Natura Umana E Ontologia Sociale

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Natura Umana E Ontologia Sociale UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA DOTTORATO IN SCIENZE DELLA FORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE (CICLO XXII) IL BENE COME PROCESSO POSSIBILE CONCRETO: NATURA UMANA E ONTOLOGIA SOCIALE Tutor: Chiar.mo Prof. Mario Cingoli Tesi di dottorato di Claudio Lucchini ANNO ACCADEMICO 2008/2009 INDICE Introduzione . pag.3 Capitolo I : I presupposti ontologici dell’etica e il dominio sociale della forma di mercecapitalisticamenteprodotta pag.15 1 .Disontologizzazione e “razionalizzazione irrazionale” nell’orizzonte storico del capitalism contemporaneo. pag.15 2 .Oggettività dei processi reali, natura umana e critica della dissoluzione relativistica del concetto di verità etico-sociale. pag.45 3. Logica unitaria della riproduzione capitalistica e “pluralismo interiorizzato”. pag.120 Capitolo II : La determinatezza materiale-naturale dell’uomo e la dinamica storica dei modi di produzione quali dimensioni costitutive dell’ontologia sociale e di un’etica oggettivamente fondata pag.141 1 1.Il carattere alternativo delle ideazioni e degli atti del porre teleologico: coscienza del possibile e possibilità reale nei processi storici determinati della riproduzione sociale complessiva. pag.141 2.La facoltà morale come interazione storicamente e socialmente mediata di strutture e disposizioni radicate nella natura umana. pag.224 3.Le forme storico-sociali dell’estraniazione umana e la funzione dell’ideologia. pag.274 Capitolo III : Estraniazione e democratizzazione nell’epoca del capitalismo assoluto: alcune riflessioni pag.319 Bibliografia. pag.445 2 INTRODUZIONE Il presente lavoro si propone di chiarire e difendere le ragioni di una prospettiva etica universalistica, elaborata sulla base delle categorie concettuali di un’ontologia sociale materialistica. Il primo capitolo cerca anzitutto di porre in luce alcune essenziali difficoltà teoretiche nelle quali necessariamente ci si imbatte qualora l’esame dei concreti problemi etico- sociali venga dissociato da una rigorosa tematizzazione dei loro presupposti ontologici. Mediante una tale dissociazione – che ostacola la retta comprensione delle determinazioni, delle connessioni, delle interazioni, delle possibilità di sviluppo, ecc. oggettivamente in opera nella processualità reale – lo spazio proprio dell’etica tende infatti ad essere assorbito e dissolto nella dualità polare e complementare rappresentata da un praticismo tecnicistico immediato e manipolatorio, e da un mutamento nichilistico svuotato di autentica consistenza assiologica. Così facendo, viene lasciato campo libero all’imperversare di quella che Massimo Bontempelli definisce la “razionalizzazione irrazionale” tipica della modernità capitalistica, il cui contrassegno caratteristico è dato – in virtù delle tendenze immanenti alla dinamica del modo di produzione cha la supporta – dalla separazione “della ragione dal valore degli scopi dell’esistenza umana”. 1 Questa disposizione “razionalmente irrazionale”, che si connota ulteriormente come “impotenza di fronte al movimento della totalità sociale”, 2 inibisce una corretta comprensione di ciò che è in gioco nella dialettica delle alternative di senso che 1 Cfr. Massimo Bontempelli, La conoscenza del bene e del male , Editrice C.R.T., Pistoia, 1998, p. 123. 2 Ivi, p. 119. 3 vengono profilandosi nel processo riproduttivo complessivo della società e nei suoi conflitti; nell’ottica di una pseudo-concretezza unilateralmente pragmatica, scrive György Lukács, “il senso della totalità rimane oscuro e non si può più pensare nulla al di là dei rapporti sociali esistenti.” 3 Siffatti limiti emergono puntualmente sia che la disposizione in questione si esprima nella forma di uno specialismo disciplinare – di per sé, ovviamente, pienamente legittimo, anzi indispensabile – poco propenso a sforzarsi di mediare opportunamente le sue acquisizioni nell’articolazione di una sintesi unitaria, filosoficamente ed eticamente espressiva e pregnante (sebbene mai definitivamente compiuta, dato il carattere intrinsecamente approssimato della nostra conoscenza); sia che si atteggi nei modi di un approccio teoretico, il quale, pur attraverso il vario modularsi delle sue differenti formulazioni, manifesti un orientamento di fondo esplicitamente “disontologizzante”, meramente costruttivistico, non oggettivistico, relativistico, rispetto alla trattazione dei complessi problematici relativi ai processi conoscitivi e alle tematiche etico-sociali. Le argomentazioni recentemente elaborate da autori quali Paul A. Boghossian, Diego Marconi, Giovanni Jervis per confutare alcune paradigmatiche tesi del relativismo e del costruttivismo odierni – e della loro “paura di conoscere”, come recita appunto il titolo di un significativo saggio di Boghossian - offrono indubbiamente preziose indicazioni in vista di una considerazione realistica, oggettivistica, concretamente universalistica delle problematiche etiche, e per tal motivo vengono qui accuratamente riproposte e valorizzate. Tuttavia, nonostante il loro indiscutibile acume, esse paiono dover essere sottratte all’impostazione quasi esclusivamente gnoseologico-epistemologica che le connota, e inquadrate in un più ampio e comprensivo reticolo concettuale, meglio 3 Wolfgang Abendroth - Hans Heinz Holz - Leo Kofler, Conversazioni con Lukács [tenutesi a Budapest nel settembre del 1966 e pubblicate in Germania l’anno seguente], De Donato, Bari, 1968, p. 185. 4 adeguato a pensare il problema della costituzione processuale universalistica possibile del genere umano (mai assolutamente garantita e mai al riparo, una volta per tutte, da eventuali, rinnovate insorgenze estranianti) nei termini della reale dialettica storico- sociale. La costituzione possibile di un’universalità concreta di relazioni non estranianti tra individui e popoli – evidentemente soggetta ai limiti ontologico-materiali cui è necessariamente sottoposta ogni umana realizzazione – deve, in altri termini, essere concepita in rapporto alle effettive dinamiche di costituzione, riproduzione, interazione, mutamento delle formazioni economico-sociali entro cui si inscrivono e si specificano, sulla base di “strutture cognitive universali e [di] potenzialità emozionali […], che si presentano ovunque con identiche caratteristiche”, 4 la moralità umana, i suoi conflitti e i suoi processi. In primo luogo, dunque, è indispensabile sondare l’attendibilità filosofica e scientifica di un concetto di natura umana che non dissolva relativisticamente quest’ultima nell’insieme di influenze sociali e culturali che dovrebbero integralmente plasmarla, evidenziandone invece alcune delle sue innate predisposizioni e facoltà. Esse, evolutivamente originatesi e operanti (tramite concrete mediazioni) nella storia, costituiscono, in virtù di taluni loro caratteri, oggettive condizioni di possibilità di una problematizzazione (sempre concretamente situata) delle forme del vivere sociale, i cui esiti possono presentare aspetti realmente universalizzabili, vale a dire positivamente acquisibili e ulteriormente determinabili in un processo (non semplicemente cumulativo né teleologicamente necessitato) di effettiva socializzazione democratizzante multilineare, sempre più libera da pregiudizi etnocentrici di sorta. D’altro canto, l’apertura alla storicità che contrassegna l’uomo in quanto “ente naturale generico” 4 Giovanni Jervis, Pensare dritto, pensare storto , Bollati Boringhieri, Torino, 2007, p. 80. 5 grazie al complesso di facoltà che gli sono proprie, 5 sottopone lo sviluppo e l’espressione di quelle capacità e predisposizioni determinate costitutive della specie ad un’inevitabile mediazione storico-sociale, la quale condiziona i modi e le forme della realizzazione personale dei singoli socialmente vincolati rispetto alle loro migliori possibilità d’essere (ossia rispetto al ricco ed equilibrato agire della tensione edonica ed eudemonistica degli individui in un contesto che favorisca il dispiegamento quanto più possibile compiuto della loro “genericità per sé”, 6 della loro socialità democratica, solidale e comunitaria). Una tale mediazione non può però essere opportunamente indagata nella sua intima logica di funzionamento, qualora non venga tenuto in debito conto il concetto marxiano di “modo di produzione”, perché è solo tramite esso che diventa possibile cogliere nella sua articolazione unitaria la riproduzione sociale complessiva a partire dalle modalità riproduttive delle forme fondamentali di quei rapporti sociali storicamente specifici che tendono ad orientare il movimento del tutto e a gerarchizzare relazioni di potere e conflitti secondo la loro differente rilevanza sistemica. L’accesso a questa complessa dimensione ontologico-sociale di analisi permette di determinare l’originaria scaturigine dell’attuale relativismo “liquido-moderno” 7 – operazione difficilmente effettuabile da una prospettiva meramente gnoseologica ed epistemologica -, ossia di individuare nella (tendenziale) universalizzazione della forma di merce capitalisticamente prodotta il sostrato storico-sociale di quel “pluralismo interiorizzato” in cui Günther Anders lucidamente ravvisa il modo di esistenza e di 5 Cfr. Costanzo Preve, Marx inattuale. Eredità e prospettiva , Bollati Boringhieri, Torino, 2004, p. 160. 6 Per questo importante concetto, cfr. György Lukács, Ontologia dell’essere sociale [scritta negli ultimi anni di vita del filosofo ungherese – morto nel 1971 – e pubblicata postuma nel 1976], vol. II, Editori Riuniti, Roma, 1981, per esempio le pp. 578-584. 7 Cfr. per esempio, a proposito della nozione di “modernità liquida”, quanto sostiene il sociologo
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