Incerti Posti Anteprima.Pdf
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Varianti Nella stessa collana Anna Bellon - Il labirinto degli specchi Pino Farinotti - Il quarto ordine Mauro Colombo - L’ultimo dribbling del Balilla Michele Pompei - Zao Giustina Porcelli - La prima donna Sara Rattaro - Sulla sedia sbagliata Martino Fausto Rizzotti - L’amore precario Elena Mearini - A testa in giù Riccardo Romagnoli - Post coitum Stefano Corbetta - Le coccinelle non hanno paura Andrea Di Fabio - Non me Simona Castiglione - L’età del ferro Marco Montemarano Incerti posti Bozze non definitive Anteprima riservata alla stampa In libreria da settembre 2017 Copyright 2017 © Morellini Editore by Enzimi Srls via Carlo Farini 70 - 20159 Milano tel. 02/87383764 www.morellinieditore.it facebook.com/morellinieditore Grafica e impaginazione: CreaLibro di Davide Moroni Immagine di copertina: Gabriella Kuruvilla ISBN: 978-88-6298-532-1 Data di pubblicazione: settembre 2017 Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e a norma delle convenzioni internazionali Incerti posti impugnò con la destra la falce tremenda, lunga, dentata, e al padre d’un colpo recise le coglie Esiodo, Teogonia (trad. di Ettore Romagnoli) Ich muss doch meinen Vater lieben, oder? Dovrò pur amare mio padre, no? Monika Göth, figlia di Amon, comandante del campo di concentramento di Płaszów 1 Sua sorella gridava “aiuto” mentre quel bamboccio conti- nuava a starle addosso, a schiacciarla per terra, a bloccar- le la faccia per baciarla o forse solo per farle colare la bava schifosa sulle guance. Matteo camminava su e giù nella fanghiglia del cantie- re come se cercasse per terra il coraggio di difendere sua sorella. Era disperato, frignava, si tormentava le mani. Poi lei riuscì a divincolarsi. Si alzò, ma invece di fug- gire aspettò che l’aggressore si tirasse su. Quando quello fu in piedi lei gli fece lo sgambetto e lo fece finire per terra. Poi corse verso Matteo, lo prese per mano, gli disse “corriamo”. Matteo sentì che la paura lo abbandonava come il fumo delle sigarette che la sera usciva dalla bocca di suo padre. Adesso era sicuro che insieme ce l’avrebbero fatta. Non stava scappando. Correva soltanto perché gliel’aveva chiesto sua sorella. Lei rideva mentre il bamboccio li inseguiva senza con- vinzione e supplicava, con quella erre moscia che a Mat- teo sembrava scritta in corsivo nell’aria: “Dai, fermatevi, per favore”. Arrivarono davanti a una buca profonda, di quelle con le pareti ripide in cui venivano buttati gli scarti del cantie- re. Si fermarono. Matteo lasciò la mano di sua sorella e camminò piano fino all’orlo della voragine. Si accucciò e guardò in basso. Sul fondo vide pezzi di legno con chiodi arrugginiti e sporgenti, sacchi di calce sfondati, mattoni rotti. ANTEPRIMA RISERVATA ALLA STAMPA - APRILE 2017 9 incerti posti Il bamboccio disse: “Dammi un basho e me ne vado, poi non ti disturbo più”. Sua sorella rimase ferma ad aspet- tarlo. Quello si avvicinò cauto, ma arrivato a due passi si avventò su di lei, la strinse, provò ancora a baciarla. Matteo vide che sua sorella era più alta e più forte dell’aggressore. Si accucciò e si fece piccolo piccolo, si mise in attesa di qualcosa. Lei lo guardò oltre la spalla del bamboccio in un modo che sembrava dire resta fermo dove sei, adesso io e te facciamo una cosa insieme. Poi, mentre il bamboccio provava ancora a baciarla, lei gli afferrò i polsi e gli diede uno spintone. Quello si sbilanciò, provò a rimanere in piedi camminando all’in- dietro, ma mentre retrocedeva trovò Matteo arrotolato. Fu come il numero dei clown che Matteo aveva visto una volta al circo Togni. Il bamboccio scivolò dolcemente su di lui. Non gridò nemmeno, disse solo “eh?”, come se non avesse capito una domanda. Andò a gambe all’aria e si rovesciò silenziosamente. Cadde in fondo alla buca, fece un rumore soffice e non gridò nemmeno. 10 ANTEPRIMA RISERVATA ALLA STAMPA - APRILE 2017 2 Quando entrò in casa della ragazza deciso ad andarci a letto per l’ultima volta prima di dirle che era finita, Mat- teo non stava pensando a quella sera di trentacinque anni prima in cui lui e sua sorella avevano ucciso il bambino con la erre moscia, e nemmeno all’ambulanza che era ar- rivata nel cantiere solo la mattina dopo. La ragazza avrà avuto trent’anni, lui ne aveva quaran- tadue. L’appartamento era al secondo piano di un palaz- zetto basso e Brigitta – ma forse si chiamava Birgitta – era una donna che lui, se solo avesse avuto qualcuno con cui parlare, avrebbe definito calorosa, perché dopo tanti anni passati all’estero confondeva il significato delle parole. Lei l’aveva accolto alla sua solita maniera: nuda, a luci spente e con la finestra aperta. A Matteo dava fastidio che l’unica finestra della ca- mera fosse sempre aperta. Le fessure ai lati delle tendine spiovevano sull’apertura e infilavano lame di chiarore nella penombra, lame che si animavano e cambiavano colore per effetto dei fari delle macchine e dei lampeg- gianti delle ambulanze. Tutto questo gli metteva addosso l’angoscia e lui per qualche motivo non riusciva a dirlo a Brigitta. Per tutta la sua vita le sirene non avevano smesso di tormentarlo. Dentro di lui quell’ululato si trasformava in un liquido schiumoso che colava fuori per poi solidificarsi come chiara d’uovo e stringerlo alla gola. Se qualcuno gli avesse chiesto delle spiegazioni – ma in fondo chi avrebbe dovuto farlo se non aveva nemmeno un amico? – avrebbe ANTEPRIMA RISERVATA ALLA STAMPA - APRILE 2017 11 incerti posti risposto che le ambulanze lo facevano sentire colpevole, ma in un modo cupo e lontano, e che lui preferiva non ragionarci troppo sopra. Tutti gli incontri con la ragazza duravano una cinquanti- na di minuti, più o meno quanto una seduta di psicotera- pia o un lungo massaggio. In quell’ora scarsa Brigitta si occupava dolcemente di lui, lo sfiorava in punti insospet- tati, intuiva tante cose. Lei e Matteo non riuscivano a parlare perché il frastuo- no della strada rendeva impossibile qualsiasi conversazio- ne. Colpa di quella maledetta finestra aperta ma anche del fatto che lui conosceva poco la lingua del luogo. Im- pararla, malgrado vivesse lì da quindici anni, continuava a sembrargli superfluo oltre che impossibile. Nella ditta in cui lavorava si parlava inglese. Inglese aziendale. Un idioma poco adatto alla tenerezza. Forse proprio per quella mancanza di parole le atten- zioni della ragazza a volte gli davano l’illusione di trovar- si in una casa d’appuntamenti giapponese. Una sensazio- ne piacevole e piuttosto sorprendente, considerando che nella sua vita lui non aveva mai pagato per ottenere pre- stazioni sessuali e che nemmeno era mai stato in Giappo- ne. Gli unici giapponesi che conosceva erano quelli della ditta per cui lavorava. Brigitta da lui non aveva mai preteso nulla più di quegli incontri di un’oretta scarsa, e a lui la cosa avrebbe potuto anche andar bene per un po’. Solo che c’era quella ma- ledetta finestra sempre aperta e il continuo viavai delle ambulanze là fuori. Per questo, dopo quattro mesi, aveva deciso di dirle che era finita. 12 ANTEPRIMA RISERVATA ALLA STAMPA - APRILE 2017 capitolo 2 La casa di Brigitta si trovava dalle parti del più grande ospedale della città, un palazzone lungo quattrocento metri che Matteo costeggiava in bicicletta ogni volta che andava da lei. Per la verità quel palazzo lui lo vedeva ap- pena, o piuttosto se lo sentiva incombere addosso, soffo- cato com’era dall’urgenza di consegnarsi alle attenzioni della ragazza. Dopo, quando tornava a casa ormai placa- to, con la mente altrove e i nodi sciolti, quella costruzio- ne simile a una barriera, che pareva messa lì ad arginare maree future o a tagliare perfidamente in due la città, gli interessava ancora meno. Da qualche parte della mente gliene restava la mole oscura che però svaniva in capo a pochi minuti. Poi non ci pensava più fino all’appuntamento successivo. Se gli avessero chiesto di disegnare l’ospedale non se la sarebbe cavata meglio di un bambino delle elementari. Avrebbe fatto un grosso rettangolo grigio con le finestre gialle. Non riusciva a spiegarsi il motivo per cui tutta quella gen- te dovesse essere trasportata in ambulanza con la sirena e il motore fuori giri. Lui a quarantadue anni non era mai stato ricoverato in ospedale, nemmeno da bambino. Ep- pure aveva trascorso un’infanzia brada, periferica, piena di ponteggi di legno, bottiglie rotte, chiodi arrugginiti, bambini morti (un solo bambino morto, in realtà). Di giorno la città straniera in cui anni prima era anda- to a vivere brulicava di gente ricca e in buona salute. La percentuale di giovani era superiore alla media europea grazie alla presenza di due università grandi e prestigiose. Il livello dei ristoranti e dei reparti enologici dei super- mercati era molto alto. I passeggeri delle ambulanze dovevano essere persone vecchie o molto sfortunate. Uomini e donne emarginati ANTEPRIMA RISERVATA ALLA STAMPA - APRILE 2017 13 incerti posti da quella felice comunità perché affetti da malattie letali. Gente che mangiava male, guidava peggio e verso sera, inesorabilmente, si aggravava e moriva. Ma davvero po- chi minuti di corsa in ambulanza potevano decidere della vita e della morte di una persona? Si domandava se dentro a quei furgoni bianchi venis- sero compiuti gesti convulsi e disperati o se gli infermieri non conversassero piuttosto di faccende private – smal- ti per le unghie, anabolizzanti per la palestra, le maestre stronze dei loro bambini, ricette per preparare il cavolo con le patate – mentre i loro pazienti morivano. Si domandava se anche gli infermieri dell’ambulanza che aveva portato via il bamboccio con la testa rotta quel giorno di trentacinque anni prima avessero parlato di cose futili durante il viaggio.