Direzione generale per la Promozione e la Cooperazione culturale

Per la rassegna “Italia in Giappone 2009” i pittori della ‘macchia’ in trasferta in Oriente. I in mostra in Giappone.

Roma 18 settembre 2009 – Oggi alla Farnesina la presentazione della mostra “I Macchiaioli, maestri italiani del realismo” che sarà esposta in Giappone nell’ambito della grande manifestazione promozionale denominata “Italia in Giappone 2009”, iniziativa promossa dal Ministero degli Affari Esteri, attraverso l’Ambasciata italiana a Tokyo e la Fondazione Italia Giappone. Dal 3 ottobre al 29 novembre la rassegna sarà al Fukuyama Museum of Art, per poi spostarsi a Tokyo al Metropolitan Teien Art Museum dal 16 gennaio al 14 marzo 2010. Dopo le due tappe in Giappone la mostra “I Macchiaioli, maestri italiani del realismo” sarà presentata a New York presso lo Snug Harbor Cultural Center di Staten Island. La mostra, che si colloca nell’ambito di una tradizione di positivi rapporti di scambio e di reciproca attenzione tra Italia e Giappone, presenta 63 opere di altissimo livello che propongono al visitatore un percorso ideale per entrare nell’arte di , , , , e . Obiettivo della mostra è promuovere all’estero la conoscenza dei Macchiaioli, una delle più originali avanguardie nell’Europa del XIX secolo e, al tempo stesso, proporre una suggestiva evocazione del paesaggio toscano. Un modo per accrescere il potenziale dei visitatori attratti dall’Italia e al tempo stesso rilanciare l’interesse su una corrente pittorica di grande importanza, ma la cui fama è rimasta per lo più circoscritta all’ambito nazionale. La realizzazione di questa mostra, promossa dal Ministero degli Affari Esteri, dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dalla Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, rappresenta il primo importante frutto della stretta collaborazione avviata con tra il Ministero degli Affari Esteri e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali a seguito della firma del Memorandum d’Intesa tra il Ministro Franco Frattini, e il Ministro Sandro Bondi. La mostra, curata dalla storica dell’arte Francesca Dini, è stata organizzata dalla Sovrintendenza per il Polo Museale Fiorentino, dalla Direzione Generale per la Promozione e la Cooperazione Culturale del Ministero degli Affari Esteri, dall’Istituto Italiano di Cultura di Tokyo, dalla Fondazione Italia Giappone, da Opera Laboratori Fiorentini S.p.A., dal Museo Civico “G. Fattori” di , oltre che dal Tokyo Metropolitan Teien Art Museum, dal Fukuyama Prefectural Museum, Yomiuri Shimbun e dalla Japan Association of Japan Public Museums; ed è stata realizzata anche grazie al contributo della Regione Toscana, della Provincia e del Comune di Livorno, della Camera di Commercio di Firenze, della Camera di Commercio di Livorno, oltre che dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, di Gherardini, GabrielePoli Group, Lion Corporation, Shimizu Corporation, Dai Nippon Printing, Co. Ltd.

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Roma 18 settembre 2009 – In Italia è tutto pronto per la doppia trasferta in Giappone di 63 quadri dei Macchiaioli. E’ la mostra “I Macchiaioli, maestri italiani del realismo” che sarà allestita dal 3 ottobre al 29 novembre prossimi a Hiroshima al Fukuyama Museum of Art, per poi spostarsi a Tokyo al Metropolitan Teien Art Museum dal 16 gennaio al 14 marzo 2010. Saranno visibile al pubblico giapponese opere di altissimo livello artistico firmate da Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Odoardo Borrani, Silvestro Lega, Vincenzo Cabianca e Adriano Cecioni. Stamani a Roma nella sede del Ministero degli Affari Esteri sono stati presentati i due appuntamenti. La rassegna promossa dal Ministero degli Affari Esteri e dall’Istituto Italiano di Cultura di Tokyo, con la partecipazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e curata da Francesca Dini, è condotta dalla Soprintendenza speciale al Polo museale di Firenze. La direzione della mostra è della Galleria d’arte moderna di Firenze che ha messo a disposizione 30 opere delle oltre 60 in partenza per il Giappone. 8 quadri arrivano dal Museo Civico Giovanni Fattori di Livorno, 2 dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, 2 dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze e altri 15 fanno parte di collezioni private. Tra le opere più evocative Autoritratto di Giovanni Fattori, Passeggiata in giardino di Silvestro Lega, Contadina nel bosco di Giovanni Fattori, Ladruncoli di fichi di , Maremma toscana e La libecciata di Giovanni Fattori. Immagini artistiche che riproducono la luce dei paesaggi marini sulla costa rocciosa, i larghi orizzonti maremmani, le strade strette e rustiche dei borghi intorno Firenze. Obiettivo della mostra veicolare l’immagine della Toscana all’estero e promuovere la conoscenza dei Macchiaioli, movimento artistico italiano dell’800 che ha rappresentato una delle più originali avanguardie nell’Europa del XIX secolo. Un percorso artistico che grazie alla sua varietà e pregiata qualità artistica propone al visitatore, anche il più distratto, una visione suggestiva ed evocative del paesaggio toscano. Un modo quindi, secondo i promotori, di accrescere il potenziale attrattiva dell’Italia e al tempo stesso rilanciare l’interesse su una corrente pittorica di grande livello, ma la cui fama è rimasta per lo più circoscritta ad ambito nazionale. I Macchiaioli tornano in Giappone dopo il grande successo della prima mostra in assoluto, allestita 30 anni fa a Tokyo nei Grandi Magazzini ISETAN. Oggi il pubblico giapponese dopo quella pionieristica esperienza può entrare nelle sfumature dell’arte dei Macchiaioli grazie all’articolazione di una mostra che presenta i quadri con esemplare chiarezza, dagli esordi della “macchia”, alla dispersione del movimento dopo 1870. La mostra è una delle iniziative cardine del progetto ‘Italia in Giappone 2009’ e traduce in realtà l’intesa di numerose istituzioni pubbliche e private toscane di portare nei musei giapponesi un ricco e composito itinerario artistico dedicato ai Macchiaioli. Tra i principali sponsor dell’iniziativa l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze. Lunga la lista dei soggetti che hanno contribuito alla realizzazione di questo grande evento culturale: la Regione Toscana, le Camere di Commercio di Firenze e Livorno, il Comune di Livorno e la Provincia di Livorno, la Fondazione Italia Giappone, Opera Laboratori Fiorentini S.p.a., Gabriele Poli Group, impresa integrata nella comunicazione, Gherardini, Lion Corporation e numerosi soggetti giapponesi tra cui il Tokyo Metropolitan Teien Art Museum, il Fukuyama Prefectural Museum, Yomiuri Shimbun, Kapan Association of Japan Public Museums, Shimizu Corporation, Dai Nippon Printign, Co. Ltd.

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La mostra dei Macchiaioli in Giappone

Gli eventi collaterali

Roma 18 settembre 2009 – La mostra dedicata ai Macchiaioli in Giappone è un’opportunità per far conoscere al pubblico internazionale una corrente artistica e culturale che nel XIX secolo ha ben rappresentato la complessità dei valori dell’Italia Risorgimentale. La rassegna che sarà allestita in due musei giapponesi a partire dal 3 di ottobre prossimo rappresenta anche un veicolo di promozione della cultura italiana nel suo insieme con l’obiettivo di potenziare l’afflusso turistico dei giapponesi nel nostro paese. Anche per questo sono numerosi gli eventi che accompagnano il doppio allestimento della mostra I Macchiaioli. Maestri italiani del realismo in terra giapponese.

Le conferenze Tre conferenze accompagneranno l’inaugurazione della mostra I Macchiaioli. Maestri italiani del realismo. Il primo appuntamento anticipa l’inaugurazione della mostra fissata per il 3 ottobre 2009. Al Fukuyama Museum of Art il 2 ottobre è in programma un incontro tematico di approfondimento a cui prenderanno parte Cristina Acidini, Soprintendente per il Patrimonio Artistico, Storico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze e il professor Vito Cappellini, docente di ingegneria informatica e membro del Comitato Scientifico del Salone dell’Arte e del Restauro di Firenze. Al centro del dibattito le ultime scoperte della critica sulla corrente artistico-culturale dei Macchiaioli. Il giorno seguente, il 3 ottobre, i due studiosi interverranno all’Università di Arte di Kyoto. Sempre il 3 di ottobre al Fukuyama Museum of Art è in programma l’incontro dal titolo “I Macchiaioli. Una rivoluzione nell’arte italiana del XIX secolo”. Tra i relatori Francesca Giampaolo, responsabile del Museo Civico Giovanni Fattori di Livorno. Dall’analisi dell’arte del passato alla loro diffusione ed archiviazione grazie alle più innovative tecnologie ICT. Sono gli argomenti al centro del Simposio “Nuove tecnologie sulle Vie della Cultura” in programma il 5 e 6 ottobre 2009 all’Istituto Italiano di Cultura di Tokyo. Da anni Italia e Giappone condividono il ruolo di capofila nella diffusione delle nuove tecnologie ICT, soprattutto per quanto riguarda la digitalizzazione con elevata qualità di opere d’arte al fine di una migliore conoscenza delle opere stesse e per creare archivi digitali, i cui contenuti possono essere utilizzati per la fruizione anche nel settore del turismo. I risultati italo-giapponesi sono stati utilizzati anche per simulazioni virtuali del lavoro dell’esperto restauratore. In occasione del Simposio alcuni progetti curati dall’Università di Firenze (MICC), in collaborazione con il Polo Museale Fiorentino, la Regione Toscana e la Hitachi Ltd. mostreranno un archivio digitale di eccellenza, con altissima risoluzione e taratura di colore, del Polo Museale Fiorentino.

I prodotti di qualità dalle terre dei Macchiaioli L’esperienza a tutto tondo dei visitatore giapponese nella cultura italiana include anche un appuntamento con la tavola. Il 26 novembre 2009 a Tokyo è in programma l’iniziativa “Prodotti di qualità dalle terre dei Macchiaioli”. La Toscana dei Macchiaioli, con il paesaggio rurale livornese e le sue produzioni agricole di Eccellenza, approda in Giappone sotto forma di degustazioni guidate dei prodotti del territorio, dedicate a giornalisti ed imprenditori. Una cena di gala accompagnata dai più prestigiosi vini di Bolgheri chiuderà la giornata.

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Italia in Giappone 2009

Tra il settembre ed il dicembre di quest’anno si svolge in Giappone una grande manifestazione promozionale denominata “Italia in Giappone 2009”, seguito ideale ed evoluzione delle rassegne che l’Italia ha gia’ realizzato in questo Paese, dall’ “Anno dell’Italia in Giappone 2001” alla “Primavera italiana 2007”. L’iniziativa - che a partire da questa edizione avra’ cadenza biennale – si e’ aperta il 17 settembre con la rappresentazione del Don Carlo di Giuseppe Verdi da parte dell’orchestra e coro del Teatro La Scala di Milano, alla presenza del Capo dello Stato Giorgio Napolitano e si concludera’ il 1 dicembre, nella Residenza dell’Ambasciatore d’Italia, con una grande serata di gala dedicata alla moda, organizzata da Ambasciata, ICE, Istituto Italiano di Cultura ed ENIT, con la collaborazione delle grandi firme della Moda, della Gioielleria e della Gastronomia italiana. In tale contesto, il Presidente della Repubblica ha disposto, in omaggio alla cultura giapponese, l’invio in Giappone della “Minerva di Arezzo”, uno dei più begli esempi di arte ellenistica, che sarà esibita a Tokyo nell’ambito della mostra sull’Eredità di Roma Imperiale. La rassegna e’ basata su una strategia di promozione integrata, volta a presentare le eccellenze produttive, scientifiche e tecnologiche del nostro Paese, unitamente alle sue attrattive artistiche, culturali e turistiche: sulla scia della cultura e dell’arte, il Sistema Paese intende presentare il suo profilo imprenditoriale, manifatturiero, turistico e gastronomico, mostrando al selettivo consumatore giapponese che all’origine dei prodotti dell’Italia di oggi vi e’ un filo rosso mai interrotto, che risale al nostro artigianato, alla manifattura, all’agricoltura ed al territorio, con il collante fortissimo della tradizione artistica e di qualita’ della vita. L’obiettivo e’ inoltre quello di focalizzare l’attenzione sulla promozione di un’immagine piu’ articolata, innovativa e dinamica dell’Italia e del suo sistema produttivo, superando il cliche’ che associa il nostro Paese esclusivamente ai pur importantissimi settori eno-agroalimentare e moda, per evidenziarne invece al massimo le caratteristiche di modernita’ e avanguardia.

La struttura della manifestazione e’ incentrata su otto cardini principali, altrettanti eventi di alta visibilita’ in grado di attrarre e concentrare l’attenzione del pubblico giapponese sull’Italia:

1) La Mostra “L’Eredita’ dell’Impero Romano” 2) La Tournée del Teatro “La Scala” 3) La XXI Assemblea Generale dell’ Japan Business Group 4) La Mostra sulle tecnologie della mobilita’ “Zig Zag. Tradizione, Innovazione. L’Italia che corre al futuro” 5) La Mostra “L’Antico Egitto a Torino” 6) La Mostra “I capolavori della Galleria Borghese” 7) Il progetto di promozione del Made in Italy nella Grande Distribuzione Organizzata 8) La Mostra su “I Macchiajoli”

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Il ricco programma della rassegna comprende 165 eventi realizzati in poco meno di tre mesi, di cui 65 in ambito culturale, 17 in ambito scientifico-tecnologico e 83 in ambito economico-commerciale-turistico. L’impatto sul pubblico – che si stima in oltre 2 milioni e mezzo di giapponesi – sara’ inoltre enfatizzato dalla diffusione delle iniziative su tutto il territorio: sono 29, infatti, le citta’ interessate da “Italia in Giappone 2009”, che tocca cosi’ anche la ricca provincia giapponese, la quale offre ampi spazi di penetrazione commerciale e di collaborazione industriale. Nel complesso, “Italia in Giappone 2009” costerà 35 milioni di Euro, gran parte generati tramite sponsor giapponesi, grazie alla mobilitazione del Sistema Italia in un mercato importantissimo, ed in un’economia che e’ la seconda al mondo. In prima fila tra gli sponsors vi sono i grandi gruppi mediatici nipponici: tra i quotidiani l’Asahi Shimbun (12 milioni di lettori ca.), il Gruppo Tokyo Shimbun (nel complesso, 7 milioni di lettori ca.), lo Yomiuri Shimbun (14 milioni di lettori ca.) e la testata economica Nikkei (3,5 milioni di lettori ca.), nonche’ le grandi reti televisive, NHK (prima rete nazionale pubblica), e Fuji TV (prima rete commerciale), oltre a grandi realtà cinematografiche come la Toei. La collaborazione con i grandi media ed il loro sostegno diretto alle iniziative di maggiore richiamo costituisce uno degli elementi-chiave dell’operazione, in quanto garantisce non solo la copertura di gran parte degli oneri finanziari, ma ancora piu’ una rilevanza mediatica estremamente efficace e capillare, che permettera’ all’immagine dell’Italia di raggiungere con continuita’ decine di milioni di giapponesi. Sempre con l’obiettivo di raggiungere, con la minima spesa, il maggior numero di giapponesi possibile e grazie alla collaborazione con i settori di punta della tecnologia dell’informazione nipponica, vengono utilizzate le piu’ moderne tecnologie della comunicazione: due i siti internet al servizio della rassegna (di cui uno esclusivamente in giapponese), cui si aggiunge l’utilizzo dell’innovativo bar-code cellulare (i-mode). La ripresa dei consumi in Giappone è attesa per la primavera 2010. “Italia in Giappone 2009” vuole garantire che, finita la recessione, le quote di mercato italiano in Giappone aumenteranno in maniera sostanziale, dopo i difficili mesi di crisi che stanno attraversando tutti i mercati, compreso quello giapponese.

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Il Fukuyama Museum of Art è stato fondato nel novembre del 1988 con l’obiettivo di promuovere l’arte e le attività culturali nell’area di Fukuyama e dare la possibilità ai cittadini di prender parte ad un ampio ventaglio di iniziative culturali. Le collezioni del museo seguono cinque direzioni: artisti dell’area di Fukuyama, artisti della regione del mare interno di Seto, arte moderna e contemporanea giapponese, arte moderna e contemporanea europea, in particolare italiana, ed artisti contemporanei con la potenzialità di diventare i futuri leader del mondo dell’arte. Caratteristiche architettoniche Il Fukuyama Museum of Art è situato al centro della città di Fukuyama. La sua costruzione venne avviata nel settembre 1986 e completata nel marzo 1988, mentre il museo venne aperto al pubblico nel novembre dello stesso anno. Progettato dallo studio di architettura TAKEO SATO Architects and Associates, l’edificio dispone di uno spazio complessivo di 7.007,31 m2, 1730 m2 di spazio espositivo e 1002 m2 di deposito, ed è dotato di diverse strutture destinate a programmi pubblici, attività educative e ricerche accademiche. Grazie alla sua favorevole posizione collocata in prossimità del Castello di Fukuyama, il vestibolo interno del museo, lo spazio espositivo e la caffetteria godono di una splendida vista del Parco del Castello. Orario del museo : 9:30 – 17:00. Chiuso il lunedì e a Capodanno.

Tokyo Metropolitan Teien Art Museum

Il Tokyo Metropolitan Teien Art Museum era la residenza del Principe Asaka, ottavo figlio del Principe Kuni, il quale visse nel palazzo con sua moglie la Principessa Nobuko, ottava figlia dell’Imperatore Meiji. L’edificio fu completato nel 1933 e oggi la sua struttura è rimasta in larga parte quella originale. Dopo la guerra, esso ebbe diverse destinazioni temporanee, per esempio come residenza ufficiale del Ministro degli Esteri e, in un altro periodo, come dependance per gli ospiti di stato. Quindi, mezzo secolo dopo la sua costruzione, la Residenza del Principe Asaka vive attualmente una nuova giovinezza come museo gestito dalla Tokyo Metropolitan Foundation for History and Culture (Tokyo-to Rekishi Bunka Zaidan), costituita dal governo della città. La Residenza del Principe Asaka ha aperto le sue porte come Tokyo Metropolitan Teien Art Museum il 1 ottobre 1983. l’edificio conserva ancora per il visitatore moderno quello stile Art Deco che sconvolse l’arte europea negli anni ’20 e ’30. Le parti principali sono state progettate dal designer francese Henri Rapin (1873-1939), e molti degli elementi decorativi interni sono stati importati dalla Francia o da altri paesi stranieri.

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Fukuyama, Fukuyama Museum of Art, 3 Ottobre - 29 Novembre 2009 Tokyo, Teien Metropolitan Art Museum, 16 Gennaio - 14 Marzo 2010

Promotori

Ministero degli Affari Esteri

Ambasciata d’Italia, Tokyo

Direzione Generale per la Promozione e la Cooperazione Culturale Direzione generale per la Promozione e la Cooperazione culturale

Istituto Italiano di Cultura, Tokyo

Ministero per i Beni e le Attività Culturali

Direzione Generale per il Paesaggio,le Belle Arti, l’Architettura e l’Arte Contemporanee

Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze

Galleria d’Arte Moderna di

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Fukuyama, Fukuyama Museum of Art, 3 Ottobre - 29 Novembre 2009 Tokyo, Teien Metropolitan Art Museum, 16 Gennaio - 14 Marzo 2010

Organizzatori

Ministero degli Affari Esteri Istituto Italiano di Cultura, Tokyo Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Fiorentino

Fukuyama Arts Foundation, Fukuyama Museum of Art

Tokyo Metropolitan Foundation for History and Culture, Tokyo Metropolitan Teien Art Museum

The Yomiuri Shimbun

The Japan Association of Art Museums

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Fukuyama, Fukuyama Museum of Art, 3 Ottobre - 29 Novembre 2009 Tokyo, Teien Metropolitan Art Museum, 16 Gennaio - 14 Marzo 2010

Con il contributo di

Ministero degli Affari Esteri

Istituto Italiano di Cultura, Tokyo

Regione Toscana

Provincia di Livorno

Provincia di Livorno

Comune di Livorno

Comune di Livorno

Camera di Commercio di Firenze

Camera di Commercio di Livorno

Ente Cassa di Risparmio di Firenze

GabrielePoli Group GabrielePoli GROUP

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Fukuyama, Fukuyama Museum of Art, 3 Ottobre - 29 Novembre 2009 Tokyo, Teien Metropolitan Art Museum, 16 Gennaio - 14 Marzo 2010

Con il contributo di

Gherardini

Lion Corporation

Shimizu Corporation

Dai Nippon Printing, Co. Ltd.

La mostra “I Macchiaioli, Maestri Italiani del Realismo” è un evento nell’ambito della Rassegna “Italia in Giappone 2009”

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The Macchiaioli, Masters of Italian Realism

Fukuyama, Fukuyama Museum of Art, 3 Ottobre - 29 Novembre 2009 Tokyo, Teien Metropolitan Art Museum, 16 Gennaio - 14 Marzo 2010

Casa editrice: BIJUTSU SHUPPAN-SHA CO. LTD. Numero di copie: 3.600 Pagine: 280 Curatrice: Francesca Dini La pubblicazione viene stampata in Giappone in lingua giapponese e inglese.

FOTOGRAFIE Gabinetto Fotografico della Soprintendenza speciale per il P.S.A.E e per il Polo museale della città di Firenze, Archivio Fotografico Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, Archivio fotografico Direzione Musei Comunali del Comune di Firenze, Archivio fotografico Museo Civico Giovanni Fattori, Archivio Fotografico Galleria d’arte moderna Comune di Verona, Archivio fotografico Museo Don Giovanni Verità Modigliana, Archivio fotografico Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì

Seguono gli interventi inseriti nel catalogo

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Ministro degli Affari Esteri

A trent’anni dal felice esordio giapponese dei Macchiaioli, l’Italia propone, nell’ambito delle iniziative di “Italia in Giappone 2009”, un nuovo grande evento espositivo dedicato al movimento pittorico toscano.

La nuova mostra I Macchiaioli, maestri italiani del Realismo presenta un’ampia selezione di opere provenienti da importanti collezioni pubbliche italiane ed è il frutto di una rinnovata positiva collaborazione tra Ministero degli Affari Esteri e Ministero per i Beni e le Attività Culturali di cui vado sinceramente fiero.

L’Italia torna così ad offrire al pubblico di un Paese a cui ci unisce un profondo legame di amicizia e di scambi culturali ed economici, un significativo frammento della sua millenaria storia: un capitolo dell’arte figurativa la cui importanza ed originalità è emersa con chiarezza sempre maggiore nel panorama critico degli ultimi decenni.

A lungo poco considerati, o relegati tra i movimenti artistici minori, i Macchiaioli rappresentano, al contrario, un episodio esemplare nella nostra storia dell’arte, riflettendo limpidamente quella capacità, così peculiare nella vicenda italiana, di portare a frutto, nel clima culturale del presente, un’identità dalle radici antiche.

I macchiaioli, infatti, accompagnarono la fervente fede risorgimentale nella costruzione dell’Italia unita, all’accesa polemica antiaccademica per il rinnovamento di un linguaggio figurativo capace di rispondere all’esigenza civile di trascrivere in arte l’etica risorgimentale.

Richiamandosi ad una tradizione figurativa, quella toscana ed italiana e rinnovandola con innesti freschi, questi cugini maggiori degli Impressionisti, come furono giustamente definiti, seppero disegnare nella fedeltà al vero, nella rappresentazione del paesaggio toscano o delle scene di vita agreste, l’epopea genuina e priva di retorica di un popolo che proprio in quegli anni diventava Nazione.

E come ministro degli Affari esteri oggi sono lieto e convinto di affidare a tali testimoni della nostra storia artistica il compito di rappresentare nel Mondo i valori di libertà di cui sono e siamo figli, quanto di promuovere complessivamente l’immagine dell’Italia e degli Italiani, in chiave moderna e anche prospettica. Sandro Bondi

Ministro per i Beni e le Attività Culturali

Il gruppo di artisti, provenienti da tutta Italia, che alla fine degli anni Cinquanta dell’Ottocento si riunivano a Firenze nel Caffè Michelangelo, era inconsapevolmente votato ad essere ricordato come il primo movimento artistico dell’Italia unita.

Accanto ai più noti artisti toscani – da Lega a Signorini e Fattori – si ritrovarono napoletani e lombardi, veneti e romani attenti a costruire quella che oggi si definirebbe una rete di uomini di cultura, che attraverso la rappresentazione dei luoghi e dei personaggi quotidiani narravano di un’Italia che andava prendendo forma giorno per giorno, nella condivisione di vita delle piccole cose. Una poetica fatta di luce,di istantanee, di sentimenti semplici e per questo mai banali.

E’ in questa chiave di lettura che abbiamo trovato particolarmente appropriato dedicare ai Macchiaioli, in cooperazione con il Polo Museale Fiorentino, la prima mostra internazionale frutto dell’accordo tra il nostro Ministero ed il Ministero per gli Affari Esteri per la valorizzazione della cultura italiana all’estero.

Ed è in questa stessa chiave di lettura che troviamo molto interessante la proposta fattaci di portare la mostra, dopo il tour giapponese a Fukujama e Tokyo, nella nuova sede di Staten Island (N.Y.), candidata a diventare uno dei luoghi prescelti per i “Musei italiani all’Estero”, di prossima creazione ad opera di Mibac e Mae.

Avvicinandosi le celebrazioni per i centocinquant’anni dall’Unità d’Italia, ci è sembrato importante privilegiare per la nostra immagine all’estero la grande qualità e l’antiretorica di artisti che pur parteciparono alla sfida risorgimentale personalmente e attraverso le loro opere. Francesco Maria Greco Direttore Generale per la Promozione e la Cooperazione Culturale del Ministero degli Affari Esteri

La Mostra “I Macchiaioli, maestri italiani del Realismo”, allestita in occasione delle iniziative di “Italia in Giappone 2009” presso le sedi espositive del Fukuyama Museum of Art e del Tokyo Metropolitan Teien Art Museum, costituisce per l’Italia una preziosa opportunità per far conoscere al pubblico giapponese un capitolo importante della nostra vicenda artistica e culturale.

L’evento espositivo dedicato ai Macchiaioli si pone nel solco di una tradizione di positivi rapporti di scambio e di reciproca attenzione tra Italia e Giappone, Paese in cui operano due Istituti Italiani di Cultura la cui attività di promozione della cultura italiana è seguita da un pubblico attento e curioso sia verso le eccellenze artistiche del nostro passato, sia verso le espressioni più moderne del design applicato alla moda ed ai prodotti industriali.

I Macchiaioli rappresentano nella storia dell’arte italiana un momento di trasformazione del linguaggio figurativo legato alle vicende storiche e politiche che portarono all’unità d’Italia. Una fase di rinnovamento in cui la scuola artistica toscana seppe trovare una propria voce, anticipando forme espressive che sarebbero state sviluppate dagli impressionisti, senza rinnegare l’antica tradizione italiana ed anzi, traendo da essa la propria linfa vitale. Tale capacità di individuare nel passato e nella tradizione elementi di forza in grado di orientare e sostenere il percorso verso il futuro costituisce, indubbiamente, una peculiarità del nostro Paese capace oggi di presentarsi al mondo sia come custode di un ricco patrimonio del passato sia per la sua più moderna produzione artistica. La realizzazione della mostra dedicata al movimento artistico dei Macchiaioli è, inoltre, motivo di particolare soddisfazione per la Direzione Generale per la Promozione e la Cooperazione Culturale del Ministero degli Affari Esteri, giacché rappresenta il primo importante frutto della stretta collaborazione avviata con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali a seguito della firma del Memorandum d’Intesa tra il Ministro degli Affari Esteri, On. Franco Frattini, e il Ministro per i Beni e le Attività Culturali, On. Sandro Bondi. La mostra “I Macchiaioli, maestri italiani del Realismo” è stata realizzata con l’importante contributo del Polo Museale Fiorentino, del Comune di Livorno e dell’Istituto Italiano di Cultura di Tokyo, che ha voluto e sostenuto in ogni sua fase l’iniziativa. Al Comitato scientifico, alle Istituzioni coinvolte oltre che a tutti coloro che hanno contribuito, con professionalità e passione, a realizzare questo progetto va il mio sentito ringraziamento e il nostro più vivo apprezzamento. Roberto Cecchi Direttore Generale per i Beni Architettonici Storico Artistici ed Etnoantropologici

Non conosce crisi l’interesse per i capolavori artistici custoditi in Italia, nelle collezioni private, civiche e statali, protagonisti dell’offerta culturale del pianeta.Il fenomeno espositivo - che accomuna l’esibizione di un qualsiasi nome intramontabile e la mostra capace di rappresentare un pensiero critico e rendere il pubblico complice di un’avventura culturale – è stato recentemente oggetto di un approfondimento critico da parte del Comitato Tecnico-Scientifico per il Patrimonio Artistico, con lo scrupoloso contributo dei Soprintendenti e dei Direttori dei musei statali italiani. Nel documento conclusivo l’autorevole organo consultivo del Ministro per i Beni e le Attività Culturali ha posto una premessa indispensabile per quanti si accingano alla lettura di qualsiasi esposizione di opere d’arte: «una corretta impostazione culturale e scientifica delle mostre ne fa un momento essenziale dell’attività sia di conoscenza, sia di conservazione che di valorizzazione del patrimonio storico-artistico, a conferma della unità inscindibile dell’azione di tutela [ ...]».

Dunque, incremento o critica della conoscenza acquisita, accurata conservazione delle opere e – sullo stesso piano della tutela – efficacia dell’impianto museografico e validità della proposta di condivisione rivolta al pubblico. Criteri e punti di riferimento essenziali per valutare positivamente un progetto espositivo: un’attività di verifica, fondamentale per il patrimonio storico-artistico, che solo per l’anno in corso impegna già l’Amministrazione dei Beni Culturali su 460 progetti di mostre, 170 delle quali all’estero, in stretta collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri.

Insostituibile il ruolo interpretato dalle Soprintendenze. Per I Macchiaioli. Maestri del realismo italiano il nucleo più nutrito di opere esposte in Giappone arriva da Firenze. Undicimila chilometri di distanza non hanno ostacolato il dispiegarsi delle sperimentate professionalità del Polo Museale Fiorentino, in grado di curare simultaneamente tante mostre quante ne può alimentare un insieme di duecentocinquantamila opere d’arte mobili conservate in venti musei, dagli Uffizi alle Gallerie dell’Accademia fino al Cenacolo di Santa Apollonia. Tutto questo lavoro non potrebbe essere fatto senza l’ammirevole l’impegno del personale, dei Direttori e del Soprintendente Speciale del Polo Museale di Firenze, ai quali va tutta la mia gratitudine. Cristina Acidini Soprintendente per il Polo Museale di Firenze

E’ un sogno a lungo coltivato, quello che Umberto Donati ha condiviso con tutti noi, che eravamo via via partecipi dell’iniziativa di portare nei musei giapponesi una grande mostra sui Macchiaioli. Ed ecco che il sogno diviene realtà, e che il Museo d’arte Fukuyama a Hiroshima e il Museo Metropolitano d’Arte Teien a Tokyo ospitano una rassegna unica ed eccezionale di quadri, per la quale ringrazio le persone e le istituzioni che l’hanno resa possibile, acconsentendo ai prestiti: la Galleria d’Arte Moderna di Firenze, che con Annamaria Giusti e i suoi collaboratori ha fatto da capofila nella messa a punto del progetto scientifico e nell’organizzazione, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, il Museo Civico Fattori di Livorno e altri prestatori, pubblici e privati, da tutta l’Italia. Così come ringrazio le istituzioni fiorentine e toscane che hanno contribuito al sostegno della mostra, vedendo in essa anche uno strumento di promozione qualificata della nostra regione: l’Ente Cassa di Risparmio di Risparmio di Firenze, la Camera di Commercio di Firenze, la Provincia di Livorno, il Comune di Livorno, la Camera di Commercio di Livorno. Questo impegno generoso di tanti si traduce in una mostra di ben sessantaquattro quadri, che danno visibilità a livelli altissimi di qualità al piano scientifico intenso ed emozionante di Francesca Dini. In un percorso pienamente rappresentativo di personalità straordinarie come Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Telemaco Signorini e molti altri grandi pittori, è narrata la nascita e l’affermazione della pittura “di macchia” in stretto collegamento con le vicende politiche della Toscana, passata dal quieto regime granducale dei Lorena all’Italia da poco unificata, in anni in cui Firenze salì al rango di capitale per essere poi sostituita da Roma (1865-70). In questo decennio tormentato, alte speranze e idealistica dedizione si intrecciarono agli esiti delle guerre, a rivolgimenti sociali, ad aspirazioni e a delusioni. La risposta dei giovani ed impetuosi artisti fu uno sguardo fresco e nuovo al “vero”. Si rivolsero a soggetti umili e quotidiani, a luoghi lontani dall’ufficialità (, Piagentina, Settignano, la Maremma) dove campagne e periferie urbane serbavano la dignità indisturbata della bella natura lavorata dall’uomo. Definiti con un certo spregio Macchiaioli per la loro scelta, all’epoca rivoluzionaria, di frantumare e muovere dall’interno il colore, non rinunciarono però mai veramente all’intelaiatura prospettica assimilata dalla tradizione toscana del disegno. L’articolazione della mostra e del catalogo presenta i quadri con esemplare chiarezza, dagli esordi della “macchia” alla dispersione del movimento dopo il 1870. Esportare in Giappone questa visione (riallacciando le fila di una non dimenticata mostra di trenta anni fa) ha anche il significato di condividere la memoria e la riflessione dedicate a un movimento artistico, che ha saputo interpretare un’epoca all’insegna di un profondo rinnovamento. E d’invito a portarsi in questi luoghi di Toscana, a ritrovare atmosfere e colori che non sono poi tanto cambiati. La luce dei paesaggi marini sulla costa rocciosa, i larghi orizzonti maremmani, le strade strette e rustiche dei borghi intorno Firenze. Là dove invece il mutamento è stato drastico, come nel cuore del centro storico fiorentino o nella campagna ormai urbanizzata, questi quadri vibranti di verità riportano indietro nel tempo, a ritmi e stili di vita dai sapori antichi.

Precedenti di qualche tempo i ben più celebrati Impressionisti, i Macchiaioli furono tuttavia ben consapevoli (e curiosi) degli esperimenti artistici e tecnici che si facevano a Parigi. E’ forse appunto in questo equilibrio precario, fra la dimensione locale di una Firenze ripiegata sulle proprie vicissitudini di capitale destituita, e l’apertura alla tumultuosa vitalità della metropoli francese, che risiede il fascino duraturo dei Macchiaioli, i pittori fiorentini più amati dai Fiorentini. La pittura in Toscana, grande non solo nel Rinascimento

Annamaria Giusti Direttrice della Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti

Un crescendo di iniziative espositive, che nel corso degli ultimi tre decenni sono state ospitate in numerosi musei e centri del Giappone, hanno familiarizzato il pubblico nipponico con alcuni aspetti della brillante civiltà artistica italiana. A essere privilegiati sono stati per lo più i “secoli d’oro” del Rinascimento, visti anche nelle loro premesse ed esiti, mentre più in ombra sono rimasti altri momenti ed espressioni di una storia artistica, che pure ha goduto di una lunga quanto articolata evoluzione.

La mostra attuale intende quindi porre in luce la felice stagione della pittura in Toscana nei decenni successivi alla metà dell’ Ottocento, ponendosi idealmente come seconda tappa di quell’ evento precoce e “contro corrente” che fu la mostra tenutasi, nel 1979, presso i Grandi Magazzini Isetan di Shinjuku, e dedicata appunto ai Macchiaioli

Da allora sono passati trent’anni esatti, e in Italia gli studi su un movimento artistico, che non ha mai cessato di essere popolare nel comune sentire, si sono ulteriormente ampliati e affinati, approfondendo l’ attività dei singoli protagonisti della “macchia”, rintracciandone creazioni rimaste defilate o sconosciute nelle collezioni private, soprattutto rivendicando a questa corrente artistica la “modernità” che la pose, negli anni ’60 dell’ Ottocento, all’ avanguardia nel panorama della pittura del tempo, e non soltanto di quella italiana.

Curata da una delle maggiori specialiste di questo tema, la mostra offre una rappresentativa selezione di opere dei maggiori esponenti di questo fecondo movimento artistico. Anche dopo 150 anni dal loro apparire, e in luoghi così lontani dalla Toscana, che della pittura di “macchia” fu ispiratrice e protagonista, crediamo che le opere dei Macchiaioli siano in grado di affascinare con la forza della sincerità, umana e artistica, che costituì l’innovazione e l’ eredità del movimento, e per quel senso di intima relazione con la natura, con il quale la tradizione culturale e la sensibilità giapponesi potranno trovare un ideale punto di convergenza.

La Galleria d’ arte moderna di Palazzo Pitti a Firenze, custode del nucleo più consistente di opere dei Macchiaioli presenti nelle raccolte pubbliche nazionali, ha aderito con soddisfazione all’ iniziativa attuale, lieta di darvi il proprio, ampio contributo e di coordinare un evento, mirato a valorizzare un aspetto della nostra storia artistica che merita di essere meglio conosciuto e apprezzato in ambito internazionale. I Macchiaioli, maestri del Realismo italiano

Francesca Dini

Introduzione Il 1860 è un anno particolarmente importante nella storia del popolo italiano che faticosamente, dopo ripetuti e sanguinosi tentativi rivoluzionari, finalmente realizza il sogno di riunire in un unico Stato sovrano le diverse regioni della penisola, sottraendole al secolare dominio di altre Nazioni. Unità dello Stato italiano e Indipendenza da dominazioni straniere: questo fu il traguardo raggiunto dal “Risorgimento”, termine con cui si definisce l’insieme di ideali, uomini, avvenimenti storici che produssero questo straordinario cambiamento epocale, ripristinando quell’unità territoriale e quella libertà che erano andate perdute molti secoli prima con la caduta dell’Impero Romano. fu l’eroe che risalendo la penisola dal suo punto più meridionale, la Sicilia, liberò le popolazioni oppresse, realizzando in pochi mesi ciò che per secoli era stato tentato invano. La frammentazione politica e territoriale, aveva impedito una evoluzione unitaria e “nazionale” della civiltà italiana la qual cosa pesò enormemente sulla nuova nazione nata con il Risorgimento: la Monarchia Sabauda si trovava infatti a governare un territorio dallo sviluppo difforme, arretrato al Sud (antica dominazione del casato dei Borbone di Napoli), più evoluto al Nord, già insediamento dell’Impero Austro- Ungarico, sostanzialmente agricolo in Toscana, ove aveva prosperato il mite Granducato dei Lorena, e nello Stato Pontificio. Dal punto di vista economico e industriale l’Italia si trovava verso 1860 in uno stato di non competitività, di netto svantaggio rispetto a Francia e Gran Bretagna, le maggiori Nazioni del tempo. La Francia poi aveva assunto anche la leadership culturale in Europa e dal punto di vista artistico, dopo secoli di predominio italiano (basti pensare al Rinascimento con Raffaello e Leonardo, alla grande pittura Veneta del Cinquecento con Tiziano, Giorgione e Tintoretto, al Seicento con Caravaggio) aveva iniziato la sua grande parabola ascendente che da Ingres al Romanticismo di Gericault e Delacroix, attraverso i pittori paesaggisti della scuola di Barbizon e il realismo di Gustave Courbet sarebbe approdata alla grande pittura di Edgar Degas e degli Impressionisti. Alla vigilia della “rivoluzione” artistica dei Macchiaioli, l’arte italiana languiva ed ognuno dei singoli stati in cui era divisa la Penisola alimentava una sua scuola pittorica, senza tuttavia che si producessero i grandi uomini e i grandi capolavori dei secoli passati. Nelle locali Accademie di Belle Arti vigeva un insegnamento reazionario che imponeva ai giovani scolari formulari e regole per la produzione dell’opera d’arte che doveva esser fatta a imitazione dei grandi maestri del passato, impedendo con ciò la sperimentazione di nuovi strumenti espressivi. E’ questa la cornice storica che fa da sfondo alla vicenda dei pittori “Macchiaioli”; una vicenda assolutamente originale e unica nel contesto internazionale degli anni Sessanta del XIX° secolo, come unico fu il clima storico che la produsse. Vivendo in Toscana questi giovani pittori, poco più che ventenni, ardenti patrioti impegnati nelle guerre di liberazione del proprio Paese, pittori sensibilissimi e molto dotati, presentirono il vento di rinnovamento che percorse l’Europa dalla metà del secolo e che portò gli artisti in più nazioni a dipingere la vita quotidiana contemporanea e a studiare dal vero gli effetti della luce atmosferica. Su questo substrato che oggi sappiamo esser stato comune a più esperienze artistiche e diffuso in luoghi diversi del pianeta, i nostri Macchiaioli innestarono la loro tradizione nazionale fortemente improntata dal disegno e dall’eredità del Rinascimento; e vi innestarono i loro valori morali e ideali, le aspirazioni patriottiche di un popolo, o meglio dell’elite di una nazione che vicende storiche nefaste avevano mantenuto per tre terzi analfabeta. Modesti nell’animo ma fortemente incentivati da una volontà di riscatto artistico, politico e sociale, i Macchiaioli infusero nella loro arte il particolarismo della loro situazione. Essi provocarono il rinnovamento dei contenuti e dei mezzi espressivi attraverso lo strumento della “macchia”, nel primo tempo della loro rivoluzione, quei cinque anni – dal 1855 al 1860 - che gli occorsero per acquisire e affinare i mezzi espressivi necessari ad esprimere l’attualità, le aspirazioni e le emozioni dell’individuo moderno e ad allineare l’arte italiana su posizioni innovative. Infine superarono se stessi, approdando nel 1861 alla stagione della pienezza espressiva in cui i grandi temi della loro poetica, prima dibattuti ed esternati, rifluirono nell’animo. Fu allora che il confronto col vero si fece pacato, che la luce divenne non il mezzo ma il traguardo dell’opera dipinta: questo fu il momento più innovativo della ricerca dei Macchiaioli. Possiamo dire oggi, a fronte degli studi che hanno messo a confronto le manifestazioni artistiche delle diverse nazioni europee, nella seconda metà dell’Ottocento, che il gruppo toscano rivesta, nell’economia di almeno un decennio – gli anni Sessanta dell’Ottocento - una posizione di preminenza e la rivesta sia per i traguardi estetici conseguiti, sia per la sua realtà di movimento autonomo, compatto e unitario.

Il Caffè Michelangelo Il movimento dei progressisti toscani si costituì in Firenze nel 1856, ossia prima dell’Unità d’Italia, nelle stanze del Caffè Michelangiolo, luogo di ritrovo nel centro storico, prescelto da quella parte della gioventù cittadina che era decisa ad emanciparsi dall’insegnamento accademico. Vi aderirono artisti provenienti da diverse città e regioni italiane: ai toscani Telemaco Signorini, Odoardo Borrani, Raffaello Sernesi, Giovanni Fattori, Adriano Cecioni, , Serafino De Tivoli, si unirono il napoletano , i veneti Vincenzo Cabianca e , il ferrarese , il romagnolo Silvestro Lega, il pesarese Vito D’Ancona. La finalità del gruppo fu il rinnovamento dei modi espressivi e dei contenuti dell’arte italiana, con lo scopo ultimo di dare al nascente stato una pittura “nazionale” nella quale trovassero espressione il sentimento dell’epoca contemporanea e le istanze di rinnovamento delle nuove generazioni. Dalla ostinata ricerca di una maggiore aderenza del linguaggio espressivo con la realtà, nacque la “macchia”; la quale non fu propriamente un’invenzione di questi artisti; essi la desunsero infatti dalla pratica già in uso presso Tiziano e Giorgione di abbozzare con tecnica rapida, cioè a macchie di colore e chiaroscuro, senza disegno, la prima di idea di un dato dipinto. Ebbene i Macchiaioli ritennero che quello stadio ideativo iniziale fosse la vera creazione artistica, l’intuizione che non doveva essere raggelata in una costruzione scenografica, anche perfetta ma mortificante, l’idea doveva invece essere colta e espressa attraverso una tecnica rapida e libera da sovrastrutture retoriche. L’assoluta “non appariscenza” dei risultati ottenuti dai toscani che opponevano alle complesse scenografie della pittura accademica, piccole tavolette raffiguranti per lo più effetti di luce studiati sul Vero, suscitò per lungo tempo il dileggio del pubblico e della critica. Quest’ultima coniò nel 1862 il termine di “macchiaioli” alludendo alle macchie d’inchiostro dei bambini e giocando con il significato dell’espressione “ darsi alla macchia”, che nella lingua italiana è quello di “agire in condizione di illegalità”. Consapevoli di queste sfumature i nostri artisti raccolsero la sfida e fecero proprio questo epiteto. Il primo tempo della “macchia” si compì dunque al Caffè Michelangiolo “il ritrovo dei capi ameni, degli eccentrici, dei matti insomma come ha sempre qualificati i pittori il tranquillo borghese amatore delle arti” scrive Telemaco Signorini1. Ed aggiunge: “difatto le burle di tutti i generi erano all’ordine del giorno, gli stornelli popolari delle campagne Toscane cantati con mirabile armonia trattenevano la folla che sotto la finestra del caffè inondava la strada e framezzo alle nubi del fumo dei sigari e le gambe levate sulle tavole, vedevi taluno che schizzava da una parte un gruppo d’amici impegnati in una seria questione, ed un altro che, preso da mania di robustezza, alzava con un braccio solo diversi marmi dei tavolini legati insieme (…) e in mezzo a tutto questo, la terribile ironia fiorentina…” che metteva a dura prova la tolleranza individuale. In un siffatto ambiente dove si era disposti a simpatizzare con chiunque, anche straniero, apparisse “giovane e franco”, si era invece ostili a chi volesse imporre con autorità la propria supremazia. Dunque tra le cause concomitanti che produssero la maturità di quella società artistica, ci fu la disponibilità ad accogliere e a far tesoro di quanti nuovi amici emigravano lì dalle altre regioni italiane creando il presupposto per nuovi punti di vista e sempre più approfondite riflessioni. Signorini avrebbe ricordato nel corso di poco più di un decennio le presenze più o meno prolungate di artisti e uomini di cultura anche stranieri, quali Edouard Manet, Edgar Degas, James Tissot, Marcellin Desboutin, Georges Lafenestre2. La “macchia” ebbe origine da una complicità di intenti e di avvenimenti misurabile, a posteriori, dalla complessità delle relazioni e delle esperienze che la società del Michelangiolo seppe alimentare; per cui se la coraggiosa proposta inizialmente fu dello storico gruppo toscano essa fu partecipata alle altre scuole regionali, con il fine sotteso di raccogliere sotto il vessillo della “macchia” e la bandiera del “realismo”, un movimento progressista nazionale che fosse espressione del nascente stato italiano. Mano a mano che tale disegno unitario e progressista si delineava negli animi degli avventori, cambiava anche il tenore delle riunioni del Caffè, fino a quel momento improntate alla burla e al disimpegno. Dopo l’esposizione universale del 1855 la pittura dei maestri di Barbizon arrivò diffusamente a incidere nelle scelte artistiche dei pittori del Michelangiolo, attraverso le esemplificazioni che ne veniva dando Serafino De Tivoli con opere importanti, e attraverso le edotte parole del pittore Saverio Altamura, dal momento che entrambi avevano visitato l’Esposizione Universale di Parigi. “Era Altamura – racconta Martelli – una bella figura d’artista meridionale, barba folta e folti capelli castagno scuro, faccia quadrata leonina, bello lo sguardo cogitabondo e il sorriso. Parlava a parole tronche e spezzate, come di chi sappia molto di più di quello che dica, e fra un pezzo di frase e l’altra bagnava l’estremità delle dita in un bicchiere di acqua gelata e si rinfrescava la fronte. Fu lui che in modo sibillino ed involuto cominciò a parlare de Ton gris allora di moda a Parigi, e tutti a bocca aperta ad ascoltarlo prima, ed a seguirlo poi per la via indicata, aiutandosi con lo specchio nero, che decolorando il variopinto aspetto della natura permette di afferrare più prontamente la totalità del chiaroscuro, la macchia”3. Individuato l’antidoto alla eccessiva levigatezza e alla scarsa consistenza di tanta pittura accademica, gli artisti del Michelangiolo si dettero anima e cuore ad applicarlo nei diversi campi d’interesse, ossia il quadro di storia, il paesaggio, la scena di genere. Dietro suggerimento del De Tivoli si iniziò a privilegiare però la pittura di paesaggio, avendo constatato direttamente o indirettamente a Parigi i progressi enormi conseguiti da quello che era stato sempre ritenuto la “cenerentola” dei generi pittorici. “Il paesaggio è la vittoria dell’arte moderna” affermavano Edmond e Jules de Goncourt nel loro articolo sull’Esposizione del 1855, aggiungendo : « La Primavera, l’Estate, l’Autunno, l’Inverno hanno per servitori i più grandi e magnifici talenti, che stanno per essere sostituiti da una giovane generazione ancora anonima, ma promessa all’avvenire e degna delle proprie speranze (…) e da questa comunione sincera sono usciti i nostri capolavori, le tele di Troyon e di Dupré e di Rousseau e di Français e di Diaz…”4 . La connotazione locale del paesaggio, già presente nell’inglese John Constable, assumeva nei pittori francesi nuovo e potente vigore; dall’esempio di tali artisti i toscani trassero lo spunto per rigettare l’uniformità dei paesaggi d’invenzione, costruiti in studio dalla precedente generazione, confortati in ciò anche dall’esempio del romano Nino Costa giunto a Firenze nel 1859. Domenico Morelli, le cui protratte permanenze in Firenze trovavano ampia eco presso la colonia dei fuoriusciti dal Regno Borbonico (colonia che annoverava lo storico Pasquale Villari e artisti come Altamura e Federico Maldarelli) fu figura di assoluto riferimento per la società del Michelangiolo. Agli albori del movimento, infatti, i Macchiaioli temporeggiavano ancora nel genere del quadro di storia rinnovato secondo i criteri di verosimiglianza introdotti dal francese Paul Delaroche e importati tra di loro dall’esempio del caposcuola Morelli. Ripercorrendo le origini della pittura italiana moderna Zandomeneghi avrebbe scritto:”Tutto il movimento si concentrò interamente sul Morelli, il quale, dotato di un potente temperamento di giovane pittore e colpito dalle bellezze della scuola veneziana del XVI secolo in generale e da Delacroix, forse particolarmente, in quest’epoca si trovò ad avere una superiorità artistica che tutti questi pittori, o per meglio dire, i giovani pittori gli riconobbero senza contestazione. (…)Morelli rivelò coi suoi quadri il colore e la luce che i cattivi insegnamenti accademici del suo tempo avevano fatto dimenticare…”5. La vicenda dei Macchiaioli infatti parte dal “colore”, in antitesi con la secolare tradizione accademico-disegnativa dei fiorentini; il colore che dietro l’esempio di Morelli si viene scoprendo capace di dare sostanza di verità e dunque, applicato ai soggetti storici e religiosi, conferisce loro verosimiglianza e pregnanza di contenuti. Il recupero morelliano della pittura veneziana del 500 è fondamentale e tutt’altro che scontato se si valuta ad esempio come un Paolo Veronese fosse stato bistrattato dal Neoclassicismo per la presunta superficialità nella resa storica delle figurazioni. Delacroix scriveva intorno al 1854 nel “Journal”: “C’è un uomo che riesce a far chiaro senza violenti contrasti, che dipinge il plein-air, che ci fu sempre detto esser cosa impossibile: quest’uomo è Paolo Caliari. A mio giudizio, egli è forse l’unico che abbia saputo cogliere tutto il segreto della natura. Senza dover imitare esattamente la sua maniera, si può passare per molte strade sulle quali egli ha collocato fiaccole indicatrici…”6. Rischiarare alla luce di quelle fiaccole indicatrici i molti fermenti artistici che turbavano in quel momento le menti e gli animi dei giovani pittori fiorentini, apparve a taluni di loro una necessità non procrastinabile. All’alba di un giorno di giugno del 1856, dopo una serata turbolenta trascorsa al Caffè Michelangiolo, Signorini e D’Ancona furono svegliati dai compagni al grido di “viva i viaggiatori” e forzosamente accompagnati alla diligenza, una volta saliti sulla quale furono raggiunti da mazzi di fiori scagliati “graziosamente” sulle loro teste.

La macchia e il Vero Una volta giunti a Venezia (ove si sarebbero trattenuti per tre mesi), diversamente dal più anziano D’Ancona, Signorini, preferì allo studio metodico degli antichi maestri, la ricerca di un percorso emozionale che doveva confortare la sua idea della “macchia”, quale egli veniva dentro di sé elaborando. Colto e sagace, il Signorini cercava conferme sulle potenzialità di quel colorire alla prima e dal vero che Giorgio Vasari denominava “macchiare”, attribuendo quella pratica a Tiziano. La pratica del macchiare in quanto stadio intermedio di esecuzione pittorica era ben nota del resto ai giovanissimi pittori del Caffè Michelangiolo. Quello che Signorini acquisisce durante il soggiorno a Venezia del ‘56 è la duplice certezza che la macchia possa essere lo strumento per ottenere una presa efficace e rapida sulla realtà contemporanea e che quest’ultima debba essere il solo repertorio del pittore moderno. E’ ben presente in Telemaco la necessità di aprire un nuovo dialogo con la natura e la realtà, seguendo quell’intima istanza di verità e di sincerità che la filosofia positivista veniva affermando come qualità precipua dell’artista moderno. Sappiamo del resto come Telemaco si fosse a quest’altezza appassionato alla lettura dell’opera filosofica di Pierre-Joseph Proudhon e come il contatto con i pittori del Cinquecento veneziano che egli definisce altrove “maestri macchiaioli dell’antichità”, producesse una vera e propria “metamorfosi” del giovane artista alla luce di quelle che egli qualificava come vere e proprie “rivelazioni artistiche”7. Si capisce dunque come da tutto questo derivi un punto di vista diverso di osservare la pittura dei grandi maestri: non la ricostruzione “in vitro” di un passato idealizzato, tendenza che sarà propria della scuola preraffaellita inglese; bensì il recupero analogico di quello stesso passato col “sentimento umano” del presente, atteggiamento caratterizzante il rapporto nuovo e fondamentale instaurato dai Macchiaioli con la pittura del Rinascimento. Sin da questo suo primo soggiorno veneziano Telemaco produsse opere caratterizzate da violenti effetti di “macchia”, cercando in seguito (con la complicità degli amici Banti e Cabianca) l’effetto nelle scene di vita comune, fossero essi dei bimbi seduti in terra a La Spezia, oppure il variopinto merciaio che si aggira nella stessa località, prediletta per la tersa luce marina capace di ombre taglienti e di contrasti decisi. Fu Banti – secondo il racconto di Adriano Cecioni – a procurarsi lo specchio nero, che “posto in faccia a un motivo” permetteva di cogliere la macchia con la maggior definizione possibile. L’episodio narrato da Cecioni accadeva più o meno verso il 1858, all’epoca del primo soggiorno di Signorini a La Spezia A quest’altezza Telemaco ebbe sodali dunque Banti e Cabianca; non Fattori ad esempio, né Lega, né tanto meno gli esponenti della scuola napoletana che avevano avuto tanto seguito fino ad allora nella società del Michelangiolo. Non tutti infatti erano pronti a svincolare la propria ricerca dal quadro di genere storico e per quanto riguardava la “macchia”, la radicale applicazione che ne faceva Signorini in quel periodo, il ripudio del disegno in quanto principio basilare su cui l’istituzione accademica basava il proprio insegnamento, sgomentava molti dei compagni e quanti v’intravedevano i limiti nel bozzettismo. “Da quel momento – scrive - si cominciò a perdere la serenità dell’animo, e le idee non furono più segno di divergenze plato¬niche, pacificamente discutibili, ma di divisioni profonde e di sofferenze amare”. Ma la crescente determinazione dei “progressisti” poggiava anche sulle risultanze scientifiche (rese pubbliche nel 1857 quando il saggio “L’optique et la peinture comparve su “Revue des deux Mondes”) degli studi del professor Jules Jamin8, secondo il quale la pittura, basandosi su convenzioni, poteva esprimersi solo per analogia nel rapporto con il Vero. Dunque la macchia fu innanzi tutto una convenzione; una convenzione che consentiva l’immediatezza nel rapporto con il vero, negato invece dalle lunghe elaborazioni formali care alla precedente generazione accademica. Opera esemplare di questo momento poetico è Il settembre o Ladruncoli di fichi di Raffaello Sernesi (Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti), raffigurante due ragazzi di strada che salito un muro di campagna rubavano dei fichi, opera che, come scrive Telemaco, urtò la suscettibilità della critica che non vedeva in questa scelta un insegnamento morale. Non si poteva spiegare al colto pubblico che , come quella piccola opera dalla fattura ruvida e apparentemente poco curata fosse nata dall’emozione che il pittore aveva provato nel sorprendere dal vero due macchie bianche – le camicie dei ladruncoli – che in pieno sole risaltano per valore e intensità sul muro della medesima tinta, sotto la cuspide di un cielo vero, nitido e reale, il cielo che chiunque può vedere in una soleggiata giornata di settembre; nè che questa visione, apparentemente amorale e ingenua, nasceva dalla volontà catartica di uno spirito grande e generoso che osava guardare la realtà con occhi nuovi e fiduciosi, senza apriorismi storici e culturali. Ci sovvengono le parole di Martelli, relativamente alla distanza, al muro delle incomprensioni che inevitabilmente si era creato tra i giovani pittori realisti e il pubblico, ove il critico afferma che la scelta intrapresa dai Macchiaioli “si conduceva a traverso un camino di triboli di spine inquantoché il pubblico era abituato alle grandi tele miracolose dove il melodramma urla amor di pa¬tria e sgozza tutti i tiranni; né poteva capire il quadro troppo modesto che non era un quadro ma uno studio dal vero e il nichilista che tutto si era dato a ricercare la chiave dei rap¬porti e dei valori troppo poco anzi niente si poteva preoccu¬pare della scena e della trovata quando aveva la soddisfazione di avere azzeccato un verde e trovata giusta un’ombra di ci¬pressi sopra un terreno illuminato dal sole. Questa affermazione di artistica verità era la distruzione di un passato che gravava sulle spalle della gioventù studiosa, quindi una sor¬gente di gaudio purissimo e disinteressato fra gli adepti, ma non per il pubblico, ché di fronte a questo diventava una impertinenza. Esso si irritava contro questi demolitori che non davano mai dei quadri completi, che non offrivano una sin¬tesi del loro pensiero in pascolo alle erudite dissertazioni dei dotti, e furibondo li addentava con le critiche de suoi gior¬nalisti e spietato li condannava con l’ostracismo delle sue compre”9. Il vento del 1859 soffiò a favore di quei giovani pittori e uomini chiamati a contribuire alla Seconda Guerra d’Indipendenza; l’urgenza di adeguare l’espressione artistica alle esigenze culturali e sociali di una realtà storica in rapida evoluzione venne rafforzando la posizione di Signorini in seno alla società del Michelangiolo. L’esperienza sui campi di battaglia indusse in quei giovani un diverso modo di porsi di fronte alla realtà: la mera contemplazione delle bellezze naturali, per quanto rese con veridicità in pittura – caratteristica propria della pittura di Barbizon e di De Tivoli - lasciava il passo alla volontà di incidere sul mondo esterno, di cogliere le più intime aspirazioni della società contemporanea e tradurle in pittura. “L’artista, dunque, continua l’opera della natura producendo a sua volta delle immagini sul modello di determinati suoi ideali, che egli desidera comunicarci”, sostiene il Proudhon10. Ed aggiunge: “…il continuatore della natura, l’artista, si trova pienamente immerso nelle attività umane, il cui sviluppo in tutti i sensi, scientifico, industriale, economico, politico, può definirsi una continuazione dell’opera creatrice. (…). l’artista è chiamato alla creazione del mondo sociale, continuazione del mondo naturale”. Questa legittimazione da parte della filosofia positivista di Proudhon che ebbe in Signorini uno dei primi ed entusiastici seguaci, doveva favorire la piena consapevolezza da parte dei Macchiaioli, di quelli che sarebbero divenuti i comuni obbiettivi. I Macchiaioli furono sempre estremamente reattivi agli avvenimenti anche drammatici degli anni in cui vissero; l’invenzione stessa della macchia, strumento per cogliere con immediatezza ogni frammento della realtà risponde all’idea di restituire attraverso quel frammento la complessità di valori soprattutto etici della società contemporanea. Il concetto di Realtà come sintesi dinamica di Natura e Storia, è un concetto che non appartiene ai paesaggisti francesi degli anni Trenta; ma è invece principio cardine del realismo di Courbet e ad esso i nostri pittori approdarono non per lenta maturazione generazionale, bensì in sette anni di studi ferratissimi, di confronti illuminanti, di tensioni civiche e bagni di sangue. Forse è da qui che ha origine quella umanità profonda che ancor oggi ci avvince, scaturendo finanche dalle opere apparentemente più ingenue e contemplative del Sernesi e del Borrani.

Pittori della luce E’ soltanto nel 1861 che le condizioni politiche della raggiunta - sebbene ancora parziale - unità nazionale consentono uno sguardo d’assieme sulle diverse scuole pittoriche della penisola e soprattutto consentono agli artisti di confrontarsi da vicino proprio a Firenze, in occasione della Prima Esposizione Nazionale. Ma vi sono anche delle ragioni apparentemente marginali e sono quelle biografiche con cui si deve pur fare i conti. Diego Martelli, il futuro critico e fiancheggiatore del gruppo toscano, si trovò erede di vasti possedimenti, oltre mille ettari di terreni estesi tra le province di e Livorno. Era il 4 agosto 1861 quando lo sparuto drappello di pittori – Signorini, Abbati e Michele Tedesco – che accompagnava Diego nella prima visita alle sue proprietà, procedendo in calesse lungo la via Emilia, varcò le alture di Rosignano Marittimo. Straordinario fu lo spettacolo naturale che si presentò alla vista di quei primi visitatori: un paesaggio quasi incontaminato, interrotto dalla ricca varietà di sfumature verdi, quelle cupe delle tamerici, quelle argentee dei lecci, e le tonalità verde rame della vegetazione più bassa, intervallate dai gialli e dagli ocra dei terreni appena liberati dalle colture del frumento e del granturco nei brevi spazi pianeggianti adiacenti la Punta, dominata dal Torrione Mediceo. Bovi immobili nella solitudine austera degli altipiani si alternavano a casolari sparsi tra la vegetazione; infine il mare color smeraldo, straordinariamente limpido e trasparente nei giorni particolarmente limpidi restituiva alla vista le sagome delle prospicienti isole dell’Arcipelago Toscano. Martelli mise a disposizione degli amici pittori la sua villa rustica di Castiglioncello ed essi per molti anni a seguire vi si dettero appuntamento per lavorare insieme, godendo anche della compagnia dei molti uomini di cultura italiani e francesi amici del critico. Ebbe così vita, lungo tutto un decennio, una delle stagioni più altamente poetiche della storia dell’arte italiana. La boscaiola-costume toscano (1861) di Fattori è un’opera esemplare della cosiddetta “scuola di Castiglioncello”; essa iconograficamente rivela la suggestione di illustri precedenti francesi, quali l’epopea contadina di Jean-François Millet; ma la pastora di Fattori, pur nella solennità nobile di una divinità agreste, fiera e al tempo stesso modesta nello sguardo abbassato, induce, prima di una qualche riflessione sulla quotidiana lotta per l’esistenza del popolo dei campi, la immedesimazione con la natura luminosa, solare della campagna livornese. “(...) Quando Diego fu erede legittimo del suo possesso di Castelnuovo e Castiglioncello –ricordava Giovanni Fattori - invitò a godere di questa sua fortuna gli amici più intimi della gioventù (allora) artistica di quella gioventù che sempre ha bisogno di vita e di movimento. La bella figura di Diego vero maremmano fiero fisionomia aperta franca allegra e di cuore generoso per tutti, ci animò ad accettare ed uno dopo l’altro ci riversammo in quella bella e ridente campagna. La villa prospettava la strada maestra e il mare immenso che si stendeva in tutta la sua grandezza di faccia la casa rustica, (…)Diego per sentimento di artista entusiasta di tutto quello che accennava a progresso fu con noi, e di noi più giovine, ricco, libero senza pregiudizi, punto pedante ci accolse con entusiasmo nella sua tenuta, disse “lavorate studiate c’è panno per tutti” e fu una vera boem (sic!) allegri ben pasciuti, senza pensieri ci gettammo nell’arte a tutt’uomo e ci si innamorò di quella bella natura delle grandi linee seria e classica (...)”11. Il connubio tra arte e vita quotidiana, tra semplicità del vivere ed essenzialità dei mezzi pittorici: sono questi i termini entro i quali i Macchiaioli misurano le loro potenzialità espressive. ”Verità, carattere, sentimento” questo è quanto vanno ricercando nel confronto con la natura primitiva di Castiglioncello; ciò impone loro di rapportarsi al vero in modo completamente nuovo; non più una natura sentita nella sua immanenza, bensì vissuta intimamente, sottilmente indagata per mezzo dei principi armonizzanti del disegno e della luce atmosferica. Non sorprende dunque che la costruzione rustica della villa Martelli, ospitale dimora dei pittori, divenga uno dei motivi più ricorrenti nella produzione di questi artisti. Borrani lavora intensamente nelle adiacenze della villa, fissando in minuscole assicelle di legno gli orizzonti che da essa si possono raggiungere volgendo lo sguardo in direzione dei diversi punti cardinali: ne nascono piccoli capolavori di ricercata essenzialità, capaci di evocare in pochi centimetri di pittura, la vastità degli spazi, la libertà di respiro che l’artista prova di fronte al morbido declinare delle alture sotto il cielo terso. La figura di Sernesi incorse molto presto in una sorta di mitizzazione ad opera dei compagni macchiaioli: nella sua morte, avvenuta all’età di ventotto anni in circostanze drammatiche nel corso della Terza Guerra d’Indipendenza (1866), essi videro simboleggiato lo spirito di sacrificio della loro generazione di giovani patrioti, impegnati nella costruzione di una nazione finalmente libera e unita. Telemaco Signorini primo biografo di Sernesi sostiene comunque che proprio le opere realizzate a Castiglioncello, furono rivelatrici del genio del pittore fiorentino poco più che ventenne. Destino tragico fu anche quello che attendeva Beppe Abbati, il colto pittore napoletano che già nel 1860 aveva pagato il suo tributo di sangue alla patria perdendo l’occhio destro durante la battaglia di Santa Maria Capua Vetere. Tornò vivo dal fronte della guerra del 1866, dopo qualche mese di prigionia in Croazia. Ad attenderlo, uno dei momenti chiave nella cronologia della “scuola” di Castiglioncello ma anche l’ultima stagione creativa della sua vita, l’estate del 1867, sempre lì, nei pressi della villa Martelli con Fattori, Borrani e Giovanni Boldini. “…Rintanatosi in campagna (…) spinse più alto l’ambizioso volo dell’ingegno. Il cielo, la grande natura, l’uomo, ecco il subietto, ecco la meta che s’era prefisso”, scriverà Martelli di questo importante momento della ricerca abbatiana. E Fattori, riandando all’epoca di quel sodalizio artistico ricordava come Abbati lo avesse incitato allo studio dei bianchi e egli avesse incoraggiato il pittore napoletano allo studio degli animali. Il motivo dei bovi al carro è uno dei temi prediletti dalla creatività dei due artisti, che lo svilupperanno ora in direzione della sintesi estrema ora in opere di ampio formato straordinarie elegie sul tema della natura, dell’uomo, del lavoro dei campi. Tema prediletto, ma non unico quello dei bovi aggiogati. Basti ricordare gli straordinari esiti dei ritratti che Fattori ci ha lasciato dei suoi ospiti, Diego Martelli seduto sulla sedia a sdraio con di fronte un dinoccolato leggio, Teresa Martelli seduta all’ombra della giovane pineta. Abbati, reduce garibaldino che aveva scelto in ultimo di vivere in solitudine a Castelnuovo della Misericordia, in una modesta colonica messagli a disposizione dall’amico Martelli, morì all’età di trentadue anni per l’idrofobia contratta dal suo cane mastino. Nelle belle giornate invernali, quando troppo impegnativo era raggiungere la villa Martelli di Castiglioncello, i Macchiaioli sin dal 1862 presero l’abitudine di recarsi nella campagna fiorentina di Piagentina fuori Porta La Croce, incamminandosi tra gli orti e le villette fino a raggiungere l’Arno all’altezza di Bellariva. Castiglioncello e Piagentina furono comunque le inflessioni di un medesimo canto, gli aspetti bipolari di una medesima poetica. Il significato di quei ritrovi lo troviamo suggerito da Proudhon nel “Du Principe de l’art et de sa destination sociale”: “L’artista deve essere in comunione di idee e di principi non solo con i suoi confratelli, ma con tutti i suoi contemporanei (…). L’artista in effetti, non produce niente dal nulla; non fa che curare dei rapporti, analizzare delle figure, combinare dei tratti, rappresentarli: è questa la sua creazione. Come l’industriale, il saggio o il filosofo - più osserva, più scopre - e più ha scoperto, meglio si applica e produce – così l’artista, quanto meglio vede, tanto meglio è in grado di rappresentare: l’ispirazione è in lui proporzionale all’osservazione…”12. Nel momento in cui l’artista cessa di studiare automaticamente viene meno l’ispirazione, sostiene il filosofo francese teorizzando la necessità dell’esperienza di gruppo e del continuo confronto con la Natura, della ricerca incessante, della sperimentazione. Furono queste le motivazioni che, unitamente a quelle biografiche, indussero i Macchiaioli a dar vita alle due comunità artistiche e la loro produzione, pur nell’unità di poetica, si connota per la diversità d’intonazione che deriva dalla differente qualità del paesaggio. Ragion per cui il confronto con la natura, motivo irrinunciabile della poetica di Castiglioncello, diviene per Piagentina meno essenziale, consentendo a questa seconda “scuola” un indirizzo non univocamente paesaggistico. Le Cucitrici di camicie rosse di Borrani è opera emblematica di quella inclinazione intimista che connota il clima poetico di Piagentina: sin dagli ultimi mesi del ‘62 il pittore frequenta la campagna fiorentina fuori porta La Croce, ma predilige, solidalmente con Lega, i soggetti ispiratigli dalla vita domestica di famiglie amiche, quali i Batelli, e i Cecchini. Quattro giovani donne sono raccolte attorno ad un piccolo tavolo da lavoro; il muto colloquio di sguardi, i modi rattenuti, la serena determinazione dei volti chini sul lavoro, caricano i loro semplici gesti di grande tensione ideale e emotiva. L’impressione che ce ne viene é proprio quella di aver innanzi un episodio eroico; un eroismo al femminile fatto di dolce determinazione e di pudica, intima partecipazione. E’ chiusa la grande finestra sul fondo, ma la luce del giorno filtra attraverso le bianche tende che sembrano aprirsi, sorretti dagli alti embrasse dorati; essa tinge di riflessi azzurri le ricche pieghe, colora di toni violacei le graziose frange annodate. Fuori dal penetrale domestico la storia incita alla rivoluzione; nella realtà domestica, un sentimento di struggente partecipazione, nei cuori delle protagoniste si mescola ad un fiducioso stato di attesa mentre sotto lo sguardo fiero di Garibaldi il cui ritratto campeggia sulla parete campita di azzurro, esse cuciono le camicie dei soldati. Il messaggio patriottico é nel soggetto come nella tavolozza dell’artista che al bianco luminoso delle tende accosta le diverse tonalità di verde della tovaglia e delle ampie crinoline, ed il rosso fiammante delle camicie. La scoperta della forza naturalistica della luce, l’istanza di verità che anima la società contemporanea e che ha determinato in Borrani e in tutti gli artisti “in progresso” la totale rivoluzione dei mezzi pittorici e dei contenuti tradizionali, hanno prodotto il magico equilibrio di cui Le cucitrici sono espressione; equilibrio che si nutre dei valori etici e formali della tradizione rinascimentale toscana. Per analogia con i quattrocentisti, Borrani introduce gli espedienti del controluce e del grandeggiare delle figure ottenendo, come notò per primo Emilio Cecchi, quell’unità metrica che ci pare oggi la chiave di lettura di questo straordinario dipinto. Analoghi accorgimenti adotta Lega quando, nella tarda primavera di quello stesso 1863, ritrae l’amata Virginia Batelli in un’ampia veste chiara cui i raggi del sole mattutino imprimono un suggestivo effetto di pieghe trasparenti e in ombra; la giovane donna siede di spalle e porta i lunghi capelli neri raccolti sulla nuca; la sua bella figura grandeggia con regale semplicità nell’ampia stanza dalle pareti ad intonaco, ammobiliate in modo austero. Questo senso di politezza, espresso con la massima essenzialità del mezzo pittorico, facendo ricorso alla qualità neoquattrocentesca del disegno, ed esaltato dalla tiepida luce di un mattino di primavera, é come un inno alla virtù dell’amata compagna, troppo presto rimpianta. La finestra, sorgente reale di luce immette nel paesaggio appena visibile, mentre sul tavolo gli oggetti da lavoro hanno i colori della bandiera italiana. Silvestro Lega è il grande cantore della affettuosa e serena atmosfera di Piagentina: il carattere peculiare dei capolavori realizzati in questi anni, da L’elemosina a La visita in villa, da Curiosità a Il canto dello stornello, La pittura, I Promessi Sposi, La visita, La visita alla balia risiede nella totale interiorizzazione delle immagini della realtà domestica e della natura rurale in cui l’artista si trova immerso, vissute non più come fatto occasionale ed esterno, bensì come episodi della propria vita emozionale. Anche Signorini opera nella campagna di Piagentina, ma la sua poetica contempera momenti lirici ed opere intrise di alti contenuti sociali, in rispondenza del resto al forte impegno civile (oltre che patriottico) profuso dall’autore nel corso degli anni Sessanta. Per Signorini e per l’ideologia di Proudhon di cui egli è il maggior sostenitore, è indispensabile andare in cerca della verità senza timore di varcare la soglia della decenza, con lo scopo di dare all’arte nuovi obiettivi con cui misurare la propria sincerità e la propria fedeltà al ruolo di testimone dell’epoca contemporanea. “Mettere il dito nella piaga puzzolente”13 non per sollevare bagarre politiche, estranee all’arte per la loro natura prosaica, ma per far si che l’Umanità, specchiandosi, veda e provveda. Misurarsi con la follia di una minoranza di donne, i cui volti sono resi deformi dalla demenza e le cui grida risuonano orribili nell’austerità della stanza del manicomio che le contiene come fiere in una gabbia; oppure percorrere l’argine dell’Arno alla Cascine luogo della elegante passeggiata cittadina per imbattersi nello spettacolo di degradata umanità, rappresentato da un gruppo di individui che al pari di bestie da soma trascinano un’imbarcazione contro la corrente del fiume: tutto questo compete alla nuova pittura. Imbracati nella corda, l’alzaia appunto, cinque robusti individui in maniche di camicia e coi pantaloni arrotolati al polpaccio rimorchiano un’imbarcazione (esclusa dalla vista) dalla sponda dell’Arno; le schiene sono inarcate nello sforzo, le braccia penzolano inerti lungo il busto o si piegano per detergere il sudore dai volti, i passi pesanti inchiodano al terreno le figure barcollanti nello sforzo. Il controluce esalta i contorni, riduce a macchie scure i volti già resi inebetiti dalla fatica cosicché ogni individualità si perde nella potenza monumentale e plastica di un bassorilievo antico; per quanto, girando il volto verso di noi che osserviamo la scena, uno degli individui attesti che non di un antico episodio di servi della gleba si tratti, bensì di una triste verità della neonata nazione italiana, una realtà contro la quale si infrangono di fatto, i sogni libertari di una generazione. La tensione del dramma si esalta per contrasto nella tersa luce del giorno nel quale si delinea in lontananza il profilo urbano di Firenze. Sul finire del 1866 il glorioso Caffè Michelangelo cessava di vivere e veniva sepolto con tutti gli onori dai suoi affezionati frequentatori, per lo più reduci dalla Terza Guerra d’Indipendenza. Dalle sue ceneri ancora calde di scaramucce e tenzoni ideologiche nasceva nel gennaio 1867 una nuova palestra, il “Gazzettino delle Arti del disegno”, primo periodico del movimento, fondato e diretto da Diego Martelli. Tra i numerosi redattori figuravano Signorini e il critico Maurizio Angeli. I temi dibattuti nel “Gazzettino”, lalotta all’accademia e alla maniera, l’opposizione al falso storico, l’affermazione della “scuola della natura” e della “sincerità” dell’artista erano gli stessi temi ispirati e argomentati dal Du principe di Proudhon. Ma il giornale dei Macchiaioli fu anche lo specchio di quanto andava accadendo sulla scena artistica nazionale. L’ultima stagione artistica di Abbati a Castiglioncello, il passaggio fugace di Giuseppe De Nittis diretto a Parigi che reca con se i suoi luminosissimi paesaggi della Puglia, la presenza di Giovanni Boldini e la sua innovativa concezione del ritratto Le corrispondenze dall’estero, i dibattiti interni alla redazione, tutto questo fece del “Gazzettino” lo strumento del consapevole ruolo di guida dei Macchiaioli nella realtà artistica dell’Italia post-unitaria. Penalizzati da una realtà politica e sociale che non seppe valorizzarli ed imporli, dal tributo di sangue pagato all’Indipendenza nazionale con la morte di Raffaello Sernesi e la prigionia di Abbati, dalla scomparsa anche di quest’ultimo e dalle peregrinazioni di molti fuori d’Italia, in Francia e in Inghilterra, i Macchiaioli persero irrimediabilmente la vitale compattezza che li aveva contraddistinti fino a quel momento del loro percorso.

La pittura in Toscana dopo il 1870 Una volta perfezionatasi l’Unità d’Italia con la liberazione di Roma nel 1870, sfioriva per sempre il rigoglio ideale e etico dell’epopea risorgimentale, di cui la vicenda dei Macchiaioli era stata la più alta espressione poetica. A fronte del disgregarsi della compagine macchiaiola, anche il rapporto con il Vero si veniva articolando in maniera più complessa; la direttrice in linea di massima conduceva dalla “sintesi” e dalla tensione ideale e etica delle opere di Castiglioncello e Piagentina alla “trascrizione oggettiva” del vero, operata da alcuni dei pittori macchiaioli e da altre figure comprimarie del gruppo, come , Niccolò Cannicci e . L’idea positivista della evoluzione incessante e la fiducia nei suoi effetti benefici estesi dal cosmo alla realtà sociale dell’Uomo, poneva del resto in una condizione di sostanziale accettazione di tutto quanto poteva essere inteso come il risultato di questo processo evolutivo. Anche in pittura, dunque, si doveva pensare ad una evoluzione del sano e appassionato realismo courbettiano di metà secolo: una volta restituita dignità in arte alle classi umili e al tema del lavoro, le nuove generazioni di pittori erano motivate ad applicarsi a questi contenuti con tutte le finezze tecniche conosciute. La stessa funzione dell’arte, elevata nel pensiero dei teorici del Realismo a strumento di perfezionamento morale e civile della società stessa, diveniva balocco e divertimento della nuova società borghese, portata ad apprezzare semmai le qualità di fattura di un oggetto artistico e la piacevolezza di un soggetto che doveva inoltre essere di immediata comprensione. Dai contatti con la società francese, resi continuativi dalle frequenti opportunità di viaggio e di scambio, i nostri realisti traevano stimoli ad occuparsi dei problemi di trascrizione del vero, privilegiando le qualità ottiche e l’eleganza dei modi, rispetto agli alti contenuti etici e morali di un tempo. Era propria di questi pittori una accezione narrativa, eticamente più morbida, formalmente più descrittiva della realtà, ispirata ad artisti contemporanei francesi quali Jules Breton e Jules Bastien- Lepage. Questa naturale evoluzione del realismo di metà secolo trovava un fondamentale corrispettivo nel dibattito culturale fiorentino attorno al tema del naturalismo letterario francese che sviluppando i principi del pensiero di Hippolyte Taine, si proponeva di indagare la società e la psicologia umana con il rigore del metodo scientifico, prediligendo i ceti più umili, che, per le loro reazioni psicologiche elementari, meglio sembravano prestarsi a un’analisi scientifica oggettiva. Il Verismo letterario (Giovanni Verga, Luigi Capuana, Renato Fucini), sviluppatosi in Italia a partire dagli anni Settanta, avrebbe attribuito a questo programma un carattere fortemente regionalistico che trovava una ragion d’essere nello stato di cose della neonata nazione, nel suo profilo fortemente rurale, nella mancanza di uno sviluppo omogeneo. Ancora una volta fu Signorini a somatizzare nella sua persona questo avvicendarsi generazionale. Sensibile e colto, Telemaco fu per questo il più ricettivo agli stimoli internazionali; edotto di letteratura, simpatizzante di Emile Zola, scrittore d’arte, egli ci appare come una sorta di antenna che capta e diffonde il segnale. Sin dal 1867 egli fu attratto dalla libera impaginazione dei ritratti macchiaioli di Boldini, dall’eleganza dissimulata e chic delle figure del ferrarese, dalle infinite potenzialità spaziali delle scatole ottiche brulicanti di dettagli e di allusioni alla vitalità contemporanea: fu questa conoscenza a corroborare e a dar forza al cosiddetto “pittoricismo signoriniano”, vale a dire alla sua pennellata analitica, nervosa e sprezzante, finemente intrisa di luce-colore, quale già si coglieva nella celeberrima Sala delle agitate (1865; Venezia, Galleria d’arte moderna Ca’ Pesaro). Fu allora che Telemaco cominciò a manifestare il suo distacco dall’austera e liscia maniera dei quadri pergentiniani di Lega e di Borrani, ai quali propone come modello di “fattura non ordinaria” proprio quel Meissonier al quale i nostri artisti, di qui a qualche anno, attraverso gli scritti di Adriano Cecioni e di Diego Martelli avrebbero attribuito la colpa di tutte le turpitudini ingenerate dalla cosiddetta “arte alla moda”. Verso il 1870, dunque in Toscana il dibattito sul realismo verteva sui problemi di esecuzione. A quest’altezza di percorso dunque “Verità” significava fedeltà non più alla realtà sociale e naturale della vita contemporanea, quanto invece alla sua trascrizione pittorica, secondo il “sentimento” dell’artista; mentre il “carattere” si era venuto identificando in un ideale di classica toscanità. I principi che i Macchiaioli avevano desunti dal realismodi Courbet e di Proudhon, avevano di fatto subito le mutazioni imposte dal tempo e dal modificarsi del clima culturale. Già nel corso degli anni Ottanta, tuttavia, i percorsi individuali di Signorini, Lega, Fattori, mostravano di rimeditare l’originaria accezione dei principi del Realismo, cosicché nel complesso mutare di sensibilità che caratterizza il panorama artistico italiano di fine Ottocento, questi pittori appaiono i veri depositari del messaggio courbettiano. Nella loro tarda attività essi si rivelano impegnati non in un recupero di posizioni retrive, bensì in una sorta di solitaria meditazione, dalla quale sarebbero germogliate intuizioni importanti per le generazioni a seguire. Dobbiamo constatare come sulla solitudine di questi tre pittori incida enormemente la perdita del dialogo serrato tra l’anima critica e gli artisti: Martelli aveva aperto all’impressionismo, alla “rivoluzione fisiologica dell’occhio umano”, sebbene con un seguito limitato. Il critico manteneva dunque la sua attenzione su “quel ragazzaccio scapigliato” del Fattori, commentava come benefiche le “scorrettezze del disegno” di Signorini, accennava alla “vita selvaggia” del Lega e alla fierezza delle sue donne del Gabbro, ma come esperienze singole di un universo frammentario. Era poi innegabile come quella componente “soggettiva” dell’arte che il Realismo aveva compreso nel principio di “sincerità” dell’artista, fosse divenuta predominante nella sensibilità di fine secolo, tanto da rendere lecito anche per quei pittori di sicura fede realista, un approccio al vero più personale, modulando con accenti diversi e individuali il rapporto con la realtà. Signorini dunque si dimostrò subito sensibilissimo alle istanze del Naturalismo europeo, tant’è che la sua produzione assunse un duplice indirizzo, quello della veduta urbana in celebri quadri come Il Ponte Vecchio a Firenze e quello della veduta campestre come nei piccoli gioielli dipinti nella località francese di Combs-la Ville in compagnia dell’amico Boldini. Nei capolavori dipinti a Settignano nel corso degli anni Ottanta il pittoricismo si fa più morbido, allargando le maglie della rete visiva, sempre innovativa nei tagli e imbevuta di emozioni e suggestioni culturali. L’inclinazione a privilegiare la “tinta locale” di un luogo, il “carattere” di una fisionomia o di una tipologia di individuo è facilmente percettibile nei dipinti ambientati a Riomaggiore, paese delle Cinque Terre di cui il pittore – che vi soggiorna ripetutamente dal 1881 al 1899 - restituisce il carattere quasi fiabesco delle case variopinte arroccate lungo i ripidi selciati delle strette strade che salgono dal mare verso la sommità delle alture liguri. Riomaggiore era noto non solo per le sue case pittoresche, ma anche per la caratteristica bruttezza dei suoi abitanti; caratteristica che Signorini sembra indagare con la sagacia del fisiognomo nei molti dipinti concepiti in quei luoghi. Si può dire, dunque che il pittore esprima nella tipizzazione dei volti e delle situazioni una sua intima propensione al “carattere”, accentuando nella sua poetica matura il valore di questo principio primo del Realismo. Per niente incline al pittoresco è Silvestro Lega. Dopo la fuga dalla campagna di Piagentina e il lungo periodo di depressione seguito alla scomparsa della sua compagna Virginia, morta di tisi, Lega trova un poco di serenità frequentando la casa dei pittori suoi allievi Angiolo e Ludovico Tommasi, nonché le mura domestiche del fratello, padre di un bambino. Il calore dell’infanzia e della donna sono per Lega uno stimolo imprescindibile, uno slancio dell’anima, attraverso il quale Lega ritrova la sintonia con il mondo circostante e l’ispirazione più alta e feconda. Vedono la luce in questo clima due capolavori La Lezione e Una madre, opere di grande respiro e urbanità, opere di rara perfezione stilistica che nascono dalla straordinaria forza inventiva dell’artista unita alla sicurezza e alla virtuosità dei modi pittorici. Una madre raffigura la cognata Adele e il nipotino Antonio di appena tre anni in un momento di intimità domestica. L’atmosfera sobria, i toni scuri di un arredamento ricercato, tipicamente borghese gravitano attorno alla figura della donna, vero e proprio perno che irradia amorevolezza e calore umano; e questo ruolo catalizzante è pittoricamente evidenziato dall’azzurro serico della veste che ne tornisce la figura e che costituisce la tonalità dominante del quadro. Il sentimento della maternità nel suo significato più profondo è meravigliosamente espresso nel volto dolcissimo della donna. Un volto nel quale traspare una gamma di sentimenti vastissima che va dalla fiducia al compiacimento, dalla accondiscendenza alla speranza, alla apprensione: la fiducia nelle attitudini del proprio piccolo, il compiacimento di vederlo zampettare nella sua vestina chiara mentre dal gioco passa autonomamente alla riflessione e all’impegno, l’accondiscendenza nel sentire lo strascico del proprio abito bloccato dalla pressione dei piccoli piedi mentre il bambino si mostra tutto compreso e concentrato nello scarabocchiare i fogli che inavvertitamente e suo malgrado scivolano dalla sedia al pavimento; la speranza e l’intima apprensione per il futuro dei propri figli sono sentimenti connaturati alla maternità e dunque universali. Lega che – scrive Martelli – si poteva permettere “questa vita selvaggia” e indipendentemente dedicarsi con tutto se stesso alla sua pittura “giacchè aveva la fortuna di non aver figliuoli” ha saputo intuire ed esprimere una tale gamma di emozioni femminili nella assoluta sobrietà di una composizione che niente concede all’aneddotico o al compiacimento di alcun dettaglio esteriore. Nel 1886 il pittore approda al Gabbro nella campagna di Livorno, e viene accolto in seno alla famiglia Bandini, nella vasta tenuta di Poggiopiano gestita dalla energica vedova, la signora Clementina Bandini, e dalle graziose figlie due delle quali prenderanno lezioni di pittura da Silvestro. Si veniva così delineando lo stile dell’ultima maniera del Lega, quella che Mario Tinti qualificherà come “concitato” in opposizione alla maniera “pacata” di Piagentina. Silvestro è particolarmente attratto dalla femminilità esuberante e naturale delle popolane del luogo, le “gabbrigiane”. Partendo dalle ben note premesse positiviste, dal dato reale, da una configurazione geografica, da un tipo sociale la vena poetica di Lega al massimo della sofferenza fisica e morale assurge ad un apice di lirismo (Lo scialle rosa, La scellerata, entrambi in collezione privata), complice una materia magra ed asciutta quasi prossima a sfaldarsi nella quale è dato percepire una emotività ormai pienamente novecentesca14. L’enfasi lirica leghiana potrebbe dunque interpretarsi come un portato del “sentimento” dell’artista che - è stato giustamente sottolineato – “nella serialità della sua indagine sugli arditi profili delle donne gabbrigiane, include implicitamente anche i temi – per lui autobiograficamente urgenti – del dolore e della morte”15. Estraneo o quasi ad ogni compiacimento stilistico, apparentemente così poco interessato alle novità artistiche d’oltralpe da sembrare persino ottuso, Fattori è tanto radicato nella natura e nei costumi della sua terra, la Toscana, quanto Courbet lo era stato ai suoi luoghi natali. Se il caposcuola francese traeva – come sostiene Proudhon – la sua forza dall’essere sostanzialmente il pittore di Ornans, del paesaggio natale e dei suoi abitanti; possiamo dire che la sorgiva grandezza di Fattori tragga nutrimento dal sentimento di appartenenza alla cultura del suo territorio; cultura di cui l’arte del livornese è radicalmente imbevuta, senza però la parvenza di apriorismi intellettuali o ideali. La sua spontaneità dissimula una sapienza figurativa tanto profonda quanto è antica la civiltà toscana di cui egli succhia la linfa come un tronco d’albero dalle radici. La “Verità” è per Fattori un modo di essere nella natura, anche la più selvaggia, un modo di sentirsi immerso nel paesaggio che porta inscritto nelle sue linee e nelle sue forme il secolare progredire dei costumi e della società della sua terra. Nel 1882 Fattori soggiornava alla Marsiliana, presso Grosseto, nella tenuta dei principi Corsini. Una delle lettere ad Amalia Nollemberger conteneva il resoconto di quanto egli veniva osservando durante la breve dimora tra i butteri e le imponenti mandrie di bovi. Penalizzato dal fatto di non saper cavalcare, e dunque di non potersi muovere a suo piacimento, Nanni osservò e disegnò per giorni, riportando impresso nel suo animo i ritmi violenti e i colori polverosi di quella sorta di far-west nostrano. Negli anni a seguire dalla fantasia creatrice del livornese sgorgavano visioni per noi indimenticabili, tanto reali quanto emblematiche, destinate ad imprimersi con forza nell’immaginario collettivo, quali il Carro rosso di Brera, Marcatura dei puledri, Butteri conduttori di mandrie (Livorno, Museo Civico Fattori) Maremma toscana (Firenze, Galleria d’’arte moderna di Palazzo Pitti), Il salto delle pecore (Firenze, Galleria d’’arte moderna di Palazzo Pitti). Proudhon aveva detto di Courbet che egli “nel suo realismo” era “uno dei più potenti idealizzatori”, ma che non per questo si era curato di inventare, semplicemente egli vedeva “l’anima attraverso il corpo, le cui forme” erano “per lui una lingua ed ogni tratto un segno”. Non diversamente Fattori nella caparbia ricerca delle sue radici lessicali, recupera l’aderenza tra realtà e linguaggio pittorico. Il rigore metrico dell’arte di Fattori, il suo realismo integrale e depurato di filtri letterari, la sua toscanità che non è vernacolo ma sentimento di appartenenza ad una civiltà, ne segnano la vicenda pittorica, vicenda originale e unica nel contesto Europeo, destinata a segnare oltremodo i destini della pittura italiana del Novecento. NOTE

1) Lo scritto di Signorini dal titolo “Il Caffè Michelangiolo”, diviso in cinque parti, comparve sul “Gazzettino delle arti del disegno” nei fascicoli del 25 maggio, 15 giugno, 6 luglio, 15 luglio, 29 luglio 1867. 2) )Cfr. TELEMACO SIGNORINI, “Caricaturisti e caricaturati al Caffè Michelangiolo (1848-1866)”, Firenze, Civelli 1893, pp. 77-78 3) Cfr. DIEGO MARTELLI, “Romanticismo e Realismo nelle arti rappresentative”, conferenza del 1895 in “Scritti d’arte di Diego Martelli”, a cura di Antonio Boschetto, Biblioteca di Paragone, Sansoni, Firenze 1952, p. 204. 4)Cfr. Jules et Edmond de Goncourt, « LA PEINTURE à l’exposition de 1855 ». Paris E. Dentu, Librairie- éditeur 1855 5)Cfr. PIERO DINI, “Lettere inedite dei Macchiaioli”, Firenze 1975, pp. 312-313. Si veda anche FRANCESCA DINI, “Federico Zandomeneghi, la vita e le opere”, Il Torchio, Firenze 1989, p. 551 6)Cfr., « Journal de Eugène Delacroix », tomo 2 (1850-1854), Plon, Parigi 1893, pp. 170-171 7) Si veda il “Repertorio autobiografico” di Signorini, in ENRICO SOMARE’, “Signorini”, L’Esame, Milano 1926, p. 268. 8) L’articolo comparve tradotto in italiano su “La rivista di Firenze” nel dicembre 1859. Cfr. ETTORE SPALLETTI, “Gli anni del Caffè Michelangiolo (1848-1861)”, De Luca, Roma 1985, pp. 195-196 9) Cfr. DIEGO MARTELLI, Giuseppe Abbati, in Scritti d’arte di Diego Martelli, a cura di Antonio Boschetto, cit., p. 218. 10)Cfr. P.J. PROUDHON, « Du Principe de l’art et de sa destination sociale », Garnier Frères, Parigi 1865, pp. 365-366. Le nostre riflessioni in merito erano già in « I Macchiaioli : originalità e grandezza di un movimento artistico europeo », in “I Macchiaioli. Opere e protagonisti di una rivoluzione artistica” catalogo della mostra di Castiglioncello, a cura di F. Dini, Polistampa, Firenze 2002, pp. 23-25. Per il testo integrale di Proudhon si rimanda all’appendice del catalogo “Da Courbet a Fattori, i principi del Vero”, Skira, Milano 2005, pp. 223-243 11) PIERO E FRANCESCA DINI, “Diego Martelli, storia di un uomo e di un’epoca”, Allemandi, Torino 1996, p. 94. 12)Cfr. PROUDHON, “Du principe…” in “Da Courbet a Fattori, i principi del vero”, cit., 2005, p. 243 13)L’espressione è di Diego Martelli 14)Cfr. FRANCESCA DINI, “L’Ultimo Lega”, in “Silvestro Lega, da Bellariva al Gabbro”, catalogo della mostra di Castiglioncello, Firenze 2003, pp. 30-33 15))Cfr. CARLO SISI, “Terra promessa”, in “Silvestro Lega, da Bellariva al Gabbro”, cit, pp. 41- 42 DIDASCALIE

Fig.1. , Gli esuli di Siena (bozzetto), 1845-1850, olio su tela, cm 30x39. Livorno, Museo Civico Giovanni Fattori. Fig.2. Giovanni Fattori, Autoritratto, 1854, olio su tela, cm 59x47. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.3. Vincenzo Cabianca, Autoritratto,1854, olio su tela, cm 62x49. Collezione Privata. Fig.4. Cristiano Banti, Galileo davanti all’inquisizione, 1857, olio su tela, cm106x140,5. Collezione Privata. Fig.5. Adriano Cecioni, Il caffè Michelangelo, 1867 ca, acquerello su carta, cm 53,5x82. Collezione privata. Fig.6. Giovanni Fattori, Maria Stuarda sul Campo di Crookstone, olio su tela, cm 76x108. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.7. Vincenzo Cabianca, Novellieri fiorentini, 1860, olio su tela, cm 80x100. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.8. Telemaco Signorini, Avanti a braccia (L’entrata degli zuavi), olio su tela, cm 29x58. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.9. Silvestro Lega, Ritratto di Garibaldi, 1861, olio su tela, cm111x78,4. Modigliana (FC), Museo Civico don Giovanni Verità. Fig.10. Giovanni Boldini, Ritratto di Cristiano Banti con canna da passeggio, olio su tela, cm 57x33,5. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.11. Giovanni Fattori, In vedetta, 1871, olio su tela, cm 34,50x54,5x6. Collezione Privata. Fig.12. Serafino De Tivoli,Una pastura (Vacche nel bosco), olio su tela, cm 102x73. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.13. Odoardo Borrani, Alture, olio su tela, cm 14x46. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.14. Telemaco Signorini, Bambini al sole, olio su tela, cm 13x20. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.15. Cristiano Banti, Riunione di contadine, olio su tela, cm 31,3x46,4. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.16. Vincenzo Cabianca, La filatrice, 1862, olio su tela, cm 55x4. Collezione privata. Fig.17. Raffaello Sernesi, Ladruncoli di fichi (Monelli)(Settembre), olio su cartone, cm 18,2x13,5. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.18. Giuseppe Abbati, Interno di San Miniato al Monte a Firenze, 1861, olio su tela, cm 72x60x2. Collezione privata. Fig.19. Giuseppe Abbati, Interno di un chiostro, olio su cartone, cm 19,3x25,2. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.20. Giovanni Fattori, Contadina nel bosco. Costume toscano, 1861, olio su tela, cm 78x57. Collezione privata. Fig.21. Giuseppe Abbati, Vallata di Castiglioncello, olio su tela, cm 47,7x72,4x2,2. Collezione privata. Fig.22. Odoardo Borrani, Castiglioncello, olio su tavola, cm 12,7x29,6. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.23. Odoardo Borrani, Case di Pannocchio a Castiglioncello, olio su tavola, cm 12x36,3. Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea. Fig.24. Giuseppe Abbati, Veduta di Castiglioncello, olio su tavola, cm10x86. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.25. Raffaello Sernesi, Sull’aia, olio su tela, cm 19x51. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.26. Giovanni Fattori, Bovi bianchi al carro, 1870 olio su cartone, cm 29, 5x34x2. Collezione privata. Fig.27. Giovanni Fattori, Ritratto di Teresa Martelli a Castiglioncello, 1867, olio su tavola, cm 20x35. Livorno, Museo Civico Giovanni Fattori. Fig.28. Telemaco Signorini, Piagentina, olio su tavola, cm14x21. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.29. Giuseppe Abbati, Via di campagna con cipressi (strada toscana), olio su tela, cm 28x38. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.30. Giuseppe Abbati, Cripta con figura di signora (Signora nella cripta), olio su tela, cm 40x28. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.31. Silvestro Lega, Passeggiata in giardino, olio su tela, cm 35x22. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.32. Silvestro Lega, Il bindolo, olio su tela, cm 44,5x78. Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea. Fig.33. Silvestro Lega, Visita alla balia, olio su tela, cm 34x95. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig. 34. Vito D’Ancona, Signora in conversazione, 1865 c.a., olio su tela, cm 26x21. Collezione Privata. Fig.35. Giuseppe Abbati, L’orazione, olio su tavola, cm 57x42. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.36. Federico Zandomeneghi, Ritratto di Diego Martelli, olio su tela, cm 63x41. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.37. Cristiano Banti, Confidenze, olio su tavola, cm 28x40. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.38. Telemaco Signorini, Bambini sulla strada a Settignano, olio su cartone, cm16x27. Collezione Privata. Fig.39. Telemaco Signorini, Processione a Settignano, olio su tela , cm 40x27. Collezione Privata. Fig.40. Telemaco Signorini, Settignano1865, olio su tela, cm 24x65,5. Collezione Privata. Fig.41. Telemaco Signorini, Scorcio di paese a Riomaggiore, olio su tavola, cm 40x27. Collezione privata. Fig.42. Telemaco Signorini, Riomaggiore, olio su tela, cm 80x56. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.43. Telemaco Signorini, Fine d’agosto a Pietramala, olio su tela, cm 58x64. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.44. Silvestro Lega, Ritratto di Carnielo, olio su tela, cm 55x60. Comune di Firenze, Galleria Rinaldo Carnielo. Fig.45. Silvestro Lega, Una madre, 1884, olio su tela, cm 192x125. Forlì, Fondazione Cassa di Risparmio di Forlì. Fig.46. Silvestro Lega, La lezione, olio su tela, cm 116x90. Verona, Palazzo Forti. Fig.47. Silvestro Lega, Ritratto di contadina, 1889-1890, olio su tavola, cm 38x28. Livorno, Museo Civico Giovanni Fattori. Fig.48. Giovanni Fattori, Barocci romani, olio su tela, cm 21x32. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.49. Giovanni Fattori, La libecciata, olio su tavola, cm 28,5x68. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.50. Giovanni Fattori, Il pagliaio, olio su cartone, 1880, cm 24x42. Livorno, Museo Civico Giovanni Fattori. Fig.51. Giovanni Fattori, I buoi, 1890 , olio su tela , cm 55x70. Livorno, Museo Civico Giovanni Fattori. Fig.52. Giovanni Fattori, Maremma toscana, olio su tela, cm 77,5x205,7. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.53. Giovanni Fattori, Butteri e mandrie in Maremma, olio su tela, cm 105x150. Siena, Banca Monte dei Paschi di Siena. Fig.54. Giovanni Fattori, Ritratto della terza moglie, olio su tela, cm 85x65, Livorno, Museo Civico Giovanni Fattori. Fig.55. Adriano Cecioni, Colpo di vento, terracotta, cm 80x34x52. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.56. Adriano Cecioni, L’attesa (L’uscita del padrone), bronzo, con base di legno, cm 48x23x33,5 Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.57. Telemaco Signorini, Nell’orto a Settignano, olio su tela, cm 24x37. Collezione privata. Fig.58. Niccolò Cannicci, La sete dei campi, olio su tela, cm 54x45. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Fig.59. , Cenciaiole livornesi, 1880, olio su tela, cm 88x170. Livorno, Museo Civico Giovanni Fattori. Fig.60. Angelo Tommasi, La culla, 1882, olio su tela, cm 38x63. Livorno, Museo Civico Giovanni Fattori. Fig.61. , Idillio, 1884, olio su tela , cm 65x101. Firenze, Ente Cassa di Risparmio di Firenze. Fig.62. Francesco Gioli, Acquaiola, olio su tela, cm147x75,2. Firenze, Ente Cassa di Risparmio di Firenze. L’assessore alla Cultura della Regione Toscana sulla grande mostra a Fukuyama e Tokyo Cocchi: “Un omaggio alla luce per una cultura che avvicina” Presentata a Roma “I macchiaioli, maestri italiani del Realismo”

“Sono certo che la luce del Giappone renderà un ottimo servizio alla luce toscana che anima molte di queste opere”. L’assessore toscano alla Cultura, Paolo Cocchi, si dice “davvero lieto davanti a una così prestigiosa occasione di dialogo, nel nome della cultura che avvicina mondi apparentemente lontani, fra sponde diverse di una medesima sensibilità verso le ragioni dell’arte e della sua bellezza”. La mostra “I Macchiaioli, maestri italiani del realismo” - prosegue Cocchi che in Toscana è titolare anche delle deleghe al Turismo e al Commercio – “sarà certo anche uno strumento per favorire relazioni sempre migliori fra due popoli in una fase storica che deve dimostrare quanto la forza dell’arte possa risultare vittoriosa davanti alla debolezza di un’economia troppo spesso disattenta alle ragioni della persona”. L’assessore ricorda come questa “grande iniziativa culturale” sia possibile proprio grazie a una “preziosa rete di collaborazione inter-istituzionale fra realtà regionali e nazionali, politiche e culturali, economiche e diplomatiche”, ed evidenzia l’importanza dei “possibile ritorni, sia culturali che turistici, da un evento che la Regione Toscana ha contribuito a rendere possibile”.

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I Macchiaioli in Giappone, il sostegno della Provincia di Livorno.

“La Provincia ha voluto sostenere la mostra dei Macchiaioli in Giappone per portare i nostri paesaggi in una terra lontana, attraverso la loro più significativa rappresentazione artistica. Un linguaggio universale per far conoscere i colori e le forme delle nostre colline, del nostro mare. Un modo per entrare in contatto con un pubblico altrimenti difficilmente raggiungibile.” Lo spiega Giorgio Kutufà, Presidente della Provincia di Livorno. “Un inizio per costruire una serie di scambi culturali, per portare i nostri capolavori dall’altra parte del mondo, ma anche per far conoscere i nostri sapori, i prodotti delle nostre aziende e creare una rete di scambi, anche commerciali, con il territorio nipponico. Una volontà di allargare gli orizzonti, ecco cosa rappresenta prima di tutto, questa mostra in Giappone, un modo per aprire i confini, per guardare più in là.”, conclude il Presidente Kutufà.

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I Macchiaioli in Giappone, il sostegno del Comune di Livorno

“E’ con soddisfazione che il Comune di Livorno partecipa a questo importante appuntamento espositivo. La mostra “I Macchiaioli. Maestri Italiani del realismo” con i suoi sessanta dipinti, di cui otto appartenenti alla collezione civica del Museo Giovanni Fattori di Livorno, consente infatti di far conoscere anche nel paese del Sol Levante un tesoro prezioso che ci appartiene”. Lo afferma Mario Tredici, assessore alle culture del Comune di Livorno. “I dipinti di Enrico Pollastrini, Silvestro Lega, Eugenio Cecconi, e naturalmente di Giovanni Fattori, di cui vantiamo una collezione invidiabile, racconteranno la nostra storia, e trasmetteranno i nostri colori, del mare e della campagna. Espressione di un capitolo significativo dell’arte figurativa italiana, i quadri in mostra saranno quindi testimoni della nostra storia artistica ma anche della bellezza delle nostre terre. La rassegna segue un percorso diviso in cinque sezioni per raccontare il prima e il dopo dei Macchiaioli, cercando di spiegare ad un pubblico culturalmente molto diverso, ma non per questo meno attratto dalla bellezza artistica italiana, questo interessante fenomeno pittorico dell’Ottocento e il contesto storico, politico e sociale in cui si è sviluppato e poi evoluto. Un grazie quindi a tutti coloro che hanno voluto questa mostra che sicuramente promuoverà l’immagine dell’Italia ed in particolare della nostra Toscana”, ha concluso l’assessore Tredici.

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La mostra dei Macchiaioli in Giappone Il sostegno del Museo Civico Giovanni Fattori di Livorno

Anche il Museo Civico Giovanni Fattori di Livorno ha contribuito alla realizzazione della mostra I Macchiaioli. Maestri italiani del realismo fornendo otto dipinti che stanno per partire alla volta del Giappone per i due allestimenti, il primo a Fukuyama, il secondo a Tokyo. La struttura museale ha sede nella prestigiosa Villa Mimbelli, residenza privata ottocentesca che prende il nome dalla famiglia che l’ha abitata fino agli anni ‘30 del Novecento. L’edificio è divenuto sede del Museo nel 1994, dopo un lungo intervento di restauro. La collezione del Museo si configura essenzialmente come raccolta d’arte livornese e toscana che inizia con la prima metà dell’Ottocento per proseguire con i primi decenni del Novecento. Il nucleo centrale è costituito dalle opere di Giovanni Fattori e di alcuni altri esponenti della scuola dei Macchiaioli per arrivare ad un cospicuo gruppo molto eterogeneo di artisti denominati Postmacchiaioli. Il termine “Macchiaioli” indica una serie di pittori la cui formazione inizia con la scuola di Fattori e con la tecnica della “macchia” per poi evolvere, grazie alle correnti artistiche europee di fine Ottocento con le quali più o meno direttamente sono venuti a contatto, verso percorsi autonomi ma legati alle tendenze imposte dal naturalismo, dall’impressionismo, dal simbolismo e dal divisionismo. Il Museo si sviluppa principalmente al secondo piano con i grandi quadri di Giovanni Fattori e di altri esponenti della corrente dei Macchiaioli tra cui Silvestro Lega, Telemaco Signorini, Vincenzo Cabianca, Giovanni Boldini, Cristiano Banti, Serafino De Tivoli, Odoardo Borrani, Vito D’Ancona, Niccolò Cannicci. Altre sale sono dedicate agli artisti della generazione successiva. Le opere selezionate per la mostra giapponese sono esposte in maniera permanente al Museo Giovanni Fattori di Livorno.

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Gli oltre sessanta dipinti dei Macchiaioli che saranno esposti nelle città di Fukuyama e Tokyo costituiscono un’occasione preziosa per far crescere il dialogo tra due culture, italiana e giapponese, attraverso l’universale linguaggio dell’arte. Ma la possibilità di ammirare dal vivo le tele che rappresentano eventi storici, volti e paesaggi della Toscana, molti dei quali livornesi, è anche un formidabile veicolo per iniziare un viaggio volto alla conoscenza di un ambiente, di un territorio, con le sue luci e i suoi colori inconfondibili. I dolci paesaggi collinari e marini evocati dai dipinti, di cui è ricca l’intera Toscana, hanno come significativa protagonista anche la provincia di Livorno, striscia sottile di territorio che costeggia il mar Tirreno fino ai margini della Maremma, con alcune bellissime isole. Livorno offre molte attrattive: per le testimonianze di civiltà antiche come quella etrusca, per il mare con spiagge e scogliere che ovunque assumono connotazioni diverse, per le produzioni agroalimentari di elevato livello qualitativo, per la gastronomia semplice e genuina, per l’olio ed i vini della zona, vera e propria eccellenza dell’economia livornese. La Camera di Commercio ha sostenuto con convinzione il progetto della Mostra che tra breve avrà luogo in Giappone, nella consapevolezza che Arte, Cultura e Storia promuovono anche sotto altri profili il territorio da cui nascono e di conseguenza possono offrire un reale contributo allo sviluppo dell’economia provinciale. Nel contesto della prestigiosa iniziativa della Mostra dei Macchiaioli, l’impegno della Camera di Commercio è, come sempre, diretto a individuare strategie di crescita per le imprese del territorio nel settore turistico, nelle produzioni vitivinicole, nella logistica, nei trasporti e nel manifatturiero, facilitando opportunità di scambio con il mercato giapponese, sicuramente difficile e selettivo, ma proprio per questo valido e stimolante.

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L’istituzione L’Ente Cassa di Risparmio di Firenze che ha sostenuto finanziariamente il progetto culturale delle mostre in Giappone in modo determinante, è una fondazione di origine bancaria. È persona giuridica di diritto privato senza fini di lucro ed è regolato dal suo Statuto nel quadro delle leggi vigenti. Nella continuità degli ideali e delle finalità civili della Cassa di Risparmio originaria, istituita nel 1829, l’Ente Cassa persegue esclusivamente scopi di utilità sociale attraverso la promozione della qualità della vita e dello sviluppo civile ed economico sostenibile, contribuendo alla rivalutazione dell’identità fiorentina e più in generale delle specificità storicamente acquisite dalle antiche comunità toscane e dell’Italia centrale. L’Ente opera attraverso quattro settori principali di intervento: Arte, Attività e Beni Culturali; Beneficenza e Filantropia; Ricerca Scientifica e Innovazione Tecnologica; Protezione e Qualità Ambientale.

La Collezione d’Arte Nell’ambito delle attività culturali gestite direttamente, l’Ente Cassa possiede una raccolta d’arte che si è formata nel corso del Novecento con un interesse prevalente per la pittura e avendo quale punto di riferimento principale la tradizione locale espressa attraverso tre filoni principali: Maestri antichi e moderni dal Trecento al Novecento, Vedute di Firenze, Macchiaioli e Post-macchiaioli. L’Ente contribuisce alla salvaguardia del patrimonio artistico toscano non solo fornendo finanziamenti per restauri e progetti di promozione, ma si adopera anche per acquisire direttamente da privati o sul mercato opere di notevole interesse storico ed artistico, in modo che restino nei luoghi dove sono state prodotte. Dal 2004 è iniziato un nuovo ciclo di acquisizioni inaugurato da una scultura, la Fauna che munge una capretta di Valerio Cioli, che faceva parte dell’impianto statuario che ornava la Villa di Pratolino, in buona parte disperso e assorbito dal mercato. Nel 2005 altre due opere hanno contribuito ad incrementare i fondi artistici dell’Ente, una Veduta di Firenze dall’Arno a Ponte Santa Trinita di Thomas Patch e un curioso Ritratto dell’Elettrice Palatina di autore ignoto. Nel 2006 si è imposto all’attenzione dell’Ente un altro dipinto di Thomas Patch, la bellissima Veduta di Firenze dall’Arno durante il periodo di Carnevale, sicuramente frutto di una delle prestazioni migliori dell’artista inglese. Sempre nel 2006 l’Ente ha effettuato alcune incursioni nel campo dell’arte contemporanea con Luciano Guarnieri e Primo Conti, due artisti da sempre legati alla Cassa di Risparmio. Nel 2007 le operazioni più importanti sono state l’acquisizione delle opere storiche di Pietro Annigoni e di un nucleo di fondi oro dell’Eredità De Carlo, a cui si aggiunge una tavoletta del Beato Angelico. Il 2007 è un anno indimenticabile per altre nuove e importanti accessioni. Nell’ambito del settore dedicato ai Macchiaioli e Post-macchiaioli decisamente notevole è stata l’acquisizione di tre opere: Niccolò Cannicci, Triste inverno, Eugenio Cecconi, La Lacciaia, Lorenzo Gelati, Veduta di Firenze dall’Arno a San Niccolò. Tra le ultime acquisizioni vi è un’opera assai importante di Stefano della Bella, Carosello notturno nel giardino di Boboli.

Dorado Communications FIRENZE-ROMA - Palazzo degli Artisti, viale Milton, 49 – 50129 tel. +39 055 47891.1 - direct +39 055 47891.228 - mobile +39 331 8109841 - fax +39 055 47891.500 [email protected] Le opere dell’Ente Cassa prestate per le mostre in Giappone L’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, oltre ad averli sostenuti finanziariamente, partecipa agli eventi in Giappone dedicati ai Macchiaioli con due opere della propria collezione: Acquaiola (1891) di Francesco Gioli (San Frediano a Settimo - PI, 1846 – Firenze, 1922); e Idillio (1884) di Adolfo Tommasi (Livorno, 1858 – Torre del Lago, 1923). Si tratta di due opere importanti che appartengono a quella fase della stagione macchiaiola che sfuma nelle più compassate atmosfere di fine Ottocento, in cui l’ansia di cambiamento della metà del secolo lascia spazio ad una interpretazione più intimista e naturalista del vero, in sintonia con gli orientamenti e le tendenze della pittura europea che utilizza, in particolare, il mondo rurale come punto di osservazione privilegiato, quasi come una realtà in cui rifugiarsi per ritrovare valori più stabili e rasserenanti, in fuga dalla disillusione degli ideali borghesi e rivoluzionari degli anni centrali dell’Ottocento.

FRANCESCO GIOLI (San Frediano a Settimo - PI, 1846 – Firenze, 1922), Portatrice d’acqua (Acquaiola), firmato e datato in basso a destra “Fgioli 91”, olio su tela, cm 147 x 75,2

L’opera fu ceduta alla Cassa di Risparmio di Firenze da Nina Benini nel 1989. Il soggetto è uno dei più comuni nella prassi pittorica dell’Ottocento: la portatrice d’acqua o acquaiola, qui proposta con un curioso taglio di spalle che però lascia intuire la bellezza del volto. Bellezza di una giovane donna, di una contadina che ha tuttavia un portamento e un incedere regale, come di una figura - è stato notato - desunta dalla statuaria classica. È chiaro che, a parte la forte attrazione che il mondo rurale esercitava su Francesco, si tratta pur sempre di un’occasione di studio, di una “colta meditazione sulla forma” (Pittura dei campi, 2002, n. 41, p. 210), dove non mancano, per il nostro Gioli internazionale, suggestioni di area inglese e anche i riflessi francesi dell’arte di Jules Breton che già nel 1872 e in successivi dipinti aveva trattato un tema analogo. C’è chi potrà obiettare che in una siffatta immagine così idealizzata « non c’è la componente protestataria nella visione di cariatide vivente, quasi una composizione classica di ideale che non ha collegamento con la realtà ... » (Cascina e la ‘macchia’, 1993, pp. 125-126). Si potrebbe dibattere a lungo sul tipo di effettiva percezione che i ‘pittori dei campi’ avevano della povertà, quella vera per intendersi, in cui versavano le fasce diseredate della popolazione contadina, ma ciò pertiene ad una sociologia dell’arte che esula dalla breve trattazione di una scheda. Come è stato osservato ancora la monumentalità di questa figura femminile è accentuata dal suo stagliarsi in contro luce su un paesaggio inondato di luce. In questi termini si coglie appieno anche l’impressione di ‘affacciamento’ provato dalla Benini guardando il quadro comunque fosse collocato in casa, come se avesse aperto una finestra. Il rapporto simpatetico del Gioli con un simile soggetto è dimostrato da altri suoi dipinti in cui lo utilizza e, inoltre, da una versione scultorea realizzata da lui stesso e pubblicata dalla Cagianelli (F. CAGIANELLI, 2001, pp. 76-77) (E.B.).

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Il quadro è stato acquistato dalla Cassa di Risparmio di Firenze nel 1983 da un collezionista privato di Firenze. Secondo la testimonianza del vecchio proprietario l’opera, fino al momento del trasferimento di proprietà alla Cassa, non sarebbe mai stata esposta in gallerie pubbliche e private. Adolfo Tommasi, fratello più anziano di Ludovico e cugino di Agnolo, pure loro pittori, studiò a Firenze con Carlo Markò junior che lo avviò alla pittura di paesaggio (A. PARRONCHI, Tommasi. Adolfo, Angiolo, Lodovico nell’evoluzione della pittura macchiaiola, Firenze, Parronchi, Lito Terrazzi, 1988). Ma fu il rapporto di amicizia con Silvestro Lega, che frequentava assiduamente la famiglia Tommasi, a determinare sostanzialmente il percorso formativo di Adolfo, che si volgerà decisamente ad un’attenta riflessione sul naturalismo, anche tenendo conto delle testimonianze letterarie, in particolare quelle di Zola. Ne verrà fuori una tavolozza di calde e delicate tonalità che si intersecano anche con elementi impressionistici. Idillio suggella l’immagine semplice e naturale, come il paesaggio circostante rappresentato nel massimo rigoglio della bella stagione estiva, dell’incontro tra due giovani della buona borghesia lungo una staccionata che delimita presumibilmente una proprietà privata (quella di lei) ed una stradetta vicinale che la costeggia: due mondi contigui ma separati. Quell’incontro innocente e naturale ha tutta l’aria però di essere un appuntamento segreto, un attimo fuggente sottratto a chissà quali proibizioni o pregiudizi, mentre la casa padronale che si intravede in cima alla collina, tra gli alberi, avrebbe dovuto essere il luogo deputato di un approccio corretto, secondo convenienza. Ma si tratta di illazioni. Questo è comunque il loro momento e il loro tempo e non si ha nozione di come andrà a finire. Sospeso è il giudizio come quell’atmosfera estiva e ridente carica di speranze. La Cagianelli osserva come « ... il Convegno, nella sua componente stilistica di evidenza rappresentativa e nella sua ispirazione alla quotidianità di un sereno idillio campestre, viene a costituire un testo fondamentale di quell’arte che si voleva realista, ma al contempo attinente ad un vocabolario di pacatezza linguistica e tematica, lontana da qualsivoglia intonazione drammatica ... » (Pittori in Villa, 1997, p. 35) (E.B.).

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L’Atelier della Comunicazione manda i pittori della “macchia” in Giappone “Artisti della comunicazione” in campo per i Macchiaioli Ministero degli Esteri e Gabriele Poli Group insieme per una grande iniziativa culturale di livello internazionale

Il fiume Mugnone a Firenze ispirò l’arte dei Macchiaioli come oggi ispira il lavoro dei professionisti di GabrielePoli Group. Il pittore Odoardo Borrani nel 1880 creò la tela “Renaioli nel Mugnone” oggi custodita alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti. Forse ispirato dalle stesse acque Gabriele Poli nel 2004 ha posto le basi della sua impresa a Firenze, nel Palazzo degli Artisti, che si specchia proprio nel piccolo affluente di destra dell’Arno. Nasce da questa passione che ha in sé qualcosa di artistico il grande il contributo di GabrielePoli Group per l’ideazione e la realizzazione de I Macchiaioli. Maestri italiani del realismo, mostra che sarà allestita presso due musei in Giappone a partire dal prossimo 3 ottobre. La rassegna sarà presentata a Roma, venerdì 18 settembre 2009, presso il Ministero degli Affari Esteri. Il doppio evento che sarà allestito prima a Fukuyama e poi a Tokyo, promosso dal Ministero per gli Affari Esteri, in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dall’Istituto italiano di Cultura a Tokyo, è uno degli eventi cardine della manifestazione “Italia in Giappone 2009”, progetto di promozione integrata del Sistema Italia che ha come obiettivo il consolidamento dell’immagine del nostro paese in Giappone, paese sempre più protagonista sul piano economico e artistico-culturale. Un network istituzionale che ha visto in prima linea GabrielePoli Group, impresa integrata nella comunicazione impegnata nella ricerca, produzione e sviluppo di strumenti moderni di comunicazione, con uno staff di quaranta professionisti provenienti da importanti esperienze: dalla comunicazione, alla pubblicità, all’organizzazione di eventi. Una realtà imprenditoriale che ha un fatturato con trend di crescita positivi nonostante la crisi che, anche a livello internazionale, sta attraversando tutti i settori. Già partner di numerosi enti e aziende, GabrielePoli Group ha maturato, in pochi anni, importanti esperienze nell’ambito della comunicazione istituzionale, profit, no-profit e di prodotto. Fanno parte di GabrielePoli Group, Guest System e Dorado Communications. Guest System organizza e promuove eventi, dagli happening urbani ai workshop, dall’allestimento di corsi di formazione alla segreteria finanziaria contabile di ogni profilo di evento fino all’organizzazione di esposizioni per fiere. Dorado Communications, che nell’ambito della mostra dei Macchiaioli in Giappone svolge attività di ufficio stampa, sviluppa piani di comunicazione e advertising che vanno dalla corporate identità alle campagne pubblicitarie, dall’ufficio stampa alle media relations, dalla pianificazione mezzi allo sviluppo di piattaforme integrate per il web 2.0 senza dimenticare azioni strategiche di web marketing. Le sedi in Italia: GabrielePoli Group è situato strategicamente a Firenze, Roma e di prossima apertura Milano. La sede storica di Firenze, Palazzo degli Artisti è un luogo unico. La storia dello stabile ci racconta di spaziosi e luminosi botteghe-laboratori di pittori e scultori di fine ‘800. Proprio vivendo e lavorando in questi luoghi il gruppo ripropone nella comunicazione, la logica dell’atelier, del “fare arte attraverso la tecnica”.

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“Per un brand come Gherardini fortemente legato alle sue radici toscane e fiorentine in particolare”, dichiara Lorenzo Braccialini, Amministratore Delegato di Dadorosa srl - licenziataria mondiale del marchio Gherardini, uno dei marchi del lusso più antichi d’Italia - “sostenere il progetto che vedrà le splendide opere dei Macchiaioli toscani in Giappone ha rappresentato un’operazione di grande importanza e di grande significato, anche in una logica di mecenatismo che è un po’ nel DNA di Gherardini. Lo scorso anno infatti abbiamo dato vita al progetto “Re-Thinking Monnalisa”, una singolare reinterpretazione del capolavoro di Leonardo da Vinci affidata a dodici artisti contemporanei e che ha avuto sbocco in un intervento che ha reso possibile il restauro di un’opera pittorica di Palazzo Medici Riccardi a Firenze. Del resto, sono già in cantiere altre iniziative in questa direzione ed anche in questa circostanza di grande rilievo internazionale Gherardini conferma la sua sensibilità per il bello e per l’arte”.

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