A. MOLINARI, Le Campagne Siciliane Tra Il Periodo Bizantino E Quello Arabo, P

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A. MOLINARI, Le Campagne Siciliane Tra Il Periodo Bizantino E Quello Arabo, P LE CAMPAGNE SICILIANE TRA IL PERIODO BIZANTINO E QUELLO ARABO Il popolamento rurale in Sicilia nell’altomedioevo ed in particolare la dinamica tra insediamento accentrato e sparso sono ancora avvolti nella nebbia sia per la natura stessa della documentazione materiale e scritta, sia soprattutto per lo stato degli studi di archeologia medievale. Come abbiamo tuttavia già suggerito in altre sedi (1), alcuni indizi interessanti emergono dalle indagini archeologiche sia di superficie, sia sistematiche. Inoltre, tra gli studi recenti, ricco di spunti e di dati è il volume di Ferdinando Maurici (1992) sui castelli siciliani dai bizantini ai normanni, nel quale vengono utilizzate fonti di diversa natura (scritte, toponomastiche, archeologiche), mentre la Sicilia romana e tardoromana dispone ora dei saggi di sintesi di R.J. Wilson (1990 e 1993). Infine abbiamo in più sedi proposto una tipologia della ceramica fine siciliana che permette una datazione grosso modo al cinquantennio delle produzioni isolane, comprese tra la seconda metà del X e la prima metà del XIII secolo (2). Riteniamo dunque possibile rivalutare le cronologie proposte per alcuni siti. In questa sede vorremmo riprendere brevemente quanto sembrerebbe, a nostro parere, emergere dalle indagini archeologiche vecchie e nuove, per poi proseguire con le riflessioni, già altrove abbozzate, sul possibile significato storico dei dati archeologici, anche alla luce degli studi, più avanzati e numerosi, sulla Spagna musulmana. Negli ultimi anni si sono andate intensificando le ricognizioni di superficie più o meno sistematiche, soprattutto in relazione allo studio dei territori di pertinenza di città di epoca classica (Eraclea Minoa (3), Himera (4), Entella (5)), ma anche finalizzate alla comprensione dello sfruttamento agricolo in epoca romana (Marsala, villa di Timpone Rasta (6)), alle trasformazioni plurisecolari di un territorio per il quale si dispone soprattutto di una ricca documentazione scritta di epoca medievale (territorio alle dipendenze della chiesa di Monreale (7)) o infine decisamente mirate all’identificazione di siti medievali (Valle del Platani) (8). Quello che sembrerebbe registrare l’archeologia estensiva è la tendenza, a fronte di una certa diversità di situazioni di partenza (ville più o meno grandi e più o meno lussuose; vici e mansiones,) verso quella che sembrerebbe una concentrazione dell’habitat, specialmente a partire dal V secolo e sul luogo spesso di precedenti insediamenti romani di pianura/collina. Questi centri maggiori avrebbero anche in molti casi sigillate africane databili fino al VI-VII secolo. In altri termini, intorno al V-VI secolo in tutta l’Isola sembrerebbero intensificarsi i fenomeni di abbandono dei siti rurali aperti, ma questo potrebbe essere interpretato, a seconda delle zone, vuoi come concentrazione della proprietà, vuoi come accentramento insediativo con la creazione di grosse borgate rurali. Il dato tuttavia più interessante, per quanto riguarda il periodo medievale, è il fatto © 1995 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale che in un numero elevato di questi siti maggiori si ritrovino anche le prime ceramiche islamiche invetriate (seconda metà del X-XI secolo) (9). Il problema della continuità di insediamento in questi siti anche nell’altomedioevo è reso arduo dalla nostra scarsa o nulla conoscenza delle ceramiche di VIII/prima metà del X secolo. Tuttavia l’associazione tra le più tarde sigillate africane e le prime invetriate islamiche è così ricorrente, da far decisamente propendere per una continuità di occupazione di molti dei siti tardoromani/bizantini, fino ad almeno l’XI secolo. Vorrei inoltre sottolineare il fatto che la grande maggioranza dei casali arabi fino ad oggi individuati sul terreno (scavati e non), presentano preesistenze tardoromane/bizantine e come questo sia vero non solo nei casi in cui le ricerche sono condotte da antichisti (che quindi cercano e segnalano solo i siti di età classica), ma anche in quelli che partono esplicitamente dai toponimi e documenti medievali (Valle del Platani e Monreale survey). La continuità insediativa sembrerebbe inoltre essere confermata dai casi in cui i siti aperti sono stati scavati più o meno sistematicamente, come nel vicus di Sophiana (10), nella villa di Patti (11), nel Casale Nuovo presso Mazara del Vallo (12), nel casale di Calliata nel Belice (13), ma soprattutto nell’insediamento di Contrada Saraceno (14), presso Agrigento, per il quale esiste un’edizione più dettagliata. Lo scavo del sito in Contrada Saraceno permette di seguire tutte le successive trasformazioni subite da una villa sorta tra il II ed il III secolo d.C., con funzioni prevalentemente residenziali (il proprietario era forse un ricco signore di Agrigento), e che al momento del suo abbandono nel medioevo era un agglomerato di case contadine. La villa imperiale già tra la fine del IV/prima metà del V secolo avrebbe subito un notevole degrado e cambiamenti di funzione con il prevalere di quella agricola su quella residenziale, mancherebbero inoltre ceramiche della seconda metà del V secolo ed un potente strato alluvionale sigillerebbe questa fase. Questo primo abbandono sarebbe collegato, secondo gli autori degli scavi, alle scorrerie vandale. Tra la metà circa del VI ed il VII secolo sarebbero state completamente ricostruite delle strutture, con lo stesso orientamento della villa imperiale, ma ormai prive di qualsiasi elemento di “lusso” e con un disegno funzionale esclusivamente agricolo. Questa “fattoria” avrebbe potuto far parte, sempre secondo gli archeologi che l’hanno scavata, di una proprietà più vasta e non esserne pertanto più il centro. Si è ipotizzato il fatto che potesse essere la residenza di un conductor o di un enfiteuta, in ogni caso risulterebbe difficile determinare sulla base delle trasformazioni di un solo sito la permanenza del latifondo o la conquista della terra da parte dei contadini. La “fattoria” sarebbe sostanzialmente durata fino alle soglie del IX secolo, con ristrutturazioni, alcune delle quali legate forse alla costruzione di un piccolo oratorio cristiano. Vorremmo inoltre sottolineare come fino a tutto il VII secolo arrivino in questo centro rurale le sigillate africane. L’abbandono nel IX secolo sarebbe da collegare con l’arrivo dei saraceni. Il sito tuttavia sarebbe stato rioccupato e sarebbero anche state costruite delle casupole con orientamento piuttosto discordante rispetto a quello delle strutture tardoromane. Questa rioccupazione daterebbe al X-XI secolo, l’abbandono definitivo del casale avverrebbe invece nel periodo svevo, ma questo sarebbe in crisi già nel XII secolo e la frequentazione del XIII secolo sarebbe solo sporadica (15). Esistono naturalmente anche casi nei quali gli abbandoni furono probabilmente più © 1995 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale lunghi, come sembrerebbe essere in quello della villa di Piazza Armerina, dove mancherebbero le fasi propriamente altomedievali e dove la rioccupazione potrebbe essere semplicemente dettata dalle favorevoli condizioni geografiche (16). Nella Sicilia occidentale, in particolare, i siti aperti del tipo del casale sembrerebbero entrare in crisi tra il periodo normanno e soprattutto quello svevo (17). La lettura dei dati archeologici relativamente ai siti di altura è più complessa anche perché alcuni di questi centri sorti nel medioevo sono tutt’ora abitati e le indagini nei siti a continuità di vita sono uno dei punti più deboli dell’archeologia siciliana. Inoltre le attività costruttive recenti hanno spesso completamente cancellato la storia edilizia di molti paesi. Limitandoci quindi agli insediamenti abbandonati, come ha sottolineato tra gli altri R.J.A. Wilson (18), molte delle città in sito di acropoli, specialmente quelle dell’interno, sarebbero in crisi già in età romano-imperiale e verrebbero disertate a favore degli insediamenti sparsi di pianura/collina. Nel V-VI secolo sarebbero segnalate alcune rioccupazioni di zone limitate di queste antiche acropoli ed anche di alcune alture minori, è il caso di Morgantina, Camarina; Selinunte (19); Monte Maranfusa/Calatrasi (20), ma anche di Monte Castellazzo di Poggioreale (21) e di Muculufa (22). In altri casi, come quelli di Segesta (23) e Monte Iato (24), gli insediamenti sembrerebbero sopravvivere invece fino all’epoca tardoromana, probabilmente senza soluzione di continuità, ma fortemente ridimensionati nell’estensione e con segni evidenti di impoverimento e degrado (25). Sembrerebbe tuttavia che queste rioccupazioni o occupazioni residue non abbiano avuto fortuna e non siano comunque un dato così generale: nel caso ad esempio di Segesta (26), sembrerebbero attestati materiali di V-VI secolo e quindi vi sarebbe un lungo iato fino al XII secolo. Numerosi sembrerebbero poi i siti di altura con periodi ancora più lunghi di abbandono o nei quali mancherebbero totalmente le fasi antiche ed altomedievali, come nei casi di Entella (27); di Calathamet (28); di Monte d’Oro di Collesano (in tutti siti citati sono stati eseguiti sondaggi archeologici più o meno estesi) (29). Queste riflessioni possono naturalmente essere troppo generali in quanto prive di dati quantitativi più circostanziati ed essere limitate dal fatto che in alcuni casi le indagini archeologiche mancano di finezza stratigrafica (e la possibilità di cogliere le fasi altomedievali dipende da essa in grande misura!) o hanno interessato zone limitate dei siti antichi.
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