La Storia Siamo Noi - Donne Di Mafia

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La Storia Siamo Noi - Donne Di Mafia La Storia siamo noi - Donne di Mafia http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=342 «Certo dovremmo ancora per molto tempo confrontarci con la criminalità organizzata di stampo mafioso, per lungo tempo, non per l’eternità. Perché la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio e una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine». Da Cose di Cosa Nostra di Giovanni Falcone e Marcelle Padovani, 1991. La storia di Carmela Iuculano Sposata con Pino Rizzo, un boss mafioso legato ai Corleonesi di Bernardo Provenzano, oggi Carmela Iuculano, 33 anni, è una pentita di mafia: per un atto d’amore verso i suoi figli, ha accusato suo marito di essere un capomafia, un assassino e un estorsore. Grazie al suo pentimento ha dato allo Stato importanti informazioni sulla mafia siciliana e soprattutto ha permesso un futuro diverso ai suoi figli. Approfondisci... La famiglia di Carmela Iuculano non apparteneva alla mafia: suo padre ha costruito un’impresa dal niente, con sacrifici e debiti. In una sua testimonianza (13 marzo 2006, Tribunale di Palermo) Carmela ha raccontato che il padre è sempre stato particolarmente geloso, non le permetteva, infatti, di uscire con le sue coetanee e soprattutto con i ragazzi, nemmeno in occasione delle feste di paese; era il tipico “padre padrone” che la escludeva dalle scelte famigliari, alle quali doveva invece obbedire pedissequamente, e che soprattutto le imponeva di incarnare la figura della “brava ragazza siciliana”. Per uscire dal suo contesto famigliare, all’età di 16 anni, Carmela inizia a frequentare Pino Rizzo: in lui vedeva la forza, i soldi e il potere sufficienti per sfidare suo padre. Dopo alcuni mesi decide di andare via di casa; oggi ricorda: «Me ne sono andata facendo finta che andavo dalla mia nonna e invece sono andata via con mio marito…da lì hanno sospettato qualcosa e mi cercavano, e mentre mio padre mi cercava è stato fermato dall’altro zio di mio marito, Rizzo Angelo, con una lupara, un fucile, e in mezzo alla strada lo fermò dicendogli che lui si doveva stare fermo, che ormai io appartenevo a suo nipote e che non doveva cercarmi più». Carmela quindi sposa Pino Rizzo, nipote di Rosolino Rizzo, capomafia di Cerda, condannato all’ergastolo per duplice omicidio di due fratelli imprenditori, uccisi e quindi sciolti nell’acido perché rifiutavano di pagare una tangente. I Rizzo sono amici e complici di mafia del braccio destro di Bernardo Provenzano, Nino Giuffrè, condannato a 20 anni di carcere per la strage di Capaci, oggi “pentito”. Per Carmela la vita coniugale non è facile: «Alzava le mani e quando piangevo ricordo che mi diceva che lo faceva non perché era cattivo, ma perché doveva farmi capire come funzionavano le cosa là dentro…poi quando è nata mia figlia grande, avevo 18 anni, pensavo che sarebbe cambiato con la nascita della bambina…». Ma Pino Rizzo non cambia e ben presto Carmela si rende conto di quali siano i veri “affari” di suo marito: «Una volta vedevo delle armi, una volta dei biglietti, una volta troppa gente che lo veniva a cercare, gente strana; poi iniziano a girare dei soldi, e finché io avevo ancora le bambine così piccole non chiedevo, obbedivo e basta. Quando sentivo le notizie di cronaca non riuscivo a collegarle a mio marito, alla famiglia di mio marito, non riuscivo nemmeno a immaginare che lui potesse uccidere una persona». Ma per Carmela la vita in questo modo è insostenibile: soffre di anoressia, prende farmaci per dormire, beve, tenta il suicidio, e poiché non può separarsi dal marito - in quanto per i mafiosi il divorzio non è concepibile - con il tempo decide di collaborare con lui per sentirsi rispettata e soprattutto accettata: «Inizia ad 1 sur 4 25.10.11 11:43 La Storia siamo noi - Donne di Mafia http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=342 avere più fiducia in me…i soldi mi diceva da dove venivano, di chi erano e a chi dovevano andare…[…] I soldi, la vita bella, stavo bene…per me era un orgoglio…». Pino Rizzo intanto inizia la sua ascesa all’interno di Cosa Nostra: Nino Giuffrè lo prende sotto la sua protezione. L’obiettivo di Rizzo è quello di conoscere e diventare il braccio destro di Bernardo Provenzano, ma questo rimane solo un sogno, infatti, il 24 luglio del 2002, viene arrestato con l’accusa di associazione mafiosa ed estorsione. Ma come tutti i boss mafiosi continua a “lavorare” anche dal carcere: “detta” il suo volere attraverso la trasmissione di bigliettini, portati e consegnati dai cosiddetti “postini”, tra cui la stessa moglie Carmela. Carmela decide di cambiare vita Il 3 maggio 2004 Carmela viene arrestata. Il 10 maggio è di nuovo libera: le vengono concessi gli arresti domiciliari. Ma quando torna a casa trova una situazione inaspettata: le figlie le manifestano il loro forte disagio: «Mi dissero: “Mamma questa è vita secondo te?” E allora gli ho detto: “Cosa volete da me? Cosa volete che io faccia?” Ero disperata, non riuscivo più nemmeno a controllare le mie figlie. E loro mi hanno detto: “Perché non dici la verità? Collabora!”». Per Carmela è una scelta molto difficile: deve denunciare suo marito e quindi dividere la sua famiglia. Ma le figlie la convincono e quindi decide di scrivere una lettera di denuncia ai magistrati. Inizia così la fase dei suoi interrogatori, fondamentali per capire la geografia mafiosa siciliana e per constatare quanto sia collaudato il sistema di comunicazione tramite i cosiddetti “postini”. Il 12 dicembre 2006 il Consiglio comunale di Cerda viene sciolto per infiltrazioni mafiose, e sempre sulle indicazioni di Carmela, il Pubblico Ministero, Michele Prestipino, recupera un importante filmato – da una telecamera nascosta nel parlatorio del carcere Pagliarelli di Palermo - che mostra chiaramente come i boss riescano a comunicare con l’esterno. [vedi video 5] 13 marzo 2006, Carmela al Tribunale di Palermo Dalla testimonianza di Carmela: «Mi sono ritrovata con tre figli da sola, perché i miei genitori non mi hanno sostenuta e mio marito non mi ha seguita. I miei figli devono vedere cosa è il bene e cosa il male, io l’ho imparato quando ho iniziato a collaborare, a 31 anni, e non è giusto che i miei figli crescano come sono stata cresciuta io. A me la forza oggi me l’ha data la fede, ma soprattutto i miei figli, perché sono dei bambini più maturi dell’età che hanno e ogni volta che sono scoraggiata mi dicono: “Mamma ma che stai facendo? Alzati mamma, non ti preoccupare, mamma…” L’unica mia forza sono loro, per me sono bambini speciali…[…] Mi manca la mia terra, il mare, il sole, ma mi piace questa nuova Carmela: mi sento pulita, libera, sono una persona normale come tutti, non sono più impigliata in quella ragnatela che è la mafia che ti stringe fino a non farti più respirare. La mafia non finirà mai, fino a quando la gente, i commercianti, gli imprenditori e i politici continuano ad abbassare la testa e ad aver paura di dire no e di denunciare...allora sì che la mafia non finirà mai». La Iuculano in aula ha fatto appello più volte al marito, dicendo: «Io sono qui. Io credo nei miracoli e credo nel miracolo che lui finalmente possa trovare il coraggio, perché il coraggio è questo e non quello di andare avanti, ammazzando le persone e facendo le angherie agli altri. Il coraggio è di seguirmi e scegliere la sua vera famiglia che sono sua moglie e i suoi figli». Pino Rizzo non si è ancora pentito: è stato condannato all’ergastolo per omicidio di mafia. Carmela invece, oggi, è una donna nuova. Donne di mafia pentite per vendetta Dalle parole di Giovanni Falcone, nel libro Cose di Cosa Nostra: «Le donne che in passato hanno raramente avuto una parte decisiva nella vita dei mafiosi, hanno assunto un ruolo determinante: sono decise e sicure di sé, sono entrate in rotta di collisione con il mondo chiuso, oscuro, tragico e ripiegato su se stesso di Cosa Nostra». Serafina Battaglia Palermo, 30 gennaio 1962: Serafina Battaglia, è la prima donna di mafia che spezza il muro dell’omertà per vendicare l’assassinio del figlio Salvatore. In tribunale rivela tutto quello che sa, indica i nomi degli assassini, dei mandanti e degli esecutori. Da quel momento diventa testimone implacabile per moltissimi processi. Le parole di Serafina prese da “La vedova della lupara”, Tv7 - 1964: «Ho avuto coraggio…ma io senz’altro tutto quello che so dico, sempre, anche di notte, se mi chiama la polizia io dirò tutto, perché non ho paura di nessuno. Che penso della mafia? Che fa schifo…questo penso della mafia, che fa schifo». Vita Rugnetta e Michela Buscemi Maxiprocesso alla mafia, Palermo 10 febbraio 1986: per la prima volta in Sicilia due donne, Vita Rugnetta e Michela Buscemi si costituiscono parte civile e denunciano gli assassini dei propri figli e fratelli. 2 sur 4 25.10.11 11:43 La Storia siamo noi - Donne di Mafia http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=342 Piero Grasso, Capo Direzione Nazionale Antimafia, ricorda di quel processo: «Ci ha dato un panorama, uno spaccato di tutta quanta la società; la tipologia sia del crimine sia della società siciliana, e quindi anche delle donne. Ci sono figure di donne che hanno fatto piangere, che hanno emozionato, come la Rugnetta…ricordo che portò in aula la foto del figlio morto e che si è lanciata contro coloro che lo hanno fatto scomparire…o la Buscemi che ha dovuto ritrattare le dichiarazioni perché così costretta…». Questo infatti confessa la Buscemi nel 1992 in “Viaggio nel sud” di Sergio Zavoli: «Quando iniziò il Processo d’Appello, dopo qualche mese, ho ricevuto, la sera tardi, una minaccia, una voce terribile che mi diceva che mi dovevo ritirare dal maxiprocesso, sennò succedeva qualcosa alla mia famiglia; disse: “Signora, meglio per lei che prima di Pasqua si ritiri”».
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    di Gisella Modica Ripartire da Sud Un passo indietro: Dal 5 al 7 aprile 2013, promosso dalla Casa internazionale delle donne, la Società Italiana delle Letterate con l’associazione daSud, e Libera ha realizzato il convegno “I sud, le mafie: le donne si raccontano” . Il convegno (che ha visto la partecipazione di giornaliste, storiche, scrittrici, sindache, magistrate, animatrici sociali) voleva mettere a confronto le diverse pratiche che le donne hanno agito e agiscono nel contesto in cui vivono, di fronte alle trasformazioni delle Mafie diventate Sistema. Siano esse donne che agiscono contro le mafie, al nord come al sud; siano esse donne di mafia, testimoni e collaboratrici di giustizia, che si sono ribellate al Sistema. L’intento era: quali pratiche 1 del femminismo ricontestualizzare, per creare nuove mediazioni e uno nuovo spazio pubblico, di fronte ai nuovi contesti che si sono venuti a creare (vedi programma sul sito www.societadelleletterate.it ). L’esigenza nasceva da un lato dalla constatazione di una lettura delle Mafie, da parte femminile, non dissimile da quella maschile, prodotta dall’antimafia, che, a partire dall’intreccio mafia, politica e finanza, privilegia un’impostazione giuridica e/o economicistica, e le cui soluzioni, di contro, vengono indicate nella conquista del lavoro e nella mobilitazione popolare per la democrazia 2. Da questa lettura ne è derivata la messa in campo di pratiche di resistenza 3. Postura in difesa, di chi agisce nello stesso solco e con le stesse modalità dell’ordine simbolico maschile, che poco incidono sul rapporto tra sé e il reale. Pratiche, a nostro avviso, non più sufficienti per il nuovo tipo di sistema/potere che ci troviamo di fronte, e che Franca Imbergamo, magistrato, nella sessione del convegno intitolata “ Le mafie si trasformano” ha definito“camaleontico, che conosciamo poco e dunque stentiamo a ri-conoscere” 4.
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