Di Michela Troisi
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* IL GOVERNO CIAMPI: UN ESECUTIVO DI TRANSIZIONE di Michela Troisi (Dottoranda di ricerca in Diritto pubblico e costituzionale Università di Napoli Federico II) 10 luglio 2013 Sommario: 1. La storia e la politica sullo sfondo, ma non solo. 2. Dalle brevi consultazioni all’incarico conferito, per la prima volta, ad un non parlamentare. 3. Il governo Ciampi: tra il vecchio ed il nuovo. 4. La durata dell’esecutivo e lo stringente vincolo programmatico. 5. Spunti per una riflessione di sistema. 1. La storia e la politica sullo sfondo, ma non solo. Nel suo rapporto di fine mandato, trasmesso in diretta televisiva il giorno 21 aprile 1993, il Presidente del Consiglio Giuliano Amato non parla a braccio, legge le dodici pagine scritte senza fermarsi, utilizza parole frutto di una riflessione consapevole ed, ormai, disincantata. “Il voto referendario - sostiene Amato - rende definitiva ed irreversibile, caricandola di significati chiari e concreti, una fase profondamente nuova che aveva preso a manifestarsi da diverso tempo, di sicuro dal 9 giugno di due anni fa”; l’Italia desidera “un autentico cambiamento di * Il presente articolo rientra tra i lavori inviati in risposta alla Call for papers di federalismi sulla formazione dei governi ed è stato sottoposto ad una previa valutazione del Direttore della Rivista e al referaggio dei Professori Vincenzo Lippolis e Giulio M. Salerno. federalismi.it n. 14/2013 regime”, “si vogliono partiti diversi” e, concludendo, “occorre un segno di chiara discontinuità”1. Transizione, cambiamento, svolta, rinnovamento, discontinuità: sono queste le parole che maggiormente ricorrono per caratterizzare il contesto storico-politico nel quale vede la luce il cinquantesimo governo della storia repubblicana, il primo, dal 1848, ad essere guidato da un non parlamentare. E Carlo Azeglio Ciampi pare a molti “l’uomo migliore, più indipendente e più competente che il Paese potesse esprimere”2 in una fase così complessa. Prima di analizzare l’iter che ha condotto il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro a conferire l’incarico al Governatore della Banca d’Italia, sembra opportuno dar conto di quell’emergenza politica, “istituzionale” ed economica, nel quadro dell’avvio dei tratti salienti del fenomeno di integrazione europea, in anni di transizione. Per quanto riguarda il contesto politico, il crollo del muro di Berlino, che sancisce la fine dei regimi comunisti dell’est ed il conseguente epilogo del bipolarismo internazionale, “sposta l’attenzione verso i nostri problemi interni”, “scongela ogni pregiudiziale verso cambiamenti anche radicali” e determina, progressivamente, quella “deideologizzazione della politica partitica”3 che consente un clima favorevole all’apertura delle inchieste della magistratura. La grande slavina4, quell’inarrestabile processo di delegittimazione dell’intero ceto politico, porta in superficie l’intricato e consolidato sistema di corruzione che caratterizzava il modus operandi dei maggiori partiti impegnati sulla scena italiana. A partire da quel pomeriggio d’inverno del 17 febbraio 1992, in cui Mario Chiesa incontra l’imprenditore Luigi Magni, si susseguono una fitta serie di inchieste e di arresti, che coinvolgono circa un quinto del Parlamento5. La “questione morale”, così come denunciata già negli anni Ottanta da Visentini e Berlinguer, esplode in tutta la sua criticità, rivelando quella “doppia morale, una per il principe l’altra per i sudditi, una per lo Stato l’altra per i cittadini, una per il partito e un’altra per il popolo”6, la cui percezione priva di credibilità e di legittimazione il sistema. L’emergenza politica si affianca al processo di cambiamento istituzionale, che, iniziato nel 1991 con il referendum sulla preferenza unica alla Camera, trova la sua più concreta 1 Atti parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura XI, Discussioni, seduta pomeridiana del 21 aprile 1993, in G. QUAGLIARIELLO (a cura di), La sconfitta del “Moderno Principe”. La partitocrazia in Italia dalle origini al crollo della Prima Repubblica, Pordenone, Biblioteca dell’Immagine, 1993, 189-194. 2 I. MONTANELLI – M. CERVI, Storia d’Italia, l’Italia degli anni di fango 1978-1993, Milano, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2012, 301. 3 P. GRILLI DI CORTONA, Il cambiamento politico in Italia: dalla prima alla seconda Repubblica, Roma, Carocci, 2011, 60 ss. 4 Espressione tratta da L. CAFAGNA, La grande slavina: l'Italia verso la crisi della democrazia, 2. ed, Venezia, Marsilio, 2012. 5 L. RICOLFI, Politica senza fede:l’estremismo di centro dei piccoli leghisti, in il Mulino, n. 1/1993, 53-70. 6 E. BIAGI, La disfatta, Milano, Rizzoli, 1993. www.federalismi.it 2 manifestazione nei referendum del 18 aprile del 1993. In tale data, quasi l’83% di coloro che si recano alle urne vota a favore dell’abrogazione di parti essenziali della legge elettorale del Senato, con l’effetto della radicale trasformazione di quel sistema elettorale in senso uninominale – maggioritario; inoltre, oltre il 90% dei votanti, la quota più alta, si dichiara favorevole all’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Appare piuttosto evidente, come sottolinea Duverger, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera in quei frenetici giorni, che “gli italiani, con il loro voto, hanno plebiscitato una Seconda Repubblica, un’architettura politico – istituzionale profondamente diversa da quella attuale”7, dando un durissimo colpo alla tradizionale democrazia consensuale italiana. Deve essere inoltre considerata la difficile situazione economica di quegli anni. La fase recessiva, che stava caratterizzando l’intera Europa, si rivela particolarmente dura in Italia, per l’incidenza di una più alta disoccupazione, per le difficoltà strutturali dell’apparato produttivo, per la recente svalutazione della lira e per la faticosa gestione dell’ormai elevatissimo debito pubblico. Sullo sfondo, infine, si pone l’avvio di quel processo di integrazione europea, così indissolubilmente legato proprio alla figura di Ciampi, con la firma del Trattato sull’Unione Europea a Maastricht il 7 settembre 1992, entrato poi in vigore il 1° novembre del 1993, che avrebbe condizionato, di lì in poi, il funzionamento della forma di governo italiana. 2. Dalle brevi consultazioni all’incarico conferito, per la prima volta, ad un non parlamentare. Questo essendo lo stato delle cose, il 22 aprile del 1993 il Presidente del Consiglio in carica, Giuliano Amato, dopo un lungo confronto parlamentare, sale al Quirinale per rassegnare le dimissioni. Un primo dato che può essere evidenziato è la “parlamentarizzazione” della crisi di governo, voluta dal Presidente della Repubblica Scalfaro. Tale procedura, promossa soprattutto a partire dal settennato di Pertini, rientrerebbe nel genus delle convenzioni costituzionali, per “l’elemento dell’accordo tra i titolari di organi costituzionali”8, che in essa sarebbe rinvenibile. Lo strumento si rivela funzionale a rendere conoscibili i motivi della crisi stessa e non necessariamente a farla rientrare9. Interessante ricordare che proprio Scalfaro, nella seduta della Camera dei Deputati del 15 gennaio 1991, è primo firmatario di una 7 A. GUATELLI, 21 aprile 1993, Italiani vi spiego la Seconda Repubblica, Corriere della Sera. 8 V. LIPPOLIS, La parlamentarizzazione delle crisi, in Quaderni costituzionali, 1981, 150. Contra cfr. A. RUGGERI, Le crisi di governo tra ridefinizione delle regole e rifondazione della politica, Milano, Giuffrè, 1990, 150. 9 R. BIN – G. PITRUZZELLA, Diritto Costituzionale, Torino, Giappichelli, 2012, 182-183. www.federalismi.it 3 mozione di indirizzo costituzionale, con la quale si impegna il governo a dimettersi “previa comunicazione motivata alle Camere”10. Quindi, conformemente alla procedura così descritta, il dimissionario Amato esplicita alla Camera le ragioni della crisi, aprendo, di fatto, il negoziato per la formazione del nuovo esecutivo. Le consultazioni, che anticipano il conferimento dell’incarico a Ciampi, si svolgono in tempi particolarmente brevi, non più di tre giorni. La celerità che caratterizza lo svolgimento di tale “rito” e la durata complessiva della crisi del governo Amato I (sei giorni), soprattutto se rapportata alla durata media delle altre crisi di governo della storia italiana11, rispondono, sicuramente, alle esigenze specifiche del particolare momento storico e conseguono al ruolo “attivo e da protagonista”12 assunto, in tale fase, dal Presidente Scalfaro. Sono varie ed eterogenee le etichette che accompagnano la nascita del governo. Tra le tante, ricorrono le formule di governo “istituzionale”, “post-referendario”, “a scadenza”, “di scopo”, “a termine”13. Ma la funzione di primo piano del presidente Scalfaro, autorevole “commissario della crisi”14, si manifesta in una gestione decisa, severa, concreta in quanto finalizzata alla costruzione di un esecutivo di programma con un’ampia base parlamentare, ma nella scrupolosa osservanza dei confini dei poteri presidenziali. Gli incontri, ai quali, polemicamente e per la prima volta, non partecipa un ex Presidente della Repubblica, il senatore Cossiga15, si aprono “all’insegna di una preoccupata tradizione”16, non intaccata, quindi, dalle eventuali difficoltà giudiziarie di alcuni “consultandi”. Nel corso della prima giornata, si svolgono i confronti istituzionali dedicati ai Presidenti di Camera e Senato, Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini, conformemente a quella prassi consolidata che richiama la necessità di una loro audizione, in senso coerente alla norma costituzionale per cui essi devono essere sentiti dal Capo