Le Vittime Della Mafia
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LE VITTIME DELLA MAFIA 1861 Giuseppe Montalbano è un medico, fervente mazziniano, e partecipa alla rivoluzione palermitana del 1848. Dopo lo sbarco a Marsala di Giuseppe Garibaldi, si unisce ai Mille, e per questo verrà poi eletto consigliere comunale e poi provinciale. Viene ucciso la sera del 3 marzo 1861 davanti casa sua, a Santa Margherita Belice (Ag), con tre fucilate alle spalle. Montalbano paga così l’aver guidato i contadini che rivendicano tre feudi che dovrebbero essere del Comune, usurpati invece dalla principessa Giovanna Filangieri. Alla sua morte esplode la rabbia popolare e viene preso d’assalto il Circolo dei Civili e messo sotto assedio per 2 giorni il municipio della città. La rivolta viene infine sedata e sull’omicidio Montalbano non si fanno indagini. 1863 Giovanni Corrao è un operaio del porto di Palermo, un calafataro, cioè colui che con il catrame rende impermeabili le imbarcazioni di legno. Ma Corrao è soprattutto un antiborbonico. Nel 1860 si unisce ai Mille e nel corso della campagna viene nominato generale dallo stesso Garibaldi. Finita l’impresa dei Mille, Corrao entra a far parte dell’esercito sabaudo con il grado di colonnello, ma nel 1862 lascia tutto per seguire nuovamente Garibaldi nell’impresa della conquista di Roma, fino alla sconfitta sull’Aspromonte. Quando torna a Palermo, viene assassinato dalla mafia il 3 agosto 1863. Il delitto resta impunito, ma negli atti dell’indagine si usa per la prima volta il termine “mafia”. 1874 Emanuele Attardi è un bambino quando, l’8 novembre 1874, viene ucciso da un colpo di fucile che lo raggiunge mentre passeggia in compagnia del padre, Gaspare Attardi, il vero obiettivo dell’agguato. Gaspare Attardi è cancelliere della Pretura e ha contribuito a individuare e far arrestare un mafioso. 1876 Giuseppe Aguglia è un caporale delle guardie campestri di Bagheria. Viene ucciso il 15 giugno 1876 perché si oppone ai soprusi dei mafiosi locali. 1878 Anna Nocera è una ragazza di 17 anni e lavora come domestica in casa degli Amoroso, una famiglia mafiosa. Viene sedotta dal rampollo della famiglia, Leonardo, che quando apprende che Anna è rimasta incinta la uccide e fa sparire il corpo. Il padre di Anna, non avendo più notizie della figlia, affronta Amoroso, che reagisce insultandolo e minacciandolo di morte qualora avesse osato rivolgersi alla giustizia. Cinque anni più tardi, grazie alle dichiarazioni di alcuni mafiosi diventati collaboratori di giustizia, Leonardo Amoroso assieme a un fratello e ad altri mafiosi finisce comunque alla sbarra, accusato di nove omicidi. Tra le vittime, oltre ad Anna Nocera, figura anche un altro fratello degli Amoroso, Gaspare, assassinato perché aveva prestato servizio militare nei carabinieri, contravvenendo al codice mafioso. Leonardo Amoroso viene difeso da due deputati, Valentino Caminneci e Raffaele Palizzolo. Quest’ultimo verrà coinvolto anni dopo nell’omicidio di Emanuele Notarbartolo. Il processo si conclude con nove condanne a morte. 1893 Emanuele Notarbartolo, il primo febbraio 1893, sul treno che da Termini Imerese porta a Trabia, viene assassinato con 27 pugnalate da due sicari mafiosi. Pochi giorni dopo avrebbe compiuto 59 anni. Gli assassini, Matteo Filippello e Giuseppe Fontana, della cosca mafiosa di Villabate, nonostante qualche tentativo di depistaggio, vengono presto individuati, ma le indagini arrivano ben presto a svelare anche il movente e il mandante dell’omicidio. Di famiglia aristocratica, il marchese Notarbartolo si avvicina molto giovane alle idee liberali e nel 1860 si unisce alla spedizione dei Mille di Giuseppe Garibaldi partecipando alla battaglia di Milazzo. Tornato alla vita civile, si impegna in politica e tra il 1873 al 1876 diventa sindaco di Palermo (a lui si deve la costruzione del Massimo, uno dei più grandi teatri lirici d’Europa). Ma è proprio nel 1876 che ottiene l’incarico più difficile: direttore generale del Banco di Sicilia. Notarbartolo si impegna a salvare la banca che è sull’orlo del fallimento e combatte gli interessi che avevano portato l’istituto alla rovina e che vedevano un intreccio tra aristocratici, politici e mafiosi. L’opera di risanamento di Notarbartolo diventa ancor più difficile quando il governo Depretris gli affianca due personaggi a lui ostili, tra cui il deputato Raffaele Palizzolo. Quest’ultimo, legato alla mafia da molti anni, si era già scontrato duramente con Notarbartolo che aveva bloccato diverse sue spericolate speculazioni. Alla fine è Notarbartolo a soccombere, e nel 1890 viene destituito da direttore generale del Banco. Due anni più tardi, però, Giovanni Giolitti, divenuto presidente del Consiglio, fa capire che intende intervenire per “rimettere in ordine le cose” al Banco di Sicilia, e immediatamente circola la voce che Notarbartolo potrebbe ritornare alla guida dell’istituto e questo mette in allarme tutti quelli che erano stati danneggiati dalla sua precedente gestione. È a partire da questo quadro della situazione che i sospetti degli inquirenti si concentrano su Palizzolo come mandante dell’omicidio. Passano sei anni prima che la Camera autorizzi il processo, ma due anni dopo, nel 1901, Palizzolo viene condannato come mandante dell’omicidio a 30 anni di carcere. Sentenza che viene però incredibilmente ribaltata in appello, nel 1905: Palizzolo, probabilmente grazie agli appoggi politici di cui gode, viene assolto per insufficienza di prove dalla Corte d’Assise di Firenze e può quindi tornare a Palermo, dove viene accolto da una folla festante. Quello di Notarbartolo è considerato il primo “omicidio eccellente” nella storia di Cosa Nostra. 1896 Emanuela Sansone, ha diciassette anni quando viene assassinata. Il delitto è compiuto da uomini di Cosa Nostra per ritorsione nei confronti della madre della ragazza, sospettata di averli denunciati per fabbricazione di banconote false. La donna, che gestisce una bettola, collabora attivamente con gli inquirenti nel tentativo di individuare gli assassini della figlia. Non è questo l’ultimo caso che vede una donna infrangere la legge dell’omertà per avere giustizia. 1905 Luciano Nicoletti è un bracciante che si mostra tra i più decisi nel grande sciopero del 1893 per l’applicazione dei “Patti di Corleone”: una lotta durissima che vede i lavoratori, esaurite le scorte messe da parte in vista dello sciopero, costretti con le loro famiglie a cibarsi di fichi d’india. I braccianti tuttavia non si arrendono e proseguono lo sciopero, e alla fine sono i padroni terrieri a doversi piegare. Nicoletti è di nuovo alla testa dei lavoratori anche nelle successive lotte per le “affittanze collettive”, apparendo così il maggior pericolo per gli agrari e per i mafiosi che lavoravano per loro. Il 14 ottobre, mentre torna a piedi a Corleone dopo una giornata di lavoro nei campi, viene ucciso con due colpi di lupara. Ha 54 anni. 1906 Andrea Orlando è un medico di Corleone. Socialista, è tra i principali sostenitori delle lotte contadine per le “affittanze collettive” e contribuisce alla costituzione della cooperativa “Unione agricola”. Eletto consigliere comunale, Orlando si impegna per la moralizzazione di quella amministrazione, in particolare contrastando l’uso di esonerare dal pagamento delle tasse amici e parenti, a tutto danno delle famiglie più povere. Diventa così un personaggio ingombrante e pericoloso. La sera del 13 gennaio 1906, all’età di 42 anni, viene assassinato con due colpi di lupara a Rianciale, una località vicino a Corleone, dove possiede un appezzamento di terreno. 1909 Giuseppe (Joe) Petrosino, nato a Padula, in provincia di Salerno, ed emigrato negli Usa da piccolo con i suoi genitori, da giovane entra nella polizia di New York e diventa ben presto tenente alla guida di una squadra di italo-americani considerati i più adatti a combattere la mafia americana, nota all’epoca col nome di “Mano Nera”. Stimato dal presidente Theodor Roosevelt, riuscì a infliggere molti colpi alla mafia americana, assicurando alla giustizia diversi boss di grosso calibro. Per questi successi diventa molto famoso in tutti gli Stati Uniti. Intuisce l’esistenza dei forti legami che uniscono la mafia americana con Cosa Nostra siciliana e decide di recarsi in Italia con l’obiettivo di infliggere un colpo mortale all’organizzazione mafiosa. La missione è segreta, ma un’indiscrezione fa sì che sul New York Herald vengono pubblicati tutti i dettagli dell’operazione ancor prima della partenza. Petrosino non demorde e parte comunque, probabilmente contando che anche a Palermo, come negli Usa, la mafia non avrebbe mai osato uccidere un poliziotto. Invece, uscito dall’albergo, l’Hotel de France, per un misterioso incontro nella sottostante piazza Marina, viene assassinato da due sicari con tre colpi di pistola sparati a raffica, più un quarto, alla testa. Sono le 20,45 del 12 marzo 1909. Così muore, a 48 anni, Joe Petrosino. Da notare che sempre quell’anno, prima della sua partenza per la Sicilia, il tenente ha modo di conoscere Raffaele Palizzolo, recatosi a New York per incontrare la comunità italiana. Non si sa cosa si sono detti. Quel che è certo è che Petrosino aveva già fatto arrestare uomini vicini al deputato italiano e che questi subito dopo l’incontro si è affrettato a tornare in Italia. 1911 Lorenzo Panepinto, maestro elementare, socialista, fonda nel suo paese, Santo Stefano Quisquina, in provincia di Agrigento, il Fascio siciliano e dirige il giornale La Plebe. Viene eletto consigliere comunale, sconfiggendo i moderati. La reazione è furibonda, il comune viene commissariato, ma questo non impedisce che la lista progressista vinca anche le nuove elezioni. E il governo del marchese di Rudinì commissaria una seconda volta il Comune. Panepinto si dimette per protesta. All’inizio del secolo collabora con Bernardino Verro, di Corleone, e Nicola Alongi, di Prizzi, per la realizzazione di cooperative agricole e di Casse agrarie per emarginare i gabelloti dei feudi. Nel 1907 si trasferisce in America, ma appena un anno dopo torna nel suo paese. Il 16 maggio 1911, all’età di 46 anni, viene assassinato davanti alla porta di casa con due colpi di fucile al petto.