTO , Principi sabaudi allo Studio di Bologna nei secoli XIII e XIV , in Studi e memorie per la storia dell’Università di Bologna , III, Bologna 1912 (Biblioteca de “L’Archiginnasio”, s. I, vol. III), pp. 191-195. 14 Tra i testimoni è registrato il piemontese Bonifacio de Bargiis de Pedemonte : ZACCAGNINI , La vita dei maestri cit., p. 151, n. XIV. 15 A. G LORIA , Monumenti della Università di Padova (1318-1405) , I, Padova 1888 (rist. anast. Bologna 1972. Athenaeum, 16), p. 351, n. 679. 16 Per le restrizioni imposte dai Visconti e dagli Sforza ai sudditi del principato, obbligati a frequentare lo Studium pavese, cfr. infra , testo corrispondente alla nota 188, e A. S OTTILI , Zone di reclutamento dell’Università di Pavia nel Quattrocento , in «Annali di storia pavese», 28 (2000), pp. 31-56, in particolare pp. 53-55.

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Università e sapientes iuris a Vercelli nel Trecento

quarto del Trecento: troviamo rappresentate le regioni del Piemonte sud-occidentale (Cuneese) e centrale (in particolare l’asse Chieri- Torino-Pinerolo e il Canavese) e le regioni sabaude, mentre sono assen- ti gli studenti in arrivo dal territorio del Piemonte orientale, probabil- mente gravitanti sull’Università di Vercelli 17 . Per i primissimi anni del Trecento possediamo l’importante testimo- nianza della presenza a Vercelli di un eminente giurista e politico, tra- smessa in un documento sinora non letto in un contesto di storia uni- versitaria. Il 6 dicembre 1302 il podestà di Vercelli Federico Ponzonus e i sapientes vercellesi intervennero per comporre il dissenso tra il comune di Pavia e i signori di Robbio e Palestro, sorto in occasione del- l’elezione del podestà, dei consoli e dei credenziari “in partibus de Rodobio et Palestro et Conflencia”. Il casus venne sottoposto all’arbi- trato di Masninus de Natalibus e Nicolino de Cervis , entrambi giudici podestarili, e del dominus Niccolò de Matarellis , legum doctor 18 . La notizia del soggiorno in Vercelli di Niccolò de Matarellis , oltre ad aggiungere un dato importante nella biografia di questo professore, inserisce un giurista di alto profilo e un docente all’apice della sua car- riera nella realtà vercellese, non solo nel campo della giudicatura, ma quasi certamente nella stessa area della docenza presso la facoltà di diritto dello Studium generale . Originario di Modena, Niccolò de Matarellis è documentato come studente a Bologna nel 1269; l’anno seguente, già doctor legum , venne immatricolato nel collegio dei giudi- ci di Modena; dal 1272 iniziò a insegnare diritto civile nello Studio modenese, prendendo anche parte alla vita politico-amministrativa cit- tadina: nel 1279 fu difensore della libertà e, nel 1289, sapiente per la porta di S. Pietro. Continuò il suo insegnamento di diritto civile a

17 G. O RLANDELLI , Studenti delle regioni sabaude e piemontesi a Bologna nel primo venticinquennio del secolo XIV , in La Valle d’Aosta . Relazioni e comunicazioni del XXXI congresso storico subalpino (Aosta 9-11 settembre 1956), II, Cuneo 1959, pp. 929-943. Per ulteriori notizie su studenti piemontesi presso l’Università di Bologna tra la metà del Duecento e la fine del Trecento cfr. I. N ASO , Medici e strutture sanitarie nella società tardo-medievale. Il Piemonte dei secoli XIV e XV , Milano 1982, p. 46, nota 59. 18 I Biscioni , I/1, a cura di G. C. F ACCIO - M. R ANNO , Torino 1934 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, CXLV), pp. 53-54, n. V. L’atto venne rogato “in hospitio habitationis potestatis Vercellarum”.

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Modena fino al 1281, poi, nel novembre, si spostò a Foligno come con- sultor della città; particolarmente documenta è la sua lunga docenza, tra il 1290 e il 1310, presso l’Università di Padova; in questa città venne immatricolato nel collegio dei dottori giuristi. L’insegnamento padovano ha una interruzione nel biennio 1306- 1307, quando, in seguito alla richiesta inoltrata dai Modenesi, il comu- ne e l’Università di Padova permisero a Niccolò de Matarellis di ritor- nare nella città natale per ricoprirvi l’ufficio di “defensor populi Mutinensis”. Prima del temporaneo ritorno a Modena del giurista è ora da registrare, almeno dal dicembre 1302, il suo soggiorno vercellese, non protratto oltre il febbraio 1305, quando Niccolò de Matarellis è documentato a Padova, insieme al figlio Francesco, tra i doctores sala- riati che approvarono un consilium sui diritti del comune di Padova sulla terza parte della condanna pecuniaria inflitta dall’inquisizione a un eretico 19 . Il giurista morì a Padova prima del 10 gennaio 1314, quando, nel testamento del figlio Francesco, è dichiarato “quondam” 20 .

19 P. M ARANGON , Gli «Studia» degli ordini Mendicanti , in « Ad cognitionem scien- tiae festinare». Gli studi nell’Università e nei conventi di Padova nei secoli XIII e XIV , a cura di T. P ESENTI , Padova 1997, pp. 70-114, in particolare p. 102, n. 2 (1305 febbraio 12), già pubblicato in Storia e cultura a Padova nell’età di sant’Antonio . Convegno internazionale di studi (Padova-Monselice, 1-4 ottobre 1981), Padova 1985 (Fonti e ricerche di storia ecclesiastica padovana, 16), pp. 343-380. 20 Sul giurista modenese cfr. G. P ANCIROLI , De claris legum interpretibus libri qua- tuor , II, Venetiis 1637, p. 181 (che ricorda anche una docenza, su cui non sono note ulte- riori testimonianze, di Niccolò de Matarellis a Bologna e a Pisa); A. G LORIA , Monumenti della Università di Padova (1222-1318) , Venezia 1884 (rist. anast. Bologna 1972. Athenaeum, 16), p. 10, n. 13; p. 149, n. 175; pp. 249-250, nn. 303-304; M. B EVILACQUA , Una «Quaestio» di Niccolò Matarelli (Vat. lat. 10726) , in Collectanea Vaticana in hono- rem Anselmi M. Card. Albareda a Bibliotheca Apostolica edita , Città del Vaticano 1962 (Studi e testi, 219), pp. 139-157; F. S OETERMEER , Recherches sur Franciscus Accursii. Ses Casus Digesti Novi et sa répétition sur la loi Cum pro eo (C. 7,47 un.) , in I D., Livres et Juristes au Moyen Âge , Goldbach 1999 (Bibliotheca eruditorum, 26), pp. 1-47, in par- ticolare p. 26, nota 151, già pubblicato in «Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis», 51 (1983), pp. 3-49; I D., The Origin of Ms. D’Ablaing 14 and the trasmissio of the Clementines to the Universities , ivi , pp. 83-94, in particolare p. 88, nota 28, già pubbli- cato in «Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis», 54 (1986), pp. 101-112. In M. B ELLOMO , Giuristi cremonesi e scuole padovane. Ricerche su Nicola da Cremona , in Studi in onore di Ugo Gualazzini , Milano 1981 (Università di Parma. Pubblicazioni della Facoltà di giurisprudenza, 49/1), pp. 81-112, in particolare pp. 84-87, 90, si ipotizza che Niccolò de Matarellis sia stato allievo a Padova di Nicola Malombra da Cremona. Alcuni suoi sermoni accademici, composti in occasione di lauree in diritto civile a Padova, sono

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Università e sapientes iuris a Vercelli nel Trecento

Successive notizie sull’attività della facoltà di diritto vercellese sono del 1338: in quell’anno il comune di Vercelli, attraverso il suo procuratore, il priore del monastero cittadino di S. Andrea, stipulò nel Palazzo vecchio del comune di Modena, rispettivamente il 22 e il 23 ottobre, due contratti con i lettori Pietro di Rainalduccio da Perugia e Salvo Marano da Parma 21 . La sottrazione dei due docenti attivi a Modena coincise con una fase di crisi gravissima dello Studium emi- liano, sgradito alla recente dominazione estense 22 . Per l’anno accade- mico 1340-1341 sappiamo che il Marano, vicario generale vescovile, fu titolare della lettura ordinaria di diritto civile “in Studio generali” 23 , ed è attestato ancora al servizio del vescovo di Vercelli (“maior eccle- sie Vercellensis”) nel 1343 24 .

conservati nei codici ora presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ms. II. I. 64, ff. 155v-157r, e Magl. VI. 134, ff. 65r-66r: C. P IANA O.F.M., Nuove ricerche su le Università di Bologna e di Parma , Firenze 1966 (Spicilegium Bonaventurianum, 2), p. 11; P. M ARANGON , Un «Sermo pro scolari conventuando» del professore di diritto Niccolò Matarelli (Padova, c. 1290-1295) , in « Ad cognitionem scientiae festinare» cit., pp. 364-375, già pubblicato in «Quaderni per la storia dell’Università di Padova», 18 (1985), pp. 151-161. Notevole fu la produzione consiliare e la composizione di quae- stiones del modenese; tra le sue opere principali si può ricordare il trattato Super instru- mentis e alcune letture sulle parti principali del Corpus iuris civilis : F. C. VON SAVIGNY , Geschichte des römischen Rechts im Mittelalter , V, Heidelberg 1829 (rist. anast. Darmstadt 1956), pp. 382-385; G. D OLEZALEK , Verzeichnis der Handschriften zum römi- schen Recht bis 1600 , III, Frankfurt a. Main 1972, s. v. Nicolaus de Matarellis ; M OR - DI PIETRO , Storia dell’Università di Modena cit., I, pp. 18-19, 273. 21 Editi, nell’ordine, in G. P. V ICINI , Pietro di Rainalduccio da Perugia, professore nello “Studio” di Vercelli , in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», 10 (1905), pp. 369-375, in particolare pp. 372-375; T. V ALLAURI , Storia delle Università degli Studi del Piemonte , I, Torino 1845 (rist. anast. Bologna 1970), pp. 227-228, n. V. 22 MOR - D I PIETRO , Storia dell’Università di Modena cit., II, pp. 24-25. 23 “[…] reverendus vir dominus Salvus de Marano de Parma, legum doctor, vicarius reverendi in Christo patris domini Lombardi Dei et apostolice sedis gratia episcopi Vercellensis, que ius civile in civitate Vercellarum ordinarie in Studio generali legit MCCCXLI”: Biblioteca Capitolare di Vercelli, ms. 19 ( Codice cartaceo. Sec. XIV-XV ), f. 31v (numerazione moderna). Una ulteriore attestazione del Marano - che incarica, come vicario generale del vescovo, il notaio Martino Dalmaxius della trascrizione di privilegi imperiali riguardanti la Chiesa vercellese - è in Archivio di Stato di Torino, Archivio di corte, Materie ecclesiastiche, Arcivescovadi e vescovadi, Vercelli, mz. 1, fasc. 2, ff. 23r-28r (1340 febbraio 13). 24 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXXVIII (1342-1343) (1343 novem- bre 30).

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2. Duo docent vos doctores / inter bonos meliores. L’organizzazione del- l’insegnamento giuridico nella facultas di diritto .

Il legum doctor Marano venne contattato per insegnare diritto civile a Vercelli, con un salario di cinquecentocinquanta lire pavesi; la previ- sta condotta di due anni poteva essere prorogata per altri tre anni 25 . Lo strumento è piuttosto dettagliato sulla tipologia di docenza, e introduce alcuni aspetti ormai comuni per gli Studia maggiori: il comune, a sua discrezione, avrebbe potuto destinare il Marano alla lettura ordinaria o straordinaria di diritto civile, e uno dei libri letti “ordinarie” o “extraor- dinarie” sarebbe stato da commentare integralmente ogni anno 26 . Cosa significa? Dagli studi condotti sull’Università di Padova da Annalisa Belloni emerge con chiarezza che le letture ordinarie venivano general- mente tenute “de mane”, mentre quelle straordinarie avevano luogo “de sero”; l’orario tuttavia non era in relazione diretta con l’importanza del- l’insegnamento, né alcuna parte fondamentale del Corpus iuris civilis e del Corpus iuris canonici veniva letta rigidamente in orari specifici. Inoltre, a Padova come a Bologna – e, come vediamo ora, anche a Vercelli – l’insegnamento del diritto era organizzato in modo tale che le sezioni assegnate ai lettori ordinari e straordinari venissero commentate integralmente, introducendo una programmazione annuale che permet- tesse agli studenti di frequentare con progressione i diversi corsi 27 .

25 Il passo citato nel titolo di questo capitolo appartiene al carme in versi trocaici (vv. 65-66), dove si trovano richiami allo Studio di Vercelli, edito in M. L. C OLKER , Several Mediaeval Latin Poems Unrecorded in Hans Walther , in «Classica et Mediaevalia. Revue danoise de philologie et d’histoire», 36 (1985), pp. 246-253, in particolare 242-245, riedi- to integralmente in M ERLO , L’Università di Vercelli nel medioevo cit., pp. 211-213. Per gli orari in cui si teneva la docenza sono interessanti i riferimenti dei vv. 77-80: “Hoc frua- mur bino pane, / Quidam sero quidam mane. / Hos habemus quavis hora / Sine nisu sine mora”. 26 “Et hec pro lectura librorum legalium fienda ordinarie vel extraordinarie secun- dum quod placuerit Comuni et habitantibus civitatis Vercellensis, quam facere debet prefatus dominus Salve doctor in dicta civitate Vercellensi, omnibus scolaribus erudire volentibus a predicto domino Salvi, et unum ex ipsis libris legalium ordinarie vel extraordinarie omni anno finire”: V ALLAURI , Storia delle Università degli Studi del Piemonte cit., I, pp. 229-230. 27 A. B ELLONI , Professori giuristi a Padova nel secolo XV. Profili bio-bibliografici e cattedre , Frankfurt a. Main 1986 (Ius Commune. Sonderhefte. Schriften zur Europäischen Rechtsgeschichte, 28), in particolare pp. 63-87. Le modalità attraverso le

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Università e sapientes iuris a Vercelli nel Trecento

Per lo stesso anno accademico, e con il medesimo salario, venne con- tattato a Modena il Decretorum doctor Pietro di Rainalduccio da Perugia per leggere le Decretali a Vercelli, con un contratto della dura- ta di cinque anni: anche qui si fa riferimeno alla lettura completa del testo ogni anno 28 . Dalle recollectae padovane di diritto canonico sap- piamo che, almeno nel Quattrocento, alle Decretali di Gregorio IX veni- vano dedicati più anni di insegnamento, per cui probabilmente nel con- tratto di Pietro di Rainalduccio si intendeva il completamento di una parte di questo testo, forse il commento integrale di uno dei cinque libri ogni anno. Pietro da Perugia accettò certamente la condotta vercellese, se, il 17 luglio 1340, esaminò, insieme al iuris utriusque peritus Ottone Lavezio, una vertenza dei frati Umiliati di San Cristoforo 29 . Il 20 set- tembre dello stesso anno al vicario generale vescovile Salvo Marano fu presentato un consilium del giurista Pietro di Rainalduccio su una causa riguardante la pieve di Robbio 30 ; un altro consilium del canonista peru- gino, “assessor curie episcopalis Vercellensis”, venne richiesto dal vica- rio vescovile Marano nell’esame di un caso di eterodossia 31 . Il 29 marzo

quali venivano impartiti gli insegnamenti giuridici sono state ricostruite, oltre che attra- verso lo studio delle fonti statutarie, soprattutto con l’analisi delle recollectae e dei con- silia trasmessi nei codici studenteschi: a questo proposito si veda E AD ., Iohannes Heller e i suoi libri di testo: uno studente tedesco a Padova nel Quattrocento tra insegnamen- to giuridico ufficiale e «Natio Theutonica» , in «Quaderni per la storia dell’Università di Padova», 20 (1987), pp. 51-95. 28 “[…] dictus dominus Petrus doctor prefatus debet legere in civitate Vercelensi hinc ad prefatos quinque annos omnibus scolaribus dictas decretales audire volentibus ab ipso domino Petro et ipsas decretales omni anno finire. […] Et ibi stare et habitare et legere decretalles et glossas spectantes et pertinentes ad dictas decretalles secundum consuetudinem doctorum legentium predictas decretalles omnibus scolaribus audire volentibus ab ipso domino Petro hinc ad dictos quinque annos omnibus diebus quibus ordinabunt per universitatem dictorum scolarium dicte civitatis predictas decretalles audientium a predicto domino Petro et omni anno dictorum quinque annorum incipere dictas decretalles et glossas et quolibet anno dictorum quinque annorum cum glossis finire”: V ICINI , Pietro di Rainalduccio da Perugia cit., pp. 373-374. 29 E. B AGGIOLINI , Lo Studio generale di Vercelli nel Medio Evo , Vercelli 1888 (rist. anast. Bologna 1976. Athenaeum, 39), pp. 110-111; V. M ANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo , III, Vercelli 1858, p. 38. 30 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXXIX (1344-1345): la notizia è all’in- terno di uno strumento, riguardante la stessa causa, datato 26 luglio 1345. 31 Biblioteca Capitolare di Vercelli, ms. 19 ( Codice cartaceo. Sec. XIV-XV ), ff. 30v- 31r (numerazione moderna); l’atto è trasmesso privo di data.

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1342 Pietro di Rainalduccio era certamente a Roma, avvocato della Curia, la quale, dietro versamento di quaranta fiorini d’oro, liberò il Comune di Vercelli “de omnibus salariis sibi debitis seu promissis per Comune Vercellarum et non solutis” 32 . Corsi ordinari e straordinari vennero previsti negli statuti del 1341, nei quali si dispose che dovessero insegnare due dottori ordinari in dirit- to civile, assegnati alla lettura del Codex e del Digestum vetus , e un terzo docente, che avrebbe dovuto leggere “extraordinarie” il Digestum novum e l’ Infortiatum ; un quarto incarico, sempre pomeridiano, venne dedicato al Volumen 33 . Per quanto riguarda il diritto canonico, furono previsti due professori “unus quorum legat Decretales, alter Decretum” 34 . Lo statuto vercellese prevedeva quindi, per l’ordinaria di diritto civile, l’adozione del sistema della concorrenza tra i professori per garantire agli studenti una maggiore qualità della didattica universi- taria e la libertà di scelta del proprio insegnante 35 . Tra questi docenti vi fu Signorolo degli Omodei, che in alcuni suoi consilia dichiarò di avere insegnato diritto civile a Vercelli nell’anno 1340. Formato alla scuola giuridica bolognese, fu uomo vicino ai Visconti, schierandosi a sostegno della loro plenitudo potestatis ; tra il 1330 e il 1362 fece parte del Collegium Iurisconsultorum di Milano, e,

32 MANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., III, p. 39. 33 “[…] quod sint et esse debeant ad salarium dicte civitatis in ipsa civitate qui con- tinue in eadem civitate legant in ipsis scientiis duo doctores ordinarii in legibus et qui legant ordinarie et unus tertius qui legat extraordinarie in legibus scilicet Digestum novum et Infortiatum et quartus qui legat Volumen. Et in iure canonico duo, unus quo- rum legat Decretales et alter Decretum […]”: Hec sunt statuta cit., c. LXIr-v; cfr. anche MONGIANO , L’insegnamento del diritto a Vercelli tra XIII e XIV secolo cit., pp. 100-101. 34 Hec sunt statuta cit., c. LXIr. 35 La concorrenza tra professori, quando la presenza di più docenti la rendevano attuabile, era un sistema adottato negli Studia maggiori, come quello di Padova e di Pavia: per l’università veneta cfr. B ELLONI , Professori giuristi cit., pp. 63-104; D. GIRGENSOHN , Per la storia dell’insegnamento giuridico nel Quattrocento: risultati rag- giunti e ricerche auspicabili , in «Quaderni per la storia dell’Università di Padova», 22- 23 (1989-1990), pp. 312-316; per lo Studium di Pavia cfr. A. S OTTILI , «Aemulatio»: la concorrenza tra i professori all’Università di Pavia nel Quattrocento , in «Parlar l’idio- ma soave». Studi di filologia, letteratura e storia della lingua offerti a Gianni A. Papini , a cura di M. M. P EDRONI , Novara 2003, pp. 107-119. Anche a Torino si cercò di garan- tire il sistema della concorrenza tra i docenti degli insegnamenti civilistici e canonisti- ci: R OSSO ,“Rotulus legere debentium” cit., pp. 80-128.

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Università e sapientes iuris a Vercelli nel Trecento

nel 1351, venne designato da Giovanni Visconti a collaborare alla reda- zione degli statuti di Milano. Signorolo fu certamente docente a Padova e a Pavia, dove è documentato nel 1365 alla lettura del Digestum vetus , reggendo cioè la lettura fondamentale “de mane” di diritto civile; in seguito, probabilmente per tenervi un insegnamento, tornò a Vercelli, dove morì il 13 giugno 1371 36 . Nella biografia del giurista Riccardo di Pietro da Saliceto composta dal Panciroli, si ipotizza che anche questo giurista sia stato maestro a Vercelli tra il 1354 e il 1362 37 : a Pavia, se possiamo prestare fede alla testimonianza trasmessa nel De republica dell’umanista Uberto

36 A. L ATTES , Due giureconsulti milanesi, Signorolo e Signorino degli Omodei , in «Rendiconti dell’Istituto lombardo di Scienze e Lettere», s. II, 32 (1899), pp. 1017- 1045, in particolare pp. 1017-1021, cui si aggiunga T H. D IPLOVATATII Liber de claris iurisconsultis , Pars posterior, in «Studia Gratiana», 10 (1968), pp. 267-268; E. B ESTA , La scuola giuridica pavese nel primo secolo dopo la istituzione dello Studio generale , in Contributi alla storia dell’Università di Pavia, pubblicati nell’XI centenario dell’Ateneo , Pavia 1925, pp. 268-269; G. B ISCARO , Le relazioni dei Visconti di Milano con la Chiesa. L’arcivescovo Giovanni, Clemente VI e Innocenzo VI , in «Archivio sto- rico lombardo», s. VI, 54 (1927) pp. 44-95, in particolare p. 81; G. B ARNI , La forma- zione interna dello Stato visconteo , ivi , s. VII, 68 (1941), pp. 3-66, in particolare p. 54; E. R ESTI , Documenti per la storia della repubblica ambrosiana , ivi , s. VIII, 81-82 (1954-1955), pp. 192-266, in particolare p. 265; M. S BRICCOLI , L’interpretazione dello statuto. Contributo allo studio della funzione dei giuristi nell’età comunale , Milano 1969, pp. 34, 110, 255-259; D OLEZALEK , Verzeichnis der Handschriften zum römischen Recht bis 1600 cit., III, s. v.; F. M ARTINO , Dottrine di giuristi e realtà cittadine nell’Italia del Trecento. Ranieri Arsendi a Pisa e a Padova , Catania 1984, pp. 103, 111, 128; A. BELLONI , Signorolo degli Omodei e le origini della scuola giuridica pavese in «Bollettino della Società Pavese di Storia Patria», n. s., 37 (1985), pp. 29-39; M. CAVINA , Inquietudini filoimperiali di Signorolo degli Omodei , in «Clio», 28 (1992), pp. 89-101; J. B LACK , The Visconti in the Fourteenth Century and the Origins of their “Plenitudo Potestatis” , in Poteri signorili e feudali nelle campagne dell’Italia setten- trionale fra Tre e Quattrocento: fondamenti di legittimità e forme di esercizio . Atti del Convegno di studi (Milano, 11-12 aprile 2003), a cura di F. C ENGARLE - G. C HITTOLINI - G. M. V ARANINI , Firenze 2005, pp. 11-30, in particolare pp. 19-20, 28-29. Per la sua docenza pavese cfr. R. M AIOCCHI , Codice diplomatico dell’Università di Pavia , I, (1361-1400) , Pavia 1905 (rist. anast. Bologna 1971), p. 459 s. v. Omodei Signorino . 37 PANCIROLI , De claris legum interpretibus libri quatuor cit., II, p. 214 (“[…] Vercellis etiam aliquandiu docuisse fertur”); cfr. anche M. B ELLOMO , Una famiglia di giuristi: i Saliceto di Bologna , in I D., Medioevo edito e inedito , III, Profili di giuristi, Roma 1997, pp. 63-92, in particolare pp. 67-79, già pubblicato in «Studi senesi», s. III, 18 (1969), pp. 387-417; I D., Per un profilo della personalità scientifica di Riccardo di Saliceto , in I D., Medioevo edito e inedito cit., III, pp. 95-128, già pubblicato in Studi in onore di Edoardo Volterra , V, Milano 1972, pp. 251-284.

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Decembrio, Riccardo da Saliceto fu in compagnia di Signorolo degli Omodei, formando con quest’ultimo il primo gruppo di docenti in atti- vità nello Studio ticinense 38 .

3. I sapientes iuris nelle istituzioni laiche ed ecclesiastiche vercellesi

Dalla metà del Duecento notiamo nella città di Vercelli una presenza particolarmente numerosa di professionisti del diritto. Nelle città prive di Studium la vasta galassia dei sapientes iuris – composta da doctores legum , iudices e iuris periti , tutti accomunati da una più o meno approfondita cultura giuridica – non sembrò esprimere particolari capa- cità di incisione nella vita politica né imprimere determinanti elementi di distinzione sociale, mentre in civitates dotate di università, e il caso esemplare è ancora una volta Bologna, l’affermazione dei doctores legum rispetto alle altre categorie di esperti del diritto è evidente 39 . Un tentativo di studiare la natura del rapporto tra giuristi e potere politico nel caso di Vercelli può essere condotto attraverso l’analisi dei cursus honorum di alcuni uomini di formazione giuridica. Alla fine del XII secolo con la locuzione doctor legum si intendeva il pratico del diritto all’apice della carriera, dotato di una solida forma- zione retorico-giuridica 40 . Il titolo poteva coincidere, ma non necessa- riamente, con la docenza: i doctores in diritto civile o in diritto canoni- co che troviamo documentati a Vercelli tra la metà del Duecento e la fine del Trecento non devono quindi essere direttamente posti in relazione con l’insegnamento universitario, connessione possibile invece, a que- sta altezza cronologica, per coloro che vengono presentati con la quali-

38 BELLONI , Signorolo degli Omodei cit., pp. 34-35. 39 Una recente analisi orientata in questo senso è il saggio di S. M ENZINGER , Giuristi e politica nei comuni di Popolo. Siena, Perugia e Bologna, tre governi a confronto , Roma 2006 (Ius Nostrum, 34), con bibliografia pregressa. 40 Non possono quindi essere assimilati ai moderni giuristi: C. G. M OR , Legis doc- tor , in Atti del Convegno internazionale di studi Accursiani (Bologna 21-26 ottobre 1963) , a cura di G. R OSSI , I, Milano 1968, pp. 193-168; E. C ORTESE , Legisti, canonisti e feudisti: la formazione di un ceto medievale , in Università e società nei secoli XII-XVI cit., pp. 195-281; I D., Intorno agli antichi iudices toscani e i caratteri di un ceto medie- vale , in I D., Scritti , a cura di I. B IROCCHI - U. P ETRONIO , I, Spoleto 1999, pp. 747-782, già pubblicato in Scritti in memoria di Domenico Barillaro , Milano 1982, pp. 3-38; J. FRIED , Vermögensbildung der Bologneser Juristen im 12. und 13. Jahrhundert , in

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Università e sapientes iuris a Vercelli nel Trecento

fica di professor iuris civilis o canonici , legum professor , utriusque iuris professor 41 . Più generico è il titolo di iuris peritus , che indicava un per- corso di formazione nella scienza giuridica non realizzato nelle aule dello Studium , o una parziale preparazione nel diritto a livello universi- tario, la cui completezza era certificata dalla licentia ubique docendi . La formazione del ‘giurista’ a partire dal XII secolo era comunque di grado elevato: questi conosceva e dominava il Corpus iuris civilis e i testi nor- mativi ufficiali della Chiesa, ed era in grado di interpretarli 42 . Le attestazioni più frequenti di questi sapientes iuris sono nell’eserci- zio della giudicatura. Non conosciamo con chiarezza le competenze giu- ridiche richieste in Vercelli al giudice, probabilmente avvicinabili a quan- to fissato a Bologna, dove, tra il 1226 e il 1234, la norma stabiliva che per essere iudex si dovesse frequentare una scuola giuridica per almeno cin- que anni, mentre non era previsto che la sua nomina fosse subordinata al compimento di un corso di studi concluso con un titolo specifico 43 . Come

Università e società nei secoli XII-XVI cit., pp. 27-59; M. B ELLOMO , Una nuova figura di intellettuale. Il giurista , in Il secolo XI. Una svolta? Atti della XXXII settimana di studio, Trento, 10-14 settembre 1990, a cura di C. V IOLANTE - J. F RIED , Bologna 1993, pp. 237-256; R. F EENSTRA , ‘Legum doctor’, ‘legum professor’ et ‘magister’ comme ter- mes pour désigner des juristes au moyen âge , in Actes du colloque Terminologie de la vie intellectuelle au moyen âge (Leyden-La Haye 20-21 septembre 1985), éd. O. WEIJERS , Turnhout 1988 (Comité internationale du vocabulaire des institutions et de la communication intellectuelles au Moyen Âge. Études sur le vocabulaire intellectuel du Moyen Âge, I), pp. 72-77; M. T EEUWEN , The Vocabulary of Intellectual Life in the Middle Ages , Turnhout 2003 (Comité internationale du vocabulaire des institutions et de la communication intellectuelles au Moyen Âge. Études sur le vocabulaire intellectuel du Moyen Âge, X), pp. 76-78. 41 Nel corso del Quattrocento il termine professor sembra essere sempre più impie- gato in area italiana per indicare una conoscenza della disciplina realizzata attraverso gli studi universitari, atta a legittimare eventualmente l’esercizio della professione, e non una attività di docenza, cui erano abilitati solo i possessori della licentia ubique docen- di : a questo proposito cfr. S OTTILI , “Aemulatio” cit., p. 109; per un esempio vercellese si può citare il legum professor Lanzelotus de Bonsignoribus de Laude “vicarius domi- ni potestatis Vercellarum”: Archivio Capitolare di Vercelli, cartella LVI (1427 novembre 27). Oltralpe il termine professor mantenne un significato simile a quello moderno: O. WEIJERS , Terminologie des universités au XIII e siècle , Roma 1987 (Lessico intellettuale europeo, 39), pp. 152-155; T EEUWEN , The Vocabulary of Intellectual Life in the Middle Ages cit., pp. 116-117. 42 Nello specifico cfr. B ELLOMO , Una nuova figura di intellettuale cit ., pp. 237-256. 43 G. F ASOLI - G. B. P IGHI , Il privilegio teodosiano , in G. F ASOLI , Scritti di storia medievale , a cura di F. B OCCHI - A. C ARILE - A. I. P INI , Bologna 1974, pp. 583-608, già

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vedremo, nella riforma del 1341 agli statuti della città di Vercelli si fissa- va a cinque il numero di anni di studi giuridici richiesti a chi doveva rico- prire l’incarico di giudice e console di giustizia. Ancora nella Vercelli della seconda metà del Duecento troviamo iudices e consoli di giustizia perlopiù senza alcuna esplicita attestazione di studi del diritto. Tra questi Federico de Cremona , documentato nella giudicatura tra il 1220 e il 1257 44 e molto attivo nelle istituzioni comunali come console di giustizia (1213-1215), credenziario (1217) e ambasciatore e procuratore per il comune in delicati incarichi, tra cui la negoziazione delle condizioni di pace con Ivrea nel 1231 45 . Un interessante caso di iudex dotato di buona cultura giuridica è quello di Giuliano da Cremona. Questi, insieme a Uberto de Boverio , fornì, nel dicembre 1263, un consilium al giudice Giacomo de Scoto sulla causa che divideva l’abbazia di S. Andrea dal comune di Vercelli, il quale pretendeva di esercitare diritti sui beni dell’abbazia nei territori di Alice, Caresana e altre località 46 ; nel 1281 fu arbitro nella lite tra i

pubblicato in «Studi e Memorie per la storia dell’Università di Bologna», n. s., 2 (1961), pp. 55-94; G. F ASOLI , Giuristi, giudici e notai nell’ordinamento comunale e nella vita citta- dina , in E AD ., Scritti di storia medievale cit., pp. 609-622, già publicato in Atti del Convegno internazionale di studi Accursiani cit., pp. 27-39; E AD ., Rapporti tra le città e gli “Studia” , in Università e società nei secoli XII-XVI cit., pp. 1-21, in particolare pp. 10-12. 44 G. F ERRARIS , Università, scuole, maestri e studenti a Vercelli nel secolo XIII. Spigolature in margine a un (non più) recente volume , in «Bollettino storico vercelle- se», 26 (1997), pp. 47-70, in particolare p. 58. In questi documenti Federico de Cremona compare insieme ad altri iudices , anch’essi privi di titolazioni indicanti un chiaro per- corso scolastico: Giacomo Scutarius , Buongiovanni de Sancto Bernardo , Ambrogio Cocorella , Giacomo Picalua : ivi , p. 58; si veda anche l’arbitrato di Federico de Cremona del 1254, nella questione sorta in seguito all’eredità di Giovanni de Rado : Archivio di Stato di Vercelli, Archivio dell’Ospedale Maggiore di S. Andrea di Vercelli, mz. 1813, n. 481 (1254 agosto 22). Una successiva attestazione di Federico de Cremona - come semplice teste, privo di titoli - è del 1261, in uno strumento di transazione tra il capitolo di S. Eusebio di Vercelli e il comune di Caresana: Archivio Capitolare di Vercelli, Sentenze, cartella XI (1259-1262), fasc. 8 (1261 dicembre 31). 45 Per il suo cursus honorum si vedano i dati raccolti in R. R AO , La circolazione degli ufficiali nei comuni dell’Italia nord-occidentale durante le dominazioni angioine del Trecento. Una prima messa a punto , in Gli Angiò nell’Italia nord-occidentale (1259- 1382) , a cura di R. C OMBA , Milano 2006, pp. 229-292, in particolare p. 271. 46 Archivio Capitolare di Vercelli, Pergamene, cartella XCV. Fu presente a una causa tra gli abitanti di Viverone e i monasteri di S. Genuario e di S. Andrea nel 1264: P. C ANCIAN , L’abbazia di S. Genuario di Lucedio e le sue pergamene , Torino 1975 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, CLXXXXIII), pp. 125-126, n. 20 (1264 giugno 5).

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signori di Crevacuore e il vescovo Aimone de Challant 47 . Il 5 marzo 1284 risulta “iudex Vercellensis” in un atto di acquisizione di terre da parte del magister Syon, doctor gramatice 48 , e l’anno seguente, il 26 ottobre, ebbe un ruolo nella pace sottoscritta tra gli schieramenti guelfi e ghibellini in Vercelli 49 . Il 5 maggio 1295 gli venne affidato l’incarico di avvocato, accanto a Leonardo Oriolo, nell’arbitrato sulla controver- sia tra il capitolo di S. Eusebio e l’abbazia di S. Andrea in merito alla nomina del rettore di S. Giovanni di Viverone; analogo ruolo svolse nel 1296, insieme a Antonio de Ponte , sempre in una controversia che vede- va coinvolta l’abbazia di S. Andrea 50 , e nel 1297, quando fu ancora giu- dice, insieme a Giacomo de Ripis 51 . Il 20 febbraio 1301, “apud capellam sancti Theodoli” in Biella, il vescovo Aimone de Challant affidò all’ar- ciprete vercellese Nicola e a Giuliano da Cremona, giudice delegato dal

47 I Biscioni , II/2, a cura di R. O RDANO , Torino 1976 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, CLXXXIX), pp. 202-204, n. CCCLXXX (1281 maggio 27). Nello stesso anno è arbitro per il monastero di S. Maria di Rocca delle Donne: F. L ODDO , Le carte del monastero di Rocca delle Donne , Torino 1929 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, LXXXIX), p. 243, n. CXCVIII (1281 marzo 13). 48 G. C OLOMBO , Il testamento di maestro Syon, dottore in grammatica, Vercellese , in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», 1 (1896), pp. 41-57, in particolare p. 54. Il 18 settembre 1287 è giudice in una causa riguardante il capitolo di S. Stefano di Biella: L. B ORELLO - A. T ALLONE , Le carte dell’Archivio comunale di Biella fino al 1379 , III, Voghera 1930 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, CV), pp. 61-62, n. L; il primo aprile 1289 fornì un consilium al vescovo Aimone: ivi , I, pp. 229-232, n. CXLI. Il 16 aprile 1290 Giuliano da Cremona fu tra i testes all’atto di unione, disposto dal vescovo di Vercelli Aimone de Challant, dell’ospedale della Carità a quello di S. Andrea: Archivio di Stato di Vercelli, Archivio dell’Ospedale Maggiore di S. Andrea di Vercelli, Pergamene, n. 819. Nel 1292 fu tra i “fidecomissarii” nominati da Guala de Guidalardis , diacono della chiesa di S. Eusebio di Vercelli, nel suo testamento: G. C OLOMBO , I Necrologi Eusebiani , in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», 4 (1899), pp. 349- 364, in particolare p. 359, n. 635. 49 MANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., IV, Vercelli 1861, pp. 98, 101. 50 Archivio di Stato di Vercelli, Archivio dell’Ospedale Maggiore di S. Andrea di Vercelli, mz. 4 (1296 gennaio 7). Altre segnalazioni archivistiche riguardanti Giuliano da Cremona si leggono in D. A RNOLDI , Le carte dello Archivio Arcivescovile di Vercelli , Pinerolo 1917 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, LXXXV/2), pp. 335-336, n. LXXVIII (1288 aprile 15); pp. 339-341, n. LXXXI (1294 agosto 31); G. T IBALDESCHI , La biblioteca di S. Andrea di Vercelli nel 1467 , in «Bollettino storico vercellese», 17 (1988), pp. 61-106, in particolare p. 82, nota 9. 51 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 4 (1297 agosto 15), edito in C ANCIAN , L’abbazia di S. Genuario di Lucedio cit., pp. 141- 142, n. 31.

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vescovo, il giudizio sulla vertenza a riguardo delle chiericature vacanti per la morte di Bertolino e Gaspardo Spaldo 52 . Il 4 gennaio 1302, come “iudex Vercellensis”, fu tra i testes nell’atto con il quale i comuni di Vercelli e di Ivrea intervennero nella controversia sulle terre di Piverone e di Palazzo 53 . Negli ultimi anni della sua vita entrò come religioso in S. Andrea, di cui risulta essere canonico il 17 luglio 1304 54 . Nel suo testamento del 1302, Giuliano da Cremona dispose il lascito di alcuni suoi libri a diverse istituzioni ecclesiastiche cittadi- ne 55 . Ai frati minori insediati in S. Matteo legò un codice delle Decretales ; ai Carmelitani di S. Maria del Carmine lasciò la seconda parte dell’ Infortiatum , comunemente detta Tres partes (Dig. 35.2.82- 38.17). A favore dei frati Eremitani il giurista legò “tres libri Codicis”, cioè gli ultimi tre libri del Codice (libri X-XII), oggetto di un insegnamento detto appunto Lectura Trium librorum : questa

52 La vertenza era tra Pietro da Buronzo, anche a nome dei consorti di Buronzo e di Rosasco, per i chierici Giacomo da Buronzo e Bongiovanni da Grisopolo di Asigliano da una parte, e i chierici Giorgio fu Alberto Cattaneo di Sillavengo e Giovanni Bellerato da Biandrate dall’altra, e Matteo Scazzoso da Biandrate per la terza parte; il giudizio sulla vertenza venne affidato dal vescovo Aimone all’arciprete Nicola e a Giuliano da Cremona in considerazione dei diritti di patronato dei Buronzo sui benefici clericali eretti nella chiesa di S. Giorgio di Vicolungo: G. F ERRARIS , La pieve di S. Maria di Biandrate , Vercelli 1984, pp. 444-445. Sul giudice Giuliano da Cremona si vedano anche gli strumenti di acquisizione di beni immobili del 5 marzo e 10 aprile 1290: Archivio di Stato di Vercelli, Archivio dell’Ospedale Maggiore di S. Andrea di Vercelli, mz. 1822, nn. 817, 807; è citato in un atto - conservato frammentario, la cui sezione mancante comprendeva la data - come iudex insieme a Antonio de Petite : Archivio di Stato di Vercelli, Corporazioni religiose, Domenicani di S. Paolo, Pergamene, mz. 229, perg. 34. Sempre con la qualifica di iudex è teste all’atto di fondazione di una cappella dedicata alla Vergine e a S. Nicola nella chiesa di S. Maria a Vercelli: Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XX (1286-1287) (1286 agosto 16); altre ulteriori giudi- cature sono del 1289: Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 4 (1289 gennaio 21); L ODDO , Le carte del monastero di Rocca delle Donne cit., pp. 261-265, nn. CCXX-CCXXI (1289 agosto 2; ottobre 1); è ancora iudex nel 1293: ivi , pp. 269-270, n. CCXXVI (1293 gennaio 27). 53 G. C OLOMBO , Documenti dell’Archivio comunale di Vercelli relativi ad Ivrea , Pinerolo 1901 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, VIII), pp. 290-294, n. CLXIX. 54 MANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., II, Vercelli 1858, pp. 380- 381. 55 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 5 (1302 dicembre 23).

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sezione del Codex , di cui si riprese l’approfondimento scientifico a partire dal secolo XII 56 , faceva parte del gruppo di testi che costitui- vano la terza parte del Corpus iuris civilis , chiamata Volumen , insie- me, tra altri, alla collezione di Novellae nota come Authenticum , testo che Giuliano da Cremona possedeva e che legò ai frati predicatori del convento di S. Paolo. Accanto ai conventi degli ordini mendicanti di Vercelli, a favore dell’abbazia di S. Andrea il giurista dispose, oltre a diversi legati, anche il lascito di altri suoi codici (“Idem instituit dic- tum monasterium in sua Summa Gofredi 57 et in libro Sermonum et in libro Epistularum Pauli, Petri et Jacobi et Apochalipsi et in Salterio continuo”), mentre “libri sui iuris canonici et civilis” sarebbero anda- ti, insieme ai due terzi dei suoi beni, ai pauperes cittadini. La preparazione giuridica posseduta da iudices quali Giuliano da Cremona sembra elevata se consideriamo i fondi librari posseduti 58 . In

56 E. C ONTE , Tres libri Codicis. La ricomparsa del testo e l’esegesi scolastica prima di Accursio , Frankfurt a. Main 1990 (Ius Commune. Sonderhefte, 46). 57 GOFFREDO DA TRANI , Summa super titulis Decretalium : J. F. VON SCHULTE , Die Geschichte der Quellen und Literatur des canonischen Rechts , I, Von Gratian bis auf Papst Gregor IX , tomo II, Die Geschichte der Quellen und Literatur des Canonischen Rechts von Gregor IX. bis auf das Concil von Trient (1234-1563) , Graz 1956 2, pp. 89- 91; S. K UTTNER , Der Kardinalat des Gottfried von Trani , in «Studia et documenta histo- riae et juris», 6 (1940), pp. 124-131; R. N AZ , Geoffroy de Trani ou de Trano , in Dictionnaire de droit canonique , V, Paris 1953, col. 952; A. P ARAVICINI BAGLIANI , Cardinali di Curia e ‘familiae’ cardinalizie dal 1227 al 1254 , I, Padova 1972 (Italia Sacra. Studi e documenti di storia ecclesiastica, 18), pp. 273-278; M. B ERTRAM , Kanonistiche Quästionensammlungen von Bartholomäus Brixiensis bis Johannes Andreae , in Proceedings of the Seventh International Congress of Medieval Canon Law (Cambridge, 23-27 July 1984), ed. P. L INEHAN , Città del Vaticano 1988 (Monumenta Iuris Canonici, Series C: Subsidia, 8), pp. 265-281, in particolare pp. 268-269; I D., Goffredo da Trani , in Dizionario biografico degli Italiani , LVII, Roma 2001, pp. 545- 549; G. M URANO , Opere diffuse per ‘exemplar’ e pecia , Turnhout 2005 (Textes et Étu- des du Moyen Âge, 29), pp. 452-454, n. 399. Il codice, sebbene si tratti di un’opera molto diffusa, potrebbe essere quello registrato all’ item 5 dell’inventario dell’abbazia di S. Andrea del 1467 (“Item Summa magistri Gualfredi super Decretis [ sic ] que incipit ‘glosarium’ et finit ‘de consecratione ecclesie’), e nel successivo elenco di libri della biblioteca finito di stendere il 24 marzo 1600: T IBALDESCHI , La biblioteca di S. Andrea di Vercelli nel 1467 cit., p. 69; p. 94, nota 60; p. 104. 58 Per un parallelo con altre realtà comunali italiani cfr. T. P ESENTI MARANGON , Università, giudici e notai a Padova nei primi anni del dominio ezzeliniano (1237- 1241) , in «Quaderni per la storia dell’Università di Padova», 12 (1979), pp. 1-61; M. BELLOMO , Consulenze professionali e dottrine di professori. Un inedito “consilium

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assenza di una schedatura delle biblioteche private in area piemontese per i secoli tardomedievali, possiamo portare due esempi coevi prove- nienti da aree geografiche vicine a quella vercellese. Sono interessanti le acquisizioni di codici di diritto civile realizzate a Genova, in almeno due riprese, da Federico Zacarengo di Alba: il 22 ottobre 1240 questi acquistò da Simone Tornello un Codex completo, il Digestum vetus , il Digestum novum , l’ Authenticum , le Institutiones e le Tres partes 59 . Diciassette anni più tardi, Zacarengo integrò la sua biblioteca con altri due codici – uno di diritto canonico ( Decretum Gratiani ), l’altro di dirit- to civile (la Summa di Azzone) – comprati da Lanfranco Ususmaris 60 . Il 6 marzo 1252 Federico Zacarengo fu nel collegio dei cinque giudici che si espressero sulla sentenza emessa, il 13 aprile 1251, dagli arbitri sulla controversia tra il comune di Alba, l’abate del monastero di San Pietro di Breme e diversi cittadini albesi per beni in Pollenzo 61 ; il 23 febbraio 1260 fece parte del consiglio del comune di Alba, nominato nello stru-

domini Accursii” , in «Quaderni catanesi di studi classici e medievali», 4 (1982), pp. 199-219; F. M ARTINO , Giuristi di scuola e “pratici” di diritto a Reggio e a Padova. Il ms. Olomouc C.O.40 , ivi , 8 (1986), pp. 423-445. 59 A. F ERRETTO , Documenti intorno alle relazioni fra Alba e Genova (1141-1270) , Pinerolo 1906 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, XXIII), p. 135, n. CXXV: “Ego Symon Tornellus vendo, cedo et trado tibi Frederico Çacarengo de Alba libros legales infrascriptos, videlicet Codicem cum tribus libris Codicis in uno volumine, Digestum vetus et Digestum novum, Authenticum et Instituciones et Tres partes in uno volumine, istos duos ultimos finito precio librarum quadraginta ianuinorum […]”. Cfr. anche G. P ETTI BALBI , Il libro nella società genovese del secolo XIII , in «La Bibliofilia», 80 (1978), pp. 1-44, in particolare p. 40, n. 34. 60 FERRETTO , Documenti intorno alle relazioni fra Alba e Genova cit., p. 218, n. CCLII (1257 febbraio 13): “Ego Fredericus Çacarengus de Alba confiteor me emisse et recepisse a te Lanfranco Ususmaris librum Decretorum et Summam Açonis renuncians exceptioni non acceptorum et non traditorum librorum et omni iuri pro quibus finito pre- cio tibi vel tuo certo misso dare et solvere promitto libras vigintitres ad kalendas madii proximi […]”. Sulla Summa Codicis e sulla Summa Institutionum di Azzone cfr. SAVIGNY , Geschichte des römischen Rechts im Mittelalter cit., V, pp. 27-38; D OLEZALEK , Verzeichnis der Handschriften zum römischen Recht bis 1600 cit., III, s. v.; su Azzone cfr. P. F IORELLI , Azzone , in Dizionario biografico degli Italiani , IV, Roma 1962, pp. 774- 781; H. L ANGE , Römisches Recht im Mittelalter , I, Die Glossatoren , München 1997, pp. 255-271; G. D OLEZALEK , Repertorium manuscriptorum veterum Codicis Iustiniani , unter Mitarb. v. L. M AYALI , I, Frankfurt a. Main (Ius Commune. Sonderhefte, 23. Repertorien zur Frühzeit der gelehrten Rechte), pp. 499-507. 61 F. G ABOTTO , Appendice documentaria al Regestum Comunis Albe , Pinerolo 1912 (Biblioteca della Società Storia Subalpina, XXII), pp. 165-167, n. CXXIV.

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mento di ratifica della dedizione dello stesso a Carlo d’Angiò, e con questo incarico è ancora attestato il 4 dicembre 1261 62 . Due codici di diritto civile – un Digestum vetus pergamenaceo (“in cartis caprinis scriptum”) e le Institutiones – furono invece venduti, l’8 marzo 1281, da Aiguineta, vedova di Ansaldo Medicus , iudex , a Bernardo di Valenza, domicellus del podestà di Genova Michele de Salvaticis , anch’egli di Valenza 63 . Questo strumento notarile illumina il significativo momento del passaggio dei “ferri del mestiere” tra due mondi contigui del sapere giuridico professionalmente orientato, l’area della giudicatura e la pratica podestarile – quest’ultima sempre più eser- citata da doctores legum , giudici e pratici del diritto – definendo in modo forte la relazione tra formazione scolastica di medio-alto livello e l’esercizio di funzioni pubbliche, mostrando nel contempo la connes- sione tra pratica di governo e legalis sapientia 64 . Anche a Vercelli, sin

62 GABOTTO , Appendice documentaria cit., pp. 188-191, n. CXXXVI; pp. 193-194, n. CXXXVIII. Sue presenze come teste a strumenti rogati ad Alba si registrano il 15 ottobre 1262 ( ivi , pp. 194-197, n. CXXXIX), il 16 luglio 1263 ( ivi , pp. 197-201, n. CXL), il primo luglio 1270 ( ivi , pp. 205-209, n. CXLIV). Il 17 luglio 1264 la vedova di Simone Vento cedette a Federico Zacarengo, a soddisfazione di un debito contratto da suo figlio, un credito dei suoi figli minori verso i marchesi di Ceva: F ERRETTO , Documenti intorno alle relazioni fra Alba e Genova cit., pp. 261-261, n. CCCX. 63 G. G ORRINI , Documenti sulle relazioni fra Voghera e Genova (960-1325) , Pinerolo 1908 (Biblioteca della Società Storia Subalpina, XLVIII), p. 249, n. CCCLXXX: “[…] Ego Aiguineta, uxor quondam Ansaldi Medici iudicis, vendo, cedo et trado tibi Bernardo de Valentia, domicello domini potestatis Ianue, ementi et recipienti nomine et vice domini Michaelis de Salvaticis potestatis Ianue, librum unum vocatum Digestum vetus in cartis caprinis scriptum, quod fuit dicti quondam Ansaldi. Item librum unum vocatum Institutam, quod fuit dicti quondam Ansaldi, qui […] vendo, cedo et trado fini- to precio librarum decem ianuinorum […]”. 64 SBRICCOLI , L’interpretazione dello statuto cit., in particolare pp. 58-62; G. TABACCO , Gli intellettuali del medioevo nel giuoco delle istituzioni e delle preponde- ranze sociali , in Storia d’Italia , Annali , 4, Intellettuali e potere , a cura di C. V IVANTI , Torino 1981, pp. 7-46, in particolare cap. 4: I giuristi come intellettuali nella ristruttu- razione civile dei poteri nel basso medioevo italiano , pp. 38-46; E. C ORTESE , Scienza di giudici e scienza di professori tra XII e XIII secolo , in Legge, giudici, giuristi . Atti del Convegno (Cagliari, 18-21 maggio 1981), Milano 1982 (Università di Cagliari. Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza. Serie I, 26), pp. 93-148; M ENZIGER , Giuristi e politica nei comuni di popolo cit.; E AD ., Forme di implicazione politica dei giuristi nei governi comunali italiani del XIII secolo , in Pratiques sociales judiciaries dans les villes de l’Occident à la fin du Moyen Âge . Études réunis par J. C HIFFOLEAU - C. G AUVARD - A. Z ORZI , Roma 2007, pp. 191-241. Sul rapporto fra la “parola politica”

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dalla prima sperimentazione tentata nel 1177 dal milanese Ruggero Visconti, coadiuvato dal suo vicario, il giudice Alberto da Vimercate, troviamo esperti nel diritto avvicendarsi alla carica di podestà 65 . Nei decenni seguenti l’apertura dello Studium vercellese si infitti- scono le presenze di doctores legum e professores affiancati ai giudici nella formulazione di consilia in cause riguardanti il comune o enti ecclesiastici. Il fenomeno si colloca nella generale esplosione della let- teratura consiliare, di carattere sia privatistico che pubblicistico, che diede una centralità sulla scena politico-sociale al doctor , professionista in possesso del solo titolo da cui derivava il diritto esclusivo di pronun- ciare il consilium sapientis 66 . Esemplare è il caso del noto giurista

e l’affermarsi del sistema podestarile rinvio al quadro di riferimento tracciato in E. ARTIFONI , I podestà professionali e la fondazione retorica della politica comunale , in «Quaderni storici», n. s., 63 (1986), pp. 687-719; da ultimo si veda A. Z ORZI , Diritto e giustizia nelle città dell’Italia comunale (secoli XIII-XIV) , in Stadt und Recht im Mittelalter. La ville et le droit au Moyen Âge , hrsg. v. P. M ONNET - O. G. O EXLE , Göttingen 2003 (Veröffentlichungen des Max-Planck-Institut für Geschichte, 174), pp. 197-214. 65 P. G RILLO , Il comune di Vercelli nel secolo XII: dalle origini alla Lega Lombarda , in Vercelli nel secolo XII . Atti del quarto Congresso storico Vercellese (Vercelli, 18-20 ottobre 2002), Vercelli 2005, pp. 161-188, in particolare pp. 184-187. Sui podestà in area piemontese cfr. E. A RTIFONI , Itinerari di potere e configurazioni istituzionali a Vercelli nel secolo XIII , in Vercelli nel secolo XIII . Atti del primo Congresso Storico Vercellese (Vercelli, 2-3 ottobre 1982), Vercelli 1984, pp. 263-277; I D., I podestà itineranti e l’area comunale piemontese. Nota su uno scambio ineguale , in I podestà dell’Italia comunale , parte I, Reclutamento e circolazione degli ufficiali forestieri (fine XII sec. - metà XIV sec.) , a cura di J.-C. M AIRE VIGUEUR , Roma 2000 (Nuovi studi storici, 51 - Collection de l’École Française de Rome, 268), I, pp. 23-45. Per un elenco dei podestà vercellesi cfr. MANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., III, pp. 285-288; per questa magi- stratura si veda ora l’intervento di Paolo Grillo nel presente volume. 66 Tra la vasta bibliografia sulla letteratura consiliare cfr. M. A SCHERI , I consilia dei giuristi medievali. Per un repertorio - incipitario computerizzato , Siena 1982; D. QUAGLIONI , Giurisprudenza consiliare e dottrine giuridico-politiche , in Culture et idéo- logie dans la génèse de l’état moderne . Actes de la table ronde organisée par le Centre national de la recherche scientifique et l’École Française de Rome (Rome, 15-17 octo- bre 1984), éds. J.-C. M AIRE VIGEUR - C H. P IETRI , Roma 1985 (Collection de l’École Française de Rome, 82), pp. 419-432; ‘Consilia’ im späten Mittelalters. Zum histori- schen Aussagewert einer Quellengattung , hrsg. v. I. B AUMGARTNER , Sigmaringen 1995; Legal Consulting in the Civil Law Tradition , eds. M. A SCHERI - I. B AUMGARTNER - J. KIRSHNER , Berkeley 1999; ampia bibliografia in E. B RAMBILLA , Genealogie del sapere. Università, professioni giuridiche e nobiltà togata in Italia (XIII-XVII secolo). Con un saggio sull’arte della memoria , Milano 2005, pp. 44-47; cfr. anche ivi , pp. 83-86.

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Università e sapientes iuris a Vercelli nel Trecento

Uberto di Bonaccorso, iuris civilis professor , presente come “consilia- rius” e “assessor”, il 16 luglio 1240, in una controversia in materia di acque sorta all’interno del consortile degli Avogadro: Uberto, insieme al giudice Lanfranco Pectenatus , è affiancato ai due arbitri designati dalle parti, Guglielmo de Arborio e Carlo de Ugucione 67 . Alcuni anni più tardi il doctor legum Guido Scarsus venne incaricato di coadiuvare il giudi- ce vercellese Giovanni da Cremona in una causa riguardante il capitolo eusebiano 68 . Nelle città sedi universitarie l’attività di consulenza era solitamente garantita dagli stessi professori di diritto, e anche in Vercelli la presen- za dello Studium offrì alla città un gruppo di professionisti preparati. Uberto da Bobbio, durante la sua docenza vercellese, è documentato giudice assessore in un arbitrato 69 , e tale fu anche Omobono Morisio, “assessor tribunalis Vercellensis” 70 . Guglielmo de Ferrario , doctor legum , ebbe certamente l’incarico di professore di diritto nell’anno accademico 1239-1240 71 , ed è da registrare la sua presenza come “nun- cius et procurator comunis Vercellarum”, insieme ad Alberto de Bondonno , nella delegazione che si era recata a Padova nel 1228 per il trasporto degli studenti dalla città veneta a Vercelli 72 . Sono anche note

67 SOFFIETTI , L’insegnamento civilistico cit., pp. 231-234; pp. 237-239, n. 1. Per i doctores consulenti si veda C ORTESE , Legisti, canonisti e feudisti cit., pp. 195-281. 68 Archivio Capitolare di Vercelli, Sentenze, cartella XXI (1258 dicembre 3); cfr. anche F ERRARIS , Università, scuole, maestri e studenti cit., p. 63. 69 “Controversia est inter duos milites Vercellenses de quodam castro. Compromisserunt in arbitros et dominus Ubertus de Bobio fuit arbitrorum assessor […]: L. S ORRENTI , Tra scuole e prassi giudiziarie. Giuliano da Sesso e il suo «Libellus quae- stionum» , Roma 1999, p. 6, nota 14. 70 DOLEZALEK , Verzeichnis der Handschriften zum römischen Recht bis 1600 cit., III, s. v. Homobonus ; P. M ARANGON , Scuole e università a Padova dal 1221 al 1256 , in I D., «Ad cognitionem scientiae festinare» cit., pp. 47-54, in particolare p. 54, già pubblicato in «Quaderni per la storia dell’Università di Padova», 12 (1979), pp. 131-136. 71 Il 7 marzo 1240 il marchese Manfredo Lancia ordinava al podestà di Vercelli Giliolo Guiberto Lombardo di disporre il pagamento di cinquanta lire pavesi al giurista de Ferrario per il salario di un anno di docenza “secundum quod in predicta Credencia fuit statuitum”: V ALLAURI , Storia delle Università degli Studi del Piemonte cit., I, pp. 222-223, n. II; I Biscioni , I/3, a cura di R. O RDANO , Torino 1956 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, CLXXVIII), pp. 35-36, n. CCCCLXXXVII; A. B ERSANO , Le antiche scuole del comune di Vercelli , in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», 59 (1961), pp. 543-587, in particolare p. 545. 72 Carta Studii et Scolarium Commorancium in Studio Vercellarum cit., p. 22.

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le sue consulenze canonistiche e civilistiche prestate nel medesimo torno di anni, ancora documentate nel 1247, soprattutto in veste di giu- dice in cause relative a contenziosi di natura patrimoniale di una certa importanza, da cui emergono i forti contatti tra il giurista e i diversi rap- presentanti del capitolo eusebiano 73 . Il legame tra l’area di reclutamento locale dei professori dello Studio e la pratica della consulenza e della giudicatura è rappresentato dal doc- tor in Decretalibus et in Decreto Uberto de Boverio . Questi è documen- tato come iudex tra il 1258 e il 1269 in cause che riguardavano sia enti ecclesiastici, sia il comune di Vercelli. Proprio quest’ultimo, dovendo scegliere il professore di diritto canonico per lo Studium cittadino, si rivolse – con una scelta che, dalla documentazione in nostro possesso, sembra piuttosto inusuale – proprio a Uberto de Boverio , come illustra la cedola di pagamento degli stipendi di quattro docenti del 9 febbraio 1267, nella quale il giurista risulta “doctor in Decretalibus et in Decretis in Studio civitatis Vercellarum” 74 . Passando ai primi anni del Trecento, troviamo il civilista Giovanni de Carixio , legum professor , teste nel 1306 a un atto del vescovo di Vercelli riguardante l’abbazia di S. Andrea 75 , e, insieme a Guglielmo de Ripis , utriusque iuris professor , nominato arbitro in una vertenza tra l’ospedale di S. Andrea e l’abate di S. Stefano il 24 maggio 1308 76 . Nel 1310 Giovanni de Carixio risulta essere iuris utriusque professor 77 .

73 FERRARIS , Università, scuole, maestri e studenti cit., pp. 57-59; pp. 66-67, n. 1. 74 Per l’edizione delle quietanze di pagamento cfr. V ALLAURI , Storia delle Università degli Studi del Piemonte cit., I, pp. 224-226, n. IV. Sul de Boverio cfr. MANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., III, pp. 29-30; G. C OLOMBO , Vercellensia , in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», 1 (1896), pp. 98-109; L. BORELLO - A. T ALLONE , Le carte dell’Archivio comunale di Biella fino al 1379 , I, Voghera 1927 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, CIII), pp. 193-195, n. CXI (1269 maggio 8); S OFFIETTI , L’insegnamento civilistico cit., p. 234; I D., Lo “Studium” di Vercelli nel XIII secolo cit., p. 195; L’abbazia e l’ospedale di S. Andrea di Vercelli nel secolo XIII cit., p. 26, n. 54; F ERRARIS , Università, scuole, maestri e studenti cit., pp. 60-62; pp. 68-69, n. 2. 75 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 5 (1306 luglio 7). 76 MANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., III, p. 35. Su questi due giuri- sti cfr. infra , testo corrispondente alle note 210 e 216. 77 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 5 (1310 agosto 19).

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Università e sapientes iuris a Vercelli nel Trecento

Il comune di Vercelli – secondo una consuetudo verificabile in altre città universitarie – fece un uso pragmatico dei ‘prodotti’ dell’insegna- mento universitario, avviando i giuristi formati nello Studium al nota- riato, alla giudicatura e alla stessa docenza 78 . La possibilità di avere un qualificato centro di alta formazione nel diritto giustifica probabilmen- te il dettato della riforma statutaria del 1341, nella quale si stabilì che l’aspirante alla carica di giudice e console di giustizia dovesse avere una preparazione nel diritto di almeno cinque anni e che dovesse avere eser- citato l’avvocatura per altri tre; cinque anni di studio giuridico erano anche richiesti ai membri del collegio dei giudici 79 . Non viene specifi- cato in quali scuole avrebbero dovuto “audire leges” i futuri giudici e consoli di giustizia, tuttavia un periodo di studio di cinque anni era cer- tamente considerevole: lo stesso numero di anni di frequenza, da attua- re però presso uno Studium generale , era fissato come indispensabile per potere accedere all’esame di licenza di diritto civile o canonico, secondo le aggiunte del 1397 agli statuti dell’ universitas iuristarum dello Studio di Pavia 80 . Con il passaggio delle università all’interno di prospettive politico- territoriali più ampie il processo ebbe una ulteriore accelerazione, come

78 C. F ROVA , Processi formativi istituzionalizzati nelle società comunali e signorili italiane: una politica scolastica? , in Culture et idéologie dans la genèse de l’état moder- ne cit., pp. 117-131. Per un parallelo con l’analogo caso bolognese cfr. G. F ASOLI , Il notaio nella vita cittadina bolognese (secc. XII-XV) , in Notariato medievale bolognese , Roma 1977, pp. 121-142; E AD ., Giuristi, giudici e notai nell’ordinamento comunale cit., pp. 609-622; E AD ., Rapporti tra le città e gli “Studia” cit., pp. 8-21. 79 “Quod nullus possit esse iudex iustitie nec advocatus in civitate Vercellarum nec habere dona sive salarium a communi que dantur collegio iudicum nisi audiverit leges per quinque annos. Item statutum est quod nullus possit esse iudex iustitie nec habere dona sive salarium que dantur a communi singulis annis collegio iudicum Vercellarum nisi audiverit leges per quinque annos et advocaverit per tres annos post illos quinque annos. Nec aliquis possit esse de collegio iudicum Vercellarum nisi audiverit leges per quinque annos”: Hec sunt statuta cit., c. XLIXr. 80 “[…] Ita quod scolaris examinandus in iure civili vel iure canonico non recipiatur ad examen nisi studuerit per quinquennium in Studio generali. Et si fuerit licentiatus in iure civili et velit examinari in iure canonico nisi studuerit in iure canonico per trien- nium in Studio generali ut supra. Si autem fuerit licentiatus in iure canonico et velit exa- minari in iure civili, nisi studuerit per quatriennium ut supra, et alias non possit recipi ut supra continetur, sub pena suprascripta inferenda ipsi priori contrafacienti”: M AIOCCHI , Codice diplomatico dell’Università di Pavia cit., I, pp. 366-368, n. 613.

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è evidente nell’impiego da parte dei Visconti e, a uno stadio ben più consapevole ed efficace, degli Sforza, del corpo docente dello Studium di Pavia nelle magistrature, nella pratica di governo e negli uffici priva- ti della famiglia regnante 81 . Lo stretto rapporto tra una qualificata preparazione giuridica e la for- mazione delle classi dirigenti cittadine si evidenzia nei cursus honorum di alcuni membri di famiglie della piccola nobilità e feudalità rurale e urbana, come pure di famiglie cittadine dedite al commercio. Possiamo soffermarci sul caso rappresentato dai Centorio e dai Cagnoli, i quali si distinsero per il numero di esponenti risoluti e ambiziosi che, grazie agli studi nel diritto civile, approdarono a posizioni di rilievo negli organi amministrativi e giudiziari del Comune, talvolta optando per la profes- sione notarile o per la carriera ecclesiastica all’interno dei capitoli delle chiese vercellesi e in altre importanti sedi, come fece Ugone Cagnoli, che divenne vescovo di Torino nel 1231 82 . In origine mercanti di pellicce, poi dediti all’attività feneratizia, i Centorio furono i fondatori, e in seguito gli avvocati e i patroni, dell’ospi- zio di S. Silvestro dei Rantivi alla fine degli anni sessanta del secolo XII: questa istituzione divenne probabilmente il punto di forza determinante per la loro affermazione sociale, resa evidente dalla presenza di rappresentan- ti della famiglia nel consiglio di Credenza sin dal 1170 83 . I Centorio, uniti

81 Il fenomeno è studiato a fondo in N. C OVINI , «La balanza drita». Pratiche di governo, leggi e ordinamenti nel ducato sforzesco , Milano 2007; cfr. anche A. S OTTILI , Die Universität Pavia im Rhamen der Mailänder Außenpolitik. Der Italienaufenthalt von Johann I. von Kleve und Jean de Croy und andere Anekdoten über die Universität Pavia , in Miscellanea Domenico Maffei dicata. Historia. Ius. Studium , II, a cura di A. GARCÍA Y GARCÍA - P. W EIMAR , Goldbach 1995, pp. 457-489. 82 K. E UBEL , Hierarchia Catholica Medii Aevi , I, Monasteri 1898 (rist. anast. Patavii 1960), p. 500. 83 F. P ANERO , Istituzioni e società a Vercelli dalle origini del comune alla costituzio- ne dello Studio (1228) , in L’Università di Vercelli nel medioevo cit., pp. 77-165, in parti- colare pp. 92, 96 e note relative; si veda anche D. S AVOIA , L’Ospizio di San Silvestro della Rantiva , tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Magistero, rel. A. M. NADA PATRONE , a.a. 1973-1974, passim ; V. M OSCA , Le pergamene dell’ospizio di S. Silvestro della Rantiva , in «Archivi e storia», 1 (1989), pp. 195-223; G. F ERRARIS , Le chiese “stazionali” delle rogazioni minori a Vercelli dal sec. X al sec. XIV , a cura di G. TIBALDESCHI , Vercelli 1995, p. 253, nota 507. Per la famiglia Centorio negli ultimi decen- ni del secolo XII e nella prima metà del Duecento cfr. R. R AO , I beni del comune di Vercelli. Dalla rivendicazione all’alienazione (1183-1254) , Vercelli 2005, pp. 206-207.

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Università e sapientes iuris a Vercelli nel Trecento

alla famiglia Cagnoli dagli anni venti del Duecento, fecero parte degli organi amministrativi del Comune ed esercitarono la professione notarile; alcuni di loro sedettero negli stalli del capitolo cattedrale, come Bonifacio Cagnoli, eletto arciprete eusebiano il 10 gennaio 1338 84 , e della canonica vittorina di S. Andrea, come Filippo Cagnoli, canonico dal 1341 e proba- bilmente abate di S. Andrea già nel 1358 85 . Simone Cagnoli il 17 settem- bre 1351 è attestato come abate di S. Stefano in Vercelli 86 . Guglielmo Cagnoli, iuris utriusque peritus , nel dicembre 1308 fu tra i credenzieri vercellesi 87 ; nel 1311 venne nominato dal vescovo di Vercelli, Lombardo della Torre, suo giudice in temporalibus in Biella, e, nel 1316, vicario generale: con questo incarico è documentato nel 1325, mentre il 2 gennaio 1333 fu tra i patroni dell’Ospizio di S. Silvestro dei Rantivi e, il 31 luglio 1338, giudice del vescovo di Vercelli, insieme a Giovanni de Strata , iuris peritus 88 . Nel 1346 fu ancora teste a un atto di investitura da parte di Papiniano Fieschi, vicario generale del vescovo di Vercelli Manuele Fieschi, a favore del comune di Biella 89 ; nel 1350 risultava già defunto 90 . Antonio Cagnoli de Centoriis , legum doctor nel

84 Restò in carica almeno sino al 25 febbraio 1345: C. A. B ELLINI , Serie degli Uomini e delle Donne illustri della città di Vercelli, col compendio alle vite dei medesimi , ms., I, p. 176; M ANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., III, p. 110. 85 R. P ASTÈ - F. A RBORIO MELLA , L’abbazia di S. Andrea di Vercelli. Studio storico di R. Pastè. Studio artistico di F. Arborio Mella , Vercelli 1907, pp. 115-116. 86 SAVOIA , L’Ospizio di San Silvestro della Rantiva cit., p. 65. 87 COLOMBO , Documenti dell’Archivio comunale di Vercelli relativi ad Ivrea cit., p. 302, n. CLXXV. 88 BELLINI , Serie degli Uomini e delle Donne illustri cit., I, p. 195; R. P ASTÈ , I Vicarii generali della Curia Vescovile , in «Archivio della Società Vercellese di Storia e d’Arte», 4 (1915), fasc. 1, pp. 161-171, in particolare p. 164; S AVOIA , L’Ospizio di San Silvestro della Rantiva cit., p. 60; Archivio Capitolare di Vercelli, Atti di vescovi, cartella XXI (1330-1361); sul Cagnoli cfr. B ORELLO - T ALLONE , Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., III, p. 107 s. v. Cagnolis (de) ; P. S ELLA - F. G UASCO DI BISIO - F. G ABOTTO , Documenti biellesi , Pinerolo 1908 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, XXXIV), pp. 72-76, n. CXVI (1341 maggio 22). 89 L. B ORELLO - A. T ALLONE , Le carte dell’Archivio comunale di Biella fino al 1379 , II, Voghera 1928 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, CIV), pp. 163-165, n. CCLXXV (1346 settembre 7). Per una sua attestazione a Biella nel 1344 cfr. L. B ORELLO , Le carte dell’Archivio comunale di Biella fino al 1379 , IV, Torino 1933 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, CXXXVI), pp. 39-51, n. XXVII (1344 giugno 9). 90 Archivio di Stato di Vercelli, Corporazioni religiose, Monastero di S. Spirito, mz. 111 (1350 giugno 19).

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1343 91 , fu arbitro in una contesa riguardante gli ecclesiastici della pieve di Robbio il 16 settembre 1345, insieme a Thevaldus da Piacenza, Decretorum doctor 92 ; è ancora documentato il 3 marzo 1369 93 , il 25 gen- naio 1370, quando venne incaricato di arbitrare in una vertenza 94 , e il 27 giugno 1378, nell’atto di nomina di Giovanni Cagnoli a ministro e ret- tore dell’ospedale di S. Silvestro dei Rantivi, subentrando al defunto Martino Centori 95 . La continuità di una vocazione familiare allo studio del diritto e alle professioni giuridiche, ebbe forse il suo punto apicale nella prima metà del Cinquecento, quando un importantissimo esponente della famiglia, Girolamo Cagnoli, laureato in utroque iure presso l’Università di Torino, si affermò come docente di fama in questo stesso Studio, da cui si trasferì poi presso l’ateneo di Padova, componendovi alcune opere giuridiche pubblicate nel corso del XVI secolo. Il 2 settembre 1549 è documentato come senatore e decurione di Vercelli, città in cui morì nel febbraio 1551 96 . Se i dottori legisti risultano sempre più legati alle attività politiche e diplomatiche del comune, anche presso la curia vescovile troviamo numerosi canonisti e civilisti. Gli stessi vertici dell’ordinario cittadi- no possedevano una formazione nel campo del diritto documentata da titoli accademici: particolarmente importante era l’incarico di vicario generale del vescovo, la cui competenza giuridica era condizione

91 I Biscioni , III/2, a cura di R. O RDANO , Torino 1994 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, CCXI), pp. 95-96, n. DLXXV (1343 aprile 13); Archivio di Stato di Vercelli, Famiglia Berzetti di Murazzano, mz. 4, perg. 156 (1343 agosto 22). 92 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXXIX (1344-1345); la pergamena è unita a un’altra, riguardante sempre la stessa causa, datata 26 luglio 1345. 93 Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 96, prot. 1364-1370, ff. 295v-296v. 94 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 7. Per una sua attestazione come teste nel 1374 cfr. ivi (1374 maggio 29). 95 Archivio di Stato di Vercelli, Archivio dell’Ospedale Maggiore di S. Andrea di Vercelli, Pergamene dell’Ospizio di San Silvestro della Rantiva, cartella unica. Per una sua attestazione del 27 febbraio 1348 cfr. A. C OPPO - M. C. F ERRARI , Protocolli notari- li vercellesi del XIV secolo. Regesti , Vercelli 2003, p. 23, nn. 29-30. 96 A. M AZZACANE , Cagnolo, Gerolamo , in Dizionario biografico degli Italiani , XVI, Roma 1973, pp. 334-335; per la sua carriera accademica cfr. I. N ASO - P. R OSSO , Insignia doctoralia. Lauree e laureati all’Università di Torino tra Quattro e Cinquecento , Torino 2008 (Storia dell’Università di Torino, 2), pp. 183-184 e p. 324 s. v.

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richiesta dai complessi negozi riguardanti la diocesi, in particolare l’esercizio della giustizia, assegnato dalla normativa canonica all’ of- ficialis della diocesi 97 . Nelle città sedi di università il vicario genera- le era inoltre molto spesso incaricato di sostituire il vescovo nelle funzioni di cancelliere, ricoprendo un ruolo non di semplice rappre- sentanza, ma di attivo intervento nelle fasi di verifica della prepara- zione del candidato durante l’ examen per la collazione dei gradi acca- demici 98 . Negli anni dell’apertura dello Studium di Vercelli il vescovo Ugolino da Sesso nominò suo vicario il nipote Giuliano, quasi certa- mente impegnato anche come professore nello Studium . Nel secolo successivo troviamo il ricordato Guglielmo Cagnoli, iuris utriusque peritus , vicario vescovile dagli anni venti del Trecento; a questi suben- trò il colto iuris canonici peritus Martino da Bulgaro, vicario del vesco- vo Lombardo della Torre alla fine del quarto decennio, dividendo l’in- carico con il legum doctor e professore dello Studio Salvo Marano 99 . Nel 1349 fu vicario del vescovo Giovanni Fieschi il piacentino Nicola de Pigazano 100 , e, nel 1374, Guglielmo de Gisso de Regio , entrambi iuris periti 101 .

97 R. N AZ , Official , in Dictionnaire de droit canonique , VI, Paris 1957, coll. 1105- 1106; I D., Vicaire général , ivi , VII, Paris 1965, coll. 1501-1502. Sui compiti dei vicari cfr. anche E. F OURNIER , L’origine du vicaire général et des autres membres de la curie diocésaine , Parigi 1940; R. B RENTANO , Vescovi e vicari generali nel basso medioevo , in Vescovi e diocesi in Italia dal XIV alla metà del XVI secolo . Convegno di studi (Brescia, 21-25 settembre 1987), a cura di G. D E SANDRE GASPARINI ET AL ., I, Roma 1990, pp. 547-567; G. D E SANDRE GASPARINI , Vescovi e vicari nelle visite pastorali del Tre- Quattrocento veneto , ivi , p. 569-600. 98 Sul ruolo di vicecancelliere dello Studium ricoperto dal vicario generale rimando a N ASO - R OSSO , Insignia doctoralia cit., pp. 77-127. 99 PASTÈ , I Vicarii generali della Curia Vescovile cit., p. 163; I D., Notizie importan- ti tolte da un manoscritto dell’Archivio Eusebiano , in «Archivio della Società Vercellese di Storia e d’Arte», 4 (1912), pp. 577-589, in particolare pp. 587-589; M ANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., III, pp. 36-37. 100 D. A RNOLDI , Libro delle investiture del vescovo di Vercelli Giovanni Fieschi (1349-1350) , Torino 1934 (Biblioteca della Società Storia Subalpina, LXXIII/2), p. LVIII s. v. Pigazano (de) Nicolaus . È ancora documentato, non più come vicario vesco- vile, nel 1350: Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 6 (1350 gennaio 13). 101 BORELLO - T ALLONE , Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., II, pp. 402- 403, n. CDVII (1374 gennaio 12).

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Con il passaggio al Quattrocento la preparazione giuridica, perlopiù nel diritto canonico, certificata da un titolo accademico diventa un ele- mento quasi costante nella nomina al vicariato vescovile 102 . Nei primi anni del Quattrocento vicario generale in spiritualibus del vescovo Ludovico Fieschi fu Giovanni de Roydis de Albano , Decretorum doc- tor 103 ; tra i reclutati troviamo il “laureatus in Decretis” Giovanni Grassi, di Saint-Rambert (Rhône), canonico di S. Eusebio e, dal 1438, vicario generale del vescovo di Vercelli Guglielmo Didier: un elegante mano- scritto della Glossa ordinaria in Constitutiones Clementinas di Giovanni d’Andrea, dal Grassi acquistato, insieme a un codice del Sextus , nel 1426 ad Avignone, è l’attuale Cod. IX della Biblioteca Capitolare di Vercelli 104 . Pochi anni più tardi è documentato Fabiano de Bays , che, prima di essere nominato vicario generale del vescovo di Vercelli Urbain Bonivard, fu titolare della lettura straordinaria di diritto

102 PASTÈ , I Vicarii generali della Curia Vescovile cit., p. 165. 103 Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 97 (1375-1399), fasc. 7, ff. 300r-301r (1399 maggio 16); ff. 301v-303r (1399 giugno 23); Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 98 (1390-1408), fasc. 8, f. 171r-v (1399 agosto 31); Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 98 (1390-1408), fasc. 10, ff. 7v- 8r (1400 gennaio 29), f. 9r-v (1400 febbraio 9), ff. 13v-14r (1400 febbraio 14), f. 17r-v, ff. 18r-21r, (1400 febbraio 27), ff. 29r-30v (1400 aprile 10), ff. 31r-33r (1400 aprile 10), f. 34r-v (1400 maggio 10), ff. 40v-41r (1400 maggio 17), ff. 42r-43v (1400 maggio 22); Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 98 (1390-1408), fasc. 11, f. 71r- v (1401 febbraio 25); Archivio Storico del Comune di Vercelli, cart. 104/A, Capitolo di S. Eusebio (1216-1568), Statuta 1216, ff. 51v-52r (1401 febbraio 25); Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 98 (1390-1408), fasc. 11, f. 86r (1401 set- tembre 24); Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 99 (1401-1569), fasc. 12 (1401 novembre 21); Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 98 (1390-1408), fasc. 11, f. 133r-v (1405 gennaio 29). 104 Nel recto del foglio di guardia si legge: “Iste Clementine sunt mei Iohannis Grossi de Sancto Ragneberto, quas emi a Moyse cum quodam Sesto similis litteris pre- tio XXX florenos, presentibus domino priore de Simone et fratre Iohanne Grimaudi. Datum Avignione die ultima februarii M oIIII cXXVI”; al f. 60r, con la lampada di Wood, si legge “Solvit die VII aprilis VI florenos”. Sul codice cfr. R. P ASTÈ , Vercelli. Archivio capitolare , in A. S ORBELLI , Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia , XXXI, Firenze 1925, p. 78. Il 18 febbraio 1444 Giovanni Grassi legò alla chiesa di S. Eusebio due salteri, uno dei quali è l’attuale Cod. LXVI della Biblioteca Capitolare di Vercelli, dove, da una nota al f. 1r, si apprende che Giovanni Grassi morì il 4 settembre 1445: R. PASTÈ , Donatori di Codici Eusebiani , in «Archivio della Società Vercellese di Storia e d’Arte», 6 (1914), pp. 207-212; 7 (1915), pp. 247-250, in particolare p. 212; sul codice cfr. anche I D., Vercelli. Archivio capitolare cit., p. 93.

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canonico presso lo Studio di Torino nell’anno accademico 1464-1465, passando, l’anno successivo, all’insegnamento del Volumen 105 . Un interessante strumento del 17 marzo 1363 presenta il vescovo di Vercelli Giovanni Fieschi mentre, “cum suis iuris utriusque peritis”, stu- dia attentamente “et per ipsos vicarios diligenter examinari facere” i docu- menti presentati dagli Umiliati della chiesa di S. Cristoforo, i quali ave- vano nominato ministro dell’ospedale Fasana Giovanni de Nebiono 106 . Tra i testes troviamo Giacomo Fieschi, iuris peritus arciprete della pieve di Lavagna, nella diocesi di Genova, vicario generale in spiritualibus del vescovo a partire dagli anni cinquanta e attivo almeno fino al 1379 107 .

105 ROSSO ,“Rotulus legere debentium” cit., pp. 59-60; pp. 189-190, n. II.9. Originario di Candelo (Biella), è documentato come teste a Chieri il 18 febbraio 1463: Archivio di Stato di Torino, Archivio di corte, Raccolta Biscaretti, mz. 10, fasc. 1, f. 12v. Fu canonico di S. Stefano di Biella e, dal 24 novembre 1477 al 1499, vicario generale e speciale in spiritualibus et temporalibus del vescovo di Vercelli Urbain Bonivard, con- tinuando a tenere questa carica con i successivi vescovi di Vercelli, Giovanni Stefano Ferrero e Giuliano della Rovere: P ASTÈ , I Vicarii generali della Curia Vescovile cit., pp. 165, 169; F. M ACCONO - G. B URRONI , Questioni storiche e documentazioni relative al Santuario di Crea , Casale Monferrato 1928, p. 61. 106 Gli Umiliati presentarono diversi documenti per comprovare il loro diritto di patronato per tale nomina: la cura dell’ospedale era stata affidata agli Umiliati da una bolla di papa Martino IV del 1286: G. F. V ILLATA , Le case maschili degli Umiliati a Vercelli nel Medioevo , tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Magistero, rel. A. M. N ADA PATRONE , a.a. 1975-1976, pp. CCLXXI-CCLXXXVI, n. XLV. Su Giovanni Fieschi cfr. A RNOLDI , Libro delle investiture cit.; E. R AGNI , Fieschi di Lavagna (Giovanni) , in Dictionnaire d’Histoire et de Géographie Ecclésiastiques , vol. XVI, Paris 1967, coll. 1433-1435, e i contributi di Francesco Panero e Flavia Negro nel presente volume. Sulla famiglia Fieschi cfr. anche R. D E ROSA , I Fieschi feudatari di Moncrivello (XIV-XV secolo) , in «Bollettino storico vercellese», 34 (2005), pp. 5-22. 107 Per attestazioni d’archivio riguardanti questo personaggio cfr. B ORELLO - TALLONE , Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., III, pp. 120-121 s. v. Flischo (de) . In un atto del 2 marzo 1374, sempre riguardante gli Umiliati di San Cristoforo, è definito anche iuris peritus e vicario generale del vescovo Giovanni Fieschi: si tratta dell’inventario dei beni dell’ospedale di S. Maria di Vercelli, redatto dal ministro dello stesso, frate Enrico di S. Germano degli Umiliati di S. Cristoforo: G. F. V ILLATA , La vita interna e la gestione dell’ospedale di Santa Maria dei Fasana (secoli XIII-XIV) , in «Bollettino storico vercellese», 7 (1978), pp. 65-91, in particolare pp. 89-91, n. 2. Sull’ospedale di S. Maria cfr. anche G. F ERRARIS , L’Ospedale di S. Andrea di Vercelli nel secolo XIII. Religiosità, economia, società , Vercelli 2003, pp. 45-46. Per una atte- stazione poco più tarda di Giacomo Fieschi cfr. Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 97 (1375-1399), fasc. 5, f. 7r-v (1375 ottobre 17).

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Un certo livello di formazione giuridica emerge anche dai fondi librari di altri importanti ecclesiastici. Nell’inventario del 1432 della biblioteca dell’abbazia di S. Andrea sono separatamente registrati i libri in quel momento presenti nella camera dell’abate: tra questi una Decretale “glosata”, un Sextus e un Decretum , entrambi “sine glossis”. Tutti questi codici l’abate “emit de proprio” 108 . A completamento dei Realien sinora offerti, viene presentata in Appendice una schedatura – condotta in buona parte su documenti ine- diti, purtroppo ancora in maggioranza per il secolo XIV, e sicuramente lontana dall’essere esaustiva – dei professionisti del diritto attivi in Vercelli nel Trecento, tutti documentati in possesso di titoli che ne qua- lificano la preparazione giuridica. Questa prima analisi prosopografica, ordinata cronologicamente, potrà sin d’ora essere utile per la ricostru- zione di percorsi di formazione culturale e di carriere dei ceti dirigenti laici ed ecclesiastici, su cui certamente ebbe un ruolo, almeno nelle sue fasi di piena attività, lo Studium di Vercelli. È interessante notare come, dall’entrata di Vercelli nella dominazio- ne viscontea, cresca progressivamente la presenza di vicari podestarili in possesso di un titolo accademico, tendenza che proseguirà anche nei primi anni del Quattrocento: ricordiamo, ad esempio, per il 1406 il legum doctor Bondo de Pisis , vicario del podestà Bonifacio de Mirolio 109 , e, per l’anno successivo, Bartolino de Cauciis de Cremona , vicario del podestà Galeotto del Carretto 110 .

108 L’inventario è conservato all’interno della documentazione approntata per la lite sorta tra i canonici di S. Andrea e l’abate, Guglielmo de Griselmis ; questi, accusato di cattiva gestione e di tendenze scismatiche, fu destituito dalla carica da papa Eugenio IV: PASTÈ - A RBORIO MELLA , L’abbazia di S. Andrea di Vercelli. Studio storico cit., p. 130. L’elenco di libri fa parte di un generale Inventarium bonorum monasterii Sancti Andreae Vercellarum auctoritate apostolica confectum et receptum […] anno 1432 , conservato presso l’Archivio di Stato di Vercelli, Archivio dell’Ospedale Maggiore di S. Andrea di Vercelli, Archivio storico, mz. 584 (il riferimento ai libri dell’abate sono al f. 58v); sul- l’inventario cfr. anche T IBALDESCHI , La biblioteca di S. Andrea di Vercelli nel 1467 cit., p. 65; pp. 91-92, note 47-50. 109 Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, fasc. 11, ff. 188r-189r (1406 set- tembre 24), ff. 190r-191v (1406 settembre 27). 110 Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Vescovi, cartella XXI (1330-1361) (1407 maggio 13).

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4. Approvvigionamento e circolazione di testi giuridici in ambito uni- versitario e professionale

Il principale strumento intorno al quale ruotava tutta l’attività didat- tica universitaria era il libro, e la disponibilità di codices era una condi- zione fondamentale per magistri e studenti che intendessero frequenta- re uno Studium generale . Nella Carta Studii del 1228 venne prevista la nomina di due bidelli e due exemplatores :

Item quod comune Vercellarum habebit universitati scolarium duos bidellos, qui eodem gaudeant privillegio quo scolares. Item habebit comune Vercellarum duos exemplatores, quibus taliter providebit quod eos scolares habere possint, qui habeant exemplaria 111 in utroque iure et in theologia, competencia et correcta tam in textu quam in gloxa. Ita quod solucio fiat a scolaribus pro exemplis secundum quod convenit ad taxationem rectorum 112 .

Il comune, per soddisfare la prevista domanda di libri da parte dei gruppi di studenti in arrivo a Vercelli, si impegnò a stipendiare due sta- zionari, i responsabili delle botteghe ( stationes ) dove venivano realizzate e vendute le copie, fedeli e garantite, dei testi oggetto di insegnamento 113 . Questo item della convenzione veniva probabilmente incontro a una pre- cisa richiesta avanzata dagli stessi studenti a Padova, nella fase di trattati- ve con gli emissari del comune di Vercelli, e formalizzata nella stesura della Carta Studii . Un trentennio più tardi, a partire dal 1261, lo stesso comune di Padova dovette provvedere a stipendiare uno o due stationarii ,

111 È certamente da emendare così la lezione “exemplancia” tràdita nelle due copie trecentesche della convenzione, redatte dal notaio Bartolomeo de Bazolis , conservate nei Biscioni . 112 Carta Studii et Scolarium Commorancium in Studio Vercellarum cit., pp. 28-30. 113 La perfetta identità tra exemplatores e stationarii emerge chiaramente in una disposizione del comune di Padova del 1275, con la quale si confermava il salario di ses- santa lire “Petro quondam Ordani exemplatori scolarium sive stacionario librorum et exemplatorum [ sic forse per “exemplarium”] dandorum scolaribus”: L. G ARGAN , Libri, librerie e biblioteche nelle Università italiane del Due e Trecento , in Luoghi e metodi di insegnamento cit., pp. 221-246, in particolare p. 229, nota 30.

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come domandarono con forza i magistri e gli studenti universitari 114 . Il riferimento a stazionari ed exemplaria è estremamente importante perché entrambi trovano menzione per la prima volta nei documenti sinora noti: nei contratti stipulati a Bologna in anni immediatamente pre- cedenti, i mercanti di libri che operavano con lo Studium venivano anco- ra semplicemente chiamati “venditores librorum” 115 . La produzione del libro negli Studia del medioevo – le cui linee basilari furono tracciate nel fondamentale saggio di Jean Destrez del 1935, particolarmente rivolto ai testi di filosofia e teologia approntati nell’Università di Parigi 116 – avve- niva secondo il sistema della pecia , cioè la copia a fascicoli sciolti ope- rata all’interno delle botteghe gestite da stationarii , i quali potevano anche dare in prestito le singole peciae a studenti dietro pagamento di una tassa; l’entità di ques’ultima a Vercelli era stabilita, come sappiamo

114 Oltre alla disposizione degli statuti del 1261, dove si stabiliva che il comune di Padova dovesse stipendiare uno o due stazionari “qui habeant apparatum tocius corpo- ris iuris”, troviamo altri interessanti interventi del comune, come la conferma del sala- rio di sessanta lire a Floriano “exemplator scolarium”, che si impegnava a tenere “exem- plaria in iure canonico et civili ad utilitatem et comodum omnium doctorum et scola- rium ac Universitatis Studii Paduani”: su queste disposizioni si veda A. G LORIA , Statuti del Comune di Padova dal secolo XII all’anno 1285 , Padova 1873, pp. 378-379, nn. 1255-1259; I D., Monumenti della Università di Padova (1222-1318) cit., p. 195, e pp. 21, 24, 29-30, 34 dell’appendice. Le sigle “Fl.” e “Flo.” lasciate dallo stazionario Floriano sono state rintracciate in un exemplar della Summa super titulis Decretalium di Enrico da Susa, ora Assisi, Sacro Convento, 219+221, e in altri codici di diritto canoni- co: G. M URANO , Tipologia degli ‘exemplaria’ giuridici , in Juristische Buchproduktion im Mittelalter , hrsg. v. D. C OLLI , Frankfurt a. Main 2002 (Studien europäischen Rechtsgeschichte, 155), pp. 105-172 , in particolare p. 138; E AD ., Opere diffuse per ‘exemplar’ e pecia cit., pp. 70-71. 115 Si vedano i due contratti conclusi il 9 ottobre 1226 e 6 aprile 1227 nella bottega bolognese di Alberto de Libris , editi in L. F RATI , Gli Stazionari bolognesi nel Medio Evo , in «Archivio storico italiano», s. V, 45 (1910), pp. 380-390, in particolare pp. 385- 386; A. P ADOVANI , L’archivio di Odofredo. Le pergamene della famiglia Gandolfi Odofredi. Edizione e regesto (1163-1499) , Spoleto 1992, pp. 515-516. Alberto de Libris è menzionato come “venditor librorum” in altri documenti: F. S OETERMEER , ‘Utrumque ius in peciis’. Aspetti della produzione libraria a Bologna fra Due e Trecento , Milano 1997 (Orbis Academicus, 7), pp. 33-35. 116 J. D ESTREZ , La pecia dans les manuscrits universitaires du XIIIe et du XIV e siè- cle , Paris 1935. Sull’enorme documentazione raccolta dal Destrez, originata dall’esame di circa 7000 manoscritti conservati nelle principali biblioteche d’Europa, si veda G. FINK -E RRERA , Jean Destrez et son oeuvre: la pecia dans les manuscrits universitaires du XIII e et du XIV e siècle , in «Scriptorium», 11 (1957), pp. 264-280.

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dalla convenzione del 1228, dai rettori (“secundum quod convenit ad taxationem rectorum”). I testi-modello, approvati ufficialmente dalle autorità universitarie, erano detti exemplaria , e da questi venivano tratti i fascicoli ( peciae ), recanti ciascuno un numero d’ordine 117 . Nella maggior parte degli exemplaria le peciae erano formate da una pezza di membra- na piegata due volte, formando così un fascicolo di quattro fogli; in casi meno frequenti, la pecia poteva essere composta da sei o otto fogli 118 . I rappresentanti della corporazione degli studenti, forti di un’esperien- za fatta a Padova, facevano trapelare nella convenzione con il comune di Vercelli per la prima volta una prassi di produzione libraria che conoscia- mo meglio altrove nelle sue articolazioni. Questa non lasciò tuttavia segni, se non estremamente tenui, nella realtà cittadina, sebbene sia certa- mente ipotizzabile l’esistenza di un settore dell’artigianato e del commer- cio legato al libro – composto, oltre che da stazionari, anche da conciato- ri di pergamena, legatori, scriptores e, forse, miniatori –, cioè l’area pro- duttiva con cui il mondo studentesco entrava in forte contatto 119 . Le lacu-

117 Tra la vasta bibliografia sulla produzione del libro universitario limito il rimando a qualche titolo fondamentale: J. D ESTREZ - M. D. C HENU , Exemplaria universitaires des XIII e et XIV e siècles , in «Scriptorium», 7 (1953), pp. 68-80; La production du livre uni- versitaire au moyen âge. Exemplar et pecia , éd. par L. J. B ATAILLON , Paris 1988 (in par- ticolare i saggi di H. V. S CHOONER , La production du livre par la pecia , pp. 17-37 e R. ROUSE - M. A. R OUSE , The book trade at the University of Paris , pp. 41-114); G. DOLEZALEK , La pecia e la preparazione dei libri giuridici , in Luoghi e metodi di inse- gnamento cit., pp. 203-217; F. S OETERMEER , ‘Utrumque ius in peciis’. Die Produktion juristischer Bücher an italienischen und französichen Universitäten des 13. und 14. Jahrhunderts , aus dem Niederländischen übersetzt v. G. H ILLNER , Frankfurt a. Main 2002 (Ius Commune. Sonderhefte, 150); G. M URANO , Opere diffuse per ‘exemplar’ e ‘pecia’. Indagini per un repertorio , in «Italia medioevale e umanistica», 41 (2000), pp. 73-100; E AD ., Tipologia degli ‘exemplaria’ giuridici cit., pp. 105-172; di quest’ultima studiosa è recente la pubblicazione dell’utilissimo repertorio di tutte le opere diffuse per exemplar e pecia , in particolare deducibili dalle liste di tassazione e di exemplaria : EAD ., Opere diffuse per ‘exemplar’ e pecia cit. Per il commercio di libri universitari si veda anche R. G RECI , Note sul commercio librario universitario a Bologna nel Due e Trecento , in «Studi di storia medievale e di diplomatica», 9 (1987), pp. 49-97. 118 MURANO , Tipologia degli ‘exemplaria’ giuridici cit., pp. 120-121. 119 Per le interazioni tra studenti universitari e settori socio-economici cittadini cfr. M. B ELLOMO , Studenti e «populus» nelle città universitarie italiane dal secolo XII al XIV , in Università e società nei secoli XII-XVI cit., pp. 61-78. Per altri settori economi- ci che coinvolgevano gli studenti nelle città universitarie cfr. A. I. P INI , “Auri argenti- que talenta huc ferimus dites”: i risvolti economici della presenza universitaria nella città medievale , in L’Università di Vercelli nel medioevo cit., pp. 205-225.

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ne delle fonti non ci permettono di sapere quale fosse il profilo culturale dei petiarii incaricati di vigilare sulla correzione degli exemplaria , nello Studio bolognese scelti “de gremio universitatis providi et discreti, qui sint clericali ordine insigniti” 120 , mentre a Parigi il compito veniva affida- to ai magistri “ad hoc deputati” 121 . La norma statutaria, per quanto precoce come quella vercellese, arrivò certamente in ritardo rispetto all’effettiva introduzione del siste- ma della pecia nella produzione libraria universitaria. Un esempio di questo processo asincrono è rappresentato dalla diffusione delle opere a carattere medico a Bologna, la cui prima lista di testi peciati risale al 1405, mentre testimonianze sulla copia di testi di Galeno, l’autore con il maggior numero di opere diffuse in ambito universitario, sono databi- li al 1288 122 , e i commenta Galieni simplices , insieme a un codice di Avicenna, sono registrati nell’elenco, redatto nel 1289, dei codici della statio , specializzata in testi di diritto, di Solimano del fu Martino 123 . A proposito dei codici di medicina, è interessante sottolineare come nella Carta Studii questi siano stati esclusi dagli exemplaria che i due stazionari vercellesi erano tenuti a mettere a disposizione degli studen- ti (“exemplaria in utroque iure et in theologia”). Le citate testimonian- ze sulla trascrizione di testi di medicina sono tutte più tarde rispetto alla Carta Studii : le opere a contenuto medico entrarono infatti in un secon- do tempo nell’elenco di opere peciate, come si nota scorrendo la lista più antica per lo Studio di Parigi (1248) 124 , la Punctatio librorum bolo- gnese (databile tra il novembre 1253 e l’agosto 1257) 125 e la lista di exemplaria dell’Università di Bologna (1260 ca.) 126 . Nel 1283 abbiamo

120 DENIFLE - E HRLE , Die Statuten der Juristen-Universität Bologna cit., p. 279. 121 Chartularium Universitatis Parisiensis , ed. H. D ENIFLE - A EM . C HATELAIN , II, Paris 1891 (rist. anast. Bruxelles 1964), p. 107. 122 MURANO , Opere diffuse per ‘exemplar’ e pecia cit., p. 50; pp. 159-160, nn. LIX- LX; sulle opere di Galeno trasmesse per pecia cfr. ivi , pp. 429-441, nn. 349-383. 123 FRATI , Gli Stazionari bolognesi nel Medio Evo cit., pp. 388-390, n. V; M URANO , Opere diffuse per ‘exemplar’ e pecia cit., pp. 98-100, n. XXV. 124 Uppsala, Universitetsbiblioteket, C 134, f. 161v: M URANO , Opere diffuse per ‘exemplar’ e pecia cit., pp. 56-59, n. V. 125 MURANO , Opere diffuse per ‘exemplar’ e pecia cit., pp. 59-67, n. VI. 126 Olomouc, Státní Archiv, C.O.209, f. 163v: M URANO , Opere diffuse per ‘exem- plar’ e pecia cit., pp. 68-70, n. VII.

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la notizia, lasciataci dallo stesso autore, della realizzazione di un exem- plar del commento di Taddeo Alderotti agli Aphorismi di Ippocrate, con una diffusione per pecia dell’eventuale reportatio dell’opera 127 . Nel medesimo anno il comune di Padova assumeva, con un salario annuo di cinquanta lire, “duo stacionarii […] sive bidelli […] qui habe- re debeant et tenere petias et exemplaria in legibus, decretis et decreta- libus et physica” 128 . L’equiparazione bidello-stazionario nell’ultimo esempio padovano indica lo stadio ormai maturo del passaggio ai bidelli generali, accanto ai loro compiti istituzionali, della responsabilità dell’attività delle sta- tiones librorum 129 ; i bidelli talvolta esercitavano anche i mestieri di car- tolaio, di miniatore, di copista o di stimatore di libri 130 . Figura di rile-

127 T. P ESENTI , The ‘Libri Galieni’ in Italian Universities in the fourteenth Century , in «Italia medioevale e umanistica», 42 (2001), pp. 119-147, in particolare p. 128; MURANO , Opere diffuse per ‘exemplar’ e pecia cit., pp. 94-96, n. XXII. 128 GLORIA , Monumenti della Università di Padova (1222-1318) cit., p. 34 dell’ap- pendice. Sull’attività di bidelli e stazionari a Padova nel Duecento si vedano anche i dati raccolti in S. B ORTOLAMI , Studenti e città nel primo secolo dello Studio padovano , in Studenti, Università, città nella storia padovana . Atti del Convegno, Padova, 6-8 feb- braio 1998, a cura di F. P IOVAN - L. S ITRAN REA , Trieste 2001 (Contributi alla storia dell’Università di Padova, 34), pp. 3-27, in particolare pp. 20-21, nota 61. 129 GARGAN , Libri, librerie e biblioteche cit., pp. 221-246. Per Bologna i bidelli-sta- zionari sono documentati con sicurezza dalla fine del XIII secolo: il 18 agosto 1299 il bidellus della facoltà di medicina Puccio di Nocera si impegnò a procurarsi e a tenere in buono stato diverse peciae e “de ipsis copiam facere unicuisque scholari dicte Universitatis petenti et volenti”: C. P IANA O.F.M., Nuovi documenti sull’Università di Bologna e sul collegio di Spagna , I, Bologna 1976 (Studia Albornotiana, 26), p. 27; MURANO , Opere diffuse per ‘exemplar’ e pecia cit., pp. 117-118, n. XXXVII; per altre testimonianze bolognesi trecentesche e di inizio Quattrocento cfr. anche ivi , pp. 127- 128, n. XLIII; pp. 159-160, n. LIX. 130 M. B ILLANOVICH DAL ZIO , Bidelli, cartolai e miniatori allo Studio di Padova nel secolo XV , in «Quaderni per la storia dell’Università di Padova», 4 (1973), pp. 59-72; G. B ILLANOVICH , Il testo di Livio. Da Roma a Padova, a Avignone, a Oxford , in «Italia medioevale e umanistica», 22 (1989), pp. 78-86; L. G ARGAN , «Extimatus per bidellum generalem Studii Papiensis». Per una storia del libro universitario a Pavia nel Tre e Quattrocento , in Per Cesare Bozzetti. Studi di letteratura e filologia italiana , a cura di S. A LBONICO ET AL ., Milano 1996, pp. 19-36. Nella Venezia della prima metà del Trecento con il termine “bidellus” si indicava il libraio pubblico: I D., Cultura e arte nel Veneto al tempo del Petrarca , Padova 1978 (Studi sul Petrarca, 5), pp. 66-67, con biblio- grafia. In generale, per il bidello nelle università nel Medioevo cfr. A. I. P INI , Per una storia sociale dell’Università: i bidelli bolognesi nel XIII secolo , in «Annali di storia delle Università italiane», 1 (1997), pp. 43-75.

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vante profilo culturale e sociale, il bidello generale aveva anche l’im- portante compito di presenziare agli “examina publica et conventus publici”, come stabilivano gli statuti dell’ universitas iuristarum di Pavia del 1395 131 . La vicinanza testuale dell’ item degli exemplatores a quello dei due bidelli nella convenzione del 1228 potrebbe a questo proposito non essere casuale. I bidelli, che godevano degli stessi privilegi disposti per gli studenti, erano probabilmente destinati l’uno alla facoltà di dirit- to, l’altro a quella medico-artista 132 . Tornando alla produzione libraria secondo il sistema dell’ exemplar e pecia , che ebbe il periodo di maggiore diffusione dalla metà del secolo XIII fino al primo quarto del successivo, troviamo ancora un cenno allo stazionario tra gli articoli relativi allo Studio di Vercelli trasmessi negli statuti comunali del 1341, nei quali si ricordano anche esplicitamente i libri tra i beni degli studenti esentati dai diritti di pedaggio:

Et similiter unus stazonerius, qui habeat et teneat conti- nue in sua stazone pecias bene correctas in omnibus scien- tiis et facultatibus suprascriptis ad prestandum et como- dandum pro competenti remuneratione omnibus scribere et exemplare volentibus 133 .

Quod scholares pedagia non solvant. Item quod schola- res vel eorum nuncii et famuli pedagia non solvant in districtu Vercellarum, et hoc intelligatur de eorum libris et pannis et aliis rebus eisdem necessariis 134 .

131 MAIOCCHI , Codice diplomatico dell’Università di Pavia cit., I, pp. 270-271, n. 465: “Item teneantur bidelli generales singulis annis scribere quot conventus et exami- na et qui doctorati et qui examinati fuerint illo anno et presentare singulis annis sindicis universitatis”. 132 Presso l’Università di Padova nei secoli XIV e XV erano attivi due bidelli gene- rali, uno per la facoltà giurista, l’altro per quella medico-artista, mentre i teologi impie- gavano il bidello di quest’ultima facoltà: A. S OTTILI , Lauree padovane (1451-1470) e pavesi (1450-1475) , in «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche», 4 (1997), pp. 167-194, in particolare p. 188. Accanto ai bidelli generali, dal Trecento in avanti si trova in diversi statuti universitari la nomina di un bidello ‘di facoltà’, gene- ralmente chiamato ‘bidellus specialis’. 133 Hec sunt statuta cit., c. LXIr-v. 134 Hec sunt statuta cit., c. LXIv.

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Lo stationarius era tenuto ad avere nella propria bottega “pecias bene correctas in omnibus scientiis et facultatibus”, da concedere in pre- stito, dietro compenso, a colui che desiderava trarne una copia. In que- sti statuti lo stazionario è uno solo, ma i testi che era tenuto ad avere nella sua bottega dovevano riguardare tutte le facoltà attive. Questa apertura non sembra essere una generica disposizione e può indicare uno stato di salute dello Studium : osservando il capitolo relativo allo stationarius nel Liber reformationum del comune di Modena, del 1327, troviamo solo l’obbligo di avere nella statio testi di diritto civile e cano- nico 135 , sebbene di lì a poco venissero attivati insegnamenti di medici- na, come dimostra la nomina a tale cattedra, il 13 maggio 1329, di Pietro della Rocca, poi medico di Giovanni e Carlo di Boemia, in occasione della designazione del corpo docente dello Studio deliberata dal consi- glio comunale di Modena 136 . Non possediamo dati chiari sulla reale dimensione del mercato libra-

135 “Quod unus stationarius habeatur qui habeat exempla in iure civili et canonico. Rubrica CLXIII. Ordinamus quod unus stationarius esse debeat in civitate Mutine, qui habeat omnia et singula exempla in iure civili et canonico et summe notarie tam in testu quam in apparatu bona et bene corecta cum additionibus omnibus et singulis prout sunt in studio Bononie et procuret habere et tenere pecias speculi, leture Cini ‹et› Innocentii bonas et bene correctas et posit acipere de qualibet pecia testus quatuor denarios et de pecia glosarum sive apparatus quinque denarios, et de peciis speculi, Cini et Innocentii sex denarios, et habeat pro suo salario in anno quindecim libras a comuni Mutine et sit exemptus ab omnibus cavalchatis et andatis, et massarius generalis tenetur ei solvere dictum salarium ante festum nativitatis sine eius preiudicio et gravamine de quacumque pecunia comunis, pena centum solidorum Mutine, eidem auferenda de sua propria pecu- nia si fuerit negligens in solvendo, et sit precisum”: T. S ANDONNINI , Di un codice del XIV secolo e dell’antico Studio modenese , in «Rassegna per la storia dell’Università di Modena e della cultura superiore modenese», I, Modena 1929 (Appendice all’Annuario della R. Università di Modena per l’a.a. 1928-1929), pp. 90-129, in particolare pp. 119- 120; per gli statuti del comune di Modena del 1327: C. C AMPORI , Statuta civitatis Mutinae , Parma 1864 (Deputazione di Storia Patria Modenese. Monumenti di Storia Patria, Serie degli Statuti, 1). 136 MOR - D I PIETRO , Storia dell’Università di Modena cit., I, pp. 22-24. Per la pro- duzione e la circolazione libraria a Modena per tutto il Trecento cfr. S ANDONNINI , Di un codice del XIV secolo cit., pp. 123-129; F. S OETERMEER , A propos d’une famille de copi- stes. Quelques remarques sur la librairie à Bologne aux XIII e et XIV e siècles , in I D., Livres et Juristes au Moyen Âge cit., pp. 95-148, già pubblicato in «Studi medievali», s. III, 30 (1989), pp. 425-478.

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rio universitario vercellese. È noto un interessante contratto di impegno, stipulato a Bologna il 6 settembre 1270, per il trasporto a Vercelli di un carico di manoscritti universitari 137 . Si tratta di tredici libri, praticamen- te l’intero corpus dei due diritti, e di ogni volume viene fornita la stima: tre volumi del Decretum (stimati 160, 45 e 30 lire bolognesi), un Codex (25 lire), due volumi del Digestum vetus (42 e 10 lire), due volumi di Decretales (45 e 40 lire), una Summa Decretorum di Uguccione da Pisa 138 (70 lire), un Digestum novum (50 lire), un Volumen (25 lire), un Infortiatum (18 lire) e una Summa super titulis Decretalium di Enrico da Susa (65 lire), testo quest’ultimo che ebbe una straordinaria diffusione, soprattuto nei circuiti librari universitari, attraverso il sistema della pecia 139 . Il banchiere Anselmo de Clarentis de Pistorio si impegnò con Pietro Borneti a portare i libri a Vercelli a proprie spese, e a restituire in questa città al Borneti, entro due mesi dalla data del contratto di impe- gno, i volumi o il corrispettivo del loro valore stimato. I libri erano destinati alla vendita a privati o, più probabilmente, indi- rizzati alle stationes vercellesi: questo invio di codici da Bologna indi- cherebbe così un elemento di vivacità dell’istituzione universitaria e, contemporaneamente, potrebbe anche rivelare una certa incapacità del mercato librario vercellese a far fronte alle richieste di testi da parte

137 Chartularium Studii Bononiensis cit., XIV, Bologna 1981, pp. 178-179, nn. 381-382. 138 “Item Sumam Uguicionis”: L. P ROSDOCIMI , La ‘Summa Decretorum’ di Uguccione da Pisa: studi preliminari per una edizione critica , in «Studia Gratiana», 3 (1955), pp. 349-374; I D., I manoscritti della ‘Summa Decretorum’di Uguccione da Pisa. I. Iter germanicum , ivi , 7 (1959), pp. 251-272 (pp. 268-272 excerpta ); A. M. S TICKLER , Problemi di ricerca e di edizione per Uguccione da Pisa e nella decretistica classica , in Congrès de droit canonique médiéval. Louvain et Bruxelles , Louvain 1959 (Bibliothèque de la Revue d’histoire ecclésiastique, 33), pp. 111-128. 139 “Item Somam domini Archiepiscopi”. Su Enrico da Susa detto l’Ostiense, tra i canonisti più importanti del secolo XIII, limito il rimando a K. P ENNINGTON , Enrico da Susa , in Dizionario biografico degli Italiani , XLII, Roma 1993, pp. 758-763; per la dif- fusione testuale della Summa super Decretalibus cfr. I D., A “Quaestio” of Henricus de Segusio and the textual tradition of his “Summa super Decretalibus” , in «Bulletin of Medieval Canon Law», 16 (1986), pp. 91-96; M. B ERTRAM , Handschriften der Summe des Hostiensis mit der “Questio” am Ende , ivi , pp. 91-97; F. S OETERMEER , ‘Summa archiepiscopi’ alias ‘Summa copiosa’. Some Remarks on the Medieval Editions of the Summa Hostiensis , in «Ius Commune», 26 (1999), pp. 1-25. Sulla diffusione per pecia dell’opera cfr. M URANO , Opere diffuse per ‘exemplar’ e pecia cit., pp. 521-524, n. 476.

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degli studenti. In questo senso acquista una particolare suggestione la proposta di considerare l’identificazione di Pietro Borneti nello stazio- nario bolognese che lasciò la sigla “Bur” su una pecia del manoscritto ora 4-6 dell’Archivo y Biblioteca Capitular di Toledo, che trasmette la Glossa ordinaria in Decretales di Bernardo da Parma 140 . Dalle fonti d’archivio non emergono dati sull’attività di scriptores attivi per lo Studio, né in questo senso aiutano le ricognizioni presso i fondi manoscritti delle biblioteche. Si può supporre che, accanto all’atti- vità delle stationes formalizzate negli statuti cittadini, alla copia di codi- ci si dedicassero anche scribi non professionisti, come gli stessi studenti o personaggi di una certa cultura che integravano con la trascrizione le entrate provenienti da professioni legate in qualche modo alla scrittura, ad esempio il notariato o la docenza nelle scuole cittadine e la rete di relazioni gravitanti intorno a esse 141 . Per quest’ultimo ambiente può forse valere come riferimento per i decenni precedenti, e posto in connessione con il mercato librario universitario, la pratica di amanuense di Antonio de Raxinis , il quale, negli ultimi anni del Trecento, trasse un notevole profitto dalla copia di codici, poi da lui venduti, e dall’insegnamento presso la scuola del magister Antonio de Cabaliacha , impiegando i pro- venti di queste attività nella cura della chiesa vercellese di S. Pietro della Ferla, di cui era rettore. I manoscritti noti esemplati dalla mano di Antonio de Raxinis , la cui irregolarità e ineleganza lo qualificano

140 Al f. 154rb, in corrispondenza della fine del II libro: A. G ARCÍA Y GARCÍA - R. GONZALVEZ , Catálogo de los Manuscritos jurídicos medievales de la Catedral de Toledo , Madrid 1970 (Cuadernos del Istituto jurídico Español, 21), pp. 5-6; SOETERMEER , A propos d’une famille de copistes cit., pp. 107, 131, 137-138; G. MURANO , La lista delle opere peciate nel manoscritto Leipzig, Universitätsbibliothek, 930 , in «Rivista internazionale di diritto comune», 12 (2001), pp. 289-346; E AD ., Opere diffuse per ‘exemplar’ e pecia cit., p. 366, n. 296. 141 Un vercellese, probabilmente uno studente, nel 1444 esemplò a Padova la miscel- lanea di diritto canonico - ora Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 5925, nella quale, tra altri testi, è trasmessa la Repetitio c. Perpendimus (X 5.39.23) di Francesco Zabarella (ff. 50ra-67ra) - per uno studente legista, come risulta dalle note al f. 49vb: “Deo gratias. Inceptus ultima die decembris ac finitus XX a ianuarii MoCCCC oXLIIII” e al f. 67ra: “[…] Explicit repetitio c. Perpendimus de sen. ex. domi- ni Francisci Zabarellae utriusque iuris doctoris, confecta in felici Studio Paduano etc. scripta per B. de Vercellis ad usum venerabilis legum scolaris Ludovici de Ypoc‹…ubus›”. Sul codice cfr. P. O. K RISTELLER , Iter Italicum , vol. II, London-Leiden 1967, p. 336.

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certamente come copista non di professione, sono tutti però di argomen- to liturgico 142 . Notevoli fondi librari giunsero certamente a Vercelli da realtà ester- ne alla città. È interessante l’elenco di libri riportato nel f. 50v del mano- scritto ora presso la Biblioteca Capitolare di Vercelli, Cod. CLXXVI, nel quale è trasmesso, di mano dell’inizio del XIII secolo, la Summa super Decretalibus di Bernardo da Pavia e il Tractatus de violento pos- sessore di Pillio da Medicina. Negli ultimi quattro fogli è tràdito un importante formulario notarile, con una parziale documentazione delle Exceptiones Petri , che segue le lezioni del cosiddetto Libro di Tubinga 143 . Il corpus di venticinque codici registrati rappresenta una piccola biblioteca completa, che comprende buona parte del corpus iuris civilis e canonici , con corredo di commenti, oltre a testi teologici e trattati di artes liberales e di medicina 144 . La tipologia dell’elenco di libri, nel quale è registrata anche la stessa

142 In un atto del 4 marzo 1390, il sacerdote Pietro de Guischis dichiarò di conosce- re bene lo stato di povertà della chiesa di S. Pietro della Ferla perché “iam diu stetit ipse testis pro clerico cum ipso presbitero Antonio […] et consideratis ipsis redditibus non potuisset vivere cumdecenter cum uno clerico, sed ipse presbiter Antonius multa fuit lucratus in scribendo libros et in faciendo cartas et in docendo in scolis condam magi- stri Antonii de Cabaliacha”: Archivio Capitolare di Vercelli, Atti privati, cartella LIII. Nel suo testamento del 23 agosto 1404, Antonio de Raxinis lasciò alla sua chiesa “unum umbreviarium magnum scriptum manu dicti testatoris”: Archivio Capitolare di Vercelli, Statuti capitolari, cartella XCII. Per Antonio de Raxinis cfr. D. A RNOLDI , Vercelli vec- chia e antica , a cura di G. T IBALDESCHI , Vercelli 1992, pp. 50-51, 100-102; per codici da lui esemplati cfr. G. F ERRARIS , Le necessarie premesse allo studio sui “Gualdi” e “Guazzi” , in «Bollettino storico per la Provincia di Novara», 79 (1988), pp. XXVII- XXVIII; I D., Le chiese “stazionali” delle rogazioni minori a Vercelli cit., pp. 148-150. 143 Sul codice cfr. R. P ASTÈ , Un Codice dell’Archivio Eusebiano e le visioni dei regni oltremondani , in «Archivio della Società Vercellese di Storia e d’Arte», 4 (1912), fasc. 2, pp. 525-529; I D., Vercelli. Archivio capitolare cit., p. 120; I. S OFFIETTI , Testi giuridi- ci e formule notarili e giudiziarie nel codice 176 dell’Archivio Capitolare di Vercelli , in «Rivista di storia del diritto italiano», 51 (1978), pp. 5-40; I D., Problemi relativi al nota- riato vercellese , in Vercelli nel secolo XIII cit., pp. 65-79; C. G. M OR , Osservazioni sul formulario del codice 176 della Biblioteca Capitolare di Vercelli , ivi , pp. 17-25; P. WEIMAR , Zur Renaissance der Rechtswissenschaft im Mittelalter , Goldbach 1997, pp. 365-366. 144 Sulla lista di libri si veda da ultimo C. S EGRE MONTEL , Codici dispersi e fram- menti ritrovati: sulle tracce dei libri di S. Maria di Testona e S. Maria di Moncalieri , in Il rifugio del vescovo. Testona e Moncalieri nella diocesi medievale di Torino , a cura di G. C ASIRAGHI , Torino 1997 (I florilegi, 11), pp. 119-159, in particolare pp. 120-126.

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opera di Bernardo da Pavia, induce ad escludere che il fondo librario sia, come ipotizzato da Gabotto, il gruppo di quindici manoscritti sottratti alla chiesa di Testona dai Chieresi nel corso dei violenti scontri degli anni 1232-1233 145 . La biblioteca sarà piuttosto da assegnare al fondo librario personale del prevosto di S. Maria di Testona, come del resto è chiara- mente registrato nello stesso elenco di libri (“Hic sunt libri prepositi Testonensis”). Sulla presenza a Vercelli del manoscritto ora Cod. CLXX- VI conosciamo solo un saldo terminus ante quem posto dalla presenza del manoscritto nell’inventario della Biblioteca Capitolare redatto nel 1426 dal canonico Giovanni de Guidalardis 146 . L’arrivo nella città pada- na di un testimone della Summa super Decretalibus di Bernardo da Pavia può essere posta in relazione con la forte richiesta di codici giuridici che giungeva dagli studenti dello Studium . L’opera del famoso canonista – morto nel 1213, pochi anni prima l’apertura dell’Università di Vercelli – era infatti la prima Summa Decretalium , accolta con grandi consensi per la praticità di lettura da studenti e giudici: il testo generò una serie di imi- tazioni, fino a essere soppiantato, insieme alle altre Summae , da quella composta dal cardinale Enrico da Susa 147 . Degli altri codici censiti nel-

145 F. G ABOTTO , La biblioteca del prevosto di Testona al principio del secolo XIII , in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», 17 (1912), p. 188. Nel corso delle opera- zioni belliche, i Chieresi sottrassero alla chiesa di Santa Maria di Testona, tra i vari beni mobili, “libros etiam, qui in eadem ecclesia erant numero XV”: sulla contesa che oppo- se Testona al comune di Chieri nel 1232 si vedano i documenti raccolti in V. A NSALDI , Cartario della chiesa di Santa Maria di Testona (1194-1300) , in Cartari minori , II, Pinerolo 1911 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, XLIII), pp. 118-124, nn. VIII-XVII (la citazione è trasmessa nel libello delle lagnanze del capitolo della chiesa di Santa Maria di Testona contro il comune di Chieri, del 14 dicembre 1232: ivi , p. 119, n. X), e, specie per le proposte di identificazione del prevosto, G. C ASIRAGHI , La colle- giata di S. Maria: un tentativo di riforma vescovile , in Il rifugio del vescovo cit., pp. 45- 79, in particolare p. 57; sui libri sottratti dai Chieresi alla chiesa di S. Maria di Testona cfr. anche S EGRE MONTEL , Codici dispersi e frammenti ritrovati cit., pp. 126-127. 146 “Item liber summe Bernardi episcopi Faventini super Decretalibus scriptus in carta, sine asseribus, copertus de tela”: F ERRARIS , Le chiese “stazionali” delle rogazio- ni minori a Vercelli cit., p. 266, n. 51. Il codice non è registrato nell’inventario della stes- sa biblioteca steso nel 1361 circa, ma che non fosse presente nel fondo librario non è sicuro poiché questa lista ci è giunta frammentaria: ivi , pp. 261-262. 147 La Summa è edita in E. A. T. L ASPEYRES , Bernardi Papiensis Faventini Episcopi Summa Decretalium , Regensburg 1860 (rist. anast. Graz 1956); su Bernardo da Pavia e sulle sue opere cfr. F. L IOTTA , Bernardo da Pavia , in Dizionario biografico degli Italiani , IX, Roma 1967, pp. 279-284.

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l’elenco non si conosce finora la sorte, sebbene almeno una parte dei manoscritti dell’importante fondo librario riteniamo sia giunta a Vercelli insieme alla Summa Decretalium 148 . Alcuni manoscritti arrivarono a Vercelli tra i bagagli di studenti che studiarono in altre città universitarie, e continuarono a essere testi di stu- dio per decenni. Un gruppo di codici, in buona parte teologici, giunsero certamente da Parigi tra la fine del XII secolo e i primi decenni del Duecento 149 . Altri manoscritti giuridici trecenteschi conservati nella Biblioteca Capitolare di Vercelli presentano decorazioni e miniature che li classificano come prodotti extracittadini, perlopiù di area bolognese. Uno di questi, come testimoniano le sue miniature di scuola bolognese, è l’elegante manoscritto trecentesco delle Decretales , ora Cod. V della Biblioteca Capitolare di Vercelli, legato dall’arcidiacono della cattedra- le Martino da Bulgaro al capitolo e alla chiesa di Vercelli negli anni cin- quanta del XIV secolo 150 . Nel f. 1v del manoscritto l’arcidiacono ricor- da la sua donazione di codici, reliquiari e altri preziosi beni al capitolo cattedrale, tra i quali un “pulcerrimus Sextus glosatus” 151 . I legati sono ancora registrati nel suo necrologio e nel testamento del

148 Mi sto occupando di questo inventario librario all’interno di una ricerca in corso sul capitolo cattedrale di Torino in età bassomedievale. 149 Cfr. da ultimo S. C ASTRONOVO - A. Q UAZZA , La Biblioteca del Capitolo vercelle- se , in A. Q UAZZA - S. C ASTRONOVO , Biblioteche e libri miniati in Piemonte tra la fine del XII e il primo terzo del XIV secolo: alcuni percorsi possibili , in Gotico in Piemonte , a cura di G. R OMANO , Torino 1992, pp. 273-280. 150 Catalogo delle cose d’arte e di antichità d’Italia. Vercelli , a cura di A. M. BRIZIO , Roma 1935, pp. 106-107; sul codice cfr. anche P ASTÈ , Vercelli. Archivio capi- tolare cit., p. 77. 151 f. 1v: “Millesimo trecentesimo quinquagesimo. Iste Decretales sunt venerabilis viri domini Martini de Bulgaro archidiaconi Vercellensis, filii quondam domini Iacobi de Bulgaro militis de Vercellis, quas legavit Deo et beato Eusebio et capitulo et ecclesie Vercellensis unaa cum uno [ la scrittura che segue è cancellata ed è leggibile con diffi- coltà con la lampada di Wood ] pulcerrimo Sexto glosato et septimo cum legendis tron- catis pulcerrimis et cum uno corrali ponendos in domo librarie cum bonis cathenis cum Biblia parva pulcerrima de littera parisina coperta de veluto. Item legavit corralium unum cum pede de argento et lapidibus pendentibus et circumquaque et linguis serpen- tium ponendum super altare in festivitatibus maioribus. Item legavit unum anulum gros- sum ligatum de auro finissimo cum lapidibus carbunculis et saphirinis circumquaque positis tenendum in thesauro pro anima ipsius domini archidiaconi et suorum parentum. Item et calicem. Quod episcopi qui fuerint pro tempore non possint in predictis aliquid venditare neque emere vel permutare sive donare”.

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7 febbraio 1362, dove, oltre alle Decretales “magnas et pulcras glosa- tas”, troviamo “Clementinas non glosatas”, certamente un codice diver- so dal Sextus nominato nella nota al f. 1v del Cod. V, che risulta corre- dato da glosse 152 . Quest’ultimo manoscritto non può essere identificato nelle Clementinae ora Cod. XXI della Biblioteca Capitolare di Vercelli, codice privo di miniature e certamente non “pulcerrimus”, forse prodot- to localmente 153 ; tracce d’uso di questo manoscritto nel secolo seguente sono indicate da una nota apposta dal iuris utriusque doctor Lanfranco Avogadro di Quaregna, che, nella prima metà del Quattrocento, ebbe in prestito il manoscritto 154 . Anche lo studio delle note lasciate dai diversi possessori dei mano- scritti, reso spesso difficoltoso dai tentativi di cancellazione operati nei diversi passaggi di mano dei libri, indica provenienze esterne da Vercelli. Il manoscritto della seconda metà del secolo XII ora Cod. CXXVII della Biblioteca Capitolare di Vercelli – che trasmette glosse ad Codicem di diverse mani e di età diversa, indicazione di un lungo uso del codice – reca nel recto del foglio di guardia la nota di possesso del priore del monastero di S. Bartolomeo di Porta Ravennate, importante quartiere

152 Per la donazione di Martino da Bulgaro a favore del capitolo della cattedrale di Vercelli cfr. P ASTÈ , Donatori di Codici Eusebiani cit., pp. 211-212; M ANDELLI , Il comu- ne di Vercelli nel Medioevo cit., III, pp. 108-109; F ERRARIS , Le chiese “stazionali” delle rogazioni minori a Vercelli cit., p. 128, nota 78; pp. 221-223, nota 338. La salma di Martino de Bulgaro venne deposta nella grande arca sepolcrale in S. Eusebio, destinata alla sepoltura comune dei canonici, il primo settembre 1368: per il suo necrologio cfr. COLOMBO , I Necrologi Eusebiani cit., pp. 362-363, n. 655, dove è appellato “iuris cano- nici peritus”. Tra i codici della Biblioteca Capitolare di Vercelli posseduti da Martino da Bulgaro vi è anche il codice liturgico ora Cod. III. 153 Le uniche decorazioni sono i capilettera di colore blu e rosso; la fattura dimessa del codice è evidente anche nel taglio irregolare dei fascicoli pergamenacei. Propongono invece, con riserva, l’identificazione con il Cod. XXI sia P ASTÈ , Vercelli. Archivio capi- tolare cit., p. 82, sia F ERRARIS , Le chiese “stazionali” delle rogazioni minori a Vercelli cit., p. 221. 154 La nota, nel verso del foglio di guardia incollato al piatto di legno anteriore, ripor- ta: “Hee [ sic ] Clementine sunt venerabilissimi Capituli Sancti Eusebii et michi Lanfrancho de Advocatis iuris utriusque doctori eius advocato comodate. Idem Lanfranchus”. Su Lanfranco Avogadro di Quaregna cfr. A RNOLDI , Libro delle investiture cit., pp. 281-282, n. XXV; pp. 287-288, n. XXXI: è documentato come “iuris utriusque doctor” il 19 giugno 1467, tra i testimoni dell’inventario della biblioteca dell’abbazia vercellese di S. Andrea: T IBALDESCHI , La biblioteca di S. Andrea di Vercelli nel 1467 cit., p. 68.

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urbano di Bologna (“Prioris sancti Bertolomei de Porta Ravenate”) 155 ; il passaggio del codice in area lombarda è indicato da una nota di stima tardo trecentesca, apposta poco sotto (“Codex precii florenorum VIII”). Acquisire dati sulla circolazione libraria permette di tracciare profili culturali e percorsi di studio di personaggi appartenenti ad ambiti profes- sionali, come il notariato, che prevedevano una formazione nel campo del diritto. Antonio Gallo da Fontaneto, notaio attivo a Vercelli negli anni ses- santa del Trecento, ebbe un rapporto privilegiato con la canonica di S. Andrea di Vercelli, presso cui, come sappiamo dal suo testamento del 9 luglio 1361, fissò la sua sepoltura. Al testamento fa seguito l’inventario dei beni mobili del testatore, tra i quali sono elencati i suoi libri 156 . La stima dei manoscritti, che trasmettono testi legati alla professione notarile, è piutto- sto bassa, indicazione che erano codici d’uso quotidiano, di fattura essen- ziale: oltre a un’opera di diritto non precisata, probabilmente le Institutiones (“Item librum I institute legum vetus”, stimato “circa librarum VIII”), troviamo la prevedibile Rolandina , cioè la Summa artis notariae di Rolandino Passeggeri, unita al Flos ultimarum voluntatum dello stesso Rolandino (“Item summam I Rolandinam cum flore testamentorum”, sti- mata “librarum VIII”) – testo particolarmente utile negli anni di peste in cui si trovò a rogare Gallo, che era ancora piuttosto giovane quando dettò le ultime volontà 157 – e, sempre di Rolandino, l’ Aurora (“Item librum I

155 Su questo quartiere, particolarmente importante per l’attività della corporazione dei campsores , la società che raccoglieva gli operatori attivi nell’area del prestito in ambiente pubblico, si veda R. G RECI , Ascesa e declino di una famiglia mercantile due- centesca: i Principi , in I D., Mercanti, politica e cultura nella società bolognese del basso medioevo , Bologna 2004, pp. 1-52 passim , già edito con il titolo Una famiglia mercantile nella Bologna del Duecento: i Principi , in Spazio, società, potere nell’Italia dei comuni , a cura di G. R OSSETTI , Napoli 1986, pp. 105-141; G. A LBERTANI , Traffico di denaro nelle grandi città. Il prestito cristiano a Bologna tra Due e Trecento , tesi di Dottorato di Ricerca in Storia Medievale, XX ciclo, anno 2008, relatore M. G. MUZZARELLI . Sul codice ora vercellese cfr. D OLEZALEK , Repertorium manuscriptorum veterum Codicis Iustiniani cit., I, pp. 442-443. 156 Una copia del suo testamento venne copiata da Gallo in un protocollo - ora Archivio Storico del Comune di Vercelli, prot. 1348 [n. 1178], ff. 31r-35r - nel quale sono trasmessi atti rogati nell’anno 1361; il testamento e l’inventario dei beni del notaio sono editi in C OPPO - F ERRARI , Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., pp. 160-166. 157 Al momento del testamento la madre Agnese è ancora viva, incaricata, con la moglie del notaio Franceschina, di essere tutrice dei figli di Gallo e dei possibili nasci- turi: C OPPO - F ERRARI , Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., p. 160.

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Aurore super contractibus”, stimato “librarum II”) 158 . Nell’inventario que- sto codice risulta essere conservato in un baule (“in scrineo”) collocato nella canonica di S. Andrea, “super camera scriptorie”, indicazione dell’e- sistenza nell’abbazia di un locale preposto alla copia 159 . Sempre per il curriculum dello studente di ars notaria , possiamo sof- fermarci brevemente su un codice delle Institutiones , passato poi alla Biblioteca Capitolare di Vercelli con la segnatura Cod. XIV, che ci per- mette di conoscere alcuni dati sul soggiorno in Bologna di studenti ver- cellesi, particolarmente illustrato da una serie di note che affollano il manoscritto 160 . Nell’interno del piatto ligneo superiore è riportata una

158 La distribuzione delle opere di Rolandino indicata nell’inventario di Antonio Gallo induce a escludere una relazione tra queste e la Summa artis notariae trasmessa nel codice, databile al primo Trecento, ora presso la Biblioteca Capitolare di Vercelli, Cod. CVI, perché in questo manoscritto la Summa (ff. 1r-58r) precede l’ Aurora di Rolandino (ff. 59r-87r) e l’ Aurora novella di Pietro Boattieri (ff. 87v-139v). Questo manoscritto, che non presenta note di possesso, è registrato nell’inventario della Biblioteca Capitolare redatto nel 1426 dal canonico Giovanni de Guidalardis (“Item liber Summe magistri Rolandini scriptus in carta cum duobus asseribus copertus de corio albo et in fine libri descriptum est explicit aurora novella”): F ERRARIS , Le chiese “stazionali” delle rogazioni minori a Vercelli cit., p. 267, n. 85. 159 Su Rolandino Passeggeri limito il rimando a R. N AZ , Passeggeri Rolandino , in Dictionnaire de droit canonique cit., VI, pp. 1251-1253; Rolandino 1215-1300. Alle ori- gini del notariato moderno. Bologna, Museo Civico Medievale, 12 ottobre-17 dicembre 2000 , a cura di G. T AMBA , Bologna 2000; Rolandino e l’ars notaria da Bologna all’Europa . Atti del convegno internazionale di studi storici sulla figura e l’opera di Rolandino (Bologna, 9-10 ottobre 2000), a cura di G. T AMBA , Milano 2002 (Per la sto- ria del notariato nella civiltà europea, 5). Sull’ Aurora in particolare si veda G. ORLANDELLI , Osservazioni sul codice farfense 28 della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma , in Paleographica, Diplomatica et Archivistica. Studi in onore di Giulio Battelli , I, Roma 1979 (Storia e Letteratura. Raccolta di Studi e Testi, 139), pp. 305-313; I D., Sulla produzione libraria bolognese e parigina nel secolo XIII e sulla data dell’Aurora di Rolandino , in I D., Scritti di paleografia e diplomatica , a cura di R. F ERRARA - G. F EO , Bologna 1994 (Istituto per la storia dell’Università di Bologna. Opere dei maestri, 7), pp. 485-492, già pubblicato in «Atti della Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. Classe di Scienze Morali. Rendiconti», 70 (1981-1982), pp. 103-108; A. GRAZIA , Ricerche sull’Aurora di Rolandino e sulla ‘Lectura notarie’ , in «Strenna stori- ca bolognese», 34 (1984), pp. 181-201; M. B ERTRAM , I manoscritti delle opere di Rolandino conservati nelle Biblioteche italiane e nella Biblioteca Vaticana , in Rolandino e l’ars notaria da Bologna all’Europa cit., pp. 683-718; E. M ARMOCCHI , L’Aurora: Rolandino oltre l’Ars notaria , ivi , pp. 667-680. 160 Sul codice cfr. D OLEZALEK , Verzeichnis der Handschriften zum römischen Recht bis 1600 cit., II, s. v.

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nota di possesso dell’arciprete della chiesa di S. Nazario di Quinto, apposta anni dopo l’arrivo del manoscritto in Vercelli, e alcune registra- zioni di pagamenti risalenti alla tappa bolognese del codice, datate all’anno 1346 161 . Nel recto del foglio di guardia troviamo ancora alcune note di contabilità e la data dell’arrivo a Bologna, nel dicembre 1342, dello studente che entrò in possesso del manoscritto 162 . Interessante per la biografia dell’importante giurista Iacopo Bottrigari, poco nota per gli ultimi anni della sua vita, è la notizia del deposito del nostro codice ora vercellese presso un feneratore abitante nei pressi della domus di Bottrigari 163 . Nell’interno del piatto inferiore sono riportate alcune note del possessore più tardo del manoscritto, Melchionis de Vercellis , “filius Dominici”, che, nel 1387, è documentato studente a Bologna, dove acquistò il codice per due ducati d’oro 164 ; prima del vercellese, il codi-

161 “Iste liber Instituta est domini archipresbiteri de Quinto dummodo satisfaciat de florenis VII quos habuit de thesauro”. Più sotto, di mano e inchiostro diversi, le note di pagamento: “millesimo CCC° XLVI, die XXVIIII mensis madii. Ego Bartholomeus de Burgo acepi [ sic semper ] a Phelippo [ sic semper ] de Parma sub isto pignore XL solidos. Item acepi a dicto Phelippo die V a mensis iunii XX solidos. Item acepi a dicto Phelippo die X mensis iunii XX solidos”. Al f. 63v, al termine del testo, si legge la nota, in inchio- stro rosso: “Hanc Institutam michi acomodavit dominus magister [ segue una rasura ]”. 162 “Quando Bononiam veni M°CCCXLII, die VII mensis decembris. In exitu dicti mensis veni Bononiam”. 163 “M°CCCXLII, die XI mensis marcii, posui codicem meum apud quemdam fene- ratorem, qui moratur iusta domum domini Iacobi de Butrigariis per XXIIII libras ad rationem quatuorum denariorum pro libra”. La mano che appose questa nota non è la medesima dello studente giunto a Bologna nel dicembre dello stesso anno: probabil- mente quest’ultimo acquistò il manoscritto dal citato feneratore. Sul doctor iuris Iacopo Bottrigari, che morì di peste a Bologna il 9 aprile 1348 e venne sepolto nella chiesa cit- tadina di S. Francesco, cfr. S AVIGNY , Geschichte des römischen Rechts im Mittelalter cit., VI, Heidelberg 1831 (rist. anast. Darmstadt 1956), pp. 68-70; F. C AVAZZA , Le scuo- le dell’antico Studio bolognese , Milano 1896 (rist. anast. Bologna 1987. Athenaeum, 28), pp. 100-101; p. 223, n. XX-XXI; D OLEZALEK , Verzeichnis der Handschriften zum römischen Recht bis 1600 cit., III, s. v.; A. T OGNONI CAMPITELLI , Bottrigari, Jacopo , in Dizionario biografico degli Italiani , XIII, Roma 1971, pp. 498-510. 164 “Iste liber est mei Mel‹chi›onis Dominici de civitate Vercellarum”; “Iste liber est ‹Melchionis› filii Dominici †…† de Vercellis studentis Bononie, quem emit pro precio et nomine precii II ducatorum boni aurei et iusti ponderis sub anno Domini millesimo ‹tr›ecentessimo octuagessimo septimo, indicione decima de mense septembris”. Melchionis de Vercellis registra anche, in basso, il nome di Carlo Malatesta (“Karolus de Malatestis”), signore di Rimini, che, nel 1387, consolidò i suoi rapporti con Gian Galeazzo Visconti: proprio nel mese di settembre di quell’anno papa Urbano IV gli con- ferì il titolo di gonfalone della Chiesa, e probabilmente per questa ragione ne venne

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ce era appartenuto al lombardo Nicolò de Pognana 165 . Nel recto del secondo foglio di guardia Melchionis de Vercellis , ormai rientrato in patria, ricorda l’avvio, nel 1390, della sua professio- ne notarile “in palacio comunis Vercellarum” 166 . Si tratta di una notizia importante sull’ iter di formazione professionale dei notai vercellesi: l’a- spirante alla carriera notarile non esitava a recarsi a studiare in Bologna per un tempo non breve, nel caso di Melchionis de Vercellis , come risul- ta dalle sue note, per oltre due anni. Il Liber matriculae dei notai di Vercelli offre alcune coordinate biografiche a questo personaggio: Melchiorre Avogadro di Quaregna, registrato nel Liber il 2 giugno 1397, è il secondo del gruppo di trentasei notai che aprirono la matricola 167 . Un importante fondo librario di un ecclesiastico attivo a Vercelli è quello appartenuto a Manuele Fieschi dei conti di Lavagna, canonico di York e cappellano papale, poi vescovo di Vercelli dal 1343 alla sua morte, avvenuta nel 1348 168 . Il 27 giugno di quest’ultimo anno Manuele dettò il suo testamento a Milano, nella camera dell’arcivescovo Giovanni da Milano “iuxta claustrum sancti Ambroxii Mediolanensis”, stabilendo di essere tumulato alla cappella della Madonna, nella catte- drale di S. Eusebio di Vercelli, di cui aveva disposto l’edificazione e la

riportato il nome dallo studente vercellese nel suo codice (poco più in alto viene anche annotato “Galeaz Vicecomes”): A. F ALCIONI , Malatesta (de Malatestis), Carlo , in Dizionario biografico degli Italiani , LXVII, Roma 2007, pp. 17-21. 165 Nell’interno del piatto inferiore: “Iste liber legis est Nicholoxii de Pognana”. 166 “Anno domini MCCCLXXXX, indicione XIII a de mense ianuarii incepi exerce- re officium notarii in palacio comunis Vercellarum ad banchum Ursi”. Poco sotto, forse la stessa mano, impiegando un identico inchiostro, annota: “Iste liber Institutionum est mei Melchionis” e “Iste liber Institutionum est mei Melchionis de Vercellis”. Si legge anche, in alto, una annotazione di altro scriba datata marzo 1332, e una probatio calami che registra l’anno 1371. 167 F. 1r: “Ego Melchior, filius domini Dominici de Advocatis de Quinto, publicus imperiali auctoritate notarius ac civis et notarius Vercellensis, habitans Vercellis in vici- nia Sancti Bernardi, millesimo trecentessimo nonagesimo septimo, indicione quinta, die secundo mensis iunii, intravi collegium notariorum comunis Vercellarum et me propria manu in presenti notariorum matricula subscripsi signumque meum tabelionatus officii consuetum apposui”. Il Liber matriculae dei notai di Vercelli, edito a cura di A. OLIVIERI , è consultabile in rete all’indirizzo http://scrineum.unipv.it/LM/home.html. 168 F. U GHELLO , Italia sacra sive de episcopis Italiae et insularum adjacentium , IV, Venetiis 1719, col. 804; E UBEL , Hierarchia Catholica cit., I, p. 552; per documenti rela- tivi a Manuele Fieschi e ad altri membri della sua famiglia in Vercelli e Biella cfr. BORELLO - T ALLONE , Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., III, pp. 120-121 s.

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dotazione 169 . L’11 novembre 1348 Papiniano Fieschi, “commissarius et subexecutor camere Sedis apostolice” per la raccolta e il recupero dei beni e crediti del vescovo defunto, nominò suo procuratore generale Giacomo de Magio di Biella, il rettore della chiesa di S. Maria di Miralda, presentando, il 13 dicembre successivo, il dettagliatissimo ren- diconto delle spese sostenute per la successione di Manuele 170 . Alla morte di Manuele Fieschi i beni vennero quindi incamerati dalla Santa Sede per ius spolii : a partire dal pontificato di Clemente IV infat- ti la Camera apostolica esercitò il diritto di prelevare gli spolia apparte- nuti ai prelati morti apud Sedem apostolicam , anche quando i defunti avevano lasciato un testamento. Dal Trecento, tuttavia, la Santa Sede riservò per il tesoro papale anche i beni ecclesiastici di vescovi e abati deceduti extra curiam : in questo caso si dava incarico a un collettore di raccogliere i beni mobili, di cui veniva redatto un inventario 171 . Del Fieschi conosciamo l’inventario dei beni eseguito dalla Camera per gli spogli il 23 gennaio 1353, conservato in triplice redazione nei Registra Avenionensia 172 . I quarantasette manoscritti registrati compongono un patrimonio librario caratterizzato da una forte prevalenza del diritto, a conferma della preparazione dei vescovi vercellesi in utroque iure : il diritto canonico è rappresentato dal Corpus iuris canonici completo e dai più importanti apparati 173 , mentre, per lo ius civile , Manuele posse- deva buona parte del Corpus iuris civilis 174 . Sono anche numerosi i testi per la liturgia e la predicazione 175 ; per la sezione filosofica e teologica,

v. Flischo (de) . Sui Fieschi limito il rimando, da ultimo, a G. P ETTI BALBI , Governare la città. Pratiche sociali e linguaggi politici a Genova in età medievale , Firenze 2007. 169 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXXXI (1337-1338). 170 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXXXI (1337-1338). 171 Sul diritto di spoglio cfr. A. P ARAVICINI BAGLIANI , Le biblioteche curiali duecente- sche , in Libri, lettori e biblioteche dell’Italia medievale (secoli IX-XV). Fonti, testi, utiliz- zazione del libro . Atti della tavola rotonda italo-francese (Roma, 7-8 marzo 1997), a cura di G. L OMBARDI - D. N EBBIAI DALLA GUARDA , Roma 2000 (Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane - Documents, Études et Répertoires publiées par l’Institut de Recherche et d’Histoire des textes, 64), pp. 263-275, con ulteriore bibliografia. 172 Archivio Segreto Vaticano, Registra Avenionensia, reg. 122, ff. 202v-203v; reg. 125, ff. 215v-216v; reg. 127, f. 298r-v: per l’edizione dell’inventario cfr. Appendice, 2. 173 Appendice, 2, nn. 5-7, 10, 12, 14, 17, 21, 28, 30, 32, 33, 35, 37-40, 42, 45. 174 Appendice, 2, nn. 27, 31, 34, 43. 175 Appendice, 2, nn. 1-4, 8, 9, 11, 15, 19, 20, 22-24.

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accanto a un più consueto Boezio ( De consolatione philosophiae )176 , troviamo l’intera Summa theologiae di Tommaso d’Aquino 177 ; la patri- stica è presente con i Dialogi e i Moralia di s. Gregorio Magno 178 . Nel fondo librario è anche citato il diffusissimo Thesaurus pauperum , manuale di ricette mediche composto alla metà del XIII secolo da Pietro Ispano, poi papa Giovanni XXI 179 . È possibile ricostruire l’origine di una parte della biblioteca di Manuele Fieschi. Nel 1336 venne redatta ad Avignone una stima del ric- chissimo corpus librario del cardinale Luca Fieschi, composto da novantotto libri, di cui ottantanove stimati per un totale di 1361 fiorini. La biblioteca venne in parte alienata dal canonico di Liegi Antonio de Bugella , agente degli esecutori testamentari 180 : gli acquirenti del fondo andato in vendita furono perlopiù membri della famiglia, tra cui Manuele Fieschi, che, nel settembre 1336, acquistò alcuni testi per la liturgia e per la predicazione, oltre a un “Decretum cum apparatu” 181 . A proposito dei testi di diritto civile di Manuele Fieschi, tutte le regi- strazioni portano la nota “extractum pro nepotibus” 182 : secondo una pra-

176 Appendice, 2, n. 16. 177 Appendice, 2, nn. 18, 44, 46, 47. 178 Appendice, 2, nn. 13, 29. 179 Appendice, 2, n. 25. 180 Bibliothèques ecclésiastiques au temps de la papauté d’Avignon , I, publ. par D. WILLIMAN , Paris 1980, pp. 125-134, n. 336.1. Di particolare interesse sono i libri di dirit- to canonico, tra i quali troviamo le Decretales con apparato, quest’ultimo forse auto- grafo dello stesso autore Sinibaldo Fieschi, poi Innocenzo IV. 181 “Item, die lune 9 mensis septembris, dominus Manuel de Flisco, domini pape notarius, emit 1 Bibliam, mediocris voluminis, copertam de velluto rubeo, extimatam flo- renos 30. Item 1 Decretum cum apparatu, copertum corio viridi, extimatum florenos 36. Item 1 Cronicam glosatam, parvi voluminis, extimatam florenos 2. Pro quibus omnibus solvit florenos 68. […] Item, die Mercurii 11 septembris, emit dominus Manuel de Flisco, domini pape notarius, Sermones diversorum predicatorum, qui incipit in 2 a col. 1 e pag. // et cum magna , extimatos florenos 3, pro quibus solvit florenos 3. Item, eodem die, idem dominus Manuel emit Concordantias Biblie antiquas, que incipit in 2 a col. 1 e pag. // .IX.a. , extimatas florenos 4, quos solvit florenos 4”: quest’ultimo codice lo ritroviamo nello spoglio per il tesoro papale dei libri di Manuele Fieschi (cfr. Appendice, 2, n. 19). 182 Appendice, 2, nn. 27, 31, 34. Tra i codici di diritto canonico, uno (n. 14) restò cer- tamente nella biblioteca papale, ed è l’attuale Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Borg. 288: A. M AIER , Handschriftliches zum «Opus metricum» Stefaneschis , in «Italia medioevale e umanistica», 10 (1967), pp. 111-141, in particolare pp. 137-138; sul codice cfr. anche H. D ONDORP , Review of Papal Rescripts in the Canonists’

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tica piuttosto consueta, infatti, si destinavano i testi giuridici per la for- mazione dei nipoti, perlopiù ecclesiastici 183 . Nel caso di Manuele, tra i nipoti che fruirono dei codici va ricordato certamente Papiniano Fieschi – suo vicario generale e iuris peritus , figlio di Gabriele, conte di Lavagna – il quale definì Manuele, zio paterno, “dominus suus et patruus” nel testamento rogato a Genova il 2 settembre 1361 184 . Proprio in successivi codicilli del testamento di Papiniano si trovano le disposi- zioni dettate da Manuele Fieschi, di cui il nipote fu esecutore testamen- tario, per la fondazione a Bologna di un collegio a favore di sei studen- ti pauperes delle famiglie Fieschi, elemento indicatore della sensibilità per il mondo universitario posseduta dal vescovo vercellese 185 .

5. In terra aliena. La cessazione delle attività dello Studium generale di Vercelli

Con il passaggio dalle istituzioni comunali a quelle signorili-princi- pesche, gli Studia conobbero generalmente fasi di espansione. Nei primi decenni di dominazione i Visconti non attuarono una chiara politica uni-

Teaching , in «Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, Kanonistische Abteilung», 76 (1990), pp. 172-253, in particolare pp. 232-234. 183 Per l’area vercellese segnalo a questo proposito la piccola biblioteca lasciata dal canonico di S. Stefano di Biella Ardicio de Codecapra de Bugella , “filius quondam Otonis”, nel suo testamento datato 26 settembre 1399: Archivio Arcivescovile di Vercelli, Fondo Bonomio, Investiture, mz. 1, ff. LXIIIv-LXVIr. Il canonico legò al patri- monio della sua famiglia, con il divieto di alienarli, “unum breviarium in quo contine- tur divinum officium”, “psalterium parum”, “musicam notatam” e un “Albertanum librum morale”, un’opera non identificabile di Albertano da Brescia (f. LXVv). Nel caso qualche parente avesse intrapreso gli studi, “dictos libros tenetur in ussum suum in vita sua”, avendo cura di disporne la restituzione agli eredi di Ardicio. 184 Una copia, tratta il 13 maggio 1407, è conservata in Archivio Capitolare di Vercelli, Atti di vescovi, cartella XXI (1330-1361). Morì in Genova il 10 giugno 1364: D. C AMBIASO , I vicari generali degli Arcivescovi di Genova , in «Atti della Società Ligure di Storia Patria», n. s., 12 (1972), fasc. 1, pp. 11-70, in particolare p. 19. 185 Il collegio venne eretto solo nei primi anni del Cinquecento: S. M AZZETTI , Memorie storiche sopra l’Università e l’Istituto delle Scienze di Bologna e sopra gli sta- bilimenti e i corpi scientifici alla medesima addetti , Bologna 1840; C AMBIASO , I vicari generali cit., p. 19, con bibliografia. Un altro Manuele Fieschi de Ianua risulta “scola- ris studens Bononie in iure civili” in un atto, dove è presente come teste, rogato a Bologna il 22 ottobre 1377: Chartularium Studii Bononiensis cit., VI, Bologna 1921, pp. 127-129, n. CXXVI (1957).

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versitaria sfavorevole allo Studium vercellese, e i due contratti stipulati dal comune di Vercelli con i lettori Pietro di Rainalduccio da Perugia e Salvo Marano, nell’autunno 1338, lo dimostrano. L’evento fatale per l’Università di Vercelli fu l’istituzione dello Studio di Pavia: dai primi decenni del XIV secolo le università agivano ormai in un quadro politico-istituzionale di respiro più ampio, passando dall’ambito cittadino a quello regionale, e Pavia si inserì con successo in questa dimensione 186 . L’Università di Pavia venne istituita con un pri- vilegio di fondazione concesso ai Visconti da Carlo IV di Lussemburgo nel 1361 187 ; a questo diploma, del 13 aprile, fece subito seguito l’azione di Galeazzo Visconti che, constatata la presenza in Pavia di un gruppo sufficiente di docenti per i previsti insegnamenti di diritto civile e cano- nico, filosofia, medicina e artes , il 27 ottobre decretò che gli studenti suoi sudditi dovessero recarsi esclusivamente a Pavia 188 . L’ iter costitu- tivo dello Studium si completò con la bolla di papa Bonifacio IX del 16 novembre 1389, che conferì un definitivo assetto organizzativo e istitu- zionale all’università ticinense 189 . Lo Studio di Pavia fu immediatamente attivo, come dimostrano la docenza dei giuristi Signorolo degli Omodei e Riccardo da Saliceto, da un lato, e le lezioni di medicina tenute a partire dall’anno accademico 1365-1366 da Albertino Rinaldi da Salso di Piacenza dall’altro, tra- smesse nei codici ora 1041 e 1065 della Biblioteca Palatina di Parma, e la collazione dei gradi accademici in medicina a partire dal 1362. Tra gli actus publici troviamo coinvolto, come autore delle orazioni “in con- ventu”, Giovanni Dondi dall’Orologio, medico, filosofo, astrologo e professore di medicina, noto tra i suoi contemporanei per la costruzione di uno splendido astrario e, tra gli studiosi moderni, soprattutto per la sua amicizia con Francesco Petrarca 190 .

186 Sulle fondazioni universitarie tre-quattrocentesche istituite all’interno di signorie territoriali cfr. C. F ROVA , Le istituzioni scolastiche , in Le Italie del tardo medioevo , a cura di S. G ENSINI , Pisa 1990 (Centro di Studi sulla Civiltà del tardo Medioevo S. Miniato. Collana di Studi e Ricerche, 3), pp. 275-290; E AD ., Crisi e rifondazioni cit., pp. 44-47. 187 MAIOCCHI , Codice diplomatico dell’Università di Pavia cit., I, pp. 7-9, n. 1. 188 MAIOCCHI , Codice diplomatico dell’Università di Pavia cit., I, p. 9, n. 2. 189 MAIOCCHI , Codice diplomatico dell’Università di Pavia cit., I, pp. 160-161, n. 316. 190 Per gli esordi dello Studium di Pavia - noti soprattutto attraverso i dati che pro- vengono da codici universitari, i quali compensano la carenza di fonti documentarie - si

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La perdita di Bologna, pochi mesi prima dell’emanazione del diplo- ma imperiale di fondazione dell’ateneo pavese, aveva reso chiara la necessità di dotare il territorio visconteo di un proprio centro universi- tario, e la scelta cadde su Pavia, città da poco definitivamente sotto- messa a Milano. Una funzione importantissima dei nuovi Studia signo- rili era offrire una risposta alla domanda di formazione dell’apparato amministrativo e giudiziario richiesta dalle forme proto-statali in via di composizione. I primi reclutamenti di personale nei Consigli ducali, in particolare nel Consilium iustitiae , sono composti proprio da doctores dello Studio cittadino 191 . E la forte capacità di uno Studium generale di attrarre nella sua orbita i vicini centri di formazione di quadri – soprat- tutto di giudici, di consiliatores de iure e di esperti nello ius commune – era una prerogativa che i signori di Milano non esitarono a favorire. Il controllo sui centri di insegnamento superiori e il loro accentra- mento operati dai Visconti furono particolarmente evidenti in direzione di Parma, sede di prestigiose scholae di diritto e di artes , sebbene non vi siano chiare attestazioni di un’attività scolastica di livello universita- rio. Nel 1346 Parma passò nell’orbita della dominazione viscontea: dopo la ricordata ordinanza di Galeazzo Visconti del 27 ottobre 1361, che obbligava tutti i sudditi del dominio a frequentare esclusivamente lo Studium pavese, il 17 settembre 1387 un decreto di Gian Galeazzo colpì più specificatamente Parma 192 . I parmensi che avessero frequentato

veda A. B ELLONI , Giovanni Dondi, Albertino da Salso e le origini dello Studio pavese , in «Bollettino della Società Pavese di Storia Patria», n. s., 34 (1982), pp. 17-47; E AD ., Signorolo degli Omodei cit., pp. 29-39; T. P ESENTI , Le origini dell’insegnamento medi- co a Pavia , in Miscellanea Domenico Maffei dicata cit., III, Goldbach 1995, a cura di A. G ARCÍA Y GARCÍA - P. W EIMAR , pp. 109-130, già pubblicato in Storia di Pavia , vol. III/2, Pavia 1990, pp. 453-474; C AVINA , Inquietudini filoimperiali cit., pp. 89-101. 191 C. S ANTORO , Gli offici del Comune di Milano e del dominio visconteo-sforzesco (1216-1515) , Milano 1968, pp. 240-241; G. P. M ASSETTO , La cultura giuridica civilisti- ca , in Storia di Pavia , vol. III/2, Pavia 1990, pp. 475-531, in particolare p. 514. Sul ruolo dell’Università di Pavia nella costituzione della dominazione viscontea cfr. B RAMBILLA , Genealogie del sapere cit., pp. 86-97; per l’età sforzesca C OVINI , «La balanza drita» cit. 192 Corpus statutorum almi Studii Parmensis (saec. XV) , a cura di U. G UALAZZINI , Milano 1987, pp. CXVI-CXVIII. Possiamo citare un altro bando ducale contro gli stu- denti del dominio visconteo non immatricolati all’Università pavese del 14 settembre 1375, cui fecero seguito, pochi giorni più tardi, disposizioni che concedevano immunità agli studenti che si recavano allo Studio (1375 settembre 26-27): M AIOCCHI , Codice diplomatico dell’Università di Pavia cit., I, pp. 36-37, nn. 46-48.

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corsi superiori in sedi diverse da Pavia sarebbero incorsi in gravi san- zioni; a questo proposito è da sottolineare che le nuove redazioni statu- tarie del comune di Parma del 1347 cercarono di incentivare il trasferi- mento di magistri in città, nominando esplicitamente le facoltà di dirit- to civile, di diritto canonico, di medicina, phisicae vel ciroyae , e, distin- ta da quest’ultima, di artes 193 . Il passaggio di Parma sotto Niccolò III d’Este, signore della città dal 1412, segnò il riavvio, nel medesimo anno, dell’università (“felix Studium secundo viguit”) 194 ; si trattò di una università effettivamente operativa se Filippo Maria Visconti, il 14 ottobre 1415, impose il rien- tro a Pavia di alcuni docenti e studenti, suoi sudditi, che si trovavano nella città emiliana 195 . Tuttavia una forma di convivenza tra i due centri di insegnamento superiore fu possibile: nel 1420, ritornati a Parma, i Visconti tollerarono le scholae cittadine, probabilmente perché autofi- nanziate dalla città e rivolte prevalentemente agli studi teologici 196 . Un’altra deroga alle numerose disposizioni ‘protezionistiche’ in materia di insegnamento universitario emanate dai signori di Milano è l’interes- sante ducale di Filippo Maria Visconti del 25 ottobre 1437, la quale, dalle proibizioni a recarsi in atenei esterni al ducato, escludeva la fre- quenza dell’Università di Torino perché Studium del duca Amedeo VIII, suocero di Filippo Maria 197 .

193 Statuta communis Parmae a. MCCCXLVII , a cura di A. R ONCHINI , Parma 1860, pp. 92, 274-275, 309-310; cfr. anche Corpus statutorum almi Studii Parmensis cit., pp. 106-109. 194 G. P ETTI BALBI , Felix Studium viguit: l’organizzazione degli studenti e dei dotto- ri a Parma nel Quattrocento , in Il pragmatismo degli intellettuali. Origini e primi svi- luppi dell’istituzione universitaria , a cura di R. G RECI , Torino 1996, pp. 201-212, già pubblicato in Università in Europa cit., pp. 37-50. Sui primi secoli di vita dell’Università di Parma si veda R. G RECI , Una duttile università “di frontiera”: lo Studio parmense nel XV secolo , in Le Università minori in Europa cit., pp. 75-94; I D., Tormentate origini , in «Annali di storia delle Università italiane», 9 (2005), pp. 33-46. 195 MAIOCCHI , Codice diplomatico dell’Università di Pavia cit., II/1, (1401-1440) , Pavia 1913 (rist. anast. Bologna 1971), pp. 142-143, n. 217; C. P IANA O.F.M., L’Università di Parma nel Quattrocento , in Parma e l’umanesimo italiano , a cura di P. MEDIOLI MASOTTI , Parma 1986, pp. 97-120. 196 GRECI , Tormentate origini cit., pp. 13-16. 197 MAIOCCHI , Codice diplomatico dell’Università di Pavia cit., vol. II/1, p. 361, n. 505. Sul ‘protezionismo scolastico’ imposto dai centri di potere cfr. A. M ARONGIU , Stato e scuola. Esperienze e problemi della scuola occidentale , Milano 1974, pp. 251-265,

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Gli ultimi anni di vita dell’università vercellese non lasciarono un segno così vivo nella documentazione come riscontriamo per lo Studium parmense. Il 27 aprile 1372, in un atto capitolare, si parla dello Studium generale collocandolo nel passato (“in civitate Vercellarum longo tempore viguit Studium generale, tam iuris canonici quam civi- lis”) 198 . Per gli anni successivi a questo documento non sono emerse ulteriori testimonianze di un insegnamento a livello universitario in Vercelli: i futuri professionisti del diritto e della medicina vercellesi si formarono altrove, inserendosi lungo le rotte di una peregrinatio acade- mica che li portò in buon numero a studiare e ad approvvigionarsi di codici soprattutto a Pavia, ma anche a Bologna e a Ferrara. Limitandoci ad alcuni studenti in diritto negli ultimi anni del Trecento, registriamo Giovanni da Biella, che conseguì la licenza in diritto civile presso lo Studio di Pavia il 25 febbraio 1397, presentato all’ examen dai doctores Baldo degli Ubaldi, Signorolo degli Omodei, Cristoforo Castiglioni e Cristoforo Maletta 199 . L’anno successivo, sempre a Pavia, venne licen-

283-312; G. D E SANDRE GASPARINI , Dottori, Università, Comune a Padova nel Quattrocento , in «Quaderni per la storia dell’Università di Padova», 1 (1968), pp. 15- 47, in particolare pp. 17-19. Anche gli Estensi intervennero sulle città loro soggette (Modena e Reggio) a favore dell’Università di Ferrara, mentre Bologna si distinse per la libertà di spostamento concessa agli scolari: C. P IANA O.F.M., Ricerche su le Università di Bologna e Parma nel secolo XV , Firenze 1963 (Spicilegium Bonaventurianum, 1), pp. 311-314; I D., Il “Liber secretus iuris caesarei” dell’Università di Bologna. 1451-1500 , Milano 1984 (Orbis Academicus. Saggi e docu- menti di storia delle Università raccolti da D. Maffei, 1), pp. 63-64; ulteriori casistiche sono raccolte in A. S OTTILI , Zum Verhältnis von Stadt, Staat und Universität in Italien während des Humanismus dargestellt am Fall Pavia , in Die Universität in Alteuropa , hrsg. v. A. P ATSCHOVSKY - H. R ABE , Konstanz 1994, pp. 53-54; D. G IRGENSOHN , Studenti e tradizione delle opere di Francesco Zabarella nell’Europa centrale , in Studenti, Università, città nella storia di Padova cit., pp. 146-148. 198 Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 96, prot. 1370-1376, ff. 109r-110v (per l’edizione di questo importante documento rimando all’annunciato stu- dio di prossima pubblicazione). Sull’ultima fase di esistenza dello Studio vercellese si veda I. N ASO , La fine dell’esperienza universitaria vercellese , in L’Università di Vercelli nel medioevo cit., pp. 335-357. 199 MAIOCCHI , Codice diplomatico dell’Università di Pavia cit., I, p. 342, n. 554. Un presbiter Giovanni de Bugella, “Vercellensis diocesis”, terminò di copiare, il 21 set- tembre 1402, l’ Ordo pontificalis , trasmesso in due manoscritti ora conservati presso la Biblioteca Capitolare di Trento, cod. 155 ( Pars prima ) e cod. 156 ( Pars secunda ). La copia venne eseguita per le funzioni liturgiche del duomo di Trento; i due codici entra- rono in seguito nella biblioteca capitolare fin dalla sua costituzione, avvenuta nell’anno

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ziato in diritto canonico Giovanni de Vercellis 200 , cui venne conferito il titolo dottorale il giorno seguente 201 . Dopo avere frequentato gli Studia di Bologna e di Pavia, Bartolomeo da Buronzo scelse invece l’Università di Ferrara per concludere i suoi studi, conseguendo la lau- rea in diritto canonico il 5 settembre 1404 202 . Nel corso del Quattrocento continua il flusso di studenti vercellesi verso lo Studium di Pavia, ma a questo iniziò a fare una concorrenza sempre più decisa la giovane Università di Torino, sorta, con bolla di fondazione emanata a Marsiglia il 24 ottobre 1404 dall’antipapa Benedetto XIII, nell’unica città episcopale del principato d’Acaia, e destinata a diventare lo Studium del ducato sabaudo, nella cui orbita Vercelli sarebbe entrata nel 1427 203 .

1469: I manoscritti datati della Provincia di Trento , a cura di M. A. C ASAGRANDE MAZZOLI ET AL ., Firenze 1996 (Manoscritti datati d’Italia, 1), pp. 36-37, nn. 15-16. 200 MAIOCCHI , Codice diplomatico dell’Università di Pavia cit., I, p. 405, n. 720 (1398 novembre 17): i promotores furono i doctores Agostino de Mangano , Tadiolus de Vicomercato e il frater Francesco de Giliis . 201 MAIOCCHI , Codice diplomatico dell’Università di Pavia cit., I, pp. 406-407, n. 724 (1398 novembre 18). 202 Della diocesi di Vercelli, era figlio di Eusebio; suo promotore all’esame di laurea fu Antonio de Budrio : G. P ARDI , Titoli dottorali conferiti dallo Studio di Ferrara nei secoli XV e XVI , Lucca 1901 (rist. anast. Bologna 1970), p. 10. 203 Sulla presenza di studenti e magistri di area vercellese presso l’Università di Torino tra Quattro e Cinquecento si veda da ultimo N ASO - R OSSO , Insignia doctoralia cit., pp. 341-342 s. v. et passim .

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APPENDICI

1 Sapientes iuris attivi in Vercelli nel Trecento

Viene qui fornita una schedatura dei professionisti del diritto in pos- sesso di titoli che indicano la frequenza di scholae giuridiche. Non ven- gono registrati i giuristi stranieri solo occasionalmente attestati in Vercelli - quali, ad esempio, i doctores facenti parte delle familiae di personaggi in visita a Vercelli – né quelli attivi esclusivamente a Biella, sebbene in relazione con il vescovo di Vercelli. L’elenco non compren- de i docenti dello Studium , già ricordati nelle pagine precedenti.

DOCTORES E LEGUM PROFESSORES 1290 A Bertolino da Cornazzano, “doctor legum in civitate Padue”, viene affidata una questione dal giudice e console di Giustizia di Vercelli, Pietro Testa 204 . Il personaggio è piuttosto noto: fu amba- sciatore del comune della sua città, Parma, nel 1311 205 ; nel 1329 risulta vicario di Asti 206 e, nel 1331, di Parma 207 . Fu attivo a Chieri come capitano del Popolo del borgo nel 1333 208 e vicario nel 1341 209 . 1306 Giovanni de Carixio , legum professor , è documentato come teste 210 .

204 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 4 (1290 giugno 5), edito in F ERRARIS , Università, scuole, maestri e studenti cit., pp. 69- 70, n. 3. Un Bertolino de Parma , console di giustizia di Vercelli è ricordato in un docu- mento del 27 maggio 1317, riguardante la causa che divise il convento dei Predicatori di Vercelli da Giovanni Cocorella, per dirimere la quale il console di giustizia in carica Guidone de Ardenghiis nominò il giurisperito Guglielmo de la Serata ; la lite era già stata presentata dinanzi a Bertolino da Parma in data non riportata. 205 I. A FFÒ , Storia della città di Parma , IV, Parma 1795, p. 171. 206 L. C IBRARIO , Delle storie di Chieri libri quattro con documenti , I, Torino 1827 (rist. anast. Torino 1967), pp. 357, 369. 207 Statuta civitatis Dertonae , Milano 1573, f. 236r-v (1331 maggio 24). 208 Appendice al Libro rosso del Comune di Chieri , a cura di F. G ABOTTO , Pinerolo 1913 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, LXXVI/1), p. CXXVIII, n. CL (1333 febbraio 19). 209 RAO , La circolazione degli ufficiali cit., p. 271. 210 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 5 (1306 luglio 7).

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Con Guglielmo de Ripis venne nominato arbitro in una vertenza tra l’ospedale di S. Andrea e l’abate di S. Stefano nel 1308 211 ; l’anno seguente è ancora qualificato come legum professor 212 , mentre nel 1310, con il titolo di doctor , fu tra i presenti – con Guglielmo de la Serata , iuris peritus – alla concordia tra il comu- ne di Vercelli e la comunità di Morano 213 . Il 19 agosto 1310 è arbitro con il titolo di utriusque iuris professor 214 ; il primo set- tembre seguente, in un atto rogato presso l’abitazione di Giovanni de Carixio , è registrato tra i testimoni lo scholaris Giovanni Abachus , forse uno studente del giurista 215 . 1307 Guglielmo de Ripis , utriusque iuris professor e canonico di S. Maria 216 , è ancora attestato nel 1308 217 e nel 1310 218 . 1335 Gregorio de Zabaldonis , legum doctor , arbitro in una causa riguardante l’abbazia di S. Genuario 219 . 1340 Beluinus de Claraschis de Soncino , iuris utriusque doctor , risul- ta vicario del podestà Borolus de Castelleto 220 . 1343 Antonio Cagnoli de Centoriis , legum doctor , è documentato sino al 1378 221 . 1345 Thevaldus de Placentia , Decretorum doctor , è registrato come arbitro in una contesa riguardante gli ecclesiastici della pieve di

211 MANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., III, p. 35 (1308 maggio 24). 212 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXVII; la pergamena è lacerata: si legge l’anno (1309) e il giorno (26). 213 I Biscioni , I/1, pp. 386-390, n. CLXXVII (1310 luglio 28). 214 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 5. 215 MANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., III, p. 35. 216 MANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., III, pp. 34-35 (1307 otto- bre 6). 217 MANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., III, p. 35 (1308 maggio 24). Pochi giorni più tardi è arbitro in una causa tra l’abbazia di S. Andrea e Gualino de Tizonibus ; nell’atto ha il titolo di utriusque iuris peritus : Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 5 (1308 maggio 31). 218 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 5: anche in questo atto è arbitro con il titolo di utriusque iuris peritus . 219 CANCIAN , L’abbazia di S. Genuario di Lucedio cit., pp. 156-165, n. 36 (1335 set- tembre 28). 220 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Pergamene, mazzetta 10, n. 300 (1340 gennaio 30). 221 Cfr. supra , testo corrispondente alla nota 91.

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Robbio 222 . Nel 1370 risulta già defunto 223 . 1347 Antonio de Mussis , legum doctor , è teste nel 1347, insieme ad altri giuristi, alla nomina di Eusebio de Scrivaniis , notaio di Vercelli, a procuratore di Pietro de Arneriis , comes di Cavaglià 224 ; lo ritroviamo, sempre come teste, nel 1348 225 , nel 1353 226 e nel 1354, in documenti relativi alla domus umiliata di S. Cristoforo e al comune di Vercelli 227 . Arbitro nel 1362 228 , nel 1363 229 , e, diver- si anni dopo, nel 1389 230 ; possediamo ulteriori sue attestazioni nel 1384 231 , nel 1386 232 e negli anni 1387-1388, quando il notaio Antonio di Biandrate rogò alcuni atti nell’abitazione di Antonio de Mussis , “in vicinia Sancti Thome” 233 ; nel febbraio 1388 il

222 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXXIX (1344-1345) (1345 settembre 16); la pergamena è unita a un’altra, riguardante sempre la stessa causa, datata 1345 luglio 26. 223 Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 96, prot. 1370-1376, ff. 7r-8r (1370 giugno 25). 224 COPPO - F ERRARI , Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., pp. 43-44, n. 102 (1347 agosto 18). 225 COPPO - F ERRARI , Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., p. 33, n. 64 (1348 maggio 30). 226 Archivio Storico del Comune di Vercelli, prot. 1540 [n. 1467] (1353 settembre 26): l’atto è trasmesso nella pergamena che costituisce la legatura del protocollo, nel- l’interno del piatto superiore. 227 Archivio di Stato di Biella, Archivio Storico della Città, Serie Famiglie, Bulgaro, busta 5 (1354 aprile 1). È registrato come “filius condam domini Georgii”: un Giorgio de Mussis “notarius Vercellensis” è documentato attivo a Vercelli nei primi anni del Trecento (cfr. ad esempio I Biscioni , I/1, pp. 318-320, n. CXLIX, 1303, dicembre 8; Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 6, 1335 marzo 31). Ebbe un figlio di nome Nicola: Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1386-1389, vol. 1, ff. 5r-6r. 228 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Notaio Facione da Biandrate, prot. 953 [n. 792], f. 8r (1362 ottobre 19). 229 Biblioteca Capitolare di Vercelli, ms. 19 ( Codice cartaceo. Sec. XIV-XV ), f. 83r- v (1363 aprile 17); Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 95 (1344- 1364), f. 181v (1358 giugno 1). 230 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Notaio Facione da Biandrate, prot. 973 [n. 812], f. 39r-v (1389 marzo 29). 231 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella LI (1384-1387) (1384 settembre 10). 232 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1386-1389, vol. 1, ff. 5r-6r. 233 Archivio di Stato di Vercelli, Famiglia Berzetti di Murazzano, mz. 42, protocol- lo di Antonio di Biandrate (1386-1389). Il 15 e 16 marzo 1369 invece rogò nella sua abi- tazione il notario Facione da Biandrate: Archivio Storico del Comune di Vercelli, Notaio Facione da Biandrate, prot. 956 [n. 795], ff. 36r-40v.

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comune di Vercelli gli riconobbe il salario per la sua attività di sindacator del comune 234 . Nel 1390 era certamente defunto, quando il figlio Pietro, “filius quondam Antonii”, compare come teste con la qualifica di notaio 235 . Pietro de Mussis , “filius domini Corradi”, legum doctor 236 . 1353 Pietro de Moxo , Decretorum doctor , donò un codice delle Sentenze di Pietro Lombardo alla chiesa di S. Eusebio, ora Cod. CXXV della Biblioteca Capitolare di Vercelli 237 . È probabilmen- te da identificare con il vicario vescovile e canonico di S. Stefano di Biella nel 1312 238 . 1363 Simone de Solerio de Carixio , legum doctor 239 , è ancora attesta- to come “legum doctor diocesis Vercellensis” in una contesa tra Leone de Mirolio , iuris peritus , e il fratello Emanuele nel 1364 240 . 1370 Martino de Vassallis , legum doctor e cittadino di Vercelli, fu arbi- tro con il legum doctor Antonio Cagnoli nella composizione ami- chevole di una vertenza 241 ; sempre come arbitro è attestato, insie-

234 Archivio di Stato di Vercelli, Famiglia Berzetti di Murazzano, mz. 42, “Liber bul- lettarum comunis Vercellarum”, podestaria di Guidone di Vimercate, 1388. 235 Archivio di Stato di Vercelli, Famiglia Berzetti di Murazzano, mz. 42, protocol- lo di Antonio di Biandrate (1390-1392) (1390 dicembre 3). 236 COPPO - F ERRARI , Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., p. 192, n. 16; pp. 43-44, n. 102 (1347 agosto 18). 237 Sec. XIII; nel recto del foglio di guardia, parzialmente strappato, si legge in alto la nota “MCCCLIII. Dominus Petrus de Moxo Decretorum doctor †…† reliquit hunc librum ecclesie beati Eusebii Vercellarum predicti †…†”. Al f. 330v un’altra nota indi- ca un ulteriore possessore del codice, Matteo da Vercelli, e il valore del manoscritto: “Dominus Matheus de Vercelliis, precii librarum X”; poco sopra: “Precii librarum X”. Sul codice cfr. P ASTÈ , Vercelli. Archivio capitolare cit., p. 108 e I D., Donatori di Codici Eusebiani cit., p. 210 (in entrambe queste opere le trascrizioni delle note del manoscrit- to sono estremamente scorrette). 238 I Biscioni , II/2, pp. 259-261, n. CCCXCVIII (1312 gennaio 12); per ulteriori atte- stazioni cfr. B ORELLO - T ALLONE , Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., III, p. 139 s. v. Moxo (de) . 239 SELLA - G UASCO DI BISIO - G ABOTTO , Documenti biellesi cit., pp. 140-141, n. CCXLI (1363 gennaio 26); cfr. anche pp. 141-142, n. CCXLII (1364 gennaio 29). 240 Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 95 (1344-1364), ff. 269r- 270v (1364 marzo 14). 241 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 7 (1370 gennaio 25).

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me a Francesco de Paliate , ancora nel 1377 242 . 1373 Pietro de Cuticis da Milano, legum doctor . È documentato come “vicarius generalis Vercellarum” nel 1373 243 , e, come iuris utriu- sque doctor , nel 1374 244 e nel 1376 245 . Nel 1379 risulta in attività a Chieri 246 . 1387 Dal 24 maggio 1387 al 10 maggio 1388 è attestato a Vercelli Theodiscus de Frixariis de Barrilo , legum doctor e vicario del podestà Spinetta de la Mirandola 247 . Gli subentrò il legum doctor Domenico de Otobellis da Alessandria, vicario di Guidone da Vimercate 248 . 1392 Abbondio de Cumis , legum doctor , fu arbitro in alcune verten- ze 249 . 1395 Dal 19 novembre fu attivo a Vercelli il legum doctor Alberto de Sichis da Caravaggio, vicario del podestà cittadino Paolo de Mantegatiis da Milano 250 . Nel 1396 è nominato in una causa

242 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Notaio Facione da Biandrate, prot. 965 [n. 804], f. 32r-v (1377 aprile 3). 243 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Notaio Facione da Biandrate, prot. 960 [n. 799], ff. 187r-189r (1373 dicembre 16). 244 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Notaio Facione da Biandrate, prot. 961 [n. 800], ff. 207r-208r (1374 settembre 2). 245 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Notaio Facione da Biandrate, prot. 964 [n. 803], f. 82r (1376 febbraio 1). Un Guglielmo de Cuticis de Mediolano , forse un parente, è documentato come giureconsulto a Padova negli anni venti del Trecento: GLORIA , Monumenti della Università di Padova (1222-1318) cit., p. 348, n. 423; il “legum scolaris” Antonio de Cuticis de Mediolano è attestato presso l’Università di Pavia il 14 settembre 1435, dove, nel medesimo anno, ottenne la licenza in diritto civi- le: M AIOCCHI , Codice diplomatico dell’Università di Pavia cit., II/1, pp. 249-250, n. 493; pp. 358-359, n. 500. 246 Archivio di Stato di Torino, Archivio di corte, Raccolte private, Raccolta Biscaretti, mazzo 7, Protocollo del notaio Antonio Fresio (1379-1381), ff. Ivr-Vr (1379 febbraio 3); ff. XIIv-XIIIv (1379 febbraio 4): il giurista è appellato come “legum doc- tor”. 247 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1386-1389, vol. 1, ff. 11r-35v et passim . 248 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1386-1389, vol. 1, f. 53r et passim . 249 COPPO - F ERRARI , Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., p. 192, n. 16 (1392 gennaio 29); p. 193, n. 19 (1392 febbraio 10). 250 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1395-1398, vol. 2, f. 15r-v; et passim per ulteriori attestazioni nel 1396.

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riguardante il convento di S. Paolo dell’ordine dei Predicatori 251 . 1396 Dal 2 agosto 1396 al 5 maggio 1397 è vicario del podestà Giovanni de Pusterla il legum doctor Agostino de Ozula 252 . 1398 Dal 25 maggio è attestato Giorgio de Cazabone , legum doctor , vicario del podestà Ludovico de Poyanis 253 . Il 10 luglio 1398 gli subentrò Bartolomeo de Caroliis de Mutina , legum doctor 254 , documentato fino al 7 gennaio 1399 come vicario del podestà Giovanni Malaspina 255 . 1399 Il 19 agosto è a Vercelli il legum doctor Giovanni de Cavaciis da Carmagnola, vicario del podestà Goffredo de Ubaldinis 256 . Dal 2 dicembre 1400 troviamo Antonio de Zavatariis da Milano, vica- rio dello stesso podestà 257 . 1399 Giovanni de Roydis de Albano , Decretorum doctor , fu vicario generale in spiritualibus del vescovo Ludovico Fieschi 258 . Giorgio de Albano , legum doctor 259 ; nel 1400 è registrato nel “collegium iudicum Vercellarum” 260 , e l’anno seguente è attesta- to come arbitro 261 .

IURIS PERITI 1305 Guglielmo de la Serata , iuris peritus , è documentato negli anni

251 Archivio di Stato di Vercelli, Corporazioni religiose, Domenicani di S. Paolo, Pergamene, mz. 225, perg. 32 (1396 gennaio 27). 252 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1395-1398, vol. 2, ff. 26r-37v. 253 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1398-1403, vol. 3, f. VIIr-v. 254 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1398-1403, vol. 3, f. XIIIr-v. 255 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1398-1403, vol. 3, ff. XXXIIr- XXXIIIIr; cfr. anche I Biscioni , I/3, pp. 199-201, n. DCXLV (1398 dicembre 19). 256 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1398-1403, vol. 3, f. XXXVv. 257 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1398-1403, vol. 3, ff. XLIr- XLIIr. 258 Cfr. supra , testo corrispondente alla nota 103. 259 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1398-1403, vol. 3, ff. XXXIIr- XXXIIIIr (1399 gennaio 7). 260 Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 98 (1390-1408), fasc. 10, ff. 40v-41r (1400 maggio 17). 261 Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 99 (1401-1569), fasc. 12 (1401 novembre 21).

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1305 262 , 1309 263 , 1310 264 , 1313 265 e 1317 266 . Paxius (Paxinus ) de Cremona , utriusque peritus , fu arbitro nel 1305 267 ; nel 1308 venne registrato come teste a un atto riguardan- te una controversia del comune di Vercelli con Pietro d’Azeglio 268 , e, nel 1310, fu tra i presenti, con il doctor legum Giovanni de Carixio e Guglielmo de la Serata , iuris peritus , alla concordia tra il comune di Vercelli e la comunità di Morano 269 . È ancora documentato nel 1315 270 . 1306 Giacomo de Gusmario , iuris peritus , fu procuratore del podestà di Vercelli 271 . 1308 Guglielmo Cagnoli, iuris utriusque peritus , è documentato fino al 1346 272 . 1314 Germano de Freapanis , iuris peritus 273 , compare come giudice

262 BORELLO - T ALLONE , Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., I, pp. 262- 263, n. CLXVIII (1305 ottobre 29). 263 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXVII; la pergamena è lacerata: si legge l’anno (1309) e il giorno (26). 264 I Biscioni , I/1, pp. 386-390, n. CLXXVII (1310 luglio 28). 265 Archivio di Stato di Vercelli, Corporazioni religiose, Domenicani di S. Paolo, Pergamene, mz. 225, perg. 10. 266 Archivio di Stato di Vercelli, Corporazioni religiose, Domenicani di S. Paolo, Pergamene, mz. 225, perg. 11 (1317 maggio 27): in quest’atto Guglielmo de la Serata appare come delegato del console di giustizia di Vercelli Guidone de Ardenghiis per derimere la causa sorta tra il convento dei Predicatori e Giovanni Cocorella. 267 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXV (1304-1305) (1305 marzo 3 e maggio 9). Un’altra attestazione di un arbitrato di Paxius de Cremona è nell’atto con- servato in una pergamena parzialmente lacerata, di cui non è possibile leggere l’an- no: Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXIII (1297-1300) (13†..† dicembre 19). 268 COLOMBO , Documenti dell’Archivio comunale di Vercelli relativi ad Ivrea cit., pp. 298-299, n. CLXXIV (1308 dicembre 14). 269 I Biscioni , I/1, pp. 386-390, n. CLXXVII (1310 luglio 28). 270 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 5 (1315 dicembre 18). 271 I Biscioni , I/1, pp. 197-201, n. XCIII (1306 marzo 24); per altre sue attestazioni, ma solo come sindaco e procuratore del comune di Vercelli, cfr. ivi , pp. 222-228, nn. CI- CV (1305 luglio 12 ); pp. 279-281 (1305 agosto 6). 272 Cfr. supra , testo corrispondente alla nota 87. 273 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 5 (1314 agosto 16).

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nel 1318 274 ; fu arbitro nel 1330 275 e, con la qualifica di iuris utriusque peritus , tra il febbraio 1341 e il 1342 276 . 1318 Pietro de Bonello , iuris peritus , è registrato come “filius domini Guillelmi” tra i testes di un atto del 1318 277 . 1321 Aymericus de Ghigalotis , iuris peritus , è documentato come teste in un atto del 1321 278 . 1335 Giovanni de Landulfis , iuris peritus , fu vicario del podestà Giovanni de Bessozero 279 . Ottone Lavezio, iuris utriusque peritus , venne nominato arbitro negli anni 1335 280 , 1336 281 , 1339 282 , 1340 283 e tra il febbraio 1341 e il 1342 284 . È ancora documentato nel 1343 285 , 1347 286 , 1348 287 , risultando già defunto il 16 gennaio 1366 288 .

274 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 5 (1318 aprile 2): è definito “filius condam domini Antonii”. È documentato come teste il 13 novembre seguente: ivi . 275 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 6 (1330 novembre 7). 276 I Biscioni , III/2, pp. 119-221, nn. DLXXXII-DCI. 277 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 5 (1318 agosto 30). 278 Archivio Capitolare di Vercelli, Sentenze, cartella XXX (1317-1322) (1321 apri- le 25). 279 I Biscioni , I/1, pp. 380-383, n. CLXXXV (1335 luglio 27). 280 CANCIAN , L’abbazia di S. Genuario di Lucedio cit., pp. 156-165, n. 36 (1335 set- tembre 28); pp. 261-269, n. 83 (1335 febbraio 27: è presente anche il figlio Giacomo). 281 Archivio Storico del Comune di Vercelli, cart. 114/V, Terre distrettuali, Roasio, Robbio, Palestro etc., prot. anno 1336, ff. 1r-2v, atto privo dell’indicazione di mese e giorno. 282 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Pergamene, mazzetta 9, n. 284 (1339 aprile 5). 283 I Biscioni , II/2, pp. 349-354, n. DXXIV (1340 marzo 21); B AGGIOLINI , Lo Studio generale di Vercelli cit., pp. 110-111; M ANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., III, p. 38 (1340 luglio 17). 284 I Biscioni , III/2, pp. 119-221, nn. DLXXXII-DCI. 285 BORELLO - T ALLONE , Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., II, pp. 97- 100, n. CCLI (1343 febbraio 3). 286 BORELLO - T ALLONE , Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., II, pp. 175- 177, n. CCLXXVIII (1347 marzo 16 o 17). 287 Archivio di Stato di Vercelli, Famiglia Berzetti di Murazzano, mz. 3, perg. 93 (1348 maggio 15). 288 Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 96, prot. 1364-1370, f. 85r.

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Giorgio de Ferrarotis , iuris peritus , venne incaricato dal giudice pode- starile Pulcerinus de Saxalis de Aregio di esaminare una questione riguardante l’abbazia di S. Andrea 289 . Fu teste ancora nel 1347 290 . 1336 Guglielmo de Ponte , iuris peritus figlio di Antonio, è documen- tato come teste a un atto dell’abbazia di S. Stefano di Vercelli 291 . In un atto di locazione concessa dall’abbazia di S. Andrea è nomi- nato Giacomo de Roncarolio “filius condam domini Bolognini iuris periti” 292 . 1337 Ugolino de Scovalochis da Cremona, legum professor , fu giudice del podestà di Vercelli Gasparino Grasso 293 . Nel 1329 era stato potestas placitorum a Genova 294 , mentre negli anni 1331-1332 fu giudice dei rettori del Popolo in Asti 295 . 1340 Albertino de Conforanis da Cremona, iuris peritus e vicario del podestà Protaxius de Chaimis 296 . 1342 Giovanni de Guidalardis de Verono , iuris peritus 297 . Il 17 marzo 1347 è teste a un atto riguardante il comune di Vercelli 298 ; pochi giorni più tardi è documentato come arbitro, insieme a Nicolino de Arnoldo 299 . Francesco de Ghigalotis , iuris peritus , fu arbitro negli anni

289 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 6 (1335 giugno 23). 290 COPPO - F ERRARI , Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., p. 46, n. 114; p. 49 (1347 settembre 13). 291 G. B OLOGNA , Pergamene dell’abbazia di S. Stefano in Vercelli conservate nell’Archivio Storico Civico di Milano (1183-1500) , Milano 1972, pp. 63-64, n. 41 (1336 febbraio 28). 292 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 6 (1336 aprile 5). 293 CASIRAGHI , La “Carta Studii” di Vercelli cit., pp. 39-45, in particolare pp. 43-44. 294 RAO , La circolazione degli ufficiali cit., p. 280. 295 E. G UASCO GUALLARATI DI BISIO , Trascrizione degli atti interessanti i Solaro asti- giani , in «Rivista di storia, arte e archeologia», 52 (1943), pp. 38-39, n. 71 (1332 feb- braio 2); R AO , La circolazione degli ufficiali cit., p. 268. 296 I Biscioni , III/2, pp. 99-105, n. DLXXVII (1340 novembre 9). 297 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Pergamene, mazzetta 10, n. 312 (1342 giugno 4). 298 BORELLO - T ALLONE , Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., II, pp. 175- 177, n. CCLXXVIII (1347 marzo 16 o 17). 299 COPPO - F ERRARI , Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., pp. 38-39, n. 84 (1347 maggio 19), dove è da emendare “Viardi” con “Vialardi”.

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1342 300 , 1345 301 , 1347 302 , 1348 303 , 1350 304 , 1360 305 , 1362 306 e 1364 307 . Nella sua abitazione, “in vicinia Sancti Thome”, venne rogato un atto nel 1365 308 ; fu teste ancora nel 1377 309 e nel 1378, in un atto riguardante il convento di S. Paolo dei frati predicato- ri 310 . Nel gennaio 1390 risulta defunto 311 . Stefano de Maso , iuris peritus , si espresse nella nomina – effet- tuata da Lazzarino Fieschi, vicario generale del vescovo di Vercelli – di Giovanni di Santhià a ministro dell’ospedale Fasana, contro Antonio da Bulgaro 312 .

300 Archivio Capitolare di Vercelli, Sentenze, cartella XXXII (1244-1364) (1342 set- tembre 20). 301 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXXIX (1344-1345) (1345 dicembre 2). 302 COPPO - F ERRARI , Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., p. 26, n. 39 (1347 settembre 26); ivi , p. 49, n. 123 (1347 dicembre 13). 303 COPPO - F ERRARI , Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., p. 57, n. 150 (1348 aprile 7); Archivio di Stato di Vercelli, Famiglia Berzetti di Murazzano, mz. 3, perg. 93 (1348 maggio 15): tra i testes troviamo anche Ottone Lavezio, Franceschino Grassi e Nicolino Mangiacavallo, tutti iuris periti (Mangiacavallo fu attivo a Casale). 304 BORELLO - T ALLONE , Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., II, pp. 275- 276, n. CCCXIV (1350 febbraio 11). Nel 1356 ebbe da Goffredo da Buronzo quindici fiorini d’oro: Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 7 (1356 agosto 13). 305 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Pergamene, mazzetta 11, n. 345 (1360 luglio 11). 306 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Notaio Facione da Biandrate, prot. 953 [n. 792], f. 8r (1362 ottobre 19). 307 Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 95 (1344-1364), ff. 269r- 270v (1364 marzo 14). 308 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Notaio Facione da Biandrate, prot. 954 [n. 793], ff. 56r-58r (1365 maggio 25); nell’atto è citato come “filius quondam Leonardi”. 309 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Notaio Facione da Biandrate, prot. 965 [n. 804], f. 152r-v (1377 novembre 24). 310 Archivio di Stato di Vercelli, Corporazioni religiose, Domenicani di S. Paolo, Pergamene, mz. 225, perg. 20 (1378 gennaio 22). Un altro atto venne rogato nella sua abitazione il 7 giugno 1378: Archivio Capitolare di Vercelli, Atti privati, cartella XLIX (1378-1380), fasc. 11. 311 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella LIII (1390 gennaio 28); per una attesta- zione più tarda cfr. Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 97 (1375- 1399), fasc. 7, f. 298r-v (1398 dicembre 14): è citato Domenico de Ghigalotis , “filius quondam domini Francisci iuris periti”. 312 VILLATA , Le case maschili degli Umiliati a Vercelli nel Medioevo cit., pp. CCIII- CCXXIX, n. XXXII (1342 settembre 21).

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1343 Stefano de Dalmaxiis da Biella, iuris peritus , fu teste in un atto del 1343 313 e giudice in una causa che vedeva coinvolto il capito- lo di S. Eusebio nel 1345 314 ; il 17 aprile 1347 risulta in possesso del titolo di iuris utriusque doctor 315 , sebbene sia nuovamente citato come iuris peritus in un atto comunale, dove è teste, del 1348 316 . Benvenuto de Landulfis da Pavia, iuris peritus , fu giudice e con- sole di giustizia di Vercelli 317 . Francesco de Syrigaciis da Pavia, iuris utriusque peritus , fu vica- rio del podestà Tomaxinus de Lampugnano 318 . Enrico de la Serata , iuris peritus , è citato in atti degli anni 1343 319 , 1345 320 , 1347 321 e 1354, quando è nominato arbitro 322 . Figlio di Antonio, il 20 gennaio 1355 fu teste in un atto dell’ab- bazia di S. Stefano di Vercelli, dove risulta peritus in utroque iure 323 ; nel 1360 gli venne affidato l’arbitrato, con Nicolino de

313 Archivio di Stato di Vercelli, Famiglia Berzetti di Murazzano, mz. 4, perg. 156 (1343 agosto 22). È già documentato come iuris peritus a Biella nel 1330: B ORELLO - TALLONE , Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., II, pp. 45-48, n. CCXXIII (1330 agosto 25). 314 Archivio Capitolare di Vercelli, Sentenze, cartella XXXII (1244-1364) (1345 agosto 12). 315 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Pergamene, mazzetta 7, n. 226. 316 COPPO - F ERRARI , Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., p. 26, n. 40 (1348 aprile 9). 317 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXXVIII (1342-1343) (1343 marzo 12). 318 Archivio Capitolare di Vercelli, Sentenze, cartella XXXII (1244-1364) (1343 maggio 22). 319 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Pergamene, mazzetta 10, n. 320 (1343 giugno 5). 320 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXXIX (1344-1345) (1345 aprile 29). 321 BORELLO - T ALLONE , Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., II, pp. 175- 177, n. CCLXXVIII (1347 marzo 16 o 17); C OPPO - F ERRARI , Protocolli notarili vercel- lesi del XIV secolo cit., pp. 41-42, n. 94; p. 104 (1347 giugno 12). 322 Archivio Capitolare di Vercelli, Sentenze, cartella XXXIII (1353-1440) (1354 marzo 27, trasmesso all’interno di un atto del 4 giugno 1353; viene ricordato anche un suo arbitrato del 25 agosto 1352). 323 BOLOGNA , Pergamene dell’abbazia di S. Stefano in Vercelli cit., pp. 71-73, nn. 50-51.

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Arnoldo , nella lite tra l’ospedale di S. Andrea e i fratelli Gazzini 324 ; è ancora teste in un atto del 1364 325 . 1344 Gualdixius de Lovexellis , iuris utriusque peritus , fu vicario del podestà di Vercelli Pietro Visconti 326 . 1349 Nicola de Pigazano , iuris peritus piacentino, è documentato vica- rio del vescovo Giovanni Fieschi 327 . 1374 Guglielmo de Gisso de Regio , iuris peritus , fu anch’egli vicario del vescovo Giovanni Fieschi 328 . 1385 Giuseppe de Zurlis de Crema , iuris utriusque peritus , fu giudice podestarile 329 , attestato anche nel 1389 330 , nel 1390 331 e nel 1395 332 . 1394 Ludovico de Aliprandis da Milano, “iuris peritus Vercellensis”, è documentato come arbitro 333 , e risulta essere ancora in attività nel 1399 334 .

324 COPPO - F ERRARI , Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., p. 104, n. 269 (1360 gennaio 31). 325 Archivio di Stato di Vercelli, Famiglia Berzetti di Murazzano, mz. 3, perg. 118 (1364 gennaio 3). 326 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXXIX (1344-1345) (1344 agosto 9). 327 ARNOLDI , Libro delle investiture cit., p. LVIII s. v. Pigazano (de) Nicolaus . È ancora documentato, non più come vicario vescovile, nel 1350: Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 6 (1350 gennaio 13). 328 BORELLO - T ALLONE , Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., II, pp. 402- 403, n. CDVII (1374 gennaio 12). 329 Archivio Capitolare di Vercelli, Sentenze, cartella XXXIII (1353-1440) (1385 agosto 8). 330 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Notaio Pietro Poncio, prot. 2341 [n. 2276], f. XXIIr (1389 luglio 1). 331 Archivio di Stato di Vercelli, Famiglia Berzetti di Murazzano, mz. 42, protocol- lo di Antonio di Biandrate (1390-1392) (1390 marzo 20). 332 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1395-1398, vol. 2, f. 12v (1395 novembre 10). 333 Archivio Capitolare di Vercelli, Sentenze (1353-1440), cartella XXXIII (1394 aprile 24). 334 Archivio Capitolare di Vercelli, Sentenze (1353-1440), cartella XXXIII (1399 settembre 7).

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Paolo Rosso

2 1353 gennaio 23, Avignone.

Inventario dei beni del vescovo di Vercelli Manuele Fieschi eseguito dalla Camera per gli spogli. Viene data l’edizione della parte riguardan- te i libri del Fieschi trasmessa in Archivio Segreto Vaticano, Registra Avenionensia, Reg. 122, ff. 202v-203v; con questo testimone è stata collazionata la redazione dell’inventario trasmessa in Reg. Aven. 127, f. 298r-v, la quale risulta seguire fedelmente Reg. Aven. 122. In apparato sono riportate le lezioni di Reg. Aven. 125, ff. 215v-216v, che in alcuni punti arricchiscono la descrizione dei libri tràdita in Reg. Aven. 122, sebbene non ne seguano la sequenza degli item . Per non appesantire l’apparato, non sono state registrate le varianti grafiche e gli interventi di copista non sostanziali di Reg. Aven. 125. La numerazione accanto agli item è stata inserita per rendere possibili i rinvii al testo.

BIBLIOGRAFIA : F. E HRLE , Historia bibliothecae Romanorum pontificum tum Bonifatianae tum Avenionensis , I, Romae 1890, pp. 200-201; P. GUIDI , Inventari di libri nelle serie dell’Archivio vaticano (1278-1459) , Città del Vaticano 1948 (Studi e testi, 135), p. 41, n. 99; Bibliothèques ecclésiastiques au temps de la papauté d’Avignon cit., I, p. 45, n. 348.78; pp. 185-186, n. 348.78.

EDIZIONI : E HRLE , Historia bibliothecae Romanorum pontificum cit., pp. 200-201 (incompleta, dal solo Reg. Aven. 122); Bibliothèques ecclésia- stiques au temps de la papauté d’Avignon cit., I, pp. 185-186, n. 348.78 (riprende l’edizione di Ehrle).

[f. 202v] Sequitur inventarium de rebus et bonis condam domini Manuelis, episcopi Vercellensis. […] [f. 203r] De bonis eiusdem. 1. Item unum pulcrum missale ad usum Romanum incipit in 2° folio post kalendarium, // sacrificium celebrate 335 .

335 Nel margine sinistro Traditus pro domino notario. Reg. Aven. 125 : Item I pulcrum missale ad usum Romane Curie illuminatum de ali- quibus litteris aureis quod incipit prius kalendarium in prima columpna secundi folii // sacrificium celebrate et in prima columpna ultimi folii incipit // axusa novi regis .

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2. […] Unum pulcrum breviarium incipiens prius rubricas in 2° folio, // turim 336 . 3. Aliud breviarium incipit ut supra, // et tu Domine 337 . 4. Item unum Breviarium ad usum Romanum, incipit in 2° folio // corda simul 338 . 5. Decretales cum apparatu, // scientiam reparari 339 . 6. VI liber Decretalium cum 340 Clementinis, // biguitatem 341 . 7. Unum pulcrum Decretum, // cognomine ecclesiastico 342 . 8. Una Biblia, // disu voluntatis 343 . 9. Flores sanctorum, // et utinam 344 . 10. Apparatus Innocentii 345 , // em cumque . 11. Pontificale.

336 Nel margine sinistro Tradita pro domino notario Albiensi; poco sotto Nota quod Missale et duo Breviaria sunt in una archa de sapino una cum libris infrascriptis. Reg. Aven. 125: Qui libri cum duobus Breviariis et uno Missali suprascriptis fuerunt repositi in una magna teca de aneto. 337 Reg. Aven. 125 : Item II breviaria ad usum Romane Curie quorum unum videlicet pulcrius incipit in prima columpna secundi folii prius rubricas // tuum . Aliud incipit in prima columpna secundi folii in psalterio // et tu Domine . 338 Nel margine sinistro Habuit dominus Carcassonensis. Reg. Aven. 125: Item I Breviarium magne forme ad usum Romane Curie, qui inci- pit in prima columpna secundi folii // corda simul . 339 Nel margine sinistro Die XVI octobris habuit dominus Carcassonensis Decretales incipientes “Scientiam reparari”. Si tratta di Arnaud Aubert, nipote di Innocenzo VI : EHRLE , Historia bibliothecae Romanorum pontificum cit., I, p. 200, nota 215; Bibliothèques ecclésiastiques au temps de la papauté d’Avignon cit., I, p. 310 s. v. Arnaud Aubert ; D. W ILLIMAN , Calendar of the Letters of Arnaud Aubert, Camerarius Apostolicus, 1361-1371 , Toronto 1992 (Subsidia Mediaevalia, 20). 340 Segue apparatu cancellato . 341 Reg. Aven. 125 : Item Sextus liber Decretalium cum Clementinis cum suis appa- ratibus. 342 Reg. Aven. 125 : Item I pulcrum Decretum cum apparatu. 343 Reg. Aven. 125 : Item I Biblia pulcra. 344 Reg. Aven. 125 : Item Flores seu legende sanctorum. 345 INNOCENZO IV, Apparatus in quinque libros Decretalium : G. L E BRAS , Innocent IV romaniste: Examen de l’Apparatus , in «Studia Gratiana», 11 (1967), pp. 305-326; M. BERTRAM , Angebliche Originale des Dekretalenapparats Innozenz’ IV , in Proceedings of the Sixth International Congress of Medieval Canon Law (Berkeley, California, 28 July-2 August 1980), edd. S. K UTTNER - K. P ENNINGTON , Città del Vaticano 1985 (Monumenta Iuris Canonici, Series C: Subsidia, 7), pp. 41-47; M. B ERTRAM , Zwei vorläufige Textstufen des Dekretalenapparats Papst Innozenz’ IV , in Juristische Buchproduktion im Mittelalter cit., pp. 431-479.

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12. Liber intitulatus Glossarum diversitas 346 , // gere vel constitutionem . 13. Liber Dialogorum sancti Gregorii 347 , // G. nequaquam . 14. Lectura Petri Boneti super Decretalibus 348 , // in sacramento . 15. Unum Breviarium modici valoris, // peccatorum 349 . 16. Boecius, // suerat . 17. Apparatus Archidiaconi 350 , // fatemur . 18. Secunda pars secunde sancti Thome 351 , // nisi per lumen . 19. Tabula vocabulorum Biblie, // Iheronimus VII f. 20. Unum Missale ad usum Romanum 352 . 21. Innocentius 353 , // victum .

346 GOFFREDO DA TRANI , Summa super titulis Decretalium : cfr. supra , testo corri- spondente alla nota 57. 347 Patrologia latina , LXXVII, Parisiis 1849, pp. 147-432; LXVI, Parisiis 1847, pp. 125-203; Gregorii Magni Dialogi Libri IV , ed. U. M ORICCA , Roma 1924 (Fonti per la storia d’Italia, 57). 348 Un altro testimone della Lectura super Decretalibus di Pietro Boneti è registrato nell’inventario dei beni (datato 1363) di Berengarius de Cruillas , vescovo di Gerona: cfr. Bibliothèques ecclésiastiques au temps de la papauté d’Avignon cit., I, p. 213, n. 362.6. Su questo giurista cfr. D OLEZALEK , Verzeichnis der Handschriften zum römischen Recht bis 1600 cit., III, s. v. Petrus Bonetus . 349 Reg. Aven. 125 : Item I Breviarium anticum cum postibus coopertus de corio albo. 350 GUIDO DE BAYSIO , Lectura super Sexto Decretalium : S CHULTE , Die Geschichte der Quellen und Literatur des canonischen Rechts cit., II, pp. 188-189; G. M OLLAT , Gui de Baysio , in Dictionnaire de droit canonique , V, pp. 905-907; F. L IOTTA , Baisio, Guido da , in Dizionario biografico degli Italiani , V, Roma 1963, pp. 293-297; I D., Appunti per una biografia del canonista Guido da Baisio, arcidiacono di Bologna , in «Studi sene- si», 76 (1964), pp. 7-52; sulla presenza del testo in ambito ecclesiastico avignonese cfr. Bibliothèques ecclésiastiques au temps de la papauté d’Avignon cit., I, p. 346 s. v.; II, publ. par M.-H. J ULLIEN DE POMMEROL - J. M ONFRIN , Paris 2001 (Documents, études et répertoires publiés par l’I.R.H.T, 61), p. 551 s. v. 351 TOMMASO D ’A QUINO , Summa theologiae : sulla circolazione di quest’opera si veda, con bibliografia, M URANO , Opere diffuse per ‘exemplar’ e pecia cit., pp. 753-761, nn. 872-875. 352 Reg. Aven. 125 : Item pulcrum missale ad usum Curie Romane bene illuminatum. 353 Molto probabilmente I NNOCENZO IV, Novellae Collectio : G. B ATTELLI , Intorno alle ‘Novae constitutiones’ aggiunte da Innocenzo IV alla raccolta gregoriana delle Decretali , in I D., Scritti scelti. Codici. Documenti. Archivi , Roma 1975, pp. 15-23, già pubblicato in Acta Congressus Iuridici Internationalis (Romae, 12-17 nov. 1934) , III, Romae 1936, pp. 465-475; P. J. K ESSLER , Untersuchungen über die Novellen- Gesetzgebung Papst Innozenz’ IV . I. Teil , in «Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, Kanonistische Abteilung», 31 (1942), pp. 142-320; II. Teil , ivi , 32

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22. Psalterium glosatum, // beatus vir . 23. Una Biblia, // est permittunt medici 354 . 24. Epistole Pauli glossate, // Paulus . 25. Thesaurus pauperum 355 , // ortum capillorum 356 . 26. Cronice summorum pontificum 357 . 27. Digestum novum 358 . 28. Decretales cum apparatu, satis pulcre, // solum autem . 29. Una pars Moralium sancti Gregorii 359 . [f. 203v] De bonis eiusdem. 30. Item apparatus Iohannis Andree super Clementinis 360 , // in deitate .

(1943), pp. 300-383; III. Teil , ivi , 33 (1944), pp. 56-128; S. K UTTNER , Decretalistica. 1. Die Novellen Papst Innozenz’ IV , in «Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, Kanonistische Abteilung», 26 (1937), pp. 436-470. 354 Reg. Aven. 125 : Item I Biblia portatilis de littera subtili coperta cum postibus et toballia listrata. 355 PIETRO ISPANO , Thesaurus pauperum : in Obras medicas , ed. M. H. D A ROCHA PEREIRA , Coimbra 1973. Su Pietro Ispano, poi papa Giovanni XXI, cfr. K. S UDHOFF , Petrus Hispanus, richtiger Lusitanus, Professor der Medezin und Philosophie, schlies- slich Papst Iohannes XXI, eine Studie , in «Die Medizinische Welt», 24 (1934), pp. 1-10; M. G RABMANN , Handschriftliche Forschungen und Funde zu den philosophischen Schriften des Petrus Hispanus, des späteren Papstes Iohannes XXI († 1277) , München 1936 (Sitzungsberichte der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, Philosophisch- Historische Abteilung, J. 1936, Heft 9); J. F. M EIRINHOS , Giovanni XXI , in Enciclopedia dei papi , II, Roma 2000, pp. 427-437, con bibliografia. 356 Nel margine destro Isti libri sunt in una archa de sapino. Reg. Aven. 125 : Item I liber intitulatus Thesaurus pauperum. 357 Per la presenza di cronache di papi e di imperatori nelle bibliotheche ecclesiasti- che in area avignonese cfr. Bibliothèques ecclésiastiques au temps de la papauté d’Avignon cit., I, p. 337 s. v. Chronicae . 358 Nel margine sinistro Extractum pro nepotibus. Reg. Aven. 125 : Item Digestum novum glosatum satis pulcrum. 359 Patrologia latina , LXXV, Parisiis 1849, pp. 510-1162; LXXVI, Parisiis 1849, pp. 1-782. Nel margine sinistro Concordat. Reg. Aven. 125 : Item I pars Moralium Gregorii in catervis magni voluminis sine postibus. 360 GIOVANNI D ’A NDREA , Glossa ordinaria in Constitutiones Clementinas : J. TARRANT , The Manuscripts of the Constitutiones Clementinae , in «Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, Kanonistische Abteilung», 70 (1984), pp. 67- 133; ivi , 71 (1985), pp. 76-146; M. B ERTRAM , Clementinenkommentare des 14. Jahrhundert , in «Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken», 77 (1997), pp. 144-175.

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Paolo Rosso

31. Unum Volumen 361 . 32. Summa copiosa 362 , // tebat 363 . 33. Clementine, // lites auferat 364 . 34. Digestum vetus 365 . 35. Decretales cum apparatu, // quisquam . 36. Speculum iuris 366 , // tatur de iudicibus . 37. Repertorium magistri Guillelmi Durandi 367 , // beneficio . 38. Apparatus Iohannis Monachi super VI libro 368 , // gimini 369 . 39. Compostellanus 370 , // vel alia statuere .

361 Nel margine sinistro Pro nepotibus. 362 ENRICO DA SUSA , Summa super titulis Decretalium : cfr. supra , testo corrispon- dente alla nota 139. 363 Reg. Aven. 125 : Item liber vocatus copiosa. 364 Reg. Aven. 125 : Item Clementine cum apparatu. 365 Nel margine sinistro Pro nepotibus. 366 GUILLAUME DURAND , Speculum iuris (più noto come Speculum iudiciale ): SCHULTE , Die Geschichte der Quellen und Literatur des canonischen Rechts cit., II, pp. 148-152; K. W. N ÖRR , A propos du ‘Speculum iudiciale’ de Guillaume Durand , in I D., ‘Iudicium est actus trium personarum’. Beiträge zur Geschichte des Zivilprozessrecht in Europa , Goldbach 1993, pp. 41-49, già pubblicato in Guillaume Durand, Évêque de Mende (v. 1230-1296). Canoniste, liturgiste et homme politique . Actes de la Table Ronde de C.N.R.S. (Mende 24-27 mai 1990). Textes réunis par P. M. G Y, Paris 1992, pp. 63-71; V. C OLLI , Lo ‘Speculum iudiciale’ di Guillaume Durand: codice d’autore ed edizione universitaria , in Juristische Buchproduktion im Mittelalter cit., pp. 517-566. Sul Durand cfr. da ultimo Guillaume Durand, Évêque de Mende cit.; J. G AUDEMET , Durand, Guillaume , in Dizionario biografico degli Italiani , XLII, Roma 1993, pp. 82- 87. 367 GUILLAUME DURAND , Repertorium : S CHULTE , Die Geschichte der Quellen und Literatur des canonischen Rechts cit., II, pp. 152-153. 368 IOHANNES MONACHUS , Apparatus super Sexto Decretalium : S CHULTE , Die Geschichte der Quellen und Literatur des canonischen Rechts cit., II, p. 192. Su Iohannes Monachus cfr. F. L AJARD , Jean le Moine. Cardinal canoniste , in «Histoire littéraire de la France», 27 (1877), pp. 201-224; R. N AZ , Jean le Moine ou Joannes Monachus , in Dictionnaire de droit canonique , VI, pp. 112-113. 369 Precede in deitate cancellato . Reg. Aven. 125 : Item Apparatus Iohannis Monachi super VI libro Decretalium. 370 BERNARDO DI COMPOSTELLA JUNIOR , Apparatus in Novellas Innocentii IV : KUTTNER , Decretalistica cit., pp. 455-456; K ESSLER , Untersuchungen cit., I, pp. 235, 239, 242; II, pp. 306-308, 316-353; G. A NCIDEI , Un ‘exemplar’ dell’Apparatus Novellarum Innocentii IV di Bernardo di Compostella , in Paleographica, Diplomatica et Archivistica cit., I, pp. 333-341. Su Bernardo di Compostella cfr. S CHULTE , Die Geschichte der Quellen und Literatur des canonischen Rechts cit., II, p. 118-120; G. BARRACLOUGH , Bernard de Compostelle le jeune , in Dictionnaire de droit canonique , II,

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Qui libri reperti sunt in uno coffro serrante cum duabus clavibus, et est scriptum desuper: Coffrus filiorum quondam domini Nicolai etc. 371 40. Item Sextus liber Decretalium, // pontificibus . 41. Unus liber qui incipit, // Reverendissimo et amantissimo domino suo . 42. Apparatus Innocentii 372 , // si vero . 43. Summa Azonis 373 , // nes est quia . 44. Prima pars secunde sancti Thome 374 , // in qua beatitudo 375 . 45. Archidiaconus 376 , // per contrarium . 46. Tertia pars sancti Thome 377 , // tura 378 . 47. Summa theologie 379 sancti Thome 380 , // in finibus 381 . Qui libri reperti sunt in simili coffro, in quo est scriptum desuper: Coffrinus filiorum condam domini Nicolai 382 .

Paris 1937, pp. 777-779; K ESSLER , Untersuchungen cit., II, pp. 305-312; U. N ICOLINI , Trattati ‘de positionibus’ attribuiti a Martino da Fano , Milano 1935, pp. 17-18; M. L. TARANTA , Bernardo da Compostella , in Dizionario biografico degli Italiani , IX, Roma 1967, pp. 267-269; A. G ARCÍA Y GARCÍA , Canonistas gallegos medievales , in «Compostellanum», 16 (1971), pp. 101-124, in particolare p. 116, nota 43. 371 Reg. Aven. 125 : Isti libri fuerunt repositi in quodam cofro albo clauso de duabus clavaturis. 372 Cfr. n. 10. 373 AZZONE , Summa Codicis o Summa Institutionum : cfr. supra , testo corrisponden- te alla nota 60. 374 Cfr. n. 18. 375 Segue in finibus cancellato . 376 Cfr. n. 17. 377 Cfr. n. 18. 378 Reg. Aven. 125 : Item Tercia pars secunde sancti Thome. 379 In interlinea Prima secunde. 380 Cfr. n. 18. 381 Reg. Aven. 125 : Item Quedam Summa Theologie sancti Thome. 382 Nel margine sinistro Concordat. Reg. Aven. 125 : Qui libri sunt repositi in alio cofro albo clavato de duabus clavaturis.

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GIANMARIO FERRARIS ______

I CANONICI DELLA CATTEDRALE DI VERCELLI NEL SECOLO XIV. LINEE DI RICERCA

Il tema dei canonici e dei capitoli cattedrali ha visto rinascere da alcu- ni anni a questa parte un notevole interesse nella storiografia italiana. A fare il punto della situazione è stato il bel lavoro di Emanuele Curzel appar- so cinque anni or sono sui Quaderni di storia religiosa 1. In questo articolo lo studioso trentino, raccogliendo i frutti del suo lavoro di dottorato con- fluito nel volume dedicato ai canonici e al capitolo di Trento 2, dava ragio- ne di una passata stagione storiografica italiana poco interessata a studiare “le quinte ed il palcoscenico”, attirata com’era dal miraggio degli attori, dei singoli canonici cioè, per i quali far parte di una struttura ecclesiastica come il capitolo cattedrale rappresentava lo strumento o la base economi- camente solida per giocare ruoli diversi su palcoscenici diversi. Riaprire un discorso sul capitolo cattedrale di Vercelli sembrava dun- que doveroso, tanto più che nella storiografia vercellese (di Vercelli e su Vercelli) sono pochi i lavori che si sono occupati direttamente ed espli- citamente dei due capitoli cittadini 3. Mi riferisco in particolare ad un lontano studio di Giuseppe Ferraris, pubblicato sulla «Rivista di storia

Abbreviazioni: ACV = Archivio capitolare di Vercelli, AP= Atti pubblici, Ap = Atti privati, Acap. = Atti capitolari; NE = I necrologi eusebiani, a c. di G. C OLOMBO -R. PASTÈ , in «Bollettino storico-bibliografico subalpino» 2 (1897), pp. 1-96; 210-221; 383- 394; 3 (1898), pp. 190-208; 279-297; 4 (1899), pp. 349-364; 6 (1901), pp. 1-15; 7 (1902), pp. 366-374; 25 (1923), pp. 332-355.

1 E. C URZEL , Le quinte e il palcoscenico. Appunti storiografici sui capitoli italiani, in Canonici delle cattedrali nel medioevo , Verona 2003, pp. 39-67. 2 E. C URZEL , I canonici e il Capitolo della cattedrale di Trento dal XII al XV seco- lo, Bologna 2001. 3 A parte si devono considerare le acutissime osservazioni contenute in V. M ANDELLI , Il comune di Vercelli nel medioevo, III, Vercelli 1858, pp. 101-106 e R. O RSENIGO , Vercelli sacra. Brevissimi cenni sulla Diocesi e sue Parrocchie. Stato delle parrocchie e del clero 1907-1908 , Como 1909 , pp. 36-42. Segnalo anche che per il secolo XVIII offre interessanti osservazioni sulla fisionomia sociale del capitolo S. B ALZARETTI , Nobili e borghesi a Vercelli alla fine dell’Antico Regime, Vercelli 2005, pp. 103-113.

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Gianmario Ferraris

della Chiesa in Italia», con il quale l’erudito vercellese si era inserito nel dibattito sorto dopo la prima settimana della Mendola 4, e al contributo che Grado Merlo ha dedicato ai canonici di entrambi i capitoli cittadini del secolo XII nell’ultimo Congresso storico vercellese 5. Due lavori diversi per genere e contenuto: il primo tutto teso a cogliere il momen- to iniziale della ripresa della vita in comune all’interno delle due mag- giori chiese cittadine dopo il periodo dei vescovi fedeli all’Impero; il secondo attento piuttosto a considerare i canonici vercellesi del secolo XII nella concretezza della loro vicenda ecclesiastica e umana e a met- tere in luce la realtà di un gruppo di chierici per nulla secondario nel panorama delle istituzioni ecclesiastiche tardomedioevali dell’Italia centro-settentrionale, capace cioè di inserirsi nei dibattiti teologici del tempo e di fornire alle diocesi circonvicine vescovi pronti ad allinearsi alla politica pontificia di quel secolo. Riaprire però il discorso sui capitoli cittadini vuol dire anche rimette- re in gioco la dialettica tra capitolo e canonici, decidere in altre parole se sia più opportuno prendere in considerazione gli aspetti meramente istitu- zionali (le quinte), oppure concentrarsi su figure eminenti che sono appar- tenute o che sono transitate all’interno delle due istituzioni ecclesiastiche vercellesi (cioè, ancora una volta, gli attori). Devo confessare che la ten- tazione di seguire il cammino già tracciato da Merlo mi ha subito convin- to a fissare l’attenzione su singoli personaggi dei due capitoli; successi- vamente l’avanzare delle ricerche e delle riflessioni e, soprattutto, la qua- lità delle schede prosopografiche mi hanno orientato verso un discorso più sfumato, che il titolo del mio intervento non sembra giustificare, se non in parte. Non vorrei però autogiustificarmi, riproponendo magari il topos let- terario del ricercatore perso di fronte alla copiosità del materiale inedito o disorientato per la mancanza di coordinate storiografiche sulla Vercelli trecentesca. Molto semplicemente ho preferito concentrare in una prima fase la ricerca d’archivio in quel mare magnum che è l’Archivio capitola-

4 G. F ERRARIS , La vita comune nelle canoniche di S. Eusebio e S. Maria di Vercelli , in «Rivista di storia della Chiesa in Italia», 17 (1963), pp. 365-394. Il contributo ripren- deva quanto era stato discusso durante la prima settimana della Mendola, che aveva dato come frutti il volume La vita comune del clero nei secoli XI e XII. Atti della Settimana di studio, Milano 1962. 5 G.G. M ERLO , I canonici dei capitoli cattedrali, in Vercelli nel secolo XII. Atti del quarto Congresso storico vercellese, Vercelli 2005, pp. 23-36.

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I canonici della cattedrale di Vercelli

re di Vercelli per avere sott’occhio il maggior numero possibile di dati, da cui partire per un ulteriore e più pacato lavoro di riflessione e di sintesi. Tra gli attori e le quinte e il palcoscenico ho optato quindi ancora per i primi, dando la prevalenza ad un discorso che dia un quadro d’insieme dei singoli attori che nel corso del secolo XIV hanno animato il capito- lo di S. Eusebio e mettendo per ora in ombra tutti i problemi che il lavo- ro di Curzel dichiara come necessari per affrontare correttamente ogni lavoro sui capitoli cattedrali e sui loro canonici 6.

1. Le coordinate iniziali

Prima di affrontare il discorso vorrei puntualizzare almeno alcune coordinate minime sul capitolo della chiesa cattedrale di Vercelli, lasciando in ombra il capitolo minore di S. Maria. All’inizio del secolo XIV il capitolo vercellese poteva ben dirsi orga- nizzato in modo coerente, dopo gli interventi normativi che avevano costellato i due secoli precedenti, soprattutto da quando nella prima metà del 1143 i canonici avevano restituito la vita in comune all’inter- no della cattedrale e nel marzo 1144 avevano contribuito alla redazione di alcune norme riguardanti il preposito 7. Altri interventi normativi si ebbero nel 1224 ad opera del cardinale Guala Bicchieri, confermati da una bolla di Onorio III del 22 novembre 1225 8. Nel secolo XIII poi si susseguirono altri rapsodici interventi normativi del capitolo 9. Esso si presentava formato da due corpi separati: il capitolo di S.

6 CURZEL , I canonici e il capitolo cit., pp. 13-26. 7 Il testo di queste norme si trova edito in F ERRARIS , La vita comune cit., pp. 392-394. 8 Copia in ACV, AP, Bolle, cart. IX <1186-1227>; edizione in R. O RDANO , I Biscioni. Nuovi documenti e regesti cronologici, Torino 2000 (Biblioteca storica subalpina, CCXVI), pp. 34-38, n. VII. 9 Manca uno studio ed una edizione di tutti gli interventi normativi del capitolo: basti ricordare le aggiunte alla normativa o alle consuetudines riscontrabili nelle seguen- ti pergamene: 1214 luglio 16, Vercelli, ACV, Ap , cart. XVI, <1214-1215>); 1216 giugno 7, Vercelli, ACV, Ap , cart. XVII, <1216-1217>; 1219 marzo 15, Vercelli, ACV, Ap , cart. XVIII, <1218-1219>); 1222 agosto 4, Vercelli, ACV, Ap, cart. XX, <1221-1222>; 1246 giugno 11, Vercelli, ACV, Ap, cart. VII, <1245-1248>); 1254 novembre 5, Vercelli, ACV, Ap, cart. VIII, <1249-1255>; 1276 novembre 27, ACV, Ap, cart. XVII, <1276- 1278>; 1277, ACV, Ap, cart. XVII, <1276-1278>). I documenti relativi alla produzione statutaria del capitolo eusebiano sono inoltre raccolti in ACV, AP , Statuti, cart. LXXXIX-XCII.

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Eusebio, che officiava la chiesa cattedrale, formato da ventiquattro canonici e il capitolo di S. Maria, formato da otto canonici. Entrambi rappresentavano quell’ unum corpus unumque collegium triginta duo- rum canonicorum in eisdem ecclesiis cathedralem sedem continenti- bus qui constituitur capitulum Vercellensem 10 . Il capitolo eusebiano era governato da tre dignità, l’arcidiacono, l’arciprete e il preposito, la funzione di ognuna delle quali si era sta- bilizzata nel corso del secolo XIII. Al vertice dell’istituzione vi era l’arcidiacono, a cui competeva l’onere di convocare il capitolo e di moderarlo nelle sue decisioni. La sua elezione spettava ai due capito- li riuniti, ma necessitava anche dell’approvazione vescovile 11 . Per i secoli precedenti possediamo unicamente il documento di elezione di Rainerio Avogadro di Pezzana, futuro vescovo vercellese, avvenuta il 12 marzo 1275 12 , ma per il nostro secolo le informazioni si infittisco- no: conosciamo infatti il documento di elezione di Martino de Bulgaro , avvenuta il 15 settembre 1332, in seguito alla morte di Martino de Credario di Bergamo 13 , e quella del suo successore Pietro Verrus avvenuta il 27 settembre 1368 14 . Durante l’arcidiaconato di Pietro è da porsi anche l’elezione illegale di Giovanni de Sillavengo, cassata dal cardinale Roberto di Ginevra, legato pontificio, il 21 giu-

10 I canonici di entrambi i corpi canonicali furono inizialmente trenta come già nel secolo X specificava un documento del vescovo Attone [ Le carte dell’archivio capito- lare di Vercelli , I, a c. di D. A RNOLDI , G. C. F ACCIO , F. G ABOTTO , G. R OCCHI , Pinerolo 1912 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, 70, pp. 5-7, n. IX)]. Successivamente il numero dei canonici di S. Eusebio salì a ventiquattro, quando il canonico Guala Capella istituì le prebende per altri due canonici il 10 febbraio 1196 ( Le carte dell’ar- chivio , II, Pinerolo 1914 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, 71), pp. 347-350, n. DLXXXIX. La citazione è tratta da una bolla di Gregorio IX del 25 agosto 1227, data da Anagni (ACV, AP, Bolle, cart. IX). 11 In generale si veda A. A MANIEU , Archidiacre, in Dictionnaire de droit canonique, I, Paris 1935, coll. 1004-1026; cfr. anche C URZEL , I canonici cit., pp. 326-330. In parti- colare per Vercelli M ANDELLI , Il comune cit. , pp. 106-108; O RSENIGO , Vercelli sacra cit. , p. 41. 12 Il documento è conservato in ACV, Arcidiaconato. Collazioni canonicali in St. Eusebio, cart. 1 a. Cfr. M ANDELLI , Il comune cit. , p. 107. 13 Il documento di elezione si trova in ACV, Arcidiaconato. Collazioni canonicali in St. Eusebio, cart. 1 a; una copia in ACV, Ap, cart. XXXIII, <1330-1332>. 14 ACV, Acap. , fasc. 3, f.267rv, una copia cinquecentesca in ACV, Arcidiaconato. Collazioni canonicali in St. Eusebio, cart. 1 a.

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gno 1376 15 . Possediamo infine la conferma dell’elezione di Filippone di Ticineto del 2 maggio 1390 con il suo giuramento del 21 maggio seguente 16 e gli atti relativi all’elezione di Giovanni de Bulgaro , avve- nuta tra il 15 febbraio e il 4 aprile 1395 17 . Al secondo posto della gerarchia capitolare vi era l’arciprete. A lui spettavano il controllo dell’ordinato svolgimento della liturgia all’inter- no della cattedrale e le funzioni pastorali connesse con la cura anima- rum 18 . La serie degli arcipreti del secolo XIV è meno lineare rispetto a quella degli arcidiaconi: tra l’ultima citazione di Alessio de Nazara, risalente al 4 giugno 1291 19 , e il 3 ottobre 1301 quando compare un magister Nicolaus archipresbiter non altrimenti specificato, ma attesta- to fino al 3 agosto 1304 20 , esiste uno iato per ora incolmabile. Dal 1307 al 1311 ricoprì l’incarico Uberto Avogadro di Valdengo, promosso in seguito alla sede vescovile eusebiana 21 ; dal 1314 fino alla morte avve- nuta nel 1338 tenne l’incarico Guido Avogadro di Casanova 22 , dopo il quale fu eletto il 15 gennaio 1338 Facio o Bonifacio Cagnoli, attestato almeno fino al 1346 23 . Il nome di un arciprete Guido de Ripparia è conosciuto unicamente perché si ritrova in un registro di conti, prima che diventasse vescovo di Macerata nel 1347 24 , mentre tra il 1358 ed il

15 ACV, Atti dei legati pontifici, cart. XIII, <1211-1407>. 16 ACV, Acap ., cart. 97, fasc. 7, ff. 73r-74r e f. 86rv. 17 ACV, Acap., cart. 97, fasc. 7, f. 219r (lettera di presentazione del conte di Virtù); f. 229r (altra lettera del conte di Virtù); ff.230r-231v (elezione di Giovanni ad arcidiacono, 15 febbraio 1395); f. 238rv (ordine del vescovo Ludovico Fieschi all’arciprete di far com- parire il nuovo eletto alla sua presenza a Masserano, 21 febbraio 1395); ff. 244r-246v (conferma dell’elezione di Giovanni ad arcidiacono da parte del vescovo, 4 aprile 1395). 18 In generale si veda A. A MANIEU , Archiprêtre, in Dictionnaire de droit canonique , I, coll. 948-1004, in particolare per Vercelli M ANDELLI , Il comune cit. , pp. 108-110; ORSENIGO , Vercelli sacra cit. , p. 41. 19 ACV, Ap, cart. XXI, <1288-1291>. 20 Il primo documento è in ACV, Ap, cart. XXIV, <1301-1303>; l’ultimo in ACV, Ap, cart. XXV, <1304-1305>. 21 Gli estremi vanno dal 14 aprile 1307 (ACV, Ap, cart. XXVI, <1306-1307>), al 14 aprile 1311 (ACV, Ap, cart. XXVIII, <1311-1313>). 22 Gli estremi vanno dal 1314 (ACV, Ap, cart. XXIX, <1314-1316>) fino alla sua morte, avvenuta il 3 gennaio 1338, come è desumibile dal documento di elezione del suo successore del 15 gennaio seguente (ACV, Arcipretura. Collazioni, cart. 2 a). 23 Il documento di elezione in ACV, Arcipretura. Collazioni, cart. 2 a. 24 Il suo nome si desume dall’elenco dei canonici contenuto in un libro di consegna- menti per Caresana (ACV, Caresana, Libri di consegnamenti e misure, maz.a I, Transunto

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1365 è arciprete Matteo da Viterbo 25 . Un altro lungo iato ci fa arrivare fino al 1388, quando è attestato Gaspardo Avogadro di Quinto 26 . L’ultima dignità capitolare, introdotta dalla riforma del 1144, era il preposito a cui competeva la funzione di amministrare i beni del capi- tolo. Anche in questo caso la serie non è definitivamente stabilita: apri- rebbe la lista un Ruffino Avogadro di Quinto, attestato come tale a par- tire dal 1297 27 , segue Filippo Avogadro di Quinto, preposito dal 1301 al 1312 28 . A succedergli venne eletto Palaino Avogadro di Casanova, che tenne l’ufficio dal 1312 fino alla sua promozione alla cattedra episcopa- le di Ivrea nel 1326 29 . Solo nel 1332 è attestato come preposito Martino de Bulgaro, unicamente nel documento che conferma la sua elezione ad arcidiacono della chiesa di S. Eusebio. Dopo di lui è ricordato un Ghio

di Consegnamento antico di beni del Capitolo estratto dal nodaro Antonio Gallo nel 1348 ). Ulteriori informazioni in R. P ASTÈ , Canonici di S. Eusebio elevati all’episcopato o al cardinalato, in «Archivio della Società vercellese di storia e d’arte», 2 (1910), n. 2, p. 355. Cfr. Hierarchia catholica medii aevi sive summorum pontificum, S. R. E. cardinalium ecclesiarum antistitum series ab anno 1198 usque ad annum 1431 perducta per C. E UBEL , Monasterii 1913 2, p. 410 dove risulta eletto vescovo di Macerata il 5 novembre 1347. 25 Viene ricordato come arciprete nel 1358 (A. C OPPO -M. C. F ERRARI , Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo. Regesti, Vercelli 2003, p. 83 n. 221), fino al 1365 (M ANDELLI , Il comune cit., p. 110). 26 NE n. 455. 27 Citato per la prima volta tra i canonici il 12 marzo 1275 (ACV, Arcidiaconato. Collazioni canonicali in St. Eusebio, cart. 1 a), ricorre come successessore del preposito Ruffino d’Albano a partire dal 2 aprile 1297 (ACV, Ap, cart. XXIII, <1297-1300>) fino al 10 gennaio 1299, quando a Roma stende il suo testamento ( ibidem ). 28 Appartenente al ramo degli Avogadro signori di Quinto, questo canonico compa- re per la prima volta il 5 maggio 1273 nel cambio effettuato tra il capitolo eusebiano e Philippus e Guilielmotus de Montonario di alcuni beni (ACV, Ap, cart. XVI, <1271- 1275>). Risulta preposito di S. Eusebio dal 3 ottobre 1301 (ACV, Ap, cart. XXIV, <1301-1303>) fino al 26 agosto 1312, quando stese il suo testamento (ACV, Ap, cart. XXVIII, <1311-1313>). 29 Appartenente al ramo dei signori di Casanova, è presente in capitolo dal 3 agosto 1304 (ACV, Ap, cart. XXV, <1304-1305>). Riveste l’incarico di tesaurarius del capito- lo e di vicarius generalis del vescovo Rainerio Avogadro tra il 10 giugno 1306 (ACV, Ap, cart. XXVI, <1306-1307>) e il 15 marzo 1311 (ACV, Statuti capitolari, cart. XCI). Il 23 giugno 1312 è ricordato come preposito (ACV, Ap, cart. XXVIII, <1311-1313>), carica documentata fino al 13 febbraio 1317 (ACV, Ap, cart. XXX, <1317-1322>). Venne eletto vescovo di Ivrea il 20 ottobre 1326 (E UBEL , Hierarchia catholica cit., p. 286), notizie sul suo episcopato in G. A NDENNA , Episcopato e strutture diocesane nel Trecento, in Storia della Chiesa di Ivrea dalle origini al XV secolo, a c. di G. C RACCO , con la collaborazione di A. P IAZZA , Roma 1998, pp. 321-394.

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de Arborio , presente a partire dal 1334 fino al 1349 30 . Rapsodicamente compare nel biennio 1351-1352 il nome di un non ben identificato Petrus a ricoprire l’incarico 31 , al quale succede un Gabriele de Scribanis di Vignale colto unicamente quando viene menzionato come olim ipsius ecclesie ultimus prepositus il 5 novembre 1362, giorno di elezione del suo successore Guido de Bulgaro 32 . Quest’ultimo è attestato fino al 1371. Dopo un lungo iato veniamo a conoscenza del nome di un Paramidexus de Torniellis di Novara, che tenne la carica dal 1381 fino al 1403 33 . All’interno dei ventiquattro, altre figure, chiamate officiales, coadiu- vavano le dignità nella vita ordinaria: uno o due cantores che si occupa- vano della gestione minuta della liturgia canonicale 34 e il thesaurarius che aveva la custodia del tesoro della cattedrale, compresi i libri e gli arredi liturgici 35 . A partire dalla seconda metà del secolo XIV prende

30 Attestato come preposito di S. Eusebio dal 24 giugno 1334 (ACV, Ap, cart. XXXIV, <1333-1335>) fino al 1349 (Archivio di Stato di Vercelli, Ospedale di S. Andrea, Pergamene, m. 1832 n. 1472). 31 Questo preposito non viene ricordato nella lista approntata dal M ANDELLI , Il comune cit. , p. 111. 32 ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, f. 154r e cfr. M ANDELLI , Il comune cit. , p. 111. 33 MANDELLI , Il comune cit. , p. 111. 34 Questa figura non deve essere confusa con il maior (cantor), che presiedeva il capitolo minore di S. Maria. I cantores della cattedrale, talvolta citati in coppia, furono per il secolo XIV: Salvo Grassus (1303 dicembre 13, ACV, Ap, cart. XXIV, <1301- 1303>); Uberto Avogadro di Valdengo (1304 ottobre 25, ACV, Ap, cart. XXV, <1304- 1305>); Guido di Pezzana (1308 agosto 25, ACV, Ap, cart. XXVII, <1308-1310>); Delfino de Vassallis (1326 marzo 11; ACV, Ap, cart. XXXI, <1323-1326> è chiamato maior cantor ); Giovanni Cagnoli e Antonio de Bulgaro (1367 maggio 10; ACV, Ap, cart. XXXXVI, <1364-1368>-1379 febbraio 25; ACV, Ap, cart. XLIX, <1378-1380>); Bartolomeo de Scotis viene investito dell’ officium cantorie a seguito della morte di Nicola di Montiglio il 21 dicembre 1375 (ACV, Acap., cart. 97, fasc. 5, f. 18r); il 12 giu- gno 1394 Giovanni Cagnoli rinuncia all’ officium cantorie «quod comode et sine magna difficultate non potest officium dicte sue cantorie in dicta ecclesia exercere propter eius magnam senectutem et si ipsum officium teneret posset anime sue acuirere non modi- cum preiudicium» (ACV, Acap ., cart. 97, fasc. 7, f. 256v). 35 La figura del tesaurarius , presente in molti altri capitoli cattedrali (C URZEL , I canonici cit., pp. 343-345), è attestata fin dall’alto medioevo nel capitolo eusebiano: cfr. G. F ERRARIS , Le chiese “stazionali” delle rogazioni minori a Vercelli dal sec. X al sec. XIV , a c. di G. T IBALDESCHI , Vercelli 1995 , p. 109 n. 16. Per il secolo XIV abbiamo le seguenti attestazioni: Palaino Avogadro di Casanova (1306-1307); Guido di Casanova (1312); Giovanni di Asigliano (1331-1345); Ludovico di Castellengo (1363-1372; 1388-1390); Lanfranco d’Arborio (1375).

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piede e maggiore importanza la figura del primicerius sacerdotum 36 . In assenza delle tre dignità capitolari costui aveva il compito di convocare e presiedere il capitolo: la sua funzione quindi divenne essenziale per l’ordinato svolgimento delle attività capitolari durante i periodi in cui le tre dignità contemporaneamente si trovavano a risiedere fuori della città o della diocesi, come capitò per l’elezione di Guido de Bulgaro a preposi- to il 6 novembre 1362. In quell’occasione per antica consuetudine durante l’assenza o la vacanza dell’arcidiacono, dell’arciprete e del preposito il presbiter antiquior o primicerius, probabilmente il prete con maggiore anzianità nell’ordine sacro, aveva facoltà di convocare il capitolo 37 .

2. I canonici e la società

Fissate le coordinate minime, è giunto il momento di affrontare il primo ambito di ricerca, cioè di stabilire se e in quale misura il capitolo della cattedrale fosse lo specchio della società vercellese del secolo XIV. È un tema più volte lambito dagli studi sui due secoli precedenti, che hanno permesso di formulare ipotesi interessanti che necessitano anco- ra di qualche puntualizzazione, come osservava Merlo nell’ultimo con- gresso storico 38 . Il punto di partenza sta nella constatazione che dopo la ripresa della vita comune potevano accedere agli stalli canonicali i rap- presentanti delle famiglie più o meno coinvolte nella politica del vesco- vo vercellese e in misura minore i rappresentanti delle famiglie della feudalità maggiore del vescovo. Lo ha messo bene in luce Alessandro Barbero per il secolo XII, quando osservava che l’esperienza dei vesco- vi filoimperiali potrebbe essere stata una delle cause dell’affievolimen- to di queste ultime all’interno del capitolo a vantaggio delle nuove fami- glie cittadine che stavano permettendo in quegli anni la formazione del- l’esperienza comunale 39 . Il dato quantitativo, per quanto ancora grezzo e incompleto, conforta questa impressione: su 66 canonici censiti dal 1143, anno dal quale si fa partire la riforma del capitolo, al 1199, in

36 Accenna al primicerio M ANDELLI , Il comune cit. , pp. 105-106. In generale v. N. NAZ , Primicer, in Dictionnaire de droit canonique, VII, col. 215. 37 ACV, Acap., cart. 95 , fasc. 2 , f. 159rv. 38 MERLO , I canonici cit., p. 35. 39 A. B ARBERO , Vassalli vescovili e aristocrazia consolare a Vercelli nel XII secolo, in Vercelli nel secolo XII cit., pp. 259-260.

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effetti, si conta solo un esponente ciascuno proveniente dalle fila delle famiglie comitali o capitaneali, mentre quasi il 32% proviene da fami- glie urbane, a fronte di un 18% rappresentato da famiglie signorili, lega- te da vincoli vassallatici al vescovo vercellese (vedi Tabella n. 1). Va da sé che questa prima impressione quantitativa non tiene conto del fatto che i documenti di questo secolo a volte non rivelano se non il nome dei canonici, impedendo quindi una riflessione più seria sulla loro identifi- cazione familiare.

TABELLA 1 Provenienza sociale dei canonici vercellesi (secc. XII-XIII)

secolo XII secolo XIII n. ass. % n. ass. % Famiglie comitali 1 1,5 5 5,4 Famiglie capitaneali 1 1,5 8 8,6 Domini locali 12 18,2 21 22,6 Famiglie urbane 21 31,8 38 40,9 Senza specificazioni 21 31,8 1 1,1 Altre provenienze 10 15,2 20 21,5 Totale 66 100 93 100

* Si è usata la distinzione operata da B ARBERO , Vassalli vescovili, in quanto meglio fotografava la stratificazione della società vercellese di questi secoli.

Questa osservazione vale anche, ma parzialmente per il secolo XIII: su 93 canonici che iniziarono la loro presenza in capitolo nel nuovo secolo, circa il 41% è rappresentato da membri di famiglie cittadine contemporaneamente presenti all’interno degli organi comunali, mentre un 14% proviene proprio da quelle famiglie che in precedenza erano state escluse o limitate nel loro ingresso in capitolo, come i conti di Langosco e di Biandrate, o dalle famiglie capitaneali e signorili come i da Robbio, i da Carisio, i da Arborio e i da Albano (vedi Tabella n. 1). Segno che qualcosa era cambiato. Per il secolo XIV la prospettiva cambia ancora: se guardiamo com- plessivamente al gruppo dei circa 170 canonici attestati in questo

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periodo, ci si accorge che solo alcune famiglie eminenti della città continuarono ad avere rappresentanti nel coro della cattedrale: prima fra tutte il consortile degli Avogadro 40 , che raccoglie ben 15 canonici, concentrati tra la fine del secolo precedente e i primi quaranta anni del secolo XIV 41 . Due soli canonici su quindici infatti sono attestati nella seconda metà del secolo: un Tommaso Avogadro di Valdengo, morto nel 1375, di cui non sappiamo altro se non il nome del padre, Antonio 42 , e Gaspardo Avogadro di Quinto presente in capitolo dal 1375 43 . Le altre due famiglie con il numero di canonici in assoluto più imponente sono i de Arborio 44 e i de Bulgaro 45 , entrambe con sette pre- senze. Al di là di questi tre gruppi parentali che detennero il primato di pre- senze nel capitolo vercellese, le famiglie che affondavano le loro fortu-

40 Manca a tutt’oggi uno studio organicamente completo sulla famiglia degli avvocati vescovili che a partire dal XII secolo fissarono nella forma cognominale oggi nota come Avogadro l’antica funzione esercitata per conto del vescovo vercel- lese: si vedano però le puntualizzazioni fornite da B ARBERO , Vassalli vescovili cit., pp. 262-268; R. R AO , Politica comunale e relazioni aristocratiche: gli avvocati ver- cellesi (Avogadro) tra città e campagna, in Vercelli nel secolo XII cit., pp. 189-216; cfr. A. B ARBERO , Da signoria rurale a feudo: i possedimenti degli Avogadro fra il distretto del comune di Vercelli, la signoria viscontea e lo stato sabaudo, in Poteri signorili e feudali nelle campagne dell’Italia settentrionale fra Tre e Quattrocento: fondamenti di legittimità e forme di esercizio. Atti del convegno di studi (Milano, 11- 12 aprile 2003), a c. di F. C ENGARLE , G. C HITTOLINI , G. M. V ARANINI , disponibile in «Reti Medievali. Rivista», 5 (2004) al sito http://www.storia.unifi.it/_RM/rivista/ atti/poteri/Barbero.htm. 41 Sono i seguenti canonici: Giorgio Avogadro di Valdengo (1260-1304); Rainerio Avogadro di Pezzana (1261-1303); Filippo (I) Avogadro di Quinto (1273-1312); Filippo Avogadro di Valdengo (1275-1312); Filippo (II) Avogadro di Quinto (1301-1307); Uberto Avogadro di Valdengo (1304-1314); Rainerio Avogadro di Valdengo ( quondam 1304); Palaino Avogadro di Casanova (1304-1317); Rainerio Avogadro di Pezzana (1304-1326); Guido Avogadro di Casanova (1308-1338); Bertolino Avogadro di Pezzana (1307-1325); Giorgio Avogadro di Quaregna (1309-1322); Rainerio Avogadro di Quaregna (1315-1338). 42 ACV, Acap., cart. 97, fasc. 5, f. 7rv. 43 ACV, Acap., cart. 97, fasc. 5, f. 1r. 44 Sono attestati come canonici di questa famiglia: Giacomo de Arborio (1304- 1309); Simone de Arborio (1330); Ghio de Arborio (1334-1349); Giovanni de Arborio (1340-1355); Lanfranco de Arborio (1362-1382); Simone de Arborio (1375); Ioncelinus de Arborio (1395-1398). 45 Sulla famiglia v. B ARBERO , Vassalli vescovili cit., pp. 240-243. Sui canonici di questa famiglia vedi oltre.

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ne, anche ecclesiastiche, nel rapporto, a volte dialettico, con il vescovo non sono più rappresentate con una certa frequenza: scompaiono i Bicchieri 46 , i Bondoni sono rappresentati da un canonico morto nel 1300 e da un altro eletto alla fine del secolo 47 , i Vialardi 48 e gli Alciati com- paiono in altri due casi ciascuno 49 , i da Robbio, che nei due secoli pre- cedenti avevano fornito al capitolo importanti personaggi, esauriscono la loro influenza all’interno del coro alla fine degli anni trenta con due canonici 50 . Anche le famiglie nuove, quelle che avevano trovato mag- giori spazi nella società vercellese nel pieno del secolo precedente sem- bra che non abbiano avuto la capacità di radicarsi in capitolo: sporadi- camente compare un rappresentante ciascuno delle famiglie dei

46 Sulla famiglia si veda C. D. F ONSECA , Ricerche sulla famiglia Bicchieri e la società vercellese dei secoli XII e XIII , in Contributi dell’Istituto di Storia medioevale. I. Miscellanea in memoria di Giovanni Soranzo , Milano 1968, pp. 207-265 e cfr. BARBERO , Vassalli vescovili cit., pp. 272-276. 47 Si tratta di Enrico Bondoni di Alice, attestato come giovane canonico il 15 mag- gio 1265 (ACV, Ap, cart. XII, <1263-1265>), mentre il suo testamento è datato 23 giu- gno 1300 (ACV, Ap, cart. XXIII, <1297-1300>) e di Francesco, figlio di Antonio Bondoni di Ronsecco, citato nel testamento di Nicola di Montiglio del 15 settembre 1375 (ACV, Ap, cart. XXXXVIII, <1373-1377>). Sulla famiglia v. G. ANDENNA , Per lo studio della società vercellese del XIII secolo. Un esempio: i Bondoni , in Vercelli nel secolo XIII cit., pp. 203-223. 48 Si tratta di Guglielmo Canis Vialardi, il cui nome ricorre due volte nelle liste canonicali desunte dai documenti capitolari: la prima il 7 novembre 1305 (ACV, Ap, cart. XXV, <1304-1305>), la seconda il 16 marzo 1311 (ACV, Ap, cart. XXVIII, <1311-1313>); e di Antonio Vialardi di Sandigliano, figlio di Philipponus de Guidalardis de Sandiliano e rector della chiesa di Verrone, eletto il 9 marzo 1385 (ACV, Acap., cart. 97, fasc. 6, ff. 30v-31v) ed attestato fino al 15 febbraio 1395 (ACV, Acap., cart. 97, fasc. 7, f. 219v). Sulla famiglia v. B ARBERO , Vassalli vescovi- li cit., pp. 283-287. 49 Si tratta di Servusdei Alciati, canonico dal 1308 al 1318, per il quale si veda oltre, e Onestino Alciati, attestato nel 1375 (ACV, Acap., cart. 97, fasc. 5, ff. 16rv). 50 Sulla famiglia capitaneale si v. in generale B ARBERO , Vassalli vescovili cit., pp. 236-240. In particolare tra XII e XIII secolo sono attestati i seguenti canonici, ascrivi- bili alla famiglia: l’arcidiacono Pietro de Rodoblio (1144-1163), Pietro (II) de Rodobio (1208-1214); Pietro (III) de Rodobio (1216-1236); Caspardo (I) de Rodobio (1264- 1268). Per il secolo XIV si possono contare Caspardo (II) de Rodobio attestato come preposito di Robbio a partire dal 5 maggio 1273 (ACV, Ap, cart. XVI, <1271-1275>) fino al 13 febbraio 1317 (ACV, Ap, cart. XXX, <1317-1322>); ed un Aicardo de Rodobio elencato tra i canonici eusebiani a partire dal 25 novembre 1308 (ACV, Ap, cart. XXVII, <1308-1310>), fino al 1326, quando compare come esecutore testamenta- rio di Rainerio Avogadro di Pezzana (ACV, Ap, cart. XXXI, <1323-1326>).

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Cocorella 51 , dei De Dionigi di Caresana 52 , dei Pettenati 53 , dei Cagnoli- Centorio 54 , dei Tizzoni 55 e dei Vassallo 56 . Come spiegare questa rapsodicità di presenze? Una prima immediata

51 Il canonico di questa famiglia è Antonio Cocorella, procuratore del canonico Antonio de Mandello il 2 maggio 1388, prima sua attestazione (ACV, Acap., cart. 97, fasc. 6, ff. 142v-143r); in seguito venne eletto il 12 giugno 1395 cantor , succedendo a Giovanni Cagnoli (ACV, Acap., cart. 97, fasc. 7, f. 256v). 52 Per la famiglia de Dionixiis di Caresana si veda, con qualche cautela, V. B USSI , I nobili de Dionisio della rocca di Caresana, in «Bollettino storico vercellese», 11 (1982) n. 19, pp. 73-81 e cfr. I D., Le pergamene “de Dionisiis” di Caresana , in «Bollettino sto- rico vercellese», 14 (1985) n. 24, pp. 105-111. 53 Il canonico proveniente da questa famiglia fu Guidone Pettenati, elencato tra i canonici, ma molto saltuariamente, dal 3 ottobre 1301 (ACV, Ap, cart. XXIV, <1301- 1303>) fino al 1314 (ACV, Ap, cart. XXIX, <1314-1316>). 54 Per i Cagnoli-Centorio si vedano le notizie in F. P ANERO , Istituzioni e società a Vercelli. Dalle origini del comune alla costituzione dello Studio (1228), in L’Università di Vercelli nel Medioevo. Atti del secondo Congresso Storico Vercellese , Vercelli 1994, p. 96 e note relative e cfr. V. M OSCA , Le pergamene dell’ospizio di S. Silvestro della Rantiva , in «Archivi e storia», 2 (1989), pp. 195-222 . I canonici ascrivibili a questo gruppo familiare furono: Bertolino Centori di Pezzana, la cui prima attestazione risali- rebbe al 18 settembre 1283 (ACV, Ap, cart. XIX, <1282-1285>), quasi sicuramente da identificare con quel rettore e ministro della chiesa e della mansio dei Rantivi che il 27 agosto 1278 procedeva ad un’investitura (M OSCA , Le pergamene cit., p. 198, n. 3), e che continuerà ad essere a capo del brefotrofio vercellese almeno fino al 1327 (ivi , p. 201 n. 10). Giovanni Cagnoli , figlio di Ardicio de Cagnoli (C OPPO -F ERRARI , Protocolli notari- li cit., p. 149 n. 6), che compare per la prima volta come canonico il 18 novembre 1340 (ACV, Ap, cart. XXXVII, <1340-1341>); cantor dal 10 maggio 1367 (ACV, Ap, cart. XXXXVI, <1364-1368>), fino al 12 giugno 1395 ; primicerius dal 18 aprile 1372 (ACV, Ap, cart. XXXXVII, <1369-1372>), ottenne l’elezione di rector et minister della chiesa e dell’ospedale di S. Silvestro dei Rantivi il 27 giugno 1378 e come tale fu confermato dal vescovo Giovanni Fieschi (M OSCA , Le pergamene cit., pp. 210-212, nn. 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35). Bonifacio Cagnoli , attestato come canonico a partire dal 31 ottobre 1330 (ACV, Ap, cart. XXXIII, <1330-1332>); morì anteriormente al 1347, come viene ricor- dato in un documento del 20 ottobre di quell’anno (M OSCA , Le pergamene cit., p. 206 n. 20). 55 L’unico canonico proveniente da questa famiglia fu Guglielmo Berloffa Tizzoni di Tricerro, che compì la sua settimana in ordine acolitali, il 4 marzo 1388 (ACV, Acap., cart. 97, fasc. 6, ff. 115r-116v). Sulla famiglia v. ora il contributo di S. Pozzati in que- sto volume, nonché P ANERO , Istituzioni cit., p. 151 e C. G AZZERA , Memorie storiche dei Tizzoni conti di Desana e notizie sulle loro monete , Torino 1842. 56 L’unico canonico proveniente da questa famiglia fu Delfino de Vassallis, presen- te nel capitolo dal 3 ottobre 1301 (ACV, Ap, cart. XXIV, <1301-1303>); divenne anche generalis vicarius del vescovo Uberto Avogadro il 4 aprile 1315 ( ibidem ). L’11 marzo 1326 è chiamato maior cantor (ACV, Ap, cart. XXXI, <1323-1326>). Morì il 10 dicem- bre 1342 (ACV, Puntature capitolari, fasc. 1, f. 7v).

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spiegazione è dovuta al fatto che il capitolo vercellese, come gli altri capi- toli cattedrali, se ha continuato in questo secolo a mantenere una folta rap- presentanza di persone che provenivano dall’aristocrazia vercellese, ha visto incrementare il numero di ecclesiastici stranieri promossi agli stalli canonicali da spinte esogene, come la vicinanza a chi in quel momento deteneva il potere nella città o agli ambienti della Curia romana. Le imbreviature di Giovanni de Scotis fotografano bene questa situa- zione dagli anni quaranta fino alla fine del secolo: su 82 canonici censi- ti almeno 16 sono detti espressamente chierici milanesi o la loro prove- nienza dalla diocesi ambrosiana è desumibile dai benefici ecclesiastici che in quel momento detenevano, gli altri provengono dalla parte mon- ferrina della diocesi di Vercelli, o sono figli di famiglie principesche, come il caso dei tre canonici figli di Manfredi marchese di Saluzzo, che ottennero lettere di provvisione nel 1359 (Giacomo), nel 1361 (Ludovico) e nel 1368 (Galeazzo) 57 , i rimanenti provenivano dagli ambienti della Curia pontificia, come il caso di Ambrogio de Tricio , scriptor in Romana curia 58 o Cello Nardelli de Orto , anch’egli procura- tore del capitolo eusebiano in Romana curia e destinato di lì a qualche anno a rinunciare alla prebenda vercellese per quella ben più importan- te del capitolo della basilica di S. Pietro in Vaticano 59 .

57 Giacomo, detto de Saluciis, venne eletto canonico di S. Eusebio l’8 novembre 1358, succedendo nella prebenda lasciata vacante per la morte di Tebaldo Brusati (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 32r-33r). La sua nomina viene confermata il 9 febbraio 1360 (ibidem, f. 34v). Ludovico, natus Manfredi marchionis Saluciarum, fu eletto canonico il 7 novembre 1361 (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 100r-101r), succedendo nel canoni- cato di Eusebio de Dionixiis . L’ultimo, Galeazzo, filius magnifici militis Manfredi mar- chionis Saluciarum presentò lettere di Giacomo Fieschi per ottenere un canonicato a Vercelli il 29 aprile 1368 (ACV, Acap., cart. 96, fasc. 3, ff. 232r-233v). 58 Canonico di S. Lorenzo Maggiore di Milano, viene ricordato come procuratore del capitolo il 15 giugno 1359 (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 24v-25r). Entra a far parte del capitolo l’11 aprile 1367 (ACV, Acap., cart. 96, fasc. 3, ff. 160r-161r ). Era scriptor in Romana curia, come risulta dopo la sua morte dalla lettera di provvisione del suo suc- cessore Bartolomeo de Grana il 30 aprile 1390 (ACV, Acap., cart. 97, fasc. 7, ff. 70rv ). 59 Destinatario di una lettera di provvisione del papa Innocenzo VI del 21 agosto 1355 (ACV, AP , Bolle, cart. XII <1151-1379>, n. 15), ottenne la collazione della pre- benda solo il 18 marzo 1361 alla morte di Ruffino di Masino (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, f. 56r), prendendo possesso della prebenda tramite il procuratore Giovanni Fornascus (C OPPO -F ERRARI , Protocolli notarili cit., p. 146 n. 1). Rinunciò alla prebenda anterior- mente al 25 marzo 1364, quando fu eletto canonico di S. Pietro in Vaticano (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 259v-261v).

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Globalmente sull’intero secolo un rapido e ancora grezzo dato sta- tistico rivela infine come il numero dei canonici provenienti da zone dell’Italia lontane dalla diocesi di Vercelli o dalle diocesi che forma- vano la metropolia milanese salga progressivamente lungo il secolo, da un 3,7% del primo quarto, ad un 20% dell’ultimo quarto, con il conseguente calo percentuale dei rappresentanti provenienti dalla città e dalla diocesi di Vercelli, che vanno da un 82,6% iniziale ad un 47,5% finale.

3. I canonici e la carriera

Queste ultime osservazioni ci permettono di affrontare un secondo ambito di ricerca, quello relativo alla carriera dei canonici eusebiani a partire dal momento del loro ingresso in capitolo. La cooptazione era la procedura ordinaria mediante la quale i cano- nici aggregavano al corpo capitolare un nuovo membro: così stabiliva infatti una bolla di Celestino II del 1° gennaio 1144 60 . Molto spesso era il legame di parentela che li aveva uniti ad un ecclesiastico già presen- te in capitolo a far sì che i parenti più prossimi di un canonico, i nipo- ti, potessero aspirare ad uno stallo in coro 61 . Il caso più eclatante è cer- tamente quello di Martino de Bulgaro . Preposito del capitolo e, a par- tire dal 1332, arcidiacono della cattedrale fino alla sua morte, avvenu- ta nel 1368, attuando una politica che potremmo definire di tipo sfac- ciatamente nepotistico, riuscì a promuovere al canonicato durante i suoi lunghi anni di governo ben cinque nipoti, tre figli dei fratelli e due appartenenti al ramo collaterale dei signori di Castellengo (Antonio 62 ,

60 Le carte dell’archivio capitolare , I, pp. 143-146 doc. CXX: «Preterea antiquas et rationabiles consuetudines ipsius ecclesie ratas manere censemus, sanctorum quoque patruum auctoritatem sequentes, sancimus ut nullus in eadem ecclesia nisi communi fra- trum vel sanioris partis consilio, canonicus statuatur nec cuiuslibet ecclesiastici officii amministratio alicui committatur»; per la datazione si veda F ERRARIS , La vita comune cit., pp. 371. In generale si considerino le pacate riflessioni di C URZEL , I canonici cit. , pp. 219-229. 61 CURZEL , I canonici cit. , p. 220. 62 Antonio de Bulgaro è attestato con una certa frequenza nel capitolo a partire dal 10 gennaio 1338 (ACV, Arcipretura. Collazioni , cart. 2 a) fino al 1395 (ACV, Acap. , cart.

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Guido 63 ed Emanuele de Bulgaro 64 ed Enrico 65 e Ludovico de Castellengo 66 ), vantandosene pure sia nel testamento (et quinque nepo- tes suos de domo propria ordinavit et quod plures alios amicos et notos suos in canonicos recipere procuravit )67 , sia nella nota obituaria fatta scrivere nel Necrologio della chiesa eusebiana ( tres nepotes suos filios fratrum suorum et duos de eadem domo de Bulgaro ex castro Castellengi suo tempore habere meruit in canonicis huius ecclesie institutos quorum fultus auxilio pariter et consensu multa laudabilia opera per canonicos et capitulum in hac ecclesia fieri procuravit )68 , ai quali possiamo aggiungere altri tre canonici del ramo principale (Emanuele de Bulgaro - canonico dal 1340 al 1347 69 ; Giovanni I de Bulgaro - attestato nel 1364 70 - e Giovanni II de Bulgaro , anteriormen- te canonico di S. Maria di Vercelli e destinato a diventare arcidiacono,

97, fasc.). Dal 10 maggio 1367 è ricordato come cantor , insieme con Giovanni Cagnoli (ACV, Ap, cart. XXXXVI, <1364-1368>). Era già morto il 9 gennaio 1395, quando la sua prebenda fu assegnata a Ludovico de Bulgaro (ACV, Acap., cart. 97, fasc. 7, f. 215v). 63 Guido de Bulgaro compare tra i canonici il 14 febbraio 1340 (ACV, Ap, cart. XXXVII, <1340-1341>). Il 6 novembre 1362 è ricordato come primicerius e come tale ha la facoltà di convocare il capitolo in assenza di una dignità, delegando in sua vece il canonico Giovanni Cagnoli a svolgere questa funzione: immediatamente il capitolo lo elegge prepositus della chiesa eusebiana (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 159r-162v). Consegna il palium il 29 maggio dello stesso anno ( ibidem, f. 180r). Viene ricordato come bone memorie e olim prepositus il 6 agosto 1371 (ACV, Ap, cart. XXXXVII, <1369-1372>). 64 Attestato dal 25 gennaio 1342 (ACV, Ap , cart. XXXVIII, <1342-1343>) al 1348 (ACV, Caresana, Libri di consegnamenti e misure, maz.a I. Transunto di Consegnamento antico di beni del Capitolo estratto dal nodaro Antonio Gallo nel 1348). 65 Attestato dal 1° gennaio 1338 nel documento di elezione di Facio Cagnoli ad arci- prete (ACV, Arcipretura. Collazioni, cart. 2 a), fino all’11 febbraio 1386 (ACV, Ap, cart. XLIX, <1378-1380>). 66 Attestato a partire dal luglio 1340 (ACV, Ap, cart. XXXVII, <1340-1341>) fino al 12 aprile 1397 (Archivio di Stato di Vercelli, Ospedale di S. Andrea , Pergamene , m. 1846 n. 2081). 67 Il testamento si trova in ACV, cart. 41, Testamenti e codicilli 1202-1598. 68 NE nn. 655, 655 bis , 665 ter . 69 Gli estremi cronologici di questo canonico vanno dal luglio 1340 (ACV, Ap, cart. XXXVII, <1340-1341>) al 1347 (ACV, Ap, cart. XXXXI, <1347-1348>). 70 Figlio di Pietro de Bulgaro e chierico vercellese, ottenne il canonicato il 25 marzo 1364, quando era ancora studente in diritto civile a Pavia (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 251rv), succedendo nella prebenda lasciata vacante da Guido de Bulgaro , promosso preposito della cattedrale.

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nel 1395 71 ). Ugualmente anche Giacomo 72 e Guglielmo de Moxo 73 erano fratelli, imparentati strettamente con Vercellino de Moxo , maior di S. Maria; Guido de Conradis era a sua volta nipote di Uberto de Conradis , anch’egli canonico di S. Maria e della chiesa di Famagosta, che lo nominò erede universale nel suo testamento del 1323 74 . Ad un livello superiore, anche i vescovi potevano presentare la can- didatura di loro familiari o di loro fidati consiglieri. La presenza di membri del consortile degli Avogadro tra i canonici può essere spiegata anche con il fatto che due di loro avevano monopolizzato la cattedra eusebiana fino agli anni trenta del secolo: Rainerio Avogadro di Pezzana (1303-1310) e Uberto Avogadro di Valdengo (1310-1328) 75 . L’influenza

71 Era anche vicarius generalis del vescovo Ibleto Fieschi nel 1424 (O RDANO , I Biscioni, Nuovi, pp. 37 n. VII). 72 Il suo nome appare con una certa frequenza elencato tra i canonici maggiori dal 24 aprile 1277 (ACV, Ap, cart. XVI, <1271-1275>). Un codicillo del suo testamento è datato 6 marzo 1303 (ACV, Ap, cart. XXIV, <1302-1303>). 73 Fratello di Giacomo de Moxo , come appare nel testamento di quest’ultimo del 6 marzo 1303 (ACV, Ap, cart. XXIV, <1302-1303>), lo si ritrova tra i canonici il 3 agosto 1304 (ACV, Ap, cart. XXV, <1304-1305>), probabilmente perché promosso al canoni- cato maggiore proveniente dal capitolo di S. Maria, come sembrerebbe attestare la sua menzione tra quei canonici in un documento del 4 giugno 1291, quando viene nomina- to procuratore in Romana curia (ACV, Ap, cart. XXI, <1288-1291>). Il 1° maggio 1321, ultima sua menzione, viene detto clericus et rector della chiesa di S. Lazzaro di Vercelli, insieme con Bonifacio di Collobiano (ACV, Ap, cart. XXX, <1317-1322>). 74 La figura di quest’ultimo ecclesiastico è particolarmente interessante: attestato per la prima volta tra i canonici della chiesa di S. Maria il 16 agosto 1286, quando viene ricordato come cantor Famagustensis ecclesie et canonicus Sancte Marie (ACV, Ap, cart. XX, <1286-1287>), roga il suo testamento l’8 marzo 1323 definendosi canonicus Vercellensis, Famagustanus et Andradensis (ACV, Ap, cart. XXXI, <1323-1326>). Ho già attirato l’attenzione su alcuni esponenti di questa famiglia di Trino e soprattutto sul loro legame con la chiesa d’ Outremer : un Ardizzone de Tridino viene infatti ricordato come decanus Nicosiensis, Apostolice sedis nuncius pro negotio Terre Sancte in partibus Lombardie, Marche Trivisine, Aquilegensis et Gradensis patriarchatuum et archiepisco- patus Ianuensis nel 1275 [Archivio di Stato di Milano, Diplomatico, Pergamene per fondi, cart. 723 e cfr. G. F ERRARIS , rec. a Milano e la Lombardia in età comunale. Secoli XI-XII, Milano 1993, in «Bollettino storico vercellese », 22 (1993) n. 41, p. 175] e un Guido de Conradis canonico di S. Maria e Famagustanus episcopus almeno dal 1298 (cfr. Archivio di Stato di Vercelli, Ospedale di S. Andrea , Pergamene , m. 1825, n. 985). 75 Attestato dal 3 ottobre 1301 (ACV, Ap, cart. XXIV, <1301-1303>), è ricordato come cantor il 25 ottobre 1304 (ACV, Ap, cart. XXV, <1304-1305>). Il 14 aprile 1307 lo si ritrova come arciprete del capitolo (ACV, Ap, cart. XXVI, <1306-1307>), succe- dendo a Nicola non sappiamo ancora quando. Era ancora arciprete l’11 aprile 1314 (ACV, Ap, cart. XXVIII, <1311-1313>) .

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di presuli appartenenti allo stesso lignaggio familiare spiegherebbe inol- tre la carriera dei singoli canonici all’interno della gerarchia capitolare: dei quindici canonici appartenenti al consortile degli Avogadro si pos- sono contare tre prepositi (Ruffino Avogadro di Quinto dal 1295; Filippo Avogadro di Quinto dal 1301 al 1312; Palaino Avogadro di Casanova dal 1312 al 1317, promosso poi alla cattedra episcopale di Ivrea), un arcidiacono (Rainerio Avogadro di Pezzana dal 1275 al 1303, promosso poi alla cattedra eusebiana); e tre arcipreti (Uberto Avogadro di Valdengo dal 1307 al 1311; Guido Avogadro di Casanova dal 1314 al 1338, mentre si dovrà conteggiare a parte l’elezione di Gaspardo Avogadro di Quinto dal 1388). Anche il servizio fidato e continuativo prestato in cattedrale nelle mansioni minori poteva risultare un motivo sufficiente per essere pro- mossi a qualche stallo canonicale. Possiamo guardare al caso, cono- sciuto perché studiato da Antonio Olivieri 76 , di Giacomo Manuga . Appartenente ad una famiglia di estrazione notarile, in quanto due notai con lo stesso cognome prestano la loro opera qualificata per il capitolo – cioè Aycardus, che roga tra gli anni trenta e gli anni settanta del Duecento, e Iohannes , attestatato rapsodicamente a partire dagli anni settanta –, Giacomo è stato identificato da Olivieri come quel notaio o chierico-notaio che stende numerosi documenti per il capitolo a partire almeno dal 1286, ma che è contemporaneamente citato tra i testimoni di un documento come custos di S. Eusebio. Carriera rapida, se dal 4 dicembre 1290 è nominato tra i canonici di S. Eusebio, fino al 1325. Più complesso invece è il caso di Servusdei Alciati. La famiglia aveva dato al capitolo almeno due canonici: l’arciprete Mandolo, morto nel 1211 77 e un Nicola Alzatus attivo tra la fine degli anni ottanta del secolo XII e i primi trenta del Duecento 78 . Ancora Olivieri lo riconosce in quel

76 A. O LIVIERI , Per la storia dei notai chierici nel Duecento: il caso del Piemonte, in Studi in memoria di Giorgio Costamagna, Genova 2003, pp. 701-738, disponibile anche in Scrineum, a cui rimando per le notizie qui riportate. 77 Sull’arciprete Mandolo si vedano almeno le notizie in M ERLO , I canonici cit. , pp. 32-33. 78 Probabilmente nipote dell’arciprete Mandolo , è nel capitolo eusebiano almeno a partire dal 10 agosto 1189 ( Le carte dell’archivio capitolare , II, , pp. 219-220, n. CCCCXCVIII). E’esecutore testamentario dello zio nel 1211 (ACV, Ap, cart. XIV, <1210- 1211>), ed è ancora attestato come vivente il 19 febbraio 1231, quando il capitolo si accor- da per la divisione delle prebende canonicali (ACV, Ap, cart. XXV, <1229-1231>).

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Servusdei Vercellensis notarius che roga alcuni documenti a partire dagli anni ottanta del secolo XIII. Successivamente lo si ritrova come custode della cattedrale nel 1286, mentre il 22 febbraio 1292 venne elet- to dai canonici ministerialis degli anniversari della cattedrale: in quel- l’occasione sappiamo che aveva ricevuto l’ordine presbiterale e come tale viene ricordato in altri documenti che ce lo presentano come cap- pellano della cappellania istituita dal canonico Guala Vialardi, per il quale aveva anche rogato il testamento nel 1284. Fu aggregato al capi- tolo solo all’inizio del secolo seguente e vi rimase almeno fino al 1318. La lunga carriera nei gradini più bassi della gerarchia capitolare e la sua appartenenza ad una famiglia che aveva già dato canonici al capitolo rende ragione della sua promozione. Uguale discorso potrebbe essere fatto per Giovanni Fornaschus di Biella: attestato come notaio imperia- le, procuratore del capitolo in diverse occasioni, prete e canonico di Tortona, ottenne poi una prebenda ed uno stallo canonicale anche in S. Eusebio 79 . Interessante è infine il caso di Lanfranco de Arborio, eletto canonico il 1° gennaio 1362. Nel documento di collazione la sua elezione viene giustificata, oltre che con i consueti rimandi alla sua erudizione, alla limpidezza morale, all’età legittima e alla sua appartenenza all’ordine presbiterale nonché alla nascita legittima ( quod presbiter Lanfranchus de Arborio est literali scientia eruditus ac moribus et vita laudabiliter decoratus et in etate legittima et sacerdotali ordine constitutus ac de legittimo matrimonio procreatus ), anche con la sua assiduità nello svol- gere i suoi incarichi liturgici all’interno della cattedrale, sia nella cele- brazione dell’eucarestia nell’altare maius di S. Eusebio sia nella sua pre- senza all’ufficio divino capitolare, sia soprattutto perché si rivela vehe- menter necessarius per la sua abilità nel canto, poiché molti erano i can- tori che non risiedevano in cattedrale e non potevano così prestare la

79 Presbiter e canonico di Tortona, nonché cappellano nella chiesa di S. Eusebio il 23 agosto 1358 (C OPPO -F ERRARI , Protocolli notarili cit. , p. 83 n. 221), è nominato pro- curatore di Cello Nardelli nel 1361 (ivi, p. 146 n. 1), risultando già morto il 23 ottobre dello stesso anno, quando la sua prebenda viene assegnata a Enrico de Lonate (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 94r-95r). Potrebbe essere identificato anche in quell’omoni- mo notaio imperiale che roga negli anni trenta del secolo XIV, per esempio il documento di elezione di Martino de Bulgaro ad arcidiacono (ACV, Ap, cart. XXXIII, <1330- 1332>).

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loro opera per le celebrazioni liturgiche ( missas debitis horis et tempo- ribus celebrabit et tam in ipsarum missarum celebratione ad dictum altare in officio divino in choro ipsius ecclesie celebrando, ipse domi- nus presbiter Lafranchus perseverabit apud ipsam ecclesiam Vercellensem, personalem residenciam faciendo, et est ipse dominus presbiter Lafranchus in collegio cantorum eiusdem ecclesie necessarius vehementer, maxime propter paucitatem cantorum dicte ecclesie qui pro maiori parte non resident apud eam sed agunt in remotis et sic indigeat ipsa ecclesia cantoribus potissime in sacerdotali ordine constitutis )80 . È inoltre assodato che con il secolo XIV aumentò la pressione della Curia pontificia e dei singoli pontefici nel presentare candidati per gli stalli canonicali vacanti dei capitoli cattedrali 81 . Il capitolo eusebiano non si sottrasse a questa tendenza accertata anche per il resto della cri- stianità occidentale. Per il secolo precedente possediamo rare informa- zioni su questa pratica: la più antica riguarda Gregorio da Montelongo, che ricevette una lettera di provvisione da Innocenzo III del 15 giugno 1214 82 e che è attestato unicamente nel 1229 tra i documenti capitola- ri 83 ; successivamente Alberto de Lanerio , preposito di Bobbio ed asso- ciato al capitolo il 15 marzo 1245, era stato presentato da papa Innocenzo IV 84 ; Roglerius de Cumis, figlio di un Guido de Cumis pro- fessore di diritto, ottenne la lettera di provvisione da Urbano IV l’8 novembre 1263 85 . Le prime quattro cartelle della serie Atti capitolari,

80 ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, f. 106v. Ottiene il 1 gennaio 1362 la prebenda di Guglielmo de Montonario , benchè fosse pretesa da Benedetto Boccanegra (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 106r-107v). Conclude con esito positivo la sua settimana l’8 gennaio seguente in ordine subdiaconali (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 109rv). Consegna il palium il 23 maggio 1362 ( ibidem, f. 167v). Il 26 novembre 1375 è attestato come the- saurarius (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 3, f. 13r). Compare fino al 17 marzo 1382 (ACV, Ap, cart. L, <1381-1383>). 81 CURZEL , I canonici cit. , pp. 223-225. 82 Patrologia latina, ed. J. P. M IGNE , vol. 216, col. 861a. 83 Si tratta di un documento in cui vengono suddivise le prebende capitolari del 16 febbraio 1229. In essa compare il nome di Griorius de Montelongo, che potremmo ben identificare nel futuro legato papale (ACV, Ap, cart. XXV, <1229-1231>). 84 ACV, Collazioni canonicali in St. Eusebio, cart. 5 a. 85 Les registres d’Urbain IV (1261-1264), II: Registre ordinaire, I, a c. di J. GUIRAUD , Paris 1901, p. 440 n. 1263 e cfr. G. F ERRARIS , Università, scuole, maestri e studenti a Vercelli nel secolo XIII. Spigolature in margine a un (non più) recente volu- me, in «Bollettino storico vercellese», 26 (1997), n. 49, pp. 64-65.

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che contengono le imbreviature di Giovanni de Scotis , ci forniscono invece una serie impressionante di canonici che presentarono al capito- lo le lettere di provvisione fornite loro dai pontefici avignonesi: si trat- ta nella maggior parte dei casi di ecclesiastici non vercellesi, probabil- mente familiares di qualche cardinale o ufficiali della Curia pontificia, per i quali il capitolo eusebiano rappresentava una nuova fonte di gua- dagno derivante dal beneficio o dalla prebenda canonicale. Potrebbe essere un esempio calzante quel Mainfredus figlio di Rambaldus comes Tarvisinus che il 15 dicembre 1307 nominava un suo procuratore per prendere possesso del canonicato vercellese e che risulta aver avuta la lettera di provvisione da Napoleone della Torre, cardinale diacono di S. Adriano e legato papale 86 . Non tutte le lettere di provvisione pontificie risultarono andate a buon fine: talvolta tra i documenti delle imbreviature di Giovanni de Scotis ritroviamo eco delle dispute che si creavano intorno ad una pre- benda o a uno stallo canonicale vercellese: il 1 gennaio 1362, per esem- pio, viene conferita la prebenda resasi vacante in seguito alla morte di Guglielmo de Montonario 87 a Lanfranco de Bulgaro e il documento ricorda come essa fosse stata pretesa da un tale Benedetto Boccanegra di Genova in quel momento già morto 88 , oppure quattro anni dopo, il 6 marzo 1366, la prebenda resasi vacante per la morte di Dragone di Alba 89 era stata conferita a Paxinus de Schicis preposito della chiesa di S. Donnino di Borgo San Donnino in diocesi di Parma, benchè su di essa sussistesse ancora una lite con un tale Enrico de Lonate di Milano che la pretendeva 90 . Ancora il 9 gennaio 1368 il pontefice aveva riser-

86 ACV, Ap, cart. XXVI, <1306-1307>. 87 ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 106r-107v. 88 Guglielmo de Montonario risulta essere stato figlio di un Franceschinus de Montonario, che un documento del 5 settembre 1367 attesta essere clericus Vercellensis et olim canonicus Cumanus (ACV, Ap, cart. XXXXVI, <1364-1368>); appare tra i cano- nici a partire dal giugno 1352, in quanto è elencato nel liber date di quell’anno (ACV, Puntature, n. 2), fino al 22 agosto 1353 (ACV, Ap, cart. XXXXIII, <1353-1355>). Risulta già morto il 10 gennaio 1362, quando la sua prebenda venne assegnata a Lanfranco de Arborio (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 106r-107v). 89 Attestato a partire dal 1358, morì sicuramente prima del 21 giugno 1361, quando gli succedette nella prebenda Giovannino de Testis (C OPPO -F ERRARI , Protocolli cit. , p. 159 n. 17). 90 Figlio di Maffiolo de Lonate , chierico e cittadino di Milano, venne eletto canoni-

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vato un canonicato e una prebenda o l’arcidiaconato ad un tale Nicola de Summa Ripa , che non aveva potuto ottenere l’ufficio dopo la morte di Martino de Bulgaro 91 . Non abbiamo infine molte informazioni di pressioni esterne, cioè di potentati laici, nell’elezione di canonici eusebiani 92 . Se, come del resto appare evidente, essi non avevano la facoltà di conferire prebende cano- nicali, tuttavia potevano avanzare la presentazione di candidati autore- voli. Abbiamo infatti la notizia che il conte di Virtù inviò al capitolo di Vercelli una lettera per la nomina del successore di Filippo di Ticineto alla carica di arcidiacono il 21 gennaio 1395 93 : il prescelto era il cano- nico di S. Maria Giovanni de Bulgaro , il quale fu poi eletto dal capito- lo il 15 febbraio dello stesso anno e dovette presentarsi a Masserano per ottenere anche la conferma del vescovo Ludovico Fieschi, il 4 aprile 94 . Che il canonicato vercellese rappresentasse per molti ecclesiastici provenienti da fuori Vercelli o fuori diocesi solo uno dei tanti cespiti finanziari, ce lo rivela il fenomeno diffuso del cumulo dei benefici. Molto spesso questi ecclesiastici possedevano già canonicati in altre diocesi: Venturino da Bergamo era canonico di Genova 95 ; Giacomo, figlio del marchese Manfredi di Saluzzo era canonico di S. Giovanni di Monza, quando successe nella prebenda a Tebaldo Brusati, a sua volta

co il 23 ottobre 1361 per la prebenda resasi vacante per la morte di Giovanni Fornaschus (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 94r-95r), ma sembra che non l’abbia otte- nuta in quanto era ancora in lite il 6 marzo 1366 con Paxinus de Schicis , che otterrà la prebenda di Dragone de Alba (ACV, Acap., cart. 96, fasc. 3, f. 101rv). 91 Urbain V (1362-1370). Lettres communes, Paris 1954-1989, VIII, p. 140 n. 23776. 92 CURZEL , I canonici cit. , pp. 226-228. 93 ACV, Acap., cart. 97, fasc. 7, f. 219r: «Dominus Mediolani et comes Virtutum imperialis vicarius generalis. Dilecti nostri sapientes archidiaconatum ecclesie vestre presentialiter vacare per obitum domini Filiponi de Ticineto hortamus vos ut dilectum nostrum Iohanninum de Bulgaro canonicum ecclesie Sancte Marie Vercellensis velitis solemniter ad predictum archidiaconatum elligere et electum in eius possessionem ponere pro quo complacebitis nobis multum. Dat. Papie die vigessimo ianuarii M°CCCLXXXXV. (A tergo) Venerabilibus viris . . canonicis et capitulo maioris eccle- sie civitatis mee Vercellarum. Filipinus» 94 Tutta l’operazione in ACV, Acap., cart. 97, fasc. 7, ff. 229r; 230r-231v; 238rv; 244r-246v. 95 Lo ricaviamo dalla nota di possesso di uno dei codici che lasciò al capitolo: Vercelli, Bibl. Cap., cod. XCVI, f.1v della guardia: «Iste primus et secundus Alvicenne est magistri Venturini de Pergamo canonici Ian(uensis)» e da una fugace menzione della città nel suo testamento (ACV, Ap, cart. XXXXII, <1353-1355>).

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vicario generale del vescovo di Novara Uguccione Borromeo nel 1310 ed in seguito preposito della cattedrale novarese (1359) 96 ; Pietro Verrus , prima di raggiungere la carica di arcidiacono del capitolo, era canonico di Tortona (1368) 97 , così come Giovanni Fornaschus (1358) 98 ; l’arci- diacono Martino de Credario era canonico della cattedrale di Como (1329) 99 , e Antonio Cacherano risulta essere preposito della chiesa mag- giore di Asti 100 . Altri canonici possedevano benefici ecclesiastici minori al momento del loro ingresso in capitolo o al momento della loro provvista: Beltramino de Raynoldis era preposito della chiesa di S. Genesio di Dairago in diocesi di Milano (1361) 101 ; Paxinus de Schicis era preposi- to della chiesa di S. Donnino di Borgo San Donnino in diocesi di Parma 102 ; Deganus de Nava possedeva un beneficio nella chiesa di S. Stefano di Binasco, in diocesi di Milano 103 . Pochi infine i chierici che risultano titolari di benefici nella diocesi di Vercelli: Giovanni Pelluchus era pievano della chiesa di S. Pietro di Gabiano in Monferrato (1368) 104 ed Antonio, figlio di Filippone Vialardi di Sandigliano, era rettore della chiesa di Verrone, località nel Biellese appartenente alla sua famiglia

96 Appartenente alla famiglia novarese dei Brusati, fu nominato canonico in una data non precisata, in quanto la sua prebenda venne conferita alla sua morte a Giacomo di Saluzzo l’8 novembre 1352 (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 32r-33r). (Cfr. G. ANDENNA , Vescovi, clero e fedeli nel tardo medioevo (1250-1400), in Diocesi di Novara, a. c. di L. V ACCARO – D. T UNIZ , Brescia 2007, pp. 153, 156. 97 ACV, Acap., cart. 96, fasc. 3, ff. 267rv. 98 COPPO -F ERRARI , Protocolli cit. , p. 83 n. 221. 99 MANDELLI , Il comune cit. , p. 107. 100 Archivio di Stato di Vercelli , Fam. Berzetti di Murazzano, m. 42, < Protocollo del notaio Antonio di Biandrate – 1386-1389 >, f. 12v (1387 ottobre 26, Vercelli). 101 Fu eletto il 30 novembre 1361 per la prebenda vacante di Crescimbene de Tricio (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 102r-103r). Chiese ed ottenne l’assegnazione della set- timana l’11 maggio 1364 (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, f. 293v), conclusa il 18 maggio seguente ( ibidem, f. 298v), con il pagamento del pallio ( ibidem , f. 300r). 102 ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 101rv. Viene chiamato anche de Cremona (ivi, f. 110rv). 103 Il 30 maggio 1390 presentò la lettera di provvisione, ma ottenne la prebenda che fu di Enrico di Castellengo solo nel 1395, quando tra il 13 febbraio e il 28 maggio gli fu assegnata la settimana e versò il denaro per il pallio (ACV, Acap., cart. 97, fasc. 7, ff. 228r, 250v). 104 ACV, Acap., cart. 96, fasc. 3, f. 217v.

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(1385) 105 . La figura che più si distingue per il cumulo dei benefici è però quella di Bartolomeo de Grana : aggregato al capitolo il 30 aprile 1390, quando ancora era studente di diritto civile a Pavia 106 , concluse la sua carriera a Trento, dove ottenne una prebenda capitolare nel 1425 e nel 1427 Martino V lo nominò decano di quel capitolo. Le informazioni rac- colte da Curzel ce lo presentano inoltre come detentore di benefici a Cividale, Aquileia e Bergamo, oltre che a Vercelli 107 .

4. I canonici e la liturgia

Un accenno, seppur breve, deve essere dedicato al rapporto tra i canonici e la liturgia. Ha ben ricordato Curzel che la ragion d’essere di un capitolo canonicale consisteva proprio nella partecipazione degli ecclesiastici all’ufficiatura della cattedrale 108 . Nel corso del secolo XIV l’interesse che il capitolo eusebiano ebbe per questo aspetto primario è testimoniato innanzitutto dalla cura con cui i canonici si premuravano di vagliare le capacità e la conoscenza del canto liturgico nei neoeletti in capitolo. Infatti ad ogni nuovo canonico veniva assegnata una settima- na di prova, durante la quale era tenuto a presenziare ai momenti della liturgia della cattedrale e qui, probabilmente, veniva giudicato dal can- tore. Qualora l’esame non fosse stato superato gli si imponeva di stu- diare il canto per un congruo lasso di tempo e ripresentarsi in seguito al vaglio di una nuova commissione 109 . Tra le imbreviature di Giovanni de

105 ACV, Acap., cart. 97, fasc. 6, ff. 30v-31v. 106 Fece presentare dal suo procuratore al capitolo la lettera di provvisione del papa Bonifacio IX il 30 aprile 1390 (ACV, Acap., cart. 97, fasc. 7, ff. 70rv), per reclamare la prebenda di Ambrogio de Tricio . Riuscì a fare la sua settimana nell’ottobre dello stesso anno ( ibidem, ff. 117rv). 107 CURZEL , I canonici cit. , pp. 482-483. 108 CURZEL , I canonici cit. , p. 346. Cfr. anche A. L OVATO , Musica e liturgia nella “canonica Sanctae Mariae Patavensis ecclesiae”. Il ms. E57 della Biblioteca capitola- re di Padova, in Canonici nelle cattedrali cit. , pp. 95-128. In generale si veda E. CATTANEO , La vita comune dei chierici e la liturgia, in La vita comune cit. , I, pp. 241- 272; I D., Azione pastorale e vita liturgica locale nei secoli XI-XII, in Le istituzioni eccle- siastiche della “societas christiana” dei secoli XI-XII. Atti della sesta settimana inter- nazionale di studio, Milano 1977, pp. 444-473. 109 Un caso analogo è segnalato da E. C ANOBBIO , Il capitolo della cattedrale di Santa Maria Maggiore di Como (secoli XIV-XV), in Canonici nelle cattedrali cit. , pp. 191-192.

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Scotis si ritrovano numerose attestazioni di assegnazione di settimane, tra le quali è interessante al nostro scopo quella relativa al canonico Gabriele di Beltramolo de Oldegardis di Milano. Il 9 settembre 1363 il capitolo, certificandone l’avvenuta settimana in ordine acolitali , ordina- va che, poiché Gabriele non est sufficiens cantor nec sciat cantare, aves- se l’obbligo per un intero anno di perficere et adiscere cantum , renden- dosi sufficientem et ydoneum in cantandum con l’esclusione dei frutti della prebenda 110 . L’attenzione e la cura degli aspetti liturgici è provata altresì dal ten- tativo, sembra realizzato, di risistemare in blocco tutta la tradizione liturgica del passato. In questo senso si può leggere la compilazione del liber ordinarius della chiesa vercellese (l’attuale Vercelli, Bibl. Cap. LIII) 111 , promossa dal cantor Eusebio de Dionixiis nella seconda metà del secolo 112 e quella dell’intera ufficiatura diurna, rappresentata dai due breviari secundum usum ecclesie Vercellensis (Vercelli, Bibl. Cap. cod. CLI e cod. CXCIII), che Gionata Brusa mette in connessione con il Vercelli, Bibl. Cap. cod. LIII, in quanto probabilmente frutto della stes- sa mano 113 . Non mi soffermerò su questo problema che rivela un inte- resse spiccato dei canonici eusebiani di metà secolo per una riforma liturgica nel pieno senso della parola, tanto da far nascere nell’erudizio- ne ecclesiastica tardoottocentesca l’illusione dell’esistenza di un rito “eusebiano” 114 .

110 ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 207v-208r. 111 Usus psallendi ecclesiae Vercellensi . (Vercelli, Biblioteca Capitolare, cod. LIII ), Studia et editionem paravit I. B RUSA adlaborante F. D ELL ’O RO , Roma 2009. 112 La prima attestazione di questo canonico è in un documento dell’11 marzo 1326 in qualità di testimone immediatamente prima di Delfino de Vassallis , chiamato in quel- l’occasione maior cantor (ACV, Ap, cart. XXXI, <1323-1326>). Morì anteriormente al 7 novembre 1361, in quanto subentrò nella sua prebenda Ludovico de Salugiis (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 100r101r). Risulta essere stato vicarius del vescovo Giovanni Fieschi nel 1358 (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, f. 6r). 113 Schede dei due breviari si trovano in G. B RUSA , Il “Liber ordinarius Ecclesiae Vercellensis”, in «Rivista internazionale di Musica sacra», 28 (2007), pp. 133-170. 114 È ancora una volta opinione di B RUSA , Il “Liber ordinarius” cit. , dove riprende e analizza quanto riportato da R. P ASTÈ , Rito Eusebiano, in «Archivio della Società ver- cellese di storia e d’arte», 1 (1909) n. 1, pp. 15-28; n. 2, pp. 62-74; n. 3, pp. 85-95; 2 (1910) n. 2, pp. 189-200; n. 3, pp. 229-250.

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Il controllo dell’ordinato svolgimento delle liturgie in cattedrale è anche il motivo di esistere di un’altra fonte poco studiata: i registri delle puntature. Risalgono infatti alla metà del secolo i più antichi libri date della cattedrale, antesignani dei registri o schede di puntatura, nei quali venivano segnalati mediante un punteruolo le presenze dei canonici alle celebrazioni liturgiche o all’ufficiatura corale 115 . L’Archivio Capitolare ne conserva una serie molto interessante fino al secolo XIX. Per il secolo preso in considerazione ne possediamo solamente due, parziali, il primo che copre il periodo dal giugno 1342 al marzo 1343 116 , il secondo dal giu- gno 1352 al maggio 1353 117 , entrambi compilati da Eusebio de Dionixiis . Al di là dell’interesse propriamente specifico di questi strumenti di con- trollo, a cui si può aggiungere una motivazione economica, in quanto la massa capitolare veniva poi divisa in relazione alla maggiore o minore pre- senza dei canonici all’ufficiatura, i libri in questione possono offrire infor- mazioni diversamente non accertabili, come nel caso della segnalazione del giorno della morte del canonico Delfino de Vassallis, registrata il 10 dicembre 1342 118 ; e soprattutto ci attestano l’estrema mobilità dei canoni- ci, non solo impegnati nella cura dell’amministrazione dei beni comuni o di quelli relativi alla propria prebenda, ma anche in numerosi viaggi o sog- giorni presso le diocesi di origine, dove magari dovevano provvedere alla cura di altri benefici o potevano riallacciare amicizie o legami 119 .

115 Le puntature sono organizzate in questo modo: una prima colonna reca le lettere domenicali, poi in orizzontale i nomi dei canonici e in corrispondenza i punti assegnati che rivelano la loro presenza durante le funzioni, l’ultima linea orizzontale totalizza il punteggio e/ o la conversione del punteggio in soldi e denari. 116 ACV, Puntature capitolari, fasc. 1: fasc. cartaceo, ff. 6 2, mutilo, manca la secon- da pagina di marzo 1343. Sul f. 1r: «1342-43» di mano del sec. XVI; «1342-43» di altra mano del sec. XVI; a f. 1v: «Liber date anni currenti MCCCXXXXII, die primo men- sis [iunii] et scriptus per dominum Eusebium de Dyonixiis canonicum Vercellensem». 117 ACV, Puntature capitolari, fasc. 2: fasc. cartaceo, ff. 7 2, dal mese di giugno 1352 al mese di maggio 1353. f. 1r: «1342» di mano sec. XVI. Poi: «In nomine Domini nostri Yesu Christi. Liber date ecclesie Vercellensis scriptus per me Eusebium de Dionixiis canonicum et cantorem inceptus anno MCCCLII, III kalendas iunii, V a indicione». 118 ACV, Puntature capitolari, fasc. 1, f. 7v, mensis decembris al 10 dicembre: «Hic diem clausit extremum venerabilis vir dominus Dalphinus de Vassallis circa horam medie noctis». 119 Un piccolo esempio è dato da due annotazioni relative a Taddeo da Bergamo: ACV, Puntature capitolari, fasc. 1, 16 ottobre 1342, f. 5v: «Hic recessit de capitulo itur

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5. I canonici e la cultura

Un ulteriore ambito di ricerca è quello relativo alla cultura dei canonici, desumibile sia dalle informazioni ricavabili dai testamenti o dai documenti notarili in genere, sia dalle note di possesso dei codici. Se il profilo culturale dei canonici eusebiani dei secoli precedenti può godere di studi e ricerche ben avviate 120 , c’è naturalmente ancora molto da scoprire sulla formazione e sugli interessi culturali degli ecclesiastici che occuparono gli stalli canonicali nel secolo XIV. Scorrendo la lista dei canonici si può partire da una semplice consta- tazione: solo ad un gruppuscolo di canonici è attribuito dai documen- ti il titolo di magister , che rimanderebbe ad un loro coinvolgimento nella preparazione universitaria. Se dovessimo basarci unicamente sul dato grezzo, la percentuale che se ne ricava è oltremodo esigua: sette canonici sui circa 170 vengono ricordati con questo titolo, ovvero Emanuele, l’arciprete Nicola, Venturino da Bergamo , Giovanni Benedetto de Boiano, Girardo de Brioscho, l’arcidiacono Pietro Verrus e Cello Nardelli. Letti diversamente, gli stessi dati farebbero poi pensare ad uno sbilanciamento della loro formazione scolastica verso l’ambito del diritto canonico o dell’ utriusque iuris : l’arcidiaco- no Martino de Bulgaro è detto espressamente nel suo testamento iuris canonici peritus 121 , mentre risultano iuris utriusque periti Francesco de Laveziis 122 e Paxinus de Schicis 123 . Anche i tre soli chierici che nei documenti di provvisone o collazione sono indicati come studenti fre- quentano facoltà giuridiche: Giacomo , figlio del marchese Manfredi di Saluzzo, succedendo nel 1359 nella prebenda di Tebaldo Brusati, si era fatto rappresentare da un procuratore in quanto impegnato Padue in iure studere 124 ; Giovanni de Bulgaro nel 1364 viene definito studens in iuri civili , non si sa in quale università 125 ; infine Bartolomeo de

Pergamum ante terciam», mentre il suo ritorno in sede è attestato il 23 ottobre «Hic venit ante vesperas». 120 MERLO , I canonici cit. , pp. 23-36. 121 ACV, cart. 41, Testamenti e codicilli 1202-1598. 122 ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 53r-54r. 123 ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 110rv. 124 ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 32r-33r. 125 ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 251rv.

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Grana è ricordato come studens in iuri civili in Studio Papiensi nel 1390 126 . Solo la figura di magister Venturino de Gragnanis di Bergamo fa pensare che tra i canonici di questo secolo potessero albergare interessi diversi da quelli giuridici 127 : figlio di un magister Albertus artis fixice professor , era a sua volta un medico con interessi specifici della disci- plina, come rivela la donazione alla chiesa di S. Eusebio del suo codice contenente il Liber canonum di Avicenna (Vercelli, Bibl. Cap. cod. XCVI) e la Secunda secunde di Tommaso d’Aquino con il de proprie- tatibus rerum di Bartolomeo Anglico (Vercelli, Bibl. Cap. cod. LXXII), codice già di proprietà di Uguccione Borromei, vescovo di Novara 128 , più una serie di diversa genera librorum , non altrimenti specificati nel suo testamento.

126 ACV, Acap., cart. 97, fasc. 7, ff. 70rv. 127 Lo rivela il suo testamento in ACV, Ap, cart. XXXXII, <1353-1355>: « Item relinquid ecclesie sue Vercellensi librum unum beati Thome de Achino qui vocatur “Secunda secunde” et “de proprietatibus rerum” qui fuit bone memorie domini Ugutionis . . episcopi Novariensis. Item relinquit dicte sue ecclesie Vercellensi Primum et secundum Avicene in asseribus et coloribus diversis hoc modo et pacto quod dicti libri ponentur in libraria dicte ecclesie Vercellensis applicati cum cathenis et ibi permanere debeant nec modo aliquo impignorantur nec alienari possint nec impignorari nec aliquo modo obligari quod si contrastum fuerit incontinenti perveniant in dominum . . episco- pum Vercellensem, excepto quod si aliquo tempore libri suprascripte ecclesie Vercellensis qui sunt in dicta libraria non possent manere sicuri in dicta libraria propter guerras quod illo tempore dici dicti libri quos relinquit ecclesie Vercellensi dictus domi- nus Venturinus ponerentur cum aliis libris suprascripte ecclesie Vercellensis in loco ser- vato. Item reliquid dicte sue ecclesie Vercellensi corium unum modicum rubeum ad coperiendum altare maius dicte ecclesie Vercellensis. (…) Item supradictus testator pro- testatur et dicit quod habet in Thessauraria ecclesie Vercellensis coffinos duos in quibus sunt bona infrascripta, videlicet floreni triginta auri, item bocallum I et gobelletos sex qui stant in dicto bocallo omnes de argento intus deauratos, item copam unam cum pede deaurata; item taciam unam cum manibro quam legavit domino Eusebio de Dionixiis canonico Vercellensi, item diversa genera librorum, item quamplura alia iocalia». Cfr. PASTÈ , Donatori cit., pp. 210 n. 12. 128 PASTÈ , Donatori cit. , pp. 210-211, attribuisce il possesso di questo libro a Uguccione Borromeo, vescovo di Novara (1304-1329). Sulla figura di questo vescovo v. P. B ERTOLINI , Borromeo, Uguccione, in Dizionario biografico degli Italiani, XIII, Roma 1971, pp. 66-67 e cfr. A NDENNA , Vescovi, clero cit. , pp. 151-157. Segnalo inoltre che un ulteriore testimone dell’opera si trova nella Biblioteca Agnesiana, proveniente dal convento agostiniano di S. Pietro di Biella e databile, con ogni probabilità alla prima metà del secolo XIV: M. C APELLINO , Segnalazioni di codici delle biblioteche del Seminario, in L’università di Vercelli cit. , pp. 361-363.

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Eccettuato Venturino, la circolazione dei libri tra i canonici è di tipo prettamente giuridico e solo in subordine liturgico: Giacomo de Moxo lasciava infatti nel 1303 al fratello Guglielmo, anch’egli canonico della cattedrale, un volume di Decretales cum assibus et apparatis , un Decretum cum assibus et apparatis, due antifonari (uno notturno ed uno diurno) ed un non ben specificato imbreviarium , che aveva tenuto in vita 129 ; Enrico de Castellengo , nipote di Martino de Bulgaro , donava nel 1387 l’ Alphabetum in arte sermocinandi di Pietro di Capua (Vercelli, Bibl. Cap., cod. XXXII) 130 ed infine l’arciprete Gaspardo Avogadro di Quinto possedeva un volume di Institutiones di Giustiniano cum glossis (Vercelli, Bibl. Cap., cod. XIV) 131 . Evidentemente questo breve excursus sui libri donati e posseduti dai canonici eusebiani di questo periodo li situa in una posizione ben lontana dalla qualità dei loro colleghi dei secoli precedenti, di un maestro Cotta, tanto per intenderci, o di un Giacomo de Carnario , i cui libri, specchio dei

129 ACV, Ap , cart. XXVI, <1306-1307>: «§ Item reliquid domino Guilielmo predic- to Decretales cum assibus et apparatis, Decretum cum assibus et apparatis, antiphonaria duo, unum diurnum et aliud nocturnum, imbreviarium I magnum, quod inbreviarium teneat in vita sua et post decessum dicti domini Guilielmi pervenient pleno iure in eccle- siam Sancti Stephani de civitate». Cfr. P ASTÈ , Donatori cit. , p. 212. 130 Non possediamo il testamento di questo canonico, ma l’informazione è ricavabi- le dalle due note di possesso che si ritrovano sul Vercelli, Bibl. Cap., cod. XXXII, f. 1r: «Millesimo trecentesimo octuagesimo septimo, indicione X die v(er)o XV mensis novembris. Venerabilis et nobilis vir dominus Henricus [………………] ex dominis Castellengi et canonicus subdiaconus ecclesie Vercellensis donavit hunc librum librarie ipsius ecclesie Vercellensis ad utilitatem volentium profitere et pro remedio anime sue in hiben < sic! > expresse ne asportetur de ipsa libraria quicumque ei ipsum asportaverit vel hanc scripturam deleverit anathema sit »; ripetuta a f. 2r: «Millesimo trecentesimo octuagesimo septimo, indicione X die v(er)o XV mensis novembris. Venerabilis et nobi- lis vir dominus Henricus [………………] ex dominis Castellengi canonicus subdiaco- nus orthodoxe ecclesie Vercellensis donavit hunc librum librarie ipsius ecclesie Vercellensis ad utilitatem volentium profitere et pro remedio anime sue in inhiben expresse ne asportetur extra ipsam librariam quicumque ei ipsum asportaverit vel mali- tiose hanc scripturam deleverit anathema sit. Amen. Amen. Amen ». Cfr. Pastè, Donatori cit. , p. 212. 131 Nel piatto anteriore del Vercelli, Bibl. Cap. cod. XIV, si trova la seguente nota di possesso: «Iste liber I(n)stuto est domini archipresbiteri de Quinto unde modo satisfatiat de florinis VII quos habuit de thesauro». P ASTÈ , Donatori cit., p. 63 identifica questo arciprete con Gaspardo Avogadro di Quinto, che ne fu certamente l’ultimo possessore (NE n. 455).

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loro ampi interessi per la liturgia, la teologia e l’esegesi, li ponevano all’a- vanguardia delle élites culturali dell’Italia settentrionale 132 . L’unico personaggio in grado di competere con i suoi predecessori può forse essere l’arcidiacono Martino de Bulgaro . Iuris canonici peri- tus , come si fa designare nel suo testamento del 1362 133 , l’ecclesiastico lascia complessivamente alla libraria della cattedrale le sue Decretales magnas et pulcras glosatas (l’attuale Vercelli, Bibl. Cap. cod. V), un volume di Clementine non glosate (identificato da Giuseppe Ferraris sulla scorta del Pastè con il Vercelli, Bibl. Cap. cod. XXI) 134 , un Liber Sextus glossato, un leggendario cum legendis truncatis , un antifonario in quattro volumi, una piccola Bibbia de littera parisina coperta de veluto (identificata di recente da Brusa in una maculatura di un registro dell’Archivio Comunale di Vercelli) 135 , ed alcuni imprecisati libri redde- cami . Altri libri, contenuti in un armarium novum suddiviso in diverse celle, che l’arcidiacono possedeva nella sua camera, vennero invece donati al convento dei Carmelitani di Vercelli. L’elenco, ricavato dal

132 Sul magister Cotta di Tronzano e sui suoi interessi per l’esegesi si veda impre- scindibilmente C. F ROVA , Teologia a Vercelli alla fine del secolo XII: i libri del canoni- co Cotta, in L’Università di Vercelli cit., pp. 311-333. Sulla figura di Giacomo de Carnario è ancora utile riferirsi a U. R OZZO , Carnario (Carnarus, Carnari), Giacomo, in Dizionario biografico degli Italiani , XX, Roma 1977, pp. 439-441. La biblioteca del vescovo vercellese è stata analizzata in A. Q UAZZA -S. C ASTRONOVO , Biblioteche e libri miniati in Piemonte tra la fine del XII e il primo terzo del XIV secolo: alcuni percorsi possibili, in Gotico in Piemonte, a c. di G. R OMANO , Torino 1992, pp. 267-273. 133 ACV, cart. 41, Testamenti e codicilli 1202-1598: «In primis legavit Deo et beato Eusebio et . . capitulo Vercellensi suas Decretales magnas et pulcras glosatas. § Item Clementinas non glosatas. Qui libri omnes ponantur in liberaria cum aliis libris cum bonis cathenis sumptibus ecclesie et ibi perpetuo maneant sine vendicione translatione impignoratione concessione vel aliqua alia alienatione excepto quod si tempore guerre inesset periculum incendii furti vel rapine tunc de consensu omnium de capitulo nemi- ne contradicente omnibus vocatis ad capitulum possint predicti libri abscondi in aliqui- bus monumentis prout experiencia alia docuit vel poni in Thesauro vel alibi infra ambi- tum ecclesie prout omnibus canonicis videbitur expedire. (…) § Item libri reddecami sunt positi in thesauro. (…) Item legavit fratribus Sancte Marie de Carmello de Vercellis aliud armarium novum pulcerrimum ubi sunt plures causelle quod est in cella sua facta de glischo ad ponendum libros quos testator dedit dicto conventui». 134 Il F ERRARIS , Le chiese stazionali cit. , p. 221 lo identifica con le Clementine di Martino sulla scorta di Pastè, Donatori , pp. 211-212. 135 G. B RUSA , Maculature liturgiche conservate nel Fondo notarile antico dell’Archivio Storico Civico di Vercelli, in «Aevum», 83 (2009), pp. 431-527.

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testamento ed integrato con quanto segnalano il necrologio 136 e le note di possesso dei codici, ci presenta la figura di un ecclesiastico al passo con i tempi, preoccupato di consolidare la sua cultura giuridica, ma attento anche agli impegni della sua funzione e del suo status clericale 137 . L’ultima osservazione riguarda infine i canonici che possedevano una cultura di tipo notarile, come Giacomo Manuga e Servusdei Alciati: al di là della loro appartenenza alla categoria dei chierici-notai, che sicu- ramente comportava una preparazione professionale specifica, non conosciamo molto di più dei contenuti e dell’ iter della loro formazio- ne 138 : solo per Servusdei abbiamo la notizia che possedeva un Breviarium , entrato in possesso del canonico Bartolino da Santhià, dopo che questi lo aveva acquistato dal frate eremitano Giovanni de Monte 139 . Non diversamente anche per il basso clero della cattedrale possiamo ipotizzare sulla scorta della documentazione una fisionomia culturale simile a quella dei canonici: Uberto de la Costa , cappellano dell’altare dei SS. Giacomo e Filippo nelle sue ultime volontà aveva donato alla chiesa cattedrale il suo antifonario diurno, destinando quello notturno alla chiesa di S. Giovanni di Gazzo 140 . Un estratto del suo testamento ci

136 NE n. 655: «Antiphonarium insuper nocturnum in quatuor volumina divisum ac banchos chori ubi celebrantur divina opere tarsie et multis intaliaturis laboratos cum hostiis veprium dicti chori pariter cum libraria ubi sunt libri positi ad cathenas fuerunt ipso procurante perfecta. […]. Legavit etiam ecclesie Vercellensi suum pulcerrimum librum Decretalium et Clementinas sine glosis». 137 La ricostruzione della biblioteca di Martino è stata fatta da F ERRARIS , Le chiese stazionali cit. , p. 221 n. 338. 138 Sul notariato vercellese di questo secolo v. A. O LIVIERI , Notai e organizzazione notarile a Vercelli nel Trecento , in questo volume. 139 ACV, Ap, cart. LXII, <1421-1423>, edizione parziale in A RNOLDI , Vercelli vec- chia cit. , p. 133 n. 184. Ringrazio Antonio Olivieri per la gentile segnalazione. Cfr. Pastè, Donatori cit. , p. 210. 140 ACV, Ap, cart. XXVIII, <1311-1312>: «§ Item legavit dicte ecclesie Sancti Eusebii quodam suum antifenarium dyurnum sub hac forma videlicet quod illud antife- narium servari debeat per custodes ipsius ecclesie et illud habeant in celebratione mis- sarum p(o)poli et ipsum comodare teneantur singulis capellanis ipsius ecclesie in cele- bratione missarum festivitatum suorum altariorum si ipsum habere voluerint, ita quod celebratis missis ipsum antifenarium in manibus ipsorum custodum restituatur nec pos- sit acomodari vel portari extra ipsam ecclesiam set semper remaneat ad ussum predic- tum in ecclesia antedicta. § Item legavit suum antifenarium nocturnum quod est in duo- bus voluminibus ecclesie Sancti Iohannis de Gazio quod dari debeat ministro ipsius ecclesie Sancti Iohannis cum conscilio dominorum archipresbiteri et prepositi Vercellensium».

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informa poi che era stato anche possessore di un libro di Decretali, ven- duto al maior di S. Maria, Eusebio di Tronzano, per 25 lire di pavesi 141 . Il profilo degli interessi culturali dei canonici vercellesi del secolo XIV si presenterebbe “basso” e mirato al possesso di competenze tecni- che o professionali se non fossimo a conoscenza di alcuni documenti che ci presentano un quadro generale diverso e più sfumato. Passate quasi inosservate sono infatti alcune informazioni che ci permettono di ipotizzare un vero e proprio slancio dei canonici eusebiani verso la pro- mozione della cultura. È ancora la nota obituaria di Martino de Bulgaro a ricordarci come l’arcidiacono avesse donato alla chiesa di S. Eusebio, oltre ai banchi intarsiati e scolpiti del coro ed eseguiti intorno al 1345, anche una libraria 142 . Con questo termine si designava presumibilmen- te un locale attrezzato, vicino al coro della cattedrale, dove erano ripo- sti per essere consultati i codici di proprietà del capitolo. Non è impro- babile che questa libraria fosse stata allestita nella prima metà del seco- lo, in quanto viene ricordata dal testamento di Venturino da Bergamo ,

141 ACV, Ap, cart. XXVIII, <1311-1312>: «§ Item legavit dictus dominus presbiter Ubertus elemoxinario Elemoxine Sancti Andree Vercellensis qui nunc est vel qui pro tempore fuerit nomine dicte Elemoxine libras octo P(a)p(iensium) ex illis libris duode- cim P(a)p(iensium) quas sibi dare debet dominus Eusebius de Trunzano magor < sic! > ecclesie Sancte Marie Vercellensis pro Decretalibus quas ei vendidit pro libris viginti- duabus P(a)p(iensium)». Rimane aperto anche il discorso sulla dotazione liturgica delle chiese rurali e sulle letture o sugli interessi culturali del loro clero. Un utile confronto può essere condotto con l’inventario che il presbiter Bartholameus de Scotis de Vercellis rector et minister ecclesie Sancte Marie de Pissinengo , in diocesi di Novara, aveva volu- to redigere dei beni che aveva trovato nella sua chiesa il 10 gennaio 1384, dove tra i numerosi arredi liturgici e gli strumenti della vita quotidiana si legge: «Item missale unum completum pro toto anno. Item missaletos tres votivos. Item antifenarium unum diurnum notatum pulcrum. Item antifenarium unum nocturnum disquaternatum . Item antifenarium unum nocturnum. Item librum unum de omeliis. Item imbreviaria tria non completa. Item salteria duo, quorum unum non est completum. Item libros duos in quibus sunt < segue depennato no> ymni notati. Item certos alios libros pauci valoris. Item aliud misale antiquum. Item librum unum mutilatum de Adventu antichristi et de duodecim articulis fidei. Item librum unum de passionibus et vita sanctorum. Item alia volumina plurium sanctorum» (ACV, Acap., cart. 97, fasc. 6, ff. 8r-9r). 142 NE n. 655: «Antiphonarium insuper nocturnum in quatuor volumina divisum ac banchos chori ubi celebrantur divina opere tarsie et multis intaliaturis laboratos cum hostiis veprium dicti chori pariter cum libraria ubi sunt libri positi ad cathenas fuerunt ipso procurante perfecta».

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che vi destina per essere conservati cum cathenis i suoi due volumi di Avicenna e dell’Aquinate. Quali volumi contenesse questa struttura, né gli atti di ultima volontà di Martino, né altri documenti ce lo rivelano. Ci può però venire in aiuto l’inventario, pubblicato da Tibaldeschi in appendice al volume del Ferraris dedicato alle chiese stazionali, che censisce circa 50 codici. Il fascicoletto, mutilo di almeno sette dei nove bifogli di cui era compo- sto, viene datato posteriormente al 1361, in quanto la legatura è costi- tuita da documenti notarili rogati in quell’anno 143 . Non è improbabile che questo documento, contenente l’ordinata descrizione del contenuto della libraria eusebiana organizzata in banchi , sia il testimone dell’ini- ziale processo costitutivo di quella che diventerà la Biblioteca capitola- re come la conosciamo oggi. I 50 codici descritti potrebbero rappresen- tare infatti una parte importante del tesoro bibliografico accumulato nei secoli dai canonici, lì concentrato non tanto per una necessità di mera conservazione, quanto piuttosto per una funzione specificamente cultu- rale e scolastica. I codici censiti nell’inventario, non ancora del tutto coincidenti con quelli attualmente presenti in Biblioteca capitolare, rac- chiudono testi di tipo prettamente teologico, filosofico e giuridico, men- tre mancano i testi liturgici più antichi, probabilmente elencati nelle parti mancanti 144 . Ancora la libraria nova viene ricordata in due documenti del 1372, con i quali il capitolo istituiva l’ officium lectorie presso la cattedrale eusebiana. I due documenti, già conosciuti dal Mandelli, offrono inte- ressanti spunti di riflessione sulla coscienza che i canonici eusebiani del secolo XIV avevano del glorioso passato culturale della cattedrale ver- cellese. L’iniziativa di istituire presso la cattedrale l’ufficio del lettore non sembra essere stata presa dal capitolo, ma prende avvio dalla dona- zione di 150 fiorini d’oro che un laico, Uberto de Bulgaro, nel suo testa- mento steso il 24 luglio 1371, aveva lasciato per essere distribuiti amore Dei dai suoi esecutori testamentari: un frate Predicatore, Antonio da San

143 L’inventario, che si trova in ACV, Scatola XIX, Lista delli libri che sono nell’Archivio … della Cattedrale, ricordato da F ERRARIS , Le chiese stazionali cit. , pp. 112-113 n. 20 è edito ivi a pp. 261-262 come Appendice 1 . 144 Cfr. M.A. C ASAGRANDE MAZZOLI , Per un’indagine sui manoscritti della Biblioteca Capitolare di Vercelli, in L’università di Vercelli cit. , pp. 293-310.

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Nazzaro, un frate Minore, Antonio da Borgo d’Ale, ed il prete Giacomo Oca, rettore della chiesa cittadina di S. Agnese. A un anno di distanza gli esecutori decidono di acquistare con questa ingente somma di denaro alcune proprietà fondiarie, destinate ad istituire l’ officium lectorie sacre pagine seu sancte theologie nella libraria nova della cattedrale, affi- dandone l’incarico ad un lettore esperto nella scienza della sacra pagina e, naturalmente, di vita laudabilis et honesta , che avesse il compito di illustrare sacram paginam omnibus audire volentibus 145 . L’intera operazione sembra essere stata architettata e portata a buon esito dal capitolo e da frate Antonio da San Nazzaro, un perso- naggio altrimenti ben conosciuto in quanto ricopriva in quegli anni l’ufficio di lettore nel convento di S. Paolo e che nel biennio 1385- 1386 ricoprirà anche l’incarico di inquisitor heretice pravitatis , dive- nendo infine provinciale della Lombardia superiore almeno dal 1397 146 . Ce lo rivela il secondo documento, scritto contestualmente all’esecuzione delle volontà di Uberto de Bulgaro , in cui appaiono con una chiarezza evidente la coscienza che il capitolo possedeva della sua funzione di custode della cultura e il desiderio di perpetua- re questa missione nel futuro. Non diversamente interpreterei le paro- le che il primicerio dei canonici aveva ordinato di scrivere al notaio, quando affermava che inter alias ecclesias Lumbardie eadem eccle- sia Vercellensis est honoranda, antiqua, venerabilis et famossa et in qua ab antiquo sacra pagina et astrologia et alie artes liberales legi consueverunt , memore anche dell’esperienza appena esaurita dello Studium generale 147 .

145 ACV, Acap., cart. 96, fasc. 4, ff. 110rv. I documenti sono citati da M ANDELLI , Il comune cit. , pp. 44-45; O RSENIGO , Vercelli sacra cit. , pp. 55-56; G. T IBALDESCHI , “Persecutori de christiani et veri ministri dell’Anticristo”. Gli Inquisitori di Vercelli: schede per una ricerca, in 1899. Ritorno dei Domenicani a Vercelli. Occasione per una memoria, Vercelli 2002, p. 154. 146 Sul personaggio T IBALDESCHI , “Persecutori de christiani” cit. , pp. 153-154. Alle notizie riportate ivi si possono aggiungere anche quelle relative al testamento di Blaxius de Blandrate del 18 gennaio 1389, dove il frate è nominato esecutore testamentario (C OPPO -F ERRARI , Protocolli notarili cit. , pp. 310-317 n. 3) ed è testimone ad una vendi- ta del monastero di S. Pietro Martire del 4 gennaio 1390 (ivi , p. 366 n. 70). 147 Sull’esperienza trecentesca dello Studium vercellese si veda I. N ASO , La fine del- l’esperienza universitaria vercellese, in L’università di Vercelli cit. , pp. 335-357.

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6. I canonici e la morte

Un ultimo ambito di ricerca riguarda il rapporto tra i canonici e la morte. È incontestabile che i comportamenti di questi ecclesiastici in pros- simità del passaggio finale siano significativi per la ricostruzione dei loro orientamenti religiosi e per l’analisi dei vincoli che in vita li avevano tenu- ti legati al capitolo e alla famiglia di appartenenza, oltre a mettere in luce tutta una serie di informazioni utili a ricostruire il loro background socia- le e culturale 148 . Purtroppo anche in questo caso la documentazione non ci viene in aiuto 149 : sotto il profilo numerico possediamo undici atti testa- mentari relativi ad otto canonici, più il ricordo di almeno due testamenti non pervenutici ( Alexinus de Meno 150 , Bartolomeo da Santhià 151 ). Dei primi, solo cinque sono testamenti completi (Enrico Bondoni di Alice [1300]; Giacomo de Moxo [1303]; Rainerio Avogadro di Pezzana [1324]; Venturino da Bergamo [1354]; Martino de Bulgaro [1362]), i rimanenti sono estratti che riportano alcune clausole 152 . A questi possono essere aggiunti anche due estratti di testamenti di vescovi vercellesi o di canoni-

148 Classico a questo proposito è il rimando alla raccolta di studi contenuta in “Nolens intestatus decedere”. Il testamento come fonte della storia religiosa e sociale , Perugia 1985. In particolare utilissimo risulta ancora il monumentale studio di A. PARAVICINI BAGLIANI , I testamenti dei Cardinali del Duecento , Roma 1980. Per la società vercellese gli studi specifici sulla pratica testamentaria e sui suoi riflessi religio- si mancano; un tentativo in relazione all’ospedale di S. Andrea è stato fatto in G. FERRARIS , L’ospedale di S. Andrea di Vercelli nel secolo XIII. Religiosità, economia, società, Vercelli 2003, pp. 58-70. 149 Si sono presi in considerazione non solo i testamenti veri e propri, ma tutti i docu- menti che rientrano nell’ampia categoria degli “atti di ultima volontà”: cfr. C. P IACITELLI , La carità negli atti di ultima volontà milanesi del XII secolo , in La carità a Milano nei secoli XIII-XIV , a c. di M. P. A LBERZONI -O. G RASSO , Milano 1989, pp. 167-186. 150 ACV, Acap., cart. 97, fasc. 6, ff. 77rv (23 gennaio 1386). Ricorre nei documenti capitolari dal 1380 (ACV, Ap, cart. XLIX, <1378-1380>), fino al 27 gennaio 1385. (ACV, Acap. , cart. 97, fasc. 6, ff. 12 rv). Un documento del 17 marzo 1382 lo ricorda come Alexius de Novaria (ACV, Ap, cart. L, <1381-1383>). 151 Il canonico compare raramente tra i documenti capitolari solo nel settembre 1332 (ACV, Ap, cart. XXXIII, <1330-1332>). 152 Rispettivamente: per Enrico Bondoni di Alice il testamento originale del 23 giu- gno 1300 (ACV, Ap, cart. XIV, <1297-1300>; per Giacomo de Moxo il testamento in originale del 6 marzo 1303 (ACV, Ap, cart. XXIV, <1301-1303>), a cui si aggiunge un estratto del testamento del 20 luglio 1306 (ACV, Ap, cart. XXVI, <1306-1307>); per Filippo Avogadro di Quinto l’estratto dal protocollo notarile del notaio Ruffino di Miralda del testamento datato 26 agosto 1313 (ACV, Ap, cart. XXVIII, <1311-1313>);

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ci eusebiani divenuti vescovi in altre diocesi (Palaino Avogadro di Collobiano 153 , Emanuele Fieschi 154 ). Poco, se si considera il numero asso- luto di canonici censiti per il secolo preso in considerazione; naturale se si pensa che la maggior parte dei canonici non era residente e faceva gra- vitare i propri interessi verso chiese di altri luoghi. Tuttavia alcune prime impressioni possono essere rapidamente rac- colte: nella stragrande maggioranza dei casi i canonici eusebiani indivi- duano in un parente più o meno prossimo il loro erede universale, soli- tamente i fratelli (Enrico Bondoni, Giacomo de Moxo , Giorgio d’Albano) o i nipoti, figli dei fratelli (Filippo Avogadro di Quinto, Rainerio Avogadro di Quinto), in un caso i pronipoti (Nicola di Montiglio); in subordine vengono ricordati anche altri parenti stretti: la madre o le nipoti, per le quali si fissa una somma più o meno cospicua per la loro dote. Il dato in sé non è particolarmente significativo, sposta però l’interesse dei canonici dalla chiesa cattedrale, alla quale nei seco- li precedenti i loro predecessori avevano lasciato le proprie ricchezze, al lignaggio e alla famiglia, enfatizzando una tendenza già presente nei testamenti dei loro colleghi dei secoli precedenti. La costituzione di benefici presso altari di nuova erezione o già esi- stenti in cattedrale, sottoposti al giudizio di una commissione nella quale una parte importante era giocata da rappresentanti laici della fami- glia di provenienza del canonico benefattore, conferma questa prima impressione: è a partire da questo secolo che le famiglie aristocratiche vercellesi si appropriano di spazi liturgici e cultuali all’interno della cat- tedrale in funzione di una esaltazione del lignaggio 155 . All’inizio del

per Rainerio Avogadro di Pezzana il testamento in originale del 5 settembre 1324 con un suo codicillo (entrambi in ACV, Ap, cart. XXXI, <1323-1326>); per Giacomo di Carisio un codicillo del 26 luglio 1326 (ACV, Ap, cart. XXXI, <1323-1326>); per Giorgio d’Albano un codicillo del 2 novembre 1343 (ACV, Ap, cart. XXXVIII <1342- 1343>); per Venturino da Bergamo l’originale del testamento del 2 giugno 1354 (ACV, Ap, cart. XXXXIII <1353-1354>); per Martino de Bulgaro una copia cartacea del testa- mento del 7 febbraio 1362 (ACV, cart. 41, Testamenti e codicilli 1202-1598 ) e un codi- cillo (ACV, Ap, cart. XXXXV, <1361-1363>); per Nicola di Montiglio un codicillo del testamento datato 14 settembre 1375 (ACV, Ap, cart. XXXXVIII <1373-1377>). 153 ACV, AP , Atti di legati pontifici, cart. XIII, <1211-1407> (1345 gennaio 21). 154 ACV, Ap, cart. XXXXI, <1347-1348>, 1348 luglio 27, Milano. 155 Cfr. E. C URZEL , Cappellani e altari nella cattedrale di Trento nel XIV secolo, in Preti nel medioevo, Verona 1997, pp. 125-163, soprattutto a pp. 132-137.

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secolo, nel 1300, il canonico Enrico Bondoni di Alice istituiva una cap- pella dove si sarebbe dovuto costruire un altare in onore di S. Stefano: anche in questo caso il cappellano sarebbe stato eletto per tres propin- quiores parentes maiores et antiquiores de domo sua e confermato dal giudice ordinario, cioè dall’arcidiacono e dal capitolo 156 . Ugualmente nel 1324 il canonico Rainerio Avogadro di Pezzana istituiva con una parte dei suoi beni una cappellania in onore di S. Francesco, dotandola di 600 lire di pavesi, che dovevano servire per acquistare beni fondiari, con il cui reddito assoldare un cappellano che celebrasse tre messe set- timanali per l’anima del canonico. L’elezione del cappellano sarebbe spettata all’arciprete, al canonico primicerio degli accoliti e al parente laico più prossimo de domo sua 157 .

156 ACV, Ap, cart. XIV, <1297-1300>: «§ Item statuit voluit et ordinavit quod de bonis suis usque ad quantitatem librarum quinquecentum P(a)p(iensium) fiat et fieri debeat in ecclesia Beati Eussebii Vercellensis una capellania ubi construatur unum alta- re ad honorem beati Stephani martyris et ibi eligatur presbiter seu instituatur per tres propinquiores parentes maiores et antiquiores de domo sua confirmandis per iudicem ordinarium, hoc est per dominum archidiaconum et capitulum ecclesie Sancti Eussebii Vercellensis, cui presbitero ministrari debeant necessaria de predictis libris quinquecen- tum P(a)p(iensium) ponendis seu expendendis vel convertendis in una possessione unde predictus presbiter fructus et redditus percipiat. Qui presbiter teneatur semper ibi mis- sam cantare pro anima ipsius domini Henrici et hec omnia voluit ordinari ditari et distri- bui secundum arbitratum clericorum abbatum Sancti Stephani et Sancti Hendree Vercellensium». Non trovo riscontro bibliografico per questo altare, ricordato però nelle visite pastorali: F ERRARIS , Le chiese stazionali cit. , p. 75 lo cita solamente; C. P ERAZZO , La cattedrale di Vercelli, luogo di Dio e luogo degli uomini, nelle visite apostoliche del 1575 e del 1584 , in «Bollettino storico vercellese», 27 (1998) n. 51, p. 88 lo cita in rela- zione alla visita apostolica di Carlo Borromeo del 1584. 157 ACV, Ap, cart. XXXI, <1323-1326>: «Item voluit statuit et ordinavit quod de bonis suis fiat una capelania in onorem beati Francissi in ecclesia Beati Eusebii Vercellensis, quod (quon)dem ordinavit venerabilis pater dominus episcopus Raynerius; pro qua cape- lania dotenda et pro dote ipsius relinquid de bonis suis libras sexcentum Papiensium dan- das et consignandas per predictos suos heredes in manibus dominorum archidiaconi, archi- presbiteri et prepositi ecclesie Vercellensis infra sex mensses post decessum ipsius domini Raynerii; de quibus denariis predicti domini archidiaconi ( sic! ) archipresbiter et prepositus teneantur emere unam posessionem et si ex dicta posessione in reditibus non possent per- cipi vel haberi anuatim libras LX Papiensium quod fructus et reditus ipsius posessionibus tam denarii collegentur per predictos dominos archidiaconum archipresbiterum et preposi- tum et in utilitate ipsius capelanie convertentur emendo alias posessiones donec redditus omnium posessionum attingant anuatim a libris LX Papiensium et amplius et iterum teneantur predicti domini celebrari facere tres misas omni ebdomada in predicto altari per aliquem capelanum pro remedio anime ipsius domini Raynerii et antecesorum suorum, et

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Alla chiesa cattedrale, talvolta riconosciuta come mater sua dal testatore, vengono tuttavia riservati lasciti pecuniari abbastanza cospicui per la celebrazione degli anniversari o delle commemorazioni, secondo l’uso consueto che si protraeva da secoli nella chiesa cattedrale 158 . Anzi, queste ultime donazioni sono quelle numericamente più rilevanti: gli estratti dei testamenti conservati nell’archivio capitolare avevano lo scopo di testimoniare per il futuro l’entità del lascito, contabilizzato in seguito dall’opera dei pasti o degli anniversari. Questi lasciti fissano quindi, a volte, anche la quantità di denaro da estrarre dal reddito dei beni acquistati e da distribuire ai canonici e ai cappellani che partecipa- vano all’ufficio. In particolare Enrico Bondoni fissa in quaranta soldi la somma per il suo anniversario; Giacomo de Moxo prevedeva che alla chiesa di S. Eusebio fosse legata una casa che aveva acquistato dal maior di S. Maria Vercellino de Moxo , con il cui reddito si dovesse pagare l’anniversario nel giorno della sua morte e una commemorazio-

si contingeret quod heredes sui non possent comode solvere predictas libras sexcentum Papiensium voluit et ordinavit quod ipsi heredes dent et solvent de bonis ispius domini Raynerii anuatim libras XLVIII Papiensium quas libras XLVIII tradant in manibus supra- scriptorum dominorum archidiaconi, archipresbiteri et prepositi convertendas in utilitate ipsius capelanie ut supra dictum est et cocienscumque predicti heredes persolverint pre- dictas libras sexcentum Papiensium predictis dominis archidiaconi archipresbiteri et pre- positi tunc sint et esse debeant absoluti a prestacione et donatione predictarum librarum XLVIII Papiensium et quando fructus et reditus predictarum posessionum ascenderint a quantitatem de libris LX Papiensium et plus tunc eligatur capelanum unus ydoneus in sacerdocio constitutus per dominum archipresbiterum Vercellensem et per acolitum primi- cerium canonicum predicte ecclesie et propinquiorem parentem laycum ipsius domini Raynerii et de domo sua et presentetur capitulo Vercellensi canfirmandum qui teneantur facere continuam residenciam aput ipsam ecclesiam et in choro ipsius ecclesie et continuo officiis interesse divinis quidem capelanus teneatur et debeat omni ebdomada celebrare tres misas ad predictum altare et unam aliam ad altare Sancte Brigide in ospitali Scotorum ex quibus misis una celebretur in onore beate Marie virginis faciendo commemoracionem beate Brigide alia in honore beati Euxebi faciendo commemoracionem beati Francissi reli- que due pro defunctis que omnes fiant pro remedio anime sue et predecessorum suorum et predictus sacerdos non posit se ab dicta ecclesia absantare ne petita ne otenta licencia vel a domino archidiacono vel archipresbitero vel preposito et hanc suam ultimam voluntatem voluit et iuxit valere iure testamentum nuncupativum ex si iure testamenti nuncupativi non sortiretur effectum voluit eum valere iure coldicelorum epistule et alterius cuiuscumque ultime voluntatis et omni iure quo melius sortiri possit effectum». Non trovo riscontro bibliografico per questa cappellania, cfr. F ERRARIS , Le chiese stazionali cit. , p. 76. 158 Cfr. H. D ORMEIER , Capitolo del Duomo, vescovi e memoria a Vercelli (secc. X- XIII), in «Bollettino storico vercellese», 34 (2005) n. 65, pp. 19-59.

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ne a metà anno che doveva svolgersi in un modo prestabilito: in quel- l’occasione 40 soldi dovevano essere distribuiti nel coro secondo il mos della chiesa, altri 20 soldi dovevano essere dati ai revestitis che avreb- bero celebrato la messa, al cantore, al sacrista e ai custodi, di modo tale che ipsi revestiti sint cappis sericis inducti 159 . Che la chiesa cattedrale non fosse più il centro focale dell’esperien- za religiosa e della vita di questi ecclesiastici è testimoniato anche in negativo dall’assenza di note obituarie relative a canonici eusebiani di questo secolo all’interno del codice Vercelli, Bibl. Cap. ms. XXXIII, il martirologio-necrologio allestito nella prima decade del secolo XIII dal- l’arciprete Mandolo Alciati 160 . Delle dieci note necrologiche ascrivibili al secolo XIV, solo una riguarda l’arcidiacono Martino de Bulgaro 161 ; delle altre nove, tre appartengono ad alcuni cappellani della cattedra- le 162 , due a quelle di altrettante donne della élite sociale vercellese 163 , le rimanenti a quattro laici: un magister docens Vercellis artes gramatica-

159 ACV, Ap, cart. XXIV, <1301-1303>: «Item legavit ecclesie Beati Eusebii Vercellensi matri sue domum suam quam acquissivit a condam domino Vercellino de Moxo maiore ecclesie Beate Marie, salvo dicto solidorum triginta Papiensium quos legavit dictus dominus Vercellinus ipsi ecclesie Sancte Marie pro suo anniversario faciendo qui prius solvantur de ficto ipsius domus. Omnia vero iura alia sibi pertinentia in ipsa domo perveniant in ipsam ecclesiam Sancti Eussebii pro suo aniversario in die sui obitus et una commemoratione in medio anno facienda in ipsa ecclesia in hunc modum, videlicet quod de ficto ipsius domus solidi quadraginta distribuantur in choro secundum morem ipsius ecclesie; item dentur solidi viginti revestitis qui celebrabunt missam et cantori sacriste et custodibus secundum morem aliorum revestitorum, ita quod ipsi revestiti sint cappis sericis inducti; item dentur denarii duodecim cuilibet capellano sacerdoti et presenti pro una missa in die sui aniversarii celebranda; totum vero residuum possessionis dicte domus distribuatur in choro ut predictum est in die commemorationis sue de illis vero triginta solidis qui dabuntur ecclesie Sancte Marie pro aniversario predicti domini maioris distribuantur solidi XX in choro et solidi X capellanis sacerdotibus et presentibus tantum pro missis celebrandis». 160 DORMEIER , Capitolo del Duomo cit. , pp. 55-59. 161 NE n. 665, 665 bis, 655 ter . 162 Si tratta di Guiliengus de Grumis di Biella, cappellano dell’altare dei SS. Barnaba e Antonio, morto il 23 marzo di un anno che non è stato ancora possibile identificare (NE n. *196); del presbiter Petrus Avostanus de Monte Beroardo , capellano dell’altare della Beata Vergine Maria, morto il 18 maggio 1370 ( NE n. 361); del presbiter Guilielmus Calchaneus di Casale S. Evasio, cappellano dell’altare di S. Maria Maddalena, morto il 25 novembre 1337 ( NE n. 819). 163 Si tratta di Anastaxia de Mandello , morta il 20 febbraio 1343 ( NE n. *131) e di Iacobina filia quondam Guideti de Quinto , morta il 6 dicembre 1384 ( NE, n. 893).

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les 164 , un doctor medicine 165 , un tesoriere del comune di Vercelli 166 e uno dei signori di Palestro 167 . Eppure dagli atti di ultima volontà dei canoni- ci veniamo a sapere che alcuni di loro avevano lasciato al capitolo con- siderevoli somme di denaro per farsi ricordare negli anniversari della cattedrale: così fanno magister Emanuele che nel 1300 lascia 40 soldi al capitolo per la celebrazione del suo anniversario, Rainerio Avogadro di Pezzana nel 1324 168 , il cantore Giorgio d’Albano nel 1343 169 , il canoni- co magister Venturino da Bergamo nel 1354 170 , Nicola di Montiglio nel

164 Si tratta di magister Franciscus de Agaciis, civis Vercellensis, docens Vercellis artes gramaticales , morto il 18 luglio 1364 ( NE n. 539*). Notizie di questo magister sono rintracciabili in C OPPO -F ERRARI , Protocolli cit. , pp. 111-112 n. 289 (11 aprile 1360); pp. 175 n. 7 (17 marzo 1375). 165 Si tratta di Petrus de Cabalys , morto il 1 ottobre 1399 ( NE n. *752). 166 Si tratta di Iacobus de Scutariis , morto il 10 febbraio 1384 ( NE n. *106). 167 Si tratta di Ionselinus de Palestro morto il 25 gennaio 1306 ( NE n. *71). 168 ACV, Ap , cart. XXXI, <1323-1326>: «Item legavit et iuri legati relinquid aniver- sariis ecclesie Beati Euxebi Vercellensis iura et ficta que habet in duobus sediminibus reacentibus in villa Pezane, quibus queret et cetera. Que aquisivit per nepotem suum Raynerium aquesita fuerunt a domino Bertolino Avocato de Pezana filio (quon)dem Phylipi de Pezana pro libris CX Papiensium vel circa, tali pacto apposito quod cocien- scumque predicti heredes sui darent ac solverent in manibus dominorum archipresbite- ri et prepositi prefate ecclesie Vercellensis predictas libras CX Papiensium convertendas in utilitatem aniversariorum de quibus denariis ematur una posessio per predictos domi- nos archipresbiterum et prepositum pro predicto aniversario faciendo quod tunc predic- ta iura ipsorum sediminum et ipsa sedimina pervenient in predictos heredes suos et tali modo distribuentur denarii dicte posessiones, videlicet quod de ipsis denariis in die ani- versari sui denarii XII cuilibet capelano sacerdoti pro misa celebranda in ipsa die ani- versari pro animabus ipsius domini Raynerii patris et matris et fratrum et sororum et antecesorum suorum et si contingeret quod capelani predicte ecclesie non essent omnes ibi in ipsa die aniversari quod sequenti die supleat numerus ipsarum misarum que debuissent dici in ipsa die aniversari predictos capelanos absentes et solidi VIII Papiensium revestitis dum modo celebrent inductis vestibus sericis; superfluum vero distribuatur in choro more solito». 169 ACV, Ap , cart. XXXVIII, <1342-1343>: «§ Item legavit ecclesie Sancti Eusebii Vercellensi annuatim imperpetuum solidos quadraginta Papiensium pro faciendo uno anniversario pro remedio anime ipsius domini Georgii ac patris et matris eius quod qui- dem anniversarium dominus archidiaconus canonici et capitulum dicte ecclesie omni anno imperpetuum in die sui obitus facere teneantur». 170 ACV, Ap, cart. XXXXIII, <1353-1355>: «Item relinquid aniversariis ecclesie Vercellensis domum unam et fictum quod ex ipsa domo percipi poterit et haberi quam acquisivit a Franceschono Guastarello dicto Paulo de Vercellis sitam in vicinia Sancti Eussebii Vercellensis ut constat puto instrumento traddito per presbiterum Guillelmum de la Muracia capellanum in ecclesia Vercellensi, salvo ficto soldorum viginti

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1375; insomma la quasi totalità dei canonici eusebiani i cui atti di ulti- ma volontà ci sono rimasti sembrano perpetuare la tradizione della com- memorazione post mortem affidata agli anniversari. Viene da chiedersi dunque il motivo per cui sia cessato o almeno sospeso dalla fine del secolo precedente l’uso di annotare sull’attuale cod. XXXIII il ricordo dei canonici defunti e di tutte quelle altre perso- ne che avevano lasciato beni in natura o in denaro per la celebrazione degli anniversari, quando invece nel secolo successivo alcuni canonici si premurarono di far inserire le note obituarie nel codice 171 . Le risposte possono essere molteplici: una prima può essere relativa al fatto che il codice per le sue dimensioni fosse poco maneggevole, quindi superato. Sappiamo però che il necrologio era conservato in un piccolo armadio che si trovava nei pressi del coro della cattedrale, al quale era incatena- to, come ci rivela l’ordine dato dall’arcidiacono Martino de Credario al notaio Nicolino de Arnoldo il 18 gennaio 1323 di far estrarre da esso

Papiensium quos debet habere omni anno ecclesia sive prepositus Sancti Graciani nomi- ne ipsius ecclesie et ficto soldorum quatuordecim Papiensium quos debet habere et per- cipere omni anno capellanus altaris Sancti Emiliani siti in ecclesia Vercellensi supra- scripta super predicta domo quam acquissivit a suprascripto Francischono quos soldos XX Papiensium vult ipse testator quod suprascripti prepositus sive ecclesia Sancti Graciani et capellanus dicti altaris Sancti Emiliani habeant et recipere debeant omni anno de ficto ipsius domus. Item relinquid dictis aniversariis suprascripte ecclesie sue Vercellensis fictum librarum quinque Papiensium quod percipere debet et habere omni anno ab Antonio filio quondam domini Iacobi de Merlini de Scutariis de Vercellis super una domo et sedimine cum orto que iacet in civi- tate Vercellarum in vicinia Sancti Stephani Vercellensi de monasterio ut constat per car- tam factam per Nicolinum de Arnoldo et Antonium de Pexina notariis Vercellensibus, de quibus denariis fictorum suprascriptarum domorum dentur revestitis soldi XXII Papiensium videlicet sacerdoti diacono subdiacono cantori sacriste et mensali soldi III Papiensium pro quolibet ressiduum vero quod poterit percipi et haberi de ficto supra- scriptarum domorum dividatur in choro annuatim secundum morem et consuetudinem suprascripte ecclesie Vercellensis, ita tamen quod omnes qui interfuerint in officio teneantur ire ad sepulturam ipsius magistri Venturini». 171 Delle 17 note obituarie ascrivibili al secolo XV infatti ben otto canonici decisero di far scrivere i loro obiit : Andrea de Gromis , canonico suddiacono e cantor , morto il 14 aprile 1491 ( NE n. *254); Augustinus de Testis morto il 28 aprile 1436 ( NE n. *292); il cantor Antonius de Mandello, morto il 29 aprile 1448 ( NE n. *298); Georgius de Cocorellis, morto il 6 maggio 1463 ( NE n. *322); Ludovichus de Centoris, morto il 26 maggio 1487 ( NE n. *382); Gasper Fara , morto il 12 luglio 1490 ( NE n. *523), Riccardus de Ursis di Valenza, preposito di S. Eusebio, morto il 19 settembre 1450 ( NE n. *714); Stefano Caccia di Novara, morto il 27 ottobre 1482 ( NE n. *798).

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copia della nota obituaria di Enrico Gorena 172 . D’altra parte lo stesso necrologio fu usato fino alla fine del secolo XVIII, benchè sempre più rare appaiano le note obituarie dei secoli successivi; e non possiamo ipotizzare con certezza l’esistenza di una qualsiasi altra forma di regi- strazione che allo stato attuale delle ricerche non è stata rinvenuta. Rimangono infine i lasciti alle altre istituzioni ecclesiastiche o reli- giose della città o dei luoghi legati alla vita dei canonici: scompare dagli atti di ultima volontà il ricordo delle chiese o cappelle cittadine, men- zionate genericamente solo da Enrico Bondoni , mentre permangono le menzioni degli ordini mendicanti, quali il convento dei frati Predicatori e quelli dei frati Minori, degli eremitani di S. Marco e dei Carmelitani, destinatari di denaro o beni immobili 173 . Per i rimanenti atti testamenta- ri solo la presenza fra i testimoni di qualche frate mendicante può far supporre che la beneficenza fosse destinata ai conventi mendicanti della città, che in pieno secolo XIV avevano fagocitato il lussureggiante mondo di fondazioni religiose dei due secoli precedenti 174 . Uguale sorte sembra anche destinata agli enti caritativi o assistenziali che si riduco- no alla Carità di S. Lorenzo 175 .

172 ACV, Ap, cart. XXXII, <1323-1326>: «quatinus de libro quodam cum quadam cathena ad armariolum quod est iuxta chorum predictum posito ac etiam cathenato in quo quodam libro continentur aniversaria que facere debet ecclesia antedicta extrahere suprascriptam ordinacionem». Non c’è alcuna ragione di credere che questo librum fosse diverso dal cod. XXXIII, nel quale è scritto il necrologio di Enrico Gorena (NE, n. 268) morto nel 1262; non era sicuramente il Vercelli, Bibl. Cap., cod. LXII, il codice contenente il più antico necrologio eusebiano, dove questo necrologio non c’è, come afferma invece A RNOLDI , Vercelli vecchia cit. , p. 133 n. 184. 173 Un panorama per nulla esaustivo sulle fondazioni mendicanti vercellesi in FERRARIS , L’ospedale cit. , pp. 41-42. 174 Per l’area veneta questa tendenza è stata messa in luce, limitatamente al sec. XIII, da M. R OSSI , Orientamenti religiosi nei testamenti veronesi del Duecento: tra conser- vazione e “novità”, in Religiones novae, Verona 1995, pp. 122-132, cfr. anche F. D E VITT , Chiese, famiglie e villaggi carnici nel Tre-Quattrocento, in Religione nelle cam- pagne, Verona 2007, pp. 205-233. 175 Una panoramica sugli ospedali vercellesi nel medioevo si trova in G. F ERRARIS , Il vescovo e la carità: Guala Bondoni tra esperienze religiose ed opere assistenziali, in Vercelli nel secolo XII cit. , pp. 37-62; I D., L’ospedale cit., pp. 35-48; I D., Un mercante in crisi: le scelte religiose di Marchetto de Morando, in E divenne Maggiore. Aspetti della storia dell’ospedale di Sant’Andrea di Vercelli, a. c. di M.C. P ERAZZO , Novara 2009, pp. 39-55.

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Conclusioni

Giunto al termine di questo intervento mi accorgo che il quadro appena disegnato possiede contorni ancora troppo evanescenti e fram- mentari. Manca un quadro d’insieme che tenga conto soprattutto dell’e- voluzione in senso diacronico di tutto il corpo canonicale e soprattutto le implicazioni istituzionali e le relazioni con la società vercellese che nel secolo XIV sembra aver avuto un notevole cambiamento di regi- stro 176 . Tuttavia qualche piccola osservazione, offerta come conclusione a questo intervento, è possibile trarre. Il capitolo eusebiano ha rappresentato anche durante questo secolo uno dei luoghi in cui le famiglie che avevano legami con l’episcopato vercellese potevano inserire loro rappresentanti. Nel Trecento però il capitolo diventa soprattutto serbatoio di prebende per ecclesiastici pro- venienti da ambienti curiali o direttamente sponsorizzati da chi in quel momento deteneva il governo della città. A fronte di una composizione così frastagliata e tale da far pensare ad un capitolo di basso profilo, tutto arroccato a difendere le prerogati- ve della chiesa cattedrale, l’impressione generale che se ne trae è oppo- sta: i canonici, o meglio il capitolo dei residenti, fu capace in questo secolo di promuovere non solo una riforma liturgica, con il conseguen- te rifacimento e rielaborazione degli strumenti del mestiere, dimostran- do quindi una capacità e una sensibilità professionale molto alta, anche se in ritardo di almeno un cinquantennio rispetto al generale movimen- to di riforma liturgica; il capitolo dei residenti fu anche capace di rior- ganizzare e dare nuovo slancio alla stessa cultura ecclesiastica attrez- zando un luogo idoneo alla conservazione del patrimonio librario accu- mulatosi durante i secoli e ancora oggi consultabile e promuovendo l’i- stituzione dell’ officium lectorie , per garantire l’aumento della cultura tra i chierici che frequentavano la cattedrale.

176 Cfr. gli avvertimenti di G.G. M ERLO , Vita religiosa e uomini di Chiesa in un’età di transizione, in Storia di Torino. II. Il basso Medioevo e la prima età moderna (1280- 1536), a c. di R. C OMBA , Torino 1997, pp. 297-324, soprattutto a pp. 308-312.

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APPENDICE

Elenco alfabetico dei canonici della chiesa di S. Eusebio di Vercelli (secolo XIV)

Si offre in questa sede un primo elenco dei canonici eusebiani atte- stati dalle fonti documentarie del secolo XIV prese in considerazione. La serie è molto parziale, in quanto manca ancora lo spoglio integrale dei registri di lettere papali del secolo XIV, che non è stato possibile condurre. In questa sede vengono citati i nomi di tutti i canonici che hanno ottenuto la provvista canonicale. Compaiono anche i nomi di quegli ecclesiastici che per vari motivi non hanno potuto ottenere la col- lazione, pur avendo ricevuto lettera di provvisione, o i nomi degli indi- vidui che sono attestati solo nel manoscritto della Series canonicorum S. Eusebii quorum memoria restat in distinctis foliis antiquis ab anno 1165 ad 1580 cum pluribus largis et lamentabilibus interruptionis compilato dal canonico Giovanni Barberis nel secolo XIX, in ACV. Gli estremi cronologici vanno dunque presi con cautela.

Agostino de Margariis di Vercelli 1376 Aicardo de Rodobio 1308-1326 Alcherio de Montilio 1344-1353 Alessino de Meno di Novara 1380-1385 Ambrogio Brochinus de Tricio 1367-1390 Ambrogio de Subirago 1364-1367 Antonino de Camperrimaldis di Piacenza 1364 Antonio Cacherano 1359-1399 Antonio Cocorella 1388-1407 Antonio de Bugella 1348 Antonio de Bulgaro 1338-1394 Antonio de Clebra di Chiavazza 1375 Antonio de Fisserengo 1375 Antonio de Mandello 1388-1448 Antonio de Sancto Angelo 1392 Antonio Frassacarrus 1375-1399 Antonio Vialardi di Sandigliano 1385-1395

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Bartolomeo de Grana 1390-1432 Bartolomeo de Pergamo 1309 Bartolomeo de Scotis 1375-1385 Beltramino de Raynoldis 1361-1364 Benedetto Boccanegra di Genova 1361 Bernardino de Rovedis 1347-1365 Bertolino Avogadro di Pezzana 1307-1325 Bertolino Centori di Pezzana 1283-1327 Bertolino de Sancta Agatha 1332-1337 Bonifacio (Avogadro ?) di Collobiano 1321 Bonifacio Cagnoli 1330-1347 Bonifacio de Placencia o de Turigia /Turriglia 1340-1346 Buongiovanni de Casanova 1304-1309 Buongiovanni Peluchus/de Pelluciis di Casale 1367-1372 Caspardo (II) de Rodobio 1273-1317 Cello Nardelli de Orto 1355-1364 Crescimbene Brochinus de Tricio di Milano 1353-1361 Cristoforo de Canevariis di Piacenza 1337-1340 Degano de Nava 1390-1411 Delfino de Vassallis 1301-1342 Dragone de Alba 1358-1361 Emanuele de Bulgaro 1342-1348 Emanuele de Coconato 1297-1304 Enrico Bondoni di Alice 1265-1300 Enrico de Castellengo 1338-1387 Enrico de Lonate 1361-1366 Enrico de Scribanis di Vignale 1348-1353 Eusebio de Dionixiis di Caresana 1326-1361 Eusebio de Testis 1381-1399 Facio Corradi di Lignana 1381-1411 Filippo (I) Avogadro di Quinto 1273-1312 Filippo (II) Avogadro di Quinto 1301-1307 Filippo Avogadro di Valdengo 1275-1312 Filippo de Maxino 1344-1346 Filippo de Placencia 1332-1342 Filippone de Ticineto, conte di Cavaglià 1390-1395

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Francesco figlio di Giacomo de Cabaliaca 1390 Francesco Bondoni di Ronsecco 1375 Francesco de Laveziis 1344-1361 Francesco de Malpassutis di Montiglio 1369-1375 Gabriele de Oldegardis 1363 Gabriele de Scribanis di Vignale 1362 Galeazzo figlio di Manfredi marchese di Saluzzo 1368 Gaspardo Avogadro di Quinto 1375-1433 Geraldo T(er)holanus 1348 Gerardo de Brioscho 1367-1372 Gerardo Sachus 1398 Ghio de Arborio 1334-1349 Giacomo figlio di Manfredi marchese di Saluzzo 1358-1363 Giacomo Cacherano 1364 Giacomo de Arborio 1304-1309 Giacomo de Baziis 1395 Giacomo (II) de Carixio 1308-1326 Giacomo de Cremona 1375 Giacomo de Moxo 1277-1303 Giacomo de Sancto Georgio 1311 Giacomo de Vassallis di Gallarate 1380-1386 Giacomo Manuga 1290-1325 Giacomo Tascha di Ponderano 1375-1386 Giorgio Avogadro di Quaregna 1309-1322 Giorgio Avogadro di Valdengo 1260-1304 Giorgio de Albano 1314-1343 Giorgiolo de Brazadelis 1362 Giovanni Benedictus de Boiano 1357-1385 Giovanni Cagnoli 1340-1398 Giovanni (I) de Albano 1301-1317 Giovanni (II) de Albano 1332-1375 Giovanni de Arborio 1340-1355 Giovanni de Auxiliano 1328-1355 Giovanni (I) de Bulgaro 1364 Giovanni (II) de Bulgaro 1395-1424 Giovanni de Carnago 1361-1366

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Giovanni de Maxino 1338-1386 Giovanni de Nibiono 1333-1338 Giovanni de Sillavengo 1375-1376 Giovanni de Soleria 1389 Giovanni Fornaschus di Biella 1361 Giovanni Pearolii di Novara 1390-1398 Giovannino de Testis di Santhià 1361 Guglielmo Berloffa Tizzoni 1388-1390 Guglielmo de Badalocho 1385-1399 Guglielmo de Boscho 1362 Guglielmo de Busto di Bergamo 1348 Guglielmo de Montonario 1352-1361 Guglielmo de Moxo 1304-1321 Guglielmo Pastorellus 1363 Guido Avogadro di Casanova 1308-1338 Guido de Bulgaro 1340-1371 Guido de Conradis 1317-1323 Guido de Legnana 1314-1332 Guido de Pezana 1308 Guido de Quinto 1307-1314 Guido de Ripparia 1347 Guidone Pettenati 1301-1314 Guieto (Guidottino) de Fixerengo 1375 Guifredo de Silavengo 1386 Guilielmo Canis Vialardi 1305-1311 Guiscardo de Silavengo 1387 Ioncelinus de Arborio 1395-1398 Lafranco de Arborio 1362-1382 Lafranco de Silavengo 1388-1411 Ludovico figlio di Manfredi marchese di Saluzzo 1361 Ludovico de Bulgaro 1395 Ludovico de Castellengo 1340-1397 Manfredino de Mercadilio 1331 Manfredo del fu Giovanni Andaldi 1376 Manfredo figlio di Rambaldo conte di Treviso 1307 Manfredo de Mirolio 1297-1304

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Marchino de Capitaneis de Figino 1385-1390 Martino 1352-1353 Martino de Bulgaro 1332-1368 Martino de Cardano di Bergamo 1308-1332 Martino de Sancta Agatha 1390 Matteo Bononinus de Canalis 1304- Matteo de Viterbio 1358-1371 Nicola 1301-1304 Nicola Bechus di Montiglio 1348-1375 Nicola de Montelupono 1321-1338 Nicola de Summa Ripa 1368 Oliverio Favergia de Tongo 1331 Onestino Alciati 1375 Palaino Avogadro di Casanova 1304-1317 Palamidexius Tornielli di Novara 1381-1385 Paolo de Palestro 1308-1309 Paxinus Schicis di Cremona 1366 Pergamino de Pergamo 1314 Pietro 1352-1353 Pietro de Luppis di Casale 1372-1385 Pietro Verri 1368-1384 Raimondo de Moricio 1337-1348 Rainerio (I) Avogadro di Pezzana 1261-1303 Rainerio (II) Avogadro di Pezzana 1304-1326 Rainerio Avogadro di Quaregna 1315-1338 Rainerio Avogadro di Valdengo 1304 Riccardo de Antignatis di Cremona 1337-1338 Riccardo figlio di Pietro Sapellani di Biella 1331 Rolando Buschalia 1395 Rufino de Maxino 1332-1361 Salvo Grassus 1297-1304 Servusdei Alciati 1308-1318 Simone (I) de Arborio 1330 Simone (II) de Arborio 1375 Taddeo de Levate/Lonate di Bergamo 1331-1361 Tebaldo Brusati 1359

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Tibaldo de Scribanis di Vignale 1372 Tommaso Avogadro di Valdengo 1375 Tommaso Zucha 1344 Uberto Avogadro di Valdengo 1304-1314 Uberto de Ylia 1315 Venturino de Gragnanis di Bergamo 1330-1354 Winandus de Bongardo 1391

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FLAVIA NEGRO Università del Piemonte Orientale ______

“QUIA NICHIL FUIT SOLUTUM”: PROBLEMI E INNOVAZIONI NELLA GESTIONE FINANZIARIA DELLA DIOCESI DI VERCELLI DA LOMBARDO DELLA TORRE A GIOVANNI FIESCHI (1328-1380)

Una delle fonti inedite più ricche e affascinanti conservate nell’ar- chivio arcivescovile di Vercelli sono i cosiddetti Libri reddituum : una serie di otto registri redatti a partire dal 1352, in cui vengono censiti anno per anno i redditi che le comunità soggette devono versare alla

Abbreviazioni: AAV = Archivio Arcivescovile di Vercelli; ACI = Archivio Comunale di Ivrea; ACV = Archivio Capitolare di Vercelli; ASB = Archivio di Stato di Biella; AST = Archivio di Stato di Torino; DBI = Dizionario Biografico degli Italiani . Nel saggio si farà frequente riferimento alle edizioni di documenti biellesi e vercellesi, nonché ai regesti delle lettere papali, dei quali si danno qui gli estremi completi, e la forma abbreviata con la quale verranno citati. Per le fonti biellesi: Le Carte dell’Archivio Comunale di Biella fino al 1379 , a cura di L. B ORELLO -A. T ALLONE , vol. I, Voghera 1927 (BSSS, 103); vol. II, Voghera 1928 (BSSS, 104); vol. III, Voghera 1930 (BSSS, 105); vol. IV, a cura del solo Borello, Torino 1933 (BSSS, 136), citato come Carte . Il libro dei prestiti del comune di Biella (1219-1391) , a cura di P. S ELLA , Pinerolo 1908 (BSSS, 34/1), pp. 1-191, citato come Prestiti . Documenti Biellesi di Archivi Privati. 1039-1355 , a cura di F. G UASCO DI BISIO –F. G ABOTTO , Pinerolo 1908 (BSSS, 34/2), pp. 195-314, citato come G ABOTTO , Archivi Privati ; Statuta Comunis Bugelle et documenta adiecta , a cura di P. S ELLA , 2 voll., Biella 1904, citato come S ELLA , Statuta . Per le fonti vercellesi: I Biscioni , a cura di G. C. F ACCIO e M. R ANNO (voll. I/1 e I/2) e R. O RDANO (voll. I/3, II/1, II/2, II/3, III/1): vol. I/1, Torino 1934 (BSSS, 145); vol. I/2, Torino 1939 (BSSS, 146); voll. I/3, Torino 1956 (BSSS, 178); vol. II/1, Torino, 1970 (BSSS, 181), vol. II/2, Torino 1976 (BSSS, 189); vol. II/3, Torino 1994 (BSSS, 211); vol. III/1, Torino 2000 (BSSS, 216), citati come Biscioni . Le carte dell’archivio arcive- scovile di Vercelli , a cura di D. A RNOLDI , Pinerolo 1917 (BSSS, 85), citato come ARNOLDI , Carte dell’archivio arcivescovile . Il libro delle investiture del vescovo di Vercelli Giovanni Fieschi (1349-1350) , a cura di D. A RNOLDI , Torino 1934 (BSSS, 73), citato come A RNOLDI , Investiture . Per i regesti delle lettere papali, Clément VI (1342- 1352). Lettres closes, patentes et curiales se rapportant a la France , a cura di E. DÉPREZ , J. G LÉNISSON , G. M OLLAT , Parigi 1925-61; Clément VI (1342-1352). Lettres closes, patentes et curiales interessant les pays autres que la France , a cura di E. DÉPREZ , G. M OLLAT , Parigi 1960-61, rispettivamente citati come Clément VI. Lettres closes se rapportant a la France , e Clément VI. Lettres closes ; Innocent VI (1352-1362).

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chiesa 1. Si tratta di documenti che non hanno precedenti nella produzio- ne documentaria dei vescovi vercellesi, e per i quali risulta del tutto ina- deguata un’analisi limitata al solo contenuto: i dati relativi alle entrate di quegli anni e la stessa decisione di registrarne scrupolosamente il pre- lievo si spiegano solo alla luce delle vicende che turbarono la diocesi nei decenni centrali del Trecento. La crisi, al contempo politica ed econo- mica, in cui la chiesa eusebiana sprofondò sotto Lombardo della Torre (1328-43) fu il banco di prova su cui si esercitarono con esiti diversi gli episcopati dei due successori, Emanuele Fieschi (1343-48) e Giovanni Fieschi (1349-80), primi esponenti di una famiglia che avrebbe domi- nato la sede vercellese per quasi un secolo. I due vescovi tentarono di dar vita ad un ampio e articolato programma di restaurazione, tutto incentrato sul controllo capillare delle risorse materiali e umane della diocesi: i Libri reddituum , redatti sotto Giovanni ma progettati al tempo di Emanuele, costituiscono come vedremo l’esito più alto di questo sfor- zo di reazione, e la prova più evidente del suo sostanziale fallimento.

Lettres secrètes et curiales , a cura di P. G ASNAULT et al., Parigi 1960-76, citato come Innocent VI. Lettres secrètes ; Urbano V: Urbain V (1362-1370). Lettres communes , a cura di M.H. L AURENT , M. H AYEZ et al., Parigi-Roma 1954-1989, e Urbain V (1362- 1370). Lettres secrètes et curiales se rapportant a la France , a cura di P. L ECACHEUX , G. M OLLAT , Parigi 1905-1955, citati rispettivamente come Urbain V. Lettres communes , e Urbain V. Lettres secrètes ; Grégoire XI (1370-1378). Lettres secrètes et curiales rela- tives à la France , a cura di L. M IROT , H. J ASSEMIN , Parigi 1935-55, e Grégoire XI (1370- 1378). Lettres secrètes et curiales interessant les pays autres que la France , a cura di G. MOLLAT , Parigi 1962-65, citati rispettivamente come Grégoire XI. Lettres secrètes rela- tives à la France , e Grégoire XI. Lettres secrètes. 1 Si tratta di otto registrazioni annuali, relative agli anni 1352, 1354-59 e 1377. Quelle dal 1352 al 1359 sono rilegate in volume, mentre la più recente è rimasta su fascicolo sciolto (rispettivamente in AAV, Diversorum , m. 2, doc. 19 e m. 1, doc. 11). Il primo dei fascicoli contenuti nel volume è lacunoso e manca della datazione, ma dato che i pagamenti risalgono per la maggior parte al 1352 è attribuibile a quell’anno. Il con- fronto con i fascicoli relativi agli anni successivi, che rispecchiano la medesima succes- sione delle voci, sembra suggerire che si tratti di una lacuna di un solo foglio.

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PARTE PRIMA

Gli episcopati di Lombardo della Torre, Emanuele Fieschi e Giovanni Fieschi: vicende politico-militari, gestione finanziaria e produzione documentaria

I. 1. Lombardo della Torre (1328-43) e il dissesto della diocesi

La nomina di Lombardo della Torre nel 1328 mise fine alla lunga egemonia esercitata dagli Avogadro sulla cattedra eusebiana, con Rainerio (1303-1310) e poi con Uberto (1310-1328). A ben vedere, fatta eccezione per Aimone di Challant, erano stati Avogadro tutti i vescovi a partire dal 1243, mentre dal della Torre in poi si susseguiranno alla guida della diocesi esponenti di famiglie estranee al contesto vercelle- se 2. Il ruolo di avvocati della chiesa eusebiana 3 e il connesso diritto di

2 Il vescovo Lombardo rimane in carica dal 1328 fino alla morte, avvenuta il 9 apri- le 1343. Secondo il DBI (cfr. A. C ASO , v. Lombardo della Torre ) Lombardo viene elet- to vescovo di Vercelli il 16 febbraio del 1328, ma la data è probabilmente da posticipa- re al dicembre dello stesso anno, come proposto dal Mandelli sulla scia del canonico Fileppi: il Mandelli porta a sostegno di questa ipotesi un documento che attesta come il predecessore di Lombardo, Uberto Avogadro, sia ancora vivo l’11 novembre, quando, seppure “in infirmitate magna”, procede a condonare un credito nei confronti dei dd. Uberto e Enrico di Nebbione figli di Nicolino di Nebbione “eiusdem domini episcopi nepotibus” (cfr. V. M ANDELLI , Il comune di Vercelli nel Medioevo , Vercelli 1861: per il documento citato vol. III, p. 99, più in generale sulla questione vol. IV, p. 191, n. 2). Con questa ipotesi si accordano le date delle prime investiture concesse da Lombardo della Torre, a partire dal marzo 1329 (cfr. G ABOTTO , Archivi Privati , doc. 41). 3 Il nesso fra gli Avogadro e il titolo di avvocati della chiesa li accompagna fin dalla comparsa della famiglia all’inizio del XII secolo: cfr. A. B ARBERO , Vassalli vescovili e aristocrazia consolare , in Vercelli nel secolo XII . Atti del IV congresso storico vercelle- se, Vercelli 2005, pp. 217-309, alle pp. 262-68, in part. p. 264. Sul costituirsi del patri- monio fondiario di questa famiglia e i suoi rapporti con la città e l’episcopato vedi anche ID., Da signoria rurale a feudo: i possedimenti degli Avogadro fra il distretto del comu- ne di Vercelli, la signoria viscontea e lo stato sabaudo , in Poteri signorili e feudali nelle campagne dell’Italia settentrionale fra Tre e Quattrocento: fondamenti di legittimità e forme di esercizio. Atti del convegno di studi (Milano, 11-12 aprile 2003 ), a cura di F. CENGARLE , G. C HITTOLINI e G.M. V ARANINI , Firenze 2005, pp. 31-45.

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vicecomitato sulle sue terre, che gli Avogadro esercitano ancora a metà Trecento 4, aveva costituito di per sé la base di un rapporto privilegiato con la sede vescovile, ma durante l’episcopato di Rainerio e ancor più quello di Uberto, in coincidenza con il tentativo di signoria cittadina di Simone Avogadro di Collobiano, la linea di demarcazione fra politiche di famiglia e interessi dell’istituzione ecclesiastica si era di fatto dissol- ta, aprendo la strada a situazioni ambigue in ambito patrimoniale 5. Così, ad esempio, a partire dall’episcopato di Rainerio gli Avogadro risultano ininterrottamente in possesso di uno dei più importanti castel-

4 Come risulta dal libro delle investiture di Giovanni Fieschi, ancora a metà Trecento vari rami della famiglia detengono dal vescovo a titolo di feudo una percentuale della cosiddetta “advocatiam sive viscontiam et regimen terre ecclesie Vercellensis”; sono gli Avogadro di Quaregna, di Vettigné (che ne detengono 1/16), di Pezzana (1/16), di Quinto, di Valdengo (1/8): vedi A RNOLDI , Investiture ; a questi occorre aggiungere il ramo dei Casanova, che nel 1329 risultano investiti dal vescovo Lombardo di 1/8 della viscontia (B ARBERO , Da signoria rurale a feudo , cit., n. 32 a p. 44), e che ancora nel 1340 portano la qualifica di vicecomes (Carte , II, doc. 242), come i Cerrione (ad. es. ARNOLDI , Investiture , doc. 4). L’assenza, fra le investiture del vescovo Fieschi, di alcu- ni rami degli Avogadro - i Cerrione, i Casanova e i Collobiano - è dovuta al fatto che questo vescovo aveva loro tolto l’avvocazia (cfr. oltre, n. 73). L’uso dell’espressione advocatiam terre ecclesie Vercellensis nel Libro delle investiture fa pensare che a que- st’epoca l’avvocazia consistesse in un complesso di redditi riguardanti l’insieme delle terre ecclesiastiche, la cui percezione era calcolata in cicli di 8 anni ciascuno. L’espressione ricorre solo nelle investiture agli Avogadro, e non sembra legata a singo- le località: la percentuale di cui sono investiti i vari rami della famiglia corrisponde alla frazione di quegli otto anni durante la quale i titolari sono legittimati ad esercitare il pre- lievo. Cfr. ad esempio il caso dei Vettigné: “XVI partem advocatie sive viscontie et regi- minis terre ecclesie Vercellensis quam exercere debent in octo annos per sex menses completos” (A RNOLDI , Investiture , doc. 59; vedi anche i Pezzana, doc. 71: “eorum par- tem viscontie que est sex mensibus in octo annis”; i Valdengo, doc. 111: “VIII partem advocatie et regiminis terre ecclesie Vercellensis, quam exercere debet in octo annis per unum annum completum”). Il termine advocatiam è usato anche come sinonimo di ius patronatus su singole chiese, e in questa accezione lo si riscontra fra i feudi di varie famiglie signorili vassalle del vescovo, Avogadro e non (cfr. ad es. per l’investitura agli Avogadro di Quaregna: “Item advocatiam seu ius patronatus quod habent in ecclesia de Quaregna”, doc. 25). 5 Sugli ambigui rapporti fra Avogadro e sede vescovile in questa fase della storia ver- cellese vedi i contributi di Alessandro Barbero e di Riccardo Rao in questo stesso volu- me. La continuità nella politica e nell’operato dei due vescovi è suggerita anche dal fatto che Uberto svolgeva già dal 1299 le funzioni di vicario per il suo predecessore: cfr. F. AVOGADRO DI VIGLIANO , Uberto Avogadro di Nebbione e Valdengo vescovo di Vercelli (1310-1328) , in I D., Pagine di storia vercellese e biellese , a cura di M. C ASSETTI , Vercelli 1989, pp. 1-15, p. 4.

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li della signoria episcopale, Verrua. Il vescovo lo aveva dato in pegno a Simone Avogadro di Collobiano e a Giacomo e Goffredo Avogadro di Cerrione in cambio di un prestito, ma il castello continuò ad essere “detentum et occupatum” da questi ultimi e dai loro discendenti anche sotto i due successori di Rainerio, i vescovi Uberto e Lombardo 6. In que- sto caso siamo quindi di fronte ad un vescovo Avogadro che, in cambio di un prestito dai suoi parenti, procede di fatto alla dismissione di un importante castello della chiesa. Il caso di Trivero, nato da una dinami- ca apparentemente opposta, è analogo negli esiti. Nel 1313 il comune di Vercelli, nella necessità di ottenere un prestito, si rivolge al vescovo Uberto, che lo concede ricevendo in cambio la località di Trivero, fino a quel momento in mano al comune, come pegno del suo investimento 7. Vent’anni dopo, nel 1335, quando a capo della diocesi c’è già Lombardo della Torre, per recuperare il possesso del luogo il comune non fa causa alla chiesa ma a Guglielmo Avogadro di Valdengo, parente del prede- cessore Uberto 8. Gli sviluppi dei casi di Verrua e Trivero indicano che la nomina di un vescovo estraneo agli equilibri locali come Lombardo della Torre costi- tuì bensì una svolta, ma solo parziale rispetto all’intreccio di interessi fra la chiesa e la famiglia Avogadro: egli impose un primo arresto a que- ste dinamiche - e infatti non abbiamo più notizia sotto il suo episcopato di nuovi casi simili -, ma nei confronti delle situazioni che aveva eredi- tato il vescovo non volle o non poté intervenire più di tanto. Né c’è da stupirsene, perché la congiuntura politica in cui si trovò ad operare era tale da porre enormi ostacoli alla sua libertà d’azione. Esponente di una famiglia milanese tradizionalmente avversa ai Visconti, Lombardo governò la diocesi negli anni in cui il comune di

6 Cfr. Carte , II, doc. 276, p. 167 (a. 1346): il castrum di Verrua “steterat pignori obli- gatum nobili viro d. Simoni de Advocatis de Colobiano et dd. Jacobo et Gotofredo de Advocatis de Ceridono omnibus de Vercellis, et usque modo per ipsos et successores detentum et occupatum totis temporibus bone memorie d. Raynerii et bone memorie d. Uberti de domo Advocatorum quondam episcoporum ecclesie Vercellensis, et etiam toto tempore bone memorie d. Lombardini de la Turre de Mediolano quondam episcopi Vercellensis”. 7 S. C ACCIANOTTO , Summarium monumentorum omnium quae in tabulario municipii vercellensis continentur , Vercelli 1868, p. 264 (30 gennaio 1313). Il documento si trova in ACV, Pergamene, b. 7; ringrazio Riccardo Rao per la segnalazione. 8 Biscioni 1/1, doc. 185.

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Vercelli si sottomise definitivamente alla signoria viscontea. Che il con- testo fosse difficile si constata sin dall’inizio del suo episcopato: già nel 1329-30 il vescovo e alcuni dei principali esponenti del partito guelfo risiedono preferibilmente a Biella, “propter malas et adversas conditio- nes” che regnano a Vercelli 9; anche il fatto che fra i rinnovi delle inve- stiture concesse da Lombardo dopo la sua nomina non compaia quella al comune di Vercelli è un’ulteriore spia del rapporto non proprio idil- liaco che correva fra il vescovo e la città. Ma è la definitiva dedizione di Vercelli ai Visconti, nel settembre del 1335, a determinare un netto peggioramento della situazione 10 . Nel 1336 Lombardo procede a fortifi-

9 Già dal 1329 il vescovo risiede prevalentemente a Biella, come testimonia il luogo di redazione dei suoi atti, ma l’indizio più evidente del clima di quegli anni è in una let- tera di uno dei principali esponenti guelfi: nell’aprile del 1330 Guglielmo Avogadro di Valdengo - quello stesso che abbiamo visto detenere la giurisdizione di Trivero e che in quest’anno compare nei documenti con la qualifica di “advocatus et vicarius terre eccle- sie Vercellensis” ( Carte , II, doc. 222) -, scrive da Biella affidando ad altri il disbrigo dei suoi affari in città, dato che “propter malas et adversas conditiones non audet nec pot- est stare in civitate Vercellarum” (M ANDELLI , Il comune di Vercelli , cit., vol. IV, p. 194). Il 13 novembre del 1332 papa Giovanni XXII scrive a Giovanni Visconti, all’epoca vescovo di Novara, ricordandogli il dovere d’assistere il vescovo di Vercelli, Lombardo, quello d’Ivrea, nonché gli Avogadro e gli Arborio, e obbligandolo a riparare i danni che questi avrebbero eventualmente potuto subire (M. C USANO , Discorsi historiali concer- nenti la vita, et attioni de’ vescovi di Vercelli , Vercelli 1676, p. 231). 10 Il comune di Vercelli, sul quale da tempo i Visconti tentavano di stabilire in modo definitivo la loro influenza (cfr. M ANDELLI , Il comune di Vercelli cit., vol. IV, p. 117), e che nei primi anni ‘30 sembra diviso fra un partito a favore dei marchesi di Monferrato e uno a favore dei Visconti (cfr. F. C OGNASSO , Storia di Milano , vol. V: La signoria dei Visconti (1310-1392) , Milano 1955, p. 261), risulta sotto il dominio visconteo già nel- l’aprile del 1334 (in quest’anno gli Avogadro sono banditi dalla città: vedi il contributo di P. Grillo in questo volume, testo in corr. della n. 33), anche se la sottomissione defi- nitiva risale al 26 settembre del 1335 (vedi M ANDELLI , cit., p. 203, e Biscioni III/1, Agg. II, doc. 15). 11 La fortificazione di Biella comincia nel 1336 e si prolunga oltre il 1340 ( Prestiti , doc. 94), ma già nel 1334 abbiamo notizia di una guerra fra Salussola, avamposto ver- cellese verso Biella, e Biella stessa (S ELLA , Statuta , §. 373), che crea allarme nelle loca- lità di Palazzo e Bollengo (ACI, Ordinati, vol. 1, f. 10r, 19 marzo 1334: “Item super eo quod homines Bolengi et Palaci petunt eis dari auxilium consilium et favorem quia gra- vantur […] ab illis de Saluzola et Bugella”; cfr. anche F. G ABOTTO , Biella e i vescovi di Vercelli , in «Archivio Storico Italiano», serie V, to. 18 (1896), p. 32). Nell’aprile dello stesso anno su incarico del conte di Savoia Ivrea manda un ambasciatore al Visconti, e fra le questioni da trattare vi è la “restitucionem dapnorum datorum per homines Bugellae et ecclesiae vercellensis et partis Advocatorum” (ACI, Ordinati, vol. 1, f. 14r).

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care i suoi castelli 11 , e negli anni ’39-’40 la tensione crescente sfocia in una guerra aperta con la città, che grava pesantemente sulle finanze della diocesi 12 . In questa situazione, Lombardo non aveva alcun interesse a entrare in urto con gli Avogadro per recuperare i possessi della diocesi, come dimostra il suo comportamento nei confronti delle questioni di Verrua e Trivero. Nel 1328-29 il vescovo provvede a rinnovare le investiture dei suoi vassalli, ed è forse in questa occasione che investì di Verrua il figlio di Simone Avogadro, avallando con un’ulteriore sanzione giuridica la

Il 20 aprile 1334 l’ambasciatore dei Visconti, Pietro Faxolinus , rassicura il conte di Savoia e gli eporediesi sull’“intentio dicti domini Mediolanensis”, che è quella di man- tenere la città e il comitato di Vercelli “in pace bona nobiscum et cum omnibus convi- cinis”. Contrariamente a quanto ipotizza il Gabotto, loc. cit. , questo conflitto non sem- bra rappresentare l’inizio dello scontro fra Lombardo e i Visconti: nel ‘34, quando di fatto comincia la signoria viscontea in Vercelli, Azzone si comporta in linea con l’at- teggiamento di pacificazione fra le parti che gli è riconosciuto dai cronisti; lo scontro esploderà solo nel 1339-40, dopo la sua morte (cfr. la n. successiva). 12 Della guerra fra il vescovo e il comune di Vercelli sappiamo con precisione quan- do finisce: la tregua è stipulata il 10 gennaio del 1343 (cfr. F. G ABOTTO , Storia del Piemonte nella prima metà del secolo XIV (1292-1349) , Torino 1894, p. 204); il 5 feb- braio del 1343 viene stipulata la tregua fra il comune di Vercelli e quello di Biella (Carte , II, doc. 252, p. 100). Quanto all’inizio, il Cognasso, concordando con il Gabotto, (C OGNASSO , Storia di Milano cit., p. 306; cfr. G ABOTTO , Storia del Piemonte cit., p. 187) sostiene che solo a ridosso del ‘40 i Visconti sposano “le vecchie ambizioni vercellesi” e Luchino, subentrato ad Azzone, entra in guerra con Ivrea e il vescovo Lombardo - il che parrebbe confermato dal fatto che a partire da quell’anno abbiamo notizia di rifor- nimenti di vettovaglie e armi nel castello visconteo a Vercelli: cfr. in questo volume il contributo di V. Dell’Aprovitola, n. 43. All’apice dello scontro, nel 1342, il vescovo Lombardo scomunica il podestà visconteo (vedi il contributo di Paolo Grillo in questo stesso volume, n. 55). 13 Dell’investitura fatta dal vescovo Lombardo a Emanuele Avogadro abbiamo noti- zia dal Cusano (C USANO , Discorsi historiali cit., p. 232), secondo il quale gli Avogadro sarebbero stati investiti dell’intero castrum “per i grandi meriti nei confronti della chie- sa”. Questo indicherebbe una sintonia tale tra la famiglia e Lombardo da spingere il vescovo a confermare la cessione definitiva del castello, prima detenuto dagli Avogadro solo in virtù del prestito di Simone (non possediamo infatti alcuna investitura di Verrua ai Collobiano sotto Uberto: il documento del 28 aprile 1316, sovente citato come tale, consiste in realtà in un’investitura dello stesso Simone Avogadro, che si qualifica guber- nator castri Verruce , a Bonifacio di Borgomanero, con la contestuale approvazione del vescovo Uberto, per alcuni possessi e diritti in Verrua; vedi ASV, Confraternita di S. Caterina, b. 46, f. 63). E’ più probabile, tuttavia, che l’investitura di Lombardo, al con- trario di quanto credette il Cusano, riguardasse solo alcuni beni in Verrua, gli stessi che saranno confermati al medesimo Emanuele Avogadro in un’investitura successiva del

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situazione creatasi sotto i predecessori 13 . Il suo atteggiamento nel caso di Trivero è più complesso da interpretare. Nel luglio 1335 assistiamo ad un arbitrato fra il comune di Vercelli e Guglielmo Avogadro di Valdengo, “tenentem vicem et nomine bone memorie domini Uberti olim episcopi Vercellensis”, per il possesso di Trivero. Gli arbitri, nomi- nati da Azzone Visconti, danno prevedibilmente ragione al comune, e impongono a Guglielmo la restituzione di Trivero in cambio di un com- penso in denaro. Il modo in cui è posta la questione sembrerebbe voler negare qualsiasi ambiguità alla vicenda del 1313: Uberto prestò le 3000 lire pavesi al comune a titolo personale, ed è in quanto Avogadro, non in quanto vescovo, che ebbe in pegno Trivero; la trattativa portata avan- ti in quell’occasione fu pertanto una questione fra il comune di Vercelli e un esponente degli Avogadro, e come tale viene affrontata e risolta nel 1335, chiedendo ed ottenendo da un membro della stessa famiglia, Guglielmo Avogadro di Valdengo, la restituzione di Trivero 14 . Se le cose stessero in questi termini, il fatto che il vescovo Lombardo non compaia nell’arbitrato si spiegherebbe molto semplicemente con il fatto che la chiesa non ha nulla da rivendicare su Trivero, perché sin dal 1313 la località è entrata a far parte del patrimonio degli Avogadro. Senonché il successore di Lombardo, Emanuele Fieschi, dimostrando di non tenere in alcun conto la sentenza del 1335, inserisce Trivero a pieno

vescovo Giovanni Fieschi il 24 agosto 1349 (A RNOLDI , Investiture , doc. 49); nello stes- so periodo risultano investite di beni della chiesa in Verrua anche molte altre famiglie: ivi, docc. 7, 47, 57, 59, 60, 63, 66, 114, 115. Se infatti solo dopo la morte di Lombardo verrà avviata una decisa operazione di recupero da parte della chiesa che riguarda, fra l’altro, proprio il castello di Verrua, il riscatto del castrum appare già sotto questo vesco- vo come una delle questioni all’ordine del giorno: da un memoriale redatto dall’arci- diacono del capitolo eusebiano nei primi anni di episcopato di Lombardo, risulta che il vescovo tentò di riscuotere una taglia pari a 2000 fiorini “pro redemptione castri Veruce”, imposta dal predecessore Uberto nel 1321 ma senza molta convinzione, tanto che, come ricorda lo stesso arcidiacono, “exactores ipsius talie tanto tempore tacuerunt quam nec exigere voluerunt nec notificare exigendam a tot et tantis qui non solverunt” (il documento è edito in G. F ERRARIS , La Pieve di S. Maria di Biandrate , Vercelli 1984, pp. 435-39). 14 Cfr. Biscioni 1/1, doc. 185. I due arbitri sono Ottino de Octabellis , cancelliere di Azzone Visconti, e Pietro Faxolinus , cancelliere del vescovo di Novara, che all’epoca è Giovanni Visconti, zio di Azzone. Il compenso all’Avogadro è di 1700 lire pavesi da parte del comune di Vercelli, e di 100 lire pavesi da parte del comune di Trivero. Sul ruolo di Guglielmo nella vicenda cfr. anche sotto, n. 21.

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titolo fra le località soggette alla chiesa, attribuendole l’obbligo di ver- sare annualmente un fodro di 300 lire 15 . Non sappiamo su che base sia avvenuto questo inserimento - se il compilatore partisse dal documento del 1313, o piuttosto avesse a disposizione le registrazioni dell’avvenu- to pagamento del fodro, in qualche anno, da parte del comune - ma è evidente che il nuovo vescovo aveva tutt’altra opinione sul coinvolgi- mento della chiesa nella faccenda di Trivero, e riteneva di avere ele- menti per considerarla parte dei domini ecclesiastici. L’arbitrato del Visconti aveva insomma lasciato fuori, probabilmente per convenienza di entrambe le parti e senza provocare obiezioni da parte del vescovo Lombardo, alcuni attori potenzialmente coinvolti nella questione - e non solo la chiesa 16 . La vicenda di Trivero dimostra comunque che ciò che è fuori luogo chiedersi per il 1313 - se Uberto Avogadro avesse trattato con il comu- ne come vescovo di Vercelli o come importante esponente della fami- glia -, perché una tale distinzione in quel momento non era probabil- mente avvertita e concettualizzata dagli stessi protagonisti, diventa un criterio d’analisi appropriato a partire dall’episcopato di Lombardo. Il connubio fra gli Avogadro e la sede vescovile non poteva continuare negli stessi termini cui ci si era abituati quando il vescovo stesso era un Avogadro e la famiglia e la pars dominavano in Vercelli; l’ambiguità e l’indeterminatezza di certe situazioni che in passato avevano costituito un punto di forza della famiglia cambiano ora di segno. Aver dovuto restituire Trivero significò verosimilmente, per gli Avogadro, comincia- re a veder smantellati i profitti che aveva loro garantito a suo tempo il

15 Trivero è inserita nell’elenco dei redditi del cosiddetto Libellus feudorum ecclesie vercellensis , redatto negli anni ‘40 del Trecento. La natura e i problemi posti da questo documento sono trattati oltre: cfr. § I.3.d. 16 Nello stesso torno d’anni in cui è prodotto il Libellus feudorum anche i Bulgaro rivendicano i loro diritti su Trivero, chiedendo al vescovo l’investitura dei beni e dei diritti che detengono nella località e avviando subito dopo una causa con la comunità per alcuni diritti signorili non riconosciuti. Il presule risponde ad Antonio di Bulgaro che rimanderà l’investitura al suo ritorno in diocesi, quando avrà modo di farsi un’idea chia- ra “de iuribus nostris et tuis de quibus informationem plenariam non habemus”, segno che a soli dieci anni dalla categorica sentenza del 1335 la partita di Trivero si era nuo- vamente riaperta (ASB, Bulgaro, b. 4, f. 44). La causa fra i Bulgaro e il comune di Trivero è in ASB, Bulgaro, b. 4, f. 46.

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fitto intreccio di interessi col vescovo Uberto e col comune vercellese, e dover fare i conti con l’insicurezza provocata dal dominio visconteo sulla città e dalla mancata presenza di uno dei loro sulla cattedra epi- scopale: una sensazione di isolamento di cui vedremo i frutti alla morte di Lombardo. Nonostante l’atteggiamento conciliante dimostrato nei casi di Verrua e di Trivero, il vescovo Lombardo si impegnò sin dall’inizio del suo epi- scopato, e ancora di più negli ultimi anni sotto l’incentivo delle ingenti spese per la guerra, nel recupero dei redditi dovuti alla diocesi e da tempo non più corrisposti. Esordì imponendo una taglia per il cattedra- tico e per la sua consacrazione “que quasi in duplum excedit quantita- tem aliarum taliarum nobis solitarum imponi”, come non manca di sot- tolineare l’arcidiacono del capitolo vercellese, e cercò di recuperare dallo stesso capitolo prima i mancati pagamenti delle taglie e delle deci- me, e poi, nel ‘41, i canoni in cera e miele non corrisposti nei cinque anni precedenti, mentre nel ‘39 avviò una causa con il comune di Biella per l’esercizio del diritto di successione 17 . Ma l’episodio più significati- vo riguarda il comune di Andorno: nel 1343 una folta rappresentanza del ceto dirigente del luogo - una quarantina di persone ex melioribus dicte terre , fra i quali figurano i consoli, numerosi credendari e lo stesso gastaldo episcopale - venne rinchiusa nel carcere vescovile di Biella, come ritorsione per il mancato pagamento alla chiesa dei redditi dovuti “maxime pro taleis, fodris, equalareziis, pubblicis functionibus, bannis, condapnationibus debitis”. La drastica misura intrapresa contro il comu- ne insolvente sortì l’effetto sperato, anche se il vescovo non ebbe la sod- disfazione di assistervi: morì il 9 aprile e solo l’11 gli andornesi, dopo due mesi di detenzione, si risolsero a pattuire un risarcimento per quel- lo che appare a tutti gli effetti come un totale disconoscimento - da parte del comune e, non dimentichiamolo, del funzionario del vescovo sul luogo - dei diritti signorili della chiesa. La somma fu valutata in 4734 lire e 7 soldi pavesi, cifra che pur se frutto di un compromesso, e quin-

17 Cfr. il memoriale dell’arcidiacono al vescovo Lombardo (cfr. sopra, n. 13), non datato ma probabilmente anteriore al 1332: la citaz. è in F ERRARIS , La pieve di S. Maria di Biandrate cit., p. 438. Per l’esercizio del diritto di successione ab intestato e per i canoni in cera e miele cfr. rispettivamente Carte , II, doc. 238, p. 72, e ACV, Atti priva- ti, cart. 38 (doc. del 25 aprile 1342).

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di non necessariamente corrispondente ai mancati redditi del vescovo, dà la misura di quanto una decisa operazione di recupero avrebbe potu- to fruttare 18 . Al momento della morte di Lombardo i tempi erano maturi per un’o- perazione di questa natura. Le spese sostenute per la guerra contro Vercelli avevano ridotto all’osso le risorse della sede vescovile, gravata da una tale mole di debiti e di crediti insoluti da suscitare l’immediato intervento di papa Clemente VI. A partire dal giugno del 1343, indetta la tregua col comune eusebiano, si susseguono dalla curia avignonese diverse lettere indirizzate agli ecclesiastici attivamente impegnati nel Vercellese per conto del papa, fra i quali spicca il legato pontificio Guglielmo, artefice della tregua appena conclusa: bersaglio degli strali papali sono i tanti individui, ecclesiastici e laici, nonché i castra et loca della diocesi che “renuunt restituere bona debita et credita quondam Lombardini, electi Vercellensis” 19 . Due casi, collegati fra loro, spiccano per la risonanza che ebbero in quei mesi, ed entrambi ci indicano che con la morte di Lombardo il nodo irrisolto dell’intreccio di interessi fra l’episcopato e la famiglia Avogadro era venuto al pettine. In comune col caso citato di Andorno, essi dimostrano la profondità della crisi che stava attraversando il gover- no della diocesi, crisi che in questa fase sembra riguardare non solo il controllo dei redditi ma anche l’obbedienza dei gastaldi dislocati nei vari centri vescovili. Ma il loro esito indica anche l’energia con cui il successore di Lombardo, Emanuele Fieschi, nominato il 13 giugno 1343, si impegnò, in stretta collaborazione con il papa, per ristabilire la situazione, a costo di entrare in urto con quella famiglia Avogadro che

18 Sulla questione vedi: Carte , II, doc. 259: l’11 aprile 1349 il comune di Andorno si impegna a pagare 4734 lire e 7 soldi pavesi in cambio dell’assoluzione da ogni imposi- zione e pena; lo stesso giorno il comune nomina procuratori per contrarre un mutuo pari alla somma indicata: ASB, Torrione, Raccolta, b. 17, f. 13. 19 Clément VI. Lettres closes , nn. 320-321. Sui credita : al 1341 risale un prestito di 200 fiorini del vescovo Lombardo al comune di Biella, senza traccia di restituzione (Prestiti , doc. 116, 22 maggio 1341), un altro prestito di 400 fiorini è attestato nei con- fronti di Guidone de Corrigia : cfr. Clément VI. Lettres closes , n. 317. Il recupero dei beni di Lombardo, affidato ai suoi familiari, si protrarrà molto a lungo: ancora nel 1354 Ludovico della Torre, delegato dal papa per questa questione, è impegnato ad ottenere il rimborso dai signori di Challant e Montjovet: Carte , II, doc. 373.

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tradizionalmente era stata un caposaldo della politica episcopale. Il primo caso riguarda il castello di Zumaglia, che subito dopo la morte del vescovo Lombardo venne occupato da alcuni membri della famiglia Avogadro con il pieno appoggio della comunità e, anche qui, con il concorso del gastaldo vescovile. A raccontarci come sono andate le cose è il vicario vescovile Aldeberto de Petra Mauricastri , che il 30 maggio del 1343 scrive una lunga e dettagliata relazione degli avveni- menti al legato pontificio Guglielmo: i consoli e i maggiorenti della comunità “consensu totius comunitatis ipsorum locorum Zumalie et Ronchi” sono entrati nel castello “sub pretestu habendi colloquium cum Raymondino dela Turre” (il nipote del vescovo Lombardo, che all’epo- ca teneva il castrum per la chiesa), lo hanno occupato con la forza e infi- ne consegnato a “domino Guillelmo de Gualdengo, Iacobino eius filio, Iohanni filio condam domini Uberti de Cerridono, omnibus de Advocatis” 20 . Il primo degli assalitori non è altri che Guglielmo Avogadro di Valdengo, protagonista pochi anni prima della vicenda di Trivero, e che all’inizio dell’episcopato di Lombardo operava in piena concordia col vicario e giudice vescovile nella sua qualità di “advocato et vicario terre ecclesie Vercellensis” 21 . Purtroppo non sappiamo altro della vicenda, che si dev’essere conclusa abbastanza presto con la restituzione del castello; ma essa indica comunque che con la morte di Lombardo e l’at- tivismo del legato pontificio gli Avogadro sentivano fortemente minac- ciato il loro rapporto preferenziale con la sede episcopale. Il linguaggio di Aldeberto è durissimo: la qualifica loro attribuita di detentori illegit- timi dei beni della chiesa - delinquentes , e usurpatores iurisditionis et bonorum episcopii ecclesie vercellensis - lascia intravvedere la lacera- zione traumatica di un tessuto di connivenze che fino a quel momento, bene o male, era stato tenuto in piedi. Quadra perfettamente con questa impressione il fatto che uno dei primi atti del vescovo Emanuele Fieschi sia stato il recupero, ai danni degli Avogadro, del castello di Verrua. Come sappiamo, gli Avogadro di

20 ASB, Avogadro di Valdengo, s. II, b. 12, f. 18. 21 Carte , II, doc. 222. E’ verosimilmente grazie a questa qualifica, che deve aver detenuto anche sotto l’episcopato di Uberto, che l’Avogadro poté assumere il controllo di Trivero, per poi di fatto privatizzarla (cfr. sopra, n. 14).

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Collobiano e di Cerrione lo avevano tenuto per quasi quarant’anni, “totis temporibus bone memorie d. Raynerii et bone memorie d. Uberti de domo Advocatorum quondam episcoporum ecclesie Vercellensis et etiam toto tempore bone memorie d. Lombardini de la Turre de Mediolano quondam episcopi Vercellensis” 22 . Ma dopo la morte di Lombardo la chiesa eusebiana, non sappiamo se rappresentata ancora dal legato pontificio o già da Emanuele, pretese la restituzione del castello e ottenne l’arresto degli Avogadro che lo detenevano, uno dei quali è quello stesso Giovanni di Cerrione che aveva preso parte all’oc- cupazione di Zumaglia. Nel dicembre del 1343 papa Clemente VI si atti- va per il loro rilascio, scrivendo all’arcivescovo di Milano Giovanni Visconti e al fratello Luchino affinché liberino i “nobiles viros Ruffinum de Collobiano, Joannem et Ubertum de Cerridono de Advocatis de Vercellis qui restituerunt Manueli, episcopo vercellensi, cujus sunt vassalli et fideles, castrum Verruce” 23 . Uno degli Avogadro imprigionati, Ruffino Avogadro di Collobiano, ancora negli ultimi gior- ni di vita del vescovo Lombardo era stato coinvolto attivamente nel recupero dei crediti di Andorno - era stato lui, infatti, a prestare alla comunità la prima rata della somma dovuta al vescovo: un’ulteriore conferma di come la morte di Lombardo abbia improvvisamente e dra- sticamente cambiato gli equilibri politici nella diocesi 24 . Le modalità del recupero di Verrua rivelano peraltro una certa ambi- guità. A prima vista sembra che nonostante l’investitura rilasciata a suo tempo da Lombardo il nuovo vescovo abbia accusato gli Avogadro di aver occupato il castello in modo illegittimo, tanto da farli incarcerare. Ma è più probabile che una tale misura sia stata presa in conseguenza dell’occupazione del castello di Zumaglia, una mossa che agli occhi

22 Cfr. sopra, n. 6. 23 Clément VI. Lettres closes , n. 358. 24 ASB, Torrione, Raccolta, b. 17, f. 13. I prestiti contratti dal comune per questa questione si prolungano almeno sino alla fine di ottobre del 1352: Carte , II, doc. 352 (4 maggio 1352). Anche Giovanni Avogadro di Cerrione sembra, prima della morte di Lombardo, essere in buoni rapporti con la chiesa: compare come arbitro insieme a Ottone d’Azeglio dei conti di Ponzone nella tregua fra il vescovo di Vercelli Lombardo e il comune di Biella da una parte, e i conti di Masino dall’altra: G.T. M ULLATERA , Le memorie di Biella , a cura di E. S ELLA e M. M OSCA , Torino 1902 (ed. or. Biella 1778), p. 48 (il doc. si trova in ASB, Comune, s. I, b. 6, f. 1).

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della chiesa aveva reso gli Avogadro, al pari delle comunità che li ave- vano sostenuti nell’impresa, degli usurpatores e dei delinquentes , offrendo il destro per considerare privi di ogni legittimità anche gli altri possessi ecclesiastici sotto il loro controllo. Passata la fase dello scontro aperto e riottenuto il castello di Verrua, le cose vengono viste e descrit- te in modo diverso: il vescovo, nell’urgenza di reperire fondi, motiva la richiesta indirizzata alle comunità soggette con alcune ingenti spese che è in procinto di sostenere, fra le quali il “riscatto” del castello di Verrua - pro recuperatione et redemptione nobilis castri Veruce ad episcopalem mensam spectantis -, per il quale si è impegnato a versare la somma di 800 fiorini 25 . Agli Avogadro si riconosceva quindi il diritto ad un risar- cimento per la sua perdita, segno che restare in buoni rapporti con que- sta famiglia, se possibile, continuava ad essere una priorità; ma subor- dinata all’altra, nuova, di recuperare possessi ed entrate della diocesi.

I. 2. Emanuele Fieschi (1343-1348): la prima reazione alla crisi

La nomina di Emanuele, il primo Fieschi salito alla cattedra vercel- lese 26 , avviene come abbiamo visto in un contesto di forte depaupera- mento delle sostanze diocesane, di guerra, di ribellioni di comunità più o meno manovrate dall’esterno, di scarso controllo del personale vesco- vile a più immediato contatto col territorio, e di forte coinvolgimento del potere papale nelle vicende vercellesi. La scelta di Clemente VI di nominare a capo della diocesi un suo stretto collaboratore qual è

25 Carte , II, doc. 275, pp. 167 e 170 (a. 1346). 26 Emanuele Fieschi è eletto vescovo il 13 giugno del 1343 e muore poco dopo il 27 luglio 1348, data cui risale il suo testamento (ACV, Atti privati, cart. 41). Il 28 settem- bre del 1348 Lazzarino Fieschi, preposito di Biella e cappellano papale, nonché vicario di Emanuele, sarà incaricato di incamerare i beni del defunto vescovo ( Clément VI. Lettres closes , nn. 1719-1720). L’arrivo dei Fieschi nel Vercellese, e il tentativo di costruirvi una propria dominazione, ha come precedente le lotte fra guelfi e ghibellini nella Genova dei primi decenni del Trecento. Nel 1339, con l’elezione di Simone Boccanegra, i Fieschi vengono espulsi, e alcuni rami della famiglia, tra cui Emanuele Fieschi, si spostano nei possessi più decentrati (nel 1339 Emanuele approva gli statuti di Calestano, nel Parmense; su questo possesso della famiglia cfr. Clément VI. Lettres closes , n. 2679). Cfr. R. D E ROSA , I principi Fieschi conti palatini e celebri falsari. La Zecca di Masserano , Carmagnola 1995.

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Emanuele è significativa della volontà di proseguire e rafforzare l’ope- ra di risanamento iniziata nei mesi precedenti dal legato pontificio, facendo finalmente della sede vescovile vercellese, dopo i magri risul- tati ottenuti con Lombardo della Torre, un valido baluardo contro lo straripante potere visconteo. L’indirizzo che il nuovo vescovo, in stretta collaborazione con la curia avignonese, intende dare al proprio episcopato non rimane a lungo un mistero per i vari soggetti della diocesi. Nei mesi successivi alla nomina, per espresso ordine di Emanuele, al clero e ai vassalli che gli dovranno prestare il dovuto omaggio “tanquam eorum et dicte Vercellensis ecclesie pastor dominus et prelatus”, nonché all’arcivesco- vo di Milano Giovanni Visconti, viene esibita quale presentazione del nuovo titolare la bolla che Clemente VI gli ha concesso “super provi- sione regimine administratione et gubernatione eiusdem ecclesie Vercellensis”, a dissipare ogni dubbio, se mai ce ne fosse stato bisogno, sulle linee guida del futuro governo 27 . Alle dichiarazioni simboliche seguono presto gli atti concreti. Emanuele, che all’epoca risiede ancora ad Avignone e che gli incarichi affidatigli dal papa terranno a lungo lontano dalla diocesi, elabora un puntiglioso programma di governo e ne affida l’esecuzione ai suoi col- laboratori 28 . Il primo documento da lui emanato, redatto ad Avignone il 3 luglio 1343 29 , a meno di un mese dalla sua elezione a vescovo di Vercelli, contiene per l’appunto la nomina di tre procuratori, Lazzarino

27 La bolla, con l’ordine di esibirla laddove opportuno, è menzionata nel documento del 3 luglio 1343 citato sotto, n. 29. 28 In diversi documenti il vescovo richiama l’esigenza di risiedere “in Romanam curiam”, “pro nonnullis arduis ecclesie Romane negociis ac eciam nostris et prefate nostre Vercellensis ecclesie utilibus prosequendis”: ACV, Atti privati, cart. 40; ASB, Bulgaro, m. 44, f. 4. La lunga permanenza fuori sede di Emanuele e la conseguente deci- sione di affidare ad altri il governo della diocesi non significa in alcun modo l’estraneità del vescovo alle questioni vercellesi: le stesse lettere in cui Emanuele accenna agli impegni che lo trattengono ad Avignone - impegni che, non manca di sottolineare, avranno ricadute importanti per la stessa diocesi eusebiana -, sono segno del continuo contatto fra il vescovo e i procuratori che operano per suo conto. 29 Per questo documento, in copia del 26 aprile 1346, e i successivi, tutti redatti su pergamene successivamente cucite l’una all’altra, cfr. ACV, Atti privati, cart. 40. 30 Probabilmente si tratta del dominus Pietro de Anoliis , registrato come uno dei maggiori contribuenti negli estimi biellesi di metà Trecento (ASB, Comune, b. 304, doc.

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Fieschi, il genovese Nicola da Barone e il biellese Pietro de Agonis 30 , dotati di pieni poteri per la presa di possesso della diocesi e l’attuazio- ne di un progetto di recupero di beni e diritti della chiesa, anche nell’e- ventualità di beni illecitamente distolti. Le direttive che impartisce sono significative della carica innovativa di cui vuole farsi portatore. Vediamone in sintesi il contenuto. I procuratori dovranno prendere possesso di tutti i beni e i diritti della diocesi, e operare affinché siano recuperati “singulas quoque possessio- nes, fructus, redditus, proventus, obventiones, thesauros, calices, libros, ornamenta, utensilia, pecuniarum quantitates, iura, res et bona” che risultino appartenere o essere appartenuti alla chiesa, nonché i beni “destractos et destracta et alienatos et alienata in dampnum et preiudi- cium dicte ecclesie”, per poi procedere con gli strumenti del diritto “contra distractores, alienatores, occupatores, invasores, et detemptores eorum”. Da ogni funzionario ecclesiastico - “a quibusvis vicariis, officialibus, camerariis, gastaldis, castellanis, et aliis quibusvis personis” - detentore di uffici nella chiesa o nei suoi castra , sia sotto il predecessore di Emanuele, sia in fase di sede vacante, dovrà essere reso “bonum verum et legalem computum et calculum rationis et bonam legalem et veram rationem” dei singoli redditi, proventi, beni, diritti percepiti e esercitati. I procuratori dovranno provvedere al buon reggimento e governo di ogni castrum , terra e giurisdizione della chiesa vercellese, nominando castellani, gastaldi, custodi, rettori, capitani e qualunque funzionario sia necessario, attribuendo loro a nome del vescovo il potere di esercitare in quell’ufficio la giurisdizione che la chiesa per consuetudine e diritto esercita da tempo. Ognuno dovrà prestare giuramento e i procuratori dovranno controllarne l’operato, con la facoltà di rimuoverli e sostituir- li quando lo riterranno necessario. I procuratori dovranno concedere a nome del vescovo l’investitura di “quibuscumque possessionibus terris pratis paschuis nemoribus silvis et iuribus dicte Vercellensis ecclesie”, confermare le alienazioni di terre della chiesa prelevando quanto spetta al vescovo per il laudemio e la

7043, quartiere S. Stefano, s.d., f. 13r), e che possiede una casa al Piazzo vicino a Martino Zumaglia, altro familiare del vescovo, per la quale gli eredi percepiscono un fitto (cfr. estimo del quartiere S. Giacomo del 1362, ivi, b. 9, doc. 2, f. 1r).

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terza, e ottenere dai possessori la dichiarazione dei beni detenuti a nome della chiesa. Dovranno richiedere e ottenere da qualunque persona, laica o ecclesiastica, vassalli o feudatari, e da qualunque luogo, terra o comu- nità “omnes et singulos fructus, redditus et proventus, obventiones et iura, pecuniarum quantitates auri vel argenti, monetati vel non moneta- ti, res et alia bona quacumque consistencia in numero pondere vel men- sura” spettanti al vescovo o ai suoi predecessori; per ogni operazione dovranno essere redatte cedole da restituire con il taglio dell’avvenuto pagamento, e il debito dovrà essere cancellato dalle note e dalle imbre- viature del vescovo. I procuratori saranno dotati di pieni poteri per agire in giudizio contro ribelli e detrattori, comminare multe e scomuniche, trattare e transigere con persone e comunità. Fra le deleghe attribuite ai procuratori, colpisce l’ampio spazio riser- vato al tema del recupero dei beni della chiesa. Dopo un generico invi- to a prendere possesso di tutti i beni e diritti della chiesa vercellese, il vescovo passa a trattare specificamente la categoria di quelli indebita- mente distolti o alienati dal novero dei possessi ecclesiastici. Difficile non cogliere già a questo punto le assonanze con il quadro delineato nei paragrafi precedenti, dove la chiesa vercellese risulta in difficoltà, oltre che per le ingenti spese da sostenere a causa della guerra, per la manca- ta disponibilità di parte delle sue sostanze illecitamente distolte; ma i rimandi si fanno ancora più consistenti nei punti successivi, incentrati sugli strumenti necessari per disporre di un quadro preciso dei redditi della chiesa (anche attraverso i rendiconti dei funzionari della passata amministrazione), e soprattutto sul controllo del personale ecclesiastico - non dimentichiamo che sia a Zumaglia che ad Andorno il gastaldo vescovile aveva partecipato agli atti di ribellione contro la chiesa - attraverso il potere di nomina e di rimozione dei funzionari nei castra della diocesi. Sebbene il Fieschi concluda l’elenco delle misure premurandosi di sottolinearne i benefici effetti sul governo dei sudditi “in spiritualibus vel temporalibus”, è evidente che il secondo ambito d’azione ha la prio- rità assoluta nelle intenzioni del vescovo: il buon governo della chiesa, in questo momento, passa prima di tutto attraverso il recupero e la cor- retta gestione dei suoi beni, la selezione di un’adeguata classe di fun- zionari e, non meno importante - come vedremo meglio oltre -, la pro-

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duzione di scritture amministrative: i riferimenti a queste ultime - ren- diconti, quietanze di pagamenti, investiture - si snodano lungo l’intera serie di incarichi attribuiti ai procuratori. Nel programma di governo delineato dal vescovo Emanuele, insomma, si leggono in negativo i punti deboli della passata amministrazione, responsabili dello stato di degrado della diocesi. I procuratori operarono sin dal primo anno nella direzione indicata dal vescovo - e infatti li vediamo impegnati nelle trattative con le comu- nità e nell’esazione di taglie 31 - nel difficile tentativo di affrontare il pro- blema più urgente, la cronica mancanza di denaro nelle casse vescovili. Il governo di Emanuele Fieschi si scontra sin dal primo anno con l’ur- genza di risolvere i problemi economici della diocesi vercellese: oltre a non disporre per quell’anno di alcuna entrata - nell’anno precedente la sua nomina “dictus episcopatus fuerat in maxima guerra, quare ex illo primo anno idem d. episcopus nichil vel quasi nichil recipere potuit vel habere” -, Emanuele si trova a dover sostenere ingenti spese per la curia papale (1200 fiorini), per il riscatto già citato del castrum di Verrua (800 fiorini), per la fortificazione delle mura di Biella (400 fiorini) e per la riedificazione del mulino vescovile distrutto dai vercellesi (una non meglio definita “magnam pecunie quantitatem”) 32 . Difficoltà economiche che si sommano all’esigenza di attrezzarsi per affrontare un eventuale nuovo scontro armato con la Vercelli dei Visconti, che la tregua imposta dal legato pontificio aveva solo tempo- raneamente allontanato: lo stesso cardinale Guglielmo, a cinque giorni dalla nomina del vescovo Emanuele, riceve direttive dal papa affinché “de armaturis necessariis pro custodia et tuitione castrorum ecclesie

31 Vedi ad esempio Carte , II, doc. 266, p. 136, e ACV, Atti privati, cart. 40. 32 Carte , II, doc. 275, p. 167. Probabilmente per questa ragione il vicario vescovile Lazzarino Fieschi evita di restituire parte dell’eredità di Lombardo della Torre in suo possesso, suscitando le rimostranze di Clemente VI: l’11 febbraio 1344 il papa scrive a Ludovico della Torre “ut compellat Jacobum de Villanis, rectore ecclesiae S. Theonesti, Vercellensis diocesis, Aldibertum de Petra, canonicum Vivariensem necnon Lazarinum, vicarium Manuelis, episcopi vercellensis, ad restituenda bona quondam Lombardini, episcopi, quae detinent injuste” ( Clément VI. Lettres closes , n. 387). Alla fine dello stes- so anno il papa, forse venuto a conoscenza delle difficoltà economiche della diocesi, decide per un versamento di 2000 fiorini della camera apostolica alla chiesa vercellese (Clément VI. Lettres closes se rapportant à la France , n. 1329).

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Vercellensis necnon de bladis et vinis ibidem existentibus usque ad novos fructus faciat dimitti provisionem decentem vicariis Manuelis, electi Vercellensis” 33 . Per vedere concretizzate le innovazioni più forti nell’amministrazio- ne diocesana dobbiamo attendere l’arrivo del vescovo nella diocesi 34 , in cui risulta con certezza presente a partire dal febbraio del 1346. Dal gen- naio di quest’anno viene avviata la redazione del libro delle investiture rurali, la cui redazione è prefigurata nel documento del 3 luglio ‘43, e che costituisce il primo esempio di documentazione in forma di libro prodotta dall’amministrazione diocesana. Nel giro di una settimana, dal 5 all’11 aprile del 1346, tre servitori di curia si recano nei vari centri della signoria episcopale - il primo a Biella, Vernato, Pollone, Sordevolo, Muzzano, Graglia, Camburzano e Occhieppo, il secondo a Masserano, Curino, Crevacuore, Mosso, Mortigliengo, Bioglio, Andorno, Chiavazza, Ronco e Zumaglia, il terzo a Santhià, Moncrivello, Miralda, Cigliano, Villareggia, Saluggia, Palazzolo e Asigliano -, informando la popolazione che chiunque sia entrato in pos- sesso di terra ecclesiastica, a qualunque titolo, deve farsi investire dal vicario vescovile entro Pasqua, sotto pena di 25 lire. Ne risulterà un

33 Clément VI. Lettres closes , n. 194. Un indizio della posizione di forza con cui la chiesa vercellese, sotto la guida del Fieschi, intende porsi nei confronti della città ver- cellese e delle sue ambizioni è dimostrata dall’estratto del Liber de vassallis beati Eusebii et Ecclesie Vercellensis fatto redigere il 6 marzo 1344, riguardante il testo del- l’investitura al comune vercellese. Nei primi mesi del nuovo governo si era probabil- mente posto il problema di regolare, fra gli altri, il rapporto con quel vassallo speciale del vescovo che era il comune. Il testo riportato nel documento suggerisce che Emanuele non intendesse limitarsi, come pare abbia fatto Lombardo, a non confermare le genero- se concessioni fatte dal vescovo Uberto, che aveva investito il comune non solo della giurisdizione sulla città ma anche di quella sul territorio diocesano, ma volesse ricon- durre l’investitura alla sua forma originale: A RNOLDI , Carte dell’archivio arcivescovile , doc. 91 (6 marzo 1344). 34 Nel 1344 sono avviati lavori nel palazzo episcopale, probabilmente per appresta- re la residenza in vista dell’arrivo del presule: ACV, Atti privati, cart. 40 (19 settembre 1344). 35 AAV, Diversorum , m. 3, doc. 57. Le investiture vanno dal 3 gennaio 1346 al 2 gen- naio 1347. Il volume riunisce tre protocolli: il primo redatto da Uberto de Cerreto , notaio e scriba del vicario Papiniano Fieschi, il secondo dallo stesso vicario, il terzo da Andalò Grillo, genovese, preposto della chiesa di S. Evasio di Casale e procuratore del vescovo.

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volume con circa 600 investiture 35 . In questo stesso anno viene fatta copia del documento del 1343, quasi un programma di governo, e com- paiono cenni espliciti all’esistenza di un sistema articolato di documen- tazione in forma di registro per la tenuta dei conti 36 , come se l’effettiva presenza del presule nella diocesi avesse dato un impulso determinante dal punto di vista documentario. Con ogni probabilità in questo stesso momento viene prodotto un documento, il Libellus feudorum , che risponde pienamente all’obiettivo di controllo di uomini e risorse così chiaramente delineato nel 1343. Il fascicolo, che consiste nell’elenco di tutti i vassalli vescovili e di tutti i redditi che le comunità soggette dovevano versare al vescovo, ha un’im- portanza centrale per il nostro discorso, perché la sua redazione prefi- gura quella dei libri dei redditi - alla cui analisi sarà dedicata la secon- da parte di questo contributo - e del libro delle investiture degli anni 1349-51, vale a dire i due capisaldi del sistema di scritture realizzato sotto il successore di Emanuele, Giovanni Fieschi. Gli argomenti a sostegno dell’attribuzione di questo documento, non datato, all’episco- pato di Emanuele saranno esposti più avanti, perché implicano continui rimandi con la documentazione redatta dal successore 37 ; ciò che qui ci interessa sottolineare è che il rinnovamento dell’amministrazione dio- cesana annunciato fin dalla nomina di Emanuele era arrivato nel 1346 a produrre i primi frutti anche sul piano delle scritture amministrative. Il breve episcopato del Fieschi - cinque anni, dal 1343 al 1348, di cui buona parte trascorsi fuori sede 38 -, fece sì che proprio questo campo rimanesse più degli altri ad un livello embrionale, ma fu sotto il suo governo che si posero le premesse per le innovazioni documentarie che vedremo attuare dal suo successore. Anche un dato ulteriore spiega la

36 Ad esempio la scritta, apposta al termine di un rendiconto, “predicte libre octo, solidi decemocto et denarii quinque pp. sunt restitute videlicet quia sunt compensate in libro C in fo. CLXXXV, in fine secunde pagine et in libro S in fo. CLXVIIII” (ACV, Atti privati, cart. 40). 37 Cfr. sotto, § I.3.d. 38 Anche dopo il suo ingresso nella diocesi all’inizio del 1346, gli incarichi papali fuori sede continueranno ad affiancarsi alle incombenze di governo: il 4 maggio del 1348 Emanuele viene inviato come nunzio del papa presso Luchino Visconti ( Clément VI. Lettres closes se rapportant a la France , n. 3882, e per la stessa questione nn. 3883, 3884, 3888).

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continuità d’operato fra i due vescovi: il vicario vescovile attivo sotto Emanuele - e cioè suo nipote Papiniano Fieschi - continua a svolgere la propria attività anche sotto il successore Giovanni, garantendo quella stabilità di funzioni che la storiografia ha individuato come un tratto caratterizzante nella vita delle sempre più articolate curie trecentesche 39 . L’uso di familiari e collaboratori personali nel governo della diocesi è un elemento che sembra caratterizzare sempre più gli episcopati “forti” trecenteschi, ma con l’avvento nella diocesi di vescovi estranei al con- testo locale questo aspetto muta di segno: se al tempo degli Avogadro l’ampio coinvolgimento di membri della famiglia aveva finito per inde- bolire il governo diocesano, perché ognuno di loro era al contempo por- tatore di interessi e legami personali da difendere, con i Fieschi questo diventa un elemento di forza. Disporre di collaboratori le cui fortune dipendevano esclusivamente dal rapporto con lui significò per Emanuele la possibilità di governare con una certa autonomia dall’in- treccio di legami presenti nell’amministrazione della chiesa, con risul- tati che diventeranno ancora più evidenti sotto Giovanni. A metà Trecento, in un momento di crisi generalizzata, la chiesa ver- cellese guidata dai Fieschi reagisce dunque con un programma di raffor- zamento istituzionale, di cui il vescovo Giovanni rappresenterà l’inter- prete più energico ed efficace. La sua azione, pur contemplando vari ter- reni di confronto, non ultimo quello militare, si aprirà con un forte inve- stimento sul rinnovamento delle prassi documentarie - quasi un lascito testamentario del predecessore -, che nell’opinione di Giovanni dove- vano costituire un ingrediente fondamentale per il successo dell’opera- zione.

39 Papiniano Fieschi viene nominato vicario generale del vescovo Emanuele dal fra- tello Lazzarino l’1 marzo 1344 (ACV, cart. 40); compare in qualità di “generalis vica- rius” nel 1344 ( Carte , II, doc. 265), e lo vediamo agire con questa qualifica fino al feb- braio del 1350 ( Carte , II, doc. 313, 9 febbraio), a un anno dalla nomina di Giovanni Fieschi. Il Pasté cita a proposito di questo vicario un testamento del 2 settembre 1361 conservato nell’archivio vescovile, che non è stato possibile reperire: cfr. R. P ASTÉ , I vicarii generali della curia vescovile di Vercelli , in «Archivio della società vercellese di storia e d’arte», 7 (1915), pp. 161-71, p. 163.

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I. 3. Giovanni Fieschi (1349-1380): dalla ripresa alla catastrofe

a) Un vescovo intraprendente e controverso

La storiografia sulle diocesi bassomedievali presenta un dato ricor- rente: molte sedi vescovili contano, fra i loro titolari tre e quattrocente- schi, una figura particolarmente innovativa sul piano della gestione amministrativa e su quello connesso della produzione documentaria, capace di determinare in questo ambito un salto di qualità sia quantita- tivo che qualitativo. Pensiamo a Berardo Maggi per Brescia (1275- 1308), protagonista della corposa monografia di Gabriele Archetti, al vescovo di Concordia Artico da Castello (1317-31), studiato da Luca Gianni, a Francesco Bossi (1420-34) per Como, studiato da Massimo Della Misericordia, ma gli esempi potrebbero essere moltiplicati a pia- cere 40 . Vescovi che condividono, al di là delle specificità individuali, un forte carisma, la perseveranza nel riaffermare la legittimità di diritti da tempo non riconosciuti o comunque non esercitati, e la capacità di indi- viduare collaboratori capaci di sostenerli nell’impresa: doti che non di rado la storiografia passata ha tradotto nell’immagine negativa del vescovo troppo attento alle questioni temporali e poco a quelle spiritua- li, più adatto - per usare una metafora frequente nei ritratti di questi per- sonaggi - a maneggiare la spada piuttosto che il pastorale. Questa stessa propensione è stata attribuita anche a Giovanni Fieschi, che può a buona ragione essere considerato il corrispettivo ver- cellese delle figure prima nominate. Una personalità di particolare rilie- vo e non solo per la storia vercellese, come dimostrano i contatti con intellettuali di spicco dell’epoca, segno del respiro sovralocale che,

40 G. A RCHETTI , Berardo Maggi vescovo e signore di Brescia. Studi sulle istituzioni ecclesiastiche e sociali della Lombardia orientale tra XIII e XIV secolo , Brescia 1994; L. G IANNI , La diocesi di Concordia in Friuli. Difesa delle temporalità e consolidamen- to amministrativo: l’episcopato di Artico da Castello (1317-1331) , in Vescovi medieva- li , a cura di G.G. M ERLO , Milano 2003, pp. 165-206; M. D ELLA MISERICORDIA , L’ordine flessibile. Le scritture della mensa vescovile presso l’archivio storico della Diocesi di Como (prima metà del XV secolo) , in «Archivio della diocesi di Como», 11 (2000), pp. 23-71. Un ruolo altrettanto incisivo sembra caratterizzare, pur nella scarsità della docu- mentazione, l’attività dell’arcivescovo milanese Giovanni Visconti (1342-54): cfr. A. CADILI , Giovanni Visconti arcivescovo di Milano , Milano 2007, pp. 161-177, 192-213.

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durante il suo episcopato, connota la vita culturale della diocesi 41 . Nella teoria di personaggi che si susseguono a capo della diocesi eusebiana non ve n’è uno la cui immagine sia altrettanto controversa: “spirito impastato d’alterne inquietudini, che depositava i suoi riposi più nella spada che nella mitra” (Coda), teso “a dominare da Principe assoluto la sua Diocesi, anzi che da mansueto spirituale Padre” (Mullatera), “triste

41 Del ritrovamento di uno o più codici antichi fatto dal Petrarca a Vercelli durante l’e- piscopato del Fieschi, e della somma con cui quest’ultimo avrebbe voluto ricompensare l’umanista, si parla nelle opere di diversi storici vercellesi, che hanno probabilmente ripreso e arricchito una notizia riportata da Biondo Flavio nella sua Italia Illustrata . Secondo quest’ultimo il Petrarca si vantava di aver ritrovato a Vercelli vari codici conte- nenti opere di Cicerone - le Epistole ad Lentulum e i tre libri delle Orazioni - e di Quintiliano (cfr. Biondo Flavio’s Italia Illustrata: Text, Translation, and Commentary , a c. di C.J. C OSTNER , Binghamton (NY) 2005, vol. I, p. 46). Sono gli storici vercellesi a collegare il ritrovamento di codici compiuto dal Petrarca - da loro ridotto alle sole lette- re ciceroniane (Modena) - al vescovo Fieschi (Corbellini), e a introdurre il particolare della ricompensa in denaro elargita dal vescovo allo studioso (Cusano). Il Modena (in ACV, Ms. 9, Sommario dell’Historia di Vercelli del canonico G.B. Modena , f. 87v), è l’autore che riecheggia con più evidenza il passo del Biondo, e non parla affatto né del vescovo Fieschi né di una ricompensa per il ritrovamento: “More Francesco Petrarca, quale venuto a Vercelli si vanta d’aver trovato le epistole di Cicerone ad Lentulum , mai sin a quel tempo vedute”. Aurelio Corbellini afferma che Giovanni Fieschi aveva “rin- gratiato con sue lettere il Petrarca, che in Vercelli ritrovato haveva l’Epistole di Cicerone” (Vite de’ vescovi di Vercelli , Milano 1643, p. 91). Poco dopo Marc’Aurelio Cusano, che cita come fonte della notizia proprio il Corbellini, riporta la stessa informazione, arric- chendola del particolare della ricompensa: “Godevasi all’hora Vercelli della presenza, e familiar conversatione di Francesco Petrarca Poeta segnalato, e celebre, qual faceva ivi sua continua dimora, in qual mentre hebbe fortuna di ritrovare nella Medesima Città di Vercelli l’Originali Epistole di Cicerone, che già egli scrisse a Lentulo; onde del medesi- mo vescovo Giovanni Fiesco ricevé competente premio” ( Discorsi historiali cit., p. 239). La notizia è stata poi riportata anche dal Casalis, che la riprende senza prendere posizio- ne, ma aggiungendo un’ipotesi di datazione della venuta di Petrarca a Vercelli nel 1353 (“quando ei si condusse ad abitare in Milano”: in Dizionario geografico storico-statisti- co-commerciale degli stati di s.m. il re di Sardegna , Torino, 1853, vol. 24, s.v. Vercelli , p. 306), e da Giuseppe Ferraris, che discute l’identificazione del codice asportato da Petrarca da Vercelli con l’attuale ms 49 conservato alla Laurenziana di Firenze (F ERRARIS , La pieve di S. Maria di Biandrate cit., p. 456). Al di là di questa vicenda, sulla quale non è per ora possibile mettere un punto fermo, che l’episcopato di Giovanni sia stato un momento di intensa vita culturale per la sede vescovile vercellese lo dimostrano anche i contatti epistolari con la curia papale: il 9 agosto 1374 Gregorio XI scrive al vescovo chiedendo esplicitamente l’invio di un manoscritto delle Epitomi di Giustino alle Historie Philippicae di Pompeo Trogo (cfr. Grégoire XI. Lettres secrètes , n. 2821, e S. G AVINELLI , Leone di Vercelli postillatore di codici , in «Aevum», 75 (2001), pp. 233- 62, a p. 256 n. 82; ringrazio Paolo Rosso per questa indicazione bibliografica).

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figura di prelato e signorotto feudale” (Torrione) 42 ; ma già il cronista quattrocentesco Giacomo Orsi lo descrive come un tiranno degno di essere paragonato a Nerone (“episcopo neronizante quasi monstro”) 43 , mentre i meno ostili sono comunque concordi nel sottolineare la natura bellicosa del personaggio, un “vescovo soldato” che “impugnava il pastorale con l’autorità di un pastore e insieme con l’energia d’un guer- riero che stringe l’alabarda” (Arnoldi) 44 . Non è difficile individuare nella trentennale attività del Fieschi le ragioni di un ritratto a tinte così fosche: a partire dalla sua elezione alla cattedra eusebiana, nel 1349 45 , è un susseguirsi quasi ininterrotto di scontri con le comunità e i poteri soggetti, nel tentativo di recuperare in ogni ambito, soprattutto quello economico e fiscale 46 , le prerogative vescovili. Ne nascono, fra l’altro, violente tensioni con il comune di Biella, che all’epoca costituisce ormai da tempo, per i vescovi, una resi- denza alternativa preferita alla Vercelli ghibellina e viscontea: è pertan- to comprensibile che siano stati per lo più storici espressi da questa realtà cittadina a considerare in modo fortemente critico la sua azione di governo 47 .

42 Rispettivamente C.A. C ODA , Il ristretto e altre opere inedite di storia biellese , a cura di P. T ORRIONE , Biella 1971, pp. 136 e 138 (un giudizio simile al suo è stato formulato nei confronti del vescovo Artico da Castello, ugualmente responsabile di mostrare una mag- giore propensione per le armi piuttosto che per il pastorale: cfr. G IANNI , La diocesi di Concordia in Friuli , cit., p. 166); M ULLATERA , Le memorie di Biella cit., p. 54; P. T ORRIONE , Il castello di Zumaglia nella storia e nella leggenda , in P. T ORRIONE -F. DI VIGLIANO , La rocca di Zumaglia nel sistema dei castelli biellesi, Biella 1942, pp. 9-114, a p. 21. 43 Cronaca latina di Biella di Giacomo Orsi , a cura di P. V AYRA , Biella 1890, p. 14. 44 Cfr. l’introduzione a A RNOLDI , Investiture , pp. 249-50. 45 Giovanni Fieschi viene eletto vescovo di Vercelli il 12 gennaio 1349. Cfr. G. N UTI , v. Giovanni Fieschi , in DBI . 46 E’ curioso che, a prescindere dall’operato di Giovanni, proprio il rapporto privile- giato con le attività di ambito fiscale abbia ad un certo punto suggerito una bizzarra ipo- tesi sull’origine etimologica del cognome di questa famiglia, secondo qualcuno da ricon- durre alla professione di appaltatore del fisco imperiale ricoperta in antico dai suoi mem- bri: cfr. A.G. R EMEDI , Il cardinale Manfredo di Lavagna e l’origine del cognome Fieschi da alcuni documenti dugenteschi inerenti i rapporti fra i conti di Lavagna, Milano e l’Impero , in I Fieschi tra Papato e Impero , a cura di D. C ALCAGNO , Lavagna 1997, pp. 285-322, a p. 289. 47 Sono biellesi gran parte degli storici citati (alle nn. 42-43): Orsi, Coda, Mullatera, Torrione. Il ruolo di sede vescovile alternativa/aggiuntiva ricoperto da Biella nel Trecento è dimostrato, oltre che dalla frequenza con cui i vescovi vi risiedono, da vari

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Al di là della mitizzazione di cui è stata oggetto la figura di questo vescovo, vi sono ragioni concrete per considerare il magistero del Fieschi un momento particolarmente importante e critico nella storia della chiesa vercellese. Una di queste è la sua capacità di condizionarne lo sviluppo ben oltre la fine, come vedremo alquanto burrascosa, del suo episcopato: Giovanni è indubbiamente l’esponente più noto della fami- glia, ma non bisogna dimenticare che la cattedra vescovile vercellese fu egemonizzata quasi ininterrottamente dai Fieschi per quasi un secolo, dal 1343 al 1439 48 , e questo in molti casi significò il prolungarsi a oltranza delle questioni sollevate da Giovanni, e la delusione dei tanti che contavano sulla sua dipartita per vederle estinguersi.

b) Le vicende politico-militari dell’episcopato di Giovanni 49

Fin dall’inizio dell’episcopato di Giovanni l’insofferenza suscitata dalle esazioni vescovili s’intreccia con la complicazione rappresentata

fattori: ad esempio la scelta del personale di curia, che è in buona parte di estrazione biellese, e la frequente dislocazione di ufficiali aventi le medesime mansioni, l’uno a Biella e l’altro a Vercelli (cfr. P ASTÉ , I vicarii generali cit., a p. 162, e il doc. del 14 mag- gio 1352, da cui emerge che in occasione dell’imposizione di una taglia agli ecclesia- stici della diocesi vengono nominati due ricevitori di cui uno a Biella e l’altro a Vercelli, in AAV, Atti vescovili, cart. 22); infine è particolarmente significativo il noto passo trat- to dalla trecentesca Chronica imaginis mundi di Jacopo d’Acqui, che attribuisce alla diocesi vercellese al tempo di S. Eusebio (IV sec.) ben due vescovi, dei quali uno “domi- nabatur in Bugella villa magna, et alius regebat in civitate”: questa affermazione, inte- ramente fantasiosa, indica che all’epoca del cronista l’idea di una diocesi vercellese ege- monizzata da due centri vescovili del tutto paragonabili per importanza era perfetta- mente credibile (Jacopo d’Acqui, Chronicon Imaginis Mundi , in MHP, Scriptorum III, Torino 1848, p. 496, col. 1393). 48 Giovanni Fieschi è documentato in carica almeno fino al 1380; è ancora vivente quando l’antipapa Clemente VII, il 1 giugno 1379, nomina Giacomo Cavalli, che resta attivo almeno fino al 1389, mentre Urbano VI alla morte di Giovanni nomina di nuovo un Fieschi, Ludovico, in cattedra dal 1384 al 1412 (ma dal 1406 al 1412, passato il Fieschi all’obbedienza avignonese, Innocenzo VII gli contrappone Matteo Ghisalberti), cui segue di nuovo il lungo episcopato di un Fieschi, Ibleto, dal 1412 al 1437. Cfr. F.-C. UGINET , voce Giacomo Cavalli , G. N UTI , voce Giovanni Fieschi , e W. D ECKER , voce Ludovico Fieschi , in DBI , e sotto, testo in corrisp. delle nn. 87-88. 49 In generale vedi G. N UTI , voce Giovanni Fieschi , in DBI , e bibliografia citata; F. GABOTTO , L’età del Conte Verde in Piemonte , Torino 1894, pp. 96, 107, 112, 218, 236, 240-41.

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dalla minacciosa espansione del dominio visconteo. Già fra il 1348 e il 1349, nel periodo cioè di sede vacante fra la morte di Emanuele e l’ar- rivo di Giovanni, e nel pieno dell’epidemia di peste, i Visconti e i loro ufficiali occupano vari castelli di proprietà della chiesa fra i quali Verrua 50 . Nel 1352 è la volta di Biella, dove era divampata una ribellio- ne così violenta che nei conti del vescovo è definita addirittura “guerra Bugelle”, e che vide fra l’altro, prima dell’estate, il Fieschi assediato dai biellesi nel suo castello 51 : Giovanni Visconti, intervenuto su richiesta di papa Clemente VI a pacificare le parti 52 , assume provvisoriamente e con l’assenso del vescovo il governo del luogo, ma di fatto se ne impadro- nisce, tanto che dopo la sua morte Biella entrerà ipso facto fra i domini di Galeazzo, sottraendo al vescovo il più importante dei suoi possedimenti 53 .

50 Fra la fine del ‘48 e l’inizio del ‘49 è il capitolo di Vercelli a scrivere a papa Clemente VI, lamentandosi per l’occupazione di alcuni castelli da parte degli ufficiali milanesi (C OGNASSO , Storia di Milano cit., p. 329); mentre il 17 febbraio del 1349 papa Clemente VI scrive a Giovanni Visconti, arcivescovo di Milano, “ut restitui faciat castrum Verutae ecclesie Vercellensi, ad quam pertinet pleno iure et quod fuit occupa- tum a quondam Luchino de Vicecomitibus” ( Clément VI. Lettres closes , n. 1937). 51 Per i riferimenti alla “guerra Bugelle” vedi ad esempio il libro dei redditi 1352-59 ai ff. 11r, 16r-17v. In un documento del 12 maggio 1353 il Fieschi revoca alcune sue let- tere scritte “occasione dampnorum tempore guerre per ipsos de Bugella illatorum nobis nostreque ecclesie Vercellensi” ( Carte , II, doc. 360, p. 343); e cfr. la n. seguente. 52 Il 17 agosto del 1352 papa Clemente VI scrive all’arcivescovo Giovanni Visconti perché assista il vescovo di Vercelli, dal momento che “nonnulli vassalli et subditi eccle- siae Vercellensis in eam temeritatis et presumptionis audaciam proruperunt quod, debi- te fidelitatis obliti, reverencia calcata domini, venerabilem fratrem nostrum Iohannem, episcopum Vercellensem, quem prout tenentur venerari debuerant, in castro suo Bugelle, Vercellensis diocesis, obsederunt et eum et familiam suam pluribus affecerunt iniuriis et offensis” ( Carte , II, doc. 353, cit. a p. 335; Clément VI. Lettres closes , n. 2678). Sul ruolo di difensore del vescovo di Vercelli affidato dal papa all’arcivescovo milanese, che aveva avuto un precedente già al tempo di Lombardo della Torre, cfr. CADILI , Giovanni Visconti cit., pp. 89 e n. 112. Giovanni non è l’unico Fieschi in quel momento a sentire minacciati i propri domini, e a dover dipendere dal tutt’altro che scontato supporto dei Visconti per la loro conservazione: negli stessi mesi in cui il vescovo di Vercelli si sta confrontando con i Biellesi suo fratello Nicola è impegnato in una contesa con il comune di Parma per la giurisdizione su Calestano, che perde proprio a causa di una sentenza del vicario dell’arcivescovo Giovanni Visconti ( Clément VI. Lettres closes , n. 2679). Non è forse un caso se più tardi ritroveremo lo stesso Nicola nel Vercellese, fianco a fianco con il vescovo di Vercelli nella difesa della signoria episco- pale dall’espansione viscontea (cfr. oltre testo in corrisp. della n. 59). 53 Giovanni Visconti muore il 5 ottobre 1354. L’inizio e l’effettiva consistenza del ventennale governo visconteo di Biella, che si estende negli anni ‘50 e ‘60 del secolo,

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Con Galeazzo Visconti lo scontro con la chiesa divampa sul piano fiscale. Il 16 febbraio 1355 Innocenzo VI gli scrive per denunciare che, approfittando dell’assenza dalla diocesi del vescovo Giovanni, alcuni funzionari del podestà vercellese si sono recati “ad terras et loca quedam ecclesiae Vercellensis pro exigenda ab incolis et habitatoribus locorum ipsorum certa summa pecunie”, sostenendo che la richiesta di paga-

sono sempre stati oggetto di discussione fra gli storici locali, anche perché l’archivio cit- tadino presenta proprio in corrispondenza di questo periodo una forte carenza docu- mentaria. Almeno in via d’ipotesi non è da escludere che questa lacuna, così nettamen- te definita dal punto di vista cronologico, sia da mettere in relazione con la successiva dedizione ai Savoia, e la volontà di obliterare un passato che poteva rivelarsi scomodo di fronte al nuovo potere. Una lettera papale del 16 febbraio 1355 sembra comunque chiarire la dinamica dell’entrata di Biella sotto il dominio visconteo: papa Innocenzo VI scrive a Galeazzo dichiarando illegittimo il suo possesso di Biella, perchè “idem epi- scopus [cioè Giovanni Fieschi] castrum Bugelle, quod ad ecclesiam Vercellensem per- tinet pleno iure, bone memorie Johanni, archiepiscopo Mediolanensi, usque ad certum tempus proximo preteritum tunc futurum commiserit gubernandum”, e ne chiede per- tanto la restituzione: “precibus nostris adicimus ut castrum ipsum quod tuo nomine dici- tur possideri eidem episcopo mandes et facias restitui cum effectu” ( Innocent VI. Lettres secrètes , n. 1381). Giovanni Visconti dev’essere entrato in possesso della città fra il 17 agosto del 1352, data della lettera papale che lo invita ad intervenire in aiuto del vesco- vo Giovanni, e il 2 maggio dell’anno successivo, quando lo stesso arcivescovo scrive una lettera agli uomini e al comune di Biella “quos sub nostra gubernatione recepimus” (Carte , II, doc. 359). Sotto il suo governo assistiamo ad una novità istituzionale impor- tante per il comune biellese, la nomina del podestà: la prima attestazione certa risale al marzo del 1354, con Nicola de Caymis , mentre non è stato possibile verificare l’infor- mazione riportata dal Mullatera, e ripresa dal Gabotto, secondo il quale già nel 1351, dietro richiesta del comune, i Visconti avrebbero nominato podestà di Biella Manfredo Lampugnani (sul de Caymis vedi doc. dell’11 marzo 1354 in Prestiti , doc. 225, p. 122; su Manfredo Lampugnani cfr. M ULLATERA , Memorie di Biella cit., p. 56, e G ABOTTO , Biella e i vescovi cit., p. 45). Sotto il governo dell’arcivescovo Giovanni, in considera- zione del ruolo di superiore gerarchico da lui ricoperto nei confronti del Fieschi e del carattere almeno formalmente temporaneo del suo governo, la signoria viscontea di Biella mantenne presumibilmente toni più dimessi, e solo con Galeazzo assunse carat- teristiche tali da configurarsi come una vera e propria usurpazione ai danni della chiesa. L’accento su Galeazzo come vero artefice della signoria dei Visconti su Biella si ripre- senta in vari documenti posteriori. La transazione conclusa nel 1373 tra la comunità di Biella e il vescovo di Vercelli attribuirà la potencia tirannica esercitata dai Visconti sul luogo esclusivamente a Galeazzo: “viri providi et sagaces homines communitatis eiu- sdem iugum tante servitutis, qua fuerunt hactenus per d. Galeaz ex Vicecomitibus Mediolani indissolubiliter constituti, modis omnibus abicere cupientes” (cfr. Carte , IV, doc. 39, cit. a p. 89; lo stesso concetto è ribadito anche in doc. del 13 dic. 1374 in Carte , IV, doc. 41, p. 97); mentre in occasione di un’inchiesta condotta dal commissario duca- le sabaudo in Biella nel 1452, il comune porterà dei testimoni per provare “quod pre-

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mento era fatta a nome di Galeazzo 54 . Di fronte alle rimostranze degli ufficiali vescovili i funzionari viscontei non solo rifiutano di dare copia del mandato come i primi avevano chiesto, ma “post modicum tempo- ris spacium inceperunt incolas et habitatores eosdem ad solutionem summe huiusmodi aspere et rigide coartare”, forse estendendo la richie- sta di pagamento agli ecclesiastici e al clero vercellese. L’ultimo tenta- tivo degli ufficiali vescovili di risolvere la controversia sul piano for- male - mostrando lettere di Galeazzo in cui si ordinava al podestà di Vercelli di non introdurre novità nelle terre della chiesa - non va a buon fine, perché i funzionari viscontei di fronte all’ennesima resistenza pas- sano alle maniere forti imprigionando “quosdam probos viros subditos primo et deinde certos familiares episcopi”; ne risulta uno scontro vio- lento in cui trovano la morte tre ufficiali viscontei. La lettera del papa termina ricordando a Galeazzo che a nessun laico è concesso imporre oneri a qualunque titolo agli ecclesiastici, senza una precisa autorizza- zione papale, e invitandolo a restituire alla chiesa il castrum di Biella, che egli sostiene di possedere “suo nomine” 55 . E’ evidente che nono- stante il continuo supporto papale la possibilità per la chiesa vercellese di percepire le proprie entrate si era fatta difficoltosa, e non solo per la guerra: sempre di più gli ufficiali vescovili si trovano ad affrontare la

dictus locus Bugella […] jam longo tempore lapso fuit subiectus et submissus domina- tioni et dominio prelibati Ill. d. Galeaz Vice Comitis Mediolani, sub eiusque dominio ipse locus quo ad merum mixtum imperium, signoriam et altam et bassam jurisditionem subfuit et stetit certo tempore”: la maggioranza dei testimoni metterà l’accento proprio sugli ufficiali viscontei posti a reggere il luogo per conto di Galeazzo (“vidit quod d. Galeaz Vicecomes erat dominus dicti loci Bugelle et faciebat ipsum locum gubernari et regi per eius officiales”). Dopo il de Caymis , sono documentati i seguenti podestà di nomina viscontea: Ludovico Crivelli di Milano nel 1357 (in Prestiti , doc. 238, p. 134), Egidio de Carexandis di Bologna nel 1359 (in Carte , II, p. 371, doc. 382, e ASB, Dal Pozzo della Cisterna, Estranei, m. 5, f. 2), d. Paxolus de Gatonibus di Milano nel 1362 (in Prestiti , doc. 240), Tommasino de Gazzolis nel 1364 (in ASB, Ferrero della Marmora, Economico feudale, b. 76, f. 9, fo. 10r), Castellolius de Caxinis di Milano nel 1369 ( Prestiti , doc. 246). 54 Innocent VI. Lettres secrètes , n. 1381. 55 Lo stesso giorno il papa invia anche ai dirigenti del comune di Vercelli una lette- ra perché si impegnino “pro conservatione ac defensione jurium episcopi et ecclesie pre- dictorum quibus temporaliter et spiritualiter subjecti estis pro reverentia divine majesta- tis et nostra et pro conservatione fidei quam episcopo et ecclesie debetis” ( Innocent VI. Lettres secrètes , n. 1382), e il 24 febbraio lo stesso concetto è ribadito a Matteo, Bernabò e Galeazzo Visconti ( Innocent VI. Lettres secrètes , n. 1401).

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concorrenza, sulle terre della chiesa, degli agguerriti funzionari viscon- tei, poco inclini a riflettere su fini questioni di giurisdizione e di diritto ecclesiastico. In questi stessi anni cominciano a crearsi le premesse per la nascita di una lega antiviscontea promossa con forza dal marchese di Monferrato. Già nel 1355 sono attestate nella diocesi scorrerie di solda- ti al servizio del Paleologo, mentre l’anno successivo Vercelli è posta sotto assedio da Ugolino marchese di Mantova, e il vescovo Giovanni assolda una compagnia di ventura per 300 genovini d’oro 56 . Il pieno coinvolgimento del Fieschi nella guerra fra Visconti e Monferrato, però, avviene solo negli anni Sessanta. Il decennio si inaugura nel ‘61 con una paurosa epidemia di peste, il cui impatto in Piemonte è forse addirittura superiore a quello della Peste Nera del 1348-49 57 , mentre nel ‘62 si apre il contrasto fra i Visconti e la lega promossa dal Paleologo. In questa situazione, per la chiesa è sempre più difficile mantenere il controllo dei propri castelli: nel settembre del 1363 papa Urbano V incarica Marco di Viterbo, generale dei Frati Minori, di intavolare le trattative per una tre- gua e, per quanto riguarda la chiesa vercellese, ottenere la restituzione “certorum castrorum, ad ecclesiam Vercellensem spectantium, occasio- ne guerrae inter Johannem, marchionem Montisferrati, et Galeatium de Vicecomitibus occupati” 58 . Nel dicembre del 1364 il legato sembra aver raggiunto il primo dei suoi obiettivi, la tregua fra il marchese di Monferrato e i Visconti, ma è ben lontano dal raggiungere il secondo, visto che in questo momento i due contendenti sembrano aver trovato un’intesa anche e soprattutto nello spartirsi i castra della chiesa. Galeazzo Visconti, a dire del vesco- vo di Vercelli “nullam habens causam rationabilem”, ha assediato il castello di Masserano, arrestando il fratello del vescovo, Nicola Fieschi,

56 Si tratta della compagnia di Girardo del Ferrono, il contratto è steso il 9 marzo del 1356: cfr. AST, Miscellanea A, b. 17, protocollo del notaio Giacomo Meglino del 1356, f. 21v. Ringrazio il prof. Rinaldo Comba per la segnalazione. 57 Cfr. sotto, n. 92. 58 Urbain V. Lettres secrètes , nn. 638 e 639. L’8 febbraio del 1363 lo stesso papa aveva scritto all’abate di S. Giusto di Susa perché operasse al fine di far cessare le discordie fra il Fieschi, il marchese di Monferrato e Galeazzo, impedendo al vescovo di intromettersi, e di recuperare le terre della chiesa indebitamente occupate: C. DIONISOTTI , Storia di Vercelli , Vercelli 1974 (ed. or. 1861), p. 245.

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che lo teneva per conto della chiesa, e messo a ferro e fuoco la villa 59 . Altrettanto ingiustificato, secondo Giovanni Fieschi, il comportamento del marchese di Monferrato, che ha mosso guerra alla chiesa vercellese, occupando Saluggia e assediando Verrua 60 . La restituzione dei castelli alla chiesa è una delle condizioni poste da Urbano V per la stipulazione della pace, condizione che i due conten- denti, e in particolare Galeazzo, non intendono accettare 61 . Sia il papa sia il Visconti, tuttavia, preferiscono in questa fase non giungere a una rottura definitiva. Galeazzo, di fronte alle insistenze papali, dichiara ad un certo punto di essere disposto a restituire i castra , e quindi a conclu- dere la pace, ma solo a condizione che il vescovo Giovanni - che, come riassume il papa riprendendo le parole del Visconti, “tibi nimis erat infe- stus, et quod causa guerre quam cum ipso habes episcopo potius est per- sone quam ecclesie” - venga rimosso dalla cattedra vescovile. La rispo- sta di Urbano V, il 4 marzo 1365, è sostanzialmente un rifiuto, ma for- mulato in modo volutamente ambiguo: sia che le ritorsioni del Visconti e del Paleologo avessero in realtà una qualche “causam rationabilem”, sia che la degenerazione dei rapporti fra Giovanni Fieschi e Galeazzo fosse tale da pregiudicare agli occhi del papa ciò che più gli stava a cuore in questo momento, vale a dire la pace nel Vercellese e la restitu- zione dei castelli alla chiesa, Urbano V lascia intendere a Galeazzo di comprendere la sua avversione per il vescovo vercellese, e di non esse- re quindi contrario al suo trasferimento, sempre che, consideratis suis meritis et generosa progenie , si riesca a trovare una sede alternativa ade- guata. D’altra parte, almeno a parole, Galeazzo era pronto a molto pur di togliersi di torno quel vescovo infestus , e sostituirlo con una persona a lui “non suspecta”: avrebbe in tal caso restituito alla chiesa non solo tutte le località conquistate durante la guerra, ma anche quelle, come Biella, che erano giunte in suo possesso in modo più ambiguo, come eredità dello zio Giovanni Visconti 62 .

59 Urbain V. Lettres secrètes , nn. 1413 (9 dicembre 1364), e 1467 (22 dicembre 1364); vedi anche lettere del 18 dicembre a Galeazzo, n. 1453, e 22 dicembre a Bernabò, n. 1462. 60 Per Verrua: cfr. Urbain V. Lettres secretes , n. 1466 (23 dicembre 1364); per Saluggia: ivi, n. 1848 (20 giugno 1365). 61 Urbain V. Lettres secretes , n. 1530 (30 gennaio 1365). 62 Urbain V. Lettres secretes , n. 1623 (4 marzo 1365): il papa specifica che la resti-

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Un mese più tardi, all’inizio di aprile 1365, nonostante il vescovo rimanga saldamente al suo posto, la situazione sembra sbloccarsi, e Galeazzo si dichiara disposto a ritirare i suoi armati dai castra e dalle terre della chiesa. È dalle trattative condotte in questo momento fra il papa, il vescovo e il Visconti che emerge un aspetto dell’espansione viscontea sulle terre ecclesiastiche finora lasciato in ombra dalle lettere papali: accanto a importanti castra come Masserano e Biella, occupati con la forza, vi era un ampio sostrato di centri minori che si erano dati, evidentemente senza opporre troppa resistenza, a Galeazzo, e che ades- so di fronte alla prospettiva di rientrare sotto la chiesa temevano le ritor- sioni del Fieschi. Il 9 aprile 1365 il papa scrive al vescovo che il Visconti è disposto a ritirarsi dalle terre della chiesa, a patto che Giovanni assicuri la completa remissione di tutte le pene e i banni “uni- versitatibus et singularibus personis quarundam tuarum terrarum seu villarum campestrium seu non fortium, que, se defendere ab ipsius Galeaz gentibus non valentes, eidem Galeaz oboedentiam prestite- runt” 63 . Quale che sia stata la risposta del vescovo, pare che il ritiro promes- so da Galeazzo non sia avvenuto se non in parte: l’8 maggio 1365 l’e- sercito del Visconti risulta ancora a Masserano, mentre due anni dopo, il 19 marzo del ‘67, Giovanni Fieschi ottiene facoltà di agire in giudizio contro i “nonnulli nobiles et potentes civitatis et diocesis Vercellensis ac partium vicinarum”, che ancora detengono illegittimamente beni della chiesa 64 . Fra questi c’è anche il marchese di Monferrato, che era anco- ra in possesso di Saluggia 65 , caso che pone problematiche opposte rispetto alle villae campestres in difesa delle quali si era posto Galeazzo: quando la località era stata occupata dal marchese, molti abitanti, “quam plures homines, tam nobiles quam rustici”, si erano trasferiti su altra terra della chiesa, e il castellano marchionale aveva impedito loro di percepire i redditi sulle terre di loro proprietà situate nel territorio di Saluggia, “in gravem ipsorum episcopi et ecclesiae offensam et homi-

tuzione dei castelli riguarda “omnia castra… tam per te in guerra huiusmodi occupata de novo quam illa que ab antiquo tenuisti tempore, prout tenes”. 63 Urbain V. Lettres secretes , n. 1687. 64 Urbain V. Lettres communes , to. VI, n. 19.700. 65 Saluggia è in mano al marchese fino al luglio 1373: Grégoire XI. Lettres secrètes , n. 2002.

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num predictorum non modicum detrimentum” 66 . Di fronte all’offensiva dei Visconti e dei Monferrato sulle terre della chiesa, insomma, le comunità e le famiglie nobili avevano reagito in modo vario e articola- to, ma con effetti simili sulla finanza vescovile: anche quando, come nel caso di Saluggia, si erano mantenute sostanzialmente fedeli al vescovo, quest’ultimo ne aveva risentito sul piano economico. L’imperversare della guerra e degli impegni militari rendeva oltremodo urgente per Giovanni Fieschi la questione fiscale: nel 1370 il vescovo lancia l’in- terdetto su Biella e Vernato, perché il ceto dirigente del luogo si era rifiutato di prestargli aiuto per l’esazione dei fitti, censi e redditi della chiesa 67 . Negli anni Settanta l’impegno militare di Giovanni non accenna a diminuire e anzi coinvolge nuovi fronti: fino alla metà del decennio è un susseguirsi di attività del vescovo alla guida dei suoi armati, non solo in area vercellese ma anche in Liguria, zona d’origine della famiglia. A partire dall’autunno del 1371 un nuovo obiettivo, la conquista della città di Genova, sembra accomunare il Fieschi e Galeazzo 68 - i cui rapporti avevano continuato a mantenersi pessimi almeno fino al marzo dello stesso anno 69 -, e parallelamente riprendono le ostilità fra il vescovo e il marchese di Monferrato 70 . Proprio quest’ultimo, nei mesi successivi, è responsabile dell’occupazione di altri due castra della chiesa, Palazzolo e Marcorengo 71 . Nell’agosto 1372 si concretizza la nuova lega antivi- scontea composta da papa, Savoia e Monferrato, in cui entra a far parte anche il vescovo Giovanni. Il Fieschi però, indisponendo non poco papa

66 Urbain V. Lettres secrètes , n. 1848. 67 Carte , II, doc. 402. 68 Dal novembre di quell’anno si succedono le lettere papali che invitano Giovanni Fieschi ad astenersi “ab adhaesione indevotorum ecclesie pro impugnando civitatem Januensem”: cfr. Grégoire XI. Lettres secrètes , nn. 402, 405, vedi anche ivi, nn. 480- 489. Diverse lettere del novembre-dicembre 1371 cercano di indurre la pace fra il vesco- vo Fieschi e altri componenti della famiglia e la città di Genova: ivi, nn. 402, 403, 404 (12 novembre), 460 (13 dicembre). 69 Grégoire XI. Lettres secrètes , n. 129 (22 marzo 1371). 70 Il papa scrive al vescovo affinché si astenga “de molestationibus illatis vassallis, gentibus et subditis Joannis, marchionis Montisferrati” ( Grégoire XI. Lettres secrètes , n. 388, 7 novembre 1371). 71 Grégoire XI. Lettres secrètes , n. 970.

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Gregorio XI 72 , coglie subito l’occasione per riaprire le ostilità con la città di Genova, offrendo un ulteriore esempio, dopo la precedente alleanza con il Visconti, della spregiudicatezza con cui questo vescovo sceglieva e perseguiva i propri obiettivi. Nella primavera del 1373 il papa e i suoi incaricati, nel tentativo di coordinare e ricompattare le forze guelfe in vista della conquista di Vercelli, contattano diverse comunità e famiglie della diocesi, esortan- dole a sostenere il vescovo Giovanni - è il caso degli Avogadro 73 - o a riappacificarsi con lui: veniamo così a conoscenza che oltre a Biella, anche S. Germano e Santhià si erano schierate negli anni passati con il Visconti 74 . Nel luglio dello stesso anno i castra della chiesa, o almeno una loro parte, sono apparentemente recuperati, ma a stabilirne i nuovi reggitori è Giovanni de Senis , collaboratore del papa, in accordo in parte con il conte di Savoia, ad esempio per Santhià e il castrum de Burgo , e in parte con il marchese di Monferrato (Alice, Areglio e Saluggia) 75 . Con “recupero” dei castra e dei loca della chiesa, in questa fase, si intende evidentemente il fatto che queste località sono state tolte ai Visconti, non che siano tornate nella disponibilità del Fieschi. Questa cautela aveva probabilmente una prima ragion d’essere - dato che la guerra con i Visconti non era ancora conclusa - nell’esigenza di mante- nere compatto il fronte delle forze guelfe, anche a costo di lasciare che gli alleati più potenti si avvantaggiassero ai danni della chiesa. Nel caso del conte di Savoia, una prima serie di dedizioni nel febbraio-marzo del 1373 76 - fra cui ad esempio Santhià - aveva cominciato a porre le basi di questo sviluppo: solo più avanti papa Gregorio XI interverrà per arre-

72 Il 10 ottobre 1372 papa Gregorio XI scrive al vescovo Giovanni di non turbare, verbo aut facto , l’animo dei genovesi, dicendo loro che “cum gentibus Ecclesie Romane, quas contra hostes ipsius ecclesiae habet, invaderet territorium januense”: Grégoire XI. Lettres secrètes , n. 1085. 73 Grégoire XI. Lettres secrètes , n. 1756 (5 maggio 1373). Dopo la politica conci- liante di Emanuele Fieschi i rapporti fra il successore e gli Avogadro erano nuovamen- te degenerati: Giovanni toglie l’avvocazia ai Collobiano, ai Casanova e ai Cerrione, che infatti a differenza degli altri rami non figurano investiti nel libro delle investiture del 1349-50, e solo con la fine della guerra sarà costretto dal papa a rivedere la sua deci- sione ( Grégoire XI. Lettres secrètes , n. 3428). 74 Grégoire XI. Lettres secrètes , nn. 1679, 1921-23. 75 Grégoire XI. Lettres secrètes , nn. 2001-2. 76 Cfr. il saggio di A. Barbero in questo stesso volume, nn. 109-116.

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stare, in attesa che finisca la guerra, il flusso di sottomissioni ad Amedeo VI 77 . Nell’ottobre del 1373 le forze della lega entrano in Vercelli, ma le operazioni militari continueranno ancora a lungo nel tentativo di espu- gnare la cittadella, ancora in mano ai Visconti. Il 1374 e il 1375, gli ulti- mi anni di guerra, sono di grande difficoltà per il vescovo Giovanni, rientrato in possesso - un possesso che la prosecuzione delle operazioni di guerra rende per il momento provvisorio e del tutto formale - di una diocesi devastata dalla guerra e oppressa dalla carestia, mentre le forze viscontee continuano a stazionare nei dintorni aspettando l’occasione di riconquistare la città. Fra il giugno e l’agosto del 1374 Vercelli è messa sotto assedio da Bernabò e Galeazzo 78 , e il vescovo si trova in grande difficoltà finanziaria. Il contributo in personis et pecuniis auspicato dal papa dai centri con cui il Fieschi si è da poco riconciliato, Santhià e Biella 79 , se mai fornito, è comunque insufficiente, e il papa finisce per concedergli i proventi del luogo di S. Germano che spettavano all’aba- te di S. Andrea di Vercelli, rimosso per la sua adesione a Galeazzo 80 , mentre nel contempo si rivolge a vari interlocutori, fra cui il conte di Savoia, chiedendo di fornire grano al Fieschi 81 . Simili trattative continuano freneticamente fino all’estate del 1375, ma pur in una situazione tanto difficile il vescovo non rinuncia alle mire sulla città di Genova: nei primi giorni di dicembre del 1374 lo si ritrova nuovamente nei pressi della città con tanto di armati al seguito, e il papa è costretto a ordinargli di recedere dai suoi intenti, considerati i danni

77 Lettera del 2 maggio 1375 ad Amedeo conte di Savoia perché “casu quo ille ali- qua loca velit hostium ecclesiae obsidere, licet homines locorum forsan affectare sub dominio dictis comitis permanere nolis ipsa recipere, maxime cum nostrae intencionis existat tibi similiter in casu simili per dictum episcopum facere observari” ( Grégoire XI. Lettres secrètes relatives a la France , n. 3681). 78 Grégoire XI. Lettres secrètes , nn. 2724-5 e 3462. 79 Grégoire XI. Lettres secrètes , n. 2401. 80 Grégoire XI. Lettres secrètes , n. 2717; più avanti i beni dei ribelli saranno utiliz- zati per assicurare alla causa della chiesa nuovi aderenti, ai quali si promette “bona immobilia, possessiones, jurisdictiones, feuda, redditus, et alia quocumque nomine nun- cupentur et cujuscumque valoris que fuerunt confiscata rebellibus et excititiis civitatis vercellensis vel comitatus”: cfr. ivi, n. 2918. 81 Grégoire XI. Lettres secrètes relatives a la France, nn. 3440, 3489, 3493, 3498, 3652.

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che ne deriverebbero per le trattative in corso nell’area lombarda per la fine della guerra 82 . Nella tarda primavera del 1375 la guerra si avvia effettivamente al termine: nel maggio del 1375 il papa affida al Fieschi il governo della città di Vercellie nei mesi successivi si approda ad una tregua di un anno, fino al 4 giugno 1376 83 . Con la pace siglata il 19 luglio 1376 si conclude ufficialmente la guerra tra la lega e i Visconti 84 . Il nodo più difficile affrontato durante i negoziati riguarda proprio il destino dei territori su cui la chiesa eusebiana esercita la propria signo- ria, o comunque rivendica il diritto di esercitarla. Il vescovo, infatti, coglie quest’occasione per attribuirsi la giurisdizione non solo su Biella e Santhià, ma anche su Vercelli. Con l’armistizio il legato pontificio era stato incaricato di decidere l’attribuzione di questi e di altri centri con- tesi, e la sentenza è preceduta da un’approfondita indagine tesa a verifi- care chi fosse il legittimo detentore della giurisdizione su di essi. Per Santhià e Biella si arriva ad una risoluzione certa in tempo per la stesu- ra della pace: esse appartengono al temporale della chiesa vercellese e come tali vengono restituite al vescovo. L’attribuzione definitiva di Vercelli, invece, è prorogata ad un anno dopo la pubblicazione della pace, per lasciare tempo al vescovo di dimostrare i suoi diritti sulla città: in caso ci riesca Vercelli tornerà comunque nelle mani dei Visconti, ma questi la terranno dietro investitura vescovile, e pagando un censo annuo stabilito dallo stesso legato 85 . Le fortune del Fieschi, tuttavia, precipitano subito dopo drammati- camente. Nel 1377 esplode infatti una nuova e decisiva ribellione con- tro la signoria episcopale, di cui non sono ancora ben noti i confini, ma

82 Grégoire XI. Lettres secrètes , n. 3024. 83 Grégoire XI. Lettres secrètes , n. 3306, e lettera al popolo della città di Vercelli per- ché obbedisca al vescovo Fieschi e ai suoi ufficiali, n. 3307; per la tregua: ivi, n. 3385. 84 AST, Materie politiche, Trattati diversi, m. 1, doc. 33. 85 La pace specifica nei minimi particolari l’iter da seguire nell’anno di proroga: entro tre mesi dalla pubblicazione il cardinale dovrà prendere sotto la sua custodia Vercelli e le terre della diocesi ad essa collegate che al tempo della guerra erano sotto Galeazzo. Se non potrà governarle personalmente entro i due mesi successivi deve nominare al suo posto un uomo di provata fede; l’incarico del governatore temporaneo durerà un anno, trascorso il quale Vercelli e le terre ad essa collegate (fatta eccezione per Biella e Santhià che appartengono alla chiesa) torneranno definitivamente ad Azzone, figlio di Gian Galeazzo Visconti. Entro tale data, inoltre, si stabilisce che le due parti cit- tadine degli Avogadro e dei Tizzoni dovranno essere pacificate.

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che coinvolge alcuni dei principali centri come Andorno, Masserano e soprattutto Biella. In quest’ultima località la rivolta culmina con l’im- prigionamento del vescovo e il saccheggio del castello episcopale, cui farà seguito la dedizione della città al conte di Savoia 86 . Dopo questa vicenda Giovanni Fieschi si trasferirà a Roma, nomina- to cardinale da Urbano VI il 18 settembre 1378 nell’ambito del proces- so di rinnovamento del collegio cardinalizio promosso da questo papa 87 , anche se ciò non significherà un suo totale estraniamento dalle vicende della diocesi vercellese: l’11 novembre 1380 - “ut fideles dicte ecclesie nunquam possint dicere sese derelictos fore ab eorum domino” - lo ritro- viamo nuovamente in alta Italia, intento a scrivere una lettera indirizza- ta agli uomini e al comune di Verrua, lettera che esordisce significativa- mente con le parole “circa recuperantiam terrarum et locorum nostre ecclesie Vercellensis”. Le complicazioni dello scisma rendono difficile offrire informazioni precise sulla fine del suo episcopato. Fin dal 1379, mentre il Fieschi è ancora in vita, è infatti attestato quale vescovo di Vercelli anche Giacomo Cavalli, nominato dall’antipapa Clemente VII. L’indizio più determinante della morte di Giovanni è la nomina da parte di papa Urbano VI a vescovo di Vercelli - sempre ancora attivo il Cavalli - di un suo parente, Ludovico Fieschi, il 20 giugno 1383 88 .

c) Le cause per il recupero dei redditi e le loro ripercussioni documentarie

E’ su questo sfondo tormentato che va valutato lo sforzo del vesco- vo Giovanni di impegnarsi anche per via giudiziaria nel recupero dei

86 L’interrogatorio dei biellesi coinvolti nella vicenda, su registro cartaceo dal titolo “Liber bonorum robatorum in castro de Flischo”, è edito in Carte , II, doc. 424, pp. 461- 535, e si trova in ASB, Comune, s. I, b. 9, f. 22. All’epoca risulta podestà di Biella Pietro di Loranzé dei conti di S. Martino, mentre un doc. del 1378 attesta Ibleto di Challant capitano “ville et terre Bugelle”: cfr. Prestiti , docc. 248 e 250. 87 Sulla politica di Urbano VI, tesa a promuovere un profondo rinnovamento del col- legio cardinalizio, vedi il saggio, in fase di pubblicazione, di F. C ENGARLE , I Visconti, signori di Milano, e lo scisma , relazione tenuta al convegno Avignon/Rome, la Papauté et le Grand Schisme. Langages politiques, impacts institutionnels, ripostes sociales et culturelles (13 – 15 novembre 2008) . 88 Cfr. sopra, n. 48, nonché F ERRARIS , La pieve di S. Maria di Biandrate cit., p. 292 n. 11. L’atto del 1380 è in AST, Protocolli Camerali, n. 405, f. 154r.

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redditi della chiesa 89 , proseguendo con particolare energia gli interventi già avviati dai suoi predecessori. Nel marzo del 1349 il vescovo vieta la vendita di beni ai forestieri a Chiavazza: le sempre più frequenti aliena- zioni di terre a individui che non risiedevano nel luogo “cum tota sua familia fovendo larem” rendevano sempre più difficile la percezione dei fodri e degli altri oneri. Le motivazioni addotte per giustificare il prov- vedimento svelano inoltre che questo problema non riguardava solo la località di Chiavazza: a causa di queste acquisizioni nei luoghi apparte- nenti al vescovo e alla chiesa eusebiana “confunduntur limites suarum terrarum” 90 . Sotto il suo episcopato si apre inoltre tutta una serie di cause: con gli abitanti di Villareggia per i mulini, con il comune di Biella per le gabelle, con la comunità di Trino per le decime, perfino con il clero vercellese e il suo stesso capitolo, protagonisti di una decisa e alla fine vittoriosa resistenza di fronte al tentativo vescovile di sottoporli a tassazione in base all’estimo 91 .

89 A margine è interessante notare che contemporaneamente a quanto accade in ambito vescovile anche il capitolo, fra il 1351 e il 1353, sotto la guida di canonici par- ticolarmente attivi come Alcherio di Montiglio e Ludovico di Castellengo, al contempo vicari vescovili, provvede a ridefinire alcune situazioni patrimoniali poco chiare in alcu- ne località della diocesi; la principale sembra essere quella che coinvolge il comune di Masserano, responsabile del mancato pagamento di alcuni redditi (cfr. ACV, cart. 42 e 43). 90 ASB, Chiavazza, b. 224, doc. del 16 marzo 1349: “attendens quod per acquisitio- nes terrarum et possessionum quas sepius faciunt extranei et forenses in locis suis quo- rum non sunt habitatores nec incole fodra et alia onera ab ipso domino episcopo impo- nenda pro ipsis terris acquisitis difficilius exiguntur ab ipsis forensibus quam ab habita- toribus eorundem, et quod propter huiusmodi acquisitiones alienationes et contractus terrarum et villarum ipsius domini episcopi et ecclesie Vercellensis confunduntur limi- tes suarum terrarum, pro evidenti comodo et utilitate sua episcopii et ecclesie Vercellensis et eciam pro utilitate suorum comunis et hominum Clavatie diligenti et matura deliberatione premissa tenore huius publici instrumenti statuit voluit precepit et decrevit que ab hodie in antea vigore presentis statuti sive huiusmodi publici instrumenti nulla persona undecumque sit et cuiuscumque conditionis sit preterquam de Clavatia et habitans in Clavatia in ipso loco Clavatie cum tota sua familia fovendo larem possit debeat aut presumat publice nec occulte emere quovis titulo nec acquirere in loco curte et territorio Clavatie ab aliquo de ipso loco Clavatie comuniter vel divisim terras pos- sessiones seu iura aliqua immobilia”. 91 Delle contese per i mulini con gli abitanti di Villareggia nel 1366 e per le decime con la comunità di Trino nel 1367 rimangono solo testimonianze indirette: i regesti sul- l’inventario, edito, fatto compilare a fine Cinquecento da Mons. Bonomi fanno riferi- mento a documenti oggi non più presenti in archivio (A RNOLDI , Carte dell’archivio arci-

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Una in particolare fra queste cause sarà determinante per i destini del vescovo, ed è quella che accompagna lo scontro feroce e prolungato con il comune di Biella, accusato di gestire illegittimamente la gabella del sale e il dazio del vino, e al contempo di ostacolare il vescovo nel suo diritto di succedere a chi moriva senza legittimi eredi: diritto la cui rivendicazione, in epoca di peste e quindi di forte incremento nel nume- ro di decessi, si rivelava particolarmente utile e redditizia 92 . La volontà

vescovile , doc. 95, pp. 393-452, a p. 412-13 n. 1 per Villareggia, p. 434 n. 178 per Trino). L’ultima causa si prolunga molto, tanto che nel 1374 la comunità si risolve a cer- care sostegno, con successo, presso la curia papale: cfr. Grégoire XI. Lettres secrètes , n. 2822 (dalla lettera del 9 agosto 1374 sembra che il vescovo fosse in causa per le stesse ragioni con altre due comunità della zona, Livorno Ferraris e Bianzé). La causa con i canonici, cominciata probabilmente già nell’ottobre del 1349 e conclusasi nel 1352, si trova in ACV, in parte fra gli atti vescovili, cart. 22 (docc. del 2 maggio e 14 maggio 1352 e del 27 febbraio 1353); in parte fra gli atti privati, cart. 42 (docc. del 30 ottobre 1349 e del 30 maggio 1352). La causa con Biella, edita, comincia nel 1349 ed è quasi interamente contenuta in un rotolo di pergamena che riporta le diverse fasi della dispu- ta e i documenti citati a sostegno dall’una e dall’altra parte, in ASB, comune, s. I, b. 7, f. 2, edito in Carte , II, doc. 286 (vedi anche ASB, Raccolta Torrione, b. 17, f. 14). 92 Due sono le principali epidemie di peste attestate nel Vercellese. La prima nel 1349: nel settembre di quell’anno il comune di Milano vieta agli abitanti della diocesi vercellese, come a quelli di Brescia, Como, della diocesi di Bergamo, della Valcamonica e della Valtellina di recarsi a Milano ( Carte , II, doc. 306; vedi anche ivi, docc. 294 e 305). La seconda ondata è del 1361, probabilmente ancora più intensa della prima: cfr. A. B ARBERO , Una fonte per la demografia torinese del basso medioevo: l’elenco dei membri del consiglio di credenza , in «Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino», 87 (1989), pp. 221-233, sp. p. 232, e Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo. Regesti , a cura di A. C OPPO -M.C. F ERRARI , Vercelli, 2003, doc. 345, p. 137. Il diritto di succede- re ai morti senza legittimi eredi era già stato rivendicato dai due predecessori di Giovanni, Lombardo della Torre ed Emanuele Fieschi, ma in entrambi i casi i vescovi avevano rinunciato ad esercitarlo accettando un compromesso con il comune di Biella, che si impegnava a versare una somma pari a 2000 fiorini (per il primo vedi doc. del 19 maggio 1340 in Carte , II, doc. 241, per Emanuele vedi doc. del 2 luglio 1348 in Carte , II, doc. 282). Nel Trecento l’esercizio di questo diritto e la conseguente dura reazione delle comunità sembra essere un leit motiv anche in ambito laico: per restare nel Vercellese, nel 1344 si apre una causa su questa questione fra i Bulgaro e il comune di Trivero (cfr. ASB, Bulgaro, m. 4, doc. 46 del 26 marzo 1344), mentre gli studi di Alessandro Barbero sul tuchinaggio mostrano che anche nel Canavese le rivolte antino- biliari della seconda metà del XIV secolo hanno fra i principali obiettivi proprio la libertà dallo ius successionis : cfr. A. B ARBERO , La rivolta come strumento politico delle comunità rurali: il Tuchinaggio nel Canavese (1386-1391) , in Linguaggi politici nell’Italia del Rinascimento , a cura di A. G AMBERINI e G. P ETRALIA , Roma 2007, pp. 245-266, e I D., Una rivolta nobiliare nel Piemonte trecentesco: il Tuchinaggio del

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di rivendicare ad ogni costo le successioni è sicuramente uno dei fatto- ri che più hanno pesato nel generalizzarsi del malcontento nei confron- ti del Fieschi: infatti, e per il contesto critico in cui avveniva il prelievo e per il coinvolgimento indiscriminato di tutte le fasce sociali, le rica- dute erano certamente più pesanti in questo caso rispetto a quelle indot- te dalle pretese vescovili sulle gabelle 93 . L’analisi di uno dei due libri di investiture redatti durante l’episco- pato di Giovanni, che coincide con una delle due più intense epidemie di peste attestate nell’area, spiega bene d’altra parte la pervicacia dimo- strata dal vescovo nel perseguire questo recupero 94 . Il volume, relativo

Canavese , in Rivolte urbane e rivolte contadine nell’Europa del Trecento. Un confronto , a cura di M. B OURIN , G. C HERUBINI , G. P INTO , Firenze 2008, pp. 153-196, in part. p. 170. 93 La percezione estremamente negativa dell’esercizio del diritto di succedere ai morti ab intestato , sentito come un autentico abuso, emerge costantemente dalle fonti: già al tempo del vescovo Lombardo, protagonista di un primo tentativo in questo senso, il comune sostiene che il diritto di successione “est res dubia […] et res quam plurimum odiossa”, e il suo esercizio ha l’unico effetto di spingere i familiari superstiti a nascon- dere i beni dei defunti (“superstites decedentium et iacentium bona celant, secrete reti- nent et ocultant, ipsi etiam decedentes omni conscientia et iuramentis pospositis modis omnibus quibus possunt”, cfr. Carte , II, doc. 238, p. 73); gli echi di questa concezione si ritrovano non solo durante la pluridecennale causa del Fieschi con Biella, quando la comunità non si limita più a una semplice resistenza passiva (cfr. sopra, n. 51), ma anche, ad esempio, nei patti conclusi fra i Fieschi e la comunità di Masserano nel 1378, al termine della ribellione di quest’ultima: la prima condizione posta dalla comunità è proprio “quod domini non possint aprehendere nec tenere hereditates”. Cfr. Instrumenta conventionum sequta inter illustrissimos dominos de Flisco dominos Messerani ac comunitatem et homines eiusdem , Varallo 1698, p. 9 (in AST, Paesi per A e B, Masserano, m. 5); vedi anche, sempre per il rilievo dato alla questione delle successio- ni, l’accordo fra vescovo Fieschi e comune di Biella del 21 gennaio 1373 ( Carte , IV, doc. 39, p. 89). 94 Durante l’episcopato di Giovanni vengono redatti due libri di investiture. Il primo contiene documenti che vanno dal marzo del 1349 al dicembre del 1351, e riguarda le investiture feudali, cioè le investiture dei beni e diritti che le comunità e le famiglie nobili della diocesi detengono dal vescovo. Il volume si trova in AAV, Investiture, m. 1, ed è parzialmente edito in A RNOLDI , Investiture : l’edizione infatti manca di 46 investi- ture solo recentemente ritrovate e reintegrate nel volume, e di altre 11 che risultano tut- tora irreperibili ma la cui esistenza è testimoniata dall’indice posto all’inizio del volu- me (cfr. l’analisi del documento condotta da Giuseppe Ferraris in Borghi e borghi fran- chi quali elementi perturbatori delle pievi , in Vercelli nel secolo XIII . Atti del primo con- gresso storico vercellese, Vercelli 1984, pp. 139-202, alle pp. 171-73). Il secondo libro delle investiture, che è quello che qui ci interessa, è inedito e contiene documenti dal 3 novembre 1358 al 12 luglio 1363 (in AAV, Investiture, m. 2). Riguarda le cosiddette

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agli anni 1358-63, denuncia sin dal titolo - Liber investiturarum rura- lium et successionum 95 - la sua attinenza con la questione che stiamo trattando, e basta scorrere la lunga serie di investiture ivi contenuta - parliamo di oltre duecento atti - per rendersi conto che buona parte delle terre nominate sono confluite nelle mani del vescovo in seguito alla morte “sine liberis” di qualche individuo, e ora si provvede a ricollo- carle con i vantaggi che possiamo immaginare in termini di possibilità di rafforzare vecchi rapporti o stringerne di nuovi 96 . Spicca, a fronte delle tante località della diocesi nominate nel Liber 97 , la quasi totale assenza di investiture relative a biellesi, sia nel ruolo di proprietari o destinatari di eredità confluite nelle mani del vescovo per l’esercizio del diritto di successione ab intestato , sia come individui che, entrati in possesso di terre ecclesiastiche per le vie più tra- dizionali come acquisto o dote, richiedono l’investitura vescovile neces- saria a legittimare la transazione. Dal momento che fonti coeve attesta-

investiture rurali - instrumenta investiturarum ruralium , recitano le intestazioni dei vari registri che lo compongono -, cioè le investiture di individui che sono entrati in posses- so a vario titolo di terre ecclesiastiche, e che ora provvedono a regolarizzare la situa- zione facendosi concedere la relativa investitura. La puntuale registrazione delle infor- mazioni relative al passaggio della proprietà terriera - se avvenuto in seguito ad acqui- sto, dote o altra modalità, l’eventuale somma versata dall’acquirente e il nome del pre- cedente detentore - ne fa una sorta di vero e proprio libro delle mutazioni. 95 La centralità assunta in quel torno d’anni dall’esercizio del diritto di successione si misura anche dal semplice confronto con il titolo del volume di investiture rurali redatto sotto il predecessore di Giovanni, Emanuele Fieschi, una decina d’anni addietro (1346), e quindi prima che la peste facesse la sua comparsa nel Vercellese con la gran- de epidemia del ‘48: quest’ultimo, per il resto del tutto identico al nostro liber nella forma e nella struttura, si differenzia proprio per l’assenza nel titolo - Protocollum inve- stiturarum ruralium - di qualunque riferimento alle successioni (cfr. sopra, testo in corr. della n. 35). 96 L’occasionale sopravvivenza nell’archivio del vescovo di consegnamenti, in forma di estratto o meno, relativi agli anni dell’episcopato del Fieschi fa inoltre pensa- re alla volontà di aggiornare frequentemente le informazioni sugli affittuari e le entrate che ci si poteva aspettare. Cfr. estratti di consegnamenti di Biella, 1351 e 1353, in AAV, Biella, cart. 1, doc. 13, e 1355 in AST, Paesi per A e B, Biella, m. 16, f. 1, e consegna- mento di Sordevolo, 1368, in AAV, Diversorum , m. 3, doc. 53. 97 Andorno, Asigliano, Bioglio, Camburzano, Chiavazza, Cigliano, Crevacuore, Curino, Flecchia, Graglia, Masserano, Mortigliengo, Mosso, Muzzano, Occhieppo, Pettinengo, Pollone, Saluggia, Sordevolo. In particolare sono i comuni dell’area nord- orientale della diocesi (Masserano, Bioglio, Crevacuore) a presentare il più alto nume- ro di eredità requisite dal vescovo.

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no una forte presenza fondiaria del vescovo a Biella, con un consisten- te numero di biellesi che annoverano fra le loro proprietà terre ecclesia- stiche 98 , si può giustificare la loro assenza dal libro delle investiture rurali supponendo da una parte che un’efficace resistenza abbia limita- to, a Biella, il numero dei casi in cui il vescovo è riuscito con successo ad esercitare lo ius successionis 99 ; dall’altra che il presule, data la ribel- lione dei biellesi nei suoi confronti, abbia deciso per ritorsione di non concedere loro l’investitura, evitando così di riconoscere ufficialmente il possesso di terre ecclesiastiche. Quest’ultima ipotesi si accorda con il fatto che anche il comune di Biella non risulta aver ricevuto regolare investitura dopo la nomina del vescovo - come invece accade per gli altri comuni soggetti alla signoria vescovile, puntualmente registrati negli atti di investitura degli anni 1349-51 -, e dovrà attendere per otte- nerla sino al gennaio del 1374 100 .

98 Parliamo degli estimi del comune di Biella: nell’archivio storico cittadino sono conservati 33 registri anteriori al 1500, ognuno relativo ad uno degli otto quartieri citta- dini in cui era articolata la città. Le consegne, in particolare quelle relative ad abitanti dei quartieri di S. Paolo e S. Pietro, fanno spesso riferimento alle proprietà ecclesiasti- che per le quali il titolare versava al vescovo un canone annuo: cfr. quartiere S. Paolo in ASB, Comune, I, b. 8, doc. 295 del 1351; b. 304, doc. 7048 del 1382, e doc. 7042 s.d.; quartiere S. Pietro in ASB, Comune, s. I, b. 304, docc. 7040 e 7044, entrambi s.d.; quar- tiere S. Stefano in ASB, Comune, s. I, b. 304, doc. 7043, s.d. Su questa fonte vedi F. NEGRO , Prime ricerche sugli estimi del comune di Biella nel XIV e XV secolo , in «Bollettino Storico Vercellese», n. 62, 2004 (n.1), pp. 15-43. 99 La resistenza che i biellesi oppongono sin dall’inizio agli ufficiali vescovili è testi- moniata da un documento dell’11 maggio 1349, in cui il vicario Nicolò de Pigazano intima al console di Biella e alla comunità di non “impedire, molestare, impedimentum vel molestiam prestare” al procuratore vescovile incaricato di incamerare “hereditas, successio, seu bona hominum terre Bugelle decedencium sine liberis heredibus ex se descendentibus” ( Carte , II, doc. 286, p. 199). Un resoconto di come gli ufficiali del vescovo prendevano “corporalem possessionem” dei beni dei defunti, in questo caso puntigliosamente elencati al termine del documento, ivi, alle pp. 188-89, doc. del 10 maggio 1349. Allo stato attuale delle conoscenze questo è il solo documento rimastoci relativo alla presa di possesso dei beni per l’esercizio del diritto vescovile di successio- ne: non è quindi possibile stabilire se la redazione di un documento in tali occasioni fosse pratica consueta o piuttosto - dato che era in corso una causa giudiziaria fra comu- ne e vescovo - determinata dalla particolare criticità del momento (pochi mesi dopo, nel settembre del 1349, il vescovo sembra limitarsi ad ordinare la consegna dei beni del defunto, anche in questo caso elencati nel documento, al proprio castellano, cfr. ivi, doc. 307, p. 268). 100 Cfr. Carte , II, doc. 407, p. 402 (12 gennaio 1374).

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Ma la vicenda che riguarda il comune di Biella è soprattutto emble- matica di come all’epoca del Fieschi la possibilità di mettere in pratica un’efficace gestione economica della diocesi non sia più solo questione di rapporti fra il presule e la congerie di comunità famiglie enti a lui sog- getti, perché la congiuntura politica ha reso questi ultimi parte del gioco politico condotto a livello più generale per il controllo del territorio dio- cesano. Il conflitto con i Visconti non condiziona l’operato del vescovo soltanto nei momenti di scontro aperto; ma anche, in modo latente, nei periodi di pace, soprattutto nei primi anni del suo episcopato, quando Giovanni Visconti non è soltanto signore di Vercelli, ma anche arcive- scovo di Milano, e dunque superiore gerarchico del Fieschi. Nella pri- mavera del 1350 lo scontro fra il vescovo e Biella non è ancora giunto alla fase violenta, e il comune fa appello all’arcivescovo di Milano, che subito si schiera in modo inequivocabile dalla parte dei biellesi. Un’altra causa intentata dal vescovo, quella a carico dell’arcidiacono e dei cano- nici del capitolo di Vercelli, ha un andamento analogo: tentativo del Fieschi di imporre al clero vercellese il pagamento di una taglia, rifiuto categorico di quest’ultimo, e finalmente nel luglio del 1352 appello pre- sentato dai canonici alla curia arcivescovile di Milano. Risultato: anche in questo caso Giovanni Visconti condanna come totalmente illegittime le richieste vescovili, imponendo al vescovo la cessazione di ogni ini- ziativa contro i canonici 101 . Queste vicende sono un bell’esempio di un dato che dobbiamo tener presente quando valutiamo il successo o l’insuccesso di una signoria ecclesiastica: per il Trecento, epoca in cui si verifica la crisi di diverse signorie episcopali e appare spesso evidente la difficoltà di reazione dei loro titolari, può essere utile ricordare i legami gerarchici in cui questi ultimi si trovano coinvolti, un fattore in grado di condizionare profon- damente l’autonomia d’azione di un vescovo e di cui non si ha l’equi- valente nel caso dei concorrenti principati laici 102 .

101 Cfr. ACV, Atti vescovili, cart. 22, doc. 7 del 18 dicembre 1352; e per Biella sopra, n. 91. 102 Recentemente da più parti - dai lavori di Laura Baietto sui rapporti fra papato, vescovi e comuni (cfr. ad es. L. B AIETTO , Il papa e le città. Papato e comuni in Italia centro-settentrionale durante la prima metà del secolo XIII , Spoleto 2007), al workshop che si è tenuto a Pistoia sul tema Chiesa e comune. Secoli XII-XIV - si è sottolineato a partire dai secoli XII e XIII il ruolo sempre più presente del papato nelle questioni che

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Da notare, per concludere questo accenno alle cause, che di nessuna delle due sapremmo nulla, se dovessimo basarci esclusivamente sull’ar- chivio del vescovo. Si sa che gli archivi non sono luoghi neutri: i pro- prietari dei documenti conservano quanto serve ai loro scopi e quindi, quando si tratta di atti processuali, si tende comprensibilmente ad avere un occhio di riguardo per le cause vinte, e a sperare in un rapido oblio di quelle finite male. Non stupisce quindi che la causa con il comune di Biella, vinta da quest’ultimo, sia reperibile nell’archivio di questa città, mentre della causa con il capitolo c’è traccia solo nell’archivio capito- lare.

d) La produzione documentaria del vescovo Fieschi fra continuità e innovazione: il problema del Libellus feudorum

Sul tipo di rapporto che i vescovi intrattengono con la documenta- zione - sia quella di cui sono direttamente responsabili sia quella eredi- tata dai loro predecessori - influiscono non solo le necessità gestionali e amministrative della diocesi, ma anche pressanti esigenze di “autorap- presentazione delle Chiese vescovili in relazione alle situazioni politi- che locali”, per usare le parole di Maria Clara Rossi 103 . Una riflessione che può risultare molto utile anche per guardare al caso vercellese. Alla generale messa in forse dell’autorità vescovile, infatti, possiamo ricon- durre l’insistito richiamo del presule eusebiano al potere imperiale come fonte legittimante dei propri diritti - richiamo sicuramente rivolto, oltre alle comunità riottose della sua diocesi, anche a quei poteri principeschi così attivi nell’area diocesana. Durante la causa contro Biella il Fieschi sottolinea spesso l’origine delle sue prerogative “ex imperiali privile- gio”, formula che ai suoi occhi è ben lontana dall’essere una mera dichiarazione di principio o una retorica ormai svuotata del suo senso originario. Significativa a questo proposito la decisione di chiedere nel 1365

interessano la politica locale dei vescovi, con sviluppi ed esiti non di rado inaspettati se li si affronta in un’ottica tradizionale di contrapposizione chiesa/comune. 103 M.C. R OSSI , I notai di curia e la nascita di una “burocrazia” vescovile: il caso veronese , in Vescovi medievali cit., pp. 73-164, a p. 74.

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all’imperatore Carlo IV, dopo che questa pratica si era interrotta da tempo, un diploma di conferma dei diritti e possessi della chiesa euse- biana. Conferma che non si limita a richiamare genericamente tutte le concessioni precedentemente accordate, com’era consueto in questi casi, ma allinea incorporandole nel documento le trascrizioni di buona parte dei più ampi diplomi concessi ai presuli eusebiani da Ottone III fino al Barbarossa: è come se con questa operazione il vescovo avesse voluto ottenere una seconda emanazione di quei documenti, la garanzia più alta della loro ancor piena validità e attualità, il che gli avrebbe per- messo di porsi, nei confronti di tutti i poteri concorrenti, quale unico e legittimo detentore dell’eredità in essi contenuta 104 . Lo stesso approccio consapevole e attento dimostrato verso i docu- menti del passato si ritrova nella documentazione di cui il Fieschi è direttamente responsabile: il suo progetto di rafforzamento istituziona- le, infatti, prevede la creazione di un articolato sistema di scritture capa- ce di sostenerlo 105 . Non tutto l’originario complesso di scritture è rima- sto a nostra disposizione: in parte lo si trova ancora fra la documenta- zione d’archivio, in parte lo ricostruiamo dalle frequenti annotazioni presenti all’interno dei documenti, che rimandano a registri ormai perduti 106 . Gli assi portanti di questo sistema, per quanto ci è dato di conoscere, erano costituiti da una parte dai già citati libri delle investi- ture, dall’altra da una tipologia documentaria, i libri dei redditi, che si

104 Che l’inserimento del transunto dei diplomi sia una peculiarità del vescovo di Vercelli sembrerebbe confermato dal confronto con un altro diploma concesso dallo stesso Carlo IV al vescovo d’Acqui Guido d’Incisa (1342-73) nel 1364, che pur con- templando ampi riferimenti ai diplomi precedenti non ne riporta il testo: cfr. R. P AVONI , Le carte medievali della chiesa d’Acqui , Genova 1977, doc. 279. 105 L’importanza rivestita dalla documentazione nella politica vescovile si misura anche da quanto accade nel 1377, quando si assiste ad una serie di rivolte in vari centri della diocesi e, come dimostrano i casi ben documentati di Biella e Masserano, l’assal- to della popolazione ai castelli vescovili ha fra i suoi fini l’asportazione e la distruzione di materiale documentario (per Biella vedi sopra, n. 91; per Masserano vedi Instrumenta conventionum sequta cit., p. 11). 106 Ad esempio nei libri dei redditi abbiamo riferimenti ad un libro contrassegnato da una D (cfr. ad es. f. 12r), e ai “synodalia”, probabilmente volumi che ospitavano princi- palmente i prelievi sotto forma di cera (“positi sunt inter synodalia”, cfr. ad es. f. 94r, “positi in synodalibus” al f. 29r). Cfr. sotto, n. 125.

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pone nei confronti del panorama archivistico precedente con una carica innovativa ancora maggiore 107 . Che i libri dei redditi, i libri delle investiture e la congerie di scrittu- re preparatorie che li supportano siano l’esito di un unico progetto lo prova un documento specifico che abbiamo già incontrato parlando del vescovo Emanuele, il cosiddetto Libellus feudorum . Questo agile fasci- coletto è ben più di quello che la sintetica definizione appena citata lascerebbe pensare: articolato in due sezioni distinte, contempla nella prima un elenco dei circa 300 vassalli della chiesa vercellese, nella seconda l’elenco dei redditi che le comunità della diocesi debbono al vescovo 108 . Il nesso del Libellus tanto con il libro delle investiture degli anni 1349-51 quanto con i libri dei redditi è evidente, come dimostra la generale corrispondenza delle voci: la redazione dell’uno e degli altri è infatti prefigurata dalle due sezioni del fascicolo, che ne costituiscono una sorta di indice. Alcune lievi ma precise differenze di contenuto, pur non negando affatto la stretta parentela fra il Libellus e i libri delle investiture e dei redditi, suggeriscono tuttavia per questi ultimi un momento redazionale vicino ma distinto, giustificando il dubbio che la redazione del Libellus

107 I libri dei redditi rimangono un punto di riferimento anche per i successori del Fieschi. In fondo al volume contenente i libri degli anni ‘50 sono stati posizionati duran- te un restauro dei fascicoli con l’elenco in copia dei redditi e dei locatari della chiesa nella località di Santhià: in una nota il cancelliere vescovile Amedeo Turriglia, attivo negli anni trenta del XV secolo sotto Ibleto Fieschi, attesta di aver estratto questi docu- menti dall’archivio di Masserano “in quo sunt libri e scripture domini episcopi et eccle- siae Vercellensis quorum unum incipit in primo folio non rupto: item […] de comune Andurni”. Questa descrizione, come suggerisce il richiamo al contenuto del primo foglio, fa con ogni probabilità riferimento ad uno dei libri dei redditi compilati al tempo del Fieschi. 108 Si presenta come un fascicoletto alto e stretto, dal titolo coevo Libellus feudorum ecclesie vercellensis . Da f. 1r a f. 5v contiene l’elenco dei vassalli, preceduto dalla dici- tura “Inferius continentur nomina vassallorum domini episcopi et ecclesie Vercellensis pro terris et aliis qui tenentur in feudum ab ipso d. episcopo et ecclesia Vercellensi”; da f. 6r, introdotto dalla titolatura “Inferius continentur fodra et ficta ecclesie Vercellensis”, vi è l’elenco dei fodri e degli affitti organizzato per località. In occasione del restauro è stato rilegato assieme al libro delle investiture di Giovanni Fieschi degli anni 1349-51. Entrambi si trovano quindi in AAV, Investiture, m. 1. Il documento è edito in F ERRARIS , Borghi e borghi franchi cit., pp. 172-196, ma segnaliamo che l’edizione non riporta il contenuto dell’ultimo foglio del fascicolo (12r) in cui sono contenuti i redditi del vesco- vo in Balzola e Casale.

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non sia da attribuire a Giovanni ma piuttosto al suo predecessore, Emanuele Fieschi. La questione era già stata posta in un precedente con- vegno vercellese - quello dedicato alla Vercelli del XIII secolo -, dove Giuseppe Ferraris, a margine del suo contributo, offriva l’edizione del Libellus e al contempo proponeva alcune riflessioni in merito al conte- sto della sua redazione: sul fatto che il documento fosse da attribuire alla metà del Trecento e, data la rispondenza fra i nomi degli individui cita- ti nell’uno e nell’altro, fosse da porre “in stretta correlazione” con il libro delle investiture degli anni 1349-51 non vi erano dubbi; mentre l’attribuzione all’uno o all’altro vescovo rimaneva a parere dello stu- dioso una questione aperta 109 . Oggi, la possibilità di mettere in relazio- ne il Libellus non solo col libro delle investiture, ma anche con i libri dei redditi, e il suo inserimento nel contesto più ampio della documentazio- ne prodotta dai due vescovi, permette di fare un passo in più nella solu- zione del quesito e dei problemi ad esso sottesi 110 . L’attribuzione del Libellus a Emanuele piuttosto che a Giovanni appare giustificata dalle già richiamate differenze di contenuto fra le due sezioni del fascicolo e i corrispettivi libri dei redditi e delle investiture. Per quanto riguarda queste ultime, come rilevato da Ferraris, nei libri compaiono in alcuni casi gli eredi degli individui censiti nel Libellus , il che nell’opinione dello studioso lasciava intendere che la distanza fra la redazione dei due documenti fosse superiore ai tre mesi che si sarebbe costretti a porre come limite nell’ipotesi che entrambi fossero da attri- buire all’episcopato di Giovanni 111 . In realtà il breve lasso temporale fra redazione del Libellus e inizio del libro delle investiture non è così pro-

109 FERRARIS , op. cit., p. 169-70. 110 Il problema dell’attribuzione del Libellus non è di poco conto per il tema che stia- mo trattando, perché investe il tema dei fattori che nel caso vercellese hanno potuto non solo agevolare, ma persino rendere possibile il rinnovamento delle prassi documentarie che osserviamo sotto Giovanni Fieschi: la durata in carica del presule in relazione ai tempi di lavoro dell’apparato amministrativo della diocesi, la continuità del personale di curia, capace di travalicare le cesure imposte dall’alternarsi dei vescovi, gli interessi familiari come elemento di stabilità nelle politiche delle diocesi. 111 Giovanni Fieschi sale in cattedra il 12 gennaio 1349 (fino a quel momento, “epi- scopali sede Vercellensi vacante”, fa le veci del vescovo il vicario generale Eusebio de Dionigi, cfr. Carte , II, doc. 285 del 12 gennaio 1349), mentre la prima investitura effet- tivamente realizzata e riportata nel libro delle investiture risale ai primi di marzo dello stesso anno. Cfr. F ERRARIS , Borghi e borghi franchi cit., pp. 169-70.

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bante, perchè se l’elenco di vassalli contenuto nel Libellus fosse stato compilato dal personale di Giovanni sulla base del materiale - vecchi elenchi o singole investiture - presente in archivio, eventualità del tutto plausibile in un documento preparatorio, il presentarsi a pochi mesi di distanza degli eredi di alcuni degli individui censiti non suonerebbe poi così anomalo. Più significativa è la discrepanza che si riscontra fra il Libellus e i Libri reddituum , per quanto riguarda i redditi percepiti dal vescovo nelle varie località della diocesi. Si tratta di variazioni che interessano l’orga- nizzazione delle voci all’interno dei registri, nel probabile tentativo di migliorarne la fruibilità 112 ; l’integrazione di alcuni censi o il lieve incre- mento di altri; e infine la mancanza nel Libellus della città di Vercelli, costantemente riportata nei libri dei redditi, nei quali, per contro, non è più riportata la località di Trivero 113 . Nel complesso piccoli aggiusta- menti, se si considera la generale rispondenza di impostazione fra i due

112 Nei libri dei redditi, a differenza di quanto accade nel Libellus , i redditi derivan- ti dai novalia , vale a dire le decime percepite sui terreni di più recente dissodamento, e dall’affitto dei mulini costituiscono due voci a sé stanti; i proventi in cera, che nel Libellus sono censiti sotto ogni località, nei libri dei redditi sono ancor sempre segnala- ti come voci di reddito, ma per le annotazioni relative alla loro effettiva percezione si rimanda ad un altro registro (cfr. sopra, n. 106). 113 Nel Libellus sono segnalate 32 località, nell’ordine Andorno, Chiavazza, Zumaglia con Ronco, Bioglio, Mosso, Crevacuore, Coggiola, Curino, Masserano, Mortigliengo, Trivero, Vernato, Occhieppo, Pollone, Graglia, Muzzano, Camburzano, Mongrando, Salussola, Casaletum , Biella, Santhià, Asigliano, Palazzolo, Saluggia, Villareggia con Uliaco, Miralda, Cigliano, Moncrivello, Villanova prope Padum , Balzola, Casale (nel caso di Mongrando e Salussola i proventi del vescovo derivano dai consortes del luogo). Nel caso di Vercelli sembra che l’inserimento della città nel libro dei redditi, per i proventi di alcune “domos prope suum palacium que consueverunt dare de fictu lbr 10 pp vel circa”, abbia più che altro un significato simbolico, dato che uno degli obiettivi del vescovo nello scontro che lo oppone in quegli anni ai Visconti è pro- prio la riconquista della città. Trivero, al contrario, è annoverata fra i redditi vescovili nel Libellus - dove risulta pagare un fodro pari a 300 lire - ma non compare più pochi anni dopo, quando vengono redatti i Libri reddituum . Questa assenza, dopo che Emanuele sembrava voler riaprire la questione ignorando la sentenza dell’arbitrato visconteo (cfr. sopra, testo in corr. della nn. 15-16), va forse spiegata come un semplice insuccesso: uno degli obiettivi a cui mira l’ampia azione di recupero della chiesa non è andato a buon fine. Il fatto che, dopo il 1335, Trivero non sia più in possesso degli Avogadro ma del comune di Vercelli, e quindi dei Visconti, rendeva certamente più ardua l’impresa.

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documenti: ma è chiaro che giunti al punto di redigere concretamente i libri dei redditi parte delle informazioni contenute nel Libellus erano in qualche modo superate, e si procedette ad aggiornarle. E infatti la reda- zione del primo libro dei redditi non è avviata, come quello delle inve- stiture per il quale la corrispondente sezione del Libellus costituiva già una base di lavoro adeguata, all’inizio dell’episcopato di Giovanni, ma tre anni dopo, nel 1352. Ora noi sappiamo che durante questo intervallo il vescovo procedet- te a raccogliere nuove informazioni sui redditi da percepire nelle diver- se località, il che spiega le differenze riscontrate fra il Libellus e i libri dei redditi. Da un documento redatto in occasione di una di queste veri- fiche, l’unico finora reperito, emerge che nel 1350 Giovanni Fieschi ordina ai suoi ufficiali di registrare “omnes terrae, possessiones, ficta et redditus et proventus quos et que episcopium et ecclesia Vercellensis habet et tenet in loco curte et territorio Cassalis tam citra Padum quam ultra Padum”, verificando così l’effettiva consistenza delle entrate in Casale 114 . Questo documento ci fornisce l’anello mancante fra il dato riportato nel Libellus - dove risulta che in Casale il vescovo percepisce 480 lire pavesi - e quello, definitivo, riscontrabile nei libri dei redditi, pari a 461 lire e 1 soldo pavesi. I tre elementi - dato del Libellus , che i redattori del libri dei redditi hanno sotto mano, necessità del suo aggior- namento, e dato finale in seguito alla verifica - sono messi in relazione e sintetizzati sotto la voce “Casale” del primo liber reddituum del 1352 115 .

114 Cfr. sotto, testo fra le nn. 120-21. 115 Cfr. Libro dei redditi del 1352, f. 19v. La voce Casale nel Libellus recita “In Casale Sancti Evasii habet dominus episcopus de ficto pro certis terris vallis Padi et pra- tis circa Padum et portu et curadia et quadam domo que est in claustro canonicum et scallo palacii libras 480 vel circa et consuevit habere ulterius”. La scrittura della voce corrispondente nel libro dei redditi del 1352 si presenta sbiadita in alcuni punti, ma si distinguono con chiarezza i punti essenziali: tutta la prima parte, fino a “libras 480”, è copiata dalla voce del Libellus (cfr. ivi, f. 12r); qui interviene un primo aggiornamento che sostituisce alla frase “et consuevit habere ulterius” una cifra precisa, 507 lire. In seguito abbiamo un ulteriore aggiornamento che è il risultato della verifica del 1350: a causa di un danno, forse un’esondazione, arrecato dal Po a quelle terre “diminuitum est fictum”, ora pari a 461 lire pavesi e 1 soldo (cfr. libro dei redditi del 1352, f. 19v).

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Il fatto che l’inchiesta a Casale si collochi cronologicamente fra la redazione del Libellus e quella dei libri dei redditi si accorda molto meglio con l’ipotesi che il vescovo Giovanni abbia ereditato uno stru- mento già confezionato, il Libellus , e abbia provveduto, prima di usarlo come base per la redazione delle scritture amministrative, ad aggiornar- lo dove necessario, piuttosto che immaginare una situazione in cui lo stesso vescovo decide non appena nominato di far approntare un elenco dei redditi da percepire in ogni località, e poi lo lascia inutilizzato per tre anni, promuovendo nel frattempo un ulteriore censimento delle pro- prietà ecclesiastiche. Chiarito che il Libellus venne con ogni probabilità commissionato da Emanuele Fieschi, e che Giovanni Fieschi, proseguendo l’azione del suo predecessore, lo integrò con nuove ricognizioni prima di fondare sui dati in esso contenuti la redazione d’una tipologia documentaria del tutto nuova per la diocesi vercellese, quali i Libri reddituum , possiamo ora procedere all’analisi di quest’ultima fonte.

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PARTE SECONDA

I Libri reddituum di Giovanni Fieschi

II. 1. La natura della fonte

Conoscere con precisione l’entità dei possessi e dei redditi annuali di una mensa vescovile è nella maggior parte dei casi - e non solo in quel- li ormai entrati nel dominio esclusivo degli storici - un’impresa con scarse possibilità di successo. Per l’epoca medievale non si tratta solo di conservazione delle fonti, oppure della possibilità di accedervi, ma anche della loro fruibilità in questa prospettiva, alla luce dei fini con cui sono state redatte. È nota in proposito - e gli studi di Francesco Panero lo hanno dimostrato per il caso vercellese 116 - l’ambiguità dei diplomi imperiali, strumento principe per conoscere l’entità dei possessi vesco- vili nell’alto medioevo. La generosità con cui elargiscono ordinati elen- chi di località e diritti si rivela spesso ingannevole, e non solo nel caso prevedibile dei falsi. Anche per i documenti immuni da ogni sospetto è possibile che il riscontro sulla documentazione coeva faccia emergere il loro carattere programmatico: di documenti, cioè, che sono sì espres- sione di un reale stato di cose, ma anche delle ambizioni politiche - ben lontane dall’essere già realizzate - dei loro autori. La documentazione economica del Trecento vercellese permette, in linea eccezionale, di ovviare a questa situazione, grazie alla conserva- zione dei Libri reddituum voluti da Giovanni Fieschi: una serie di regi- stri progettati per ospitare non solo una ricognizione dei redditi episco- pali nelle varie località della diocesi, ma anche l’annotazione puntuale della loro riscossione, permettendo così di misurare anno per anno lo scarto fra teoria e pratica (fra quanto, cioè, si prevedeva di incamerare e

116 F. P ANERO , Una signoria vescovile nel cuore dell’Impero. Funzioni pubbliche, diritti signorili e proprietà della Chiesa di Vercelli dall’età tardocarolingia all’età sveva , Vercelli 2004, pp. 84-86, in part. p. 86; il concetto è esposto in sintesi già in I D., I vescovadi subalpini: trasformazioni e gestione della grande proprietà fondiaria nei secoli XII-XIII , in Gli spazi economici della chiesa nell’Occidente mediterraneo (seco- li XII-metà XIV) , Pistoia 1999, pp. 193-230, in part. p. 200.

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quanto poi, nel concreto, entrava nelle casse del vescovado), e questo in un momento molto particolare, come s’è visto, della storia della signo- ria vescovile vercellese. L’arco cronologico coperto dalla fonte è circoscritto - parliamo di un decennio, gli anni Cinquanta del Trecento, e di un’isolata incursione negli anni ‘70 dello stesso secolo, con il solo anno 1377 -, ma si tratta di anni decisivi per le sorti della signoria vescovile, sempre più costret- ta a misurarsi con l’intraprendenza di altri poteri attivi sul territorio dio- cesano e con l’effetto destabilizzante che ne derivava per il suo rappor- to con le comunità soggette. Con questo quadro politico i libri dei red- diti intrattengono un legame molto stretto: e anzi riflettono in modo sor- prendentemente preciso, sia nella cronologia della loro produzione sia nell’evolversi dei contenuti, l’andamento del confronto, che proprio alla fine degli anni Settanta volge decisamente a sfavore del vescovo. Questa rispondenza fra piano politico e piano documentario è dovuta al fatto che la dimensione della scrittura costituisce una componente di primo piano nella reazione vescovile alla crisi di quegli anni: i Libri red- dituum non sono un’iniziativa isolata, ma si inseriscono organicamente in un sistema di scritture più ampio, la cui redazione come si è visto era stata progettata già al tempo di Emanuele Fieschi. Analizzato questo aspetto, passeremo poi a considerare nello speci- fico il contenuto dei Libri reddituum : la qualità e la densità delle infor- mazioni accumulate in queste carte permette di offrire affondi in varie direzioni, dalla misurazione delle varie componenti dei redditi vescovi- li, ai meccanismi di riscossione dei censi e al personale adibito a queste operazioni, fino all’articolazione del territorio diocesano nel suo com- plesso, del quale emergono in modo evidente i gangli economicamente più attivi. Terzo aspetto interessante è la verifica della peculiarità del caso ver- cellese nel panorama documentario coevo. Già Robert Brentano, par- lando della sede vercellese nel Duecento, vi individuava un carattere di eccezionalità sotto il profilo documentario e amministrativo: “una dio- cesi - sintetizzava alla fine - in cui sembra che il governo ecclesiastico fosse eccezionalmente efficace” 117 . La possibilità di estendere questo

117 R. B RENTANO , Due chiese: Italia e Inghilterra nel XIII secolo , Bologna 1972 (ed. or. 1968), p. 118.

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giudizio al Trecento, e in particolare all’episcopato del Fieschi, è anco- ra da verificare, ma è indubbio che l’analisi dei Libri reddituum , tipolo- gia documentaria che rappresenta una novità di questo secolo, rappre- senta un passo in tale direzione.

II. 2. La redazione dei Libri reddituum

a) Dalle scritture preparatorie ai registri degli anni ‘50

Fra le due principali tipologie di documenti che rappresentano il grosso della produzione documentaria di Giovanni Fieschi - libri delle investiture e libri dei redditi -, sono probabilmente questi ultimi ad aver necessitato di un maggior investimento di energie da parte della curia vescovile. Il lavoro che precedette la redazione di questi registri, andan- do a integrare la sintesi offerta dal Libellus , è intuibile anche dal ritardo con cui venne intrapresa la loro redazione rispetto a quella del libro delle investiture 118 , ma rimarrebbe per noi del tutto ignoto se non fosse per il già ricordato documento relativo a Casale, miracolosamente scam- pato al naufragio che ha coinvolto la generalità delle scritture prepara- torie. Il registro fu compilato tra il sei e l’otto marzo del 1350, e può darci un’idea di quello che, una volta salito in cattedra il Fieschi e deci- sa la redazione dei libri dei redditi, dev’essere accaduto in diverse loca- lità della diocesi 119 . Si tratta sostanzialmente di un consegnamento di terre, per nostra fortuna preceduto da un preambolo che ne esplicita epoca, modalità e finalità della redazione: è dalle informazioni qui contenute che ricavia- mo la parentela fra questa scrittura e i Libri reddituum . Il documento consiste nell’elenco di “omnes terrae, possessiones, ficta et redditus et proventus quos et que episcopium et ecclesia Vercellensis habet et tenet in loco curte et territorio Cassalis tam citra Padum quam ultra Padum”.

118 La prima investitura è del marzo del 1349, pochi mesi dopo la nomina del Fieschi a vescovo di Vercelli, mentre il primo registro dei redditi è del 1352. 119 In AAV, Diversorum , m. 3, n. 72. Un parallelo, anche se su scala molto più ampia, dello stesso procedimento messo in atto dai funzionari vescovili vercellesi è in ARCHETTI , Berardo Maggi vescovo e signore di Brescia cit., pp. 289-90.

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I possessi della chiesa al di qua del Po sono organizzati in tre grandi aree, definite “faxie seu pecie”, ognuna contenente poco più di un cen- tinaio di lotti. La descrizione delle coerenze di queste grosse aree, in cui compare spesso il riferimento al Po, e il fatto che la seconda è chiama- ta “faxia de medio”, possono suggerire che esse raggruppino i possessi a seconda della distanza dal fiume, un discrimine che forse determina- va, a parità di estensione, l’applicazione di affitti più o meno gravosi. In ogni caso nel marzo del 1350 il vescovo incaricò il venerabilis vir Martino Zumaglia, thessaurarius Bugellensis , e il casalese Bertramo Grasso di organizzare la misurazione delle terre e la loro determinazio- ne con termini lapidei, operazione cui fece seguito in un secondo momento la consegna dei locatari - il documento registra per l’appunto oltre 300 casalesi -, comprendente il nome dell’affittuario, l’estensione della terra a lui affidata e la somma in denaro che doveva corrisponde- re annualmente. La somma totale degli affitti registrati corrisponde effettivamente a quanto segnato, nei libri dei redditi, sotto la voce Casale 120 . Sembrerebbe inoltre che l’intero procedimento sia stato con- dotto in accordo con il comune di Casale, rappresentato dai campari che figurano come testimoni dell’atto 121 . Il tema della collaborazione fra personale della curia e del comune nelle operazioni che riguardano i redditi ecclesiastici tornerà come vedremo anche nell’analisi del conte- nuto dei Libri reddituum , dove spesso gli ufficiali comunali figurano nelle stesse mansioni di raccolta e versamento dei prelievi altrove svol- te dai gastaldi vescovili.

120 E’ in questo documento che si specifica in calce all’introduzione la volontà di pre- levare i fitti anche per il 1349, anno in cui “nichil fuit solutum”, rafforzando l’ipotesi che il ritardo nella produzione dei registri fosse dovuto al tempo necessario per aggior- nare e integrare l’elenco di redditi forniti dal Libellus . Anche nel primo libro dei reddi- ti vi sono annotazioni relative a quelli non percepiti nel 1349 e nel 1351: cfr. libro dei redditi del 1352, f. 12r. 121 Casalesi sono anche il procuratore del vescovo, Bertramo Grasso, che nel primo registro dei redditi figurerà come gastaldo di Casale (cfr. il registro del 1352, f. 19v), e l’addetto alle misurazioni. Per contro si nota anche in questo caso la consistente prove- nienza biellese del personale vescovile, un dato già riscontrabile nel XIII secolo ma che nel Trecento si fa particolarmente evidente: il notaio redattore dell’atto è Jacobinus de Valento de Bugella , mentre l’intera operazione è sovrintesa dal thessaurarius Bugellensis Martino Zumaglia.

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Sulla base di consegnamenti come questo, e delle informazioni già raccolte nel Libellus , venne redatto nel 1352 il primo Liber reddituum , che accorpa, comunità per comunità, l’insieme delle entrate previste. Vediamone brevemente la struttura interna, comune anche alle altre sette registrazioni che ci sono rimaste, dal momento che furono appron- tate sulla falsariga di quella del 1352 122 . Il registro che serviva alla riscossione dei redditi era preventivamente preparato elencando in suc- cessione per ognuna delle comunità censite, trentadue in tutto 123 , le voci indicanti i redditi percepiti, introdotte da un Item e disposte lasciando fra l’una e l’altra lo spazio necessario ad ospitare le annotazioni relati- ve ai pagamenti. Le varie categorie di censi seguono un ordine costan- te: prima i redditi in denaro - il fodro e parte degli affitti - poi i versa- menti in natura fra cui gli affitti ai privati, e la segnalazione di eventua- li diritti vescovili come il mercato e il pedaggio. Al termine delle loca- lità, in due sezioni a sé stanti, vi è l’elenco degli affitti dei mulini e quel- lo delle decime sui terreni di più recente messa a coltura. Alcune delle conclusioni che è possibile trarre dall’analisi di questa enorme mole di informazioni saranno proposte più avanti (§ II. 3), men- tre ora ci soffermeremo sulla cronologia dei libri giunti fino a noi. Le discontinuità e le anomalie che si riscontrano nella serie, come vedre- mo, non sono affatto casuali.

122 Solo alcuni aggiustamenti estetici - ad esempio il riquadro che incornicia i nomi dei comuni posti a capo delle varie sezioni, mancante nel registro del 1352, oppure un’impaginazione più curata - differenziano il primo dai successivi registri, conferman- do al tempo stesso che il registro del 1352, mutilo nella parte iniziale, è effettivamente il primo redatto. 123 Si tratta nell’ordine di Andorno, Chiavazza, Ronco con Zumaglia, Bioglio, Mosso, Crevacuore, Coggiola, Curino, Masserano, Mortigliengo, Vernato, Occhieppo, Pollone, Graglia, Camburzano, Mongrando, Salussola, Muzzano, Casaletum , Biella, Santhià, Asigliano, Palazzolo, Saluggia, Cigliano, Villareggia, Miralda, Moncrivello, Villanova, Balzola, Casale S. Evasio, Vercelli (nel caso di Mongrando e Salussola si tratta di redditi percepiti dai consortes del luogo, i Beglia nel primo caso, i de Gruppo nel secondo). L’ordine, fatta eccezione per rare inversioni fra due località che si susse- guono, si presenta immutato per tutti i registri tranne che per quello del 1377: per la spiegazione di questa differenza cfr. oltre, testo in corrispondenza della n. 135. Per il confronto con l’elenco del Libellus cfr. sopra, n. 113.

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b) La cronologia dei Libri reddituum

Delle otto registrazioni annuali dei redditi della mensa vescovile redatte sotto l’episcopato del Fieschi sette sono rilegate in volume e coprono, con la sola eccezione del 1353, gli anni dal 1352 al 1359, men- tre la più recente, su fascicolo sciolto, riguarda i redditi del 1377 124 . Omogenei sotto il profilo formale come sotto quello contenutistico, i registri fanno chiaramente capo a una medesima officina. La prima que- stione che si pone è, quindi, la ragione del divario cronologico che sepa- ra il blocco degli anni Cinquanta dalla registrazione isolata del 1377. Si tratta di una sospensione nella prassi di redazione dei registri o siamo di fronte ad una perdita, casuale o voluta, di materiale documentario? Diversi elementi, formali e contenutistici, ci permettono di scartare la seconda ipotesi a favore della prima: i registri ad oggi conservati nel- l’archivio arcivescovile rappresentano l’intero corpus prodotto in quei decenni, e lo iato che separa i due momenti corrisponde effettivamente ad una sospensione nella prassi di registrazione dei redditi 125 .

124 Le registrazioni occupano dalle 17 alle 24 carte; in genere ogni fascicolo carta- ceo ne contiene due: le registrazioni del 1352 (24 carte) e del 1354 (20 carte, dal f. 26r) occupano il primo registro, di 44 carte; il secondo fascicolo, di 47 carte, contiene le regi- strazioni del 1355 (19 carte, dal f. 46r), del 1356 (19 carte, dal f. 55r) e una parte del 1357 (18 carte, dal f. 86r); la registrazione del 1357 continua su un gruppo isolato di quattro carte, e termina con le prime 5 carte del terzo fascicolo (composto in tutto da 40 carte), che per il resto ospita la registrazione del 1358 (17 carte, dal f. 104r) e 1359 (18 carte, dal f. 120r). La differenza fra la somma delle carte che compongono le singole registrazioni (135 carte), e la numerazione del volume, che arriva a 138 carte, è dovuta alla perdita successiva alla rilegatura in volume delle carte 23, 80, 85. Il fascicolo del 1377 è di 48 carte, ma la registrazione dei redditi occupa solo le prime 32 carte. Le dimensioni dei registri sono di circa 30,2 cm x 22,5 nel caso dei fascicoli degli anni ‘50, e leggermente minori, 29,2 x 22,5 cm nel caso del fascicolo del 1377. 125 Il registro citato da Giuseppe Ferraris nel suo studio relativo alla pieve di S. Maria di Biandrate, nonostante l’autore lo introduca come liber reddituum mensae episcopa- lis , a giudicare dal passo estrapolato sembra essere cosa diversa dai registri qui analiz- zati. Potrebbe trattarsi di una delle scritture preparatorie compilate all’epoca di Gio- vanni Fieschi utilizzando anche materiale d’archivio (stando all’autore il registro sem- bra articolato in “capitoli” contenente i fitti di diversi vescovi, fra i quali si citano espli- citamente Lombardo della Torre e Giovanni Fieschi), o più probabilmente, dal momen- to che i passi citati si riferiscono tutti a redditi in cera, potrebbe trattarsi di uno dei regi- stri cui rimandano i libri dei redditi proprio in corrispondenza dei proventi in cera, al fianco dei quali si specifica che “positi sunt inter synodalia” (cfr. sopra, n. 106). Tuttavia

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Il primo indizio a favore dell’ipotesi di una sospensione nella reda- zione dei registri dal ‘60 al ‘76 sono le date dei pagamenti riportati sui registri del volume. In nessun registro, che pure si riferisce sempre ad un anno specifico, i pagamenti sono integralmente esauriti nell’anno in corso. Anzi in alcuni casi solo una modesta frazione ricade in questa categoria, mentre la maggior parte dei pagamenti è stata portata a ter- mine a rate con versamenti che risalgono agli anni successivi - si arriva fino agli anni Settanta - o non è stata per nulla effettuata 126 . Questo significa che sin dall’inizio - i ritardi riguardano già il registro del 1352 - qualcosa ha impedito la corretta riscossione dei censi, e vista l’impos- sibilità di portarsi in pari con i conti per l’accumularsi delle somme da recuperare si è deciso ad un certo punto di sospendere la redazione di nuovi registri e di concentrarsi su quelli già redatti. Un altro elemento che conforta questa ipotesi deriva dai caratteri esteriori dei documenti. I fascicoli degli anni Cinquanta non si presen- tano più in forma sciolta, condizione che devono aver condiviso con il fascicolo del 1377 per tutta la prima parte della loro esistenza, ma sono stati accorpati in un unico volume. L’epoca in cui si è proceduto all’o- perazione di rilegatura non è definibile in modo assoluto 127 , ma le osser- vazioni sul supporto materiale ci permettono comunque di dire che non è stata coeva all’uso dei registri, e che al tempo stesso non dev’essere stata di molto posteriore.

una verifica diretta rimane impossibile dal momento che l’autore cita a partire da “miei appunti archivistici di vecchia data”, senza fornire alcun riferimento archivistico: cfr. La pieve di S. Maria di Biandrate cit., p. 32 (vedi anche p. 340). 126 Non sempre è presente la data del pagamento, ma proprio il fatto che non si sia sentita l’esigenza di segnalarla può far supporre che questi casi siano da ricondurre con poche eccezioni all’anno del registro su cui sono posizionati. 127 Non molti indizi derivano dalla copertina in pergamena. Le annotazioni ancora leggibili con facilità rimandano al riordino dell’archivio vescovile promosso a fine Cinquecento da Mons. Bonomi: una scritta, peraltro vergata senza troppa attenzione agli aspetti formali, ci informa che il contenuto riguarda Introitus ac redditus censuum epi- scopatus vercellensis , mentre le rimanenti annotazioni - n. 19 E 1352 - rimandano all’in- ventario prodotto in quell’occasione e alla relativa collocazione archivistica del docu- mento (cfr. A RNOLDI , Le carte dell’archivio arcivescovile , doc. 95 alle pp. 393-452, a p. 114). Vi è però una seconda scritta chiaramente anteriore, ormai appena percepibile, che senza alcuna pretesa d’importanza sia nelle dimensioni sia nella cura con cui è stata redatta fa ugualmente riferimento al contenuto del libro con la dicitura “liber censuum ac reddituum […]”. Sul primo foglio di guardia, cartaceo, è riportato un frammento di

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L’elemento più significativo per la questione è la numerazione delle carte dei registri, in cifre romane, che stabilisce un nesso evidente fra la rilegatura in volume e la redazione del fascicolo del 1377. La numera- zione non è sicuramente coeva alla compilazione dei registri, dal momento che si presenta continua e senza lacune nonostante la sicura perdita di alcune carte dei fascicoli 128 , e cambia inoltre posizione nello specchio della pagina per adattarsi di volta in volta ai guasti più o meno profondi dei margini 129 . Questo significa che quando si procedette all’accorpamento in volume i registri avevano alle spalle un tempo più o meno lungo di permanenza in forma sciolta 130 . E tuttavia tale condi- zione non dev’essersi protratta molto a lungo, visto che nella generalità dei registri l’inchiostro delle facciate più esterne, le più esposte in caso di permanenza in forma sciolta, non ha perso nitidezza rispetto alle pagine interne. Un indizio in particolare, a mio avviso, spinge per individuare nel 1377 il momento in cui i registri vennero rilegati e le loro pagine nume- rate, ed è il confronto con la numerazione del registro redatto in quel- l’anno. Questa da una parte presenta evidenti affinità con quella appo- sta sui registri degli anni Cinquanta, dall’altra se ne differenzia perché sembra rappresentare un intervento precedente all’utilizzo del registro,

brano musicale in notazione quadrata, al di sotto del quale si legge “kyrie eleyson/glo- ria in excelsis deo/ite missa est”. 128 L’elenco delle località che si susseguono all’interno dei registri segue lo stesso ordine: di conseguenza l’assenza di un gruppo di voci regolarmente presenti negli altri è indice della perdita dei fogli che le ospitavano. 129 Particolarmente evidente nei fogli finali (134-135-136). 130 Questo è particolarmente evidente per il primo registro che si incontra nel codi- ce, relativo al 1352, che rispetto allo stato di conservazione generale del volume si pre- senta in condizioni particolarmente degradate sia per la mancanza di alcune carte sia per la scrittura, in molti punti divenuta ormai illeggibile o addirittura andata persa con parte del foglio che la ospitava. Ai fini del nostro discorso, in ogni caso, ciò che importa nota- re è che i guasti più rilevanti colpiscono in egual misura i fogli iniziali e quelli finali del registro, il che li riconduce presumibilmente all’epoca in cui quest’ultimo permaneva ancora come unità a se stante. Il restauro rende difficile in alcuni casi intuire quale fosse la condizione originaria del codice: ad esempio capire per quante carte il lavoro ha com- portato il riassembramento di fogli ormai totalmente disgiunti dal corpo del fascicolo o solo un rafforzamento della legatura. La richiesta di poter consultare la relazione sullo stato del documento precedente il restauro, in genere parte integrante di questo tipo di interventi archivistici, ha dato esito negativo per la mancanza della stessa.

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tant’è che è apposta su tutti i fogli, compreso il gruppo tutt’altro che ridotto di quelli rimasti bianchi, mentre come si è visto i registri prece- denti furono numerati dopo l’accorpamento in volume. Chi ha confe- zionato il registro del 1377 considerava evidentemente la numerazione delle pagine un utile apprestamento ai fini pratici di utilizzo, ed è quin- di plausibile che abbia adeguato in questo senso anche la serie dei regi- stri più antichi, la cui attualità - come dimostrano le date dei pagamenti richiamate all’inizio - non si era ancora esaurita del tutto. Rimane da spiegare l’assenza nella serie dei registri degli anni Cinquanta dell’anno 1353 131 . Osservando le date dei pagamenti nel regi- stro del 1352, equamente ripartiti fra l’anno in corso e il successivo, ver- rebbe da supporre che la redazione di un registro specifico per il 1353 sia stata accantonata per il semplice motivo che troppi erano i redditi non ancora corrisposti dell’anno precedente. Questa spiegazione tutta- via non risponde completamente al nostro interrogativo, dal momento che anche i registri dal 1354 al 1359, come abbiamo visto, condividono questo stesso divario fra redditi pretesi e redditi effettivamente percepi- ti. Vista da questo punto di vista, si potrebbe anzi dire che l’anomalia da spiegare non è tanto la mancata redazione di un registro per il 1353, ma la ferma ostinazione con la quale la curia vescovile, incurante dei risul- tati, ha continuato imperterrita dal 1354 a redigere un registro per ogni singolo anno. La spiegazione più plausibile è che fra il 1352, anno in cui si decide e si avvia concretamente la redazione del primo liber reddituum , e il 1354 avvenga un cambio di prospettiva del vescovo e dei suoi collabo- ratori nei confronti del nuovo strumento, di cui nel frattempo hanno potuto verificare limiti e potenzialità. Nel 1352 viene approntato un registro per i redditi da riscuotere nell’anno in corso, tuttavia già alla fine dell’anno, come dimostrano i pagamenti annotati sotto le voci, appare evidente che neanche la metà degli introiti previsti sono stati per- cepiti, e pertanto si decide di accantonare la redazione di un registro per il 1353, anno durante il quale si continua a riscuotere i proventi per il 1352. Quando, all’inizio del 1354, i redditi del 1352 risultano ancora

131 Che questo specifico registro non sia andato perduto è dimostrato dal fatto che le registrazioni del 1352 e del 1354 si trovano sullo stesso fascicolo cartaceo.

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lontani dall’essere interamente incamerati, ci si rende conto che questa strategia rischia di procrastinare a tempo indeterminato la redazione dei nuovi registri, e con essi la percezione dei redditi della chiesa per gli anni successivi: probabilmente è questa constatazione ad innescare la decisione di redigere un nuovo registro per il 1354 e di mantenere que- sta prassi negli anni successivi, a prescindere dalla percentuale di reddi- ti effettivamente riscossi. D’altra parte le date disparate dei pagamenti, che a distanza di anni vanno ad integrare le voci di prelievo incomplete degli anni passati, ci fanno capire che la redazione dei nuovi registri non significava affatto l’obliterazione di quelli precedenti: essi rimanevano in uso conservando memoria del debito accumulato dalle comunità, e il vescovo poteva a sua discrezione decidere di richiedere il saldo dei red- diti non percepiti 132 . L’andamento cronologico sarebbe dunque il seguente: nel 1352, a tre anni di distanza dall’elezione di Giovanni Fieschi alla cattedra eusebia- na, si inaugura la prassi di confezionare annualmente dei registri per verificare il corretto recupero dei redditi della mensa vescovile, consue- tudine rispettata, fatta eccezione per il 1353, fino alla fine degli anni Cinquanta; segue poi una prolungata interruzione che dura quasi un ven- tennio, dal 1360 fino al 1377, anno nel quale si torna a predisporre un registro dei redditi che costituisce l’ultimo testimone della serie, e al contempo si procede ad accorpare in volume quelli più antichi.

132 Su questa evoluzione nei confronti dei registri dei redditi devono aver influito i segnali, sempre più inquietanti per i destini della signoria ecclesiastica, che si susse- guono a ritmo serrato a partire dal 1354. A marzo dello stesso anno Biella, uno dei prin- cipali castra vescovili, è sottoposta per la prima volta a un podestà (cfr. sopra n. 53), una novità istituzionale che ricalca le modalità di governo dei Visconti nei luoghi sottoposti al loro dominio: ciò potrebbe suggerire che ancor prima della morte dell’arcivescovo Giovanni (ottobre 1354), governatore pro tempore del luogo con il benestare del Fieschi, la signoria dei Visconti avesse cominciato ad assumere carattere definitivo. Nel 1355, con Galeazzo, la politica del comune vercellese si fa come abbiamo visto ancora più intraprendente ed aggressiva ai danni delle terre della chiesa, anche sul piano fiscale: vedi sopra, testo in corrisp. della n. 54.

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c) L’amministrazione dei beni della mensa vescovile di Vercelli: una questione di inefficienza?

Il confronto con la congiuntura politico-militare può spiegare, come vedremo meglio fra poco, questa scansione cronologica; ma ad esso si deve certamente fare riferimento anche per spiegare lo scarto vistoso fra quanto il vescovo progetta ogni anno di incamerare e quanto riesce effettivamente a recuperare. Anche senza un calcolo completo e defini- tivo, si può dire in tutta tranquillità che per i sette anni in cui si dispone di registri redatti annualmente la mensa episcopale non incamera nean- che la metà rispetto al previsto. Siamo quindi di fronte a un’ammini- strazione inefficiente? Senza dubbio, la prima impressione che si ha di fronte a queste cifre è quella di un fallimento, e tuttavia occorrono particolari cautele nel porre la questione: l’uso di termini come efficienza, inefficienza, crisi o cambiamento, così frequenti quando si parla di diocesi tardomedievali, e che è così spontaneo adottare quando si tratta di interpretare fonti di natura economica, dipende per l’appunto da quale modello noi assu- miamo come normale. E qui incontriamo il primo ostacolo, perché nel caso specifico, di quale fosse la “normalità” nella percezione dei reddi- ti della mensa vescovile vercellese non abbiamo la minima idea - e anzi è difficile immaginare che, nel Trecento, ve ne sia mai stata una. Sebbene il panorama documentario dell’archivio arcivescovile mostri una cesura netta in corrispondenza dell’episcopato di Giovanni - non sono attestati libri dei redditi fra la documentazione prodotta dai suoi predecessori, anche se, come s’è visto, Emanuele è stato il primo a percepirne la necessità -, possiamo ragionevolmente supporre che un’i- stituzione importante come la diocesi di Vercelli contemplasse anche nei secoli precedenti una gestione articolata della sua componente tempora- le. E tuttavia non sono solo le scritture d’archivio a segnalarci una novità: anche la feroce opposizione che il Fieschi incontra nella sua azione di governo testimonia che i contemporanei sentivano questo modo di gestire la diocesi come profondamente, e spiacevolmente, inno- vativo. Una prima spiegazione della difficoltà di riscossione di quegli anni, insomma, può ricondursi al fatto che il vescovo stava cercando, con

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alterno successo, di recuperare redditi caduti in disuso, per la cui esa- zione non esisteva più neppure un apparato di scritture e ufficiali; lo suggeriscono altri aspetti della modalità di redazione dei registri, per fare un esempio l’indeterminatezza di molte delle voci. In vari casi si annota che il vescovo possiede in una data località “certe terre”, senza alcuna ulteriore indicazione nemmeno relativa al fitto, oppure viene segnalato che la mensa è titolare di un reddito proveniente “de quibu- sdam vineis”, o ancora si specifica la pertinenza al vescovo di un dirit- to, ad esempio di pedaggio o di mercato, ma senza che sia annotata la percezione di un reddito derivante da quel diritto. Queste voci fanno pensare che alla redazione dei Libri reddituum abbia concorso una seconda finalità, oltre a quella più prevedibile lega- ta al corretto prelievo dei redditi vescovili. Questi registri sono anche una dichiarazione di principio, servono a fornire l’elenco esauriente dei diritti di cui il vescovo è titolare sulle località della diocesi soggette alla sua giurisdizione, diritti che tuttavia non è detto intenda o riesca ad eser- citare in modo sistematico fin dall’inizio. La novità introdotta dal Fieschi consisterebbe nell’aver cercato di sottrarre la gestione dei beni temporali della diocesi dal binario d’una consuetudine che li aveva progressivamente assottigliati, procedendo a ristabilirne l’esercizio alla luce della situazione dell’epoca: da qui le scritture preparatorie e gli interventi nelle varie località, tesi a verifica- re l’effettiva estensione delle prerogative vescovili, da qui una difficoltà nel percepire in modo sistematico le entrate della diocesi - difficoltà che alla luce di queste considerazioni sembra molto meno facile descrivere in termini di inefficienza o incapacità. Ma il carattere innovativo dell’azione del Fieschi è solo una, e a conti fatti la meno determinante, delle ragioni che possiamo addurre per spiegare la scarsità delle entrate di quegli anni: la prima e più evidente causa di questa difficoltà è una congiuntura drammatica in cui guerra e peste destabilizzano profondamente la vita collettiva. A prescindere dalla volontà del vescovo e dalle capacità del suo entourage , la possibi- lità di riscuotere i proventi in modo efficiente dipende anche, banal- mente, dalla facilità con la quale gli uomini e le merci potevano spo- starsi sul territorio. E nei venticinque anni che separano il primo dal- l’ultimo libro dei redditi, questa facilità non è quasi mai garantita, come

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dimostra la convulsa successione degli avvenimenti politico-militari che abbiamo ricostruito più sopra. I libri dei redditi recano traccia della difficile congiuntura che accompagna l’episcopato del Fieschi in due modi: in modo esplicito nelle annotazioni poste a fianco di alcune voci, e in modo implicito nella cronologia della loro produzione. Nei registri degli anni Cinquanta si legge di diversi prelievi devoluti a familiari del vescovo per le spese sostenute “tempore guerre de Bugella”, di mancati redditi devoluti dalle comunità, anziché al vescovo, agli ufficiali di Galeazzo Visconti 133 , e altre annotazioni fanno riferimento al 1358 come ad un tempo di guer- ra 134 . In tutto il primo decennio si continua tuttavia a redigere regolar- mente i Libri reddituum , segno evidente che il conflitto con il comune di Biella, nato per l’appunto per questioni fiscali, non distoglie il vesco- vo dai suoi propositi. A fermare il meccanismo è il netto aggravarsi della congiuntura politica all’inizio degli anni Sessanta, con il coinvolgimen- to diretto del vescovo sul piano militare nello scontro fra Visconti e Monferrato. Per tutta questa fase di registri non se ne producono più, e solo con la conclusione della pace nel 1376 si pongono le premesse per una ripresa nella redazione dei registri: proprio nel 1377, infatti, viene confezionato l’ultimo registro della serie e, quasi si riprendesse in mano una questione lasciata in sospeso, si procede a rilegare i registri sciolti degli anni Cinquanta. Significativamente - anche questo è un riflesso sulla documentazione delle vicende politiche di quegli anni -, l’ordine delle località elencate varia: mentre nei registri degli anni Cinquanta la prima località della serie è sempre Andorno, nel registro del 1377, che segue il trattato di pace e la riattribuzione di Biella alla signoria vesco- vile, è questa città ad inaugurare la serie 135 .

133 Libri dei redditi, a. 1357, f. 96v (Asigliano). 134 Cfr. ad es. ff. 11r, 16r-17v, 92r, 111v, 127v (tempore guerre Bugelle); 21v, 93v (1358 come anno di guerra); ai ff. 40r (1354), 61r (1355), 73r (1356), 100r (1357), 135r (1359) si annota la distruzione del mulino vescovile del Piazzo, avvenuta probabilmen- te nel 1353 o all’inizio del 1354 (vedi anche doc. dell’ottobre 1354 in Carte , II, doc. 372, p. 355); al f. 79r, purtroppo molto rovinato, si parla del mulino vescovile di Andorno, distrutto dai biellesi, sembra di capire, nel 1356. 135 Oltre al diverso posizionamento di Biella, rispetto alle località riportate nei regi- stri degli anni ‘50, questo fascicolo si differenzia per la presenza dei comuni di Savagnasco, cantone di Gaglianico, e Verrua, e per l’assenza di Villanova, Balzola e Vercelli, nelle quali comunque il vescovo risultava percepire solo dei fitti.

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Ma quest’ultimo colpo di coda del vescovo non sortisce l’effetto spe- rato, a giudicare dal contenuto del fascicolo: fatta eccezione per uno sparuto gruppo di località, e a dispetto delle ampie sezioni previste per ospitarli, il fascicolo risulta desolatamente scarno di pagamenti. In effet- ti il registro sintetizza in modo esemplare gli avvenimenti del 1377: la sua stessa esistenza esprime l’ostinazione del vescovo nel tornare a riba- dire le proprie prerogative, mentre l’assenza di notazioni segnala in modo fin troppo evidente che lo scontro fra il vescovo e le comunità ha definitivamente lasciato il piano della scrittura per attestarsi su quello delle armi. Risale infatti allo stesso anno la ribellione finale contro il Fieschi, cui fa seguito la sua espulsione dalla diocesi, il che spiega più che a sufficienza perché il fascicolo del 1377 sia rimasto isolato 136 . Lo scarto è dunque molto ampio fra gli esiti finali dell’episcopato di Giovanni e le ambizioni da lui perseguite fino all’ultimo. Di per sé, la politica del Fieschi non è diversa da quella di tante realtà signorili tre- centesche, che rispondono alle mutate condizioni economiche e demo- grafiche imponendo una svolta di maggior rigore nell’esercizio dei loro diritti. A caratterizzare la signoria ecclesiastica è proprio il fallimento di questo esperimento: nel Trecento nemmeno una signoria vescovile come quella eusebiana, fra le più potenti d’Italia e che ha in parte resi- stito all’affermazione comunale, può permettersi di essere concorren- ziale rispetto ai nuovi protagonisti principeschi.

II. 3. Analisi del contenuto: la ricchezza della diocesi di Vercelli

Vediamo ora di trarre dai libri dei redditi le informazioni che sono naturalmente portati a dare: l’entità dei redditi della chiesa, il funziona- mento dei meccanismi di riscossione, il territorio diocesano che emerge da questo tipo di fonte.

136 Cfr. sopra, testo in corrisp. delle nn. 86-87.

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a) La ricchezza della diocesi di Vercelli e i problemi della sua valuta- zione

Prima questione: quanto era ricca la diocesi di Vercelli? Stando alla tassa che il suo titolare versava alla camera apostolica in occasione della nomina, era fra le più ricche dell’Italia settentrionale: i 1200 fiorini pagati dal vescovo di Vercelli erano superati solo dai 3000 della sede milanese e dai 2000 che pagava il vescovo di Parma. I colleghi delle diocesi vicine, Ivrea e Novara, si collocavano ad un livello decisamen- te inferiore, con un esborso rispettivo di 300 e 600 fiorini 137 . Questi dati, però, consentono di farsi un’idea solo relativa della ricchezza della dio- cesi: l’entità del versamento era infatti, almeno nei suoi presupposti teo- rici, proporzionale alla ricchezza del beneficio 138 , ma la sua immutabi- lità secolo dopo secolo non consente di assumerlo come specchio fede- le della situazione economica del momento. È evidente, quindi, l’importanza che ha per la storia della chiesa ver- cellese il poter disporre di una fonte come i libri dei redditi, che per- mettono - pur con i limiti che vedremo - di ricavare una misura reale ed oggettiva della ricchezza che alla metà del Trecento affluiva, o nelle intenzioni del vescovo avrebbe dovuto affluire, nelle casse dell’episco- pato. Sommando le voci della trentina di località censite nei registri, il vescovo avrebbe dovuto incamerare ogni anno in denaro 2300 lire per il fodro e 1000 per i fitti in denaro. L’altra grande categoria in cui sono

137 H. H OBERG , Taxae pro communibus servitiis ex libris obligationum ab anno 1295 usque ad annum 1455 confectis , Città del Vaticano 1949, pp. 64 (Ivrea), 88 (Novara), 130 (Vercelli), 77 (Milano), 93 (Parma); sulla cautela da adottare nell’utilizzo di questi dati cfr. M. D ELLA MISERICORDIA , La disciplina contrattata. Vescovi e vassalli tra Como e le Alpi nel tardo Medioevo , Milano 2000, p. 15 n. 13 e bibliografia cit. Nei registri papali risultano registrati i pagamenti dei vescovi vercellesi, sempre pari a 1200 fiorini, negli anni 1303 (Rainerio di Pezzana), 1329 (Lombardo della Torre), 1343 (Emanuele Fieschi), 1349 (Giovanni Fieschi), 1379 (Giacomo Cavalli), 1387 (Ludovico Fieschi), 1406 (Matteo Ghisalberti), 1438 (Guglielmo Didier), 1452 (Giovanni de Giliaco ); non risultano i pagamenti in corrispondenza delle nomine di Uberto Avogadro (1310-28) e Ibleto Fieschi (1412-37). 138 Secondo Hubert Jedin la somma consisteva in un terzo del reddito del primo anno (cfr. H. J EDIN , Storia della chiesa , vol V/2: Tra Medioevo e Rinascimento , p. 59), ipote- si che nel caso di Vercelli, calcolando che 1200 fiorini corrispondono grosso modo a 2000 lire, sembrerebbe non lontana dalla realtà (cfr. oltre, testo fra le nn. 142-43).

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articolate le entrate vescovili sono i redditi in natura: i più significativi in assoluto sono le 3100 staia di segale e le 1000 di avena 139 , a cui si aggiunge com’è prevedibile una variegata casistica di generi alimenta- ri: 33 staia biellesi di castagne e poco più di 50 quartironi alla misura vercellese 140 ; 60 staia biellesi di noci e 21 quartironi vercellesi, un cen- tinaio di staia di panico, 130 staia di frumento, 870 uova, 200 capponi, 200 polli, 45 galline, 200 bottali di vino 141 , un centinaio di forme di for- maggio e una quindicina di seracchi, 120 libbre di cera. Delle cautele da adottare nei confronti di questo elenco parleremo fra poco, ma i dati fin qui raccolti ci permettono, già a questo punto, di ten- tare un esperimento: calcolare cioè, in modo s’intende del tutto appros- simativo, l’ordine di grandezza delle entrate su cui avrebbe dovuto poter contare un vescovo come quello di Vercelli, e paragonarle a quelle dei suoi più diretti concorrenti, i signori più o meno potenti che agivano sullo stesso territorio. Quantificare il valore in denaro delle entrate in natura è complicato, data l’incertezza delle misure e l’estrema variabilità dei prezzi in una congiuntura instabile come quella trecentesca; tuttavia, considerando che uno staio di segale in vari mercati piemontesi negli anni Cinquanta valeva per lo più da 6 a 8 soldi, possiamo stimare che la sola rendita in segale valesse non meno di un migliaio di lire. Per l’avena possiamo supporre un prezzo medio di 4 soldi allo staio, e di conseguenza possia- mo aggiungere circa 200 lire. Il vino oscillava fra i 10 e i 20 soldi lo staio, il che significa che la rendita in vino poteva valere da 500 a 1000 lire 142 . Oltre a tutto questo vi erano poi i fitti, per nulla trascurabili, derivanti dai mulini e i cosiddetti novalia , cioè le decime relative ai terreni di più

139 Nel valutare le entrate in natura uno dei problemi più grossi è quello delle unità di misura. Nel libro dei redditi le misure adottate per tutte le località sono due, di Biella e di Vercelli: nel caso della segale 2800 staia sono alla misura biellese e 300 alla misu- ra vercellese; per l’avena 800 alla misura biellese e 200 alla misura vercellese. 140 Di cui un quinto in farina, il resto intere (così ho tradotto l’espressione viride ). 141 Questa cifra è in difetto perché diversi redditi sono forniti in percentuale. Il bot- tale normale corrispondeva a cinque staia, quello ‘grosso’ a sette. 142 Sono state usate per queste stime le serie dei prezzi riportati in C. R OTELLI , Una campagna medievale. Storia agraria del Piemonte fra il 1250 e il 1450 , Torino 1973, app. D, pp. 271-85.

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recente coltivazione, percepiti per lo più in cereali i primi e in denaro le seconde. Queste due ultime voci presentano maggiori variazioni da un anno all’altro, ma possiamo con buona approssimazione aggiungere 162 lire e 5 fiorini per i proventi in denaro delle decime, e 136 staia di fru- mento, 313 di segale, 280 di avena, 8 di panico, 18 staia di vino per i novalia . I mulini davano poco meno di 2000 staia di segale. In tutto, approssimativamente, un valore di un altro migliaio di lire come minimo. Naturalmente non bisogna dimenticare che a seconda del denaro di riferimento le lire in uso in area piemontese potevano avere valori anche molto diversi: la lira di viennesi usata in area sabauda, e in cui sono espressi i prezzi delle derrate da noi utilizzati come riferimento, valeva circa il doppio della lira di terzoli in uso nella città di Vercelli. Le anno- tazioni nei Libri reddituum , tuttavia, lasciano pensare che le entrate in denaro del vescovo fossero calcolate in lire di pavesi, il cui valore era paragonabile a quello delle lire di viennesi. In totale, e pur con tutti i limiti di una stima così approssimativa, le entrate annue della diocesi si possono calcolare sulla carta a circa 7000 lire, pari, fatte le debite equi- valenze, a 4500 fiorini. Confrontandola con le entrate registrate nei coevi conti di castellania dell’amministrazione sabauda, la cifra risulta diverse volte superiore agli incassi, pur molto variabili da un caso all’altro e da un anno all’al- tro, d’una singola castellania; essa garantiva dunque al vescovo un red- dito decisamente superiore a quello d’un normale consortile nobiliare, e non dissimile da quello di consortili potenti come, poniamo, gli Avogadro o i Valperga, padroni di molti castelli; ma in nessun modo paragonabile a quello d’un conte di Savoia, i cui possedimenti si artico- lavano in un centinaio di castellanie 143 . Vista in questa prospettiva,

143 Cfr. A. B ARBERO , Il ducato di Savoia: amministrazione e corte di uno Stato fran- co-italiano, 1416-1536 , Roma 2002. Se paragoniamo i dati vercellesi con quelli, coevi, della diocesi di Torino, che nelle taxae pro communibus servitiis risulta pagare 300 ff. (cfr. Hoberg, Taxae pro communibus cit., p. 117) ci rendiamo invece conto che la dio- cesi eusebiana era piuttosto ricca: il vescovo Tommaso di Savoia, nell’anno fra il mag- gio del 1353 e il maggio del 1354, incamera: in denaro 639 fiorini in buona moneta, cui si aggiungono 197 lire di viennesi e 261 lire di astensi; 840 fiorini, e 11 lire di vienne- si, per il foro; 89 moggi 7 staia e 1 emina di frumento (cioè 700 staia di frumento), 27 moggi 6 staia e 1 quartirono di segale alla misura di Torino e 13 moggi alla misura di

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anche l’intransigente politica economica e fiscale messa in atto dal Fieschi sin dai primi anni di episcopato, quando sulla diocesi si profila- no già le mire di Visconti e Savoia, appare molto meno discrezionale: si trattò per il presule di una via più o meno obbligata, dalla quale né lo scontento dei poteri soggetti né l’opposizione esplicita di quelli fra loro più attivi avrebbero potuto farlo recedere. Abbiamo fin qui vagliato il contenuto dei registri prendendo in con- siderazione i dati macroscopici, e ignorando volutamente le ambiguità e le incertezze che comporta l’uso di questo tipo di fonte. Da questo punto di vista, paradossalmente, la stima proposta rappresenta al contempo una stima per difetto e per eccesso. Per difetto se consideriamo che que- ste registrazioni censiscono la maggior parte ma non tutti i redditi vescovili: sono contemplati presumibilmente tutti i redditi di natura signorile, fodro e affitti, e buona parte di quelli di natura spirituale come le decime, il cui prelievo non è da dare per scontato in quest’epoca. Le note marginali apposte sugli stessi libri dei redditi, però, sembrano testi- moniare l’esistenza di altri registri deputati ad ospitare prelievi di natu- ra spirituale: a fianco di varie voci, per lo più quando il reddito consiste in libbre di cera, una scritta segnala che il prelievo è stato registrato “inter synodalia” 144 . A differenza di altre realtà come la diocesi di Torino, poi, per la quale disponiamo proprio per gli anni 1353-54 di un rotolo dei redditi, mancano qui i proventi derivanti dall’esercizio del foro ecclesiastico 145 . Il secondo elemento che rende questo totale una stima per difetto riguarda la già citata indeterminatezza di alcune voci contenute nei libri dei redditi: i prelievi variabili da un anno all’altro, per i quali non si specifica l’importo oppure lo si indica in percentuale, sono rimasti per forza di cose esclusi dal conteggio.

Busca (cioè 300 staia circa di segale); 181 moggi 2 staia e 1 emina di avena alla misu- ra di Torino (cioè circa 1500 staia di avena); 39 moggi, 6 staia e 1 quartirone di vino (cioè 320 staia); 89 carri di fieno; 64 libbre di cera. Grosso modo il vescovo di Torino risulta ricavare intorno alle 4000 lire all’anno, di cui più di un quarto è però costituito dai ricavi del foro, che ignoriamo nel caso vercellese. Cfr. sotto, n. 145. 144 Cfr. sopra, nn. 106 e 125. Quelle legate ai terreni di recente messa a coltura, i novalia , sono invece nei libri dei redditi. 145 Cfr. G. C ASIRAGHI , La diocesi di Torino nel Medioevo , Torino 1979 (BSSS 196), edizione del rotolo dei conti alle pp. 142-80.

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Ma il calcolo rappresenta invece una stima per eccesso se spostiamo la nostra attenzione dalle voci allineate in bella calligrafia sotto ogni comunità alle annotazioni decisamente meno curate dei pagamenti, che testimoniano quanto le previsioni della curia siano state disattese. Abbiamo precedentemente discusso il peso della situazione politica contingente, aggravata dalla peste e dalla carestia, sull’efficienza dell’i- stituzione nel gestire la riscossione dei redditi, e tuttavia l’individuazio- ne di questi elementi non ci autorizza a dare per scontato che, in loro assenza, il vescovo potesse effettivamente contare ogni anno sulle entra- te elencate all’inizio. Di fatto non disponiamo di un solo documento che provi, anche per un solo anno, il verificarsi di questa eventualità, e date le caratteristiche generalmente riscontrabili nella finanza tardo-medie- vale - forte sproporzione fra spese ordinarie e straordinarie, peso della guerra, fluttuazioni e imprevedibilità dei bilanci - l’ipotesi che l’econo- mia dell’istituzione funzionasse anche in situazione ottimale con forti oscillazioni delle entrate da un anno all’altro non si può escludere a priori.

b) La gerarchia delle località della diocesi

Con i limiti che abbiamo segnalato, i dati che si possono ricavare dai Libri reddituum permettono comunque di trarre informazioni utili sul funzionamento economico della diocesi. Le pagine che seguono offro- no una sintesi degli spunti emersi dalla schedatura dei libri dei redditi che possono apparire più interessanti e meritevoli di ulteriori approfon- dimenti. Una prima questione riguarda il territorio diocesano che emerge da una fonte di tipo economico come i libri dei redditi. Le località citate sono una trentina: Andorno, Chiavazza, Ronco e Zumaglia, Bioglio, Mosso, Crevacuore, Coggiola, Curino, Masserano, Mortigliengo, Vernato, Occhieppo, Pollone, Graglia, Camburzano, Muzzano, Casaletum 146 , Biella, Santhià, Asigliano, Palazzolo, Saluggia, Cigliano,

146 Il toponimo, invariabilmente riportato in questa forma, è forse da riferirsi a Castelletto, dal momento che la documentazione coeva non attesta alcun comune con questa denominazione.

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Villareggia, Miralda, Moncrivello, Villanova Monferrato, Balzola, Casale S. Evasio, Vercelli 147 . Escludendo Vercelli, dove il vescovo risul- ta percepire solo l’affitto di alcune case poste presso il palazzo episco- pale 148 , constatiamo che le località censite non si distribuiscono unifor- memente sull’intera area diocesana, ma disegnano una sorta di corona intorno a Vercelli, coagulandosi intorno ai quattro centri di Biella, Casale, Moncrivello, Masserano. Dal punto di vista economico il peso di queste quattro aree non è minimamente paragonabile: dal polo di Biella proviene la stragrande maggioranza delle entrate, segue quello di Masserano e in ultima battu- ta Moncrivello e Casale. La natura delle entrate varia: nelle località meridionali della diocesi - Casale, Balzola, Villanova - il vescovo rica- va per lo più fitti dal possesso della terra, reddito incrementato nella sola Casale dai proventi della curadia e del porto 149 . Le quattro comunità del polo più occidentale - Cigliano, Moncrivello, Miralda, Villareggia - for-

147 La terminologia connessa alle località non si discosta da quanto previsto - comu- ne per la generalità dei casi, civitas per Vercelli -, fatta eccezione per Vernato e Salussola ai quali è inoltre associato il termine corte (nel caso di Vernato si parla anche di mansi: “Comune Vernati cum masis de foris”, cfr. ad es. f. 8v). Nei redditi di Crevacuore - stan- do alla dicitura “Comune Crepacorii cum tota valle” - paiono confluire anche quelli pre- levati dai piccoli insediamenti dislocati nella vallata. Altra peculiarità riguarda l’attesta- zione, interna alle voci di alcune località come Mosso e Coggiola, dei redditi versati da comunità poste nelle vicinanze, anch’esse organizzate a comune: Veglio nel primo caso, Rivò nel secondo. 148 Non sappiamo se fra queste vi sia già l’abitazione segnalata fra i possessi del vescovo nel 1376-77, in precedenza abitata da Antonio Tizzoni, membro della principa- le famiglia ghibellina vercellese: un documento del 13 ottobre 1376 è stato redatto “in vicinia S. Juliani in domo habitacionis r.d. episcopi vercellensis et comitis in qua habi- tare solebat Antonius de Titionibus”, probabilmente la stessa casa dove viene redatto un altro documento del 7 gennaio 1377 “in vicinia S. Juliani in domo habitacionis domini episcopi scita prope ecclesiam Sancti Francisci ordinis fratrum minorum”; cfr. D. ARNOLDI , Vercelli vecchia e antica , Vercelli 1992 (ed. or. 1929), p. 115 n. 117. Se, come parrebbe, siamo di fronte ad un trasferimento di proprietà da un esponente della fazio- ne ghibellina al capo di quella guelfa, la vicenda potrebbe forse essere in relazione con la sconfitta che i Tizzoni subirono proprio ad opera del vescovo, alleato con i Savoia, negli anni precedenti. 149 Balzola, Villanova, Casale e Vercelli, le ultime quattro località della lista, costi- tuiscono una categoria a sé stante perché sono località nelle quali il vescovo percepisce esclusivamente dei fitti e sulle quali, anche se questa espressione è usata solo in riferi- mento a Villanova e a Balzola, “episcopus non habet iurisdictionem”.

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niscono cereali, per lo più segale e avena, vino e pollame. Il gruppo di località a nord-est della diocesi, fra cui spiccano per importanza Masserano e Crevacuore, si contraddistinguono per i proventi del vino, i formaggi e gli affitti dei pascoli. Infine nel grosso gruppo di località intorno a Biella le derrate, in gran parte raccolte nel castello di Zumaglia, coprono l’intero spettro dei beni in natura nominati nei libri dei redditi, con particolare riguardo per avena, segale, noci, castagne e formaggio 150 . Abbiamo più volte sottolineato la discrepanza fra quanto richiesto e quanto effettivamente percepito dalla mensa episcopale, e infatti la gerarchia delle località, nel momento in cui si sposta l’attenzione sui pagamenti, cambia notevolmente. A fornire il maggior sostegno econo- mico nei decenni di crisi coperti dalle nostre fonti sono indubbiamente le località della zona nord-orientale della diocesi, intorno a Masserano e Crevacuore. Ridotti al lumicino i prelievi nell’area biellese, dato lo stato di ribellione di quegli anni, queste comunità rappresentavano il princi- pale bacino di ricchezza rimasta a disposizione del vescovo. Anche Moncrivello è a quest’epoca uno dei castelli vescovili più importanti, e i conti dei libri dei redditi dimostrano che le sue risorse sono essenziali nella guerra condotta dal vescovo contro il comune di Biella. E’ dunque particolarmente significativo che subito dopo l’episcopato di Giovanni e la definitiva perdita dell’area biellese proprio l’area di Masserano e Crevacuore e quella di Moncrivello siano state privatizzate dai Fieschi, che riuscirono a farsene investire in feudo dal papa, sancendo il defini- tivo smantellamento della signoria vescovile 151 . Altro elemento utile a definire l’importanza relativa dei diversi cen- tri è l’entità del fodro, di gran lunga il più importante fra i pagamenti in denaro e che, sebbene la consuetudine ne facesse un’imposta standar-

150 Vi sono poi alcuni redditi che costituiscono delle peculiarità delle singole loca- lità: è il caso della “neve” fornita da Andorno, probabilmente per la conservazione dei cibi; dei sette “clapinos caballi spagnolii” che deve versare Crevacuore sembra in occa- sione della ferratura dei cavalli; del versamento in denaro dovuto da Bioglio ogni volta che l’imperatore viene in Lombardia; delle torrentinas (trote?) fornite da Crevacuore e Bioglio. 151 Cfr. il contributo di Alessandro Barbero in questo stesso volume, § 7.a, e R. DE ROSA , I Fieschi feudatari di Moncrivello (XIV-XV sec.) , in «Bollettino Storico Vercellese», 64 (2005), pp. 5-22.

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dizzata, dovrebbe essere in qualche misura proporzionale alla popola- zione del luogo. Di tutti i redditi elencati il fodro, che è anche costante- mente il primo della lista, è quello prelevato con maggiore regolarità: nonostante i frequenti ritardi e le mancanze nei pagamenti che contrad- distinguono le registrazioni nel loro complesso, le annotazioni segnala- no per questa specifica voce un prelievo per lo più regolare, effettuato nell’anno in corso e relativo all’intera somma stabilita. Com’è prevedibile, le 2300 lire che ricava il vescovo non sono affat- to distribuite in modo omogeneo nella trentina di località censite. Alcune - Biella, Vercelli, Coggiola, Casale, Balzola e Villanova: delle ultime due si specifica che il vescovo “non habet jurisdictionem” - non versano questa imposta 152 . Fra le rimanenti è possibile individuare fasce omogenee: vi è un gruppo di località che pagano una somma pressochè irrisoria, al di sotto delle 30 lire (Occhieppo, Cigliano, Casaletum , Miralda, Villareggia), un secondo gruppo che si colloca fra le 30 e le 60 lire (Camburzano, Saluggia, Asigliano, Muzzano, Moncrivello, Vernato, Ronco e Zumaglia, Chiavazza), un terzo intorno alle 100 lire (Santhià, Masserano, Curino, Mosso, Pollone, Graglia), un ultimo gruppo oltre le 200 lire (Mortigliengo, Bioglio, Crevacuore). Del tutto isolato il comu- ne di Andorno, con un esborso nettamente superiore a tutti gli altri, pari a 420 lire. Il primato di Andorno nel pagamento di questa tipica imposta di natura signorile - la comunità copre da sola più di un sesto delle entrate vescovili per questa voce - merita un commento. Non disponiamo di confronti per il passato in merito a questo specifico aspetto, ma lo scon-

152 Il più anomalo fra questi è sicuramente il caso di Biella. Non sembra che il man- cato pagamento del fodro al vescovo dipenda dal fatto che negli anni Cinquanta la città era, in teoria solo provvisoriamente, in mano ai Visconti: altrimenti non si spieghereb- be perché l’imposta non è richiesta neanche nel 1377, quando il comune, stando a quan- to stabilito nella pace del 1376, è sicuramente tornato sotto l’egida vescovile. Forse la spiegazione va cercata molto più addietro, nei patti fra la comunità e il vescovo Uguccione che seguirono la fondazione della villanova del Piazzo e che costituirono la premessa per la nascita del comune biellese. L’investitura concessa dal vescovo in que- st’occasione, che comportò il trasferimento di alcuni banni signorili alla comunità, non è chiarissima in merito alle rispettive competenze, ma fra i banni che il vescovo elenca come propria prerogativa il fodro non è più contemplato ( Carte , I, p. 18, doc. 12). Nel caso di Coggiola è perché “fuit alioquin de iurisdicione Vercellarum” e non si sa quan- to deve versare (tuttavia Rivò, comune segnalato all’interno della stessa voce, lo paga).

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tro trentennale fra Biella e i vescovi di Vercelli può aver aperto per Andorno, centro non molto distante e per molti aspetti assimilabile a Biella, la possibilità di mutare la sua posizione nei confronti dell’auto- rità vescovile 153 . Anche un particolare non insignificante come l’ordine in cui le varie comunità sono registrate nei libri dei redditi sembra con- fermare il ruolo altalenante dei due centri nella considerazione del pote- re vescovile: in tutti i registri degli anni ‘50, la cui redazione comincia proprio nella fase di più acuto contrasto con il comune di Biella, Andorno figura come la prima comunità dell’elenco, mentre Biella si trova solo al ventesimo posto; nell’ultimo registro del 1377, redatto quando Biella è tornata in mano vescovile, è quest’ultima località a inaugurare la lista 154 .

c) Le spese di trasporto

L’organizzazione dei registri permette anche di analizzare i costi per il dislocamento delle derrate nei magazzini del vescovo. Le voci che si susseguono per ogni comunità variano ovviamente da un caso all’altro, adattandosi alle specificità locali, ma le prime due di ogni elenco sono costantemente le stesse: si tratta del fodro e dei ficta in denariis , cioè i prelievi percepiti in moneta e non in natura. Sono i pagamenti annotati sotto queste due voci che ci segnalano una specificità nella percezione dei redditi della chiesa vercellese: le spese di trasporto dei beni in natu- ra nei magazzini vescovili, come vedremo tutt’altro che lievi, sono a carico del vescovo e non delle comunità, e sono dedotte appunto dai pagamenti in denaro. Per questo il fodro e i fitti in denaro presentano sovente delle voci in negativo.

153 Una serie di documenti conservati nell’archivio di Biella testimoniano, contem- poraneamente all’acuirsi della tensione fra le due controparti, una consistente serie di investiture a uomini del luogo (investiture del 7, 8, 12, 16, 26 gennaio; 6, 11 febbraio; 3, 4, 24, marzo; 20, 22, 29 aprile; 3, 26 maggio; 3 luglio; 3, 6, 12, 17, 19 agosto; 23 novembre 1346, fino al 2 gennaio 1347, in Carte , IV, p. 51, doc. 28). 154 Nel secolo successivo, quando entrambe le comunità sono ormai sotto il dominio sabaudo, questa rivalità fra Andorno e Biella è pienamente confermata, e Andorno si dimostra l’unico centro in grado di ostacolare efficacemente, anche se non per molto, l’egemonia di Biella sull’area.

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Quest’ultimo aspetto del prelievo vescovile non è affatto marginale, perché proprio la necessità di gestire fisicamente i beni in natura, tra- sportandoli dalle comunità in cui erano raccolti ai depositi del vescovo, determina il sistematico dirottamento di parte delle entrate vescovili nelle mani di chi si occupava di queste questioni. Le voci che si incon- trano costantemente nei Libri reddituum sono “recollecta” - cioè il lavo- ro svolto da chi si occupava di raccogliere le varie entrate in una loca- lità - e “conductura” - vale a dire le spese di trasporto, decisamente le più incisive. Per fare un esempio concreto, nel 1352 sulle 25 lire e 12 soldi che il comune di Chiavazza versa annualmente come fitti in denaro, poco meno della metà (10 lire e 12 soldi) rimangono nelle mani del gastaldo: in minima parte - 2 lire e 1 soldo - “pro sua recollecta”, e il resto per il trasporto del vino al castello di Zumaglia. Mentre il lavoro di colletta può essere ricompensato in natura o in denaro, le spese di trasporto sono risolte quasi sempre in quest’ultima modalità 155 , e questo rende conto del fatto che risultano costantemente registrate in negativo sotto la voce dei fitti in denaro o del fodro. Le poche situazioni in cui è possibile operare dei confronti signifi- cativi sembrano confermare che l’entità delle trattenute per questa voce è proporzionale alle distanze da coprire: così il trasporto di 8 botti di vino da Curino a Crevacuore viene pagato il doppio, 4 lire, rispetto alla stessa quantità di vino trasportata da Curino a Masserano.

d) Il personale

Per gestire le operazioni di prelievo, per trasportare le derrate nei magazzini del vescovo, per tenere aggiornati i conti era ovviamente necessario il lavoro di molte persone. La figura principale, che coordi- na e organizza tutte le operazioni di raccolta, è un personaggio il cui nome completo è trascritto in altre sedi in modo assai curioso, Iohannes Thoela de Lobede , una peculiarità che si spiega col fatto che si trattava

155 Fa eccezione ad es. Masserano nel 1352, dove il lavoro dei muli che hanno tra- sportato il vino durante la vendemmia è ricompensato in avena.

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d’un tedesco: nei libri dei redditi è sempre citato come Giovanni Alamanno 156 . Da una delle brevi introduzioni che inaugurano ogni regi- stro ricaviamo che l’ufficio di “camerarium et exactorem” vescovile gli è stato attribuito il 3 settembre del 1351 157 , ma figura ininterottamente vicario del vescovo dal 1350 al 1377 158 ; è lui che rappresenta il Fieschi nelle varie fasi della causa contro Biella, è lui che redige l’intera serie dei registri degli anni Cinquanta 159 . La precisione con la quale vengono indicati i nomi di chi versa come di chi riceve le entrate sta ad indicare la chiara volontà di avere riferi- menti precisi per tutta la filiera che conduce il bene fino alla sua desti- nazione finale. Ad esempio Giovanni Alamanno si preoccupa di distin- guere chi prende atto del pagamento da chi prende materialmente in consegna i beni, oppure i casi in cui un castellano si occupa di ricevere i proventi fuori dalla sua sede specifica 160 ; o ancora quelli in cui chi con- segna il pagamento si è occupato anche della sua verifica 161 .

156 La notizia del nome originale dell’Alamanno è data da Luigi Borello curatore del IV volume de Le carte dell’archivio comunale di Biella : cfr. Carte , IV, doc. 32, p. 83. 157 La dicitura presente in capo ad ogni fascicolo, con i dovuti aggiornamenti per quanto riguarda la datazione, recita: “In isto quaterno continentur omnia fodra et ficta comunium et singularium personarum ipsa fodra et ficta solvere debencium de anno 1354 et exigenda per me Iohannem Alamanno maiorem ecclesiae Montiscaprilli came- rarium et exactorem Reverendi in Christo patris et domini Iohannis de Flischo episcopi Vercellensis et comitis, ut de mee camerarie et exactorie officio constat publico instru- mento tradito per Antonium de Verrucha notarium publicum anno domini 1351 indic- tione quarta die tercio septembris”. 158 Cfr. Carte , IV, p. 83, doc. 32. 159 L’impegno dell’Alamanno sul duplice fronte fiscale e giudiziario concorda pie- namente con le acquisizioni dell’ultima storiografia in merito a questa figura: cfr. G. CHIRONI , La mitra e il calamo , Roma 2005, p. 47 e n. 40. 160 Ad esempio nel 1352 il comune di Bioglio consegna la quantità dovuta di for- maggi all’Alamanno, “accipiente” il castellano di Zumaglia. 161 Sembra infatti che quando l’annotazione del pagamento ricorre alla formula “x solvit nomine y” non si intenda, come verrebbe immediato pensare, che chi consegna il reddito sta facendo da intermediario fra il “contribuente” e il destinatario ultimo del pagamento - ad es. il gastaldo consegna all’Alamanno, “a nome del comune”, la tal somma - bensì si intenda che chi sta consegnando non si è materialmente occupato della ricezione del pagamento (e quindi, potremmo aggiungere, della sua verifica) ma si limi- ta a trasferire un bene della cui rispondenza alle aspettative della camera vescovile non è responsabile.

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Il personale che ruota attorno al camerario è molto articolato: in ogni località vi sono uno o più individui - il gastaldo, il castellano, ma a volte anche un console o individui privi di qualsivoglia qualifica 162 - che si incaricano di raccogliere i proventi comunali per poi consegnarli nelle mani degli ufficiali più strettamente legati al vescovo. Nel caso dei red- diti provenienti da terre affittate a privati è invece quasi sempre lo stes- so titolare a consegnare la somma. A ricevere la consegna, sia dei pro- venti della comunità nel suo complesso sia dei privati, è in genere lo stesso Giovanni Alamanno, che poi provvede, parlando in prima perso- na, a riportare la voce del pagamento sui registri 163 . Sappiamo dal regi- stro del 1377, che ne conserva ancora qualcuna cucita fra le carte, che la consegna era inizialmente registrata su striscioline di carta, sulle quali si indicava sinteticamente il nome di chi consegnava il provento, il nome di chi lo riceveva, l’entità dello stesso e la data.

162 I gastaldi sono generalmente uno per ogni località, ma nei centri più importanti come Biella, Bioglio, Mosso, Crevacuore se ne parla al plurale, e quando è possibile verificarne il numero si tratta solitamente di due individui. Si verifica facilmente la costante presenza nei vari anni degli stessi individui: per Andorno fino al 1357 è un tale Brixanus ; per Zumaglia, cui è collegato il comune di Ronco, è segnalato un gastaldo, Guglielmo Re, un castellano, Manfredino, e il prete Ruggero, che non è qualificato altri- menti ma è anche, con l’Alamanno, uno dei destinatari ultimi dei prelievi vescovili; per Bioglio vi sono due gastaldi (Guglielmo Sanius e Pietro Gallo), per Mosso Giovanni de Ubertoto e Gisulfo Birreca; per Crevacuore vi sono due gastaldi - Aymo Moreria e Pietro Bianco - e un castellano, Nicola di Casanova; a Curino Nicolino Fava; per Masserano Giovanni Bozio; a Occhieppo Giovanni de Ostachiis ; a Pollone Martino de Vegliano ; Bongiovanni Vanifora per Asigliano; per Biella i Tarditi; a Moncrivello un castellano, Gerardino di Boli, e un gastaldo, Bartolomeo Manaria; a Casale Bertramo Grasso; un non meglio identificato Bongiovanni per Muzzano. Vi sono poi comuni in cui non sempre risulta attivo un gastaldo, ad esempio del prelievo a Coggiola si occupa il gastaldo di Crevacuore, del comune di Vernato il gastaldo della vicina Occhieppo (probabilmente perché i “mansi” connessi al comune di Vernato - la sezione dedicata a questo comune si intitola “comune Vernati cum masiis de foris” - sono per l’appunto a Occhieppo); anche per Mortigliengo non sembra essere attivo un gastaldo. Di Graglia, Casaletum , Villanova, Balzola, Palazzolo, Villareggia, Saluggia, Santhià e Camburzano, anche quando sede di un gastaldo, non è stato possibile identificarne il nome. Nulla si può dire dei tanti personaggi citati quali consegnatori di redditi ma senza alcuna quali- fica, tranne che in alcuni casi i loro cognomi li rendono identificabili come detentori di terre ecclesiastiche e quindi, dato l’obbligo di investitura che questa caratteristica com- portava, ufficialmente inquadrati nella clientela vescovile. 163 Con la formula “solvit mihi Johanni Alamanno”.

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A volte a ricevere il versamento non è l’Alamanno ma uno degli indi- vidui addetti alla gestione dei vari depositi del vescovo 164 : dalla fre- quenza con cui sono citati i gastaldi e i castellani di questi luoghi, pos- siamo dedurre che i principali magazzini si trovavano nei castelli di Biella, Zumaglia, Crevacuore e Masserano.

e) Un reddito particolare: novalia e mulini.

I cosiddetti novalia , cioè le decime sui proventi delle terre di più recente messa a coltura 165 , e i redditi provenienti dai mulini costituisco- no due categorie a sé stanti, censite autonomamente rispetto alle singo- le località e poste al termine di ogni singolo registro annuale. La ragio- ne di ciò, probabilmente, è nel caso dei mulini la maggiore articolazio- ne delle registrazioni di pagamento, mentre nel caso delle decime “nuove” il fatto che il numero di località interessate da questo prelievo era molto più ampio - quasi il doppio - rispetto a quelle su cui il vesco- vo poteva vantare diritti signorili 166 . Nel caso di queste ultime, quindi, si procedeva a registrare la voce novalia sotto il comune, generalmente senza il pagamento, aggiungendo a lato un appunto - del tipo posite sunt postea 167 - che rimandava alla sezione in calce al registro.

164 Si tratta comunque di personaggi al vertice della gerarchia ecclesiastica, è il caso di Pietro de Anoliis e del prete Ruggero, individui che detengono un ruolo di primo piano nella curia sin dall’episcopato di Emanuele Fieschi (cfr. ad es. doc. del 3 luglio 1343, dove figurano il primo quale procuratore del vescovo e il secondo come testimo- ne dell’atto). 165 Si tratta cioè delle terre interessate dal boom dei dissodamenti che caratterizza il Basso Medioevo e i cui proventi erano perciò distinti dalle decime di più antica riscos- sione. 166 Le località sono: Andorno, Chiavazza, Ronco e Zumaglia, Bioglio, Mosso, Crevacuore, Curino, Masserano, Mortigliengo, Roasio, Gattinara, Casal del Bosco, Landiona e Burgum Vetus , Biandrate, Castellazzo, Arborio e Lenta, Rovasenda, Oldenico e Forcanda , Buronzo, Casaleggio, Galgarengium , Castelletto e Gifflenga, Massazza, Vernato, Occhieppo e Sordevolo, Camburzano, Pollone, Graglia, Mongrando, Donato e Netro, Suliacho , Viverone, Magnano, Roppolo, Cavaglià, Borgo d’Ale, Moncrivello, Cigliano, Saluggia, Trino, Tricerro, Ronsecco, Rosasco, Vettigné, Salasco, Monformoso, Odengium , Odalengo, Lozzolo, Muzzano, Sillarengo, Villanova, Santa Maria di Baona, Livorno. 167 Vedi ad esempio Andorno, registro del 1356.

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Nel Trecento il grosso delle entrate vescovili relativo alle decime deriva proprio dai novalia , mentre le decime cosiddette veteres hanno un ruolo decisamente marginale: che non godessero di molta considera- zione lo segnala il modo stesso in cui sono definite - sempre dopo la sezione dedicata ai novalia , con espressioni vaghe del tipo quedam deci- ma vetus e simili. Anche in questo caso riscontriamo il consueto scarto fra le voci e i rispettivi pagamenti: ancora più che nel resto dei registri, sembra di notare qui la volontà di predisporre un elenco aggiornato delle prerogative vescovili, più che uno strumento per la loro concreta esa- zione. In alcuni casi le voci si susseguono l’una all’altra senza quasi pre- vedere il necessario spazio per la registrazione del pagamento, e le loca- lità in cui effettivamente avviene il prelievo sono sempre le stesse. Rispetto alle 61 località elencate come fonte di un reddito proveniente dai novalia , meno della metà lo forniscono effettivamente. I novalia sono gestiti in due modi: con un prelievo diretto del vesco- vo, o tramite affitto, che a sua volta poteva essere concesso al rettore della chiesa locale (in tal caso l’affitto è sovente perpetuo e la somma sembra minima), al comune del luogo (è il caso di Ronco e Zumaglia, di Borgo d’Ale) o ad un privato. In alcuni casi di privati si specifica che l’affitto è temporaneo (ad esempio a Rovasenda per nove anni, a Casaleggio per un anno), e in diversi casi la voce reca traccia dei suc- cessivi affitti (ad esempio la decima di Tricerro, prima affittata ad un privato di Ronsecco, poi al rettore della chiesa del luogo). Spicca per il numero di località affidate la famiglia de Arborio , che si occupava di raccogliere i novalia per Landione, Burgum vetus , Arborio, Lenta, Gattinara.

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CONCLUSIONE

Rispetto all’intento originario, la parte di questo contributo che ha incontrato più ostacoli è quella che prevedeva un’analisi di tipo compa- rativo. Un proposito che è stato solo parzialmente realizzato a causa della difficoltà di instaurare un dialogo con lavori omogenei, da porre come utili termini di raffronto per il caso vercellese: nel campo specifi- co dell’economia vescovile tardomedievale a un’oggettiva carenza di studi 168 si somma infatti l’assenza di un vocabolario condiviso. Basta pensare che anche sotto l’etichetta di Liber reddituum , comunemente usata nei lavori sull’argomento, finisce per raccogliersi una congerie molto diversificata di oggetti 169 . Ad esempio, nel caso di quello del capi- tolo della chiesa di S. Maria di Muggia Vecchia (Trieste) si tratta di un fascicolo pergamenaceo (1393-1423) che raccoglie una serie di atti a favore dello stesso capitolo. Nel caso del capitolo di Aosta si tratta di un codice in folio del 1302 articolato in varie sezioni - redditi della prepo- situra, dell’arcidiacono, dei canonici, i refectoria , le luminarie - fra cui quella dedicata alle “recognitiones feudorum ecclesie Auguste” sembra avvicinarsi al caso vercellese 170 . La carenza di edizioni per questa specifica tipologia documentaria - le fonti di tipo economico, sovente di dimensioni consistenti e al con-

168 Se anche negli ultimi decenni si è assistito ad una notevole ripresa di interesse per lo studio degli aspetti economici delle istituzioni ecclesiastiche, a beneficiarne sono ancora ed esclusivamente i primi secoli bassomedievali, mentre gli studi sul Trecento scarseggiano: cfr. S. M ERLI , “Qui seminat spiritualia debet recipere temporalia”. L’episcopato di Città di Castello nella prima metà del Duecento , in «Mélanges de l’É- cole française de Rome, Moyen âge», 109 (1997), 269-301, a p. 270 e n.3. Scarsità di studi che sembra caratterizzare anche il panorama storiografico relativo all’età moder- na: C. D ONATI , Curie, tribunali, cancellerie episcopali in Italia durante i secoli dell’età moderna: percorsi di ricerca , in Fonti ecclesiastiche per la storia sociale e religiosa d’Europa: XV-XVIII secolo , a cura di C. N UBOLA e A. T URCHINI , Bologna 1999, pp. 213- 229, alle pp. 213-15 e 228. 169 F. C OLOMBO , Il ‘Liber reddituum Capituli collegiatae ecclesiae sancte Mariae de Castro Muglae’ (1393-1423) , in «Atti e memorie della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria», 74 (1974), pp. 205-240. Il fascicolo è intitolato “Quaternus sive liber in se continens omnes et singulos redditus capituli colegiate ecclesie sancte Marie de castro Mugle et bona quaeque immobilia pertinentia dicto capitolo”. 170 Cfr. l’introduzione di Anna Maria Patrone al Liber reddituum capituli Auguste , a cura della medesima, Torino 1957, pp. 7-27, in particolare p. 21.

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tempo ripetitive e monotone, sono particolarmente svantaggiate da que- sto punto di vista -, rappresenta un altro forte ostacolo per un approccio di tipo comparativo. Dato questo stato di cose, cui da tempo si chiede di porre rimedio 171 , forse proprio il contesto vercellese, che si è sempre dimostrato ricco di iniziative non solo sul piano storiografico ma anche in quello più macchinoso delle edizioni di fonti, potrebbe aprirsi ad un esperimento in controtendenza. Anche in considerazione dell’importan- za rivestita dal vescovo Giovanni Fieschi per la storia della chiesa ver- cellese e non solo, potrebbe avere senso completare l’opera iniziata ormai tanti anni fa da Domenico Arnoldi, affiancando al Libro delle investiture un altrettanto prezioso Libro dei redditi della chiesa vercel- lese.

Appendice. La questione delle ville a giurisdizione mista

Una delle difficoltà che si incontrano nel valutare i pesi relativi delle varie comunità nelle entrate vescovili è costituita dalle misure in cui sono espressi i versamenti in natura - principalmente quelle di Biella e di Vercelli -, perché non se ne conosce con precisione il rapporto reci- proco. L’analisi di come le misure vercellesi e biellesi si distribuiscono nelle varie località censite dai libri dei redditi ha fatto però emergere una questione specifica, che nonostante la fase ancora iniziale delle indagi- ni penso sia utile accennare già qui. La questione è la seguente: ci si

171 Già una ventina d’anni fa Alberto Grohmann, facendosi promotore dell’edizione di una fonte fiscale importante come la Libra di Perugia, lamentava in relazione alle ulti- me tendenze della storiografia medievale di matrice economica, e in opposizione a quanto accadeva nel primo Novecento, un “graduale quanto progressivo distacco d’in- teresse [...] per la documentazione archivistica”, che aveva lasciato esclusivamente a paleografi e diplomatisti il campo delle edizioni critiche dei documenti: A. G ROHMANN , Il documento perugino nel panorama degli estimi italiani del secolo XIII , in L’imposizione diretta nei comuni dell’Italia centrale nel XIII secolo. La Libra di Perugia del 1285 , Roma 1986, pp. 1-2. Lo stesso concetto è ribadito una decina d’anni dopo in merito allo studio delle fonti censuarie, in I D., Le fonti censuarie medievali: bilancio storiografico e problemi di metodo, in Id. (a cura di), Le fonti censuarie e cata- stali tra tarda romanità e basso medioevo (Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, San Marino) , San Marino 1996, pp. 14-53, alle pp. 14-15.

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aspettava inizialmente di trovare le misure biellesi nelle località prossi- me a Biella, e quelle vercellesi nelle località più prossime a quest’ulti- mo centro; in altre parole, che le attestazioni geogafiche delle varie misure ricalcassero grosso modo le sfere di influenza dei due maggiori centri della diocesi. In realtà, in diverse località del Biellese - parliamo di Chiavazza, Bioglio, Mosso - sono attestate entrambe le misure, e nel caso di Chiavazza il prelievo di un singolo reddito è richiesto parte alla misura vercellese e parte alla misura biellese. Questa peculiarità, appa- rentemente marginale, si connette in realtà con un tema di grande inte- resse e finora poco studiato, le ville a giurisdizione mista 172 . La compresenza di misure che si riscontra nelle tre località biellesi ha infatti a che vedere con il processo secolare che aveva portato il comune vercellese a costruire ed ampliare un proprio districtus ai danni della signoria ecclesiastica. In alcuni casi gli sforzi del comune per sostituirsi al vescovo nel controllo dei vari centri della diocesi erano riu- sciti solo parzialmente: in un certo numero di località della chiesa - fra le quali Chiavazza, Bioglio e Mosso - si era così giunti, a partire dalla seconda metà del Duecento, all’instaurarsi di una doppia giurisdizione, spartita fra chiesa eusebiana e comune di Vercelli. Le premesse per il verificarsi di questa situazione vanno probabilmente individuate nel 1243: in quell’anno il comune vercellese, in cambio della sua adesione al partito guelfo, acquista con il consenso papale la giurisdizione su un consistente gruppo di località appartenenti alla chiesa, per la somma di 9000 lire pavesi 173 . Fra queste ritroviamo tutte le ville sulle quali la documentazione dei due secoli successivi attesta una doppia giurisdi-

172 Cfr. F. P ANERO , Una signoria , cit., p. 169, e I D., Due borghi franchi padani. Popolamento ed assetto urbanistico e territoriale di Trino e Tricerro nel secolo XIII , Vercelli 1979, p. 50-51, e Terre in concessione e mobilita contadina: le campagne fra Po, Sesia e Dora Baltea, secc. XII e XIII , Bologna, 1984, p. 117 e n. 49, p. 162 n. 39. Il tema è toccato anche dai saggi di Federica Cengarle (cfr. testo in corr. delle note 46-50) e Alessandro Barbero (testo in corr. delle nn. 64 e 126, e par. 7.b); a quest’ultimo devo numerose segnalazioni di documenti relativi a questa questione. 173 BB, 1/1, 89: le località oggetto della vendita sono Andorno, Asigliano, Biella, Biella Piazzo, Bioglio, Camburzano, Casale Aquarti, Chiavazza, Cigliano, Coggiola, Crevacuore, Curino, Flecchia, Fregaria, Gaglianico, Graglia, Guardabosone, Masserano, Miralda, Moncrivello, Mortigliengo, Mosso, Muzzano, Occhieppo, Palazzolo, Pollone, Ponderano, Ronco Biellese, Saluggia, Sandigliano, Santhià, Sordevolo, Uliaco, Zumaglia.

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zione: Santhià, Crevacuore, Coggiola (prime attestazioni nella seconda metà del Duecento) 174 , Bioglio, Masserano, Curino e Mosso (prima metà del Trecento) 175 , Chiavazza, Occhieppo superiore, Sordevolo (seconda metà del Trecento) 176 . La documentazione tre e quattrocentesca dimostra che le ville miste sono da considerare una realtà strutturale di lunghissima durata 177 . I con-

174 Per Santhià: doc. del 15 dicembre 1268, Giovanni Guambello “qui habitat in loco Sanctae Agathe super iurisdicione ecclesie Vercellensis et episcopatus, quo iverat habi- tatum de iurisdicione comunis Vercellarum super quam prius habitabat in predicto loco Sanctae Agathe volens redire ad habitandum super iurisdicione dicti comunis Vercellarum in predicte loco Sanctae Agathe” (BB I/3, doc. 534; la doppia giurisdizio- ne vescovo-comune a Santhià è attestata in altri documenti, tutti del 1268: cfr. ivi, docc. 531-532-535-536-537-540); Crevacuore e Coggiola: doc. del 1279, inchiesta del comu- ne di Vercelli per verificare i possessi di giurisdizione vercellese “que sunt in terris comunibus cum domino episcopo vercellensi”: BB, II/2, doc. 388. 175 Per Bioglio vedi Arnoldi, Investiture , doc. 3 (marzo 1349): “[…] dicti locii Bedulii utriusque iurisdictionis tam dicti domini electi et ecclesie Vercellensis quam comunis Vercellarum”; per Mosso e Curino vedi libro dei redditi, 1357, rispettivamen- te ff. 88v e 90v, dove sono segnalate per ognuna delle località due voci, di cui una rela- tiva alla parte precedentemente sottoposta a giurisdizione vercellese (“quod fuit ali- quando iurisdictionis comunis Vercellarum”); per Masserano: 18-28 febbraio 1340, il comune di Masserano nomina procuratori per trattare col comune di Vercelli questioni relative al mercato locale, e ottiene di tenere mercato ogni mercoledì, in una parte del luogo che sia in terra di giurisdizione vercellese (“super terra iurisditionis Vercellarum tantum”), BB 2/2, docc. 525-7. 176 Per Sordevolo: 30 gennaio 1388, supplica “pro parte paucorum hominum qui habitant locum Sordevoli iurisdictionis vestre civitatis Vercellarum, quod ipse locus est miste iurisdicionis videlicet communis et ecclesie Vercellensis”, in ASCV, Ordinati, vol. 1, f. 29; per Occhieppo: 3 giugno 1396, supplica di tre Dal Pozzo “ex nobilibus de Oclepo superiori, ut cum soli se inveniant in ipso loco Oclepi in manutenendo et defen- dendo iurisdictionem illustrissimi domini nostri etc. et comunis Vercellarum”, in ASCV, Ordinati, vol. 2, f. 25; per Chiavazza: doc. del 15 marzo 1399, supplica di Giovanni Troiano di Chiavazza “qui solus manutenet iurisditionem Vercellarum in loco Clavazie”, in ASCV, Ordinati, vol. 3, f. 28. 177 Come prova, fra l’altro, lo stabilizzarsi nei documenti di espressioni quali “terre comunes” e “ville miste”, segno che i luoghi caratterizzati da una doppia giurisdizione erano percepiti e trattati come una categoria a sé stante: già nel 1279 compare la dicitu- ra “terris comunibus” (cfr. sopra, n. 172), mentre più tardi compare l’espressione “villis mistis”, attribuita alle località di Mosso, Lessona, Sostegno, Chiavazza, Trivero, Coggiola, Sordevolo (in un documento non datato, ma attribuibile al 1429, ASB, Comune, b. 12, f. 5); in un documento del 17 marzo 1432 si definisce “misturam iuris” la giurisdizione mista nelle località di Mosso, Bioglio, Chiavazza e Sordevolo (ivi, f. 6).

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tinui sforzi del comune vercellese per occupare le terre della chiesa e la resistenza opposta dai vescovi rendono estremamente fluttuante e quin- di difficile da seguire l’evolversi della situazione per le singole località, che a volte sembrano perdere la loro doppia natura, ma non riescono né da una parte né dall’altra a raggiungere acquisizioni stabili 178 . Neanche quando, verso la fine del Trecento, al vescovo vercellese e al comune si sostituiranno i Savoia e i Visconti, titolari di un potere a scala regionale e di mezzi e strumenti di governo ben diversi, le ambiguità di giurisdi- zione di queste località saranno risolte 179 . Ancora negli anni ‘20 e ‘30 del Quattrocento, quando il Vercellese è ormai interamente in mano ai Savoia, diviso fra un’area d’influenza biellese e una d’influenza vercel- lese, continuano a sussistere diverse località a doppia giurisdizione, con i problemi amministrativi che ne conseguono. Nel 1429, due anni dopo che Vercelli è passata ai Savoia, Mosso, Chiavazza, Lessona, Sostegno, Trivero, Coggiola e Sordevolo presentano appello al duca, chiedendo l’attribuzione alla podesteria di Biella invece che a quella vercellese, rivendicata dal podestà Aimonetto di Brozio 180 . Risulta che in queste località, designate con l’espressione “ville miste”, una parte degli abi- tanti era finora soggetta alla giurisdizione di Vercelli, e dunque ai Visconti, mentre una parte, di solito preponderante, era soggetta ai Savoia - si fa l’esempio di Chiavazza, nella quale dei 60 fuochi presen- ti 10 ricadono sotto giurisdizione vercellese. Questa situazione provoca le ambiguità e i disguidi che si possono immaginare: gli individui col- pevoli di crimini sfuggono alla punizione “se redducendo super alia iuri-

178 Ad esempio nel 1357 il vescovo di Vercelli sembra aver riacquisito il controllo totale per le località di Coggiola, Mosso e Curino, delle quali segnala i redditi anche per la parte precedentemente soggetta al comune vercellese (vedi libro dei redditi del 1357, rispettivamente ai ff. 90r, 88v e 90v). 179 Negli anni ’80 e ’90 del Trecento Sordevolo e Occhieppo, che formalmente ave- vano fatto dedizione al conte di Savoia, compaiono nei libri delle taglie del comune di Vercelli: cfr. il saggio di Federica Cengarle in questo volume, testo in corrispondenza delle nn. 46 e 50. 180 Lo stesso podestà che rappresenta gli interessi di Vercelli in questa circostanza promuove la redazione di copie dei diplomi imperiali concessi in passato alla chiesa di Vercelli, che il comune intendeva usare, come aveva già fatto in passato, per legittima- re le proprie pretese in qualità di erede della signoria ecclesiastica (in ASCV, Pergamene, n. 1 e AAV, Diplomi).

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sdicione”, cioè spostandosi a seconda della convenienza da una zona all’altra. “Et sic”, continua il documento, “foret una magna confuxio, quod in ipsis villis fietur et exercetur iurisdictio per potestates predicto- rum locorum civitatis Vercellarum et Bugelle” 181 . Ancora nel 1432 il duca di Savoia interverrà per risolvere i problemi creati dalla giurisdizione mista di Bioglio, Mosso, Chiavazza e Sordevolo, che rispondono alla giustizia “pro una parte ipsorum loco- rum sub potestate Vercellarum, pro alia vero parte sub potestate Bugelle”: questa “misturam iuris” è dichiarata dannosa, per cui il duca li unisce alla podesteria di Biella 182 .

181 Doc. del 2 maggio 1429 in ASB, b. 12, f. 5. 182 Doc. del 17 marzo 1432, in ASB, b. 12, f. 6.

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