DIOCESI DI MILANO (1a parte) 9 STORIA RELIGIOSA DELLA LOMBARDIA

Diocesi di

Milano(la parte)

a cura di Caprioli L. Vaccaro A. - A. Rimoldi -

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EDITRICE LA SCUOLA -', .ýý e-Mý ALFREDOLuCIONI

L'ETA DELLA

Fermenti e inquietudini religiose attorno alla riietä del secolo XI In seguito alla morte dell'arcivescovo Ariberto, all'inizio del 1045, i Milanesi si preoccuparono della successionesulla cattedra episcopale seguendo la prassi divenuta ormai consueta, che prevedeva la nomina di un candidato, scelto tra i preti oi diaconi del clero cardinale, da sot- toporre all'approvazione regia. Le vicende che avevano travagliato il re- cente passato di Milano e la conseguentemalcelata ostilitä del monarca verso i ceti cittadini eminenti, dai quali, appunto, doveva esser tratto 1'arcivescovo, consigliarono ai maggiorenti della cittä di far approvare dall'assemblea del clero e del popolo di Milano la candidatura non di uno soltanto, ma di ben quattro diaconi cardinali, per dare ad Enrico la III possibilitä di compiere una libera scelta, pur costringendolo a li- mitarla ai nominativi sottopostigli. Tuttavia, nonostante le precauzioni prese, la paventata autonoma iniziativa imperiale nella designazione del titolare della piü importante diocesi del regno Thalia ebbe una puntua- le conferma quando i candidati all'episcopato giunsero presso la corte germanica. Il 18 luglio 1045, infatti, Enrico III, respinti gli uomini pro- postigli, elevb alla cattedra ambrosiana Guido da Velate, un chierico ap- partenente ad una famiglia della nobiltä del contado milanese. L'elezione dell'arcivescovo era un momento chiave della vita politi- ca, sociale ed economica della cittä: 1'avocarla a se in maniera cosi de- terminata da parte di Enrico III si inseriva in un piü generale disegno di limitazione imperiale del potere delle forze locali, e, nel caso specifi- di Milano, la di co scelta un uomo non legato alla nobiltä cittadina assu- di meva il significato un preciso ridimensionamento del ceto capitanea- le, dal estromesso in tal modo controllo del piü importante centro di forse potere, e tendeva ad impedire che attorno alla persona del presule si andassero coagulando tutte le forze in gioco sulla scena milanese 168 ALFREDO LUCIONI

- capitanei e valvassori, piccola nobiltä feudale, grandi e piccoli pro-' prietari - riproponendo una situazione che giä in alcuni momenti del- 1'episcopatodi Ariberto si era rivelata potenzialmente pericolosa per il potere imperiale. Nonostante cib Guido, accettato infine da alcuni per- che timorosi di opporsi alla volontä del re, da altri soltanto perche in- frangeva il monopolio capitanealedel seggiovescovile, non incontrb op- posizione al suo ingresso in Milano e fu consacrato all'inizio del settem- bre 1045. L'accordo fra 1'arcivescovoe le varie componenti della societä citta- dina milanese poggiava, perb, su fragili basi e non tardb a rompersi: il dal gesto compiuto clero ordinario di abbandonare1'arcivescovo solo sul- 1'altare della chiesacattedrale durante lo svolgimento di una liturgia pon- tificale, va considerato come 1'emergerein forme plateali di un dissenso l'ambiente dell'alta feudalitä lo profondo con - stessodal quale, come detto, giä provenivano gli ordinari -, proprio quello che mossea Gui- do, nello stesso torno di tempo, la grave accusa di simonia e la portb fin davanti al papa Leone IX. Ma la piena assoluzione ottenuta nella sinodo quaresimale romana del 1050 e il prestigio che derivb al da Vela- te dall'aver ottenuto dal papa, in quella circostanza, la restituzione al- 1'arcivescovomilanese del diritto di sedere immediatamente alla destra del pontefice romano, contro le pretese del presule ravennate, finirono col diventare fattori certo non trascurabili nel processodi appianamen- to dei vivaci contrasti sorti tra le diverse componenti del mondo eccle- siastico milanese. Dopo il 1050, infatti, si riscontra una rinnovata unitä di intenti in particolare fra 1'arcivescovoe gli ordinari della metropoli- tana. Carico di significato si presenta a questo proposito un documen- to, nel quale e descritta una assembleadel clero di Milano svoltasi il 5 settembre 1053 nella sacrestia di S. Maria Maggiore, la cattedrale iemale'. Qui compaiono, emblematicamente stretti attorno alla perso- na del loro vescovo, tutti gli ordini della Chiesa milanese, dai chierici ordinari ai decumani, agli abati dei monasteri cittadini con i loro mona-. ci al seguito, nonche un discreto numero di rappresentanti del laicato. In quell'occasione si stabili di introdurre nel calendario liturgico la so- lenne celebrazione della festa dell'esaltazione della Croce, come giä era in uso altrove. Segno tangibile, 1'assemblea,di una ritrovata unitä e, inoltre, preziosa testimonianza di nuove esigenzereligiose, della diffusa coscienza di dover corrispondere con maggior consapevolezzaagli im- pegni propri della vita cristiana: i partecipanti si accusanodi trascura- tezza, assumendoa paragone la grande cura e la diligenza con la quale la festa dell'esaltazione della Croce era dappertutto celebrata e stabili- scono che con altrettanta cura e diligenza debba esseresolennizzata a Milano. L'etä della pataria 169

del Il merito rifiorire del culto della Croce va attribuito con ogni probabilitä all'influsso del monachesimo cluniacense, giä operante nelle diocesi contermini a quella di Milano. Sempre nell'XI secolo vi sono indizi, di nel territorio milanese, un rinnovato fervore di devozione verso di Cristo, il Sepolcro che si manifesta nel piü frequente pellegrinare al luogo della sepoltura del Signore a Gerusalemme e nella dedicazione di edifici sacri al S. Sepolcro, come la chiesafondata attorno a11025 a Ter- nate, nel settore nord-occidentale della diocesi, al cui rapido successo come polo di attrazione spirituale per le popolazioni abitanti in largo raggio intorno ad essanon dovette essereestranea proprio la particolare dedicazione. Inquietudini religiose diffuse nel mondo dei laici desiderosi di non essereesclusi dalla chiamata alla santitä, sentite esigenze di una spiri- tualitä piü intensa, dove assumerilievo la figura del Cristo, e soprattut- to del Cristo crocefisso con quanto si connette alla sua passione e mor- te, come la Croce e il Sepolcro, sono solo alcuni aspetti di un'ansia reli- giosa che pervadeva l'intera cristianitä occidentale e che a Milano, tra dalle qualche sbandamento connotazioni esplicitamente ereticali - mi riferisco ai rustici del contado accorsi in cittä e facilmente conquistati dai discorsi degli di eretici Monforte -, troverä matura espressionenel fenomeno patarinico.

La predicazione del diacono Se il dall'accusa di proscioglimento simonia e il prestigioso - dei soprattutto agil occhi Milanesi - riconoscimento dei diritti della sede ambrosiana nell'annosa questione del primato d'onore con Ra- venna, ebbero la loro importanza nel rimarginare la profonda ferita inferta all'universo ecclesiastico milanese dalla scelta di Guido da Velate come arcivescovo, non meno decisiva per il prodursi di una sicura convergenza dello stesso Guido e degli ordinari verso una po- sizione comune fu una sempre piü vivace presenza nella realtä citta- dina e diocesana di persone e gruppi portatori di piü alti ideali reli- giosi e morali. I profondi intrecci di potere tra esponenti dell'alto clero e dell'alta feudalitä, del tutto naturali proprio perche si trattava di personaggi or- bitanti nella medesima galassiasociale; i risvolti economici di tali con- nessioni, sfocianti nello spregiudicato sfruttamento del patrimonio ec- clesiastico attraverso contratti di livello e di permuta sotto cui si mime- tizzavano vere e proprie alienazioni dei beni di chiese e monasteri, si ripercuotevano e si riproponevano anche nelle sfere piü bassedel clero, minando alla radice la credibilitä di una gerarchia ecclesiastica,la quale 170 ALFREDO LUCIONI pareva ormai del tutto inadeguata a proclamare agli uomini Cristo ei valori cristiani. Tra le tante, una nota pagina di un autore dell'XI secolo, Andrea da da le Strumi, dipinge con realismo - sia pure temperare per esa- la gerazioni polemiche a cui certo il testo non era estraneo - situa- zione dei chierici milanesi: «In quel tempo il ceto degli ecclesiastici era stato sviato in una tale quantitä di errori, che in esso non vi era quasi nessunoche fosse giustamente nel posto che occupava. [... ] Quasi tutti i preti conducevano una vita vergognosa con pubbliche mogli o con sgualdrine. Ognuno cercava il proprio interesse, non quello di Cristo. [... ] Tutti quanti erano talmente invischiati nell'eresia simo- niaca, che non si poteva ottenere nessun incarico o grado, dal piü pic- colo fino al piü grande, se non comprandolo»z. Tra la fine del 1056 e 1'inizio del 1057 un diacono del clero decumano, Arialdo, nato a Cucciago da una famiglia di liberi proprietari di campagna3, comin- cib a predicare nella pieve di Varese richiamando il clero alla neces- sitä di riconoscere i propri errori e di emendarsi. Ad una probabile favorevole accoglienza presso i laici, soprattutto piccoli e medi pro- prietari di campagnae contadini, piuttosto sensibili alla polemica con- tro il clero potente e benestante ed ai richiami agli ideali evangelici di povertä e di castitä, corrispose nei chierici una netta chiusura, tale da indurre Arialdo ad abbandonare il contado per portare la sua predi- cazione dentro Milano nella primavera del 1057. Fin dall'inizio, il nucleo essenzialedel suo pensiero appare consistere nella proclamata necessitä di una rigida coerenza fra la dottrina professata e la vita vis- suta. Da qui, nel primo discorso al popolo milanese, tutto centrato sul tema della luce, ovvero sul compito che hanno i sacerdoti di illumina- re i fedeli mediante la luce del loro esempio, trae la conclusione che per i suoi costumi corrotti il clero non pub piü considerarsi il tramite della parola divina. E per ribadire 1'incapacitä di adempiere al peculiare com- pito loro affidato nell'economia della salvezza, a cui, secondo Arialdo, dovrebbe corrispondere uno specifico stato di vita, mette sotto accusa la scandalosatotale conformitä della vita dei ministri del culto a quella dei laici, al punto che in nulla si distinguono gli uni dagli altri, giacche come i laici anche i sacerdoti si sposanoo convivono con donne. L'effi- cacia dell'argomentazione era grande in quanto fondata sull'immediata verificabilitä dell'assunto: a Milano, infatti, come dappertutto del re- sto, il matrimonio e il concubinato del clero costituivano una pratica diffusa, e attorno alla necessitä di proibire ai chierici le nozze e le con- vivenze irregolari Arialdo trovb subito largo e immediato consensonei piü svariati ambienti sociali: tra i primi ad aderire a lui, oltre ad una ragguardevole massadi popolo, furono Landolfo, chierico ordinario di L'etä della pataria 171

famiglia capitaneale, e Nazario, un monetiere detentore di un conside- revole potere economico. L'azione dei dato patarini4 - questo era i1 nome ai seguacidi Arial- do dunque - si rivolse dapprincipio contro i chierici ammogliati e con- cubinari, e il 10 maggio 1057, solennitä della traslazione del corpo di san Nazaro, durante lo svolgimento di una processionescoppiarono vio- lenti tumulti in cittä, culminati nella cacciata dei sacerdoti impegnati nel coro della cattedrale nella recita dell'ufficio divino, perche ritenuti indegni. Non solo quindi 1'astensionedai riti veniva praticata dagli uo- mini della pataria, come prevederanno le norme emanate qualche anno dopo, nel 1059, da papa Niccolb II nel caso di manifesto concubinato dell'officiante, ma una vera e propria opera di coercizione nell'intento di obbligare gli esponenti del clero a scegliere tra un cambiamento di vita o 1'abbandono dell'officio e dei benefici economici ad essoconnes- si. In questo contesto va collocato 1'editto sul dovere di osservarela ca- stitä, a sottoscrivere e ad osservare il quale i capi patarinici Arialdo e Landolfo costrinsero tutto il clero diocesano, sotto la minaccia di gravi sanzioni. L'arcivescovo sulle prime dovette sottovalutare l'agitazione patari- nica, per cui in seguito, stante il continuo deteriorarsi della situazione, gli ordinari, durante un periodo di lontananza di Guido da Velate da Milano, decisero di appellarsi inizialmente ai vescovi suffraganei, quin- di al pontefice Stefano IX, dal quale 1'arcivescovo di Milano ricevette 1'esortazione a convocare una sinodo provinciale al fine di comporre i dissidi insorti nella diocesis. Solo allora il gruppo dirigente patarino pre- se l'iniziativa di inviare a Roma Arialdo, dopo che Landolfo, inizialmente prescelto per la missione presso il papa, fu costretto ad interrompere il suo viaggio per un agguato del quale fu vittima presso Piacenza. Il colloquio con Stefano IX servi a chiarire la posizione di Arialdo e dei suoi seguaci, ma non pote sortire 1'esito sperato di una incondizio- nata adesionedel pontefice alla linea della pataria. Si pub a ragione rite- nere che di fronte ad Arialdo, il quale esponevai motivi della sua azio- ne in favore della castitä e contro il matrimonio e il concubinato del clero, Stefano IX ei suoi collaboratori, pur condividendo 1'ansiavivis- sima di rinnovamento dalla quale era animato il diacono milanese, riba- dissero la normativa tradizionale, recepita anche nelle collezioni cano- niche, portata a distinguere le convivenze irregolari, indicate con il ter- mine «concubinato» e proibite, da quelle legittimate dal vincolo matri- moniale e permesse,sia pure a condizione che il vincolo fosse stato con- tratto prima dell'ordinazione e che si praticassela continenza. Dal papa e dagli ambienti romani i patarini dovettero invece esseredirettamente o indirettamente sollecitati a intraprendere una decisa battaglia contro 172 ALFREDO LUCIONI il dilagare della pratica simoniaca nel conferimento degli offici ecclesia- stici, sulla quale giä da qualche tempo si appuntavano gli strali dei pon- tefici romani e dei concili da loro-convocati. La simonia era considerata eresia in quanto chi riceveva simoniacamente 1'ordine sacro o qualsivo- glia altro sacramentoera come se pretendessedi ricevere lo Spirito San- to per danaro o in cambio di favori: professava cioe una dottrina con- traria alla retta fede nella terza persona della Santissima Trinitä. Al ritorno da Roma allora Arialdo, di fronte ad una grande folla rac- coltasi ad ascoltarlo, proclamb 1'improrogabilitä della lotta contro i si- moniaci, richiamando alla mente degli uditori, a giustificazione delle sue parole, la severitä con la quale Pietro aveva condannato Simon Mago da - cui appunto il vocabolo simonia -. Esplicitamente Arialdo affer- mb, provocando un momentaneo sconcerto tra gli astanti adusi a sentir condannare chierici ammogliati e concubinari, che da quel momento in poi che gli eretici, ovvero i simoniaci, avesseroo no moglie non avrebbe avuto molta importanza; cib che veramente contava era il fatto che si trattasse di eretici e per questo andavano combattuti. Il manifesto mu- tamento di obiettivo non annullb del resto 1'avversione, anche violenta, al clero ammogliato, ne 1'incisivitä dell'azione patarinica nel tessuto so- ciale ed ecclesiasticodi Milano; si pub anzi parlare di una recrudescenza dei toni dello scontro sia da parte patarinica, sia nel campo avverso fino a giungere alla scomunica inflitta ad Arialdo ea Landolfo, contumaci, dalla sinodo convocata a Fontaneto in diocesi di Novara in ottemperan- za all'ordine di Stefano IX e presieduta da Guido da Velate alla presen- za dei suffraganei della provincia metropolitica milanese, a cui segul un secondotentativo di uccisione di Landolfo che, pur non risultando fata- le, lascib il chierico gravemente ferito, si da condurlo a morte di 11a pochi anni. Del propagarsi dell'agitazione nelle campagnedel contado milanese rendono testimonianza vari passi delle cronache contemporanee, i quali attestano sia casi di violenta avversione al messaggioarialdino, culmi- nati nella profanazione di una chiesa edificata da Arialdo in un suo po- dere Cucciago, a sia episodi di adesione alle"proposte di emendazione di e correzione, come avvenne per due chierici di Monza fattisi procla- delle dottrine di matori riforma. Per tale motivo essi furono catturati di per ordine Guido da Velate e gettati in prigione e poterono uscirne solo grazie alla mobilitazione militare delle schiere patariniche alla cui testa si pose Arialdo stesso innalzando la croce come vessillo. L'impegno antisimoniaco in particolare sconvolgevaradicate consue- tudini ed equilibri ormai consolidati nell'organismo ecclesiastico mila- nese, dove per accedereai vari gradi della carriera ecclesiasticaera stato stabilito un articolato tariffario. L'etä delta pataria 173

Lo stesso mondo monastico, caratterizzato a Milano da uno stretto legame con la cattedra arcivescovile, non era immune da degenerazioni, conseguenti sostanzialmente al dilagarvi di costumi simoniaci. Arialdo intervenne in occasione della elezione degli abati di S. Celso e di S. Vin- cenzo, palesemente viziate da negoziazioni di tipo simoniaco, ottenen- do 1'allontanamento degli individui innalzati alla suprema carica mona- stica; non vi riuscl, invece, nel caso di Ariprando, un chierico di fami- glia eminente, elevato alla dignitä abbaziale nel cenobio di S. Ambrogio violando le norme canoniche, in quanto non aveva mai indossato prima di allora 1'abito monacale. Ei monaci che, anelanti ad una esperienza religiosa piü seria, fuggivano dai monasteri retti da superiori indegni, erano accolti da Arialdo nella canonica, da lui edificata accanto alla chiesa di S. Maria appena fuori porta Nuova probabilmente al ritorno dal pri- mo viaggio a Roma in concomitanza con il dispiegarsi dell'impegno an- tisimoniaco. L'istituzione arialdina costitul uno dei primi esempi di vi- ta canonica regolare; in essa Arialdo ei chierici suoi seguaci praticavano un'intensa attivitä liturgica, divenendo presto un sicuro punto di riferi- mento per quanti volevano evitare contatti con il clero ritenuto corrot- to e richiedevano con insistenza la presenza di ministri del culto piü puri.

Gli avversari della pataria Quantunque 1'opera di riforma morale e disciplinare di Arialdo ri- spondesse ad esigenze allora attualissime e molto sentite e avesse trova- to pertanto larga rispondenza, nondimeno numerosa e agguerrita fu 1'op- posizione. Si e detto che la vivace presenza nell'ambito diocesano di per- sone animate dal desiderio di un rapporto piü vero e profondo con il divino e pertanto anelanti ad una purificazione dei costumi del clero aveva contribuito per converso al costituirsi di un fronte comune tra 1'arcive- scovo e gli ordinari. Per Guido da Velate fu quasi giocoforza trovarsi nel partito avverso alla pataria, in quanto era il vertice di quella struttu- ra ecclesiastica che il movimento patarinico oggettivamente tendeva a scardinare, e con lui erano il clero maggiore e gli esponenti dell'alta ari- stocrazia feudale. Le due fazioni non possono perb essere caratterizzate in senso classista: se i doveri della fedeltä feudale, 1'appartenenza agli stessi ceppi parentali da cui era tratto il clero maggiore e gli interessi legati allo sfruttamento dei beni ecclesiastici rendevano piü naturale 1'a- desione della nobiltä di rango capitaneale al fronte antipatarinico e, sul- 1'altro versante, sebbene le parole di Arialdo trovassero piü favorevole ascolto negli strati inferiori della popolazione, secondo il concorde giu- dizio delle fonti entrambi gli schieramenti avevano una variegata com- posizione sociale, cosicche anche tra i seguaci di Arialdo non manca- 174 ALFREDO LUCIONI vano capitanei, milites, uomini dediti ad attivitä mercantili. I motivi del- 1'adesioneo della cosciente opposizione alla pataria correvano, dunque, su altri binari. Tra gli avversari erano vive preoccupazioni che non af- fondavano le radici - non sempre almeno - nella pervicace volontä di difendere 1'immoralitä del clero e la compravendita degli offici e dei benefici ecclesiastici,ma in una visione ecclesiologicadiversa, quella nella quale si era specchiata fino ad allora e sulla quale si era modellata la co- struzione della Chiesa nell'Europa occidentale dall'etä carolingia in poi. L'avversione di costoro era-cagionata dal veder crollare una struttura organizzativa edificata su valori che in tutta franchezza reputavano im- mutabili. Innanzitutto 1'azione dei patarini pareva eversiva della gerar- chia poiche, tra 1'altro, non rispettava 1'obbligo imposto agli inferiori di non muovere accusaal superiore, e sembrava misconoscerela pecu- liaritä della funzione sacerdotale quale si configurava nella tradizionale visione ecclesiologica.Arialdo ei patarini, infatti, proclamando 1'ineffi- cacia dei sacramenti amministrati da preti indegni si ponevano su un piano in cui la validitä del Sacramentoveniva a dipendere dai meriti del sacerdote, una tendenza cara al cardinale Umberto di Silva Candida e ai monaci vallombrosani di Giovanni Gualberto, alla quale era facile op- porre la tesi, di derivazione agostiniana, circa la piena indipendenza del valore del sacramento da quello dell'amministrante. I problemi ingene- rati dalla traduzione di tale dottrina sul piano pratico, oltre ad essere sottolineati con insistenza negli scritti degli avversari della pataria, ri- sultavano evidenti agli stessi fedeli patarini, preoccupati per 1'interrom- persi del libero fluire della grazia sacramentalesui cristiani di Milano, data 1'impossibilitä di reperire sacerdoti immuni da colpe. Ad alimenta- re il timore che certi comportamenti conducesseroal disprezzodella classe sacerdotale contribuivano poi gli atti di violenza perpetrati a danno di chierici presunti simoniaci e concubinari - talvolta persone senza col- pe specifiche, ingiustamente accusateda gruppi di facinorosi infiltratisi le la tra schiere patariniche -, e soprattutto prassi giudiziaria, contra- ria al diritto canonico ma invalsain quei tempestosi frangenti, in virtu della quale i laici patarini celebravano-giudizi ed emettevano condanne di allontanamento dalle chiese nei confronti dei chierici, spessonon in seguito a regolare processo e talora sulla scorta del solo sospetto di si- monia o concubinato. La condotta dei patarini, pur comprensibile per la condizione di in- sufficiente approfondimento della dottrina sacramentale,sulla quale pro- prio le diatribe dell'XI secolo opereranno da stimolo a una piu adeguata riflessione, e per 1'essersitrovati ad agire in una situazione ritenuta di assoluta emergenza, era senza dubbio gravida di pericolose conseguen- ze. Soprattutto nella eterogenea massadei fedeli si prestava a divenire L'eta delta pataria 175 fonte di confusioni e deviazioni, sebbene non si possa dubitare che in Arialdo e nei suoi piü stretti collaboratori essamuovesse dal riconosci- mento, e non giä dal disprezzo dell'assoluta preminenza della funzione sacerdotale, senza indulgenze a forme di anticlericalismo serpeggianti E in contemporanei movimenti ereticali. infatti la coscienza del ruolo insostituibile del sacerdote in rapporto alla salvezzadei fedeli, in quan- to tramite tra 1'uomo e Dio e dispensatore della grazia divina, a motiva- re i patarini nella richiesta di un clero santo, non corrotto, moralmente ineccepibile; e tale altissima concezione si traduce appunto in «concre- ta venerazione e rispetto personale solo nei confronti delle persone che se ne dimostrano degne»6, di quei sacerdoti cioe che modellano la loro vita sull'esempio e 1'insegnamentodi Cristo, e vivono alla sua sequela. In molti poi destava perplessitä e generava ostilitä 1'oggetto stesso della polemica antinicolaitica7, ossia la liceitä o meno del matrimonio per sacerdoti, diaconi e suddiaconi. Se verso le convivenze di tipo con- cubinario la legislazione ecclesiastica e la prassi pastorale avevano sem- pre mantenuto una inequivocabile linea di ferma condanna, nel caso del matrimonio le parole del magistero ei decreti dei concili, poi confluiti nelle collezioni canoniche, pur nel richiamo alla continenza, lasciavano spazio ad una interpretazione positiva intorno all'ammissibilitä del vin- colo contratto una sola volta e precedentemente all'ordinazione; diver- samente, dunque, dal netto rifiuto opposto dai patarini a qualsiasi unio- ne coniugale. Non solo, ma fino alla sinodo romana del 1059 presieduta da Niccolö II, venne ripetutamente condannato il boicottaggio delle messe celebrate da concubinari, cioe il cosiddetto sciopero liturgico ampiamente praticato dai patarini, ed anche dopo il 1059 la condanna rimase ope- rante nel caso di offici divini celebrati da sacerdoti regolarmente sposa- ti. A Milano poi la situazione era complicata dal rimando all'esempio dei chierici ammogliati della Chiesa greca, con la quale quella milanese vantava antichi rapporti, e soprattutto dal richiamo ad una presunta spe- ciale concessione di sant'Ambrogio agli ecclesiastici milanesi, fondata sull'interpretazione forzata di alcuni suoi passi. Il ricorso ad Ambrogio piü che come tentativo di dare spessoredot- trinale a una interpretazione dei canon piuttosto diffusa e da molti ac- cettata senza troppe difficoltä, si configurava piuttosto come un aspet- to della tendenza a fare del grande vescovo del IV secolo il fondatore e il padre di tutte le istituzioni ecclesiastiche e di tutte le particolaritä liturgiche milanesi. Il secolo XI, soprattutto la secondameta, e il perio- do della massima esaltazione della Chiesa ambrosiana, e per lo stretto connubio tra civile ed ecclesiastico,peculiare all'etä medioevale, nel no- me di Ambrogio si appaga una coscienza cittadina nutrita da un glorio- so passato, quello di una cittä giä capitale dell'Impero, «seconda Ro- 176 ALFREDO LUCIONI ma», e da un altrettanto stimolante presente percorso dai fremiti di un rapido sviluppo sociale ed economico. La Chiesa ambrosiana con i suoi la honores privilegi e sua tradizione - gli et consuetudinesripetutamen- di te citati nelle fonti - viene a riassumere in se una posizione rivendi- cata autonomia cittadina, e la messain discussionedi particolaritä litur- giche o di prerogative della sede episcopalemilanese e immediatamente avvertita nella coscienzapopolare come intenzionalmente indirizzata a minare la libertä stessa di Milano, la sua grandezza, la sua potenza. Un'altra porzione dei nemici della pataria era costituita proprio da chi in nome dello spirito ambrosiano non perdonava ad Arialdo ed ai suoi il frequente ricorrere a Roma e il conseguenteintervento della Chiesa romana nelle questioni ecclesiastichemilanesi, perche cib sminuiva il pre- stigio della Chiesa ambrosiana, tanto piü che la rigorosa condotta rifor- matrice del diacono decumano lo aveva indotto ad imporre la revisione di alcune usanzemilanesi, quali la celebrazione della veglia pasquale nel primo pomeriggio del sabato santo, la benedizione delle nozze nel tem- po d'avvento, nonche la pratica del digiuno nei giorni delle rogazioni, in quanto venivano a cadere tra Pasqua e Pentecoste, quando doveva esserbandita ogni forma di mestizia. E non fu difficile in quest'ultimo caso,facendo ricorso al tema dell'attacco portato alla integritä delle con- suetudini ambrosiane, sollevare contro Arialdo tutto il popolo, anche chi in precedenzasi era pur dimostrato sensibile alle tematiche patarini- che, sino a condurlo al saccheggiodella canonica dei patarini fuori porta Nuova.

I pontefici e la Chiesa romana di fronte alla situazione milanese Allo zelo patarinico contro gli abusi ei disordini disciplinari e mora- li, al dominante impegno contro la simonia e il nicolaismo, si contrap- poneva dunque il timore di molti ad avallare pratiche potenzialmente sovvertitrici delle strutture portanti della Chiesa gerarchica, preoccu- pazioni sgorganti da altrettanto legittime, seppur diverse, esigenze reli- giose e concezioni ecclesiologiche. Preoccupazioni del genere erano ben presenti negli uomini della Chiesa romana, al vertice della quale, grazie all'intervento dell'impe- ratore Enrico III, si succedevano in quel tempo pontefici sottratti all'influenza dell'aristocrazia cittadina moralmente ineccepibili, atten- ti alle esigenze di rinnovamento affioranti in varie parti della cristia- nitä ed essi stessi desiderosi di una riforma nell'organismo ecclesia- stico. Di fronte all'erompere del movimento patarinico l'atteggiamento di questi pontefici fu sl benevolo, ma ispirato ad una cauta prudenza, nell'attesa di vedere come 1'azione dei seguaci di Arialdo si confor- L'etä della pataria 177 masse alle norme che regolavano la vita della Chiesa. Innanzitutto va notato che la prima richiesta di un giudizio della sedeapostolica sugli eventi milanesi provenne proprio dall'ambiente ostile detto alla pataria, quando - come giä -, non molto dopo la elezione di Stefano IX (2 agosto 1057), una delegazionedel clero ordinario mila- nese si rivolse al nuovo pontefice lamentando le persecuzioni patite ad dei opera patarini. Stefano IX, trattandosi di una situazione interna al- la diocesi ambrosiana, invitö 1'arcivescovo Guido a risolvere i conflitti la secondo procedura consueta in casi analoghi: convocando una sinodo della provincia metropolitica milanese. Solo in seguito a questa missio- ne degli ordinari i patarini si decisero a inviare qualcuno a Roma, per portare a conoscenzadel papa la loro versione sui fatti che li avevano visti protagonisti a Milano. Nonostante che le fonti patariniche parlino di una approvazione pontificia alla battaglia intrapresa contro i nicolai- ti e di un incitamento a continuarla, vi e motivo per credere che la posi- di zione Stefano IX fosse molto piü sfumata, anche perche nella stessa curia si levarono voci a difesa di quella tradizione che non negavaa priori la liceitä del matrimonio del clero. Anzi, sulla base delle parole del bio- grafo di Arialdo, il quale scrive che il pontefice indicb ai patarini da quali sacerdotid'ora in avanti dovesseroricevere i sacramenti,e stato con buona ragione supposto che il papa avesseribadito la distinzione fondata sui canoni tra sacerdoti sposati, ai quali non si doveva impedire 1'ammini- strazione dei sacramenti, e chierici concubinari e fornicatori, da con- dannare con ogni rigore. Non ci fu quindi un'entusiastica adesione alle tesi patariniche, sostenenti la sostanziale assimilazione del matrimonio al concubinato, ma certo un'attenzione ai fenomeni che sconvolgevano la i ben lo vita ecclesiasticae socialemilanese, quali non erano - si com- prendeva - se non 1'emergeredi un profondo anelito a un rinnovamento. Allo scopo di documentarsi sulla realtä milanese prima di emettere un fondato giudizio, a lui richiesto da entrambe le parti in conflitto, Stefano IX incaricb due suoi legati di fermarsi a Milano durante un viaggio che li avrebbedovuti portare in Germania alla corte imperiale, forse anche con il compito di presiedere la sinodo provinciale che egli aveva ordina- to di convocare, ma che al momento non pote aver luogo perche quando i legati, dopo la meta dell'ottobre 1057, giunsero nella metropoli lom- barda 1'arcivescovoera oltralpe presso Enrico IV. I due legati erano Il- debrando, futuro papa con il nome di Gregorio VII, e Anselmo vescovo di Lucca, buon della conoscitore situazione milanese - perche milane- della famiglia dei da Baggio se egli stesso, -, e in particolare informato sull'arcivescovo Guido, che lo aveva consacrato sacerdote e probabil- mente aveva avuto parte nella sua destinazione alla sede lucchese. Il ri- sultato della missione fu un primo approccio ai problemi sollevati dalla 178 ALFREDO LUCIONI predicazione di Arialdo e una raccolta di informazioni, che non potero- no neppure essere trasmesse al papa per la repentina morte di questi, il 29 marzo 1058. Dopo la partecipazionedi Guido da Velate al concilio tenuto dal nuo- vo pontefice Niccolö II nell'aprile del 1059, dove si stabill con un de- creto sull'elezione del papa di riservare ai cardinali vescovi la scelta del candidato, per sottrarla all'influenza delle famiglie dell'aristocrazia ro- mana, un'altra legazione, forse sollecitata dagli stessi patarini, raggiun- se Milano nell'inverno 1059/1060, composta ancora da Anselmo da Bag- gio, che adessoaffiancava Pier Damiani cardinale vescovo di Ostia. In sostanzai legati, intenzionati a por fine agli abusi seguiti al rilassamen- to della disciplina e dei costumi, esaminato tutto il clero e trovatolo im- miserito nelle spire delle pratiche simoniache e nicolaitiche, chiesero e ottennero da Guido da Velate un pubblico documento di condanna del- la simonia e del nicolaismo, sottoscritto poi dagli ordinari, e la promes- sa solennementegiurata davanti ai legati ea tutti i Milanesi di rinuncia- re a procedure illecite e sconvenienti nelle ordinazioni dei chierici; una promessa di emendazione venne quindi sollecitata a tutti gli apparte- nenti all'ordine chiericale, a cui segul la prescrizione di una adeguata penitenza e una cerimonia riconciliatoria per chi volontariamente o in- volontariamente si era macchiato di simonia, poi la riammissione nel- 1'officio inerente al proprio ordine solo per «quelli che sembravanoistruiti, casti ed onesti e mostravano serietä di costumi»8; infine tutto il popo- lo presto giuramento contro la simonia e il nicolaismo. Con un procede- re siffatto, fermo nei principi e discreto nella loro applicazione, Pier Da- miani e Anselmo ritenevano di aver posto le basi per una pacifica solu- zione del caso milanese. In effetti i patarini sentirono ribadite tesi a lo- ro care: in primo luogo, a parte la condanna senzaappello della simonia, 1'identificazione tra matrimonio del clero e concubinato, scaturente in Pier Damiani dalla constatazione che solo la pratica generalizzata del celibato avrebbe potuto eliminare le inosservanze alla legge della conti- nenza e offrire ai fedeli ministri irreprensibili per purezza di costumi. Ma diverso era il quadro di riferimento entro cui dichiaratamente si muo- vevano i legati romani: essi facevano affidamento sul vertice della ge- rarchia locale, sebbenecorrotta, per ricondurre alla retta fede e alla di- sciplina sanzionata nella legislazione ecclesiasticatutto l'organismo del- la Chiesa milanesee dettero credito a Guido, alla sinceritä della sua con- versione e alle sue promesse di un radicale mutamento nelle modalitä di conduzione della Chiesa a lui affidata. Credettero alla buona fede di Guido, che si dichiarava estraneo ai fatti, anche quando la folla milane- se fu scatenata contro di loro, appena giunti in cittä, sfruttando il pre- testo dell'affronto portato all'onore e alle prerogative della Chiesa L'etä della pataria 179

Si ambrosiana. univa il timore che gli inviati del papa volessero sminuirne 1'autonomia e sottometterla a Roma; e per calmare il popolo tumultuan- la te ci volle tutta consumata abilitä di Pier Damiani nell'intessere un discorso in il cui primato romano veniva proposto nei termini di un rap- di filiazione della Chiesa di porto Ambrogio da quella di Pietro. Si ag- la diversa giunga che valutazione in fatto di validitä dei sacramenti am- da ministrati simoniaci e concubinari alimentava incomprensioni e dif- fidenze, le perche procedure adottate dal vescovo di Ostia ricalcavano le sue teorie sulla positivitä del valore del Sacramento a prescindere dal- la dignitä di chi lo impartiva, ben lungi quindi dal rigido intransigenti- smo patarinico. Vi era, insomma, nella legazione del 1059/1060 quanto bastava per lasciare insoddisfatti i patarini e per indurre Arialdo a prendere la via di Roma fine di al esporre direttamente al pontefice le sue lagnanze e portare davanti alla sinodo convocata per 1'aprile 1060 le accuse della pataria contro Guido da Velate. Questi, per parte sua, difeso dai suffra- ganei presenti e fatto sedere dal pontefice alla sua destra, come richie- deva la sua dignitä, riportö un prestigioso successo su chi lo aveva de- nunciato, probabilmente grazie anche ai positivi giudizi su di lui diffusi da Pier Damiani. La linea di condotta tenuta dalla sede apostolica in questa prima fa- se delle agitazioni patariniche appare ispirata a garantire la difesa del- 1'ordine costituito contro tentazioni oggettivamente rivoluzionarie, al di lä delle oneste intenzioni di chi le proponeva. L'obiettivo costante dell'azione dei pontefici e dei loro legati si riassume nella salvaguardia dei capisaldi della tradizione e della normativa che regolavano la vita della Chiesa. Il rispetto del potere e delle giurisdizioni episcopali, oltre che delle procedure canoniche e della peculiaritä della funzione sacer- dotale, erano d'altronde le medesime preoccupazioni costituenti 1'asse portante delle argomentazioni degli avversari dei patarini, quelli anima- ti da un sincero spirito religioso.

Gli stessi principi ecclesiologici informarono 1'azione dei cardinali Giovanni Minuto e Mainardo di Silva Candida, operanti a Milano nel- 1'estate del 1067. Essi il 1° agosto emanarono, al termine della legazio- ne, alcuni decreti raccolti in un documento nel quale vollero ribadire la validitä delle decisioni assunte nella precedente missione di Pier Damiani9. Si trattava in sostanza di una riaffermazione della condan- na dei simoniaci e nicolaiti e della restituzione alla gerarchia ecclesiasti- ca locale del naturale ruolo di promotrice e guida della riforma morale e disciplinare del clero, attraverso la proibizione ai laici di giudicare gli ecclesiastici; 1'obbligo di esperire la via gerarchica in ogni procedi- 180 ALFREDO LUCIONI mento accusatorio, fino alla suprema istanza arcivescovile oa quella co- stituita dai vescovi comprovinciali, nel rispetto della procedura canoni- ca; 1'esplicito divieto di ogni autonoma iniziativa dei patarini, ricono- sciuti causa in passato di eccessi di violenza e di innumeri sofferenze al clero. Riproporre a distanza di anni identiche linee operative dice di una immutata fedeltä a una concezione ecclesiologica ritenuta non modifi- cabile, ma nel frattempo era assai mutato il quadro generale entro il quale disposizioni dovevano queste calarsi. I tentativi della Chiesa romana di di condurre i conati riforma entro un alveo istituzionale, le cui coordi- dovevano nate essere rigorosamente fissate dall'ordinamento canonico che si andava elaborando sotto la guida dei successori di Pietro, si scon- le trarono con resistenze insormontabili di chi temeva un sovvertimen- to degli equilibri esistenti. Giä se ne era avuto sentore a Milano duran- la legazione damianea te del 1059/1060, con la strumentale sobillazione del popolo contro l'intervento coordinatore e pacificatore di Roma. Fu lasciare allora inevitabile piü spazio all'azione dei laici e ai movimenti formidabili popolari, usandoli come strumenti di pressione per far pro- di cedere il programma rinnovamento. E il reale pericolo che tali forze abbandonate a se stesse potessero trasformarsi in meteore impazzite nel- 1'universo della Chiesa, forti inclinazioni magari con ereticali - preoc- cupazione ben presente in uomini come Pier Damiani, pur favorevoli dei laici fu all'azione -, superata collegandole alla sede romana, ripro- ponendo cioe il primato romano come supremo regolatore della vita della Chiesa; un primato che, sebbene mai misconosciuto in questioni di ma- gistero, solo in questo scorcio dell'XI secolo riscopre un suo ruolo posi- di tivo come garante un rinnovamento dell'ordinamento ecclesiastico an- corato a una salda struttura legislativa. Tali motivi si ritrovano operand durante il pontificato di Alessan- dro II, il milanese Anselmo da Baggio vescovo di Lucca, elevato al so- glio pontificio i130 settembre 1061 tra le forti obiezioni della corte te- desca, non richiesta di un preventivo benestare all'elezione. Mentre da lato, la legazione un con a Milano del 1067 e con altre prese di posizio- dei ne contro gli interventi laici nei riguardi dei sacerdoti, quando man- della casse un giudizio competente autoritä ecclesiastica sulla loro inde- Alessandro gnitä, II non si discosta dalla linea di intervento nella situa- dai zione milanese tracciata suoi predecessori, imprime d'altro canto una svolta alla politica papale con iniziative dirette a valorizzare 1'attivitä dei patarini ponendola sotto la guida di Roma. Tale il senso dell'appro- vazione all'allontamento degli abati simoniaci di S. Celso e di S. Vitto- re promosso da Arialdo e della reintegrazione di alcuni sacerdoti depo- sti da Guido da Velate: erano 1'applicazione di quel diritto/dovere di L'eth delta pataria 181

Roma d'intervenire nelle questioni interne alle singole Chiese locali per le dovute operare correzioni, the tra I'altro fu riaffermato con decisio- disposizioni ne nelle emanate dai legati pontifici a Milano net 1067. Ta- le il senso anche della concessione del vessillo di S. Pietro nel 1063 o 1064 a Erlembaldo, mediante la quale il laico di famiglia capitaneale, capo delle schiere patariniche, in virtu di un legame di tipo feudale ve- niva a dipendere direttamente dal pontefice net compito di coercizione, anche armata, degli elementi ostili alla riforma.

Dal martirio di Arialdo all'uccisione di Erlembaldo Erlembaldo, fratello del chierico patarino Landolfo, di ritorno da un pellegrinaggio a Gerusalemme era stato dissuaso da Arialdo dal ve- stire 1'abito dei monaci per mettere ogni sua energia al servizio della causa della riforma della Chiesa, e Alessandro II alla decisione presa aveva dato il conforto della sua approvazione. La presenza di un individuo ca- pace di stringere a se con giuramenti dal carattere quasi feudale molti uomini, soprattutto giovani, e la legittimazione dell'azione patarinica venuta dalla sede apostolica con la consegna del vexillum sancti Peh7, accrebbero il numero e la forza dei patarini, quindi 1'incisivitä nella si- tuazione cittadina e svilupparono una maggiore capacitä di pressione sul clero. Si assistette di conseguenza a un irrigidimento nella fazione av- versa, guidata da un gruppo di vassalli vescovili capeggiati da Guido da Landriano: e fu lo scontro frontale. A questo periodo vanno ascritti le giä citate contestazioni patariniche riguardo alle elezioni simoniache di alcuni abati, i tumulti provocati dall'intervento di Arialdo contro il di- giuno durante i giorni delle rogazioni, la spedizione per liberare due chie- rici fatti prigionieri a causa della loro adesione alle tesi arialdine, e le accuse a Guido di continuare a promuovere la simonia e di non rispetta- re gli impegni solennemente giurati appena qualche anno prima davanti a Pier Damiani, per il qual motivo Alessandro II si risolse a consegnare a Erlembaldo, durante uno dei suoi viaggi a Roma, una bolla di scomu- nica nei confronti dell'arcivescovo. Il 4 giugno 1066, domenica di Pentecoste, in risposta alla scomuni- ca Guido fece radunare i Milanesi nella chiesa cattedrale per sfruttare ancora una volta a suo vantaggio la carta dello spirito ambrosiano: l'ac- cusa rivolta ad Arialdo ea Erlembaldo di voler sottomettere Milano a Roma bastb infatti perche molti, anche tra quanti avevano in qualche modo aderito alla pataria, sconfessasseroi loro capi abbandonandoli al- la prevedibile vendetta degli avversari. Mentre Arialdo aggredito e vio- lentemente percossoesortava i suoi al perdono, Guido da Velate per sfrut- tare il momento favorevole lancib 1'interdetto sulla cittä finche lo stes- 182 ALFREDO LUCIONI so Arialdo vi si fosse trattenuto, costringendo cosi il diacono ad abban- donare Milano ea rifugiarsi infine nel castello di Legnano pervenuto in potere di Erlembaldo. Uscito dal sicuro rifugio nel vano intento di sottrarsi alle ricerche di Guido da Velate, venne tradito da un sacerdote a cui si era affidato e fu consegnatoagli uomini dell'arcivescovo, i quali lo condussero in una delle fortezze sul lago Maggiore di proprietä del- 1'episcopio milanese, ad Angera, e in qualche altro luogo del lago non lontano da Pi lo trucidarono il 28 giugno 1066. Il rinvenimento del corpo di Arialdo nel maggio dell'anno seguente, accompagnatoda segni prodigiosi, pose fine alla lunga fase di crisi del movimento patarinico privato del suo capo carismatico. Lo si avverte nella ritrovata capacitä di aggregazionemostrata in occasionedella spe- dizione militare organizzataper recuperarei resti di Arialdo (questi erano stati occultati entro la rocca arcivescovile di Arona per impedire che ca- desseroin mano ai patarini), e nella massicciapresenza dei Milanesi at- torno alla salma esposta nella chiesa di S. Ambrogio dal 17 a127 mag- gio, giorno della tumulazione in un sepolcro nei pressi del monastero di S. Celso. Mentre si andava consolidando la fama di santitä del martire patari- nico, grazie al diffondersi delle notizie sulla sua morte e alle guarigioni miracolose che si operavano sul suo sepolcro, la suaccennata legazione romana inviata a Milano nel luglio 1067, certo in seguito agli ultimi vio- lenti sviluppi della situazione, ripropose i principi ecclesiologici fonda- ispirare di innanzitutto mentali a cui ogni azione rinnovamento: - co- e il diocesana me si visto - riferimento obbligato alla gerarchia e pro- vinciale, incaricata di vigilare sulla rispettosa applicazione dei canoni at- traverso una capillare presa di contatto con le situazioni locali, che si concretizzava tra l'altro nell'obbligo imposto al vescovo di recarsi in vi- sita pastorale presso tutte le pievi e le cappelle della diocesi. Ma 1'incer- tezza teologica in materia di validitä delle ordinazioni simoniache lasciava aperto uno spazio ai patarini, in quanto rendeva giustificabile ai loro occhi piü di un dubbio sul carattere eretico di quella autoritä gerarchica alla cui competenza le disposizioni emanate il 11 agosto 1067 affidava- no gli interventi riformatori sulla vita morale e sulla disciplina canonica del clero. In altri termini di fronte al riconoscimento della funzione di controllo sull'azione dei laici ottenuto ancora una volta dall'autoritä ec- clesiastica diocesana, la via perseguita dal gruppo dirigente patarinico, in mezzo al quale emergeva ormai con una funzione di guida Erlembal- do, puntö alla sostituzione di Guido da Velate con un altro presule che fosse alieno da sospetti di connivenza con simoniaci e concubinari, e offrisse maggiori garanzie di impegno riformatore. Il programma patarinico si incontrö probabilmente con analoghe L'etä delta pataria 183 preoccupazioni della curia pontificia, e pertanto Erlembaldo, di ritorno da Roma dove trovb appoggio e comprensione, nei primi mesi del 1068 comincib a porre le basi per 1'elezione di un nuovo arcivescovo legando a se con giuramento chierici e laici, finche Guido da Velate, non piü in grado di contrastare validamente 1'estendersi del potere della pata- ria, favorita da un crescente consenso popolare, scelse di restituire al- 1'imperatore Enrico IV le insegne con le quali nel 1045 era stato inve- stito dell'episcopato, e di ritirarsi nel castello arcivescovile di Bergoglio nei pressi dell'odierna Alessandria.

Alla successionesulla cattedra ambrosiana 1'imperatore tedesco de- signö il suddiacono del clero ordinario Gotofredo da Castiglione, vero- similmente in seguito ad un accordo intercorso con il da Velate, di cui Gotofredo era stato stretto collaboratore. Certo 1'investitura fu viziata da patteggiamenti simoniaci, ma altri furono i motivi della quasi unani- me avversione dei Milanesi al neoeletto. Il cronista coevo Arnolfo di lui dice: «Ricusato dai cittadini, non venne accettato ne ospitato in nes- sun luogo della diocesi, perche odiato persino dagli abitanti del conta- do» 10,e in realtä contraria gli era buona parte della nobiltä di rango capitaneale, poiche, come era accaduto nel 1045, l'atto di imperio di Enrico IV 1'avevaesclusa ancora una volta dall'esercizio del tradiziona- le controllo sulla elezione episcopale; contrari erano altresi i cives, per- che la posizione raggiunta nell'ambito della vita cittadina li faceva aspi- rare ad un ruolo di protagonisti nella scelta del vescovo, mentre sulla nomina di Gotofredo non avevano potuto esercitare la minima influen- za; contrari erano infine i patarini, i quali riuscirono a mobilitare un gran numero di uomini in tutta la diocesi allo scopo di occupare i beni dell'arcivescovado e di impedire al da Castiglione di prender possesso della cattedra, cosicche al ritorno dalla Germania 1'arcivescovo eletto si vide costretto a rifugiarsi prima nel castello del monte di Velate e poi a fuggire nella fortezza di famiglia di Castiglione nella valle dell'Olona. Si sa che il movimento patarinico non era una unitä compatta: po- chissimi comprendevano e condividevano appieno le dottrine predicate da Arialdo; per il resto si trattava di una massa la cui partecipazione dipendeva volta a volta dalle circostanze e dall'intensitä con cui erano avvertiti determinati aspetti della lotta contro il nicolaismo e la simo- nia. La investitura simoniaca di Gotofredo fu perciö 1'occasionecontin- la degli gente che mosse all'azione totalitä aderenti alla pataria, anche di la il numeroso gruppo coloro cui adesioneera spessosoggetta ad oscil- la lazioni, ma nei quali predicazione contro la venalitä nelle ordinazioni lasciato ecclesiastiche aveva una traccia permanente. E forse non e da 1'efficacia sottovalutare neppure che, nel convincere alcuni a schierarsi 184 ALFREDO LUCIONI

contro il vescovo eletto da Enrico IV, pote avere la scomunica subito lanciata contro di lui da Alessandro II. Sta di fatto che in questo frangente i patarini appaiono in grado di esercitare una egemonia in cittä e sul restante territorio diocesano e, sfrut- tando la congiuntura favorevole, tra il 1070 e 1071 riescono a varare un'ampia coalizione militare, dove sono rappresentate tutte le forze ostili a Gotofredo, per assediarlo nel suo castello di Castiglione. Le operazio- ni di assedio si protrassero senza esito per alcuni mesi finche, dopo es- ser stato raggiunto dalla notizia della morte di Guido da Velate soprav- venuta i123 agosto 1071, lo stesso Erlembaldo si decise a tornare a Mi- lano per non perdere il controllo della cittä e partecipare alle trattative per 1'elezione del vescovo. Un punto sul quale concordavano tutti i Milanesi che avevano par- tecipato all'assedio di Castiglione era la necessitä di impedire a Goto- fredo la presa di possessodella cattedra arcivescovile, tanto piü ora che risultava vacante per la morte di Guido: su questo e sulla rapida elezio- ne, di comune accordo, di un nuovo arcivescovo si impegnarono con re- ciproco giuramento. La scomparsadi Guido era nondimeno una occa- sione troppo ghiotta per definire una volta per tutte la situazione mila- nese in un sensofavorevole alla pataria: se ne rendeva conto Erlembal- do, il quale si adoperb in ogni modo per far promuovere un candidato che potesseottenere 1'approvazione del papa, scatenando, con tale mo- do di procedere, un insanabile conflitto con coloro i quali avevano ac- colto 1'invito a coalizzarsi contro Gotofredo solo per difendere il loro ruolo di protagonisti nella scelta della massimaautoritä cittadina, e per- cib non erano disponibili a cedere ora 1'iniziativa ai patarini. L'elezione dell'arcivescovo si rivela cosi ancora una volta scaturigine di tensioni e di contrasti coinvolgenti 1'intera societä cittadina.

Il giorno stabilito per la nomina del successoredi Guido, il 6 gen- naio 1072, di fronte al cardinale Bernardo inviato dal pontefice, Erlem- baldo presentb in S. Maria Maggiore il suo candidato e lo fece acclama- re dalla folla dei presenti, costituita in massimaparte da uomini del con- tado, oltre che da patarini provenienti da altre cittä lombarde. Nella cat- tedrale milanese, non si recarono quel giorno molti cittadini che, al ri- torno da Castiglione, avevano giurato con Erlembaldo di procurare a Milano un nuovo vescovo, e mold degli stessi intervenuti abbandonaro- no la chiesa non condividendo forse le modalitä con le quali veniva im- posto Attone, un giovane chierico ordinario provvisto solo degli ordini minori. Non e da escludere che tanti nell'atteggiamento tenuto da Erlem- baldo, forte sino a quel momento di notevole ascendente sui Milanesi, L'etä della pataria 185 vedessero con timore il preannuncio di una sorta di governo assoluto del capo patarinico, con la pericolosa conseguenza, avvertita dal ceto aristocratico quanto dai ceti medi emergenti, di una estromissione dal reggimento della cittä. Certo e che Passaltoal palazzo arcivescovile, con- dotto da questi gruppi di dissenzienti dall'operato dei capi patarinici, considerato prevaricatore delle legittime prerogative del popolo milane- se e lesivo, per 1'intervento di un rappresentante romano, dell'onore am- brosiano, e il giuramento di rinuncia ad ogni diritto sulla cattedra estor- to con la forza ad Attone, oltre a segnareil fallimento del progetto d'in- sediare un vescovo sensibile ai temi della riforma, rivelarono una perdi- ta di credibilitä della pataria nell'ambiente cittadino concretizzatasi in una vasta emorragia di consensi, tanto che Attone non pote piü prender possessodell'arcivescovado. Alla situazione milanese rivolse la sua preoccupata attenzione il nuovo papa Gregorio VII fin dall'inizio del suo pontificato, ne11073, ribaden- do il rifiuto della sede apostolica a Gotofredo e invitando 1'imperatore ad appoggiare Attone: 1'esatto contrario di quanto si voleva alla corte tedesca, dove si era appena rinnovato il sostegno al da Castiglione ordi- nandone la consacrazione, a Novara, ai vescovi suffraganei filoimperiali nei primi mesi del 1073. Con lo schierarsi del pontefice e dell'imperatore a favore dell'uno e dell'altro candidato alla sede ambrosiana, la vicenda della successione arcivescovile milanese si trovb inserita in un quadro di ben piü ampio la respiro, in cui si potevano giä avvertire i prodromi del conflitto tra Chiesa e l'Impero. Questa lotta giungerä al parossismo qualche anno piü del- tardi e in essa Milano, metropoli civile ed ecclesiastica di gran parte l'Italia settentrionale, ebbe un ruolo non secondario. La tendenza, giä avvertita durante il pontificato di Alessandro II, a vincolare alla sede apostolica i movimenti religiosi popolari ebbe compiuta espressione con Gregorio VII. Ancora prima della elevazione al soglio pontificio, Ilde- brando aveva avuto modo di manifestare molto interesse per 1'operato della pataria; divenuto papaja raccolta delle sue lettere ci mostra come abbia sviluppato la sua azione di sostegno a Erlembaldo lungo due di- rettrici: da un lato pregö laici ed ecclesiastici dell'Italia del nord, a lui vicini, di appoggiare i patarini milanesi e di troncare ogni rapporto con Gotofredo ei suoi consacratori; dall'altro non tralasciö di raggiungere direttamente un accordo sulla situazione milanese con Enrico IV, e nel settembre 1073 a questa politica parve arridere il successo quando 1'imperatore dichiarö si pentito e richiese al pontefice di riparare i danni da lui Chiesa provocati alla milanese. Bastö tuttavia che, scon- fitta 1'opposizione dei 1'imperatore Sassoni, si ritenesse sufficiente- 1'atteggiamento mente sicuro perche umile tenuto fino ad allora si 186 ALFREDO LUCIONI andassevieppiü palesando null'altro che un astuto temporeggiare. L'esistenza di una opposizione tenace alla pataria in Milano, pur do- minata dalla vigorosa personalitä di Erlembaldo, e confermata dalla for- zata permanenza presso il papa del vescovo eletto Attone. Una opposi- zione che si rinvigori in seguito al divieto imposto da Erlembaldo al cle- ro cardinale di amministrare i battesimi nella settimana santa del 1074, in mancanza di un crisma validamente consacrato, e ancora nella prima- vera del 1075 in seguito alle voci che indicavano nei patarini, rei di aver calpestato 1'anno precedente il crisma procurato dai cardinali, i veri re- sponsabili del castigo che Dio aveva inflitto a Milano distruggendone gran parte con un rovinoso incendio. Altro grave motivo di contrasto, che alienö le residue simpatie dei Milanesi, fu infine Paver fatto ammi- nistrare i battesimi il sabato santo del 1075 al prete patarino Liprando in sostituzione del clero cardinale. Scrisse in proposito il cronista Boni- zone: «Cresceva ogni giorno il numero degli infedeli e di giorno in gior- no scemava quello dei patarini»". Non fu quindi difficile trovare un accordo tra vecchi e nuovi avversari della pataria nel nome dell'onore di sant'Ambrogio e per la designazione di un nuovo vescovo secondo la procedura tradizionale, proprio quella che Erlembaldo aveva disatte- so. E non fu difficile trovare un accordo con l'imperatore, consapevole della necessitä di eliminate Erlembaldo, troppo vicino alle posizioni gre- goriane, per poter procedere alla nomina di un nuovo arcivescovo dopo essersi risolto a non rinnovare il suo appoggio a Gotofredo inviso a tutti i Milanesi. Appena dopo la Pasqua (5 aprile) del 1075, presumibilmente nella prima meta del mese, gli avversari dei patarini, ritenendo giunto il mo- mento di attaccare, provocarono lo scontro nel quale Erlembaldo trovb la morte sopraffatto dal preponderante numero dei nemici 12. Trascorsi alcuni giorni, al suo corpo orrendamente sconciato fu nottetempo data clandestina sepoltura nel monastero di S. Dionigi o, come piü probabil- mente afferma un'altra fonte, in quello di S. Celso.

L'episcopato di Tedaldo

La morte di Erlembaldo rappresenta il momento culminante di un processo il cui punto genetico pub individuarsi nelle vicende legate al- 1'elezione di Attone nel gennaio 1072; elezione che deluse molti anche dire la tra i patarini, tra quelli - voglio - cui partecipata adesione agli ideali proclamati da Arialdo e mantenuti vivi da Erlembaldo andava sog- getta a frequenti oscillazioni determinate dalle circostanze del momen- to. Il dissensocrebbe via via, lasciando dopo 1'aprile 1075 solo una spa- ruta minoranza perseverante nell'impegno riformatore, benche perse- L'etä della pataria 187 guitata e decimata dall'esodo verso le piü sicure Cremona e Piacenza. Sull'altro fronte 1'accordoconcluso tra tutti gli oppositori di Erlem- baldo circa la nomina di un nuovo titolare al seggio ambrosiano, con- dusse alla scelta di quattro candidati inviati all'inizio dell'estate presso l'imperatore perche indicasse tra loro il prescelto ad occupare la catte- dra di Ambrogio. La decisione di Enrico IV fu differita fino a settem- bre, quando, rassicurato dalla sconfitta dei suoi nemici interni e venuta meno per il momento la possibilitä della incoronazione imperiale, non ebbe piü motivo per ritardare la provvista della sede padana e, accanto- nate le candidature espressedai Milanesi, affidö a Tedaldo, un milane- se fedele chierico della sua cappella, l'importante archiepiscopato, assi- curandosene cosi il controllo. Nonostante le intimazioni di Gregorio VII a Tedaldo e ai suoi suf- fraganei di non procedere alla consacrazione episcopale, l'aggravarsi del conflitto tra il papa e l'imperatore fu causa del radicalizzarsi delle reci- proche posizioni per cui Tedaldo, non tenendo in gran conto 1'avverti- mento papale, si fece consacrare il 4 febbraio 1076, forse in concomi- tanza con un'assemblea a Piacenza dei vescovi filoimperiali lombardi. Durante il periodo piü aspro del conflitto tra Gregorio VII ed Enrico IV, Tedaldo rimase fedelmente al fianco dell'imperatore sia nella sino- do del 1080 a Bressanone, dove fu eletto antipapa il suo collega raven- nate Guiberto, sia nelle tre spedizioni militari contro Roma intraprese dal monarca tedesco tra il 1081 e il 1084, alle quali partecipö alla testa di un proprio contingente di soldati. La condotta di perfetta consonan- za alla politica imperiale non sembra ad ogni modo aver trovato entu- siastiche adesioni tra i Milanesi, cosicche tra le scarne testimonianze sto- riche pervenuteci sui dieci anni in cui tenne 1'episcopato, non e difficile trovare gli indizi utili a verificare 1'emergere di una opposizione inten- zionata a modificare gli equilibri politici ed ecclesiastici cittadini. L'uccisione di un capo prestigioso come Erlembaldo aveva decapi- tato il movimento patarinico, ma non aveva potuto completamente di- sperdere il gruppo dei piü attivi protagonisti di quasi due decenni di fervido impegno per la purificazione della Chiesa milanese. Il sacerdote Liprando ei laici Arderico, Enrico e Wifredo sono i destinatari di alcu- ne lettere del pontefice contenenti passaggi allusivi ad una riorganizza- zione delle file patariniche per contrastare Tedaldo, il quale da parte doveva dal sua giä guardarsi malcontento che cominciava a covare negli la ambienti che con sua elezione si erano trovati per la terza volta in dal l'imperatore trent'anni umiliati modo con cui aveva inteso procede- dell'arcivescovo. Dal re nella scelta malcontento si passö all'aperta con- testazione nei primi mesi del 1077 allorche, a dispetto dell'assoluta fe- deltä di Tedaldo alla politica antigregoriana di Enrico IV, una delega- 188 ALFREDO LUCIONI zione milaneseraggiunse il pontefice, ancora dimorante a Canossadopo aver levato la scomunicaall'imperatore, con il compito di ottenere il per- dono per tutti gli abitanti di Milano colpevoli di aver intrattenuto rap- porti con 1'arcivescovoscomunicato nella sinodo romana del 1076. Fu un vero e proprio capovolgimento di posizioni, riaffermato quando due da legati pontifici, Gerardo di Ostia e Anselmo di Lucca - un altro Baggio, nipote di Alessandro II - poterono raggiungere, non senza tra- versie, la metropoli lombarda verso l'aprile 1077, dove rimasero tre giorni a predicare, assolvere e benedire nonostante le mene dell'arcivescovo per fomentare una sollevazione contro di loro. E dopo un forzato ritor- no nell'orbita imperiale nel 1081 in occasione di una sosta di Enrico IV a Milano, di nuovo nel 1085, verosimilmente per le ripercussioni del generale declino delle fortune imperiali in Italia, riemerge 1'aperto dis- sensodei Milanesi nei confronti di Tedaldo, impedito a risiedere in cit- tä e costretto a trascorrere i suoi ultimi giorni nel sicuro rifugio della fortezza arcivescovile di Arona, tradizionale asilo dei presuli milanesi in tempi di torbidi e di contrasti con gli abitanti della cittä, alla pari degli altri castelli edificati sulle propaggini prealpine che cingono a set- tentrione il territorio della diocesi ambrosiana. Ad Arona 1'arcivescovo Tedaldo, mai riconosciuto dalla sede apo- stolica e piü volte scomunicato, concluse la sua vita i125 maggio 1085, lo stesso giorno nel quale a Salerno si spegneva Gregorio VII.

La ricomposizione dell'unitä con la Chiesa romana Non e possibile valutare appieno il contributo dei superstiti patarini all'evoluzione della situazione cittadina, anche se la notizia che nella si- nodo romana del 1078 si discusse delle manifestazioni miracolose veri- ficatesi sulla tomba di Erlembaldo depone a favore della persistenza in cittä di un interesse a mantenere viva la memoria dello scomparso capo patarinico. Di sicuro un contributo determinante diede chi avvertiva ana- loghe esigenze di moralizzazione dei costumi ecclesiastici, pur dissen- tendo dai patarini sulla via scelta per raggiungere lo scopo. Emblemati- ca risulta la vicenda del cronista Arnolfo: uomo del ceto capitaneale, partito da posizioni di netta contrapposizione al fenomeno patarinico, partecipb infine alla delegazione inviata a Canossa nel 1077 a suggellare il riconoscimento dei Milanesi alla validitä delle istanze gregoriane. Non fu un confluire nelle schiere dei patarini, che Arnolfo continuava a considerare perturbatori dell'armonia del Corpo di Cristo, quanto un ravvisare giusta la riprovazione delle ordinazioni simoniache e della incontinenza dei chierici, a patto che si procedesse all'eliminazione di questi abusi con equilibrio e secondo il diritto ecclesiastico. L'etä delta pataria 189

A favorire 1'esplicito manifestarsi di queste tendenze riformatrici preoccupate di non esser confuse con quelle espresse da movimenti po- polari come la pataria, fu probabilmente proprio il ridimensionamento della capacitä di azione dei patarini milanesi dopo il 1075 e, in seguito, i mutamenti intervenuti nella sede apostolica, dove a Gregorio VII era succeduto Urbano II nel 1088, con il breve intermezzo del pontificato di Vittore III. Con Urbano II la gerarchia locale ritorna ad essere il ful- cro di ogni azione di rinnovamento dell'organismo ecclesiastico dioce- sano, nel rigoroso rispetto dei canoni, la cui retta interpretazione e de- mandata agli stessi vescovi e al pontefice, mai ai laici. Era cosi elimina- to alla radice ogni timore di sovvertimento dell'ecclesiologia tradiziona- le; mentre il papato si riproponeva a tutta la cristianitä come la suprema istanza garante dei principi che si erano affermati in eta gregoriana e nel contempo unica autoritä legittimata a intervenire nelle situazioni mo- derando il rigore dei canoni, ove una valutazione pragmatica della ne- cessitä dei tempi lo richiedesse. Il ricorso alla dispensa nei riguardi dei canoni, che permise tra 1'altro di assumere un atteggiamento moderato ed elastico nei confronti dei vescovi aderenti all'antipapa Clemente III e guadagnö molti di loro alla causa del pontefice legittimo, fu applicato a Milano con Anselmo III da Rho, investito della diocesi dallo scomuni- cato imperatore Enrico IV e consacrato irregolarmente da un solo ve- scovo il 10 luglio 1086. Per tali gravi motivi Anselmo era stato deposto da un legato papale e si era ritirato penitente in un monastero, donde Urbano II lo trasse, in deroga ai canoni, per le necessita imposte dalla situazione locale, reintegrandolo nelle sue funzioni di arcivescovo e in- viandogli il pallio dopo un giuramento di fedeltä alla Chiesa romana. Si 1088 il della Chiesa di Milano con . compiva nel ritorno all'unitä Roma dopo oltre un decennio di robusti contrasti e incominciava qui, dal disaccordo verso un atteggiamento teso a recuperare il consenso del- 1'episcopato dei territori imperiali e attento a recepire alcune legittime esigenze provenienti dagli ambienti tradizionalisti, il processo che avrebbe i fatto del dei portato patarini - soprattutto chi aveva parte gruppo di Arialdo Erlembaldo piü attivi collaboratori e -a schierarsi su posi- zioni di aperto dissenso da Roma nel nome della fedeltä alle piü pure istanze del movimento, tradite, a loro giudizio, dalla eccessiva remissi- vita del nuovo corso della politica papale; un processo che di ft a pochi anni si sarebbe concluso nella convergenza con gli oltranzisti ambrosia- della ni per la comune avversione agli interventi sede romana nella si- tuazione milanese. d'interpretazione degli La chiave avvenimenti successivial 1088, per taluni aspetti ancora piuttosto oscuri, sta appunto nel riconoscimento dell'esistenza di una forza maggioritaria conquistata alle esigenze di 190 ALFREDO LUCIONI un rinnovamento della Chiesa, la quale si assunseil compito di realizza- re la riforma secondole linee tracciate da Urbano II e sotto la direzione degli stessi arcivescovi, prima Anselmo III e poi Arnolfo III, eletto il 6 dicembre 1093, ma consacrato solo durante il concilio tenuto a Pia- cenza nel 1095 dal pontefice, evidentemente per la mancanza, tra i suf- fraganei, di vescovi in comunione con Roma. Le visite di Urbano a Milano nel maggio 1095 e nel settembre/otto- bre 1096 suggellarono il ritorno della Chiesa milanese alla obbedienza del vero pontefice, mentre sul piano politico giä nel 1093 la cittä aveva concluso un'alleanza antimperiale con altri centri lombardi; e con la so- lenne tumulazione del corpo di Erlembaldo in un nuovo sepolcro nel monastero di S. Dionigi, compiuta congiuntamente ad Arnolfo III, pa- pa e vescovo vennero a riconoscere, con un gesto che apparve una sorta di canonizzazione, la validitä delle istanze rappresentate dalla figura del capo patarinico, ponendosi nel contempo come gli autentici continuato- ri della sua opera di riforma. In questo caso, come nell'altro analogo della traslazione sempre a S. Dionigi del corpo del martire Arialdo, compiuta dal vescovo Anselmo IV tra il 1099 e il 1100, I'episcopato si appropria della ereditä ideale dei defunti campioni della riforma, proponendosi agli occhi dei Milanesi come unico centro propulsore di ogni attivitä rifor- matrice contro le pretese monopolizzatrici dei patarini intransigenti. Il mutamento nei rapporti tra la cittä e il papato, nonche la impor- tanza che ricopriva la metropoli ecclesiasticalombarda nei disegni della sede apostolica, si rivelarono infine compiutamente quando si trattb di scegliere il successoredi Arnolfo III, deceduto il 24 settembre 1097. L'assembleadel clero e del popolo milanesi raccolta in S. Ambrogio per procedere all'elezione dell'arcivescovo fu abilmente guidata dal legato papale Arimanno, vescovo eletto di Brescia, a indirizzare i suoi favori su Anselmo da Bovisio in contrapposizione al candidato del clero mag- giore e dell'alta feudalitä. Si pub supporre che su Anselmo, consacrato il 3 novembre 1097 da vescovi estranei alla provincia ecclesiasticamila- nese, si puntasse perche offriva garanzie di maggior docilitä alle diretti- ve del partito papale, e in realtä la stessacontessa Matilde gli manifestb tutto il suo appoggio. Una stretta aderenzaalle linee operative della po- litica di Urbano II e infatti riscontrabile in tutta la sua azione pastorale, fino alla positiva risposta all'appello del pontefice che mobilitava alla crociata. Giä un numeroso gruppo di crociati milanesi aveva contribui- to al successodella spedizione conclusa con la presa di Gerusalemme nel 1099; Anselmo da Bovisio allesti un altro contingente militare di alcune decine di migliaia di uomini, accompagnato da vari ecclesiastici milanesi e delle diocesi padane, con il quale si avvib nel settembre 1100 le ferite verso 1'Oriente, dove incontrb la morte I'anno successivoper L'eth delta pataria 191 riportate in una battaglia che vide i Turchi sbaragliare le forze crociate.

Nuove forme di vita canonicale e monastica Qualche mese dopo la consacrazione, Anselmo IV, convocando una sinodo provinciale per i15 aprile 1098, aveva espresso con chiarezza 1'in- tenzione di riesaminare la situazione dell'intera provincia metropoliti- ca, ancora travagliata dagli ultimi echi dei conflitti che avevano turbato la vita ecclesiastica nei decenni precedenti. L'assise sinodale si interes- sb delle singole sedi diocesane, occupate in prevalenza da vescovi sci- smatici, irrogando pene e stabilendo tempi e modi per il ritorno alla pie- na comunione con la sede apostolica, e prese provvedimenti su molte- plici questioni. Su una in particolare la discussione si protrasse a lungo: la vita comune del clero 13. I patarini avevano intuito con lucida consapevolezzache la soluzio- ne al problema dei disordini morali e disciplinari del clero poteva trova- re soluzione solo attraverso una diffusa pratica della vita comune, per- che cib tutelava la castitä e, favorendo la povertä, costituiva una valida difesa contro la simonia. Con questi intendimenti Arialdo aveva fatto sorgere la canonica accanto alla chiesa di S. Maria fuori di porta Nuova, nella quale in un regime di povertä completa, fino alla totale rinuncia ai propri beni, i chierici patarinici conducevano una vita strettamente in comune ritmata dagli impegni liturgici. La struttura architettonica della lo interna chiesa, nella quale una cortina muraria - jube - si ele- vava a dividere lo spazio dei chierici da quello riservato ai fedeli, ripro- poneva plasticamente 1'alta concezione del sacerdozio propria del pen- siero patarinico, alla quale doveva corrispondere, secondo che richiede- va altresi il laicato piü avvertito, una condotta di vita dei ministri del culto irreprensibile sul piano della purezza dei costumi e una cura assi- dua della liturgia, risultati raggiungibili proprio grazie alla vita canoni- cale, come stava a sottolineare il successodell'iniziativa anche in termi- ni di afflusso di persone. Quando, con la morte di Arialdo nel 1066, cessbcon tutta probabi- litä 1'esperienzacanonicale in S. Maria, venne a mancare a Milano 1'u- luogo fosse nico in cui possibile ricevere sacramenti - secondo i patari- da degni; ni - validi, ossia amministrati sacerdoti per questo motivo intorno al 1068 un gruppo di Milanesi si recb a Vallombrosa lamentan- do la disperata situazione della cittä, dove molti morivano senza riceve- re i sacramenti pur di evitare qualsiasi rapporto con il clero simoniaco e concubinario. Il fondatore di Vallombrosa, Giovanni Gualberto, in- di vib allora alcuni chierici origine milanese, che si erano recati presso di lui dopo fatti del i 1066 e non avevano ancora vestito 1'abito mo- 192 ALFREDO LUCIONI nastico, esortandoli a raccogliersi in comunitä canonicali a riprova della bontä di un modello che si andavaaffermando negli ambienti riformatori. L'esistenza di collegi canonicali presso le principali chiese cittadine era una realtä giä nella prima meta dell'XI secolo, ma la vita in comune rimaneva limitata ai chierici che settimanalmente avevano la responsa- bilitä dell'officiatura. Non sembra quindi ingiustificato ascrivere buona parte del merito di quel rigoglio di vita canonicale che si manifestö ver- so la fine del secolo al semegettato da Arialdo e mai trascurato dai pata- rini sopravvissuti alla sua morte: basti qui ricordare la chiesa e relativa. canonica edificate dal patarino Liprando a Pons Guinizeli; la canonica di Cucciago testimoniata fin dal 1096 accanto a una chiesa fondata da Arialdo, e per ciö stessopresumibilmente legata ad ambienti patarinici; infine 1'esperienzadi vita canonicalesviluppata da Nazario Muricola dopo il 1096 accanto alla chiesa milanese di S. Babila, un santo modello di vita sacerdotalela ripresa del cui culto fu promossa da circoli patarinici sul finire del secolo. La diffusione delle canoniche interessa tutto il territorio diocesano; prima del 1100 giä si hanno notizie di canoniche esistenti nei principali capo-pieve. Una esperienza interessante appare quella iniziata nel 1095 con il beneplacito dell'arcivescovo Arnolfo III da tre ragguardevoli per- sonaggi milanesi, ritiratisi presso la chiesa di S. Gemolo di Ganna in volontaria solitudine al servizio di Dio. La tipologia iniziale di questo insediamento - poi evolutosi come priorato - puö essere accostata nelle intenzioni forme a certe di vita monastica con forti connotazioni eremi- tiche, che avevano trovato facile rispondenza tra gli uomini dell'XI se- di colo avidi esperienze ascetiche piü rigorose e nient'affatto appagati nelle tradizionali strutture del vecchio monächesimo. A Milano gli antichi cenobi benedettini si erano dimostrati refratta- ri alle istanze di riforma provenienti dai patarini: la sola eccezione fu forse il monastero di S. Celso, a giudicare da certi fatti che vi avvenne- ro tra il 1067 e il 1075. I motivi di questa ostinata resistenza sono da ricercare essenzialmente nella diretta dipendenza dall'autoritä vescovi- le, 1'altro a cui tra spettava la nomina degli abati, anche perche molti di questi istituti monastici erano di fondazione episcopale. Il tradizio- nale stretto controllo esercitato dagli arcivescovi sui monasteri spiega bene le difficoltä a cui andö incontro la penetrazione nella diocesi mila- nese del monachesimo cluniacense e fruttuariense, poiche 1'esenzione dalla giurisdizione diocesana, della quale godevano tali fondazioni, po- neva limiti all'esercizio dell'autoritä del vescovo su piü o meno vaste porzioni del territorio della diocesi. Solo dopo il 1080 si ha notizia di donazioni di chiese e cappelle all'abbazia di Cluny, a cominciare dalla chiesa di S. Maria presso Laveno, e del 1086 e la donazione di un ter- L'etä della pataria 193 reno per 1'erigendo monastero femminile di Cantü, il primo in diocesi di Milano: si tratta in ogni caso di localitä sempre poste nel contado, lungo i confini diocesani. Alla fine del secolo XI e invece databile con sicurezza il ritorno dei monaci di Fruttuaria, segnatamente a Padregna- no, dopo che nel 1064 avevano ceduto tutti i loro beni nel milanese, compresa una chiesa, al monastero cittadino di S. Vincenzo 14. Caratteristica comune a queste fondazioni e di risultare frutto del- 1'iniziativa di signori feudali, guadagnati alla causa della riforma pro- prio tramite il monachesimo cluniacense che per mentalitä, per estra- zione sociale e per 1'indirizzo politico di mediazione nel contrasto tra papato e Impero si trovava nelle condizioni ottimali per intessere mol- teplici e fruttuosi rapporti con i ceti eminenti della societä. Lo spirito della riforma pote cosi introdursi in quei gruppi sociali da cui proveni- vano le piü alte gerarchie ecclesiastichelombarde, preparando il terreno ad un accordo con il papato che si realizzb quando sali al soglio pontifi- cio Urbano II. Non erano soltanto canoniche e monasteri a dare il tono del rinno- vamento spirituale e istituzionale operatosi in quei decenni di intenso travaglio. Vari documenti degli ultimi anni del secolo attestano la attiva presenza nel tessuto cittadino dei vicini delle chiese; una embrionale strut- della il Violante tura, quella vicinia, che - come scrive - «istituiva un rapporto diretto, su base territoriale, di ogni chiesa con il proprio popolo di fedeli, corroborando la tendenza, che si cominciava ad affer- mare, verso la formazione delle parrocchie» 15. Era stato lo stesso Ur- bano II, nel giä ricordato soggiorno milanese nel 1096, con un discorso in S. Tecla, a dare riconoscimento ufficiale alla pratica dell'elezione dei rettori delle chiese da parte dei vicini, che si dovette rapidamente dif- fondere a giudicare dalle testimonianze degli anni immediatamente suc- cessivi, le quali ci informano sui vicini delle chiese dei SS. Gervaso e Protaso e del monastero di Aurona nel 1099 e di quelli della chiesa di S. Sepolcro nel 1100: particolarmente significativo, questo documento, perche stabilisce i confini della zona cittadina sottoposta alle cure pa- storali del clero officiante la chiesa. Si trattava in un certo sensodel riconoscimento anche istituzionale dell'importanza, nella Chiesa, del laicato che, animato da una profonda sensibilitä religiosa, aveva dimostrato di voler attivamente collaborare al rinnovamento dell'organismo ecclesiasticodi cui si sentiva parte inte- grante: era la ricca ereditä che 1'etä della pataria lasciava agli uomini del XII secolo. 194 ALFREDO LUCIONI

NOTE

I Atli privati, III, n. 366, pp. 41-46. 2 ANDREAE ABBATIS STRUMENSIS Vita Sancti Arialdi, cap. 4, p. 1051. La traduzione di que- sto brano e di quelli di cui alle note 8e 10 e di GoLINELLI, La Pataria. 3 Avverto qui che ho preferito evitare le tradizionali attribuzioni di Arialdo ai da Carimate di e Landolfo e Erlembaldo al casato dei Cotta, perche non compaiono nelle fonti piü antiche, ma per la prima volta nella tarda Passio beati Arialdi martyris di autore anonimo edita in J. P. PURI- CELLI, De ss. martyribus Arialdo Alciato et Herlembaldo Cotta dfediolaneusibrrs, Mediolani 1657, pp. 132-157 (il cognome Alciati, accettato dal Puricelli e dovuto ad una interpolazione). Anche di un recente tentativo inserire Landolfo e Erlembaldo Della genealogia dei capitanei da Besana abbisogna di maggiori verifiche. 4 L'etimologia del vocabolo pataria e piuttosto oscura. L'ipotesi piü probabile sembra anco- lo lombarda ra quella che connette alla voce pattee, venditore di stracci: sarebbe stato usato dagli k avversari in senso dispregiativo. 5 Per la successionedegli avvenimenti verificatisi fra il 1057 e il 1060 seguo sostanzialmen- la te verosimile ricostruzione di Miccou, Il problema delle ordinazioni, pp. 57.72. 6 Miccou, Per la storia della pataria milanese, p. 117. 7 Per nicolaismo si intendeva la pratica del concubinato e del matrimonio del clero con un esplicito riferimento ad Apocalisse 2,6 e 15. 8 PETRI DAMIANI Opusculum quintum, c. 98. 9 Constitutiones quas legati sedis apostolicae. 10 ARNULFIGesta archiepiscoporummediolanensium, III, cap. 22. 11 BONIZONIS EPISCOPISUTRINI Liber ad amicum, p. 604. 12 Sulla data della di - morte Erlembaldo cfr. LUCIONI,A proposito di una sottraziole, p. 233, nota 14. 13 Il degli testo atti sinodali e pubblicato in ZERBI, «Cum mutato habitu in coenobio sanctis- sime vixisset...», pp. 524-526. 14 Sulla del presenza monachesimo cluniacense si vedano le pagine di VIOLANTE,Per rnra ri- della considerazione presenzacluniacense, pp. 536-664, con 1'avvertenza che in seguito 1'autore ha ]a raggiunto convinzione dell'appartenenza di Pontida alla diocesi di Bergamo. Per un primo ap- insediamenti fruttuariensi proccio agli cfr. PALESTRA,Fondazioni cluniacensi e fnrttrrariensi, pp. 291-296; LUCIONI, Fruttuariensi. Il documento del 1064 e in Atli privati, III, n. 448, pp. 195-198. 15 VIOLANTE,' Riflessioni storiche, p. 72.