Brunello Mantelli

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Brunello Mantelli Brunello Mantelli L’Italia fascista 1922-1945 Facci dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato: e mezzi saranno sempre iudicati onorevoli, e da ciascuno laudati. Niccolò Machiavelli, Il Principe ORCHESTRA. Immagine della società.Ognuno fa la sua parte e c’è un capo. Gustave Flaubert, Dizionario dei luoghi comuni Dedico questo libro a Bruno Vasari, antifascista, deportato nel Lager di Mauthausen, militante della memoria e della giustizia. A lui, ed ai suoi compagni di deportazione, devo l’aver appreso cosa, concretamente, abbia voluto dire vivere sotto il tallone di ferro del fascismo. 1 Indice: Capitolo I: Autoritarismo ed irreggimentazione: la via italiana alla modernità p. 3 In guerra in difesa dell’ordine sociale: p. 3 Un futuro dai contorni confusi p. 7 La resistibile ascesa di Benito M. p. 12 Attrazioni balcaniche p. 16 Fascismo agrario p. 19 Sovversivi conservatori e conservatori sovversivi p. 22 Il primo governo Mussolini: parlamentare nella forma, extralegale nella sostanza p. 27 Liberismo e squadrismo p. 30 Capitolo II: La faccia oscura della società di massa p. 32 Italia docet: il fascino del modello politico fascista p. 32 Razzismo, antisemitismo, cultura scientifica e decisioni politiche p. 36 Normalizzare magistratura e stampa, privatizzare, licenziare, confinare: il consolidamento del regime p. 38 Ambizioni imperiali, organizzazione del consenso, clericalizzazione p. 43 Deflazione, Grande crisi, controllo statale del commercio estero e legami sempre più stretti con la Germania p. 46 In patria fiorisce il culto del “DUCE”, e fuori si riaffacciano aspirazioni egemoniche p. 49 Berlino, Vienna e… Marsiglia p. 51 Capitolo III: Fascismo uguale guerra!!! p. 54 L’aggressione all’Etiopia p. 54 L’intervento in Spagna e la formazione dell’ “Asse” p. 57 L’occupazione dell’Albania, il “patto d’acciaio” e la non belligeranza p. 62 La guerra contro “le democrazie plutocratiche e reazionarie”, epitome e chiave di volta del regime p. 65 Credere, obbedire, combattere? p. 68 “Ti ricordi la guerra di Grecia, coi soldati mandati al macello…”. La fine della “guerra parallela” p. 71 L’attacco all’Unione Sovietica e la campagna sul fronte orientale p. 75 L’Italia monarchicofascista potenza occupante p. 81 Capitolo IV: Il signor Adolfo ed il suo servo Benito p. 84 Subalternità e crisi di consenso p. 84 Fascisti radicali, fascisti “moderati”, opportunisti, antifascisti p. 87 Crisi dello Stato ed occupazione tedesca p. 92 Il fascismo repubblicano e la questione delle forze armate p. 94 Radicalizzazione, nazificazione, ritorno alle origini p. 97 L’RSI, uno Stato? p. 99 L’Italia nel contesto dell’Europa occupata ed il crollo finale p. 101 Bibliografia essenziale p. 104 2 Autoritarismo ed irreggimentazione: la via italiana alla modernità In guerra a difesa dell’ordine sociale È quasi un luogo comune ritenere che il secolo Ventesimo, appena conclusosi, abbia avuto realmente inizio non il 1° gennaio 1901 ma alcuni anni dopo; c’è invece disaccordo su quale data debba prendere il suo posto. In parecchi propendono per il 1917, anno della rivoluzione russa, altri, con cui concordo, per il 1914, che segna lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, o meglio - come la definirono i contemporanei, della “Grande Guerra”. Scegliere come cesura la rivoluzione d’Ottobre o l’attentato di Sarajevo comporta porsi rispetto agli eventi successivi, fascismo italiano e fascismi europei compresi, da prospettive molto diverse. Nel primo caso si è portati a sottolineare il carattere per così dire reattivo dei movimenti fascisti, il loro essere una risposta autoritaria, d’ordine e reazionaria al comunismo che si presentava sulla scena politica con il volto del bolscevismo vittorioso. Nel secondo caso, invece, si pone l’accento sulla gravità e la profondità della crisi europea esplosa con e attraverso la guerra mondiale e per nulla risoltasi dopo la sua conclusione; tale crisi ha uno dei principali punti di frattura nel rapporto fra il costituirsi della società di massa (nel periodo che va dall’ultimo trentennio del secolo Diciannovesimo al primo quindicennio del secolo Ventesimo) ed il permanere di istituzioni politiche caratterizzate, pur nella varietà delle forme costituzionali, da meccanismi fortemente oligarchici ed elitari. Il fascismo, se si accetta questo secondo punto di vista, non è altro che il tentativo di realizzare l’integrazione delle masse nello Stato in forma irreggimentata e subalterna, è perciò una risposta autoritaria, d’ordine e reazionaria ad una questione cruciale che i regimi liberali avevano lasciato irrisolta. Nell’arco di quattro anni, dal 1914 al 1918, la società europea è sottoposta ad un processo violento di trasformazione e massificazione che coinvolge sia le masse umane (maschili) arruolate e schierate sui vari fronti di guerra sia il resto della popolazione (uomini e donne) nelle retrovie. Nasce infatti il concetto di “fronte interno”. Subiscono così una brusca accelerazione processi che erano iniziati nei decenni precedenti, interessando diversi aspetti della vita sociale. Fra i mutamenti più rilevanti sul piano strutturale che avevano caratterizzato la seconda metà dell’Ottocento troviamo l’urbanizzazione, lo sviluppo di importanti zone industriali, la costruzione di reti di comunicazione in grado di far circolare agevolmente merci e persone (le ferrovie) nonché informazioni (il telegrafo). A ciò corrisponde il modificarsi delle abitudini, degli stili di vita, della quotidianità: nelle città il tempo è scandito dalle sirene delle officine, l’economia monetaria predomina rispetto a quella naturale, la famiglia diventa mera unità di consumo e ne consegue una nuova divisione del lavoro al suo interno: nasce la figura della casalinga; l’alfabetizzazione si estende, in modo particolare fra i maschi, e nascono innumerevoli pubblicazioni esplicitamente destinate ad un pubblico popolare (fogli volanti, pamphlets ed opuscoli su vari argomenti politici, quotidiani ad ampia tiratura con i loro feuilletons). Gli arcana imperii della politica tendono a non essere più appannaggio di élites aristocratiche separate e nemmeno di una pubblica opinione che identifica se stessa con il ceto colto e possidente, l’unico, secondo il liberalismo classico, in grado di decidere autonomamente in che cosa consista il bene comune. In questo processo di allargamento a dismisura della “sfera pubblica” fu decisivo il ruolo giocato dai movimenti e dai partiti operai e socialisti, non solo e non tanto per i programmi politici che di volta in volta essi sostennero, quanto per l’attività ad un tempo centralizzata e capillare di propaganda e di organizzazione a cui i socialisti diedero vita: dai circoli operai, spesso con annessa osteria, alle società di educazione popolare, ai giornali, all’opuscolame divulgativo di cui sono 3 grandi produttori dirigenti ed intellettuali vicini al socialismo, quegli stessi che giravano città e campagne a tener conferenze dovunque ci fossero gruppi di “compagni” organizzati che li chiamassero. È il movimento operaio infatti (in particolare il grande partito socialdemocratico tedesco, il più forte ed organizzato d’Europa) il vero inventore di ciò che poi prenderà il nome di industria culturale, nonché del modello politico del partito di massa a forte insediamento sociale. Dal punto di vista istituzionale, il quarantennio che precede la Grande Guerra è segnato dalla progressiva estensione dell’elettorato, che tende ad inglobare strati sempre più larghi della popolazione maschile adulta. È ormai chiaro che si dovrà arrivare, prima o poi, al suffragio universale vero e proprio. I fenomeni che ho appena descritto sono naturalmente ben lungi dal manifestarsi in modo omogeneo in tutti gli Stati, e solo consistenti minoranze ne sono coinvolte anche nelle zone dove la modernizzazione ha scavato più in profondità; vastissime aree agricole, dove continua a vivere la maggioranza della popolazione del continente, vivono queste trasformazioni in modo solo estremamente parziale. Il problema del rapporto fra masse e Stato è però ormai all’ordine del giorno, e segnerà in modo indelebile gli anni a venire. Non a caso, negli anni a cavallo del 1900, un buon numero di intellettuali europei manifesterà disagio rispetto alla prospettiva di un futuro “dominato dalle masse”; alcuni di loro elaboreranno vere e proprie teorie politiche neoaristocratiche, elitiste e radicalmente antiegualitarie; non pochi saranno ostili tanto alla democrazia parlamentare quanto al socialismo. In questo contesto la guerra imprime ai processi ora descritti un’accelerazione prima impensabile; la mobilitazione generale strappa enormi masse umane dalle loro regioni di nascita e le mescola nei reparti inviati al fronte; i lunghi mesi passati in trincea mettono a contatto persone di cultura e formazione quanto mai diverse e provenienti da ceti sociali normalmente separati e distanti; il protrarsi del conflitto in condizioni di sostanziale equilibrio impone agli Stati belligeranti politiche dirigiste: il commercio estero viene centralizzato e la produzione industriale sottoposta a procedure di standardizzazione e pianificazione. Il binomio capitalismo-liberismo, già messo in crisi dalle scelte protezioniste adottate durante la grande depressione (1870-1896), esce di scena sostituito da un intreccio pressoché inestricabile fra uno Stato in cui si accentua il peso dell’esecutivo ed un’industria che vede nello Stato stesso il suo principale committente. 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