La cucina romana o dell’allegra confusione tra sushi e seduzione dell’abbacchio speciale romA di Giacomo A. Dente Storico e giornalista

Roma a tavola è uno straordinario paradosso. Metropoli e paese, luogo di fusione di culture diverse ed estrema Vandea di un mangiare che di più “pop” non se ne trova. Una città dove la e il sushi coesistono allegramente.

uai quindi a prendere sottogamba la scelta di un ristorante, perché all’ombra dei Sette Colli – dove ormai trattorie, wine bar, hostarie superano per nume- G ro i campanili delle chiese – il rito del pranzo o della cena è una faccenda mol- to, molto seria. L’importante è sapersi districare in una jungla di offerte che va dal “menù prezzo fisso tutto a 15 euro” con gli immancabili cannelloni surgelati, alle ovat- tate atmosfere con vista dei grandissimi hotel per gourmet, sui quali svetta la Pergola del Cavalieri Hilton, dove opera lo sconfinato talento di Heinz Beck, ai vertici delle prin- cipali Guide gastronomiche d’Italia. Ma non si conosce Roma a tavola se non ci si immerge nella sua atmosfera rumorosa, caciarona, dove il concetto di degustazione suona a dir poco blasfemo, perché in trat- toria “se magna”: punto e basta. Certo, di quelle atmosfere tanto care al folklore della Commedia all’italiana, con le tavole transgenerazionali e tanto di nonne e pupi impe- gnati a demolire fettuccine e abbacchio alla scottadito resta ormai molto poco. Occhio quindi ai troppi locali sparsi per i quartieri che fanno battere il cuore ai turisti – i vico- li dietro Pantheon e piazza Navona, o Trastevere, tanto per intenderci –, quei locali con le trecce d’aglio e le stanghe di un vecchio carretto esposte in bella mostra, perché la vera cucina romanesca abita altrove. In un tour ideale, cominciamo allora da Testaccio, il quartiere nato intorno al monte di cocci formato dai depositi di resti anfore romane che formano delle vere e proprie stratificazioni regolari sul dorso della collina. Qui un tempo funzionava il Mattatatoio, fondamentale serbatoio di quella cucina detta del “quinto quarto”, che si concentrava cioè sulle parti non nobili della bestia, quelle però che l’ingegno dei popolani aveva sa- puto trasformare in autentici manicaretti. Nervetti, trippa (sempre in matrimonio ga- stronomico con l’elemento rinfrescante della menta), animelle, coratella (l’insieme di polmone cuore e fegato, da accompagnare ai carciofi), “pajata” (il tratto finale dell’in- A fronte testino del vitello, oggi dell’agnello, in attesa che cessi la sospensione imposta fino al Piazza del Popolo. 2006 dalla mucca pazza), per non parlare della coda – che si consuma “alla vaccinara”, Piazza San Lorenzo in un sugo denso, e molto “splatter” di pomodoro e sedano e che, nei casi più raffinati, in Lucina.

57 Bucatini all’amatriciana. speciale romA

si arricchisce di uvetta, pinoli e cannella in polvere –, insomma, il celebre “quinto quar- to”,costituisce un “dna” goloso, una vera e propria identità gastronomica che nemme- no la rivoluzione del light è riuscita a mandare in pensione. Per cominciare col piede giusto, la sosta è proprio davanti al vecchio edificio del Mattatoio, oggi adibito ad eventi culturali, in un spazio fuori dal tempo che sembra uscito dal pennello dell’otto- centesco Roesler Franz, o da una stampa di Bartolomeo Pinelli. Qui è il regno di Chec- chino (via di Monte Testaccio, 30) storico indirizzo di buona cucina fin dal 1887. I pro- alla . prietari, senza adagiarsi sugli allori, hanno approfondito i sapori delle radici e, nel loro locale, si possono trovare tutti i grandi classici, compre- si dei con la pajata di livello assoluto. Valore ag- giunto, una cantina ricchissima, con le migliori etichet- te regionali e del mondo, molto bella anche da visitare. La tappa successiva è a due passi dal Pantheon. La Cam- pana (vicolo della Campana, 18), sorge sui resti di quel- la che fu osteria per pellegrini già censita nel 1518. Am- biente semplice, servizio di navigata abilità e poi tanti classici come il pollo coi peperoni o i carciofi nelle due versioni: alla romana, lessati e generosi di olio, aglio e mentuccia, o alla “giudìa”, fritti e generosamente croc- canti. In alternativa, a due passi dalla Chiesa del Gesù, il tempio dei Gesuiti capolavoro del Vignola che vi impresse lo spirito della Controriforma, c’è l’Enoteca Corsi (via del Gesù 87). Luogo del cuore di molti intellettuali, questo locale conquista per la sua atmosfera informale di vec- chia bottiglieria di quartiere, col banco per il vino sfuso e gli scaffali pieni di etichette di ogni genere. Tovaglie di carta, proposte del giorno su una lavagnetta e tanti clas- sici, dalla (nella versione romana molto densa) ai celebri di vitello con prosciutto e salvia. Altra tappa da non saltare è sull’Isola Tiberina, l’ap- prodo sul Tevere, secondo la mitologia della barca del dio Esculapio. Ma qui non si seguono precetti medici di con- ta delle calorie e, ai tempi nostri, l’isola è diventata anche un “tempio” di una cucina romanesca di vernacolare ga-

58 gliardia. Alla Sora Lella (via di Ponte Quattro Capi, 16), che prende il nome dalla tito- lare, la mitica sorellona di Aldo Fabrizi, che Carlo Verdone volle anche con sé in Acqua e Sapone e Bianco Rosso e Verdone, oggi gestita dal figlio e dai nipoti, l’ambiente è quello di una torre medioevale sul Tevere, ma gli arredi sono da classica trattoria coi piatti del giorno indicati su una lavagnetta: dalla frittata di patate alla pasta e broccoli in brodo di “arzilla” (piatto che origina dal Ghetto e che si fonda sul saporito brodo di un pesce povero come la razza, chiamata a Roma arzilla), alle polpette al sugo. Ma ci sono due piatti caratteristici che non si può fare a meno di provare prima di lasciare la speciale romA città: la pasta (con querelle tra i fautori del “tonnarello” acqua e farina, op- pure il classico spaghetto). In ogni caso la cacio e pepe che per prima varcò i confini re- gionali per diventare piatto d’autore si trova da Papà Giovanni (via dei Sediari, 6), il locale dietro al Senato carissimo a Giovanni Spadolini e a una schiera di politici che ne adorano l’atmosfera da trattoria chic e la cucina romanesca interpretata in chiave raf- finata. Cent’anni di storia, look civettuolo e una pasta servita nelle mezze forme di pe- corino lavorata magistralmente, in maniera che il formaggio e il pepe legati con l’ac- qua di cottura formino una squisita cremina di condimento, sono il primo impatto. Sen- za contare che qui si possono gustare l’antico polpettone stufato nel vino dolce (il clas- sico Cannellino dei Castelli), insieme alla vignarola primaverile (un umido di fave, pi- selli, verdure dell’orto e guanciale di maiale). Altra bella sosta romanesca, proprio nel cuore del triangolo dello shopping, è alla Matricianella (via del Leone, 4), sempre af- follato da un pubblico che vuole gustare i grandi classici, da una delle migliori amatri- ciane della città, alla sua versione il bianco – la “gricia” alla carbonara, passando per ab- bacchio, maialino, fritture ed interiora. In poche parole, un ripasso generale sui sapori della città. Da Piperno (Monte de’Cenci, 9), nel cuore del Ghetto, la cucina esplora in- vece i perduti sapori romaneschi, con speciale attenzione al capitolo fritture, dai car- ciofi, ai filetti di baccalà, tutte specialità della radice ebraica all’ombra dei Sette Colli. Non resta che, per chiudere il tour dei migliori “ortodossi”, fare un salto nel quartiere della Garbatella dove, insieme all’esplorazione dei giardini e delle straordinarie archi- tetture di case popolari primo ’900, non si può mancare una sosta alla popolarissima Pasta e broccoli. osteria di Moschino (piazza Benedetto Brin, 5) celebre per le sue crocchette di bollito e per una coda alla vacci- nara di grande impatto “pop”. Roma delle trattorie, d’accordo, ma la Capitale è anche una delle città dove la colazione di lavoro si eleva a vero e proprio rito sociale. Senza bisogno di speciali apposta- menti, infatti, i paparazzi sanno già dove gravitare per in- tercettare quell’incredibile groviglio di politica, spetta- colo, mass media e calciatori che anima ogni giorno la “movida”capitolina. Punto obbligato è il celebre Bolo- gnese (piazza del Popolo, 1): nella cornice di una delle piazze più belle di Roma, con la regia di Alfredo Toma- selli, patron sornione e smaliziato, bravissimo nel pro- porre una cucina solida nelle sue paste e nel suo carrello dei bolliti, capace di aggregare dal Presidente Emerito Francesco Cossiga a Sabrina Ferilli. E l’atmosfera da vip- paio si ritrova anche dall’ ultra-classico Fortunato al Pan- theon (via del Pantheon 55) dove sono passati tutti i gran- di leader politici in visita a Roma (con relativo “pantheon” di foto alle pareti) e dove la simpatia e la cucina (straor- dinari gli spaghetti con le vongole) del patron Fortuna- to Baldassarri riescono a riunire l’intero Parlamento, da Armando Cossutta a Ignazio Larussa. Ma non bisogna

59 trascurare anche i grandi alberghi, specie quelli con vista mozzafiato sulle cu- pole e i monumenti della città. Da non perdere, in questo senso, il roof del- l’Hotel Hassler (Piazza Trinità de’ Monti, 6), in posizione privilegiata pro- prio alla sommità della Scalinata di piazza di Spa- gna. E ancora, punto di approdo delle colazioni di affari dell’ambasciatore Usa (e luogo carissimo a Gorge Bush jr, quando era ancora Governatore del Texas), oltre che di tutti i divi del cinema di passag- gio per la Capitale, la citazione è obbligatoria per la straordinaria terrazza dell’Hotel Coda alla vaccinara. Eden (via Ludovisi, 49) proprio alle spalle di Via Veneto e forte di una buonissima cu- cina d’autore. E cucina d’autore con vista la offre anche l’Hotel Splendide Royal (via di Porta Pinciana 14) celebre per una torta al cioccolato e pistacchio decorata con sfoglia d’oro: squisita, oltre che sontuosa. Non ha vista sulle cupole, ma si adagia per contro su uno straordinario giardino segreto disegnato dal celebre architetto neoclassico Giu- seppe Valadier il ristorante del lussuoso Hotel de Russie (via del Babuino, 9). Qui gli intenditori vengono per godersi il migliore Martini cocktail della città, prima di passa- re alle seduzioni della cucina dello chef Nazzareno, bravissimo nei piatti di scuola clas- sica, ma con una marcia in più anche quando si tratta di inventare con fantasia. In ul- timo, senza vista, ma con gli affreschi della scuola del Pinturicchio sopra la testa, o con lo sgocciolare di una fontana rinascimentale nel giardino a pochi metri dal colonnato del Bernini e dalla Basilica di San Pietro, merita la sosta l’Hotel Columbus (Borgo San- Pesce impanato. to Spirito, 73), dove lo chef sa proporre con grinta piatti inventivi, ma anche i classici della tradizione romana. Ma la vista – i romani ado- rano mangiare all’aperto – non ce l’hanno solo i grandi alberghi. Anzi, per godersi una pausa nelle più belle piazze della cit- tà, non c’è di meglio che una sosta golosa. In que- sto senso sono tutti indi- rizzi sicuri – buona mano in cucina, con un giusto mix di romanesco e di classici – Sabatini (piazza Santa Maria in Trastevere 13) per godersi spaghetti al cartoccio con affaccio sulla basilica, oppure Camponeschi (piazza Far-

60 nese, 50), con la sua lussuosa amatriciana con vista sulla facciata dello straordinario palazzo sede dell’Ambascia- ta di Francia. E ancora, la quiete raccolta della romanti- ca piazzetta di San Salvatore in Lauro l’infilata del- la strada degli antiquari, insieme a grandi piatti di pesce li offre Monteforte (via dei Coronari, 180), mentre un si- lenzioso giardino e una cucina di altissimo livello (con raffinate proposte di funghi e tartufi in stagione) proprio sotto il Campidoglio la propone il bravo Giorgio Cialo- ne, oste di passione e intelligenza, oltre che intelligente collezionista d’arte contemporanea, nel suo San Teodo- ro (via dei Fienili, 49). Altro indirizzo da non perdere, proprio sulla sommità del Pincio, tra il verde di Villa Bor- ghese e una vista senza paragoni sui tetti della città, è la Casina Valadier (viale del Belvedere). Capolavoro neo- classico, da poco restaurata, la Casina è un punto ro- mantico obbligato, che si tratti di un aperitivo o di un pranzo all’insegna di una cucina moderna, che strizza l’occhio alla tradizione. Fanno parte della categoria dei ristoranti d’affari anche i locali tutto pesce, oggi più che mai trendy lungo la linea di crescente favore del light e del tutto crudo. Indirizzo storico, proprio nel cuore di Trastevere, è il locale di Al- berto Ciarla (piazza San Cosimato, 40) uno dei grandi innovatori della cucina romana. Il dolce “Millefoglie”. Da lui si va sul sicuro con i formidabili spaghetti al guanciale di spigola, la zuppa di pe- sce povero e legumi, la “portolana” dei pescatori di Fiumicino, o l’inimitabile fritto di pesce impanato nel semolino (una preparazione antica che regala una leggerezza di sa- pori davvero insuperabile). Oggi, però, il Re di Roma è il formidabile Massimo Riccio- li della Rosetta (via della Rosetta, 8), alle spalle del Pantheon. In questo indirizzo mol- to alla moda, una delle cucine in assoluto più importanti della Capitale, si spazia da cru- Torta al cioccolato. di eccezionali, alla fritturina di moscardini zucchine e menta, da primi piatti senza uguali a variazioni sofisti- cate sul tema dello scorfano. Un capitolo a parte lo me- ritano i grandissimi chef, approdati a Roma con una lo- ro “succursale”.È il caso di Alfonso Iaccarino del Don Al- fonso di Sant’Agata sui due Golfi, che propone i suoi clas- sici della Costiera, come il sublime cannolo di peperone e baccalà al Baby dell’Aldrovandi Palace (via Ulisse Al- drovandi, 15). Ed è anche il caso di Gualtiero Marchesi, approdato nella sofisticata eleganza dell’ Hosteria del- l’Orso (via dei Soldati, 25c), un edificio trecentesco alle spalle di piazza Navona, dove i romani possono provare alcuni “evergreen” come il con la foglia d’oro, o gli spaghetti freddi all’erba cipollina. Ma a Roma ci sono anche i giovani, sempre alla ricerca dell’indirizzo “giusto”.In questo senso il “luogo” per ec- cellenza è un vecchio edificio industriale ristrutturato con un design da Blade Runner, sede del Gambero Rosso, il celebre gruppo delle Guide e del canale televisivo. Corsi di cucina, eventi cultural-gourmet, pizzeria, vineria, ri- storante e roof con vista sulla città industriale: tutto que- sto e di più (la sera si incontrano facilmente i guru del-

61 l’enogastronomia) alla Città del Gusto (via Enrico Fer- mi, 161). È invece solo una marciapiede senza vista, ma la bottega di Sergetto, Il Goccetto (via dei Banchi Vecchi, 14) dietro a Campo de’Fiori, una delle bottiglierie più fornite della città, è uno dei posti immancabili per una tartina con degustazione fino a tarda notte. Altro indi- rizzo di assoluto fascino è l’Antico Forno Roscioli (via dei Giubbonari, 21), la più buona “ bianca” (la versio- ne romana della ) della città e un banco di salu- meria con prodotti di qualità inarrivabile, col valore ag- giunto di uno chef che si diverte a proporre cose stuzzi- canti fra “fusion” e tradizione. Insomma il top della sa- lumeria gourmet. Dietro piazza Navona, prospiciente al Teatro Valle, nelle sontuosissime scuderie con volte di un palazzo del ’500 un’esperienza tutta da provare è da Ca- sa Bleve (via del Teatro Valle, 49). La cucina è tutta fred- da (geniali involtini di tonno e ananas, carne secca e pa- tè di verdure, selezioni di salumi e formaggi) con una imperiale offerta di vini e i clien- Santa Maria in Trastevere. ti hanno anche la possibilità di far custodire le loro bottiglie più preziose in appositi armadi lucchettati custoditi nella cantina del locale, a fianco di mura imperiali roma- ne. E ancora, con una concentrazione di offerte gastronomiche da indirizzo newyor- chese, i giovani romani, ma non solo, affollano ad ogni ora del giorno Gusto (piazza Au- gusto Imperatore, 9). Luogo multi-gastronomico, ci si può divertire con piatti “fusion” e con classici romani, coi salumi e i formaggi da wine bar, con la pizza (buonissima) o col brunch domenicale. Ma ci sono anche una fornitissima libreria gastronomica, un negozio di utensili (molto trendy) da cucina. Insomma, un luogo di giovani con perso- nale giovane, preparatissimo e appassionato dove divertirsi col meglio della produzio- ne di qualità italiana, ma anche con una scelta sorprendente di etichette. Capitolo finale per i grandissimi della Capitale, quegli chef, cioè, che valgono la devia- zione. Prima citazione per Agata e Romeo (via Carlo Alberto, 45), una bomboniera di classe tra Santa Maria Maggiore e il celebre mercato di Piazza Vittorio. In cucina Aga- ta, sorridente raffinatissima interprete di piatti che partono dalla tradizione per pren- dere poi strade voluttuose, come la variazione sul baccalà in quattro cotture, o la terri- na di coda alla vaccinara. In sala c’è il marito Romeo, esperto sommelier e forte di una cantina di assoluto valore nazionale, ma anche la figlia Mariantonietta, bravissima pa- Campo de’ Fiori. sticciera, cui si deve una millefoglie memorabile. Un altro vertice della grande ristora- zione capitolina è a due passi da piazza Navona, in un locale di charme arredato con oggetti di antiquariato. An- gelo Troiani, chef sotto i 40 anni, nel suo Convivio (vi- colo dei Soldati, 3) si diverte a creare piatti di grande com- plessità, come la spigola allo yogurt e salsa di ostriche, sal- vo proporre anche dei bucatini all’amatriciana di scuola moderna che non ha rivali in città. Altro giovane bravis- simo, stella di un locale di gusto contemporaneo nel cuo- re del centro storico, è Fabio Baldassarre dell’ Altro Ma- stai (via Giraud, 53). La sua cucina è di grande inventiva e spazia da sapori complessi come la mousse bianca di pomodoro con cannollo di mozzarella fondente e salsa di basilico (che va il verso alla celebre caprese) al soufflé al- le pere con ragù di castagne e frutti di bosco e al- la cannella. Conclusione e vertice del tour con una doppia sorpresa.

62 Un grande albergo e uno chef di nazionalità tedesca (che, al pregiudizio tricolore, spes- so viene associata a cucina non proprio suprema) rappresentano uno dei vertici asso- luti del buon mangiare in Italia e non solo. Alla Pergola dell’Hotel Cavalieri Hilton (via Cadlolo, 101) Heinz Beck, bavarese di nascita, ma intriso di cultura internazionale (e tricolore, non a caso ha sposato una bella ragazza siciliana) propone una cucina di in- tensità, emozione e complessità. La cura dei dettagli è senza compromessi, dalla artico- lata carta delle acque minerali, al rito della tisana con erbe fresche recise al momento e fatte appena passare in un samovar d’argento. Ma è la cucina che incanta, dal raviolo al speciale romA finocchio con alici, al fiore di zucca con caviale su fondo di crostacei e zafferano, per arrivare all’agnello in crosta di pane accostato al suo consommè con spuma di pecori- no. E la parata di sette dolci, ognuno una diversa citazione sulla materia dessert, regala gioia al palato, una gioia che si prolunga nel gusto di una serata magica, anche nella vi- sta della città e delle sue luci della notte, tutta adagiata sotto la collina di Monte Mario. Piazza Navona.

UN ANGOLO GENOVESE NEL CUORE DELLA CAPITALE

Trenette al all’ombra del Cupolone? Perché no. Anche se le comunità toscane, napoletane e siciliane, per non parlare di quella sarda ed abruzzese, possono vantare un proliferare di locali di buona vocazione nella Capitale, anche la piccola comu- nità ligure ha un suo punto di riferimento. La Taverna Giulia (vicolo dell’Oro, 23 tel. 066869768 chiuso domenica), a ridosso della splendida chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, capolavoro del Sansovino, e a nemmeno cinque minuti di passeggiata lungo il corso Vittorio da un’agenzia Carige, è un piacevole indirizzo dal look ancora anni ’60, di affettuosa citazione dei grandi classici genovesi e della Liguria. Si comincia con acciughe al limone, pasqualina o salame di Sant’Olcese, per continua- re con pansoti al sugo di noci, trenette al pesto, , stoccafisso, branzino alle olive prima di concludere con un’onesta versione di paciugo. La carta dei vini è ricca di offerte da Levante a Ponente e la Lanterna non sembra alla fine così lontana.

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