Luigi M. Grassi - Vescovo di Alba LA TORTURA DI ALBA E DELL’ALBESE (Settembre 1943 – Aprile 1945) RICORDI PERSONALI

Dedico queste pagine alla memoria del mio Sacerdote, D. Demetrio Castelli, iniquamente fucilato dai tedeschi a ventisette anni, il 25 Agosto 1944, e a quella di tanti miei figli della Diocesi Albese che morirono per la li- bertà d’Italia nella guerra di liberazione. La loro voce, o lettore, salga con la nostra al trono di N. S. Gesù Cristo, Unico Maestro di Pace, di vera Libertà e di Giustizia e supplichi per tutti gli Italiani sentire cristiano, amore vero, operosità silenziosa e concorde.

Luigi M. Grassi Vescovo di Alba Alba, 2 febbraio 1946

113 I centri dell’Albese nella rappresentazione dei profili dei castelli, che caratterizzano le colline delle e del Roero

114 ALBA E L’ALBESE Alba, città romana, giace serena sulla sponda destra del fiume Tanaro. Dei suoi anni remoti70 non ha più che qualche rudere e qualche torre; fu fiera nel so- stenere lotte e vessazioni71 per difendere la sua libertà, entrò fidente72 nello Stato sabaudo73 e poi nell’Unità nazionale, dando per l’indipendenza e la grandezza italiana molto e generoso sangue. Per la sua posizione appartata, la guerra mondiale, che cominciò nel 1939, la lasciò nella sua pace fino al Luglio 1944, ma da quel mese fino al 26 Aprile 1945 fu per Alba e per tutta la vasta e ferace74 zona a cui essa dà il nome di «Albese», una tortura, quale forse poche città soffrirono. Tortura dico, perché non ebbe a subire che pochissimi e non terroristici bombardamenti, ma fu posta dalle forze nazi-fasciste come sotto un torchio75, al quale non mancò mai ogni giorno un rabbioso giro di vite, e questo per circa 300 giorni. Ne uscì spossata76 ma libera, dissanguata ma fiera d’aver affrontato a viso aperto e vinto un nemico davanti al quale, essa inerme77, non era che poco più d’un trastullo78. L’Albese poi, terra bellissima, molto estesa e molto ferace, che dipende da nella sua vita amministrativa e da Alba ecclesiasticamente, è una vasta zona che abbraccia parte delle quattro valli del Tanaro, del Belbo, della Bormida, dell’Uzzone e i colli e la piana che s’estendono al nord-ovest del Tanaro verso la QJBOVSBUPSJOFTFFBEPWFTUWFSTPMBDJUUËEJ'PTTBOP Non degenere79 dalla sua gentile capitale, divise con essa in questa guerra ansie e timori, il pane del dolore e il calice delle amarezze, come già sempre nei secoli passati. Non è mia intenzione tracciare in queste pagine la storia di tutto quanto è avvenuto in Alba e nell’Albese dal Luglio 1944 all’Aprile 1945; non lo potrei e più d’un attore delle tristi scene di quei giorni troverà mancati nomi e date, fors’anche qualche errore, e ne domando venia80, ma narrerò le cose principali a cui ho preso qualche parte e che si svolsero sotto i miei occhi in quel periodo nefasto81.

70 Anni remoti: anni molto lontani nel tempo, passati. 71 Vessazioni: prepotenze, angherie. 72 Fidente: fiduciosa. 73 Sabaudo: dei Savoia. 74 Ferace: fertile, produttiva. 75 Sotto un torchio: in una condizione di costrizione, di pressione. 76 Spossata: indebolita, fiaccata. 77 Inerme: indifesa, disarmata. 78 Trastullo: divertimento, svago. 79 Non degenere: non lontana dai caratteri, dalle qualità. 80 Venia: perdono, benevolenza, indulgenza. 81 Periodo nefasto: periodo luttuoso, sciagurato.

115 SETTEMBRE 1943-SETTEMBRE 1944

1 - Soldati prigionieri

Due giorni dopo l’armistizio con gli alleati, anche la città di Alba vede comparire i tedeschi delle SS. Acquartierati nella caserma Govone, essi ottengono la resa dei 1500 soldati presenti, che vengono condotti alla stazione ferro- viaria e chiusi in carri bestiame per un giorno e mezzo. Mons. Grassi incontra il comandante delle SS e leva la sua voce di protesta per il trattamento inumano dei prigio- nieri e per l’uccisione immotivata di quattro soldati.

SETTEMBRE 1943 Il mio primo contatto con la guerra di liberazione data dal 10 Settembre 1943, quando le formazioni tedesche delle S.S. comparvero in Alba la prima volta. Arrivarono di buon mattino in un forte gruppo motorizzato e andarono subito alla Caserma Govone ad intimare la resa ai 1500 soldati che colà si trovavano. Lo scom- bussolamento di quei giorni e la disorganizzazione dell’Esercito davano buon gio- co82 ai tedeschi armatissimi e disciplinati, di intimare e ottenere la resa. E avutala non si acquietarono, ma fatta una lunga colonna di soldati e condottili alla vicina stazione ferroviaria li rinchiusero in un lungo treno di carri-bestiame e li lasciarono lì chiusi, pigiati, senza aria, senza cibo e senza possibilità di prov- vedere a intime ne- cessità per 36 ore, sotto un sole che li coceva, senza neppur potersi se- Alba - Caserma Govone dere tant’erano fitti e senza scampo d’uscita. Sicchè cominciaron a manifestarsi dolori viscerali, casi d’insolazione svenimenti. Gli urli di protesta, di spavento, di dolore non si posso- OPEFTDSJWFSF'VSPOPEFJNJFJ4BDFSEPUJBEBDDPSSFSFUSBJQSJNJ JM$BO$BTFUUBF

82 Davano buon gioco: facevano comodo, giovavano.

116 il Can. Basso della Cattedrale, assieme ad 83 Nazismo = abbreviazione di nazio- alcune buone signorine ; furono tagliati nalsocialismo, il nazismo ebbe come i fili di ferro che chiudevano le porte dei simbolo ufciale la svastica. Svastika, vagoni, si mandò subito a cercare medici dal sanscrito “sole, apportatore di be- e accorse il Prof. Carusi Primario dell’O- nessere”. Difuso in India come sim- spedale e così se ne poterono salvare da bolo religioso, nel 1910 fu assunto da morte parecchi e molti altri, fintisi gravi gruppi antisemiti tedeschi come sim- con la complicità di tutti, furono barellati bolo di “arianità” e superiorità razzia- e mandati all’Ospedale, senza che avesse- le. La svastica con le braccia volte a ro male alcuno, altri poi riuscirono a fug- destra, detta poi anche “croce uncina- gire. Le guardie tedesche non reagirono. ta” diventerà il simbolo del nazismo.

PRIMO CONTATTO COI TEDESCHI 'VJORVFMHJPSOPDIFFCCJJMQSJNPNJPDPOUBUUPDPJUFEFTDIJ QFSDIÏNJSFDBJ alla Caserma Govone a protestare presso il Comandante delle S.S. per il trattamento inumano che si faceva ai soldati, rei84 di nulla, per i pericoli continui a cui li esponevano colle loro bravate di sparatorie nella Caserma e perché uccisine quattro senza motivo alcuno, al mattino, li avevano sepolti come cani presso il letamaio della Caserma senza neppure prendere i loro dati. La protesta ebbe il suo effetto, i soldati furono lasciati più tranquilli, i tedeschi non andarono neppur più all’Ospedale come avevano assicurato per fare un controllo di quelli portativi al mattino e così si riuscì a dare presto la libertà ai finti ammalati e poi ai veri ammalati, appena guariti, e tutti si salvarono. I tedeschi lasciarono perfino che la popolazione albese provvedesse ogni ben di Dio ai mille e più soldati prigionieri nei parecchi giorni che rimasero ancora in Alba. /ÏGFDFSPPTTFSWB[JPOFBMDVOBBMMFDPSBHHJPTF'JHMJFEJ4BO1BPMP85, che senza invito di sorta, s’erano installate in Caserma per assistere e preparare i pasti ai prigionieri che Alba largamente provvedeva e a cui i tedeschi non davano cibo di sorta. E quanti di quei poveri soldati furono portati fuori caserma e poi nascosti dall’a- stuzia dei Sacerdoti, da quella più fine ancora di donne, di signorine della città, che fingendosi lacrimosissime madri, spose e sorelle dei prigionieri riu- scivano a intrufolarsi in caserma e portare i soldati, fino all’atrio della caserma, dove c’era molta confu- sione di parenti e di conoscenti e di lì portarli addirittura fuori sotto i baffi dei tedeschi e poi salvarli. Alba - Stazione FS

83 Buone signorine: crocerossine che si prodigavano alla cura dei soldati. 84 Rei: responsabili, colpevoli 85 Figlie di S. Paolo: suore Paoline.

117 LA PARTENZA DEI PRIGIONIERI Per l’ultimo giorno che do- SS = sigla di “Schutzstafeln”, in tedesco, vevano restare in Alba, i poveri pri- “reparti di difesa”: costituiscono un’orga- gionieri avevano domandato di poter nizzazione paramilitare del partito nazio- ricevere i SS. Sacramenti; furono ac- nal- socialista, nata come guardia persona- contentati, si confessarono, ricevet- le di Hitler, ma ben presto trasformata in UFSP MB 4 $PNVOJPOF  MF 'JHMJF EJ 4 potente strumento di pressione terroristi- Paolo fecero miracoli di bravura per ca, usato per la conquista del potere e poi trattarli molto bene e parecchi Sacer- nell’esercizio della dittatura. Sotto la guida doti ed io e alcune signorine passam- di Heinrich Himmler le SS semineranno il mo tutto il pomeriggio con essi per terrore in Germania e in Europa, svolgendo confortarli e ricevere centinaia e centi- anche compiti tipicamente militari. specia- lizzandosi nella persecuzione antiebraica, naia di indirizzi dei loro cari, ai quali ci nelle campagne di deportazione, nella lotta impegnammo di scrivere per far avere antipartigiana. loro notizie e consolarli, il che fu fatto scrupolosamente. Alla partenza dei tedeschi i quattro uccisi, di cui sopra, furono esumati e sepolti nel Cimitero; due furono identificati e due no. 'VRVFTUPJMQSJNPEPMPSPTPFQJTPEJPEJHVFSSBDIFUVSCÛ"MCB NBTVCFOUSÛ tosto86 la calma colla partenza dei tedeschi, che lasciarono bensì un piccolo pre- sidio87, ma non dette che piccoli fastidi e per dieci mesi ci fu tranquillità. I grandi dolori cominciarono col Luglio 1945.

I campi di concentramento di Bolzano e di Fossoli, “tappe italiane” della deportazione verso i lager nazisti

Borgo S.Dalmazzo - Memoriale della deportazione

86 Tosto: presto. 87 Presidio: guarnigione, reparto militare.

118 2 - In visita pastorale (e non solo)

Mons. Grassi compie la sua visita pastorale in diverse parrocchie della zona: S. Rocco della Cherasca, Benevel- lo. Qui ritiratosi a sera per riposare dalla profonda stan- chezza, viene svegliato a notte fonda perché si richiede la sua presenza a Sommariva Perno dove i partigiani hanno catturato dei tedeschi. Il paese intero è minac- ciato di incendio. Si rende necessario uno scambio di prigionieri.

A SOMMARIVA PERNO Sul tramonto della Domenica, 2 Luglio, partivo da S. Rocco della Cherasca, parrocchia a pochi chilometri da Alba, dove avevo iniziata la III Visita Pastorale, per Benevello, borgo dell’alta Langa, colla intenzione di continuarla, secondo un piano già concertato88, attraverso a tutte le Parrocchie di quella vasta zona. Ero molto stanco e appena fu notte mi ritirai in camera. Verso le ore 23,30 mi sveglio per un confuso vociare sulla piazza vicina e distinguo chiara la voce del mio Vi- cario Generale, Mons. Gianolio, che un istante dopo era già alla porta della mia camera per invitarmi a partire subito per Sommaria Perno, Comune oltre Tanaro, dove i Tedeschi avevano preso cento ostaggi e minacciavano la fucilazione a un buon numero di questi. S’invocava il mio intervento. Dopo pochi istanti partivo, ma per il buio fitto e il modesto carburante di carbone vegetale dell’auto, non s’arrivò ad Alba che verso l’una del 3 Luglio. Era inutile ormai proseguire nella notte per Sommariva e si decise di farlo appena fosse fatto giorno; ma al mattino fu un guaio trovare una macchina; re- quisite89 o nascoste eran diventate come l’araba fenice90 e quella della notte aveva I campi di concentramento di Bolzano e di Fossoli, “tappe italiane” della deportazione verso i lager nazisti EPWVUPSJQBSUJSFQSJNBEFMMBMCBQFS$VOFPDPMTVPQSPQSJFUBSJP'JOBMNFOUF BGVSJB di ricerche, si riuscì a trovare un camioncino e si partì. E ogni volta sarebbe stata sempre una grossa impresa trovare automezzi e benzina o anche solo qualche vecchia rozza giubilata91 che portasse me o miei incaricati a compiere le missioni pietose, che diventarono da allora tanta parte della nostra vita. A Sommariva arrivammo verso le 7 e ci corsero incontro donne piangenti e supplicanti e vidi subito sulla piazza una lunga colonna di uomini-

88 Concertato: stabilito, preparato. 89 Requisite: confiscate, sequestrate. 90 Araba feniceOPOFTJTUFWBOP NFUBGPSBMB'FOJDJBTJUSPWBWBOFMMBQPTJ[JPOFEFM-JCBOPF della Palestina, q uindi ben distanti dall’Arabia. Quindi indica qualcosa di immaginario, che non esiste). 91 Rozza giubilata: ronza, ronzina “benedetta”, provvidenziale.

119 ostaggi che attendevano in Deportazione = Nel corso della guerra di libe- fila d’esser portati al locale razione, i nazisti - con la collaborazione dei fascisti caffè per l’interrogatorio. italiani - avviarono una gigantesca attività di de- Che cosa era avve- portazione nei lager, che coinvolse circa 835.000 nuto? In quella zona, alcuni italiani, militari e civili, uomini e donne di tutte le Partigiani venuti dai Piloni età. Gli obiettivi principali furono: gli ebrei italiani, della Montà, un folto bosco francesi e dei Balcani; i soldati italiani che dopo l’8 attorno ad un Santuario anti- settembre vennero catturati dai tedeschi e interna- chissimo della Passione, con ti in Germania (IMI); gli oppositori politici (parti- un audace colpo erano riusciti giani, veri o presunti collaboratori della resistenza, a prendere alcuni soldati tede- loro familiari, antifascisti), i c.d. “diversi” per motivi razziali, sessuali, religiosi (zingari, omosessuali, te- schi e a portarli via con sé. stimoni di Geova); operai che partecipano a sciope- Nella folla infelice e ri nelle fabbriche; giovani che non si presentano alla atterrita trovammo subito leva stabilita dalla Repubblica di Salò (considerati il Podestà, che mi pregò, a quindi “renitenti”); persone che vengono “arruola- nome di tutti perché m’in- te” per lavorare nelle fabbriche tedesche. Anche in teressassi ad un pronto Italia e Slovenia il regime fascista aveva predisposto scambio dei tedeschi con fn dal 1940 una rete di campi di concentramento Partigiani, alla loro volta ca- e internamento per civili, usati in seguito anche duti nelle mani dei tedeschi, come transito verso quelli tedeschi. Tra essi, Borgo condizione assoluta per ot- S.Dalmazzo e Cairo Montenotte.

Sommariva Perno

120 tenere la libertà degli ostaggi. Vidi anche il Parroco ottuagenario, che già s’era interposto ed ebbi perfino cordiali indicazioni da un soldato francese, che s’era arruolato nelle S.S. tedesche, per sfuggire la prigionia, il che voleva dire - mi con- fessò - fame, percosse e morte. Costui m’accompagnò al Comando, dove fui ac- colto con un minimo di cortesia e ascoltato con deferenza92, mi si promise di fare quant’era possibile, e fui anzi pregato di interessarmi a sollecitare93 personalmente i Partigiani ad uno scambio, secondo alcune direttive che mi diedero. Già nella notte il buon Podestà, a furia di corse e di indagini, era riuscito a scoprire la sede del comando Partigiano che aveva fatta l’operazione, a indurlo a un colloquio coi tedeschi e aveva scongiurato quei giovani a cedere alle richieste nemi- che per salvare gli ostaggi e anche il paese intero da un minacciato, terribile incendio; ma le speranze non erano troppe. Per questo s’invocava il mio intervento.

Partii con lui alla volta della chiesetta della Madonna dei tre rivi distante po- chi chilometri, sapendo che colà si sarebbero trovati i tedeschi e Partigiani; infatti arrivavano e ci trovammo subito tra gli uni e gli altri. I Partigiani erano venuti in DJORVFJOVOBNPEFTUBNBDDIJOB PMUSFJQSJHJPOJFSJ HVJEBUJEBDFSUP5FO'SBODP  che avrei poi conosciuto nella occupazione partigiana di Alba. I tedeschi erano in parecchi, tutti Ufficiali e disarmati; ma alla vicina svolta nascosta della strada verso Sommariva avevano due grossi camions carichi di soldati armati e una grossa mitragliatrice pesante per ogni camion. Dei Partigiani uno solo era armato. L’incon- tro fu a tutta prima sereno, ma ci fu un istante in cui temevo si venisse a parole, perché la presenza di un Uff. Italiano vestito alla tedesca accese qualche parola un po’ incandescente, ma fu tosto spenta. Temevo tanto per la notoria durezza e testardaggine tedesca, che pregai caldamente colle lacrime agli occhi i patrioti, affinché cedessero su quanto domandavano i tedeschi per lasciar libero il paese dal terrore che lo minacciava. Come poi sempre per l’avvenire, trovai Partigiani molto accondiscendi e deferenti. Lo scambio fu fatto subito sul posto e mi commossero gli abbracci calorosi che si scambiarono i patrioti94, li avvertii, in dialetto, delle due macchine tedesche armate e nascoste scongiurandoli a scomparire in fretta e non mi restò che correre col Podestà ad avvertire il comando tedesco e il popolo, che tutto era proceduto bene e che si poteva stare tranquilli. Non so dire la gioia di quella buona gente e di Mons. Almondo, Parroco ottuagenario, che s’era prodiga- to nella triste vicenda e che m’aveva mandato a chiamare; ma confesso che non avendo visto subito a tornare le macchine tedesche trepidai per i Partigiani tutta la sera; seppi poi che non avevano corso nessun pericolo. Tornai a Benevello in serata, ma 15 giorni dopo Sommariva fu di nuovo nei guai, e questa volta ostaggi

92 Deferenza: riguardo, rispetto. 93 Sollecitare: spingere, richiedere. 94 Patrioti: qui nel significato di partigiani.

121 e incendio furono liquidati prontamente con sborsare 100 mila lire, somma per allora non indifferente. Un sì turpe95 genere di mercato avrebbe poi preso sviluppi sempre più ampi e vergognosi. Vi furono 15 giorni di calma, ma il 17 Luglio cominciarono le disgrazie per la città; nel pomeriggio l’aviazione inglese faceva saltare parte del ponte sul Tanaro e il 15 Agosto i Partigiani vi lanciavano sopra un intero treno, senza merci e passeg- geri, che andava a precipitare contro il pilone del primo arco fatto saltare, rendendo più difficile ogni tentativo di rifacimento. Tre arcate su quattro erano frantumate e così Alba era separata da ogni comunicazione con Bra, Torino, Cuneo, ecc. Poco per volta anche tutti gli altri ponti che univano a est con Asti, Alessandria, ecc. e a sud-ovest con la venivan fatti saltare sistematicamente dai Partigiani e si restringeva sempre più il cerchio delle sue comunicazioni. Ciò non impedì che proprio da quei giorni incominciasse l’andirivieni di tedeschi e di repubblicani e la tortura di Alba, tortura che doveva cessare solamente col tracollo del 26 Aprile 1945.

Partigiano = appartenente a formazioni irregolari armate che operano in un Paese occupato da un esercito nemico, svolgendo azioni di guerriglia e di disturbo. Durante la Seconda Guerra Mondiale, questo termine indicò gli appartenenti a uno dei movi- menti di liberazione che combattevano contro i tedeschi e i loro alleati italiani fascisti della Repubblica Sociale Italiana (RSI), chiamati anche “repubblichini” (v. oltre). In altri casi invece di ‘partigiano’ si usava anche ‘patriota’ o, più di frequente, il termine ‘ribelle’. I nazifascisti lo intendevano in senso dispregiativo (“fuorilegge”, “traditore”), i partigiani in senso positivo (chi ha il coraggio di opporsi all’oppressore). Le formazioni partigiane nascono in forma spontanea dopo l’8 settembre 1943, via via si organizzano sia per aree territoriali, sia per orientamento politico, sia in base alla pro- venienza militare (in particolare per quanto riguarda gli ), segnalandosi anche per i colori e i nomi. Così i “Garibaldini” col fazzoletto rosso sono collegati al partito comunista, le formazioni “Matteotti” ai socialisti, le brigate “Patria” e “Fiamme verdi” di orientamento cattolico, le bande “Giustizia e Libertà” (GL) al Partito d’Azione, gli “azzurri” o “autonomi” (legati all’esercito e in parte alla monarchia). Il movimento par- tigiano si collega poi ai Comitati di Liberazione Nazionale (CLN), sorti in molte città, tra cui Alba, per coordinare l’azione degli antifascisti e la rinascita dei partiti politici, soppressi dalla dittatura. Alle molte difcoltà pratiche di collaborazione tra le diverse espressioni del movimento partigiano, dovute all’occupazione e all’azione repressiva dei nazifascisti, alla mancanza di armi e di strutture, si aggiungono le forti diferenze ideo- logiche e sul modo di intendere e sviluppare l’azione di sabotaggio e di contrasto, oltre che sui progetti per il dopoguerra. Non mancano comunque i tentativi di collaborazio- ne e, specie nell’ultima fase della lotta di liberazione, si registra un maggior coordina- mento tra le diverse formazioni. Per questo si parla di “impegno unitario”, che sarà poi alla base dela ripresa politica nell’immediato dopoguerra.

95 Turpe: spregevole, ignobile.

122 3 - Una drammatica ricerca sulle Langhe

Nei pressi di Roddi un gruppo di tedeschi cade in un at- tacco partigiano. Segue lo spietato rastrellamento tede- sco. Mons. Grassi si mette all’affannosa e inutile ricerca del comando partigiano per la restituzione dei prigio- nieri, così da salvare i suoi “figli albesi”. Ripresentatosi davanti agli ufficiali tedeschi, offre la sua vita in cambio degli ostaggi. Ciò forse “toccò il cuore a quegli ingiusti” i quali concedono una dilazione per la continuazione delle ricerche.

RAPPRESAGLIA TEDESCA La brutta giornata per Alba venne col 25 Luglio. Poco prima delle ore 6 gente corsa affannata in Vescovado implorava l’inter- vento immediato del Vescovo. Aviatori tedeschi e delle S.S. Italiane, giunti poco prima, stavano facendo un rastrellamento che pareva spietato. Ero in Cappella che mi preparavo per la S. Messa, ma accorsi subito sulla piazza del Duomo per vedere e sentire di che si trattava. C’erano là infatti molti Ufficiali tedeschi e soldati che urlavano confusamente ordini a destra e a sinistra con voce secca e stentorea96. Mi presentai al Maggiore che comandava la spedizione pregandolo a dirmi come stavano le cose e domandando di poter intervenire nella triste faccenda per il bene della città. M’invitò fredda- mente a salire con sé e un Rastrellamento = perlustrazione attuata in gruppo di Ufficiali in Muni- modo sistematico in una zona determinata allo cipio e mi spiegò che due scopo di catturare persone in genere colpevoli di giorni innanzi i Partigiani, qualche reato. In tempo di guerra, i rastrellamenti servivano a catturare persone da imprigionare, de- dalle parti di Roddi, ridente portare o eliminare, ma anche a spaventare la po- paesino a pochi chilometri polazione, così che non aiutasse i partigiani. Molto da Alba, avevano preso 15 spesso durante i rastrellamenti si verifcarono atti tedeschi, lì di passaggio, brutali contro i civili, con furti, violenze, stupri, uc- appartenenti a un gruppo cisioni, incendi delle case, razzie o distruzione del di aviazione, assieme a 5 bestiame. Durante la resistenza il rastrellamento fu camions carichi di materia- una delle tecniche militari più impiegate dai nazifa- le: o interessarsi immedia- scisti per contrastare il movimento partigiano, sia in tamente alla restituzione di aree delimitate, sia con l’impiego di un gran numero uomini, camions e materia- di uomini e mezzi su aree molto vaste. In questi casi le con 12 ore di tempo o la potevano durare anche diverse settimane.

96 Voce stentorea: voce forte e potente.

123 fucilazione di 50 ostaggi sulla piazza del Rappresaglia = parola derivante dal latino prehendere, “prendere”, che Duomo e la deportazione di altri 100 in 97 in tempi antichi si riferiva al diritto di Germania. Allibii e avrei voluto parlare, prendere con la forza quel che era ri- ma il tono non ammetteva discussione. tenuto giusto per riparare a un danno Promisi subito che avrei fatto di tutto per subito. Nel Medioevo, questo diritto riuscire nell’impresa e pregai che mi des- era accordato ai singoli cittadini o a sero un mezzo di trasporto, chè ormai in una città, nel momento in cui doveva- Alba non se ne trovavano più. Si strinsero no in qualche modo rivalersi nei con- nelle spalle, ma intervenne l’Uff. Alexan- fronti di uno straniero che non aveva der Tid, che comandava il presidio tede- adempiuto ai propri obblighi. sco di Alba, offrendomi la sua «Aprilia» e Nel contesto di una guerra, la rap- partii con Mons. Vicario che nel frattem- presaglia si traduce in una ritorsione, in un’azione punitiva -talvolta anche po avevo fatto cercare. Questo Tenente, o di tipo violento- attuata per riparare Capitano che fosse, era uomo quieto che a un presunto torto. La violenza di aiutava ogni buona impresa e morì poi in una rappresaglia, nel contesto di un Alba, nella caserma Govone, mitragliato confitto, può toccare punte di gravità da aeroplani inglesi che vennero pochi estrema, tanto da apparire disumana, giorni dopo questo fatto a bombardare e con l’uccisione di decine di persone o mitragliare la caserma e la vicina ferrovia. la distruzione di città e villaggi. Che cosa potevamo fare se non af- fidarci alla Divina Provvidenza? Sapevo solamente che i tedeschi erano spariti verso Monchiero, passando per il bivio detto «cantina di Roddi». Partimmo dunque verso quella località, gui- dati da un buon borghese, perché non era possibile andare fra i Partigiani con un autista militare tedesco, ma le due case del luogo parevano sigillate ermeticamen- te; non un’anima che rispondesse alle nostre insistenti chiamate. Che fare?

Le tappe del viaggio del Vescovo: Roddi-Dogliani-La Morra Monchiero 97 Allibii: rimasi stupito e spaventato.

124 ALLA RICERCA DEL COMAND. MAURI Proseguimmo allora per Monchiero, dove all’osteria del passaggio a livello ci fu detto che due giorni prima erano passati di lì dei tedeschi con dei Partigiani diretti a Dogliani; null’altro. Le strade erano del tutto deserte; a Lequio Tanaro non vedemmo una sola persona e procedemmo per Dogliani. Pochi gruppi di persone sulla piazza principale, interrogammo il vicino Parroco di S. Paolo, non ne sapeva nulla, ma mandò gentilmente a chiamare un partigiano tutto armato, che gironzo- lava sulla piazza e questi, rispose alle nostre domande che tedeschi e patrioti erano passati con un camion a Dogliani, ma non sapeva dove fossero andati a finire forse al comando generale del Maggiore Mauri, però egli non poteva dirci dove si trova- va. Ed il Mauri era proprio la persona che intendevo cercare e interrogare. Il Magg. Enrico Martini che aveva assunto il nome di battaglia Mauri, Uffi- ciale di carriera e dello S.M. 98 apparteneva agli Alpini, aveva fatta tutta la guerra d’Africa, ma all’8 Settembre era rimasto fedele al Re e all’Esercito ed era venuto qui nelle sue terre d’origine a organizzarvi le formazioni partigiane che si chiamarono «badogliane», assumendo quel nome di battaglia che divenne celebre. Il Partigiano che non volle dirci dove fosse il Mauri, scrutata la nostra faccia da galantuomini, ci consigliò di andare al posto di blocco di Belvedere Langhe e dove forse avrebbero potuto darci indicazioni. Partimmo, ma nel paesino non trovammo posto di blocco; cercai del Parroco, era assente; della sua persona di servizio, anch’essa non c’era. Lì vicino si trebbiava e chiamato il padrone della ca- scina a lui domandai del posto di blocco. Non sapeva dove fosse, soggiunse però che c’era un Partigiano a sorvegliare la trebbiatura e avrebbe potuto dirci qualcosa. Chiamò il giovanotto e questi senz’altro si profferse99 d’accompagnarci fino al Co- mando Mauri, ma non disse dov’era, né dei tedeschi seppe dirci qualcosa.

Il viaggio del vescovo Roddi-Dogliani-La Morra Monchiero

98 S.M.: Stato Maggiore. 99 Si profferse: si offrì.

125 ENRICO MARTINI MAURI Mondovì (Cuneo) 29 gennaio 1911 Antalya (Turchia) dicembre 1976

Dopo la maturità classica frequenta l’accademia militare di Modena. Ufciale degli alpini par- tecipa alla guerra in Africa orientale e poi, allo scoppio della Seconda guerra mondiale, fa parte dello Stato Maggiore del Comando superiore in Africa settentrionale. Decorato sul campo nelle battaglia di Marmarica e di El Alamein, rientra in Italia nel ’43. Al momento dell’armistizio partecipa alla difesa Mauri ad Alba nell’ottobre ’44 di Roma, quindi si sposta in Piemonte. Pone la propria esperienza militare al servizio della lotta partigiana organizzando le brigate “Autonome” nelle Langhe, nel Cuneese e nel Monferrato. Di idee mo- narchiche, “Mauri” - questo è il suo soprannome di battaglia - comanda i cosid- detti “badogliani”. Sono partigiani fedeli al giuramento prestato al re e sono rico- nosciuti dal Comando Alleato. Diferenziandosi dalle altre formazioni partigiane, schierate politicamente in modo netto, gli autonomi sono, secondo le parole di Mauri, “alpini reduci di Russia, operai torinesi, marinai liguri, professionisti” e in loro è presente “l’amore grandissimo per la Patria come comunità di italiani in una comunità di nazioni”. Nell’estate del ’44 arrivano a contare circa 10.000 uomini inquadrati nel I Gruppo Divisioni Alpine ed operanti in tutto il Piemonte meridionale. Nell’ottobre è a capo della zona libera con capitale Alba che comprende una vasta area della Langa. Il 2 novembre però la città è riconquistata dai nazifascisti. Nella primavera del ’45 gli autonomi di Mauri prendono il controllo di , Mondovì, , Alba ed entrano a Torino il 27 aprile. Ottiene la medaglia d’oro al valor militare come “Animatore primo della resisten- za …” dimostrando “di possedere ... maturità di giudizio, capacità organizzativa, equilibrio, energia, fraterno e sentito interessamento, tanto da essere molto favo- revolmente ricordato, anche a distanza di anni.”. Viene insignito della Bronze Star statunitense e della Croce d’Oro polacca. Dopo la guerra è designato nella Consulta Nazionale, che imposta l’attività am- ministrativa e legislativa in vista della Costituente. Nel 1947 lascia il servizio attivo nell’Esercito italiano. Si laurea in giurisprudenza e diventa dirigente d’azienda. Assume diversi incarichi di coordinamento a livello internazionale di associazioni resistenziali (URPE, UIRD). Muore in Turchia in un incidente aereo. Tra le sue opere sulla Resistenza, “Partigiani Penne nere” (Mondadori, Milano, 1968). Ha diretto la rivista “Risorgimento”, periodico di storia contemporanea dedicato alla resistenza.

126 SU E GIÙ PER LE LANGHE Partimmo, trovammo presto un posto di blocco partigiano e poi via, via, un certo numero di altri e di borgate sperdute nelle Langhe fino a che arrivammo a Muraz- zano, grosso comune dell’alta Langa. Là fummo subito circondati da un nugolo100 di Partigiani che volevano senz’altro requisirci la macchina, ma saputo che ero il Vescovo di Alba e quale era la mia missione desistettero101 e anzi telefonarono al comando Mau- SJQFSTFOUJSFTFJM.BHHJPSFDFSBFBOOVO[JBSHMJJMNJPBSSJWP'VSJTQPTUPDIFBOEBTTJ Giri e rigiri per quei amenissimi102 colli e finalmente poco dopo oltre la borgata Ghigliani di Clavesana s’arrivò al Comando. Era a ridosso d’un colle in una modesta casa solitaria tra le vigne: molti soldati, parecchi Ufficiali, tra cui un americano sfug- gito ai tedeschi e niente meno che un Ammiraglio della R. Marina. Il Mauri che era in ispezione alle sue formazioni, arrivò dopo una mezz’ora di attesa, ma anch’egli, come tutti colà, ci disse che non ne sapeva nulla, che la cosa non era stata coman- data da lui e che forse ci avrebbe giovato inoltrarci ancor più nella Langa e interrogare un comando che stava fino alla Pedaggera, la bella strada che attraversa il saliente più alto delle Langhe e interrogare il Comando di colà o anche un altro, autonomo, che aveva a capo uno slavo, un certo Eugenio. Ripartimmo e trovammo al comando della Pedaggera due giovani Ufficiali che erano due Presidenti di Ass. Cattoliche, ma senza poter sapere qualcosa di più e lì attendemmo che la macchina con uno d’essi tornasse alla ricerca dello slavo che fu trovato per via, ma senza avere alcun risultato per la nostra indagine. Mi si consigliò di andare ancora a S. Benedetto Belbo da una squadra garibal- dina che poteva aver fatto il colpo. Erano ormai molte ore che si correva; a S. Bene- detto facemmo subito ricerche del Comandante garibaldino, che stava assai lontano dall’abitato e mentre lo si attendeva la bontà di quell’arciprete ci rifocillò. Il giovane

San Benedetto Belbo

100 Nugolo: un gran numero, una moltitudine. 101 Desistettero: rinunciarono, lasciarono perdere. 102 Amenissimi: piacevolissimi, bellissimi.

127 comandante, chiamato Nanni e che divenne pochi mesi dopo celebre come coman- dante di Brigata della Divisione Garibaldina «Langhe», arrivò sudato e trafelato103, ma purtroppo anch’egli non sapeva nulla. Era quello il IX tra comandi e posti di blocco che interpellavamo ed è facile immaginare come via via che si procedeva senza veni- re a capo di qualcosa aumentasse il mio timore di non riuscire nell’impresa, reso più pungente dal pensiero delle conseguenze che attendevano i poveri miei figli albesi. Avrei dato molt’anni di vita per tornare a casa con qualche filo di speranza! Che fare davanti a un sì persistente mistero? Ci rimaneva appena il tempo per arrivare ad Alba prima della esecuzione minacciata e tentare ancora se fosse possibile qualche altra via di uscita dalla triste sorte. Partimmo ed arrivammo ad Alba dopo le ore 17.

Il comandante partigiano e il Vescovo

“Due giorni dopo, rientrando da una ricognizione, trovo ad atten- dermi, nell’aia di un cascinale sopra Clavesana, dove si è sistemato il comando, due sacerdoti. Uno è alto, magro, dal viso grave, pensoso; l’altro è di statura inferiore alla media, grassottello, con uno sguardo dolce e paterno. L’accostamento fa risaltare maggiormente la diferen- za fsica tra i due preti. Avvicinandomi mi accorgo però, ma solo dal cordone del cappello, che il più piccolo è un vescovo. Sono infatti il vescovo di Alba, mons. Luigi Grassi, e il suo vicario, mons. Gianolio. È la prima volta che li incontro, ma ne conosco perfettamente i senti- menti e so che sono due grandi amici della nostra causa. So che nella curia di Alba i partigiani hanno un centro di assistenza e un asilo sicuro. So anche che mons. Grassi ha già preso più volte, di fronte alle autorità tedesche e fasciste, atteggiamenti fermi e risoluti in difesa della popolazione angariata, nonchè di molti partigiani caduti prigio- nieri.” [segue il racconto della trattativa riguardante gli ostaggi albesi e soldati tedeschi catturati; il testo ricalca quanto riportato da mons. Grassi nel suo diario]. Dal E.Martini Mauri, Partigiani Penne Nere, pp. 103-4.

103 Trafelato: affannato, ansante.

128 IN ALBA Sulla piazza della Cattedrale ci si presentò subito agli occhi uno spettacolo spaventoso. Gli ostaggi stavano incolonnati per quattro e dietro di essi grossi ca- mions, ruggivano, già carichi di deportandi e pronti alla partenza. Mi sentii quasi venir meno. In municipio, nella sala del Podestà, m’attendevano tutti gli Ufficiali tedeschi, ai quali con un nodo alla gola riferii la inutilità del mio tormentoso e lungo viaggio e allora io e Mons. Vicario offrimmo la nostra vita in cambio di quella dei miseri ostaggi; e forse Iddio toccò il cuore a quegli ingiusti colla nostra offerta, perché alla mia preghiera di concedere una dilazione104 per ulteriori ricerche acconsentirono, alla condizione che ripartissi subito, ma che prima facessi raccogliere la gente in Duomo e dicessi parole di calma per evitare atti inconsulti105 e perciò conseguenti repressioni e castighi. Erano sinceri o tutto ciò nascondeva qualche trama? Quello che è certo è che lasciatici ripartire, tetragoni106 alla loro mai smentita slealtà, fecero salire sui camions gli ostaggi e li portarono via. Uscii dal municipio col cuore gonfio e quando passai vicino agli ostaggi e vidi i loro occhi tristi e lacrimosi e udii che mi domandavano una benedizione prima di partire, non potei più trattenermi e scoppiai in un pianto convulso. Intanto al richiamo delle campane erano accorse molte donne nella vasta Cattedrale; e gli uomini e i giovani scampati al rastrellamento o erano fuggiti lon-

104 Dilazione: rinvio, proroga. 105 Atti inconsulti: atti avventati, imprudenti, sconsiderati. 106 Tetragoni: fermi, irremovibili.

129 tano o stavano ben nascosti un po’ dovunque, ne trovai perfin uno disteso nell’im- piantito del pulpito. Salito su questo per parlare, ciò che io abbia detto non ricordo più; il Duomo era tutto un angoscioso singhiozzo, un sussurro accorato e più d’una donna svenne. Parlai col pianto in gola, poi scesi a confortare tanto dolore e appena la macchina fu pronta ripartimmo. Il sole era vicino al tramonto. Dove fare nuove ricerche se tutti i comandi partigiani, perfino il più alto, quello di Mauri, non ne sapevano nulla? Confesso che tante negative mi parevano non sincere, tanto più che a fianco della chiesa dei Ghigliani avevamo visto un grosso camion, che pareva carico di telai di aeroplani; ma come potevo contestare quanto da tutti mi si diceva? Con queste ansie in cuore decisi, non sapevo neppur io perché, di rifare la stessa strada e fu ispirazione del Signore, che, attraverso a un mio involontario errore di valutazione sull’incontro tra tedeschi e Partigiani e a una frase conven- zionale di questi, avrebbe guidato tutto a buon fine.

PREZIOSE INFORMAZIONI Alla cantina di Roddi, dove inutilmente eravamo passati al mattino, c’era una donna fuori di casa; fermammo per interrogarla. Intanto altre persone, visto il Vescovo attraverso le persiane e rassicurate anche perché nella giornata non era loro successo nulla, uscirono a conversare, e due donne della casa, che asseri- vano107 aver visto coi loro occhi, narrarono l’incontro così: erano arrivati prima i Partigiani con un automezzo da La Morra, s’erano fermati, e scesi s’erano adagiati lungo i fossi ai lati della strada. Eran pochissimi; dopo pochi minuti ecco spunta- re dallo stradale di Alba due camions coi tedeschi, sparato un colpo per parte, i tedeschi alzarono subito le mani mentre i Partigiani accorrevano, scesero tutti dai camions, strette di mano, scambio di sigarette e partenza di tutti, come ci si disse poi, per la Morra, Monchiero, Lequio e Dogliani, facendo parecchie stazioni alle varie osterie. A Dogliani se ne erano perdute le traccie. Il racconto così semplice delle donne mi fece congetturare108 che tra tede- schi e Partigiani ci doveva essere stata un’intesa, dato che le cose erano corse con tanta tranquillità, io ne gioii di questa congettura e non riuscii più a staccarmene e fu il mio argomento di vittoria, ma le cose erano andate ben diversamente come seppi quasi un anno dopo, nel Maggio 1945, prima dai due Partigiani che vi ave- vano preso parte e poi da chi aveva comandata personalmente l’azione. I Partigiani di La Morra avevano saputo che il 23 Luglio alla cantina di Roddi dovevano passare dei tedeschi con materiale d’aviazione, decisero d’attaccarli, non sapendone nep- pure il numero e li attesero in quei pressi, pronti a tutto. Arriva la colonna tedesca e i pochi Patrioti, armati fino ai denti, non s’intimorirono, ma si presentarono, a

107 Asserivano: affermavano, dichiaravano. 108 Congetturare: ipotizzare, supporre, immaginare –congettura: ipotesi, supposizione.

130 tagliare loro la strada; ai camions, che dovevan rallentare per la forte curva della strada, intimarono la resa, gridando ai tedeschi che erano circondati d’ogni parte e che era inutile ogni resistenza. I tedeschi erano 14 ed avevano con loro un in- terprete italiano che passò poi ai Partigiani. Non spararono neppure un colpo e s’arresero subito, compirono le tappe che dissi sopra e furono poi fucilati tutti 14 alle ore 3,30 del giorno seguente in territorio di Camerana. La mia congettura, condivisa da Mons. Vicario era evidentemente un er- rore, ma in piena buona fede senza dubbio e fu lo strumento che la Divina Provvi- denza mise nelle mie mani per salvare 153 innocenti. Ma ripigliamo il racconto. Lieti di queste prime notizie, proseguimmo per Monchiero e Lequio in cerca di migliori, se era possibile. Per via incontrammo un carro di fieno guidato EBVOHJPWJOPUUPJODPNQBHOJBEJVOVPNPFEJVOCJNCP'FSNBNNPFEPNBOEBJ al giovane se sapeva qualcosa di tedeschi passati di lì due giorni innanzi con dei Patrioti. Ci squadrò diffidente, ma rassicurato dalla mia presentazione e dalle mie insegne vescovili rispose di sì e alla mia domanda se a Lequio ci fosse un comando partigiano che potesse dirci qualcosa in merito, rispose di andare sulla piazza del- la chiesa di Lequio e colà, nell’unica osteria che c’è, avrei trovato due si- gnori giunti da poco, i quali avrebbero potuto dircene qualcosa. Ringraziammo e via di corsa. All’osteria, cosa strana in un giorno feriale e in un paesetto, c’era un po’ di folla, ma non ce ne curammo; do- mandai solo se eran giunti da poco Narzole due signori da Torino. I due molto compiti ed eleganti, udirono, senz’altro si presentarono e sentito che cosa volevo sapere il perché mi indicarono d’andare a Dogliani, all’albergo Venezia, su una piazzetta con grossi alberi, a destra del torrente Rea e domandassi di un certo DPNBOEBOUF'SBODP VOGSBODFTF DIFNBWSFCCFGPSOJUPJOEJDB[JPOJTJDVSF Eravamo dunque su la buona strada e Deo gratias. Intanto era scesa la notte e pensammo di passare prima a Narzole, grosso borgo di commercianti nella mia Diocesi, a domandare un po’ di cena a quel Prevo- sto, che ci accolse con ogni premura e ci servì di quanto aveva e come comportava la nostra fretta. Intanto s’era adunata molta gente a salutare il Vescovo, tra gli altri il Col. Gancia, che avevo conosciuto poco prima in Alba comandante del 43o'BOUFSJB  il quale mi pregò di lasciarlo venire con noi, conoscitore sicuro di strade poco note e desideroso d’incontrarsi coi Partigiani di Dogliani. Partimmo; buio pesto, ma con la guida del Gancia per vie non solite e polverose arrivammo finalmente a Dogliani senza che alcuno ci avesse fermato per strada, mentre al mattino, ad ogni svolta

131 importante di strada, dovevamo fermarci dinnanzi a fu- cili spinati e rispondere a cento interrogazioni. Davanti all’albergo e dentro si trovavano molti Partigiani i quali, inteso chi eravamo e quale il nostro scopo, furono pie- ni di premure e ci dissero che il comandante che cer- DBWBNP DIFTJDIJBNBWBWFSBNFOUF'SBODP FSBNPMUP MPOUBOP BMMF3PDDIFEJ'BSJHMJBOP NBDIFTFBWFTTJNP prestata loro la macchina sarebbero andati a prenderlo e l’avrebbero portato da me. Un mese prima Partigia- ni Garibaldini avevano avuto nello stesso modo la mia macchina e non la vidi più. Ero riluttante ma la causa meritava ogni rischio ed essi mi garantirono che ad ogni costo sarebbero tornati con la macchina; difatti, dopo un tempo che mi parve eterno a passeggiare su e giù per la piazza e sul ponte del Rea col Colonnello, arrivarono Giovanni Latilla (“Nanni”, a la mia e altre due macchine piene di Partigiani. Mi pre- sin. nella foto) a capo delle garono di andare all’albergo con loro, fecero sgombrare formazioni garibaldine, con Pompeo Colaianni (“Barbato”) una sala e ci trovammo in una ventina di persone, tra cui il comandante francese che aveva combinata l’azio- ne della cantina di Roddi. I Partigiani erano tutti giovanissimi e si chiamavano, come era uso tra di loro, con nomi di battaglia. Tra essi c’era il leggendario Lulù, francese di nascita ma originario delle Langhe; pareva avesse 18 anni, taciturno, bello d’aspetto e bruno, corretto nei modi, con lo sguardo profondo e triste. Si diceva che volesse WFOEJDBSFTVBNBESF TVPQBESFFTVPGSBUFMMPVDDJTJJO'SBODJBEBJUFEFTDIJ EPQP aver loro bruciata la casa, che avesse giurato di ucciderne 300 e che già ne avesse sulla coscienza 262. Ma chi poteva controllare tanti omicidi? Si narrava che avesse fatto burle atroci ai tedeschi, che travestito nei modi più impensati e più difficili a scoprirsi fosse riuscito a sapere e fare cose incredibili, che nei pericoli di battaglie vi si gettasse a capofitto su una fantastica moto guidandola coi piedi scalzi sul manubrio e sparando col mitra in ogni senso, che comparisse e scomparisse in auto, in moto, in bicicletta, su calessi come un fulmine e mille altre diavolerie. Morì poi ucciso, 5 o 6 mesi dopo a Benevagienna per un banale incidente e fu sepolto solennemente a Monforte di Alba.

 .BJMDPNBOEBOUF'SBODPFSBSJMVUUBOUFBQBSMBSFFSJVTDJJBTUFOUPBTUBQ- pargli tratti del fatto; ma finalmente, un po’ da lui e un po’ dai suoi compagni, dopo aver promesso che non avrei rivelato né nome di persone né di località, se non ebbi un racconto preciso ebbi però la conferma del racconto delle donne alla cantina di Roddi, concludendo anch’essi, di parola in parola, che i tedeschi si era- no dati nelle loro mani tranquillamente.

132 C’era stata un’intesa antecedente? A questa domanda la risposta era eva- siva e confusa, ma da tutto un assieme di reticenze109 e di vaghe affermazioni io mi confermai nell’errore che un’intesa precedente ci doveva essere stata.

«PORTATI IN LIGURIA» All’altra domanda poi che cosa ne era stato dei tedeschi, mi risposero che per disposizione dei loro Superiori li avevano «portati in Liguria». Prego il lettore a ricordare bene questa frase. Era già scoccata da tempo la mezzanotte quando uscimmo dall’albergo e nell’uscire mi s’accostò un Partigiano e mi disse all’orecchio: «io le dico la verità; li abbiamo fucilatix'VJQSPGPOEBNFOUFUVSCBUP NBQPUFWPDSFEFSFBEVOBWPDF così isolata? Come già dissi, solo dieci mesi dopo, il 7 Maggio 1945, venivo a co- noscere che quel Partigiano aveva detto la verità. E qui viene naturale la domanda: perché non mi si era detta la verità? Possibile che tra tutti i parecchi comandi da me interrogati prima, non ce ne fosse uno solo che conoscesse il fatto? La risposta è facile se si pensa che in quei mesi si stava organizzando saldamente l’azione partigiana e nello stesso tempo la repub- blica di Mussolini formava quei reparti antipartigiani che raccoglievano elementi i più spregiudicati e pronti a qualunque malefatta e che i Partigiani da parte loro avevano necessità di eliminare il maggiore numero di nemici, di ingannarli più che potevano, e non solo ma avevano anche la necessità di nascondere meglio che potevano uomini, cose, fatti e luoghi per evitare il maggiore numero di attacchi e di disturbi alla loro preparazione, ai loro in- quadramenti e ai loro piani. Nel mio caso essi non diffidavano affatto del Vescovo ma poiché il tacere era sempre più pru- dente, essi avevano tutto da guadagnare ad entrare nel mio ordine di notizie, anche se errate, perché si prestavano a indurre in Bra errore i tedeschi che perciò non avrebbero avuto pretesti di agire né contro di loro, né contro altri. Per questo lasciarono che io restassi nel mio errore; ne avevano tutte le convenienze ma è sempre vero il detto di Bossuet che gli uomini si agitano e Dio li guida. Era dunque quasi l’una dopo mezzanotte ed era supponibile che ad Alba qualcuno attendesse ancora, ma pensammo che sarebbe stato meglio andare pri- ma a Bra per riferire al comando tedesco che i 15 tedeschi essendosi dati ai Patrioti volontariamente e con un’intesa antecedente, non c’era più ragione di trattenere gli ostaggi.

109 Reticenze: vaghezze, ambiguità.

133 DAL CAP. WESSEL Così decidemmo e allora tornammo per le stesse strade nascoste a Narzole, dove presso il Parroco pernottammo. Anche lì però qualcuno aveva vegliato fino a quell’ora perché al mattino, quando celebrai la Messa, era già corsa la voce del mio ritorno e la chiesa era gremita di fedeli per sentire la Messa del loro Vescovo. Prima delle 9 eravamo già a Bra, dal comandante tedesco della piazza, il Dott. Wessel, ch’era stato poco prima a farmi visita d’omaggio in Alba e che trovai sempre compiacente e pronto ad aiutarmi. Da lui seppi cose che rafforzarono il mio piano per ottenere la liberazione dei 153 albesi. I tedeschi che avevano preso gli ostaggi appartenevano al campo d’aviazione di Levaldigi (Savigliano), com- posto di Uff. tedeschi e di truppa delle S.S. Italiane; non avevano nessun diritto di operare in Prov. di Cuneo e specificatamente nell’Albese senza il benestare del comando di Bra e per conseguenza di quello superiore di Cuneo, e non avevano domandato nessun permesso. Il Wessel che già sapeva qualche cosa degli ostaggi albesi aveva data per telefono una buona lavata di capo al Maggio- re tedesco prima ancora del mio arrivo, inoltre mi lesse un breve rapportino pervenutogli, non palesò110 di dove, nel quale si di- ceva che i soldati tedeschi erano stati già portati a S. Remo, il che confermava quanto pur era stato Bra, via Audisio, Istituto Tecnico - La città era sede detto a me nella notte dal Capo- del comando tedesco con a capo il capitano Wessel. QBSUJHJBOJ  JM GSBODFTF 'SBODP 4F Questi mantenne una condotta moderata verso la il Wessel avesse saputo che cosa popolazione, al punto da suscitare nei gerarchi voleva dire in linguaggio partigia- fascisti sospetti di connivenza con i partigiani. Nell’aprile del ’45 fu al centro di una trattativa con no mandare uno a S. Remo o in i comandanti dei partigiani autonomi di Mauri Liguria, le cose si sarebbero svol- te ben diversamente! Dieci mesi dopo io lo venivo a sapere da fonti diverse partigiane; essere portati a S. Remo o in Liguria era una loro frase convenzionale che significava venire uccisi. Il mio racconto confermò quanto egli mi disse, sicchè egli pure si persuase che i tedeschi s’erano dati nelle mani dei Partigiani volontariamente e di conse- guenza che non c’era diritto di trattenere ostaggi e mi promise che quelli che «non erano di leva» sarebbero stati rilasciati. Ma io non ero contento; io li volevo tutti gli ostaggi, perché, povero ingenuo, sostenevo che tale arresto non era legale né per la sua causa né per l’autorità che l’aveva compiuto. Lo dissi al Cap. Wessel, che sorrideva a sentir parlare di legalità, quando anche la repubblica di Mussolini aveva

110 Palesò: rivelò.

134 accettato in pieno il Di- ritto tedesco, che non era già il nostro roma- no-cristiano, ma quello della jungla. Tuttavia egli fu pieno d’inco- raggiamento per la mia idea di andare a Cuneo a riferire al Comando superiore e a tentare Castello di Pollenzo, sede del comando tedesco d’ottenere tutto quanto io volevo, e mi promise di prevenire benevolmente del mio arrivo il Col. Segger, comandante tedesco di tutta la Provincia di Cuneo. Ottenni pure da lui che tele- fonasse agli Ufficiali tedeschi in Alba, che attendessero il mio ritorno, a qualun- que ora fosse. E partimmo per Cuneo. Là fummo ricevuti con tutta deferenza e il Segger, attraverso l’interprete, mi ascoltò attentamente. Mi parve un uomo retto e stanco della guerra; nel suo orrendo italiano ci disse che la guerra gli aveva tolto la casa e dispersi la moglie e i figli, dei quali da molti mesi non aveva più notizie. Si convinse anch’egli della mia tesi sulla resa volontaria, accettò anche quella della ingiustizia degli ostaggi e mi promise che avrebbe dato ordine di liberazione di tutti, compresi quelli di leva. Lo avrei abbracciato. Mandò subito per un Tenente, a cui in presenza mia e del Vicario diede ordine di partire subito per Pinerolo a far rilasciare gli ostaggi che erano stati portati colà.

Manifesto di propaganda della RSI Manifesto di propaganda della RSI sulla amicizia italo-tedesca dedicato alla Divisione “San Marco”

135 Repubblicano = dopo l’arresto di Mussolini e la caduta del regime fascista (25 luglio 1943), il governo italiano guidato da Badoglio e dal re Vittorio Emanuele III stipula l’armistizio con gli alleati (8 settembre 1943). Segue la divisione dell’Italia in due parti: Il Regno del Sud e la Repubblica Sociale. Dopo lo sbarco in Sicilia de- gli anglo-americani (10 luglio 1943) le regioni del Sud, progressivamente occupate dagli Alleati, restano sotto la sovranità del re e del governo Badoglio: è il Regno del Sud con sede a Brindisi e poi a Salerno; in cui si ricostruisce anche un nucleo dell’esercito, che combatte con gli Alleati; l’amministrazione italiana è strettamente controllata dagli anglo-americani (con la struttura chiamata AMGOT). Dall’altra parte, nel centro-nord, i tedeschi hanno rapidamente occupato il territorio e, dopo l’8 settembre 1943, deportano in Germania gran parte dell’esercito italiano dislo- cato in Francia, in Grecia e nei Balcani (oltre 800.000 soldati). Liberato Mussolini, creano sotto di lui un governo fantoccio, la Repubblica Sociale Italiana (RSI), con sede a Salò, sul lago di Garda. Questo nuovo stato utilizza nel centro-nord Italia tutta la rete amministrativa statale e provinciale precedente e tenta di riorganizzare il partito come PFR (Partito Fascista Repubblicano), con a capo Mussolini, segretario A. Pavolini, sede centrale a Milano. Mussolini cerca di trovare consenso in nome dell’onore della patria, dell’alleanza con il nazismo e del- la lotta contro il tradimento del Re e di Badoglio. Di fatto, però, raccoglie adesioni molto limitate nella popolazione, stremata dalla guerra e ormai delusa e difdente verso il fascismo. La RSI dipende quasi del tutto dai tedeschi ed anche per questo i combattenti di Salò, per disprezzo, sono chiamati “repubblichini”. Alcuni storici utilizzano anche il termine “saloini” (con riferimento alla capitale Salò).

La RSI organizza diverse formazioni militari: oltre ad Esercito, Aeronautica e Marina, viene costituita la Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) e le “Briga- te Nere” espressione degli iscritti al Partito Fascista, impiegate nella lotta contro i partigiani. A esse si af- fancano altre formazioni speciali militari e di polizia (come la “Legione Muti”) Inoltre viene costituito il Servizio ausiliario femminile, corpo militare di sole donne. Alle dirette dipendenze dei tedeschi è infne la Divisione delle SS italiane, impiegata sia al fronte che nella repressione antipartigiana.

Manifesto della RSI dedicato alla “Legione Muti”

Bandiera della RSI

136 4 - Il ritorno degli ostaggi

La resa volontaria ai partigiani di 15 tedeschi, rende ille- gale il trattenere 153 ostaggi. Il vescovo si reca a Cuneo dal prefetto Galardo per ottenere assicurazione circa la liberazione degli albesi ingiustamente trattenuti. Vengo- no liberati, ma non tutti: 32 di loro sono condotti a To- rino. Bisogna ripartire alla loro ricerca per una “vittoria completa”.

FREDDO INCONTRO COL PREFETTO GALARDO Ma a questo punto devo scrivere una brutta pagina. Col cuore pieno di gioia per il pieno risultato ottenuto dubitavo tuttavia della lealtà tedesca e pensai di parare anche questo possibile imprevisto. Credetti, e con me Mons. Vicario, che se avessimo interessato il Prefetto di Cuneo alla questione, senza dubbio egli l’a- vrebbe seguita attentamente e non avrebbe tollerato una mancanza di parola così alta. Anche qui fui ingenuo. Il Prefetto era un certo Antonio Galardo e lo si diceva venuto dall’America a far la guerra con Mussolini; gli avevano dato una di quelle facili medaglie d’oro di cui era tanto generoso il fascismo e nella Milizia, dov’era arruolato, divenne presto un pezzo grosso e non essendo più un giovinotto e do- vendo metterlo in alto lo fecero Prefetto, anche se di preparazione ne aveva tanta quanta un bifolco111. Ma tant’è; il sistema fascista di mettere ai posti di respon- sabilità era tale. Comunque ci ricevette molto freddamente, sentì tutto ciò che gli dicemmo e con nostro indignato stupore ci disse: «Mah! se il Comando tedesco l’ha promesso, manterrà la parola e non è il caso che io intervenga». Come se la vita di 153 italiani fosse come un qualche chilogrammo di patate contrattate. E si trattava infine dei suoi amministrati! Ci alzammo altrettanto freddamente e ce ne andammo molto stupiti che si potesse essere così incoscienti delle proprie mansioni in un posto così elevato e così colmo di responsabilità. Ma la gioia di aver tutto ottenuto e la trepida speranza che il Segger non tradisse la parola data erano sì vive che l’amarezza del contegno del Prefetto presto si dileguò e partimmo per Alba, dove arrivammo alle 14.30. Eravamo stanchi, mor- ti, ma felici. Si pensi che eravamo in ballo da più di 30 ore e, eccettuato pochissi- mo tempo per prendere affrettatamente un po’ di cibo e poche ore tra trattative e riposo, avevamo sempre corso e si erano fatti 1300 Km. Segnati e controllati sul tachimetro, spesi in giri e rigiri per le Langhe e nelle pianure della Provincia, per strade e stradette impervie e poco note anche agli autisti di mestiere. E non eran

111 Bifolco: ignorante, cafone.

137 mancati serii pericoli e quanti alt! im- provvisi e quanti fucili spianati, nascosti agli angoli delle strade! Ad Alba, gli Ufficiali tedeschi, che avevano avuto l’ordine dal Comand. Wessel di attendermi a qualunque ora arrivassi, aspettavano altezzosi ed im- bronciati in municipio. Vollero subito sapere per prima cosa perché fossi an- dato a Bra ed io risposi secco: «perché ciò era nel mio interesse». E senza attendere altro riferii in poche parole l’esito vittorioso del lavoro Alba - Comune fatto, non trascurando di far notare l’ille- galità del loro atto e battendo ben chiaro sulla convinzione dei Superiori che la resa era stata volontaria. Il Maggiore capì allora di aver perduta la partita, e con accento irato, disse che avrebbe ancora telefonato a Cuneo. Che non credesse alle mie parole? Telefonò, ma tanto io come Mons. Vicario notammo che la conversazione, durata una buona mezz’ora e cominciata a voce alta e arrogante, divenne pian piano più calma e finì in tono dimesso112.

INTERROGATORIO DA PARTE DEI TEDESCHI Dopo di che il Maggiore tentò ancora un giuoco; parlò con un Capitano e un Tenente tedeschi che vennero a sedersi di fronte a me dicendomi che essi mi dovevano interrogare. Tutti gli altri Ufficiali si disposero in cerchio attentissimi. Mi parve di trovarmi nella condizione di una povera fiera113 che nella boscaglia sente il vicino accorrere dei segugi e lo scalpitar del trotto dei cavalli che la vogliono vit- tima a tutti i costi. Intuii che mi si voleva prendere in contraddizione o almeno in parola e mi posi di colpo sul chi va là, preparando in tutta fretta un piano di difesa. Il Capitano parlava molto bene l’italiano, il tenente piuttosto male ma in compen- so era più intraprendente e scaltro. Cominciò il Ten. dal volto duro e sfregiato di cicatrici che provenivano probabilmente dai famosi duelli studenteschi in uso in Germania. Mi fissava con insistenza e cominciò con un predicozzo a cui seguì una fila di domande dalle quali capii che non m’ero ingannato sulle sue intenzio- ni, ma non riuscì né a prendermi in contraddizione né in parola. Alle traduzioni dell’interprete leggevo sul viso degli altri dispetto e delusione. Il Ten. s’alzò non nascondendo d’essere molto seccato e gli subentrò il Capitano un uomo basso, biondissimo, sui 40 anni. Ma anch’egli non venne a capo dei suoi intendimenti,

112 Dimesso: basso, sommesso. 113 Fiera: animale selvaggio.

138 pur rispondendo io a tutte le sue domande, tra l’attenzione tesa di tutti i presenti. Quando capirono che l’insistere era inutile, allora ad un cenno, pieno di dispetto, del Maggiore, salutarono appena e scomparvero. Mi parve di essere scampato da un grave pericolo, ma quando fui sulla piazza e vidi la gente a far ressa114 attorno a me e a tranquillarsi e a lacrime di gioia alle mie assicurazioni, dimenticai stanchezza e pene, parendomi di ringiovanire. Come ringraziai di cuore la Divina Provvidenza!

ARRIVANO GLI OSTAGGI … MA NON TUTTI Intanto in serata, con gran giubilo di tutti, arrivarono da Pinerolo quasi tutti gli ostaggi del giorno innanzi, ma più tardi, a conti fatti, ci s’accorse che ne mancavano trentadue e si seppe che mentre si faceva l’appello per l’uscita dal campo di Pinerolo, un Ufficiale diede improvvisamente l’ordine che un ultimo gruppo doveva partire per Torino. Non riuscii mai a sapere di dove fosse partito tale ordine. Che sia stata una vendetta preparata frettolosamente dagli Ufficiali di Levaldigi? Lo ignoro, ma ad Alba non ci si acquietò e fu deciso di ricorrere all’Alto Comando tedesco di Torino. Per l’opera solerte della Dott. Vera Silvano si fece subito la statistica dei mancanti e si pensò di qualificarli tutti, anche chi non lo era veramente, come operai di ditte protette dal Governo tedesco. Così se la promessa di liberazione fatta a Cuneo non avesse avuto valore, a Torino si aveva un altro buon argomento per tentare il salvataggio dei residui 32 ostaggi; era un gioco un po’ pericoloso, ma trattandosi di salvare degli innocenti e di vincere un’ingiustizia palese e crudele, qualche santo avrebbe aiutato. Intanto ci fu assicurato che i poveri albesi erano alle «Casermette» in Borgo S. Pa- olo a Torino. Ma l’aver la do- cumentazione chiara di tutti i 32 non fu cosa svelta a farsi come è facile a dirsi e così non si potè partire che all’in- domani, 27 luglio alle ore 15. Anche questa volta fu il Comm. Tedeschini, Di- rettore dell’Istituto agrario «Umberto I» a provvederci la macchina; la benzina venne Alba - Istituto Agrario con grande fatica a piccole dosi da varie fonti. Da questo giorno, il trovare mezzi per viaggiare e soprattutto carburante sarebbe diventato un’impresa eroica per davvero.

114 Far ressa: fare calca, affollamento di gente che preme.

139 ALLA RICERCA DEI MANCANTI A Torino andai con la signora Silvano, che generosamente portava agli ostag- gi una cesta con ogni sorta di bene di Dio. Per causa del ponte rovinato sul Tanaro dovemmo fare il lungo giro del traghetto di Barbaresco e così, tra l’allungamento del tragitto, le continue fermate a cui ci obbligavano ora i Partigiani ed ora i repubblicani, i molti giri e rigiri per le vie di Torino, ostruite ad ogni passo da filo spinato e da cavalli di 'SJTJB FVOBGFSNBUBB$BSJHOBOPQSFTTPJM$PNN#POBQFSBWFSCFO[JOBFJOEJDB[JPOJ sul Comando tedesco a cui volevamo rivolgerci, arrivammo a Torino alle ore 19. Nor- malmente in un’ora si va da Alba a Torino; noi ne avevamo impiegate quattro. Gli uffici degli Alti Comandi di corso Oporto erano chiusi da pochi minuti; tuttavia non disperammo. La sentinella che ci aveva data la poco confortante notizia, sen- tendo che cercavamo del Cap. Kort, segnala- toci dal Comm. Bona, ce lo indicò mentre at- traversava in quel momento il Corso Oporto a duecento metri di distanza da noi. La signora Silvano accorse, lo raggiunse ma non era lui; però quel capitano fu così gentile da assicurar- la che il Kort era certamente ancora in ufficio. La sentinella, riferitole ciò, ci lasciò entrare nel palazzo indicandoci di cercarlo al II piano. Non lo trovammo più, ma c’era il suo segretario, un ufficiale molto garbato che ri- cevette bene, parlando discretamente l’italia- no e che ascoltò attentamente il nostro espo- Torino, zona delle Casermette sto, la storia della resa dei tedeschi e tutto in Borgo San Paolo il resto che era nel nostro interesse porre in evidenza. Ci parve averlo convinto della bon- tà della nostra causa e ci disse che il Generale che aveva per le mani la faccenda ne sapeva già qualcosa e che ad ogni modo, essendo già uscito d’ufficio, gliene avrebbe parlato egli stesso all’indomani, pigliando a cuore la cosa. Ci parve since- ro; gli lasciammo il nostro incartamento e fatti i soliti convenevoli115, via di corsa alle Casermette a dire una parola di coraggio ai poveri ostaggi Albesi. Attraversammo tutto Borgo S. Paolo; era un cumulo spaventoso di rovine e di macerie e alle Casermette, dove ci lasciarono entrare solo quando feci mostra delle mie insegne episcopali, con profondo disappunto non trovammo nessuno degli ostaggi. Trovammo però altri ostaggi di paesi dell’Albese, che subito riconosciutomi, fe- cero gran festa. In un attimo si strinse circolo attorno a noi da almeno un centinaio di detenuti, tutti i giovani che supplicavano di farli tornare alle loro case o almeno di far

115 Convenevoli: saluti.

140 sì che non fossero deportati in Germania. La pena che ci facevano, era grandissima, tanto più che noi potevamo fare nulla per loro e che, avendo solo più pochissimi minuti a disposizione, non potevamo prendere nessun appunto e d’intanto lo sgomento di non aver trovato i nostri ci riempiva di dolore e di paura. Che ne era stato di loro? Dove potevano essere? E noi avevamo assicurato il segretario del Kort che i nostri erano tutti alle Casermette. Come fare ad avvertirlo ora che avevamo pochi minuti appena per uscire di Torino prima delle 20, ora del coprifuoco116 ?

RINGRAZIAMENTO IN DUOMO Pensammo che all’Alto Comando, conoscendo già qualcosa dei nostri, si dovesse anche sapere dove fossero stati tratti e che la Provvidenza che aveva tanto operato con noi durante questi due giorni, portandoci di riuscita in riuscita, avrebbe compita l’opera. E fu così. Lasciammo a quei poveri giovani le provviste che furono accolte con gioia e partimmo. Il viaggio fu triste, il pensiero di non aver trovato i nostri, di non averli potuti confortare con l’unica parola che essi attende- vano, quello di non poter ora portare l’eguale, attesa consolazione ai loro cari che li attendevano trepidando, ci fece muti e tormentati da una profonda angoscia. Ma all’indomani fu festa grande, la vittoria era stata completa; tornarono tutti e la Domenica seguente i 153 liberati intervennero alla mia Messa in Duomo a ringra- ziare Iddio della grande grazia ricevuta e vollero anche testimoniare a me pensieri di ringraziamento per mezzo di uno di essi, l’Avv. Chiampo. Se si vanno rifacendo tutti i passi di questo racconto, mi pare non si possa non vedervi la mano della Divina Provvidenza che fa scaturire la salvezza di 153 innocenti dall’errato esame di un episodio, subito accettato senza discussione, da uomini naturalmente diffidenti e per di più forti e prepotenti nemici.

Alba - Cattedrale

116 Coprifuoco: obbligo di ritirarsi in casa a un’ora stabilita.

141 VERA MARTINI SILVANO Roma 22 gennaio 1896 - Alba 1986

Nasce a Roma il 26 gennaio 1896 in una famiglia dell’alta borghesia, fglia di un noto avvocato e nipote dell’ono- revole Giuseppe Zanardelli, presidente del Consiglio dal 1901 al 1903. Laureatasi in giurisprudenza nel 1922, dopo esser stata collaboratrice e corrispondente estera per importanti te- state giornalistiche tra le quali il Corriere della Sera, è la prima donna in Italia a ricoprire la carica di segretario comunale. Le viene assegnata la sede di Sori, in provincia di Genova, dove conosce il viceprefetto, l’albese Gioacchino Silvano, che diventerà, poi, suo marito.

Così pochi anni prima della II Guerra mondiale si stabilisce ad Alba. Qui si im- pegna per la modernizzazione della Scuola Enologica, organizza l’associazione “Donne Rurali” per sostenere le donne attraverso una consulenza legale, divenen- do ben presto un vero e proprio punto di riferimento per la collettività. Negli anni bui della II Guerra mondiale, a stretto contatto con Mons. Grassi, tie- ne i rapporti tra il Vescovado e i comandi tedeschi. Conoscendo perfettamente la lingua, riveste un ruolo centrale nelle trattative con le milizie tedesche per la liberazione di 150 ostaggi albesi catturati ed imprigionati a Torino. Tiene inoltre i contatti con i gruppi partigiani riuscendo a mantenere un delicato equilibrio. La sua intelligenza, lungimiranza, le particolari doti diplomatiche nonché l’atten- zione al sociale, vengono confermate a termine della guerra. La si ricorda infatti tra i soccorritori della popolazione alluvionata nel Polesine nel 1951, ma anche in diversi incarichi di rappresentanza a Roma ricoperti a proprie spese nell’interesse di Alba e degli Albesi.

Consigliere comunale dal 1952 al 1966, si dedica con passione ed impegno all’assi- stenza all’infanzia, occupandosi personalmente sia della gestione che dell’ammini- strazione: propone e ottiene di sostituire il personale, formato prevalentemente da assistenti generiche, con educatrici d’infanzia con specifca formazione. Fondamentale il suo contribuito a far crescere tutte le attività assistenziali albesi.

Per la sua opera umanitaria, sociale e flantropica riceve varie onorifcenze, tra cui il premio “Amici di Alba” conferitole nel 1974 dalla Famija Albèisa, la medaglia d’oro nel 1976, targa d’argento e diploma di benemerenza della città di Alba nel 1979. Muore nel 1986. Il 24 ottobre 2015 ad Alba è stata posta una targa in suo ricordo presso l’area verde di Corso Enotria.

142 5 - Il rastrellamento di Barbaresco

I partigiani, al comando di Paolo Farinetti, catturano 5 fascisti a Barbaresco. La reazione del Colonnello Lan- guasco, che minaccia di fucilare 30 uomini e di incen- diare il paese intero, è immediata. Mons. Grassi tratta e ottiene direttamente da Farinetti lo scambio di prigionie- ri, salvando “degli innocenti e tutto il paese”.

RASTRELLAMENTO A BARBARESCO Ma ben presto un altro avvenimento doloroso doveva farmi correre per le Langhe. Da pochi giorni erano giunti in Alba il II Cacciatori degli Appennini e un re- parto della Brigata Ettore Muti, tutti due preceduti da fama di prepotenza e crudeltà. Si volle subito dare -si disse- una lezione agli Albesi, e due Partigiani, presi in Prov. di Torino e qui tradotti, furono fucilati in una pubblica via della città, presso il ponte di Borgo Piave, e lasciati per due giorni distesi nella pozza del loro sangue, perché tutti capissero che cosa aspettava ai Partigiani e a chi li favoriva. Il mattino del 5 Agosto, prestissimo, mi svegliano perché il Parroco di Bar- baresco aveva urgente bisogno di parlarmi. Lo trovo in una saletta con due repubbli- cani armati fino ai denti e mi supplica d’andare subito colà, perché sono stati presi 30 uomini con minaccia di fucilazione e l’assicurazione che il paese intero sarebbe dato alle fiamme; altro non potei subito conoscere chiaramente tanta era l’angoscia del povero Arciprete. Un’auto m’attendeva e partii anche questa volta senza aver celebrata la S. Messa. All’ingresso di quel ridente paese vidi il triste spettacolo di 30 ostaggi allineati contro una casa e una piccola folla di soldati con il Col. Aurelio Languasco Comandante il II Cacciatori, il quale aveva guidato il rastrellamento. Mi presentai a lui per sentire di che si trattasse e mi disse che i Partigiani o gli restituiva- no tre tedeschi, un Ufficiale, un maresciallo e un soldato presi il giorno innanzi e 5 suoi soldati presi in mattinata o era la fucilazione dei 30 e l’incendio del paese.

143 Reparto della Legione Autonoma della RSI “E.Muti” a Cuneo

Che cosa potevo dire alla gente che supplicava e a quell’inumano del Lan- guasco se non che sarei partito subito alla ricerca dei prigionieri e avrei fatto tutto il possibile per restituirli? Uno del paese tirò fuori in breve un cavallo e una vettura e partimmo verso l’ignoto, perché dei militari nessuno sapeva dove fossero stati portati i prigionieri e dai civili, neppure dagli ostaggi, riuscii ad avere la minima indicazione dove potessi trovare i Partigiani. La cosa a tutta prima m’indispettì, perché mi pareva assurda, ma me la spiegai col terrore che si leggeva negli occhi di tutti, quel terrore che fa proprio fare le cose più assurde. Ad ogni modo pensai di andare al vicino paese di Treiso a interrogare quel Parroco, ma pure egli non ne sapeva nulla; fui più fortunato sulla piazza del paese dove un fabbro, con un’occhiata che mi parve rivelatrice, mi suggerì di fare ricerche al non lontano Trezzo.

PAOLO FARINETTI Via subito, e sulla strada che porta alle case di questo borgo, appollaiate su un terreno roccioso, trovammo un giovane Partigiano di Alba che mi riconobbe e saputo cosa volevo si profferse di andare a cercare il suo capo. Io intanto an- dai dall’Arciprete del luogo per sapere qualcosa sulla situazione e nel frattempo arrivò il comandante dei Partigiani, un giovane molto in gamba di Alba, Paolo 'BSJOFUUJ DIFTJEJTUJOTFmOPBMMBmOFQFSBCJMJUËFDPSBHHJPOFMMBMPUUBBOUJGBTDJTUB soprattutto contro i repubblicani. I prigionieri erano stati fatti dai suoi ragazzi; prima i tedeschi che erano venuti a ispezionare la cassa della stazione ferroviaria di Barbaresco, mentre stavano centellinando il finissimo vino del paese presso un bravo produttore, poi al mattino i repubblicani che erano arrivati già nella notte a ricercare i tedeschi e rastrellare i Partigiani, senza riuscirvi, rifacendosi poi, contro

144 ogni diritto come al solito, dopo che Mussolini aveva adottato il diritto tedesco della iungla, con gli inermi e innocenti borghesi del posto. Si dimostrò subito disposto a cedermeli per salvare quella povera gente e il paese, come si dimostrò sempre umano e ragionevole ogni altra volta, e non furono poche, in cui l’Autorità &DDMFTJBTUJDBUSBUUÛDPOMVJTDBNCJEJQSJHJPOJFSJ'FDFVOBTPMBEJGmDPMUË DIFBUVUUB prima mi parve insormontabile: i cinque repubblicani del Languasco non volevano più tornare al loro reparto.

PAOLO FARINETTI Barbaresco (Cuneo) 2 agosto 1922 Alba (Cuneo) 2 marzo 2009

Paolo Farinetti diviene comandante -nome di battaglia Paolo- della XXI Brigata Matteotti Fratelli Ambrogio, composta da oltre 250 persone. Con la sua brigata partecipa il 10 ottobre 1944 alla nascita della Repubblica partigiana di Alba, che sarebbe stata Paolo Farinetti con i partigiani della poi rioccupata dai repubblichini il 2 sua banda autonoma, poi collegata novembre dello stesso anno. alle formazioni “Matteotti” La lotta contro i tedeschi e i fascisti alterna vicende ora picaresche ora eroiche. Farinetti si traveste da ufciale nazista senza sapere una parola di tedesco, tenta di risparmiare la vita dei nemici, svuota il deposito carburanti dei fascisti repubblichini, cattura un colonnello tedesco e il suo attendente -ciò permette il rilascio di sette patrioti imprigionati-, guida una missione quasi suicida per liberare dal carcere di Alba alcuni partigiani già con- dannati a morte e sedici prigionieri dei fascisti repubblichini. La “befa delle carceri” incredibilmente riesce anche perché il commando ha l’ap- poggio di don Gianolio, braccio destro del vescovo, monsignor Grassi. Non può assistere alla liberazione defnitiva di Alba il 26 aprile 1945 perché co- stretto in un letto di ospedale: nove giorni prima è gravemente ferito in combatti- mento da una rafca di mitra alla gamba. Nel dopoguerra aderisce al Partito Socialista Italiano, nella corrente vicina a Nen- ni, e diviene consigliere comunale, assessore e vicesindaco di Alba. Intraprende la carriera imprenditoriale -costituisce la Unieuro- senza dimenticare la stagione della Resistenza. Nell’ANPI ricopre le cariche di presidente della sezione albese -subentrando a Pie- tro Chiodi- e di consigliere nazionale. Scompare a 86 anni ad Alba. I funerali tenutisi il 5 di marzo sono stati accompa- gnati dalle note di Bella Ciao e dai versi di Giovanni Arpino, dedicati alla lotta partigiana tra Barbaresco e Treiso dove Farinetti aveva combattuto: Lassù fu tutto quello che eravamo di buono.

145 Gli domandai di condurmi da essi e avrei tentato di persuaderli io. Man- dò subito a prendere un suo camioncino tutto sconquassato, che stava assieme per miracolo e partimmo per i ripidi sentieri del colle e in compagnia di non so quanti Partigiani albesi che io conoscevo uno per uno, con un’allegria come se si fosse andati a festa. Qualche momento ebbi la quasi certezza che il trabiccolo si sfasciasse o si capovolgesse, ma, come Dio volle, si arrivò sopra la Cappella dei fiori dove i Partigiani erano acquartierati. Poveri ragazzi! Accorsero attorno al loro Vescovo che si sentiva commosso al vederli così malmessi, acquartierati in una casaccia diroccata, senza porte e finestre, eppure così sereni nonostante il pericolo continuo della vita o di essere presi e fucilati. Ma prima di trattare dei prigionieri, c’era per me una cosa ben più importante da compiere. Avevo saputo dai Parti- giani stessi che due di loro erano stati gravemente feriti al capo e che uno pareva versasse in pericolo di morire. Mi ero fatto dare dal Parroco di Trezzo l’Olio Santo e, arrivati alla casaccia, corsi ai due poveri ragazzi. Uno era davvero moribondo per gravi ferite al capo e l’altro, pure ferito al capo, era fuori d’ogni pericolo di morte.

Amministrai al primo l’Estrema Unzione, lo assistei come potevano ancora esserne suscettibili i suoi sensi e il suo spirito, all’altro feci coraggio assicurandolo che li avrei fatti ricoverare tutti e due all’ospedale di Alba e quando mi parve che la mia missione presso i feriti fosse completa, andai a trattare dei prigionieri.

SCAMBIO DEI PRIGIONIERI I tre tedeschi si mostrarono contenti del mio interessamento per quanto non avessero che da lodarsi del trattamento partigiano, ma quanto ai 5 «caccia- tori» non volevano davvero tornare al reggimento. Temevano d’essere fucilati o almeno di essere severamente puniti. Ma poco per volta riuscii a persuaderli che il Languasco non avrebbe fatto loro nulla, che mi rendevo io garante117 per loro, che si trattava di salvare degli innocenti e tutto un paese; si persuasero e tornarono con me su quel povero camioncino che erano già le 13,30 e li consegnai io stesso al Languasco, proprio mentre stava per rientrare in Alba, facendomi promettere nes- suna ritorsione118 ai suoi 5 soldati e il rilascio immediato degli ostaggi e l’uscita dal paese dei repubblicani. Quanto ai tedeschi, si convenne col comandante Paolo, che, non essendo gente che dipendesse dal Languasco, si sarebbe trattata a parte la loro restituzione col loro comando, come difatti fu fatto poi lealmente. Il Lan- guasco non potè ribattere nulla. E a tarda sera i due feriti entrarono … in incognito nell’ospedale di Alba.

117 Garante: chi assicura il mantenimento di un obbligo altrui sotto la propria responsabilità. 118 Ritorsione: vendetta, rivalsa.

146 6 – Il terrore dei nazifascisti

I tedeschi e i repubblicani seminano il terrore tra la popolazio- ne; arrestano alcuni parroci con l’accusa di collaborare con i partigiani e minacciano rappresaglie contro i paesi della zona. Dopo aver ottenuto il rilascio del parroco di Pollenzo e scon- giurato il bombardamento di Dogliani, Grassi fa liberare i cap- pellani cheraschesi Donato e Tortoroglio. Le brutali esecuzioni tedesche non hanno però tregua: vengono impiccati presso il partigiano Marco Lamberti e il prof. Cocito del liceo di Alba. Dopo uno scontro con i partigiani presso Roddi, i tedeschi uccidono il vicecurato, Demetrio Castelli.

IL REPARTO DELLA «MUTI» Intanto il reparto della «Muti» lavorava per conto suo e in contrasto con il II Cacciatori, perché ognuno dei due voleva detenere il Comando di Presidio, cercando di EBSTJMPTHBNCFUUPWJDFOEFWPMNFOUF'VVOSFQBSUPEFMMBj.VUJxEJTUBO[BB#SB EJGBNB terribile, che un giorno prese un mio Parroco, quello del Reale Borgo di Pollenzo, mi- nacciandolo gravemente per una falsa -e pare strappata- deposizione scritta di un suo parrocchiano. Naturalmente le accuse erano sempre le solite: antifascismo, favoritismo per i Partigiani, ostilità e boicottaggio119 verso i tedeschi. Riuscii a salvarlo per un prov- videnziale mio intervento, proprio nel momento in cui veniva interrogato e minacciato di morte; la mia parola fu creduta e il Don Gallino rilasciato. Ma, segnato come era nel libro nero del caos repubblicano, ebbe a soffrire più volte ancora dei guai, da cui sempre si riuscì a salvarlo e che non cessarono se non quando i tedeschi lasciarono il real ca- stello di Pollenzo, che pare albergasse l’Alto Comando sud-ovest tedesco in Italia. Il povero D. Gallino passò l’ul- timo mese della loro perma- nenza colà come ostaggio, con la sola libertà di dire la S. Messa e di compiere qual- che funzione religiosa. Squadra della “Legione Muti”

119 Boicottaggio: azione tendente ad isolare da un consorzio o da un mercato individui, enti o prodotti. In questo caso ci si riferisce in particolare alla connivenza con i partigiani o con quanti li appoggiavano ed alla mancata obbedienza dei contadini alle disposizioni dei nazifascisti, specie per quanto riguarda il conferimento dei prodotti agricoli all’ammasso.

147 UNA POVERA SUOCERA E qui fa capolino una povera suocera. Mentre a Bra trattavo della liberazione del D. Gallino fui pregato dal Capit. co- mandante i «Muti» d’interessarmi perché dai Partigiani fosse restituita a certo S. Ten. Guidi dell’aviazione repubblicana la suocera che, sfollata120 da Milano a Dogliani, era stata prelevata dai Partigiani e privata di molta merce di lana che vi aveva trasportata, negoziando essa in quel genere di merce. Il Guidi, ch’era presente, parlava addirittura del furto di un milione e minacciava rappresaglie terribili da sè solo, asserendo di avere a sua disposizione quattro aeroplani e di voler bombardare Dogliani; purtroppo la gaia cittadina era stata già barbaramente colpita alle 17,45 del 31 Luglio da un aeroplano tedesco e aveva avuto 28 vittime e un centinaio di feriti gravi. Promisi di interessarmi senz’altro della questione e di recarmi il giorno dopo a Monforte d’Alba, dove si asseriva fosse stata portata la donna, quando la sera TUFTTBJM$PM-BOHVBTDPNBOEÛBNFJM12VJTUFMMJ VO'SBUF.JOPSFDIFGBDFWB servizio al suo Reggimento, ma che era Cappellano del C.A.R.S. (Centro Adde- stramento Reparti Speciali) uno dei tanti reparti della disordinatissima repubblica, a pregarmi d’ottenere dai Partigiani delle parti di Monticello la restituzione -non si voleva dire scambio anche se poi bisognava passare sempre per quella via- di un suo soldato prelevato da essi sulla strada di Carmagnola. La intimazione era natural- mente accompagnata dalle immancabili minacce di incendi e di convogli d’o- staggi per la Germania. "ODIF BM 'SBUF QSP- misi il mio interessamento per evitare guai a quel pa- Reparto della Guardia Nazionale Repubblicana ese e vi mandai il Vicario Generale il mattino dopo e io partii per Monforte, dove c’era folla di Partigiani Gari- baldini e dove trovai comandante quel Nanni che avevo già trovato a S. Benedetto. Non venni a capo di nulla, ma mi confermai l’opinione, già espressa dal Guidi, che la donna fosse già stata fucilata. Riferii al Cap. Schieppati che comandava il reparto «Muti» di Alba l’esito negativo della mia missione perché lo comunicasse al Guidi, senza accennare ai miei timori, e seppi poi che il Guidi per ben due volte si fece ancora più feroce di minacce con la richiesta, prima di 280 mila lire, poi di 400.000, coll’esito di far sfollare verso la campagna tutto il concentrico di Dogliani e di non avere quanto desiderava perché il Prevosto di San Paolo, Teol. Delpodio, si

120 Sfollata: allontanata dal luogo di residenza a causa della guerra, in genere le grandi città, CFSTBHMJBUFEBJCPNCBSEBNFOUJ'FOPNFOPNPMUPEJGGVTPJOUVUUFMF-BOHIFFEJM.POGFSSBUP

148 PQQPTFBMUFOUBUPSJDBUUPFQFSDIÏPUUFOOFDIFJM$BSEJOBMF'PTTBUJ "SDEJ5PSJOP  tramite il comando tedesco di Bra, riuscisse a impedire l’atto crudele e ingiusto. E così la suocera non fu vendicata … 'VBODIFJORVFJHJPSOJDIFMP4DIJFQQBUJNJQSFHÛEJUFTUJNPOJBSFDPMMBNJB firma, assieme a quella del Comm. Pref. Bianco, un accordo intervenuto tra lui e la banda partigiana di Marco (un giovane Lamberti di Bra), che operava sulla riva sin. del Tanaro nella zona di Cornegliano - Sommariva Perno. Il patto m’era parso buono e utile alla città e alla zona di Sommariva: era di tregua assoluta e di mutua tolleranza tra le due parti e comprendeva un accordo annonario di mutua integrazione in merci agricole. Ma la faccenda, a distanza di poco tempo finì tragicamente; il povero Marco assieme al Prof. Cocito del Liceo di Alba e ad altri ancora veniva impiccato al bivio Carmagnola-Torino; si disse per un tradimento da parte dei «Muti».

LEONARDO COCITO Genova 9 gennaio 1914 Carignano (Torino) 7 settembre 1944

É professore di lettere al liceo “Govone” di Alba dove ha come allievo Beppe Fenoglio e come amico e collega il f- losofo Pietro Chiodi. Partecipa alla Seconda guerra mon- diale come tenente di complemento di fanteria al confne italo-francese e in Croazia. Dopo l’armistizio dell’8 settembre ’43 organizza la Resi- stenza nella zona di Alba e Bra con il nome di battaglia di Silla. Diventa viceco- mandante della XII divisione “Bra” all’interno del 1^ Gruppo Divisioni Alpine comandato da Enrico Martini (Mauri). Una delle imprese più importanti lo vede a capo di dodici partigiani che, nel marzo del 1944, si impadroniscono delle armi trasportate da un convoglio ferroviario scortato dai fascisti. Caratteristica peculiare di Cocito è l’ironia. Il suo collega Pietro Chiodi, nel diario partigiano “Banditi”, ne ricorda diversi esempi, tra cui la risposta data ad uno stu- dente che richiedeva di leggere gli scritti di Mussolini. Cocito lo guarda seriamen- te e poi risponde: “Non hai letto il regolamento? Ci sta scritto che è proibito dare ai giovani libri osceni”. Lo stesso spirito lo spinge a frmare le sue azioni di guerriglia con un saluto ironico per il nemico. Viene catturato durante una tregua non rispettata dai fascisti e imprigionato alle Carceri Nuove di Torino. Viene impiccato in località Pilone Virle presso Carigna- no il 7 settembre 1944. Alle 10.25, prima di morire urla: “Viva l’Italia!” riscuoten- do l’ammirazione dell’ufciale tedesco che comanda l’esecuzione il quale, rivolto al medico legale verbalizzante, commenta: “Questo essere uomo”. La motivazione che accompagna l’assegnazione a Cocito della Medaglia d’oro al valor militare lo descrive come “… assertore di ogni umana libertà” e “… martire a coronamento della sua vita che fu apostolato di Fede”. Dal 1969 gli è stato intitolato il Liceo scientifco statale di Alba.

149 ACCUSE INSUSSISTENTI Il 9 Agosto corre voce che per ordine di Pavolini, Segretario del Partito e Co- mandante la I Brigata nera di Torino siano stati tratti in arresto e portati a Bra il giorno innanzi l’ottantenne Mons. Donato, Prevosto di S. Pietro in Cherasco, il Teol. Tortoroglio Pievano di S. Gregorio pure in Cherasco e altre 7 persone tra cui alcune signore. Corro a Bra e difatti li trovo alla caserma dei «Muti» dove dopo un lungo colloquio col comandante ottengo che Mons. Donato e D. Tortoroglio non siano trattenuti in caserma ma stiano a disposizione della Brigata nella canonica del Priore di Sant’Andrea, Can. Imberti, che m’accompagnava e che in queste e altre simili cir- costanze si dimostrò sempre ospite generoso e Sacerdote di grande aiuto. L’accusa era di aver parlato male del Governo e di aver aiutato Partigiani e mi si disse che in giornata sarebbero stati tradotti121 con gli altri a Savigliano, presso il comando della Brigata nera, dove la vicenda doveva essere trattata. Viceversa al domani, riuscito per miracolo a trovare una macchina e della benzina, recatomi a Savigliano vi trovai tutti gli altri arrestati, eccetto i due sacerdoti DIFFSBOPTUBUJMBTDJBUJB#SB5SBUUBJDPOVONBHHJPSF DFSUP(PSJ FY'FEFSBMF122 di Livorno, molto corretto e che mi parve onesto nel giudicare fatti e persone. Non sa- peva nulla della causa dell’arresto dei singoli, perché il comandante generale Tavolini era assente, (degente in un ospedale per ferite riportate in un’azione antipartigiana nel Canavese), ma poiché nel pomeriggio sarebbe arrivato a Savigliano il segretario di Pavolini, certo Cap. Martin, lo avrebbe interrogato e se all’ indomani io avessi man- dato qualcuno a lui con un mio biglietto m’avrebbe mandato una lettera con tutte le spiegazioni. Così mi disse e così feci. L’indomani una signorina di Cherasco era a mio nome dal Gori e tornò con una let- tera nella quale mi si diceva che i detenuti erano stati tutti portati a Cuneo dove quel 'FEFSBMFBWFWBBWVUPMJODBSJDPEJJOUFSSP- garli e di decidere sulla loro sorte. L’indomani, verso le ore 9, io ero già a Cuneo con Mons. Vicario e ci re- cammo per prima dal Col. tedesco Seg- La sede della Federazione Fascista di Cuneo (progetto Molino, 1933) ger, comandante militare della Provincia a raccomandargli la cosa e ci promise aiuto; si diceva alto e chiaro che i tedeschi fossero stufi della repubblica, che i loro rap- porti fossero tutt’altro che cordiali e che i tedeschi fossero lieti quando potevano interferire nelle cose fasciste e intralciare le disposizioni dei caporioni del Regime. %BMDPNBOEPUFEFTDPQBTTBNNPBMMBCFMMJTTJNBTFEFEFMMB'FEFSB[JPOFEFJ

121 Tradotti : trasferiti. 122 Federale: segretario di una federazione di fasci di combattimento.

150 GBTDJFMËUSPWBNNPHJËJM$BQ.BSUJO BDVJTBHHJVOTFSPRVBTJTVCJUPJM'FEFSBMFEJ Cuneo Ronza e 5 o 6 altri in camicia nera. Capii che eravamo attesi. Più che una discussione sui prigionieri ci toccò una lunga, interminabile parlata del Martini, il quale trovò modo di parlare di tutto e di dire perfino che egli era protestante ma che non avrebbe ceduto alla natural acredine di questi verso il Clero cattolico. La facondia123 e l’inesauribile getto di parole di quest’uomo erano veramente eccezio- nali e tali da divertire come ad uno spettacolo di abilità ciarliera.

Naturalmente accusò il Clero, dall’alto in basso, di non cooperare con la repubbli- ca, anzi di aiutarne i naturali nemici, i Partigiani e gli ebrei, ecc., ecc. Povero me se avesse saputo che da quasi 2 anni ospitavo nel mio palazzo, assieme a parecchi sfollati, un’intera famiglia israelita di Milano! Lo lasciammo dire, e dire e dire, ma poi la conclusione a cui pian piano attirammo lui e gli altri gerarchi, che non avevano quasi mai aperto bocca fu che sarei passato a Bra e avrei riportato Mons. Donato a casa, che D. Tortoroglio su cui gravavano futili accuse di collaborazione avrebbe continuato a stare col Priore di S. Andrea e che sarebbe stato interrogato presto e rilasciato e che gli altri cheraschesi invece sareb- bero stati interrogati in giornata e trattati con indulgenza. Era cosa facile, perché non c’era un’ombra di prova su ciò di cui tutti erano accusati. In serata i deportati a Cuneo furono rilasciati, Mons. Donato lo portai io a Cherasco e D. Tortoroglio fu poi rilasciato qualche gior- no dopo, senza neppur essere stato interrogato. Così finì in una bolla di sapone questa dolorosa storia, che aveva gettato il terrore in Cherasco e che continuò a dimo- Cherasco – Via Vittorio Emanuele II (anni Trenta) strare la leggerezza con cui i repubblicani facevano cervelloticamente soffrire, gettando il terrore nelle nostre pacifiche popolazioni.

D. DEMETRIO CASTELLI Ma la tranquillità durò poco in Diocesi. Il 24 Agosto, verso notte, una donna viene da Roddi ad avvertirmi a nome del Parroco che in seguito ad uno scontro tra tedeschi e Partigiani, nel quale i primi avevano avuta la peggio, erano stati presi il Vicecurato, D. Demetrio Castelli, e due uomini portati al castello reale di Pollenzo, dove stava un alto comando tedesco. Chi avrebbe sospettato che i tedeschi avrebbero senz’altro fucilato i tre poveri in-

123 Facondia: facilità ed abbondanza di parola.

151 nocenti quando il loro smacco non era costata la vita a nessuno, ma solo qualche GFSJUBBEVOTPUUVGmDJBMFMPSPFMBQFSEJUBEJVODBNJPOFEJVOBNPUP 'FDJQSFHBSFJM Parroco di continuare a interessarsi della cosa e il mattino seguente di farmi sapere quale razza d’accuse facevano a D. Castelli e agli altri. Andò a Pollenzo ma non riuscì a sapere nulla; la Gestapò124 era muta. Gente di là disse al Parroco di Roddi che gli ostaggi venivano portati tutti a Bra; egli corse a quel comando tedesco, ma non ne sapevano nulla; promisero però d’interessarsi dell’affare, di fargli sapere qualcosa. Ritornò nella sera a Pollenzo, ma senza venire a capo di nulla. Avvertiti anche noi in Alba dell’inutilità di tali ricerche fu deciso che l’indomani Mons. Vi- cario si sarebbe presentato a mio nome a Pollenzo per avere una spiegazione del mistero che gravava attorno ai tre infelici. Anche il Parroco, che non si dava pace, ritornò l’indomani mattina dopo la Messa Parrocchiale, poiché era domenica, e poté anche lui, come il Vicario, penetrare nel castello, circondato dal solenne mistero che gli conferisce l’immenso parco e che allora assumeva anche un aria delittuosa colla presenza di membri della Gestapò disseminati in esso dovunque. Trattamento duro, alla tedesca e immediata lettura della sentenza di fucila- zione del D. Castelli e dei due compagni «rei di complicità e consapevolezza in un’imboscata a fuoco il 24 VIII 44, contro un reparto di polizia da campagna, presso Roddi». La sentenza che era stata ese- guita alla prima luce del giorno 25 fu pronunziata su- bito, forse senza neppure interroga- Don Demetrio Castelli - Carlo Cavallotto - Agostino Morando re i supposti rei. Il povero D. Castelli si era portato sul posto due ore dopo lo scontro perché delle voci che correvano pareva ci fosse qualche ferito cui urgesse amministrare i SS. Sacramenti, ma l’unico, un sottuff. tedesco, era già stato portato a Pollenzo. Il giovane prete s’era fermato colà, temendo che una pronta rappresaglia fosse fatta contro il concentrico del paese e invece, tornati dopo pochi istanti i tedeschi, di lì fu tratto coi due compagni proprietari del luogo ad una ingiusta e crudele morte. Qualcuno asserì poi che nel breve viaggio da Roddi a Pollenzo fu visto maltrattato dai tedeschi e costretto guidare bestiame rubato. Le salme delle tre vittime non si poterono avere dai loro parenti, che in pieno inverno, quando i Tedeschi già avevano lasciato il castello di Pollenzo. Triste e crudele storia che riempì di sdegno altissimo tutto l’Albese.

124 Gestapo:QPMJ[JBTFHSFUBEJ4UBUPEFMMB(FSNBOJB'VDPTUJUVJUBOFM EPQPMBWWFOUP del nazionalsocialismo.

152 MARTIRI A POLLENZO

Demetrio Castelli 1916-1944 Carlo Cavallotto 1916-1944 Agostino Morando 1888-1944

“Qui vivono per sempre gli occhi che furono chiusi alla luce perché tutti li avessero aperti per sempre alla luce” (G. Ungaretti) Dal diario di Cavallotto Il pomeriggio del 24 agosto 1944 in località Cantina di Roddi, a pochi chilometri da Alba, un gruppo di partigiani tende un’imboscata ad un convoglio tedesco composto da una ca- mionetta e una moto. Durante il confitto a fuoco il tedesco alla guida del motociclo viene ferito, i suoi compagni si nascondono in un vicino campo di granoturco e cominciano a rispondere al fuoco, mentre i partigiani, presa la moto, si ritirano. L’imboscata avviene nel- le vicinanze delle case in cui abitano le famiglie Cavallotto e Morando. Agostino Morando che è in un campo lì vicino rientra, mentre Carlo Cavallotto che è in Valle Talloira a miete- re il grano, avvisato dell’accaduto, si reca velocemente a casa per difendere la sua famiglia. Dalla Parrocchia di Roddi il Parroco don Bergui, temendo una rappresaglia in paese, man- da il curato Don Demetrio Castelli per rendersi conto di cosa è successo. La rappresaglia non si fa attendere, da lì a poco i tedeschi in forze circondano la cascina, vicina al luogo dell’imboscata, in cui si trovano le famiglie Cavallotto e Morando che stanno informando Don Demetrio dell’accaduto. I tre uomini vengono picchiati e perquisiti, i tedeschi si acca- niscono con pugni e calci su Carlo Cavallotto. Egli, essendo stato sotto le armi, li afronta con coraggio. I nazisti trovano in tasca a don Demetrio la lista dei ragazzi iscritti all’Azio- ne Cattolica. Subito lo accusano di avere la lista dei “ribelli” (partigiani). Le donne e i bambini vengono fatti entrare in casa e lì vengono rinchiusi. Don Demetrio Castelli, Carlo Cavallotto e Agostino Morando vengo obbligati a condurre gli animali, presi nella stalla, verso Pollenzo, al seguito della colonna tedesca. La casa viene data alle famme. I familiari di Carlo e Agostino si salveran- no perché prima che la colonna tedesca si allontani defnitivamente un soldato permette loro di uscire sfondando la porta. Don Demetrio, Carlo e Agostino vengono portati al comando tedesco di Pollenzo, nella notte vengono torturati. Al mattino, alle prime luci dell’alba, vengono fucilati dopo esser stati costretti a scavare la fossa all’interno della cinta di Pollenzo. Le famiglie, ignare di tutto, potranno riavere le loro salme solo nel gennaio del 1945. Testimone diretto e lucido di quanto avvenuto è ancora oggi Franco Cavallotto (nella foto) classe 1935, fglio di Carlo che ha tenuto un diario di quei giorni intitolato “I miei ricordi”.

153 7 – La brutalità dei “Cacciatori”

La brigata repubblichina dei “Cacciatori degli Appen- nini”, è rimasta da sola a presidiare Alba e terrorizza gli abitanti del circondario con furti e incendi. Il loro sanguinario colonnello, Aurelio Languasco, minaccia di uccidere 100 cittadini di Castagnole dove i partigiani hanno fatto prigioniera la fidanzata di un suo tenente. Grassi interviene per trattare con il comando partigiano di Castino la restituzione dell’ostaggio.

I «CACCIATORI DEGLI APPENNINI …» I «Muti» nell’agosto se n’erano andati; ma ad alimentare l’odio degli albesi erano rimasti i Cacciatori degli Appennini che erano ogni giorno o quasi in giro a compiere rastrellamenti, i quali finivano sempre con essere delle inutili cacce ai Partigiani, ma dei sicuri furti, incendi e arresti di innocenti civili; facile guerra che traeva stupidamente e vilmente gloria, applausi e decorazioni dalla repubblica, per chi combatteva per essa una lotta assolutamente impari contro degli inermi innocenti. Nell’Agosto incendiarono Montelupo Albese, Trecunei e case a Lequio Berria e a Bossolasco, acquistando fama di feroci e di sanguinari. Partirono da Alba in seguito ai fatti che ora narrerò, ma voglio soggiungere, per tema125 di dimenticar- mi, che da questo infausto Agosto1944 avvennero incendi e rovine in buona parte delle 125 Parrocchie dell’Albese, perpetrati126, quasi sempre per pura brutalità127, ora da tedeschi ora da repubblicani, talvolta anche accomunati, coll’accompagna- mento costante di furti e di violenze, sì da far pensare che i Partigiani fossero un facile pretesto a compiere tali delitti.

Una squadra dei “Cacciatori degli Appennini”, formazione della RSI collegata alla “Divisione S.Marco”- a lato le mostrine del reparto

125 Tema: paura, timore. 126 Perpetrati: compiuti, fatti. 127 Brutalità: ferocia, crudeltà, bestialità.

154 La condotta del Clero in tutto questo terribile periodo fu esemplare; nessuno abbandonò il suo posto, neppure nei momenti più tragici, mai; quante case salvate, quanti paesi salvati, e più d’una volta, da tragedie sanguinose, quante vite salvate a rischio della propria, quante volte l’ira forsennata di bruti fu placata e vinta dalle lacrime, dalle suppliche, dall’offerta della propria vita da parte dei miei Sacerdoti.

… IL LORO COLONNELLO Ma torniamo ai «Cac- ciatori» e al loro Colonnello, Aurelio Languasco. Ligure, di Imperia si diceva, era venu- to su dalla gavetta, colle facili promozioni della Milizia, che distribuiva medaglie e gradi a iosa128, a chi avesse un po’ di fegato e molta voce. Riferisco quanto sentii più d’una volta da chi lo conosceva bene e gli era stato per anni compagno Il col. Languasco (al centro) con altri ufficiali della RSI d’armi. Aveva sposato la ric- chissima vedova dell’Amministratore dei beni di Mussolini a Roma, ma egli viveva purtroppo come se tutte le donne avessero il dovere di essere sua moglie. Godeva anche fama di sanguinario e si diceva che se la fosse acquistata in Croazia. L’episodio che rese tristemente famoso il Languasco in Alba ebbe inizio il 17 Settembre, Domenica.

… E L’AUSILIARIA La sera innanzi, il P. Quistelli, che ho già nominato, era venuto a pregar- mi a nome del Colonnello d’interessarmi presso i Partigiani per la restituzione di un’ausiliaria129 dei«Cacciatori», che era stata prelevata a Castagnole Lanze qualche giorno innanzi, deciso, il Languasco, se non la consegnavano ad andar colà e uccidervi le prime 100 persone che gli fossero cadute nelle mani. Conoscendo la sua fama di sanguinario, mi spaventai delle conseguenze possibili per quel grosso Comune e promisi l’indomani, 17, sarei andato di persona a cercare l’ausiliaria e a trattarne la restituzione. I l mattino partii colla grande autoambulanza del Municipio, non avendo trovato altro, e là avvertii subito il Parroco di S. Bartolomeo, Teol. Pavia, del peri- colo che correva Castagnole; perché mi aiutasse nelle ricerche. Uscito dalla casa

128 A iosa: in gran quantità. 129 Ausiliaria: infermiera.

155 canonica trovai l’autista alle prese con qualche Partigiano che voleva prelevare l’autoambulanza per portarla chissà dove; arrivai in tempo a dissuaderli e a farli salire con me per portarci al loro comando, dove qualcosa dell’ausiliaria si doveva pur sapere. E ra costei una siciliana e chi diceva fosse la moglie, chi la fidanzata di un DFSUP5FO'BOJEFJ$BDDJBUPSJFEFSBDFSUPDIFJM$PMPOOFMMPDJUFOFWBBTTBJBSJBWFS- la al Reggimento. Partita da Alessandria per raggiungere i Cacciatori ad Alba, era scesa a S. Stefano Belbo e con una grossa valigia aveva percorso a piedi i 12 chi- lometri che lo separano da Castagnole e lì, stanca, s’era fermata ad un albergo nei pressi della stazione e, partendo il domattina per Alba, disse che sarebbe tornata a prendere la sua valigia. I Partigiani seppero di lei e della valigia e avuta facilmente questa nelle mani, pare vi avessero trovato documenti e fotografie che compromettevano la donna. L’attesero e quando comparve con un’altra donna, la moglie d’un milite dei Caccia- tori, le prelevarono tutte due e le portarono prima a Coazzolo d’Asti, poi a Mango, poi in un’altra località e dell’ausiliaria non se ne seppe più nulla, se non parecchi mesi dopo. L a moglie del milite che aveva tutte le carte in regola e non risultava affatto una spia né era in qualsiasi modo al servizio dei Cacciatori, fu rilasciata il giorno dopo e rimandata ad Alba, con l’ingiunzione, piena di minacce, di tacere, ma ahimè! l’ingenuità di chi pretendeva tanto da una donna era più forte della forza che la poverina poteva avere di tacere dopo una tale avventura. E non tacque.

Partimmo dunque per Mango e là giunti, uno dei Partigiani, certo Sicilia, andò ad avvertire il comando della mia pre- senza e della mia missione. I due Ufficiali arrivati poco dopo, non m’erano scono- sciuti e se anche la conversazione fu molto confidenziale fu anche piena di reticenze e di piccole contraddizioni che mi facevano Ausiliarie della RSI sospettare male, e quando se ne andarono mi promisero d’andare interpellar il loro superiore comando che asserivano essere a Castino, e che m’avrebbero portata una risposta. Come io dubitavo, non torna- rono, ma verso le 16 arrivarono invece altri due ufficiali, tra cui il Ten. Carletto, che avrei veduto dopo meno di due mesi comandante la piazza di Alba, a dirmi che avevano incontrato per via i due che andavano a Castino, che era impossibile potessero tornare in serata, ma che stessi tranquillo che la risposta l’avrei avuta il domani per mezzo del Vicecurato di Mango, D. Gallina, con una quasi promessa che la ausiliaria sarebbe tornata, ma fatta in un modo che faceva capire che c’era

156 solamente la volontà di condurre per lungo la cosa, nella speranza che intanto qualche evento avrebbe sviato l’attenzione dall’ausiliaria. Questa non era certo l’intenzione del Languasco. Partii convinto che la giovane doveva già essere nel numero dei più, ma guai se l’avessi detto; anch’io avevo tutto da sperare da un protrarsi della dolorosa faccenda e mi guardai dal manifestare la mia convinzione.

… FUCILATA L’ausiliaria era stata fucilata a S. Donato del Mango qualche giorno innanzi, assistita da quel Prevosto, che ebbe tanto a soffrireda tedeschi e repubblicani, che più volte fu messo al muro per essere fucilato e che dovette anche soffrire il carcere repubblicano di Cuneo per più di un mese. A notte fatta venne in Vescovado il P. Quistelli a prendere una risposta e non mi fu difficile persuadere il buon Padre nelle necessità di attendere. Ma appena rientrato in palazzo, quella sera, avevo avuto una brutta sor- presa. Una lettera portata a mano m’annunciava che a mezzodì di quella stessa Domenica, a Narzole, i tedeschi avevano prelevato il Parroco, il Maestro Sac. Don #BHOBTDP JM1*MEFMGPOTP'SBODFTDBOPDIFUSPWBWBTJDPMËBQSFEJDBSF JM1PEFTUËF altre 65 persone che le avevano portate tutte a Bra e s’invocava il mio intervento. Che cosa era avvenuto? Nella notte i Partigiani avevano attaccato il piccolo presi- dio tedesco di Narzole e c’eran stati 2 morti e vari feriti da ambo le parti. Cessata la sparatoria verso il mattino fu subito ordinato il coprifuoco, un Partigiano trovato ferito e moribondo fu, in quelle pietose condizioni, impiccato di fronte alla Chiesa Parrocchiale e le autorità e molti ostaggi, in tutto 69 persone, tratte senz’altro in arresto.

Mango

157 8 - Gli ostaggi di Narzole

In seguito ad un attacco partigiano a Narzole i tedeschi arrestano 69 persone. Grassi ottiene il rilascio dei prigio- nieri meno importanti trattando col comandante tedesco di Bra; per la liberazione del podestà deve invece rivolger- si al Comando che ha sede nel castello reale di Pollenzo.

A NARZOLE N on era finita una grave e dolorosa Podestà = durante il regime fa- preoccupazione che ne spuntava un’altra scista, capo dell’amministrazione non meno grave e dolorosa. Pazienza! comunale. Nel 1926 Mussolini abo- A l mattino presto mi recai a Bra su lisce le elezioni amministrative e d’un calessino con Mons. Vicario e ci re- sostituisce i sindaci con i podestà. cammo tosto dal comandante tedesco, il Questi non vengono più eletti dai Dott. Wessel. Ottenemmo facilmente che cittadini ma nominati dal governo gli ostaggi fossero per la maggior parte la- attraverso i prefetti provinciali. Vie- sciati in libertà in giornata ed egli stesso, ne così liquidato il principio della aderendo alla preghiera del buon Priore di rappresentanza elettiva degli organi S. Andrea, aveva già ordinato che il vecchio comunali. Il Podestà cumulava in Parroco di Narzole fosse tenuto presso di sé tutte le funzioni precedentemen- te attribuite al sindaco, alla giunta questi. Potemmo anche vedere i poveri de- municipale e al consiglio comunale, tenuti, parlare con loro, li vedemmo anzi la- attuando così, nell’amministrazione sciati liberi a piccoli gruppi, ma alle mie ite- del più importante fra gli enti locali 130 rate preghiere di lasciar liberi i Sacerdoti, il territoriali, il principio di concen- Podestà e chi rivestiva una qualche autorità trazione dell’autorità cui era ispirata non poté acconsentire, dicendola cosa che la concezione fascista dello stato. dipendeva dal comando del castello reale di Pollenzo il quale aveva ordinato il rastrellamento, ma si profferse di accompa- gnarmi colà, dove da qualche tempo era molto più difficile poter penetrare. Prima volle che mi recassi con lui dal capo della Polizia tedesca, il Col. Hascmann, che m’accolse con ogni deferenza, e dopo un colloquio che ebbe con altri Ufficiali fu pure del parere che mi recassi a Pollenzo. Perché questo colloquio? Non poteva il Wessel presentarsi a Pollenzo senza il permesso del capo della Polizia? Non so. A Pollenzo mi portò il Wessel stesso colla sua macchina; entrati nel parco, nel tratto che vidi c’era ad ogni albero, quasi un piantone, un uomo della Gestapò colla caratteristica placca sul petto; uno d’essi ci fece entrare nell’atrio del castello, che io già ben conoscevo, e mi sorprese che al Wessel, prima di entrare fosse fatto firmare

130 Iterate: ripetute.

158 un registro, che controfirmò poi quando uscimmo. Salimmo in alto, guidati da un militare che ci portò in una saletta degli appartamenti che erano una volta riservati ai dignitari di corte; silenzio, passi felpati, andirivieni di militari muti. Dopo una discreta attesa comparve un capitano, magro, di modesta statura, dagli occhi lampeggianti. La conversazione fu lunga, in un clima che non mi parve sereno, e si parlò più di guerra che del mio caso. Confesso che ne ero infastidito, ma mi soccorse una venta- ta di poesia; di lontano, forse da qualche estremità del grande e alto castello veniva il suono di una danza viennese e poi un canto, un bel coro virile, nostalgico che mi ricordò quell’altro udito dal Giusti in Sant’Ambrogio di Milano131: «d’un suono grave, flebile, solenne tal che sempre nell’animo lo sento». Ma, lasciamo la ventata di poesia che veniva forse da bocche di carnefici; dopo molte chiacchiere si venne finalmente alla conclusione del mio affare: il Parroco sarebbe stato rilasciato subito sulla mia parola d’onore che non si sarebbe NPTTPEB/BS[PMFFRVBOUPB%PO#BHOBTDP BM'SBUF BM1PEFTUËFBHMJBMUSJBTUFO- to mi fu promesso che ci sarebbe fatto il possibile per lasciarli liberi al più presto. 'VSPOPQPJSJMBTDJBUJBMMVOFEÖ 4FUUFNCSF EPQPPUUPHJPSOJEJDBSDFSFJN- provvisato nella caserma di Bra, dove l’unico conforto come abitazione era un po’ di paglia per terra, per un po’di riposo. N arzole poi fu molto spesso vittima di irruzio- ne tedesche e repubblicane colle relative delizie, ebbe deportati132 e morti, fu più volte bombardata e mitra- gliata da aeroplani e ancora Narzole nell’ultimo giorno della re- pubblica ebbe il grave e feroce sigillo di 19 morti, 6 Partigiani e 13 civili, alle 6,30, da una colonna nazi– repubblicana che cercava scampo nella fuga.

131 Coro virile… Giusti: riferimento alla lirica di G. Giusti “Sant’Ambrogio” (1846) in cui il QPFUBTJDPNNVPWFTFOUFOEP JOVOBDIJFTBNJMBOFTF JTPMEBUJDSPBUJFCPFNJ JOWJBUJEB'FSEJOBOEP I a controllare gli italiani, innalzare un canto solenne a Dio, e depreca la condizione di tutti i popoli soggetti alla crudeltà del governo austriaco nella prima metà dell’Ottocento. 132 Deportati: persone trasportate lontano dalla madrepatria per motivi politici o per altri motivi, dopo averle private dei diritti civili. In questo caso si riferisce a quelle persone che per motivi politivi, razziali (ebrei in particolare) o per sfruttare il loro lavoro venivano inviate nei campi di concentramento.

159 9 - L’offensiva contro vescovo e clero

Il terrore seminato tra la popolazione dalla figura del colonnello Languasco raggiunge il culmine con l’arresto di sette famiglie albesi: è la ritorsione al mancato rila- scio della donna ostaggio dei partigiani a Castagnole. Il vescovo, grazie a diversi contatti con personalità del clero e della Repubblica, ottiene il graduale rilascio di tutti i prigionieri. I ripetuti successi di Grassi acuiscono la campagna denigratoria nei suoi confronti. Il colonnel- lo dei Cacciatori degli Appennini si pente di non averlo impiccato “al balcone del Municipio”.

Ma torniamo alla dolorosa storia dell’ausiliaria. Nella notte della domenica, 17 settembre, era piovuto a catinelle a durante tutto il lunedì continuò a piovere. Come poteva Don Gallina venire da quei lontani colli, attraversare l’Elvio in piena furiosa, essendo stato distrutto l’unico ponte dai Partigiani? Ma neppure il marte- dì, né il mercoledì, né il giovedì il Don Gallina comparve. Brutti pronostici. La sera del giovedì venne da me il Languasco col suo Aiutante maggiore e il P. Quistelli a dirmi che non poteva più attendere, ch’era convinto che l’ausiliaria era stata uccisa e poiché io gli facevo osservare che era iniquo prendersela con Castagnole che nel fatto non entrava, mi disse che egli invece di andare coi suoi a Castagnole a fare rappresaglie, le avrebbe fatte in Alba stessa sulle famiglie che gli constatava avessero dei figli nei Partigiani.

RAPPRESAGLIE IN ALBA A l nefando proposito protestai seccamente che era più ingiusto ancora che pagassero gli Albesi per un fatto che non conoscevano neppure, avvenuto in altro comune, a 26 km. di distanza, in altra Provincia, quella di Asti, e per di più com- piuto da Partigiani, come mi constava, che non erano affatto di quei luoghi, né di Alba. Cercai di spiegare la mancanza di risposta colle pioggie che s’eran ripetute, colla rottura di strade e del ponte sull’Elvio e mi sforzai d’allontanare le reiterate minacce coll’impegnarmi a provocare entro l’indomani una certa risposta. Speravo aver calmato i bollenti spiriti del Languasco, ma come si vedrà, non fu così. L’indomani, sul nascere del giorno, il mio Segretario, Don Balocco, partì presto per Mango, ma per via incontrò dei Partigiani che gli assicurarono che tutti i comandanti Partigiani delle Langhe si portavano in quel giorno a Castino, dove il loro comandante in capo, il Maggiore Mauri teneva rapporto generale; mutò

160 strada e andò a Castino, dove s’incontrò col Vescovo di Acqui ch’era pure venuto a cercare il Mauri per qualche questione di scambi tra Patrioti e tedeschi o fascisti. I ntanto il Languasco, a mezzogiorno mandava in atto il suo triste progetto, facendo arrestare sette intere famiglie, giurando che uomini e giovani sarebbero stati fucilati e le donne e i bambini spediti in Germania. Da quel giorno fu un suc- cedersi continuo di giornate di terrore. D on Balocco trovò il Mauri che, ad ambasciata finita, gli consegnò una lettera per me in cui mi pregava di comunicare al Languasco che l’ausiliaria non sa- rebbe mai stata restituita perché stando con loro aveva visto e sapeva ormai troppe cose dei Partigiani, sicché il ridarle libertà costituiva per essi un pericolo troppo grave e che, per altra parte, si guardasse bene da fucilare anche un solo ostaggio perché egli avrebbe fatto immediatamente fucilare la donna e un forte numero di repubblicani e di suoi Cacciatori che aveva nelle mani. Speravo che un argomento così positivo facesse rinsavire133 il feroce colonnello, ma m’ingannai; la Divina Provvidenza però interveniva anche questa volta in modo furioso ma sicuro.

IL GENERALE DEL GIUDICE N el pomeriggio di questo stes- CARS (Centro Addestramento Reparti so giovedì mi si annunziò la visita del Speciali)- da cui dipende il Raggruppa- Generale Del Giudice, comandante il mento “Cacciatori degli Appenini” or- C. A. R. S. (Corpo addestramento ganismo dell’esercito della RSI creato tra le Reparti Speciali), diretto superiore primavera e l’estate del ’44 per la lotta anti- del Languasco, ma nella sera non partigiana, che per le dimensione assunte poté venire e rimandò la visita all’in- non può essere contrastato solo dai reparti domani. E venne. Mi parve un uomo della GNR. Per questo vengono distaccati convinto di sostenere nella repubbli- dalla divisioni della RSI alcuni reparti im- ca una giusta e buona causa, ma ret- piegati soprattutto in Emilia e Piemonte. Il UPFCFOFJOUFO[JPOBUP'PSTFMBTVB Gen. Del Giudice è a capo del CARS, dopo rettitudine, che m’era stata anche il gen. Farina che comanda la “Divisione San Marco”. Il colonnello Languasco dal elogiata da persone serie che lo co- settembre ’44 guida i “Cacciatori”. noscevano, gli fece, come ad altri, il Nell’agosto del ’44 il CARS è trasformato in brutto giuoco di non vedere chiaro il CO-GU (CentroControGuerriglia). Ai Cac- putridume occulto su cui da qualche ciatori si afanca quindi una seconda unità: anno si basava tutto l’edificio fascista la RAP (Raggruppamento AntiPartigiano) e soprattutto l’infausta repubblica. con a capo il col. Ruta. Esso comprende an- D opo i soliti convenevoli en- che due Reparti Arditi Ufciali (RAU). trai subito io stesso nell’argomento che mi bruciava in cuore e mi eccitai talmente nell’insistere sulla iniquità che si voleva commettere contro i poveri ostaggi albesi che ad un certo tratto non potei

133 Rinsavire: recuperare la ragione, ravvedersi.

161 trattenere le lacrime e dissi che prendessero me in loro vece, ma lasciassero liberi quegl’innocenti. Il Generale fu impressionato e mi pregò di non eccitarmi, assi- curandomi che avrebbe avocata134 completamente a sé la questione e, per farmi vedere la sua buona volontà, mi assicurò che avrebbe dato in giornata l’ordine di lasciar libere le donne e i fanciulli, tra cui v’era un bimbo di 27 giorni in braccia alla sua mamma. E mantenne la promessa. I ntanto il Languasco aveva già pubblicato un altisonante manifesto, nel quale con frasi ingiuriose per il Mauri assicurava che se l’ausiliaria non venisse restituita, gli ostaggi sarebbero stati senz’altro fucilati. L’ordine di scarcerazione delle donne e dei bambini, impostogli subito dopo la visita in Vescovado, lo rese furente non meno della lettera del Mauri e da quella sera, in privato e in pubblico, le sue minacce generiche assunsero una violenza tale che faceva tutto temere, specialmente contro gli ostaggi rimasti che, rinchiusi in uno stanzone a terreno del Liceo Govone, ricevevano di tanto in tanto qualche sua visita, durante le quali la violenza verbale contro i poveretti assumeva toni di studiato furore.

CONTINUANO I MANIFESTI Partito il Generale, ecco un secondo manifesto del Languasco che ribadiva i propositi del primo. In città il terrore aumentò così che un buon numero di fami- glie credette prudente lasciare Alba. Pensai intanto che conveniva battere il ferro mentr’era ancora caldo e spedii un promemoria al Generale Del Giudice, in cui ribadivo con energia tutte le ragioni per cui ritenevo iniqua e illegale la minacciata fucilazione. Seppi poi che la lettera era spiaciuta alquanto per il tono energico e per la qualifica di «illegale» che io affibiavo all’operato del Languasco, ma in fondo dovette ribadire la buona volontà del Generale, perché pian piano, uno dopo l’altro gli ostaggi furono rilasciati, fino a che restarono in carcere solamente l’Avv. Coppa e il signor Pietro Boasso. E di questi il Languasco disse in tutti i toni che dovevano essere fucilati. Che il Vescovo riuscisse nella sua impresa al cento per cento pareva troppo al Languasco e non a lui solo. Pure non mi perdetti d’animo. Il P. Quistelli stesso si era messo dalla mia parte ed era riuscito ad arrivare fino al Maresciallo Graziani e a interessarlo alla cosa. I ntanto però il Boasso e l’Avv. Coppa furono trasportati a Torino alla che- tichella. Il fatto aumentò il terrore, perché si pensò ineluttabile la fucilazione. Al- MPSBJOUFSQPTJMBMUBBVUPSJUËEFMM&NJOFOUJTTJNP$BSEJOBMF'PTTBUJQSFTTPJM(FO Mischi, Capo di S. M. dell’Esercito repubblicano che gli promise di prendere in buona considerazione l’affare, mandai il fratello dell’Avv. Coppa, Don Benedetto, arciprete di Gorzegno, a Torino dal Gen. Montagna, da cui dipendeva in più alto grado il Languasco e ancora, tanto per ribadire, dal Gen. Mischi. La conclusione fu

134 Avocata: assunto, preso su di sé.

162 che i due furono liberati alla condizione che il figlio dell’Avv. Coppa, ch’era S.Ten. d’aviazione, ma da tempo in licenza, e il quarto figlio del Boasso di poco più che 15 anni entrassero l’uno nelle file dell’esercito repubblicano, l’altro al centro d’ad- destramento di Crema. Così con un colpo al cerchio della Giustizia e l’altro alla botte di salvare la figura del Languasco si credette di risolvere il problema. I due giovani, per salvare i genitori si dissero disposti a partire, ma era sottinteso che non sarebbero restati con la repubblica; il Coppa trovò propizia l’occasione di non presentarsi e il Boasso non tardò, venuto in breve licenza, a raggiungere i suoi tre fratelli che da tempo erano nei Partigiani, mentre figuravano dispersi. I genitori s’erano già ecclissati «in più spirabil aere ».

BISOGNA IMPICCARE IL VESCOVO Ma da allora la campagna già iniziata in sordina contro di me in mezzo agli ufficiali e ai soldati andò intensificandosi. Il Languasco andava dicendo chiara- mente che prima di lasciare Alba m’avrebbe impiccato al balcone del palazzo mu- nicipale con il Comm. Prefett. Pietro Bianco, ex Maggiore della cessata Milizia che gli era stato compagno in Croazia e ne conosceva vita, virtù e miracoli. Il fatto che io personalmente e attraverso i miei Sacerdoti ottenevo facilmente dai Partigiani scambi e liberazioni, che mi porterebbe troppo in là se le narrassi tutte, fece pen- sare e dire al Languasco e ad altri che io ottenevo da quelli quanto volevo perché li proteggevo e li aiutavo con efficace e cordiale assistenza. Confessavano di non avere nessuna prova nelle mani, ma ciò lungi dal farli ricredere faceva loro pensare invece ad una mia singolare e straordinaria scaltrezza. La verità era che io m’ero proposto di agire nell’ambito della Carità per tutti, fuori di ogni quadro politico e d’ogni simpatia; ed era anche un’altra verità che io non potevo disinteressarmi dei Partigiani, quando la mia Diocesi era partigiana almeno il 90 per 100 e la gioventù atta alle armi era nelle file dei Patrioti forse con una percentuale non molto infe- riore. A parte ogni sentimento personale, poteva il Vescovo schierarsi con una delle parti senza tradire la sua Missione? In questo dimostravano di avere assai più buon senso i Partigiani, che non posero mai questa questione, mentre nella repub- blica era all’ordine del giorno privato e pubblico. E poi poteva il Vescovo trincerarsi in casa135 e straniarsi dalla Carità per chiunque e in qualunque modo soffrisse? Se i Vescovi e in genere il Clero, fossero stati uomini di parte avrebbe potuto l’opera loro ottenere la salvezza dalla morte, dalla fucilazione, dalle carceri, dal confino, dalla deportazione, dai campi di concentramento di milioni di uomini? Nel caso mio avrei col mio Clero salvato paesi interi dalla rovina mentre invece sia che mi volgessi ai tedeschi, come ai Partigiani o alla repubblica, ottenevo quasi sempre al completo quanto domandavo?

135 Trincerarsi in casa: chiudersi in casa.

163 I noltre tra i repubblicani era rarissimo che io vedessi qualche mio Diocesa- no, mentre avevo quasi tutti i miei figli più giovani nei boschi, tra le rocce a servire la Patria in una vita che aveva del selvaggio, del tragico veramente quotidiano, e io avrei dovuto, come pretendeva la repubblica, disinteressarmene crederli dei delinquenti, aiutare chi li voleva tutti morti? 'PSUVOBUBNFOUFUVUUJJ7FTDPWJFMBNBTTBEFM$MFSPIBOOPEJNPTUSBUPEJ avere altissimo il senso del proprio dovere. E se a tutto questo si poteva aggiungere anche una provvidenziale dose di furberia, non maliziosa, ma attiva e oculata, non c’era da ringraziare Iddio? L’avere io vinto in pieno la dolorosa partita degli ostaggi albesi irritò forte- mente il Languasco e quasi tutti i suoi Ufficiali. Se infatti, prima della repubblica, per lunghe lotte sostenute contro gerarchi fascisti e sempre vinte, io ero segnalato nei rapporti semestrali al Governo come un Vescovo prepotente e violento, da al- lora il considerarmi biecamente trovò un’esca ben maggiore; tanto più che il Gen. Del Giudice pochi giorni dopo traslocò il II Cacciatori provvisoriamente a Bra e poi definitivamente a Ceva, come gentilmente venne ad annunziarmi il Gen. Del Giu- dice stesso. Anche in questo aveva dimostrato di avere senno e discernimento e la città ne godè, come di un avvenimento festoso. Ma l’ira contro di me si accrebbe e a Bra la campagna contro la mia persona fu così intensificata che tra i soldati si parlava del Vescovo di Alba come di un capo dei Partigiani, del vescovo dei par- tigiani, come se questi avessero nella mia persona il loro Ordinario militare. Ma di questo parlerò più sotto ancora. Mi preme però notare che l’ira del Languasco contro di me non sminuì ed ebbe il coraggio di scrivere al Comm. Pref. che nel partire da Alba di una cosa si era veramente pentito: «di non aver impiccato te e il Vescovo al balcone del Municipio».

164 10 – Esecuzioni e vendette evitate

Il vescovo intende proteggere tutti i suoi cittadini, anche chi si professa apertamente fascista. Dopo l’uccisione dell’ex podestà di Alba, Molineris, ad opera dei partigia- ni, Grassi convince un insegnante di fede repubblichina a lasciare la città per non essere ucciso. Contatta poi il partigiano Michel di Sinio e lo convince a non mettere in atto ulteriori vendette contro i fascisti.

L’ASSASSINIO DEL COMM. MOLINERIS I l 23 Settembre, la città tuttora sotto il terrore apprese una brutta notizia che aumentò la paura. Nella notte del 22, alle ore 23,15, nella sua villa, veniva ucciso a colpo di fucile mitragliatore il Comm. Ing. Molineris che fu per parecchi anni Podestà di Alba e poi Presidente della Provincia: chi lo aveva ucciso? Le voci furono molte, ma si venne quasi subito ad assodare che era stato ucciso da un gruppo di partigiani, i quali penetrati di notte nella villa lo avevano freddato da- vanti alla moglie e ad una sorella per motivi esclusivamente politici. Il Molineris che come podestà di Alba e Presidente della Provincia aveva fatte parecchie cose buone, senza che alcuno potesse accusarlo di essersi approfittato di un soldo, era stato ardente fascista fino al 1942, ma da allora aveva messo molt’acqua nel suo vino politico. La famiglia, con vero spirito cristiano, nel darne comunicazione alla cittadinanza con un annunzio funebre, pregava l’Autorità a rispettare la volontà del defunto che, presago136 della sua triste fine, aveva ripetutamente dichiarato che non voleva si facessero vendette o rappresaglie; ma il Languasco, con una inopportunità che eguagliava i suoi sentimenti volgari, offendendo il morto e la famiglia, senza dir nulla ad alcuno, fece apporre sopra l’annunzio una striscia con le parole: «no, camerata137 Molineris, sarai vendicato». Ma non vendicò affatto e, come si vide, dovette partirsene da Alba. A voler dire tutta la verità i cittadini disapprovavano con acerbe parole que- sti fatti, perché i Partigiani, compiuta quasi sempre al sicuro la loro azione, non restavano a difendere i poveri cittadini su cui cadevano vendette e rappresaglie della repubblica. Venti giorni innanzi di notte un insegnante della città era stato violentemente assalito in casa sua ed era riuscito a salvarsi quasi miracolosamente per l’intervento di un brav’uomo della vicina P. S. di San Paolo che, presi i bimbi sulle braccia e mostrandoli agli aggressori, era riuscito ad ottenere lasciassero quel- la casa in pace. Un affronto di egual genere si doveva ripetere allo stesso Professore

136 Presago: che ha il presentimento di ciò che accadrà. 137 Camerata: nome con cui si chiamavano tra loro gli iscritti al partito fascista.

165 e poiché egli, sebbene fascista dichiarato e un po’ inviso138 agli scolari per la sua propaganda e le sue sfuriate fasciste, non aveva mai fatto nulla di male ed era buon padre di famiglia, io venni supplicato di indurlo a fuggire e a salvarsi. Il che pareva cosa difficile ad ottenersi da lui, forse per eccessiva fiducia nel potere della repub- blica; ma, quando gli feci comprendere che bisognava salvarsi per i suoi bimbi e per evitare rappresaglie alla popolazione innocente si decise a nascondersi dove gli suggerii e dopo qualche giorno riuscì a portarsi a Cuneo, di dove seppi che passò poi ai Partigiani.

SALVATI!... Ma il mattino del 23 venne da me una signora mandata dal Comm. Pref. a pregarmi di una delicata missione presso i Partigiani delle formazioni garibaldine. Egli aveva saputo con certezza che la uccisione del Molineris era la prima di una se- rie che doveva essere perpetrata contro fascisti della città, primi fra tutti il Col. Lan- guasco e il suo Tenente, certo Montini, che aveva fama pure d’essere crudele; mi supplicava pertanto di cercare di impe- dire tali uccisioni, che avrebbero fatto senza dubbio cade- re sulla città chissà quali terribili vendet- te. Non c’era da per- der tempo. I l mattino se- guente, riuscito dopo molte ricerche a tro- vare un furgoncino Sinio della Ditta Calissano, partii per Sinio, dove sapevo esservi delle formazioni garibaldi- ne e ne trovai infatti una che faceva parlare di sé, quella di Michel, nome di battaglia di un uomo sulla trentina che mi confessò di avere in mano la nota degli albesi e dei militari che dovevano essere soppressi in breve volger di giorni e me li nominò. L o supplicai a far sì che tali eccidi139 non avvenissero e gli dipinsi il terribile quadro dell’odio che sarebbe aumentato e che non potendo sfogarsi contro i Parti- giani si sarebbe sfogato spaventosamente su cittadini albesi, inermi ed innocenti. In sulle prime non voleva intendere ragioni, perché diceva essere tempo di finirla coi fascisti che rovinavano l’Italia e che, per quanto lo riguardava personalmente, lo avevano prima perseguitato e poi trattenuto in carcere da cui era sfuggito per

138 Inviso: malvisto, guardato con ostilità. 139 Eccidio: strage, sterminio.

166 miracolo, ma alle mie buone ragioni e alle mie suppliche finalmente si arrese e mi promise che non si sarebbe più torto un capello a nessuno di quelli che erano in lista, e me la fece vedere. D opo il nome dell’Ing. Molineris venivano quelli del Languasco, del Monti- ni, del Prof. Zubini, dell’Avv. Cerutti, del Magg. della milizia Alerino, impiegato al municipio di Alba e di qualche altro di cui non ricordo più il nome. Mi feci ripro- mettere la incolumità per i designati e partii lieto di aver stornato140 dal capo della mia città episcopale chi sa quali grosse e terribili vendette, felice anche di aver fatto cristianamente del bene a chi mi odiava e m’avrebbe voluto vedere impiccato al balcone del palazzo municipale. Michel mantenne lealmente la parola; su questo punto i Partigiani erano senza dubbio superiori ai repubblicani, che a me e al mio Vicario Generale diedero frequenti prove di mala fede e di doppiezza, il che non ricordo sia avvenuto coi Patrioti.141

Alba, via Vittorio Emanuele

140 Stornato: allontanato, orientato in un’altra direzione. 141 Patrioti: qui si riferisce ai partigiani .

167 OTTOBRE/DICEMBRE 1944

11- Alba passa ai partigiani

I primi di ottobre del ’44 il battaglione alpino Cadore deve lasciare Alba. Il vescovo favorisce le trattative tra i partigiani e il colonnello degli Alpini perché questi pos- sano lasciare la città senza essere attaccati. Il 10 ottobre però le formazioni garibaldine irrompono in Alba. Gras- si chiede l’intervento del partigiano autonomo Carletto perché venga rispettato l’accordo di evitare scontri ar- mati. La città è conquistata dai partigiani.

IL COLONNELLO REDAELLI Ho detto poche pagine innanzi che il [reparto] II Cacciatori era stato allon- tanato da Alba; ora soggiungo che a supplirlo, come mi aveva annunziato il Gen. Del Giudice, era venuto un reggimento molto serio e per bene, il Battaglione Alpi- no «Cadore», comandato dal Col. di complemento Redaelli, distinto avvocato di Venezia, già nominato Ministro della Giustizia della RSI; un uomo e un battaglione che nei pochi giorni che si fermarono tra noi si comportarono esemplarmente. Dopo 10 giorni o poco più di permanen- za, il battaglione riceveva già l’ordine di partire e il Colonnello, la Domenica 8 Ottobre, andò coi suoi ufficiali in Municipio a prender congedo dal Comm. Prefett., che, preoccupato dalla improvvisa partenza del battaglione senza che fosse annun- ziata nessun’altra truppa a supplire il Presidio, tele- fonò, presenti Col. e Uff., a Cuneo al Prefetto per annunziargli la cosa e parlargli della necessità di non lasciare senza presidio alcuno la città, che, cir- Stemma del Battaglione “Cadore” condata da ogni parte dagli informatissimi Partigia- che occupa il presidio di Alba ni, poteva diventare cruento142 campo di battaglia nell’ottobre ’44 con gli Alpini, come poteva anche, nell’improvviso disordine che sarebbe succeduto nella ipotesi di una indisturbata partenza di que- sti, cadere nelle mani della teppa143, che non manca in nessuna città, colle inevita- bili grassazioni144, vendette, furti e altre birbonate del genere.

142 Cruento: sanguinoso, che provoca spargimento di sangue. 143 Teppa: feccia, gentaglia. 144 Grassazioni: aggressioni a mano armata a scopo di rapina.

168 I l Prefetto, ch’era sempre il Galardo, rispose ch’era necessario che non man- casse il Comando di Presidio in Alba e che avrebbe subito telefonato a S. E. Zer- bino, Alto Commissario per il Piemonte, perché in qualunque modo provvedesse, almeno col far restare una compagnia del «Cadore». Il Commissario gli fece os- servare che il «Cadore» aveva due sole compagnie, una già in partenza, a Canale d’Alba, e la seconda in Alba con l’ordine tassativo di partire entro due giorni. Il Galardo rispose che ad ogni modo avrebbe provveduto perché un Presidio militare fosse mandato in Alba. Ma la dimane, alle 8,45, il Commissario Bianco è chiamato al telefono dal Prefetto che gli domanda se non ha ricevuto nessuna telefonata da Torino; rispose di no e il Prefetto allora soggiunse che non era stato possibile combinare e che ci WPMFWBQB[JFO[B'JHVSJBNPDJMPTUVQPSFFMJORVJFUVEJOFEFM$PNNJTTBSJP.BÒ bene si sappia subito che il 10 Novembre, S. E. Zerbino, alle ore 11, nel palazzo della Cisterna in Torino mi assicurava che il Galardo non gli aveva affatto telefona- to, al che io non mi tenni di esclamare: «questi sono gli uomini che voi mettete al potere!», senza che il Zerbino dicesse una sola parola di protesta. I l Prefetto poi, che aveva sulla coscienza davanti alla repubblica il fatto di non aver curato l’interesse di questa, non cercando d’impedire l’ingresso dei Par- tigiani in Alba, cercò poi, per salvarsi di gettare la colpa su di me, come se io per- sonalmente, di mio arbitrio, avessi ceduto la città ai Partigiani. Ma era troppo mal destro il suo giuoco per essere creduto dai suoi medesimi.

PARTONO GLI ALPINI… I ntanto il Col. Redaelli faceva i preparativi di parten- za e il lunedì stesso, 9 Otto- bre, venne a congedarsi da me e a dirmi la sua preoccupazio- ne per la città e che, avendone parlato coi suoi superiori, s’e- ra entrati nell’ordine d’idee di passare pacificamente la città ai badogliani del Magg. Mau- ri, per salvarla dai pericoli pro- Alpini della Divisione “Monterosa” di cui fa parte spettati già dal Commissario il Battaglione “Cadore”, incaricato del presidio di Alba al Prefetto il giorno innanzi. E dopo lo spostamento del “Raggruppamento Cacciatori domandava consiglio a me. degli Appennini” I o pensai che egli si preoccupasse forse altrettanto – ed era naturale – che il suo battaglione nell’uscire di città, non fosse assalito alla schiena dai Partigiani, e che si evitasse una inutile

169 e sanguinosa battaglia. Il dubbio preoccupava anche me, ma non ne parlammo; mi domandavo inoltre: la Repubblica avrebbe avallato la disposizione militare di cedere la città? E se l’avesse fatto, essa, che s’inferociva sempre più di giorno in giorno, non se ne sarebbe pentita e non avrebbe forse tentato poi riaverla anche col ferro e col fuoco? Chi se ne sarebbe stupito? E ro convinto della necessità di un presidio e glielo dissi; dissi anche che tutti si desiderava di finirla colla repubblica così nefasta alla città, ma quale dovesse o potesse essere questo presidio era cosa troppo lontana dalle mie competenze e da ciò che ne potevo sapere per suggerirne una forma piuttosto che un’altra. Soggiun- si però che bisognava ad ogni modo evitare spargimento di sangue e se per questo potevo riuscire utile come pure per risparmiare danni alla mia città, io ero sempre pronto a qualunque sacrificio. Mi ringraziò dicendomi che andava a parlare al Comm. Pref. e, occorrendo- gli qualcosa, m’avrebbe telefonato. U n quarto d’ora dopo la sua partenza arrivò da me una donna, latrice145 di un biglietto del Ten. Carletto dei Partigiani, che ho già nominato, col quale m’ interessava perché combinassi un colloquio urgente col Col. Redaelli. Telefonai a questi in municipio, dove si trovava, e mi rispose di far sapere al Carletto che anch’egli desiderava il colloquio e anzi mi pregava di concedergli come luogo di convegno il palazzo vescovile, perché più appartato e più sicuro. Intuii quale poteva es- sere il colloquio, anche perché correva voce che nei giorni precedenti si fossero trovati a colloquio Ufficiali del «Ca- dore» con Uff. Partigiani per trattare della possibilità di una cessione della città da parte di quelli ai Patrioti. Il colloquio fu fissato Mauri, Balbo e Carletto, che assume il comando per le ore 18 della sera stes- partigiano di Alba sa, con tutte le solite garanzie d’incolumità d’ambo le parti. Nel pomeriggio mi portai a Seno d’Elvio dove sapevo dalla sua lettera di trovare il Carletto per fissare il colloquio. A lle 18 si trovarono puntuali in Vescovado il Redaelli col suo Cappellano P. Casagrande e il Carletto, da solo. Il colloquio durò dalle 18 fino alle 19,45, ma io non WJQBSUFDJQBJFNFOFTUFUUJDPM$BQQFMMBOPJOVOBMUSBTBMBBQBSMBSFEJBMUSFDPTF'JOJUP ch’ebbero, i due vennero da noi e ci dissero che tutto era combinato per un trapas-

145 Latrice: colei che porta, recapita un messaggio.

170 so tranquillo e ordinato del Presidio di Alba dal battaglione «Cadore» ai Partigiani. A ccompagnai i tre fino al portone e stetti a osservarli che s’allontanavano al lume delle loro lampadine tascabili, quando a sinistra, nel vicolo Vescovado, sentii un forte rumore di passi che s’avvicinava e ad un tratto, alla svolta, vidi spuntare un gioco di luci intermittenti. Erano Alpini che nell’oscuramento totale e nel buio della sera si facevan luce per venire da me a cercare il loro Colonnello. Quando mi videro mi domandarono dove stava il Vescovo. Capii subito e li tranquillizzai, insegnando loro come raggiungere ancora per via il loro Colonnello. Al Comando, dove questi aveva assicurato sarebbe tornato per le 19, non vedendo arrivare ne aveva temuto la cattura da parte dei Partigiani; evidentemente i limiti della conver- sazione avevano oltrepassato di molto il tempo previsto. L a notte per me fu insonne e piena di dubbi e d’interrogativi. Che cosa sarebbe poi avvenuto? Non potevo dubitare della parola del Colonnello, ma mi pareva – ripeto – impossibile che la repubblica avallasse il tranquillo passaggio della città ai Partigiani.

… ENTRANO I PARTIGIANI A l mattino m’alzai prestissimo; tutto era pace, ma verso le 7,30 si sentiva- no di tanto in tanto lontane sparatorie che pareva s’avvici- nassero; dubitai che una delle due parti non avesse mante- nuta la promessa fatta per un passaggio pacifico del Presi- dio, ma poi pensai che i Gari- baldini, che occupavano le vie e i colli a sud-ovest della città, pur sapendo della partenza degli Alpini non conoscessero Partigiani della brigata Matteotti verso Alba però i patti intercorsi e voles- sero occupare colla forza la città. Così era difatti. Mentre i Badogliani si tenevano ammassati ai Boffa, un gruppo di case della periferia ad est; avvicinandosi lenta- mente alla città, i Garibaldini erano scesi dai loro colli del Ricca e di Roddi ad ovest e penetrati in città facevano a fucilate con gli Alpini. Le sparatorie aumentavano, poi tacevano, poi ripigliavano dopo lunghe pause e io stavo col timore che una vera e terribile battaglia avesse inizio, quando verso le ore 10 mi chiamano al te- lefono. Era il Redaelli che con tutta calma mi diceva di non capire che cosa fosse tutta quella sparatoria cui venivano sottoposti i suoi Alpini e supponendo ci fosse qualche equivoco da parte dei Garibaldini mi pregava di arrivare in qualche modo ad avvertire il Ten. Carletto affinché provvedesse a farle smettere.

171 Telefonai subito a Villa Prandi dove mi avevano assicurato trovarsi il Carletto o chi per esso e mandai contemporaneamente il mio Segretario, D. Balocco ai Boffa dove si agitava un forte numero di Badogliani e dove forse poteva trovarsi in quel momento il Carletto. Andò e tornò di corsa, colla assicurazione che si sarebbe provveduto subito. Avvertii il Colonnello per tranquillizzarlo, ma non eran passati venti minuti, durante i quali ogni sparatoria pareva cessata, che il Col. mi chiama nuovamente al telefono per dirmi che il Comando era tutto circondato da Partigiani che dalla strada gridavano: «scendete giù, vigliacchi», e tentavano anzi di salire e mi pregava di fare intervenire ancora i Badogliani. Mandai nuovamente D. Balocco e li trovò già in piazza della Cherasca, a pochi metri dal Vescovado, all’imbocco di due vie che portavano al centro. In pochi minuti erano arrivati dai Boffa in città. Chi li avrebbe ancora trattenuti con la febbre che li ardeva di occupare la città? Pure m’assicurarono che avrebbero provveduto ad avvertire e calmare i Garibaldini. Il Segretario terminava appena di farmi la sua relazione che son di nuovo chiamato al telefono; questa volta era l’Aiutante maggiore del Redaelli che mi pregava di atten- dere un momento al telefono il Colonnello, a cui urgeva parlarmi. Dal microfono sentivo come un alto e distinto vociare, un muoversi concitato di molti passi e nel rumore, capii distintamente queste parole: - noi siamo mi- litari - e di rimando la voce del Colonnello: «anche noi siamo militari»; poi subito la prima voce che intima: - siamo qui a domandarvi che vi arrendia- te - e la risposta: «quanto ad arrenderci vedremo, intanto io devo telefonare». Stavo coll’animo so- Ottobre ’44 - Comandanti partigiani all’uscita del speso e timoroso; poi sentii Vescovado di Alba: da dx. Enzo Bramardi (“Fede”), Enrico la voce del Colonnello che Martini “Mauri”, il magg. Darewsky (“Temple”, capo con frasi velate mi diceva che missioni alleate), Giacomino Curreno i Garibaldini eran saliti ad in- timargli la resa e mi pregava ancora una volta d’avvertire il Carletto, per evitare spargimento di sangue. Altra corsa di Don Balocco e arrivano subito con lui il Ten. Renato e due altri Partigiani a dirmi che era stato provveduto. Avverto il Colonnel- lo e questi mi risponde subito ringraziandomi, poiché nel frattempo era arrivato da lui il Ten. Carletto e le cose si stavano chiarendo e aggiustando. L a sparatoria finì del tutto; gli Alpini uscirono tranquillamente di città e alle ore 16 non ve n’era più alcuno e, a somme fatte, non c’era che un ferito leggero tra i civili.

172 12 - I fascisti rivogliono la città - La trattativa fallita

Alba è in mano ai partigiani. Arriva la richiesta del prefetto di Cuneo di cedere la città ai repubblicani; Mussolini vuole Alba a tutti i costi. Il Vescovo si adopera per una conclu- sione pacifica della trattativa, ma senza esito: le due parti sono irremovibili e per Alba si annunciano giorni cupi.

GOVERNO PARTIGIANO R ingraziai la Divina Provvidenza che ci aveva così visibilmente aiutato e da quella sera Alba fu in mano ai Partigiani azzurri, i Badogliani, e rossi, i Garibaldini che impiantarono due rispettivi comandi e dimostrarono subito di non intendersi perfettamente. I n questo periodo l’opera mia e del Clero fu tutta intesa a impedire incom- prensioni, urti e anche rappresaglie, ingiustizie e vendette, che erano invocate a getto continuo e vigliaccamente da decine e decine di lettere anonime e da dela- zioni nell’ombra. D a parte repubblicana tutto era silenzio e ci si illudeva anche un po’ che non pensassero più ad Alba, quando alle ore 15 della Domenica 22 Ottobre arriva in Vescovado il Can. Imberti, Priore di sant’Andrea di Bra, mandato dal Prefetto di Cuneo, Galardo, a pregarmi di andare dal Comandante Mauri per invitarlo a cede- re la città alla repubblica tranquillamente, come l’a- veva ricevuta. Invito e do- manda mi stupirono sulle prime; come mai dopo 12 giorni di assoluto silenzio si veniva fuori con tale do- manda? A d ogni modo, poiché alla preghiera s’ag- giungevano gravi minacce contro la città se non fos- se stata restituita, credetti utile acconsentire all’invi- to del Prefetto e poiché in quel giorno io non potevo assentarmi dalla sede, pregai Mons. Vicario di andare a mio nome dal Mauri per riferirgli e portarmi una risposta. I l Ten. Carletto, comandante della Piazza, mise subito la macchina del co- mando a disposizione di Mons. Gianolio e lo portò nell’alta Langa a San Luigi

173 di Marsaglia, se non erro, dove si trovava allora il Mauri. Due ore di mac- china e una a piedi per vie impervie, faticose e altre tre ore per tornare non furono un divertimento. Tornò in Alba che erano le 22, molto stanco e con la risposta assolutamente negativa. Alba - Funerale di un partigiano della Brigata Matteotti Non era difficile pre- “Fratelli Ambrogio” vedere che da quel mo- mento cominciavano ore tristi per la città. Al mattino seguente traghettai il Tanaro su una misera barchetta, perché anche la passerella costruita dopo la rovina del ponte avvenuta in Luglio era stata fatta saltar pochi giorni innanzi da Partigiani; al Mussotto, borgo della periferia nord-est della città, riscii a trovare una carrozzella che mi portasse a Bra, dove il Prefetto attendeva da me la risposta.

PRETESE REPUBBLICANE … Per via, poco oltre S.Vittoria, incontro diretti verso Alba un carro armato, un’autoblinda, un camion fitto di uomini armati e un’auto con Ufficiali, che rico- nosciutomi mi fecero segno di fermare. Scendo di carrozzella e si presentarono a me come Ufficiali della Repubblica che andavano ad esplorare il Tanaro e intanto volevano conoscere la risposta del Mauri. Vidi lì per la prima volta l’Ing. Tealdy, Vice federale di Torino, che parlava con tutti in tono autoritario e che diceva di sè d’essere un mistico, ma che un’alta personalità torinese che lo conosceva, definiva un «mistico criminale». R iferii la risposta del Mauri e risalii in carrozzella. A Bra, in municipio, il Prefetto m’attendeva. Gli riferii senz’altro il colloquio del mio Vicario col Mauri e la sua ripulsa, non nascondendogli il mio stupore che a 12 giorni di distanza, dopo che la città era stata data ai Partigiani da un comandante di presidio della repubblica in accordo con i suoi Superiori, la si rivolesse. Il Prefetto, imbronciato, mi rispose che il Col. meritava d’essere fucilato, che avrebbe dovuto prima parlare con lui, ma alla mia domanda che cosa c’entrasse il Prefetto e che alla fin fine la resa era avvenuta col consenso della Autorità militare, mi rispose solo che Musso- lini voleva a tutti i costi che Alba tornasse alla repubblica e che egli aveva l’ordine di riaverla nelle mani a qualunque costo.

174 … ORDINI DEL GOVERNO … I n giro si diceva che il Prefetto avesse avuto aspri rimproveri dal Governo e ordini draconiani146 di riconquistare la città. Le mie domande erano un po’ az- zardate ma mi premeva, per buone ed evidenti ragioni, di scoprire il mistero che si celava sotto, tanto più che il Prefetto diceva d’ignorare quasi del tutto cos’era avvenuto ad Alba per indurre alla cessione della città ai Partigiani, mentre egli non ignorava ch’era colpa sua se la città era rimasta senza Presidio, dal che era nata la cessione. Né alle mie reiterate domande147 dei giorni successivi a lui e ai vari gerarchi fascisti per sapere se il Redaelli era stato fucilato o almeno punito, non ottenni mai risposta alcuna; il che mi faceva pensare che in alto tutta la colpa della cessione non fosse attribuita al Redaelli ma al Prefetto. Tant’è vero che in più modi capii e ripetutamente che dalle autorità piemon- tesi repubblicane si cercava un salvataggio, tentando di gettare su di me la colpa del fatto, senza però riuscire a farla bere148 ad alcuno. I ntanto Ufficiali e soldati che avevo incontrati nei pressi di S. Vittoria erano rientrati a Bra ed avevano invasa la sala nella quale mi trovavo col Prefetto, par- lando tutti insieme ad alta voce, senza riguardo alcuno, e il mio stupore accrebbe tanto più quando m’accorsi che ad interloquire e a sdraiarsi non eran solo Ufficiali ma anche soldati; rimasi poi quasi trasecolato quando sentii che i soldati davano tranquillamente del «tu» agli Ufficiali fino al grado di Tenente compreso. Seppi poi che tutto ciò lo si chiamava cameratismo149 e che era d’importazione tedesca. Chi prese in mano il filo della conversazione fu il Tealdy, che più d’ogni altro sbraitava che Alba doveva essere restituita alla repubblica ed entrando nel gioco del Prefetto contro di me, non so se in buona o mala fede, ad un punto esclamò forte, rivolto a me «Voi che avete dato in mano ai Partigiani la città in modo pa- cifico, nello stesso modo la dovete restituire». La botta150 trovò da me pronta rispo- sta, che gli impedì di ripetere, ma da allora capii che quell’uomo non doveva essere troppo ben intenzionato e molto prevenuto verso di me; alcuni dei suoi articoli sul Clero nei quotidiani fascisti e sul suo settimanale «La Riscossa» dicevano ben chiaro che cosa pensasse in generale del Clero e cosa pretendesse dal medesimo.

… MINACCE CONTRO ALBA … L a conclusione fu che io fui invitato a recarmi in giornata da Mauri per persuaderlo di nuovo ad accettare la loro domanda, al quale invito seguirono le minacce più fiere per Alba: sarebbe rasa al suolo, sarebbero venuti a prenderla con

146 Ordini draconiani: ordini assoluti, ai quali non si può disubbidire. 147 Reiterate domande: domande ripetute più volte. 148 Riuscire a farla bere: riuscire a farlo credere. 149 Cameratismo: solidarietà tipica tra i soldati di una caserma. 150 La botta: l’accusa.

175 migliaia di soldati, con cannoni e perfino con l’aviazione, se fos- se stato necessario. E volevano pronta e sicura risposta, se no le minacce sarebbero diventate una pronta, durissima realtà. E poiché il Galardo faceva lo gnorri151 sulla resa di Alba ai Partigiani, come se fosse sem- pre stato all’oscuro di tutto, de- cisi di mandargli una relazione dettagliata del fatto e di spedir- Partigiani ad Alba nei 23 giorni ne copia all’Alto Commissario del Governo per il Piemonte, Zerbino, perché si delineasse di chi era la responsa- bilità della resa della città. E così feci nella serata stessa, di ritorno dal colloquio col Mauri.

... E POSIZIONE RIGIDA DEI PARTIGIANI … Tornato ad Alba prima delle 12, andai nel pomeriggio verso la Langa e a Castino, Comune a 26 km da Alba, con una macchina partigiana; m’incontrai con il Com. Mauri e il suo Stato Maggiore, riferii per filo e per segno il discorso del Pre- fetto e dei suoi, l’esortai a riflettere sulle conseguenze che avrebbe subita la città da un suo rifiuto, che pensasse alla responsabilità che si assumeva, ecc., ma trovai una [risposta] negativa assoluta e ripetutamente mi disse che non avrebbe lasciata Alba a nessun costo e che sarebbe stata difesa via per via, porta per porta. Tornai ad Alba preoccupato e Mons. Vicario mi disse che lo stesso linguag- gio e lo stesso tono aveva tenuto il Mauri il giorno innanzi con lui. E la mia pre- occupazione era legittima; ero convinto che Alba avrebbe subito guai ben grossi e che i Partigiani non sarebbero stati in grado di difenderla, perché dalle informa- zioni assunte e dai discorsi che sentivo avevo la certezza che valutavano troppo la loro forza e altrettanto svalutavano quella dell’avversario. A rrivato a casa ch’era quasi notte mi posi a stendere la relazione di cui parlai sopra. Più che stanco, ero affranto dai pericoli incombenti e non sentendomi di andare all’indomani a Bra, pregai Mons. Vicario d’andare per me a portare la rispo- sta al Prefetto. I ntanto nella notte cominciò a piovere a dirotto e il Tanaro al mattino era in piena, ma ciononostante Mons. Vicario col Can. Basso riuscirono a passare il fiume in barca e si incamminarono poi in bicicletta per Bra. La pioggia che all’alba aveva accennato a diminuire, quando i due avevano percorso appena un Km. o due

151 Faceva lo gnorri: fingeva di non sapere.

176 aumentò siffattamente152 che in breve divenne un diluvio con turbini di vento che impedivano il procedere e i due Sacerdoti, tornati indietro per forza, fece- ro appena in tempo a ripassare il Tanaro che aumentava man mano paurosamente. Un quar- to d’ora di ritardo e sarebbero rimasti fuori città. Due legami soli ci permettevano ancora di I resti del ponte di Alba comunicare colla repubblica: il telegrafo e la linea privata telefonica della Piemonte Centrale Elettricità. A lle ore 18 del giorno 24 ricevo un telegramma del Prefetto che vuol sapere l’esito della mia missione; gli rispondo che è negativo e che sarebbe seguita lettera portata dal mio Vicario. Intanto nel mattino i repubblicani erano tornati da Bra sul Tanaro di fronte ad Alba per ingaggiarvi un po’ di battaglia, ma smisero presto, perché in breve tempo ebbero uccisi 11 uomini tra cui il Ten. Col. che guidava la colonna dei loro 200 armati. Per tutto il 25 e il 26 continuò a piovere a torrenti e il passaggio del Tanaro divenne assolutamente intentabile. I l giorno 27 continuò a piovere e il Tanaro faceva paura, ma nel pomeriggio cessò la pioggia e come sempre, il Tanaro decrebbe, in fretta si rabbonì153 sicchè nelle ore pomeridiane del sabato, 28, Mons. Gianolio lo potè traghettare e prose- guire per Bra in bicicletta. I l Prefetto era rientrato a Cuneo e la lettera fu lasciata al comando della Bri- gata nera, dove in serata sarebbe tornato il Prefetto.

ATTENTATO A MONS. VICARIO Quel giorno avvenne un fatto molto significativo per la campagna che si faceva contro di me. Quando Mons. Vicario arrivò al posto di blocco a Bra gli domandarono le carte e per quale motivo andasse a Bra; rispose che era latore154 di una mia lettera al Prefetto che la attendeva. Sentire il nome del Vescovo di Alba, scattare e inveire fu per quei soldati tutt’uno, assicurando che l’avrebbero messo a posto essi il Vescovo, ma lasciarono passare tranquillamente il messaggero. Però quando tornò lo riconobbero, lo salutarono, ma appena ebbe compiu- to la stretto giro che la strada fa in quel punto uscendo da Bra verso Alba, gli spara- rono due colpi di mitra. Mons. Vicario udì le due pallottole fischiargli attorno, saltò

152 Siffattamente: in modo tale. 153 Si rabbonì: si calmò, si tranquillizzò. 154 Latore: portatore.

177 di bicicletta e si gettò in un gruppo di donne che transitava lì presso e che si misero ad urlare; allora i valorosi spararono qualche colpo per aria, per darla ad intendere e poi smisero. E qui è bene ch’io ricordi che il mattino del 24, al Mussotto presso la casa dove fu ucciso il Ten. Col. che guidava la colonna contro Alba, i repubblicani discorrendo della situazione della città con gli inquilini della casa ebbero parole di vergognoso insulto contro la persona del Vescovo.

LA RESPONSABILITÀ … È DEL VESCOVO Questo era la mentalità che si andava formando e che ha un certo riflesso in un telegramma del Prefetto, del giorno 26 diretto a me, in cui usa questa espres- sione, simile a quella già usata dal Tealdy, parlando della resa della città fatta dal Redaelli: «è necessario comprendere e far comprendere responsabilità assuntaVi» colla risposta negativa del Mauri. Che c’entravo io colla responsabi- lità, quando proprio ero stato pregato dai repubblicani di fare l’ambasciatore? Pote- vo io forzare la volontà dei Partigiani? Ma tant’è; la colpa bisogna darla a qualcuno per scaricarsene ed era tan- to comodo, se non leale e neppur facile darla al Vescovo. L’atmosfera di battaglia si andava Alba - manifesto del CLN durante i 23 giorni formando a passo veloce e tutti in città la prevedevano non lontana. Gli eventi infatti precipitavano. Mussolini voleva Alba a tutti i costi per il prestigio della re- pubblica; che importava se molte vittime innocenti avrebbero pagato per l’orgoglio mussoliniano? Che contava il sangue degli italiani?

PASQUALE GIANOLIO 1889 - 1966 Vicario Generale della Diocesi di Alba - Cittadino onorario di Alba

Pasquale Gianolio nasce nella borgata Gianolio di Montà il 25 settembre 1889, ulti- mo di 5 fratelli e 2 sorelle, da una famiglia di agricoltori. Dopo gli studi nel Seminario Diocesano, viene ordinato Sacerdote il 26 giugno 1915; è Viceparroco al Duomo di Alba fno al 1919, quando si trasferisce diventando segretario del nuovo Vescovo di Ozieri, in Sardegna, da dove rientra un anno dopo, chiamato a svolgere le funzioni di professore in Seminario. Nell’agosto del 1922 è nominato Parroco in San Pantaleo di Cortemilia, da dove è richiamato in Alba il 1° ottobre 1934 da mons. Luigi Maria Grassi, con l’incarico di Vicario Generale e di Rettore del Seminario. Confermato Vicario Generale della Diocesi da mons. Carlo Stoppa, successore di Grassi, muore in Alba il 6 dicembre 1966.

178 La sua opera è particolarmente importante nei giorni della Resistenza. L’attività di mons. Gianolio inizia il 25 luglio 1944 quando, insieme al Vescovo, si impegna per salvare gli ostaggi rastrellati a seguito della cattura da parte dei partigiani di alcuni soldati tedeschi. Mons. Pasquale Gianolio è sempre protagonista nelle varie trattative tra i partigiani ed il comando repubblicano del maggiore Gagliardi, per scambi di prigionieri, rila- scio di ostaggi, sino alla frma della resa avvenuta il 26 aprile 1945. Per la sua opera durante la Resistenza, il 31 ottobre 1945, gli viene conferita dalla Consulta comunale presieduta dal sindaco Bubbio, la cittadinanza onoraria di Alba. Nel dopoguerra il Vicario generale guida il Clero albese nella difcile opera della ricostruzione della città che andava crescendo di numero per la recente industria- lizzazione. Il 6 giugno 1992, la città di Alba, le formazioni partigiane riunite nell’as- sociazione Colle della Resistenza, le popolazioni di Langa e Roero hanno ricordato l’opera del vescovo Luigi Maria Grassi e del suo Vicario Generale mons. Pasquale Gianolio, con la collocazione di un cippo, realizzato da Massimo Girotti, nel parco del Colle della Resistenza in Bossolasco.

COLLOQUI STORICI … Il 29 Ottobre ecco un nuovo telegramma del Prefetto col quale mi prega di fissare un colloquio di lui col Mauri «per scongiurare lotta fratricida et ancora lutti nostra Italia». Le mie speranze rinacquero ma ingenuamente, perché la realtà era che la repubblica voleva a tutti i costi la restituzione integrale di Alba, senza condizioni. /POQPUFJSJTQPOEFSFDIFJM QFSDIÏJM$BQ'FEFEFJ1BSUJHJBOJ DIFTUBWB approntando la difesa di Alba, partito per riferire al Com. Mauri, non rientrò che a notte inoltrata e la mia risposta telegrafica non poté partire che alle ore 6 del gior- no 30. Ma siccome nel mio telegramma, che fissava le modalità del colloquio, non si parlava di garanzia di sicurezza che per la riva destra del Tanaro, ecco un altro telegramma che domandava anche la garanzia sulla riva sinistra … che era in mani repubblicane. A mezzogiorno il Galardo non avendo ancora ricevuto risposta, mi telefona attraverso la P. C. E. e lo assicuro che può venire tranquillamente coi suoi, con tutte la garanzie anche … per la riva sinistra, confermando che il luogo di convegno fissato già nel telegramma è casa Pagliuzzi, nelle vicinanze del traghetto del Tanaro per Barbaresco - Neive. Il Prefetto e il Dott. Ronza, comandante le Brigate nere di Cuneo nel frat- UFNQPDPODPSEBWBOPDPOJM'FEFSBMFEJ5PSJOP %PUU4PMBSPVOB[JPOFJOHSBOEF stile per occupare la città.

179 … A BARBARESCO Poco prima delle 14 con Mons. Vicario, col Com. Mauri, col suo Aiutante Maggiore, il Poli, Carletto e altri, al passaggio a livello di Altavilla saliamo su un carrello della ferrovia, spinta a mano e con bastoni, oltrepassiamo le tre gallerie per Barbaresco, scendiamo e ci incamminiamo al traghetto ad attendere i parlamentari della repubblica. Il viaggio era stato eccezionale e anche buffo, ma non si aveva molta voglia di ridere. D opo una mezz’ora d’attesa arrivarono all’altra sponda del Tanaro il Prefetto EJ$VOFP M*OH5FBMEZ WJDFGFEFSBMFEJ5PSJOPFVODFSUP5FO'SBODIJEFMMB'FEFSB- zione fascista di Cuneo. Si salì a casa Pagliuzzi e il colloquio durò dalle 14,30 fino alle 18, senza combinare nulla. I repubblicani duri, e anche qui il gran parlatore era sempre il Tealdy, a volere la città senza transazioni, duri altrettanto i Partigiani a non volerla cedere. I n certi momenti le parti cominciavano ad accendersi, ma poi prevalse sempre la moderazione, anche quando il Mauri disse vere ma ben amare parole BMMJOEJSJ[[PEFM'SBODIJFJOHFOFSBMFEFJTJTUFNJGBTDJTUJ*M5FBMEZTJTGPS[BWBEJ convincere tutti che bisognava che ci si accordasse perché le due parti avevano di comune il vivo desiderio del bene dell’Italia, ma quando si veniva alle conclusioni, di botto rispuntava la rigidità primitiva.

… A MUSSOTTO Si fissò un altro colloquio per le ore 23 in casa del Parroco del Mussotto, a cui avrebbe partecipato anche S. E. Zerbino, ma Zerbino non venne; finì alle ore 2 del mattino, ma anche nella notte le posizioni rimasero invariabili e si progettò un terzo incontro per le ore 11, nella casa del Cappellano, a Cinzano di S. Vittoria, dove ci sono i celebri stabilimenti vinicoli omonimi.

...E A CINZANO I l mattino del 31 a Cinzano c’era Zerbino, Solaro, Tealdy, il Ronza, il Ga- lardo e altri ancora e si chiaccherò dalle 11 fino alle 18, con un breve intermezzo d’una merenda alle ore 16,30. Col Mauri c’erano i suoi soliti compagni. Con tanto parlare, e il Solaro usò anche parole violente, (v. l’articolo: - Una profezia di Solaro - nella «Stampa» del 25 luglio 1945) non si combinò nulla e le due parti continua- rono a irrigidirsi nelle loro posizioni. Cominciarono a circolare per la città voci preoccupanti e la gente, rientrata dopo l’arrivo dei Patrioti, cominciò numerosa a sfollare nella certezza che cose gravissime sarebbero succedute.

180 ULTIMO TENTATIVO N ella notte del 31 fu ancora fatto un ultimo tentativo sulla riva sinistra del Tanaro per stornare la grave minaccia che incombeva sulla città; ma tutto fu inuti- MF1JáUBSEJBODPSBNBOEBJBDFSDBSFJM$BQ'FEFFMPTVQQMJDBJBEFWJUBSFMFDFSUF e spaventose conseguenze di una battaglia per la nostra città, pronto io stesso ad andare a presentarmi con bandiera bianca ai repubblicani; ma tutto fu inutile. Mi ritirai in Cappella, desolato di non essere riuscito ad evitare alla città i mali, che il timore mi faceva prevedere immensi. Avevo supplicato ambo le parti a non porsi nella condizione di distruggere Alba, di massacrare inermi e innocenti, supplicai i Partigiani a ritirarsi al di là dei colli che la circondano perché avevo la certezza che non l’avrebbero potuta tenere, come difatto avvenne, avevo persino proposto in casa Pagliuzzi che i Partigiani uscissero di Alba e che i repubblicani non v’entrassero considerandola come una città libera nella sua cinta dei viali, ma furono i repubblicani i primi a non voler neppure discutere una tale possibilità. Però sei mesi dopo all’incirca, quando le cose per la repubblica volgevano alla rovina fu lo stesso Prefetto Galardo a fare intendere che, per evitare spargimen- to di sangue, io e il Comm. Pref. Bianco avremmo potuto trattare quella mia propo- sta coi Partigiani, ma era evidentemente troppo tardi ed inoltre per un complesso di circostanze fortuite fu impossibile parlarne. I ntanto nella notte tra il 31 Ottobre e il 1 Novembre ingenti forze repubblicane s’ammassavano sulla riva sinistra del Tanaro da Pollenzo fino a Barbaresco; si seppe poi che erano circa tremila soldati con un ventina di cannoni appostati in varii punti, due autoblinde e varii car- ri armati. N ello stesso gior- no 31 partiva da una persona, alla quale avevo fatto buoni servigi e mai la più lontana ombra di male, una lettera, recata BNBOPBM'FEFSBMFEJ5P- rino, Solaro, nella quale io ero additato come mo- narchico e badogliano e Ufficiali della RSI componenti del RAP personalità di cui biso- gnava diffidare come colui che aveva sempre favorito la diserzione155 e la resistenza. Miserie umane! Tanto può la passione politica da ridurre a far la spia delle persone che mai e poi mai si sarebbe pensato cadessero tanto in basso.

155 Diserzione: sottrarsi al servizio militare, abbandonare l’esercito.

181 13 - L’attacco nazifascista ad Alba

Tra l’1 e il 2 novembre Alba si svuota, infuria la batta- glia con sparatorie e colpi di cannone, la gente si rifugia nel Vescovado. Il Vescovo riceve un messaggio dai Par- tigiani: deve issare la bandiera bianca sul campanile del duomo. La battaglia cessa, la città è persa.

ALBA SOTTO LA FURIA DEI CANNONI Il 1 Novembre fu una giornata funerea156 e chi non era ancora partito comin- ciava a prepararsi a lasciare la città con la tristezza delle partenze piene di mistero. l 2 Novembre, alle ore 8, mi portai in Duomo per il solenne funerale di tutti i 'FEFMJEFGVOUJ DIFUFSNJOÛBMMF JONFFJOUVUUJFSBDPTJHSBOEFMBNFTUJ[JBDIF quando mi voltai per dire due parole di conforto dovetti affrettarmi per non essere interrotto dal pianto che stringeva la gola di tutti. Si sentiva qualche sparatoria lontana, come di assaggio, che intensificò verso le 10, quando la sirena municipale urlò rabbiosamente a lungo, come a dare segno di violenta battaglia. La gente co- minciò ad uscire affrettatamente dalle case e a correre verso le colline con lacrime, invocazioni e grida, con bimbi in collo, per mano, portando a fatica involti, fagotti, valigie, coperte, dando uno spettacolo che avrebbe colpito il cuore più duro. Volti smarriti, volti pieni di terrore, volti supplicanti in una muta preghiera. I Partigiani, con una ostentazione propria della loro giovine età, nonostante la mia proibizione scritta e la chiusura a chiave, forzata la porta del Campanile del Duomo v’eran saliti e sotto le più alte trifore, sul lato ovest, avevano stesa una grande bandiera tricolore quasi sfida a battaglia. Povero magnifico campanile romanico, grave monu- mento di età pur esse feroci, orgo- glio colla sua Cattedrale della gente albese io lo vidi da quel momento in ruina col Duomo sottostante; fu infatti preso rabbiosamente di mira dall’artiglieria repubblicana, ma, grazie a Dio, fu smussato appena in qualche punto, perché maldestra Partigiani in Alba libera com’era, falliva pietosamente e co- stantemente il segno.

156 Funerea: estremamente cupa e triste.

182 I DANNI I cannoni, postati oltre Tanaro, presero a sparare poco dopo le 10 e fecero gravi danni in vari punti della città; più colpito di tutti fu il Seminario maggiore che ebbe atterrato l’angolo superiore sinistro della facciata, volte e camere sfondate. Il combattimento però tra le due parti fu piuttosto dalla parte di Roddi, sotto il cui colle i repubblicani erano già passati verso le 5, attraversando il Tanaro sul ponte di Pollenzo, senza servirsi punto del traghetto di barche che per ingannare i Patrioti, avevano nella notte costrutto157 più a sud, verso la città. Il vecchio ponte di legno costrutto da Carlo Alberto a Pollenzo, sostenuto da due grosse funi di ferro stava ancora su, ma inclinato, perché i Partigiani che avevano tentato di farlo saltare non erano riusciti che a spezzare una delle due funi, sicché i repubblicani, aiutati dai tedeschi, che da parecchio aveva- no occupato il vicino castello reale, riuscirono a passare in fila non solo ma, lanciandole a grande velocità, riu- scirono anche ad attraversarlo con del- le camionette di 18 soldati ciascuna e perfino con due piccoli carri armati.

I l ponte di Pollenzo e il colle di Roddi dovevano essere difesi dai Par- tigiani della Brigata Garibaldi e difatti da Roddi si sparava maledettamente, Partigiani sulle colline di Alba ma quando le camionette e gruppi di repubblicani si slanciarono nella salita di Roddi i Garibaldini si spostarono e le loro difese si intensificarono immediatamente sulle colline a est dello stradale di Barolo. Sotto Roddi, nella piana del Toetto, fino all’antica abbazia di S. Cassiano i #BEPHMJBOJ OFMQJBOPEJEJGFTBQSFQBSBUPEBM$BQ'FEF BWFWBOPBQQPTUBUPHSVQQJ di mitragliatrici, che pian piano sotto la pressione repubblicana dovettero arretrare sempre più, fino a ritirarsi del tutto. I ntanto l’artiglieria repubblicana dai Biglini158 continuava a sparare sulla cit- tà e sulla collina di Altavilla, dove i Patrioti avevano nidi di mitragliatrici e anche qualche mortaio159. I cannoni miravano soprattutto al campanile del Duomo, sup- ponendo vi fossero molte armi, per testimonianza del Can. Cerutti che trovavasi ai

157 Costrutto: in questo caso (come nella riga successiva): costruito. 158 Biglini: piana Biglini, località alle porte di Alba. 159 Mortaio: pezzo d’artiglieria costituito essenzialmente da una canna e da una piastra di supporto; utilizzato per fare fuoco indiretto tramite il lancio di bombe contro obiettivi che non possono essere colpiti dal tiro di pezzi di artiglieria a tiro diretto in quanto posti dietro ostacoli verticali.

183 Biglini vicino ai cannoni e sentiva gli ordini che davano agli Ufficiali. Verso le ore 14 il fuoco raggiunse la massima intensità.

I PARTIGIANI SI RITIRANO Come ogni volta, durante i pericoli di incursioni e i bombardamenti l’in- gresso di servizio del Vescovado, solido e ben riparato, era pieno di gente che era venuta a cercarvi ricovero ed io stavo con essa, confortando chi piangeva e chi tremava, quando, verso le 14, arrivò una donna, che con altre persone era sfollata da Torino nel Vescovado stesso, a riferire che un Capitano dei Partigiani le aveva detto che essi se ne andavano dalla città. Dopo una mezz’ora circa ecco che ne arriva un’altra, affannata e piena di spavento, la padrona del molino al ponte della vicina Cherasca, un torrentaccio o troppo pigro o troppo turbolento, a supplicar- mi, a nome del Cap. Pepe, Partigiano, di andare a mettere bandiera bianca sul campanile per salvare la città da maggiori rovine. Il messaggio m’era stato portato con grave pericolo per la donna, perché ogni resistenza era ormai impossibile e i Partigiani si ritiravano dovunque. Era quello che anch’io pensavo. La sparatoria intanto continuava feroce.

L a gente radunata attorno a me mi supplicava a non andare, temendo mi colpisse la morte per via, ma resistei ad ogni preghiera e partii e nel pericolo, ch’era davvero gravissimo, mi volle accompagnare un brav’uomo, che si era pure lì ricoverato, un falegname, Ernesto Sarotto, che abitava a due passi dal Vescovado. Attraversammo di corsa il cortile, tra il fischiare delle palle che venivano d’ogni parte, ma giunti al porto- ne di via Vida ci dovemmo fermare di botto; proprio in Alba, Porta Tanaro quel momento il fuoco si era fatto intensissimo e il fischiare delle palle sfiorava senza soste il portone. La piccola resistenza sul Tanaro a nord era stata vinta, sul fiume traghettavano i repubblicani ed entravano sparan- do verso la città. Ci fu un attimo di pausa e ne approfittammo per attraversare la strada e poi via di corsa, per via Vida che porta dritto al Duomo, rasentando i muri delle case fino a piazza Rossetti, dove di nuovo fummo costretti a fermarci per l’imperversare del fuoco. Mi pareva d’essere tornato sul Grappa nel giugno 1918 e come lassù, un fumo grigiastro avviluppava ogni cosa con un acre odor di polvere. Approfittando di una breve pausa, attraversammo di corsa piazza Rossetti e fum-

184 mo nel cortile della sacrestia della Cattedrale. Chiamai forte il sacrestano, salimmo la scala della sua abitazione, nessuno rispondeva, ma sulla porta trovammo tre soldati repubblicani, entrati forse per i primi in città, appoggiati al muro con aria molto stanca. Guai se avessero saputo che io ero il Vescovo, quell’uomo che era stato loro descritto a colori così neri!

BANDIERA BIANCA In quel momento non pensai a queste cose, ma comandai loro di seguirmi per andare a metter bandiera bianca sul campanile. Ci seguirono senza parlare, pas- sammo per la sacrestia dove strappai il lungo asciugamano di tela bianca del lavabo, entrammo in chiesa e là vidi il sacrestano; gli consegnai la lunga tela perché l’attac- casse a una delle finestre del campanile e dissi ai soldati di seguirlo; col Sarotti tornai alla meglio a casa a brevi corse, sempre sotto un fuoco nutrito, e là giunti, come per incanto cannoni e mitraglie cessarono di martoriare la povera città. Seguì dovunque un silenzio di tomba: tutta la città vi era sommersa. Due ore dopo, un repubblicano si presenta in Vescovado a cercare di me; viene intro- dotto mentre stavo parlando col Vicario Generale, col mio Segretario e con Don Bosso. Il soldato intimò a me e agli altri di seguirlo in Municipio dove il nuovo Comandante la piazza – così disse – mi attendeva.

Alba, abside e campanile della Cattedrale

185 14 - Intimidazioni e false promesse

Il Vescovo viene convocato dal nuovo comandante la piazza, il Favia. Deve difendersi dall’accusa di aver aiu- tato in vario modo i Partigiani, ma contro di lui non si trova alcuna prova. Gli viene quindi chiesto di trattare con i partigiani per lo scambio di alcuni prigionieri.

I REPUBBLICANI IN CITTÀ Pioveva a dirotto da un’ora. Partimmo e là trovammo molti Ufficiali e, sdra- JBUPTVMTFHHJPMPOFQPEFTUBSJMFVODFSUP$BQ'BWJB TBSEP EFMMBCSJHBUBOFSBEJ Cuneo che, salutatomi con gesto di grande degnazione160, prese subito con tono declamatorio a dir che si stupiva molto che io non avessi sentito ancora il bisogno di andare a ossequiare il nuovo comandante la piazza, ch’era lui , e il Ten. came- rata, rappresentante della Wermasch161 che gli stava a fianco e continuò un lungo e retoricissimo discorso, tutto frasi altisonanti, tornite e proprie da degradare le «Preziose» di Molière162, cercando di pigliarmi in parola nelle mie risposte secche e brevi, mentre Ufficiali e soldati andavano e venivano come su d’una piazza, bevendo al tavolo podestarile che era diventato un tavolo d’osteria e sdraiandosi TVMMFQPMUSPOF DPNFGPTTFSPTUBUJJOVOBTUBMMB"EVOQVOUPJM'BWJBGVJOUFSSPUUP da un Colonnello e da un Capitano, dicendo che constava a tutti loro che io avevo dato ad un Partigiano, per aiutarlo nella fuga, un abito sacerdotale e un cappello. E mi fecero vedere lì in terra, bagnati fradici, un cappello da prete e un soprabito. Ma poiché l’asserto163 era falso, protestai energicamente; nessuno sapendo che ribat- UFSFBMMBTFDDBOFHBUJWBFOUSÛEJOVPWPBQBSMBSFJM'BWJB BTTFSFOEPDIFBMNFOPJP dovevo sapere chi aveva prestato l’abito, poiché nel cappello c’erano le iniziali del padrone, ed era vero, un bel S. B. – risposi semplicemente che non ero il custode dei miei più che 300 Sacerdoti, sparsi su un territorio vastissimo e tanto meno del- MBMPSPHVBSEBSPCB&EBMMPSBJM'BWJBQSFUFOEFDIFJPHMJGBDDJBBWFSFMFMFODPEFJ4B- cerdoti della Diocesi. Dico a Don Bosso di andare a prendere il calendario liturgico diocesano che aveva tale elenco, e il capitano allora chiama a intimo colloquio il soldato che era venuto a prelevarci in Episcopio e poi gli dice: «vai e accompagna il Reverendo».

160 Grande degnazione: grande rispetto (in senso formale, esteriore). 161 Wermasch: Wermacht, esercito tedesco. 162 “Preziose” di Molière: riferimento ironico ad una commedia in prosa del drammaturgo francese Molière, del 1659. 163 Asserto: affermazione.

186 PERQUISIZIONE IN VESCOVADO Seppi poi, tornati che fummo a casa, che il soldato s’era fatto accompagnare nel mio studio e aveva rovistato tra le mie carte nella speranza di trovarne qual- cuna compromettente, ma invano; la stessa cosa aveva fatta nei vari uffici della Curia, pure lì invano, ed erano tornati in Municipio col desiderato elenco. &JM'BWJB OFMMBCBSBPOEBDIFDFSBJORVFMMBTBMB SJQSFTBMBTVBDPODJPOF164 contro di me, trovò modo, tra una frase e un’altra, di condannare alla fucilazione immediata un povero Garibaldino preso da due soldati della X Mas che si arroga- vano il diritto di fucilarlo subito; osammo intervenire col Comm. Prefettizio ch’era QSFTFOUFFSJVTDJNNPBEPUUFOFSFDIFGPTTFBMNFOPQSJNBJOUFSSPHBUPFJM'BWJB  dopo averlo caricato di epiteti, lo fece passare in una stanza per interrogarlo poi, come fece; ma nella tarda sera fu fucilato.

ACCUSE CONTRO IL VESCOVO … Contro di me venne anche fuori un’altra ac- cusa sempre di quel Colonnello, a cui constava irre- futabilmente, che io avevo ospitato nel mio palazzo il comando dei Partigiani, mentre tutta Alba sapeva che era sempre stato nel Convitto Civico. Alla mia categorica negativa, capì che aveva infilato un altro sproposito, s’alzò e uscì col Capitano che con lui aveva interloquito. *OUBOUPJMEJSFEFM$BQ'BWJBEJWFOUBWBTFN- Valerio Zerbino pre più istrionico ed egli stesso pigliava sul seggio- (Carpeneto 1905). lone pose sempre più teatrali fino a far muovere al Dal 1936 è Segretario del riso; pose e parole che culminarono quando entrò PNF di Vercelli e nel 1940 piangendo la moglie di certo Natta, un fascista di di Alessandria. Dal mag- Saluzzo, da parecchi mesi abitante in Alba dove go- gio 1941 è Prefetto della deva nome di spia, portato via la sera innanzi dai nuova Provincia di Spala- Partigiani e che io ero gia riuscito a liberare una volta to. Poi a Torino dall’ottobre dalle loro mani con uno scambio. Se non ci fosse 1943, e dal settembre 1944 stata quella povera donna che piangeva, ci sarebbe quale Alto Commissario stato da ridere saporitamente ad assistere alla grotte- per il Piemonte della RSI. TDBDPNNFEJBDIFJM'BWJBJOUSBQSFTFBMMPSBBSFDJUBSF Seguirà Mussolini nelle ul- 'JOJUBMBRVBMF MBDPODJPOFSJQSFTF NJOBDDJBOEPEJ time fasi della guerra, mo- andare imperterrita per le lunghe. rendo a Dongo con il Duce

164 Concione: discorso dai toni forti, aggressivi, retorici.

187 … E MINACCE 4FSBRVBTJBMCVJPRVBOEFDDPFOUSBOPBMMJNQSPWWJTPJM'FEFSBMFEJ5PSJOP  Solaro, quello di Cuneo, Ronza, il Prefetto di Torino e quello di Cuneo, il Vice- federale di Torino, il mistico-criminale Tealdy, com’era chiamato a Torino, e una turba di armati. Il Solaro appariva concitatissimo165 e già dalla porta gridava «dov’è il Vescovo, dov’è il Vescovo?» e vistomi m’investì con voce alta e stentorea come avrebbe parlato a Torino in piazza Vittorio e buttò fuori un sacco di menzogne, di velenose insinuazioni e di minacce a cui io ribattei sempre seccamente come meritava, mentre volti irati e non so quanti mitra minacciosi erano puntati contro di me. Alla fine i suoi lo applaudirono e contento dello stipendio avuto, il povero uomo se ne andò seguito dai suoi. &BMMPSBQBSMBJJPBMTJHOPS'BWJBHMJEJTTJUVUUPDJÛDIFBWFWPJODVPSFTFO[B tradire o temere la verità e come per miracolo tacque e quando io ebbi finito rimase come interdetto.

UN SACERDOTE ACCUSATO 'VJORVFTUJNPNFOUJDIFBSSJWBSPOP%PO#PTTPFJMTPMEBUP DIFEFUUBRVBM- DIFQBSPMBOFMMPSFDDIJPBM'BWJB GPSTFMJOVUJMJUËEFMMBTVBQFSRVJTJ[JPOF TVCJUP TDPNQBSWF*M'BWJBTGPHMJÛTPMFOOFNFOUFMFQSJNFQBHJOFEFMMFMFODPEFJTBDFSEPUJ e trovò alla seconda pagina il nome di Don Bartolomeo Sibona, Vicecurato a San Giovanni in città. Cantò vittoria e volle fosse subito cercato e v’andarono di nuovo D. Bosso e il soldato di prima. Dopo pochi minuti arrivò. Quando lo ebbe davanti, MJOFTBVSJCJMF'BWJBTFO[BMUSPMBDDVTÛEJBWFSJNQSFTUBUPTPQSBCJUPFDBQQFMMPBEVO Partigiano per dargli modo di uscire di città. Di vero c’era che l’abito e il cappello erano di Don Sibona, ma chi l’aveva dati al Partigiano era invece il Can. Basso, Parroco di San Giovanni, non contrastante il suo Vicecurato. Così questi ebbe buon giuoco di dire che lui aveva dato nulla e che non poteva rispondere di ciò che poteva essere avvenuto nella canonica di S. Giovanni, nel via vai di tanta povera gente che s’era colà ricoverata nei gravi pericoli della giornata. "RVFTUPQVOUPJM'BWJBGVEJTUSBUUPEBRVBMDVOPEFJUBOUJDIFBOEBWBOPF venivano da lui a riportare, a dare e ricevere fonogrammi e ordini e allora disse al Don Sibona di attendere e a me e ai miei Sacerdoti che ci potevamo ritirare. E di botto divenne cortesissimo e la commedia recitata ebbe un finale degno degli imparruccati cavalieri del ‘600: inchini, complimenti, profferte di servigi, promesse garbate di visite. Mentre stavo per uscire dalla sala, rientra il Tealdy che con tono altezzoso di co- mando mi dice: «ricordatevi, Eccellenza, domani voi dovete andare a trattare coi Partigiani per lo scambio dei prigionieri, altrimenti sapete quali ne possono essere le conseguenze». Non lo degnai neppure di una risposta; partì e ce ne andammo noi pure.

165 Concitatissimo: molto agitato.

188 E ro però molto soprappensiero per il timore di terribili rappresaglie sulla città e stavo arrovellandomi il cervello su come abbordare all’indomani tutta quella gente e quali argomenti addurre per salvare la città quasi deserta e perciò più facil- mente saccheggiabile, quando, verso le ore 20, vengono due militari a pregarmi di imprestare il mio automobile a S. E. Zerbino, Alto Commissario del Governo per il Piemonte, che, venuto anch’egli il mattino ad Alba, voleva ripartire prima degli altri, ma non aveva la macchina in ordine.

FALSE PROMESSE E ASSICURAZIONI Trovai l’occasione provvidenziale, mi recai da lui che era sulla piazza del municipio con tutte le forze repubblicane e, dettogli che la macchina non l’avevo più perché requisitami dai Partigiani il 29 Giugno, gli esposi senz’altro la situazione nella quale temevo si sarebbe venuta a trovare Alba all’indomani; ne fui rassicurato e mi disse che non sarebbe stato torto un capello a nessuno né fatta alcuna perqui- sizione o rappresaglia, anzi insistette che al domani mattina in Cattedrale avvertis- si di queste intenzioni del Governo e facessi opera di persuasione alla popolazione per- ché tornasse in città e riprendesse tranquilla le sue occupazioni. E invece fui proprio io tra i primi a toccare con mano come tali promesse e assicura- zioni fossero inutili e Alba, Regia Scuola Enologica vane. Zerbino mi dis- se poi che era venuto ad Alba proprio per impedire che si facessero degli atti di violenza e che si facesse la pelle a me, come era intenzione dei militari, perché mi ritenevano colpevole di aver data la città in mano ai Partigiani il 10 Ottobre. A dire il vero Zerbino, appena arrivato in Alba, dove parecchi anni innanzi aveva fatti gli studi agrari alla R. Scuola Enologica e dove aveva parecchi compagni d’allora, s’era subito informato di me, tra gli altri dal Vicepodestà Riva, suo com- pagno di studi, che, avendogli parlato del mio agire secondo verità, aveva lasciato nell’Alto Commissario una impressione ben diversa da quella che una campagna menzognera tra i militari tentava di rappresentarmi. Zerbino fu forse l’unico che quella sera si dimostrò serio ed educato con me.

189 15 - Scambio di prigionieri

3 novembre: il Vescovo sale in Langa per incontrare i Pa- trioti e chiedere il rilascio di alcuni ostaggi. Si organizza lo scambio in vescovado, che avviene senza incidenti tra il 4 e il 5.

IRONIA DELLE CAMPANE Si parlava nella piazza del Duomo, al buio per l’oscuramento, rotto solo dalla luce di lampadine tascabili, e ci fu chi con a capo il Tealdy, ebbe l’infelice idea di far suonare a festa le campane per annunziare – dicevano – che la repubblica aveva ridonata la libertà ad Alba. Annunziarla a chi? Chi c’era ancora di albesi nel- le case? Il Vescovo, i Sacerdoti, le due Autorità comunali e i più po- veri del popolo. Essi lo sapevano bene che la repubblica era di nuo- vo entrata in città e ahimè! lo si sarebbe presto toccato con mano da tutti, ma a prezzo di quali do- lori e di quanto martirio! E avvenne un fatto ben buffo e pieno di profonda ironia. Non essendo stato possibile tro- vare il campanaro del Duomo, an- darono a suonare tre soldati che, ignari dei nostri usi, mossero assieme le campane nello stesso identico modo che si usa da noi suonarle quando ci sono dei funerali solenni, sicchè la poca gente rimasta pensò che s’annunziasse per l’indomani un solenne funerale per i caduti della triste giornata. I repubblicani avevano invece involontariamente suonato in anticipo di sei mesi il «trapasso» della repubblica.

I MORTI A proposito di morti devo far notare per la verità che i morti repubblicani del 2 Novembre furono 4 e non più, ed ebbero sepoltura spettacolosa a Torino; e furono 4 e non più i Partigiani morti, dei quali, se ben ricordo, due sepolti poi a Novello, uno a Monchiero e il quarto, un certo Daziano di Mondovì, portato anch’esso via dai Partigiani, e sepolto non so dove. I due quotidiani torinesi la «Stampa» e «La Gazzetta del popolo» pubblicarono che i Partigiani avevano avuto 19 morti e non so quanti feriti, ma chi li sorpassò nell’esagerazione fu «La Riscos- sa» di Torino, periodico settimanale per gli… operai (sic), diretto dal Tealdy, che

190 nel N.45 del 9 – XI – 1944 pubblicò testualmente: – Le perdite del nemico sono state assai rilevanti: 49 morti, contati sul terreno, 40 probabili, 80 feriti accertati. D ai Partigiani feriti seriamente ne risultarono 4 portati all’Ospedale che si riuscì poi a far evadere e «finora - trovo nelle mie note del 13 Novembre – non se ne conoscono altri».

SCAMBIO DI PRIGIONIERI La notte del 2 Novembre fu alquanto tranquilla. Gli alti gerarchi repubblicani la sera tardi mi avevano pregato, con tutt’altro tono che quello altezzoso del Tealdy, di trattare il domani lo scambio dei prigio- nieri e poiché questo entrava naturalmente nelle mie mansioni di Carità, al mattino del 3 Novembre, alle ore 8, io ero già sulla piazza del Municipio alla ricerca di qualche mezzo che mi portasse verso la Langa, dove senza dubbio s’erano ritirati i Patrioti. Automobili e cavalli validi erano ormai tutti scomparsi e fu somma grazia aver trovato un cavallo di più che vent’anni, degno di tutte le giubilazioni166. I repubblicani volevano la restituzione del sergente Bio, in licenza ad Alba per la morte del padre, del Segretario Com. di Monteu Roero, sig. Bona, di un certo Rocco Dimuro, del Natta, di cui ho già accennato, tutti presi come ostaggi, e del Ten. Lagatà, preso prigioniero. Potei solamente partire alle 9; faceva molto freddo e si può immaginare con quale godimento in vettura scoperta tirata da quella vecchia rozza, che a salire fino al paese di Benevello, dove supponevo trovare i Partigiani, impiegò tre ore quando normalmente bastano un’ora e un quarto. Prima del paese, al bivio di Manera trovai con molti Partigia- OJJM$BQ'FEFDIFGVEJTQPTUPB trattare lo scambio; ma i prigio- nieri erano ormai molto lontani, nel campo di concentramento tra Marsaglia e Murazzano, e poi il $BQ 'FEF EFTJEFSBWB HJVTUBNFO- te di sapere chi avrebbero dato in cambio i repubblicani, e allora Benevello c’intendemmo che egli si sarebbe incontrato alle 17 con un rappresentante repubblicano nella casa del Cappellano di Como, una piccola frazione di Alba a 6 km. dalla città sullo stradale Alba- Benevello, e lì si sarebbe combinata ogni cosa. Tornato ad Alba fui pregato di andare nuovamente su io a trattare lo scam- CJPFEJJOWJUBSFJM$BQ'FEFBWFOJSF DPOUVUUFMFHBSBO[JFTPMJUF BMEPNBOJ BMMF  JO7FTDPWBEPBUSBUUBSFDPM'FEFSBMF3PO[BEJBMUSFDPTF SJHVBSEBOUJMFMPSP

166 Giubilazione: qui nel senso di “mettere a riposo”, esonerare dal lavoro data l’anzianità.

191 relative posizioni politiche. Con un freddo ancor più intenso, con la vecchia rozza giubilata che non ne poteva più, tornai a Como che era ormai notte, e poiché i pri- gionieri non erano ancora arrivati dal lontano campo di concentramento, si decise DPM'FEFDIFTJTBSFCCFSJTPMUPEFmOJUJWBNFOUFMPTDBNCJPOFMMBDPOWFSTB[JPOFEFM giorno dopo in Vescovado.

TRATTATIVE TRA RONZA E I PARTIGIANI "MMFPSFEFM/PWFNCSF JM'FEFSBMF3PO[B $PNBOEBOUFEFMMFCSJHBUF OFSFEJ$VOFPDPOVODFSUP5FO'SBODIJ BEEFUUPBMMB'FEFSB[JPOF'BTDJEJ$VOFP QSFTFSPBUSBUUBSFDPM$BQ'FEF DIFFSBBSSJWBUPQPDPQSJNB-BDPOWFSTB[JPOF finì alle 14 sonate, ed io, benché invitato, non volli prendervi parte. Si combinò con me però che lo scambio, già fissato nelle persone, sarebbe avvenuto la sera in Vescovado alla mia presenza. A sera, verso le 19, un’ora dopo quella fissata, arrivò DPM$BQ'FEFJM5FO-BHBUËOPOBWFWBQPUVUPQPSUBSFOFTTVOBMUSPQFSDIÏOPO ancora arrivati dal lontano campo di Marsaglia; poco dopo arrivò il Ronza con due Partigiani da restituire e un certo numero di uomini e di giovani rastrellati il giorno innanzi in Alba e nelle adiacenze, contro tutte le assicurazioni date la sera innanzi. 'VSPOPGBUUFMFDPOTFHOFEFJSJTQFUUJWJPTUBHHJFDJTJBDDPSEÛDIFJ1BSUJHJBOJ JPHB- rante della cosa, avrebbero restituiti il Bio, il Bona, il Natta appena fossero arrivati da Marsaglia. Del Dimuro non se ne poteva più parlare, perché fucilato due giorni innanzi per provato spionaggio. Le conversazioni furono lunghe e non finirono che a notte fatta; per le garanzie date, i Partigiani partirono sicuri di arrivare alle loro posizioni incolumi, ma io temevo invece che nell’an- dare a casa in tanto buio, i giovani e gli uomini liberati di Alba, che avevo nelle mani, potessero venire nuovamente arrestati dalle ronde e allora decisi di non lasciarli uscire e dal Vescovado li feci passare al Seminario Maggiore, che gli è uni- to. Là fu loro data cena e un buon Murazzano letto, e al mattino, alle prime luci, poiché era domenica, fu per loro celebrata la S. Messa e poi, ognuno per conto proprio, cauto e guardingo riuscì a raggiungere la propria casa. Gli altri ostaggi furono consegnati nella sera di quella stessa Domenica, 5 Novembre, presente il Vicario Generale, mentre io mi trovavo già a Torino, in stato di arresto. Ecco come andarono le cose.

192 16 - I fascisti arrestano il vescovo

Il Vescovo viene condotto a Torino, in arresto, con l’ac- cusa pretestuosa di non aver voluto benedire le salme dei repubblicani morti ad Alba durante gli scontri dei giorni precedenti. Grazie all’intervento dell’Arcivescovo di Torino verrà subito rilasciato, dopo aver ricevuto le scuse dell’alto commissario del governo, Zerbino.

L’ARRESTO DEL VESCOVO La mattinata di quella Domenica era stata eccezionalmente tranquilla; nes- suno, cosa rarissima, era venuto al Vescovado. Nel pomeriggio, verso le 15, un tocco di campanello; poiché ero in giardino, non lontano dal portone, andai io stesso ad aprire e vedo un soldato armato con un Sottotenente, che senza neppur presentarsi per chi fosse, senza un documento, domandatomi se ero io il Vescovo mi dice: «io ho l’ordine dal mio Colonnello della X Mas di accompagnarla a Torino perché le deve parlare». – Alla mia domanda chi fosse quel signore rispose: «il Ten. Col. Callaro» (o Carallo che abbia detto). L’invito, così illegale nella forma, nel diritto e nelle consuetudini non mi stupì, né mi turbò. Avrei potuto rifiutarmi ma non lo volli fare, perché mi sentivo troppo tranquillo e sicuro di me stesso. Dissi perciò d’attendere qualche minuto e andai all’Oratorio dei giovani a chiamare il mio Segretario, Don Balocco perché m’accompagnasse e partii coi due militari. Passai al Duomo ad avvertire il Vicario Gene- rale, ch’era in coro, e via per il Tanaro, traghettato il quale trovammo al di là una macchina che ci portò sullo stradale di Torino. Ci attendeva un camion cari- co di soldati della X Mas, armati di tutto punto, che vista la macchina balzarono a terra e la circondarono, curiosi di vedere la bestia rara che era il Vescovo di Alba. Borbottavano tra di loro, ma uno d’essi, in un impeto di sincerità167, esclamò forte: «ma per portarlo fino a Torino, facciamo che ammazzarlo subito qui sul Tanaro». La frase non era per nulla lusinghiera, ma non mi turbai a scervellarmi sul perché di tali parole e discorrendo col Segretario si concluse che forse aveva- Manifesto della RSI no bisogno di me a Torino per mettermi a confronto col Col. Redaelli, quello che aveva ceduta la città ai Partigiani il 10 Ottobre. Tanto l’abitudine di pensar bene di tutti e una coscienza tranquilla possono sviare dal credere alla cattiveria umana.

167 Impeto di sincerità: slancio, moto di sincerità.

193 A TORINO Sulla macchina oltre a me e Don Balocco e l’autista c’era una signora anzia- notta, dal volto lanuginoso168 e fumatrice impenitente169, ma corretta e rispettosa. A Bra la signora si fermò alcuni istanti all’ospedale e poi via per Torino, dove s’arrivò che era scuro. Ci portarono alla Caserma della X Mas in via Verdi, ma il Colonnello Callaro non si fece vivo, nonostante ne facessi frequente ricerca per più di un’ora. Dopo di che un Ufficiale mi disse che potevo andare al SITEA, albergo requisito dalla X Mas per i suoi Ufficiali dove avrei certo trovato il Colonnello, perché vi abitava. Al SITEA era un andirivieni continuo di Ufficiali inferiori d’ogni grado, ma anche lì il famoso Colonnello fu introvabile. Ad un certo punto, sec- cato di questo ineducato procedere, poiché nessuno ancora mi aveva detto che cosa egli volesse da me, pensai di approfittare del tempo e avvertire S. Eminenza il Cardinale di Torino d’ogni cosa e mi avviai al telefo- no, che era nei pressi dell’ascensore. Stavo facendo il numero, quando arriva un Sottotenente già anziano, che mi ferma il disco dei numeri e mi dice: «lei non può telefonare». «Perché?» – domando – «Perché lei è in istato d’arresto». – «Meno male – rispondo – che adesso so perché mi hanno portato a Torino. E si può sapere il motivo?» – «Perché – risponde – lei si è rifiutato di benedire le salme dei nostri soldati morti ad Alba». – Né io né D. Balocco potemmo trattenere una risatina.

LE ACCUSE Risposi allora: «mi rincresce tanto, signor Tenente, ma un’accusa più vana e insussistente non potevate trovare, perché io non mi sono assolutamente rifiutato, per la semplice ragione che nessuno mi ha invitato, e poi le dirò che il fatto è av- venuto non in Alba, ma in un altro Comune, a 6 km. da Alba e in una parrocchia rurale e non della città, e che infine la benedizione delle salme è abitualmente di consuetudine parrocchiale». Nessuno infatti era venuto a farmi un invito di tale genere, non solo, ma io non seppi dei morti della battaglia del 2 Novembre che il giorno 4, quando quei della Mas erano già stati trasportai a Torino, poiché, come già dissi, io avevo tra- scorso integralmente il 3 Novembre lontano da Alba a trattare dello scambio dei prigionieri. La menzogna era evidente, almeno in chi aveva ordito tutto questo affare; il Vescovo di Alba che non era stato possibile colpire il 2 Novembre, doveva asso-

168 Lanuginoso: coperto di peluria sottile. 169 Impenitente: incallita, senza freni.

194 lutamente essere colpito in qualche modo e la sfrontatezza della X Mas sperava di farla franca. Il Sottotenente restò confuso e si scusò dicendo che lui ignorava la cosa e mi pregò di salire nella camera che mi era stata preparata. Un piantone170 armato di mitra fu messo a custodia della porta, e il povero ragazzo, un rastrellato di Arquà, era così vergognato di fare da carceriere ad un Ve- scovo che quando sulla porta io gli parlavo non osava guardarmi e teneva sempre la testa china. Ogni tanto lo mandavo giù a cercare del Colonnello, ma era sempre irreperibile. Dopo le ore 20, mandai la mia guardia a cercare un Ufficiale qualsiasi e vennero due ragazzi Sottotenenti, ai quali dissi di riferire al Colonnello, quando fosse stato possibile trovarlo, che al domani mattina sarai andato a celebrare la S. Messa alle ore 7. Rimasero interdetti e mi dissero di aspettare almeno verso le 10 che il Colonnello certamente ci sarebbe stato. Ripetei che sarei andato alle 7 e che avvertissero l’Ufficiale che sostituiva o rappresentava il Colonnello. Risposero che l’avrebbero fatta e se ne andarono. La camera, esposta a nord, tutta di cemento armato, era gelida anche se non eravamo ancora in pieno inverno; due copertine sul letto e nulla più; dormimmo vestiti per ripararci alla meglio dal freddo, ma tra questo, i rumori del caseggiato di cemento, il via vai rumoroso e continuo del corridoio, il trattamento così illegale e ineducato che si subiva, il sonno veniva e se n’andava a sbalzi e la notte parve lunghissima. Il povero piantone armato dormì peggio di noi, su un duro sofà del corridoio e senza coperta di sorta.

A S. DALMAZZO A l mattino verso le 7 udii bussare all’uscio; era il piantone che veniva ad avvertire che andassi pure a celebrare la S. Messa e che aveva l’ordine di accompa- gnarci. Caro ragazzo, mi faceva tanto pena la sua confusione che gli traspariva dal parlare e dal contegno! Partimmo e ci recammo a S. Dalmazzo in via Garibaldi, la chiesa dei miei confratelli Barnabiti. Dopo Messa pregai il Superiore P. Mazzia di andare personal- mente ad avvertire Sua Eminenza il Cardinale Arcivescovo della mia condizione e della causale del mio arresto. N on appena Sua Eminenza seppe il fatto, chiamò subito al telefono S. E. Zerbino, ma, essendo egli partito la sera innanzi per il Quartiere Generale di Mus- solini, venne il suo Capo–gabinetto. Il Cardinale narrò le cose come erano, lo sciocco capo d’accusa e soggiunse che se al più presto non mi avessero condotto in Arcivescovado avrebbe in giornata fatta una protesta pubblica e solenne. Ci vorrebbe anche questa! avrà pensato il povero Capo–gabinetto. Si disse ignaro del fatto molto grave, che definì uno dei soliti colpi di testa della X Mas, assicurò

170 Piantone: soldato semplice di guardia.

195 che avrebbe telefonato senza indugio all’Alto Commissario Zerbino e che avrebbe provveduto subito perché fossi rilasciato, pregandolo a domandarmi scusa a nome dell’Alto Commissario del Governo. D opo poco tempo è chiamato al telefono il Segretario del Cardinale ed è il Prefetto di Torino, Grazioli, che saputa la cosa vorrebbe fare le più ampie scuse a 4VB&NJOFO[BFBNF FDDFDD%PQPVOPSBDJSDBÒMBWPMUBEJ4PMBSP JM'FEFSBMF che m’aveva investito con tanta educazione la sera del 2 Novembre in Alba, che si diceva ignaro del fatto fino ad allora e ne era assai dolente ecc. ecc. Per tagliar corto, alle 14 bussarono alla mia camera e si presentò il Colonnello Cabras che, annunziatosi come il Comandante di tutta la Guardia repubblicana del Piemonte, mi domandò scusa dell’incidente «– che mai – disse – avrebbe dovuto succedere» – e si disse molto onorato di accompagnarmi da Sua Eminenza, di cui diventavo ospite, colla preghiera di attendere S. E. Zerbino che sarebbe arrivato l’indomani e che desiderava parlarmi. E partimmo per l’Arcivescovado.

DAL CARDINALE DI TORINO … Sua Eminenza accolse me e Don Balocco con paterna affettuosità e ci narrò TVCJUPDPNFTJFSBOPTWPMUJJGBUUJDIFIPOBSSBUJPSPSB'VNNPTVPJPTQJUJmOP al giovedì mattino, 9 Novembre, ma nessuno si fece più vivo. Mi facevo vivo io facendo telefonare di tanto in tanto a Palazzo della Cisterna, dov’erano gli uffici di Zerbino per sapere quando fosse arrivato. Ci tenevo assolutamente ad avere un colloquio con lui.

… E DA ZERBINO A rrivò al mercoledì sera e si combinò che ci sa- remmo incontrati il domani a Palazzo della Cisterna BMMFPSF'VVODPMMPRVJPEVOPSBJOUFSBFOBUVSBM- mente gli esposi nella sua cruda realtà la situazione al- bese e la mia personale; si parlò anche della situazione generale e ricordo che gli dissi che la repubblica com- metteva spropositi su spropositi e che per es. faceva loro più danno un arresto come il mio che un mese Maurilio Fossati, arcivescovo di propaganda inglese. Convenne che nell’ingranaggio di Torino dal 1930 al 1965, repubblicano, c’era un enorme disordine e che tutti cardinale dal 1933, fu il comandavano e ciascuno poi faceva il comodaccio riferimento per l’episcopato piemontese per oltre 30 anni. suo e quanto al mio caso sapessi compatire perché io Attivo sul versante sociale, si avevo tra loro troppa fama d’essere il più elevato so- spese durante la guerra per la stegno morale dei Partigiani e il loro più zelante171 fa- protezione degli ebrei e per il voreggiatore, mentre egli non credeva a tutto ciò, che sostegno alla resistenza

171 Zelante: solerte, molto disponibile.

196 il fatto aveva seccato molto il Governo e che scusassi il grossolano affronto. 'VJORVFTUPDPMMPRVJPDIFBQQSFTJEB;FSCJOPDIFJM1SFGFUUP(BMBSEPOPO gli aveva affatto telefonato l’8 Ottobre per domandargli un Presidio che supplisse quello del «Cadore» in partenza; il che illuminava di una luce particolare tutta la storia del passaggio di Alba dal Colon. Redaelli ai Partigiani, come dissi qualche pagina innanzi.

RITORNO IN ALBA L a conclusione fu che dopo le scuse fattemi esigei ancora, quale minimum di riparazione172, che mi si portasse ad Alba in macchina, e così fu combinato per il pomeriggio. Almeno ora l’Alto Commissario per il Piemonte conosceva molto chiaramente i rapporti tutt’altro che buoni che correvano tra il popolo e la repub- blica e di quali cose nefande essa si macchiava, ma forse anche per Zerbino era troppo tardi. Così ci lasciammo. A l pomeriggio la macchina non si vide; alle 17 Zerbino si scusava che non era stato possibile inviarla, ma all’indomani per le 9 sarebbe stata all’Arcivescova- do a prendermi. E lo fu; era una magnifica e grande macchina con quattro agenti della Questura di scorta per paura dei Partigiani; furono con me garbatissimi e arrivati al traghetto sul Tanaro scesero, mi baciarono la mano, ci salutarono ed io e D. Balocco rientrammo in Alba. Mentr’ero a Torino avevo saputo, che ad Alba si avrebbe voluto darmi una dimostrazione di simpatia, ma credetti bene di proibire la cosa, e arrivati senza pre- avviso, passammo inosservati, scegliendo vie deserte per rientrare in Episcopio173.

Partigiani della Brigata GL “Gianni Alessandria”

172 Quale minimum di riparazione: come gesto di scuse, il minimo che ci si potesse aspettare dopo quello che era successo. 173 Episcopio: residenza del Vescovo, sinonimo di vescovado.

197 17 – Inverno 44: una sequenza di violenze

Inizia la tortura di Alba. Sono tratti in arresto alcuni sacerdoti, accusati di propaganda filo-partigiana. Il 12 novembre arrivano ad Alba i militari del R.A.P. e il 18 entra in città una colonna di soldati italo-tedeschi. Tutto il territorio è sottoposto ad atroci crudeltà: esecuzioni sommarie, arresti, furti, incendi e violenze di ogni gene- re, perpetrate di casa in casa.

SACERDOTI ARRESTATI Con il mio arresto cominciava la tortura di Alba, che non ebbe termine che col morire violento della repubblica in Alba, il 25 Aprile 1945. L’11 Novembre venivano arrestati e tradotti alle carceri il Maestro Don Virgi- nio Vigolungo, Don Balestracci Parroco del Santuario della Moretta e il Vicerettore del Seminario Maggiore, Don N. Bussi, accusati di propaganda partigiana e di eccitamento alla renitenza della leva. Dopo un giorno Don Bussi venne rilasciato; Don Balestracci vi stette qualche giorno e poi fu rimesso anch’egli in libertà, ma Don Vigolungo fu trasportato a Cuneo dove rimase in arresto per più d’un mese, senza che si riuscisse a trovare la via per la sua liberazione, finché un giorno, stanco di parole vane, combinai col Vicario Generale che andasse personalmente a Cuneo e che non si movesse di là finché non fosse venuto a capo di qualcosa. E qui appare tutto il disordine e la faciloneria174 dell’agire repubblicano; da un Ufficio all’altro, da un gerarca all’altro si finì col dire che l’arresto era stato ordinato dalla 'FEFSB[JPOFEJ5PSJOP QFSDIÏJM.BFTUSP%PO7JHPMVOHP DIFSBTUBUPEVSBOUFMF vacanze a Levice, nell’alta Langa, per tornare ad Alba a riprendere l’insegnamento aveva approfittato di un automobile guidato da un Partigiano. Non era un delitto a 63 anni risparmiarsi 25 chilometri di viaggio, per un terzo in ripida salita, accet- tando la gentilezza di un Partigiano: ma la repubblica pensava diversamente. Quel giorno però fu subito rilasciato.

IL R.A.P. I ntanto si susseguivano vari comandi di Presidio e ciò fino al 12 Novembre, giorno in cui arrivò il Ten. Col. Pieroni, comandante le nuove truppe repubblicane del R.A.P., (Reparto Anti-Partigiano), che doveva presidiare Alba. Corse voce che i militari in arrivo erano 1300, in buona parte Ufficiali e che il Pieroni fosse un galan- tuomo. In realtà, oltre che tenere il Presidio, tali truppe avevano lo scopo di rastrel- lare e annientare i Partigiani. Il Colonnello venne a farmi visita accompagnato dal

174 Faciloneria: approssimazione, superficialità.

198 'FEFSBMF3PO[BFOPOUSBMBTDJBJEJTQJFHBSFDPNFFQFSDIÏJM$MFSPQPUFTTFFTTFSF falsamente giudicato, mentre si conservava al di sopra di ogni parte per poter libe- ramente compiere la sua missione di Carità. Non omisi175 anche di spiegare l’astio DIFOFMM"MCFTFTJBWFWBDPM'BTDJTNPQFSMFNBMFGBUUFDPOUJOVFDIFEBBOOJFTTPWJ perpetrava, e come fosse per questo astio che alle leve176 repubblicane nessuno o quasi si era presentato, e passai anche in rassegna la dura lotta che io dovetti per quasi due anni sostenere per difendere il Clero e l’Azione Cattolica dalla persecu- [JPOFEFM'FEFSBMF"OUPOJP#POJOPFOPOUBDRVJBODIFDIFTFJM$MFSPBWFWBEFMMF simpatie per i Partigiani, la cosa era delle più naturali, perché alla fin fine il 90% di essi erano loro figli spirituali, loro parrocchiani, che conoscevano a fondo come brava gente, seria, lavoratrice, gente che non poteva di punto in bianco essere di- ventata stoffa di briganti177, e tanto meno esponeva la vita perché traviata178 nelle idee all’improvviso, quando da vent’anni non aveva avuto altra educazione che la fascista. Ricordo che m’ero lasciato prendere la mano dalla difesa che facevo e alla quale non si sapeva che opporre. Parlai anche di me, del salvataggio di Alba, di Sommariva, di Barbaresco, della seconda volta in cui salvai parecchie famiglie di Alba dalle furie di Languasco che voleva insegnare agli Albesi, a vivere «esemplarmente», delle centinaia di per- sone salvate dall’ira repubblicana e anche dai Partigiani e senza che mai nessuna alta autorità movesse un dito. Mi stupivo io stesso di osare tanto, ma avevo anche un vero bisogno di parlare chiaro, almeno una volta, con dei responsabili e non riuscii neanche a trattenere qualche frase forte nel calore del dire. Pregai poi il Col. Pieroni di far cessare una buona volta quelle ondate di ter- rore che da luglio in poi si rovesciavano con frequenza sulla città e che egli prima di procedere contro chiunque, con tanta leggerezza come si faceva abitualmente, ci pensasse bene e che invece di accettare ad occhi chiusi qualsiasi calunnia179, poiché anche in Alba non mancavano calunnie e tradimenti, si sentissero anche persone oneste e conoscitrici di uomini e dell’ambiente e delle quali in Alba c’era dovizia180. Volli sapere poi da chi era venuto il giorno innanzi l’ordine d’arresto di D. Bussi, di D. Vigolungo e di D. Balestracci, fatto che aveva tanto irritata la città, ma non me lo seppero o vollero dire; però D. Balestracci, l’unico che ancora resta- va nelle carceri di Alba, in serata fu lasciato libero.

175 Omisi: mancai. 176 Leve: chiamata alle armi obbligatoria per i giovani che hanno compiuto l’età fissata dalla legge. Qui si riferisce alle annate di leva previste dai bandi del gen. Graziani, a capo dell’esercito di Salò, ai quali molti giovani non rispondono. 177 Stoffa di briganti: gente fuorilegge, pericolosa. 178 Traviata: uscita dalla retta via; moralmente guasta, corrotta. 179 Calunnia: falsa accusa. 180 Dovizia: grande abbondanza.

199 I MILIONI DELLA IV ARMATA I l suo caso è curioso. Per la quinta volta veniva accusato di aver occultato i NJMJPOJEFMMB*7"SNBUBJOGVHBEBMMB'SBODJB EPQPDIFQFSCFORVBUUSPWPMUFBWFWB mandato la relazione dei fatti avvenuti al Governo di Roma, al Prefetto di Torino, a quello di Cuneo e alle Autorità tedesche e tutte avevano riconosciuta la sua inno- cenza e buona fede. Ma era fatale che ogni nuovo reparto repubblicano o tedesco, al primo giungere in Alba, sentisse bisogno di ricominciare da capo la caccia ai milioni della IV Armata. Guai se avessero sospettato che una parte di quel denaro, sia pure piccolissima era nascosta in Vescovado, come guai se avessero saputo che proprio in Vescovado tra i 25 sfollati che vi avevano trovato asilo vi era una auten- tica famiglia ebrea di Milano, quella del Rag. M. Levi che vi stette indisturbata per quasi due anni. 3JDPSEPDIFOFMMBHSBOEFHVFSSBJM$PMEFMNJP3FHHJNFOUP JMP'BO- teria della gloriosissima Brigata Como, diceva spesso: «ecco che cos’è l’esercito, ordine, contrordine, disordine». Per allora c’era della verità ma c’era più ancora della esagerazione; invece nella repubblica era tutto e solo disordine e prepotenza; bastava avere una divisa repubblicana per credersi di avere il diritto di vita e di mor- te, di furto e di incendio, di violenza e di prepotenza su tutti e su tutto, senza che ci fosse una Giustizia a cui potessero rivolgersi sicure le povere vittime. I ntanto dal giorno della presa di Alba, tedeschi e repubblicani andavano e venivano senza posa per l’Albese a compiere le loro gesta. Dovunque arrivava- Diano d’Alba no, era tanto in essi il pre- giudizio antipartigiano che arrestavano a vanvera per il più assurdo sospetto ed era allora un affannoso181 accorrere d’ogni paese in Vescovado a cercare protezione e invocare libertà. I l 17 arrivarono tedeschi a Diano e presero molta gente tra cui il neo-Sacer- dote, D. Savigliano e un giovane Seminarista; quello e parecchi altri si riuscì a far rilasciare in libertà, ma un certo numero, tra cui il seminarista, furono deportati a Cuneo, dove stettero parecchi giorni; così il 18, a Roddi, presero il Parroco e parec- chi ostaggi; che poi riconosciuti innocenti furono rilasciati.

181 Affannoso: faticoso, doloroso.

200 EFFERATO ECCIDIO IN CARCERE Ma un fatto ben più grave avvenne nella notte del 18 Novembre. Partita da Ceva, una colonna italo-tedesca, comandata dal Languasco, dopo aver gettato il terrore nelle Langhe era arrivata in Alba. Io ero stato messo sull’avviso che mi guardassi ben bene dall’uscire, perché c’era pericolo per me. Nella notte, prodito- riamente182 furono massacrati una donna e nelle carceri quattro uomini, tra cui tre molto giovani di cui due giudicati non rei il giorno innanzi dal Tribunale Militare del R.A.P. Non si seppe chi li avesse trucidati183 a colpi di mitra. La voce comune diceva assassini alcuni Ufficiali e soldati del Languasco, mentre altri nella notte depredarono a man salva184 più d’un negozio; più tardi si fece tra i soldati stessi del Presidio anche il nome di qualche loro Ufficiale e di qualche loro compagno, e quest’ultima versione risultò poi la vera. Tra i trucidati vi erano tre bravi giovani, molto conosciuti nella città per la loro condotta insospettata per ogni lato, De Negri e Moschetti studenti e Marengo ferroviere.

ALTRE UCCISIONI Ma le uccisioni non avvenivano solo per gente portata in carcere a torto o a ragione, ma anche e dovunque per semplice sospetto e per opera di chiunque vestisse la divisa repubblicana. Il 18 fu ucciso lungo la salita del Beppe, che unisce la città colla collina della Madonna degli Angeli, il meccanico Rocca, molto noto per la sua abilità profes- sionale, uomo innocuo, unicamente dedito al suo lavoro. Lo si trovò ucciso con qualche colpo di rivoltella al capo e si sapeva che i repubblicani lo ricercavano, solo perché colpevole di aver più volte riparato macchine di Partigiani. Niente arre- sto, uccisione proditoria e la voce popolare attribuiva l’assassinio al Ten. Rossi, che incontreremo presto in queste pagine e fino all’ultimo giorno della nostra storia. Così il 19, sempre la colonna Languasco, sorpresi in una villa sul pendio di Diano d’Alba, dove avevano cercato asilo, il Cav. Sinistero, l’Avv. Viglino, persone no- tissime nella Provincia per avervi ricoperte cariche importanti, e il giovanissimo stu- dente Bosso, li trascinò fino nei pressi di S. Donato frazione del Comune di Mango e là li fucilò, senza processo, senza indi- zi, per il solo presupposto che essendo in campagna fossero o Partigiani o loro favo- Castello di Mango

182 Proditoriamente: a tradimento, con l’inganno. 183 Trucidati: uccisi barbaramente, in modo atroce ed efferato, con selvaggia crudeltà. 184 Depredarono: tolsero con violenza, saccheggiarono, fecero preda - a man salva: superando un pericolo, anche grave, senza subire alcun danno.

201 reggiatori. Questa era la Giustizia che voleva dare all’Italia l’ordine nuovo. Per la notorietà di due delle vittime, la impressione fu in tutta la Provincia enorme.

E i repubblicani compievano i loro misfatti anche vestendosi in borghese; il 20 Novembre sulla via della frazione di Como, già nominata più volte, tre di essi, così vestiti, uccisero un esemplare padre di famiglia di 7 bimbi, certo Torchio di quella borgata, perché, interrogato se lì c’erano Partigiani egli ripetutamente disse di no, perché realmente non c’erano. Bisognava che ci fossero anche se non c’era- no e il Torchio fu ucciso per aver detta la verità e, al solito, senza essere giudicato.

IL PARROCO DI S. DONATO DEL MANGO I l 20 stesso corse voce che il Parroco di San Donato del Mango fosse stato arrestato con molt’altra gente e che l’avessero caricato come un facchino di mate- riale bellico e l’avessero messo in capo alla colonna che fu portata a Cuneo. Ed era vero; si riuscì a liberare quasi tutta quella povera gente, ma lui no; lo fu solo dopo quasi due mesi di carcere a Cuneo. Povero Don Servetti quante ne ebbe a patire! Per essere la sua Chiesa Parrocchiale isolata e su un punto dominante la valle del Belbo e tutto il sistema collinoso che di là porta ad Alba, era continuamente alle prese con qualche reparto o di repubblicani o di Patrioti, fu condannato più volte alla fucilazione sempre rimandata, spogliato completamente del suo, più volte arrestato e ora - io ne avevo la ferma convinzione - pagava per tutti quelli del Clero che non si era mai riusciti a colpire. Non fu rilasciato che dopo più d’un mese e dopo reiterate istanze185, senza neppur esser processato.

N on so se a partire da questo triste Novembre ci sia stato paese delle Lan- ghe che non sia stato visitato e in qualche modo martoriato da tedeschi o da repubblicani, i quali per voce comune si dimostravano più cattivi dei tedeschi. Ed eravamo fratelli! Anzi credo di poter asserire con verità che sono state ben rare anche le borgate, grandi o piccole, che non abbiano subito la tortura nazifascista. Perfino molti e molti cascinali sparsi sono stati oggetto di perquisizione, che si risolveva sempre almeno in un minimo di furti di galline, maiali, vitelli, biancheria, oggetti d’oro, piccoli cari ricordi di nozze e di morti! A qualche donna furono strappati perfino gli orecchini dalle orecchie. Ormai quello che contava pareva fosse solo più la cosiddetta preda di guerra; il ricercare i Partigiani era una comoda occasione, se non un pretesto. Si arrivò perfino a questo: si frugava una casa dalla cantina al solaio, per ogni angolo, per cercarvi Partigiani e, durante la minuta186 ricerca che veniva contemporaneamente fatta da gruppetti di soldati in varii punti della casa, perché fosse impossibile il sorvegliarli, essi mettevano qualche bomba

185 Istanze: richieste. 186 Minuta: precisa, accurata.

202 in un cassetto, in un armadio e poi si ritiravano e la gente tirava un grande respiro, ma ecco che dopo pochi minuti ritornava uno dei gruppi, gridando che da qualcu- no avevano avuto assicurazione in quel momento che in casa erano nascoste delle bombe, cominciavano da capo a frugare e, naturalmente, le bombe non tardavano a venire fuori e allora erano botte, arresti e soprattutto spogliazioni «per diritto di preda bellica». Legge tedesca che era stato tanto comodo far entrare dalla repub- blica nella pratica dei suoi soldati. E non va taciuto che tutta questa iniqua preda veniva poi divisa tra Ufficiali e soldati.

RASTRELLAMENTI Intanto l’inverno cominciava a divenire rigido, come da anni non avveniva più, e tedeschi e repubblicani ne approfittavano per fare dei rapidi rastrellamenti in grande stile attraverso le Langhe, sicuri di cogliere i Patrioti al riparo nelle stalle e nelle case dei contadini o in fuga, all’aperto, poiché il sicuro nascondiglio dei boschi frondosi ora mancava e non era pensare che i poveri giovani vivessero all’addiaccio187. A metà Novembre colonne repubblicane pervenute dalla Liguria, dall’Ac- quese, da Cuneo, ecc., X Mas, Muti, Brigate nere, R.A.P. e tedeschi diedero una caccia spietata ai Partigiani nelle valli quasi parallele del Belbo, delle due Bormide, dell’Uzzone, e sugl’alti e più o meno impervii paesi dissemi- nati sui colli che le separano. Poiché i Partigiani vivevano a piccoli gruppi in queste valla- te dispersi in casolari disabi- tati e nei cascinali disseminati nei boschi, tutta la vastissima zona fu battuta come in una ben preparata partita di caccia e furono dovunque braccati con ferocia. Molti vi lasciarono la vita, ma tedeschi e repubbli- cani la pagarono pure in più luoghi caramente. Ogni paese, ogni borga- ta, ogni cascinale che fosse di- I rastrellamenti nazifascisti dell’inverno ’44 costringono mora, anche solo presunta, di i partigiani a ripiegare nelle zone più impervie. Partigiani dovette pagarne caro Nella foto, la brigata “Ellero” perfino il sospetto. Né valeva alla conca del rio Colletta nel monregalese

187 Addiaccio: all’aperto.

203 dire che da quando il fascismo aveva disarmato, con una legge severissima, tutti i borghesi, nessuno poteva difendersi da chi, come i Partigiani, era armato e si fermava ad abitare dove voleva e ad ogni costo. La risposta - non intelligente - era sempre questa: «difendetevi e fateli correre col tridente»; quando anche un bam- bino capisce benissimo che un tridente contro qualche mitragliatore o qualche sten188 ha sempre senza dubbio la peggio.

'VDJMB[JPOJ BSSFTUJ WJPMFO[F QFSDPTTFCSVUBMJ NJOBDDFEJOGFSOP GVSUJ JO- cendi, malversazioni189, distruzioni con bombe, efferate190 uccisioni d’innocenti, nulla fu risparmiato, e con quale crudeltà.

ARDITI DEL R.A.P. L’inumano modo di fare la guerra che descrissi sopra, questi sistemi che farebbero arrossire dei primitivi, andarono man mano intensificandosi nell’Albese colla venuta nella seconda metà del Novembre del II Batt. Arditi del R.A.P. D apprima pareva che colla par- tenza del II Cacciatori degli Appennini del Languasco fossero per sempre fugati il terrore e la morte, e le promesse del Pieroni, pubblicate anche con manifesti, erano chiare, ma la belva umana che sta- va annidata soprattutto nell’Ufficio Poli- zia del II Batt. Arditi, diretta e comandata da certi Cap. Gagliardi e Ten. Rossi, pren- deva la mano al Col. Pieroni che pareva ben intenzionato ma era incapace a farsi ascoltare. Pare, almeno così si diceva, che i due avessero, assieme al degno compare il Ten. Balestra, tutto l’appoggio del Gen. Mischi Capo di Stato Maggiore dell’esercito repubblicano, creatore dei Reparti Antipartigiani.

Manifesto di propaganda della RSI

188 Sten: mitra a canna corta, di fabbricazione inglese, molto semplice, fu usato da molte formazioni della resistenza in Europa, grazie agli aviolanci degli Alleati. 189 Malversazioni: sottrazioni di beni altrui, appropriazioni illecite. 190 Efferate: feroci, barbare, inumane.

204 18 – Gratitudine a sacerdoti e Azione Cattolica

L’opera instancabile di sostegno alla popolazione da parte dei sacerdoti della diocesi di Alba risulta determi- nante per salvare dalla morte, dal carcere o dalla depor- tazione gran parte della popolazione. Fondamentale an- che l’azione di aiuto alla Resistenza, contro le minacce e le crudeltà di fascisti e tedeschi.

I MIEI SACERDOTI 'VOFMQFSJPEPEFM3"1DIFEPWFUUJBMMPOUBOBSFJNQSPWWJTBNFOUFEVFNJFJ 1BSSPDJ %PO4FDPOEP'FSSFSP QSFWPTUPEJ4FOPE&MWJPF%PO4DPGGPOF QSFWPTUP del Mussotto, braccati come cani per essere fucilati sotto la imputazione il primo di persistente cooperazione alle formazioni partigiane e il secondo per aver impre- stato ad un finto Partigiano, ch’era invece uno dei più malvagi componenti l’Uff. Polizia del Gagliardi, un abito talare e un cappello da prete per fuggire. N on volendo io scrivere una storia particolareggiata della mia Diocesi nel periodo repubblicano non debbo però tralasciare di dire qualcosa dei Sacerdoti delle mie 125 Parrocchie. Parecchi furono arrestati, tradotti in carcere e ivi lasciati come delinquenti; altri furono incolonnati in lunghe file di rastrellati, minacciati ripetutamente di fucilazione e di deportazione in Germania; quasi tutti, in qualche maniera ebbero a soffrire per la causa della Giustizia e della Libertà. E bbene io posso dire di tutti, con sicura coscienza, che non solo nessuno dei miei Sacerdoti disertò la sua Parrocchia, anche nei momenti più terribili, obbe- dendo alla consegna da me data, ma tutti i deportati, appena liberi tornarono al loro posto, diportandosi dovunque con coraggio ed erigendosi, quasi sempre soli, a difensori del popolo contro la prepotenza ingiustificata dei tedeschi e più ancora, lo dico con dolore, dei fratelli italiani, che militavano sotto le bandiere fratricide191 della repubblica. Tutti seppero stare al di sopra della mischia, com’era la consegna loro data e per tale ragione erano sempre invocati dalle parti contendenti per tro- vare aiuto e ogni volta che Giustizia e Carità dovevano o potevano esigere qualche cosa essi non tacquero ed operarono. Sicchè quando la Giunta del Popolo Albese conferì a me e a Mons. Vicario la cittadinanza onoraria si sentì in dovere di affermare nel pubblico atto che ap- pariva doveroso esprimere ufficialmente la sua gratitudine ai due Prelati, «nel cui nome viene anche onorato il Clero di Alba e della Diocesi per l’azione altamente benemerita esplicata».

191 Bandiere fratricide: bandiere della repubblica di Salò, ovvero di chi combatteva contro altri italiani, considerati fratelli.

205 N on esagero dicendo che i miei Sacerdoti hanno salvato migliaia di persone dalla morte, dal carcere e dalla deportazione in Germania. Ma qui è giusto che io ricordi almeno i principali, quelli che più furono espo- sti al pericolo o che compirono opera più difficile e talvolta disperata in vantaggio dei fedeli delle varie Parrocchie. Come dimenticare D. Cortese, Don Balocco, Don M. Mignone, il Can. Casetta, Don Balestracci, Don Bergui, Don C. Cavallotto, Don Serafino Gallesio, Don Viglino, Mons. Donato, Don Tortoroglio, i Padri Somaschi, molti dei Paolini di Alba, che tanto si prestarono anche per la trasfusione del sangue ai feriti, Don Vaccaneo, Don Bagnasco, Don G. Toppino, il Can. Calliano, %PO'BMMFUUJEJ7F[[B %PO4BNQÛ %PO($BTUFMMB %PO#FSSPOF %PO%FMQJBOP  %PO(#PGGB %PO($BTFUUB %PO.FTTB %PO'5BSFUUP %(BSBCFMMP %PO Boazzi, Don E. Marengo, Don Carro Castella, il Teol. 'BMMFUUJ EJ 1SJPDDB  JM 5FPM G. Grasso, il Can. C. Merlo, Don M. Do, Don Bergadano iunior, il Teol. Marengo, Don Pietro Gonella; Don G. Chie- sa, Mons. Dallorto, Don O. Marchisio, Don Giberti, Don '#PGGB  %PO 1FSSPOF  %PO Ghione, Don Serra, Don Gal- lina, Don C. Marello, Don Coppa, Don Chiavarino, Partenza deportati italiani verso i lager, Don Gallino B., Mons. Al- tra cui il padre Giuseppe Girotti mondo, Don Cordero, Don Aria, Don G. Gallo, Don Torrero, Don A. Demaria e chi sa quanti altri, di cui al momento non posso più ricordare l’opera, ma il cui ricordo non si cancellerà tanto GBDJMNFOUFEBMMBNFNPSJBEFJMPSP'FEFMJ3JNQJBOHPTPMPDIFMBMPSPNPEFTUJBMBC- bia vinta sul mio desiderio e su l’invito da me fatto nel Boll. Dioc. del Novembre 1945 di narrare quanto avevano fatto come attori nel dolorosissimo dramma. I n tutto l’inverno, l’opera loro, piena di pericoli e di fatiche, di aiuto alla indigenza dei Partigiani, di affronto alle minacce e alle crudeltà dei repubblicani e dei tedeschi, di accorgimenti e di astuzie salvatrici dei minacciati fu senza tregua, e lo riconobbe pure solennemente il Comandante Mauri quando consegnandomi in Ottobre il diploma di Patriota a nome dell’Alto Comando Alleato e commemo- rando in seguito in un pubblico discorso sulla piazza del Duomo il 2 Novembre i morti nella guerra partigiana ebbe a ringraziare il Clero della Diocesi per il grande apporto dato alla causa della Libertà.

206 IL VICARIO GENERALE Ma in capo a tutto il mio Clero debbo porre il mio Vicario Generale, Mons. P. Gianolio, per l’opera diuturna192 WBTUBFUBMWPMUBTmCSBOUFEBMVJTWPMUB'VOPO solo sempre al mio fianco in ogni impresa del genere, ma dal Dicembre 1944 fino al 25 Aprile 45 non ci fu probabilmente un giorno solo in cui egli non abbia lavo- rato contro la prepotenza e la malvagità che si perpetravano contro innocenti ed inermi, eludendo anche spesso con astuzia la repubblica per aiutare efficacemente le vittime del nazifascismo e anche le formazioni partigiane che lottavano nella vasta Diocesi per la Libertà e la cacciata dello straniero. Chi sa contare i km. da lui fatti a piedi, in bicicletta, nella neve che non veniva più rimossa neppure dalle vie nazionali? Chi può contare le persone che gli devono riconoscenza?

IL VESCOVO D i me dirò che da anni io non godevo buona voce nel fascismo, perché dal BMBWFWPEPWVUPTPTUFOFSFBTQSFMPUUFDPM'FEFSBMFFDPM1SFGFUUPEJ$VOFP per difendere prima l’Azione Cattolica e poi parecchi miei Parroci che si voleva colpire, non potendo colpire me. Ma se col fascismo il Vescovo di Alba era definito «violento e prepotente» colla repubblica divenne addirittura il capo delle migliaia di Partigiani delle Langhe, epperciò un Clero, disciplinato come quello dell’Albese, non poteva essere giudicato da meno del suo Vescovo. Ah! Quell’Azione Cattolica che era riuscita a tesserare il 17% dei Diocesani sotto le sue bandiere che spina per JM'BTDJTNP

Questo però era certo - e l’ho già accennato - che senz’essere io né l’or- ganizzatore, né il finanziatore dei Patrioti, tutti noi del Clero avremmo tradita la nostra Missione se non ci fossimo inte- ressati dei Partigiani, ch’erano tanta parte delle nostre Parroc- chie, se non avessi- mo resistito in tutti Tessera di adesione alla Gioventù Femminile di Azione Cattolica i modi alle continue illegalità, ingiustizie, alle barbare nefandezze che dovunque e ogni giorno si perpetravano contro gli altri nostri figli rimasti a casa inermi. E non tacerò che questo dovere lo sentivamo e l’attuavamo anche contro questi Partigiani che talvolta calpestavano i diritti del giusto e dell’onesto.

192 Diuturna: in modo continuato e durevole, per lungo tempo.

207 Sarebbe stato tanto comodo starsene chiusi in casa, ma sarebbe stata la nostra vergogna davanti a Dio e agli uomini. E non fu; e Iddio ha sempre protetto visibilmente me e i miei Sacerdoti. Uno solo di essi ha lasciato la vita intemerata193 sotto il piombo tedesco194, ma forse il Signore l’ha permesso perché Sacerdoti e 'FEFMJUSPWBTTFSPOFMTVPSJDPSEPMBOJNPBEVOBSFTJTUFO[BFBEVOPQFSBTFNQSF più coraggiosa per la Giustizia, per la Carità e la Libertà.

Azione Cattolica: Associazione di laici cristiani nata nel 1867 e difusasi nelle varie diocesi italiane tra fne ’800 e primo ’900. Dedita alla educazione religiosa e culturale dei giovani e delle giovani, ebbe un ruolo importante anche nella forma- zione civile e sociale. Molti dirigenti del Partito Popolare nel primo dopoguerra pro- venivano dalle sue fla. Anche per questo ebbe sovente difcili rapporti con il fasci- smo, che giunse a chiuderne i circoli nel 1931. Continuò la sua attività solo in campo religioso fno alla guerra, sviluppando una organizzazione capillare nelle parrocchie anche per ragazzi, uomini e donne. Molti suoi aderenti furono protagonisti della resistenza e della ricostruzione democratica dell’Italia nel secondo dopoguerra.

Nell’Albese l’AC si sviluppa dopo il 1880 e nel 1894 su impulso del vescovo Giuseppe Re nasce il primo Comitato diocesano, mentre nel 1913 viene costituita la Fede- razione Cattolica Giovanile diocesana. Tra gli anni ’20 e ’30 raccoglie un numero crescente di adesioni, grazie all’impegno di molti giovani dirigenti laici, alla colla- borazione dei sacerdoti e al sostegno del vescovo Grassi, che mette a disposizione la casa di Altavilla per farne un centro di formazione spirituale.

Tessera di adesione alla Gioventù di Azione Cattolica (GIAC) con il motto “Preghiera Azione Sacrificio”

193 Vita intemerata: vita integra, onesta, pura. 194 Piombo tedesco: armi dei tedeschi, è una metonimia, la materia indica l’oggetto, ovvero i proiettili, “piombo”.

208 GENNAIO/MAGGIO 1945

19 – Nuovi inganni

Con l’obiettivo di arruolare uomini nelle file dell’esercito repubblicano, si cerca il coinvolgimento dei parroci per indurre i giovani a presentarsi con la prospettiva di un incarico lavorativo o come guardia civica e conseguente possibilità di ottenere l’esonero. Il Prefetto di Cuneo garantisce che nessuno - se non volontariamente - sarà arruolato. Così tanti giovani appena diciottenni, ingenui e fiduciosi, si presentano. Ma un tranello li attende …

INGANNO DEL PREFETTO A questo punto vien fuori uno degli episodi più disonesti del fascismo re- pubblicano, che basterebbe da solo a bollarlo di vergogna per sempre. Per il giorno 18 Novembre, il Prefetto di Cuneo, Antonio Galardo aveva invitato con apposita circolare tutti i Parroci e i Podestà dell’Albese a trovarsi nel Municipio di Bra per importantissime comunicazioni. A veva pregato anche me di andarvi, ma io credetti bene di astenermi; non potevo partecipare ad una adunanza senza sapere neppure di che si trattasse. Vi andarono molti Parroci e numerosi Podestà. Il Galardo tenne un lungo discorso sulla necessità di aiutare la Patria, cioè la repubblica, sull’immancabile vittoria, e su tutti i bolsi argomenti195 repubblicani per conchiudere che i giovani si dovevano assolutamente presentare alle armi. Da tempo uscivano manifesti su manifesti, chiamate su chiamate, perdoni su perdoni ai renitenti196, ma la leva non attaccava mai e l’esercito repubblicano non riusciva a dare ai tedeschi quell’appor- to d’uomini che era stato combinato e garantito dopo l’8 Settembre.

VOLONTARI … FORZATI I nsomma l’adunata di Parroci e Podestà aveva lo scopo di attirare i giovani alla leva; ma per attirarli nell’inganno e farne così dei volontari … forzati si pro- spettò la cosa sotto questa luce, che traggo dalle parole precise del Prefetto. - «I giovani si devono presentare, pena la terribile reazione del Governo, o come vo- lontari per essere arruolati nell’esercito repubblicano, o come lavoratori all’ordine

195 Bolsi argomenti: argomenti, proclami pomposi, ma privi di sostanza, deboli. 196 Renitenti: chi si rifiuta di obbedire o conformarsi a determinate disposizioni; in questo caso di chi non si è presentato al bando di leva della Repubblica Sociale. I renitenti erano ricercati e rischiavano di essere incarcerati e deportati.

209 del Prefetto, o come guardia civica, e in questo caso avranno l’esonero. Garanzia assoluta del Prefetto che nessuno, esclusi i volontari, sarebbe stato arruolato». L a cosa parve a tutti un po’ troppo comoda e bella, dopo tante minacce su ma- OJGFTUJFTVQFSHJPSOBMJ FJM1BSSPDPEJ7F[[BE"MCB %PO(JVTFQQF'BMMFUUJTJBM[ÛBE interloquire per avere una nuova ed esplicita dichiarazione che non ci sarebbe stato nes- sun arruolamento per chi non si presentasse volontario, domandando per questo una garanzia. Il Prefetto rispose allora riconfermando nessun arruolamento e assicurando che se un solo giovine fosse stato arruolato egli avrebbe dato le dimissioni da Prefetto. U na tale garanzia parve così forte e sicura da indurre tutti a credere alla sincerità delle sue parole. Naturalmente il Prefetto non lasciò di marcare bene sulla minaccia di ter- ribili repressioni per le famiglie nelle quali tanta bontà della repubblica non fosse accolta. E così avvenne che Parroci e Podestà riferirono nei paesi la parola del Prefet- to, senza però fare opera di persuasione alcuna; anche se la parola del Galardo era parsa e creduta sincera, ahimè era sempre il portavoce di quella Repubblica ai cui capi nessuno più concedeva molta fiducia, eccetto una minoranza di fanatici. I giovani s’accordarono quasi dovunque di iscriversi o nella guardia civica, il cui numero era limitato, o nel servizio del lavoro. Nei paesi i due servizi quasi non funzio- narono, ma in città, dove l’esercito repubblicano vigilava i giovani, questi furono im- piegati a lavorare in molteplici forme. Ciascuno si può figurare197 con quale entusiasmo e rendimento, il che suscitava le ire di Ufficiali e sottufficiali con male parole e anche botte, e relative proteste e diserzioni alla quali succedevano subito repressioni verso le famiglie, incarceramenti, minacce di spedizione in Germania e le solite angherie198.

IL TRANELLO Verso i primi di gennaio 1945, all’incirca due mesi dopo le solenni promesse del Prefetto, molti giovani, soprattutto dei paesi vicino ad Alba, ricevettero una cartolina intestata al R.A.P. ma non firmata da alcuno, colla quale erano invitati a presentarsi al Batt. Arditi, che alloggiava nel Seminario minore, per comunicazio- ni importanti. Quasi tutti abboccarono all’amo199 e andarono, persuasi che non essendo mai stati chiamati fino ad allora, lo fossero adesso per qualche turno di lavoro ma quando furono tutti messi in fila, erano circa 180, fu loro fatto un discorso molto cortese, pieno di patriottismo ma che finì con questa conclusione che era tempo di finirla col non servire la repubblica e che bisognava scegliere tra l’arruolarsi nell’esercito repubblicano o il carcere immediato e poi la Germania. Si noti che la maggior parte dei giovani erano diciottenni, mai usciti dai loro paesi, ignari di tutto, che perciò a tale minacciosa alternativa si sentirono in dosso un grande spavento, tanto più che un giovane di Alba, avendo osato protestare

197 Figurare: immaginare. 198 Angherie: atti di prepotenza, soprusi, violenze, intimidazioni. 199 Abboccarono all’amo: caddero nella trappola, si fecero raggirare.

210 che egli non si arruolava, perché era a posto col servizio del lavoro, lo videro senz’altro preso a botte e portato alle carceri giudiziarie. I poveri ragazzi per la paura firmarono e furono subito informate le Superiori Autorità che un bel numero di giovani s’erano presentati volontari nell’esercito repubblicano. Ma la cosa non passò così liscia; visto che i ragazzi non tornavano a casa si capì subito che qualche cosa di irregolare doveva esserci stato e parenti e Parroci e Podestà corsero ad Alba per saperne qualcosa. Le loro proteste fioccaro- no, ma si sentirono dire con sfacciataggine enorme che i giovani avevano firmato volontariamente l’arruolamento e che non c’era nulla da dire o da fare. E i giovani avevano pure un bel protestare, ma non serviva; era anzi per essi molto pericoloso. Il sindaco di Roddi che credette suo dovere protestare presso il Prefetto, si ebbe una rispostaccia.

SEVERA PROTESTA I o fui subito edotto200 della cosa nei suoi particolari e andai immediatamente a protestare dal Col. Pieroni, facendo ben notare le conseguenze tristi che ne potevano venire; mi diede ragione ma mi disse che la losca manovra non era partita da lui ma dall’alto e alla mia affermazione che avrei scritto contro tanta mancanza di lealtà an- che a Mussolini, mi disse che avrei fatto bene a fare una protesta scritta e che intan- to per parte sua avrebbe dato ordini che non si ripetessero più tali atti disonesti. Tornato a casa scrissi subito una severa protesta al Col. Pieroni e contemporane- amente al Prefetto di Cuneo e a S. E. Zerbino Alto Commis- sario del Governo per il Pie- monte. Ricordavo nella lette- ra, citandole testualmente, le parole e la solenne promessa Seminario di Alba del Prefetto Galardo, narravo il trucco grossolano usato per ingannare i giovani iscritti al servizio del lavoro e le ingiuste e vessatorie minacce loro fatte. Aggiungevo che era falso che i giovani avessero firmato spontaneamente ma solo sotto le gravissime minacce loro fatte. E continuavo: «Non faccio commenti al modo di carpire201 tali firme; constato solo che è stata giocata la parola del Prefetto, quella di molti Parroci e Podestà. L’opera paziente di oltre due mesi che aveva ridata la calma agli animi e la tranquillità

200 Edotto: informato. 201 Carpire: ottenere con astuzia, facendo leva sull’autorità e sull’intimidazione.

211 alle famiglie, va ora sciupata in modo veramente doloroso. E non vi nascondo che è nato per questi fatti uno stato di orgasmo202 e di agitazione nella gente, tutt’altro che desiderabile. Intanto non si comprende come tali fatti avvengano solo ad Alba, perché interrogate competenti Autorità di altre città della Provincia se anche colà avvenivano simili cose risposero che no». Ed era verissimo. Si disse poi che la losca faccenda era stata combinata dal Generale Mischi e che fosse stata organizzata in Alba dal Ten. Balestra del II Batt. coll’aiuto del Cap. Gagliardi, e si diceva perfino che l’Alto Commissario stesso, Zerbino, avesse protestato per un procedere sì sleale. La cosa per il momento finì lì, ma nonostante tutte le altre proteste che seguirono e le reiterate preghiere mie e di Parroci che i giovani così subdolamente fermati fossero lasciati liberi, furono trattenuti, lasciati senz’armi e vigilati nel Seminario e poi nella Caserma Govone finché pensarono essi qualche mese dopo a scappare, come nar- rerò appresso.

IL GIURAMENTO COLLETTIVO L a voglia però di impinguare203 le non robuste file dell’esercito repubblicano faceva trovare sempre nuove industrie204 per riuscirvi a qualunque costo; ed ecco che non molto tempo dopo ne fu attuata un’altra altret- tanto subdola e marchiana205. Si organizzò la festa del giuramento collettivo degl’iscritti al servizio del lavoro, un giuramento che non aveva per sè e come veniva proposto nessun valore. In quel mattino si fecero ai giovani parecchi discorsoni e poi si fecero passare a due a due in una sala, per firmare l’atto del giuramento e avvenne che non solo non si dava loro tempo a leggere ciò che firmavano, ma si face- vano loro firmare due fogli uno sotto l’altro e s’im- pediva di vedere cosa ci fosse nel secondo foglio; ma qualcuno, quasi subito al principio, vi riuscì e don Michele Balocco vide chiaramente che era un modulo di volontariato nell’esercito repubblicano. Allora avvenne ciò che era da prevedere; i giovani che non avevano ancora firmato non vollero più firmare ciecamente, e furono botte, minacce, ecc., ma altre firme non se ne fecero più. Questi erano gli iniqui e vergognosi sistemi che adoperavano gli uomini che avevano la pretesa di essere dei «puri» e di dare un ordine nuovo all’Italia.

202 Orgasmo: tensione, forte ansia, irrequietezza, attesa impaziente. 203 Impinguare: riempire, rendere abbondanti. 204 Industrie: qui nel senso di imprese, tentativi. 205 Marchiana: grossa, eccessiva, madornale.

212 20 – Una trappola per il Vescovo

Nel clima di tensione e nel susseguirsi di alterne vicende, il vescovo si trova coinvolto e minacciato da un repub- blichino fintosi partigiano che chiede la collaborazione di Monsignor Grassi e di altri parroci per ottenere un abito talare che doveva servire per carpire agevolmente ai partigiani preziose informazioni grazie all’interces- sione di finti uomini di Chiesa. Come si destreggerà il vescovo in questo intricato groviglio?

L’ABITO DA PRETE I l nuovo anno, come s’è visto, non prometteva niente di buono. Il mattino del 22 Gennaio viene da me il Parroco del Santuario cittadino della Moretta, D. Balestracci, a narrarmi che in piena notte erano stati da lui due Partigiani e avevano preteso che con- segnasse loro un completo abito da prete, di cui asserivano avere urgente bisogno. Egli si era rifiutato, e alla chiassata206 prepotente dei due aveva con- cluso dicendo che aveva la proi- bizione del Vescovo ed era vero. Pretesero allora che al mattino seguente venisse da me a farsi concedere il permesso, asseren- do che il Vescovo ai Partigiani avrebbe concesso qualunque Il santuario della Moretta in una cartolina dell’epoca cosa e che avrebbero mandato la sera seguente a ritirare la talare e che non si facessero difficoltà, altrimenti … come i bravi di D. Rodrigo. Ma non trovarono un Don Abbondio. Subodorai207 qualcosa di losco nell’avventura, riconfermai la proibizione e rilasciai al buon Parroco una dichiarazione scritta con cui gli vietavo categoricamente la cosa, dandone anche le buone ragioni.

IL FINTO PARTIGIANO N on pensavo più a tutto ciò, quando verso le ore 15 del giorno 23 il Segretario m’annuncia che un Partigiano mi voleva parlare. Lo ricevei; era alto, biondo, ben vestito, coi guanti e parlava con uno spiccato accento ligure. Si disse inviato dal Nanni, noto comandante d’una brigata garibaldina e mi presentò una lettera colla quale mi si doman- dava una veste talare cogli annessi e connessi che dovevano servire a far passare il confine

206 Chiassata: scenata, discussione animata e violenta. 207 Subodorai: sospettai, ebbi il presentimento.

213 franco-italiano sulle Alpi marittime ad un Partigiano che doveva venire a comandare un reparto delle Langhe. La lettera battuta a macchina era firmata «Sfax», ma intestata, anche a macchina, alla Brigata «Nanni». Era decisa e categorica, ma io rifiutai deciso e categorico. Qualche mese innanzi avevo avuto già qualche fastidio per causa d’un ex-chierico, entrato nei Partigiani, che era venuto in Alba e s’era presentato a mano armata col suo vecchio abito talare a prelevare gomme nel negozio di un ciclista. Poi non potevo dimenticare la storia della talare di D. Sibona, nei fatti del 2 Novembre, non ancor molto lontano.

MINACCE I l Partigiano al mio netto rifiuto s’irritò e mi minacciò di gravi conseguenze. Gli risposi semplicemente che era inutile facesse del chiasso; se gli garbava poteva anche uccidermi, ma avrebbe ottenuto egualmente nulla e lo invitai ad uscire. Allora si rab- bonì e mi disse che stessi sicuro che la veste mi sarebbe restituita, che non correvo nessun pericolo perché chi l’avrebbe indossata aveva la faccia da prete (sic!), il che mi fece ridere di gusto, con sua sorpresa; ma, finito che ebbe, gli intimai di nuovo di uscire e feci per aprire la porta. Allora s’irritò fortemente e mi fece minacce misteriose e gravi. Risposi tutto tranquillo che se m’avesse pregato di cose riguardanti il mio Ministero le avrei concesse, ma altro che da questo esulasse208, no; e soggiunsi che mi stupivo molto che essi, Partigiani, che non avevano scrupoli di sorta quando si trattava di farsi dare da qualcuno cose che loro servissero, avessero d’improvviso tan- ta delicatezza da venire a domandare ad un Vescovo delle cose che avrebbero potuto colla forza prelevare nelle parecchie centinaia di case canoniche, quante ce n’erano di sicuro dalla frontiera francese alla città di Alba.

TRANELLO Si vide forse scoperto? Non so, ma desistette dalla maniera forte e mi pregò con garbo allora di rilasciargli un biglietto per il suo Comandante, nel quale dichia- rassi che non concedevo quanto mi si domandava, perché altrimenti non gli avrebbe creduto, essendo quel comandante convinto che io ai Patrioti non negavo nulla. Presi la stessa lettera firmata «Sfax» e scrissi sul retro che non potevo con- cedere quanto mi si domandava, perché avrei mancato al mio dovere: null’altro; la firmai e la restituii. Alla mia domanda se era ligure rispose essere d’Imperia e alla mia meraviglia come avesse potuto penetrare in città tranquillamente, così sor- vegliata com’era ad ogni sbocco, rispose che la conosceva alla perfezione anche alla periferia e che aveva carte sicurissime. Gli dissi ancora che stesse bene attento nell’uscire con quella lettera che lo comprometteva e mi rispose che nascondeva tutto nel manubrio della bicicletta, dove nessuno mai avrebbe sospettato vi fosse qualcosa. Notai però che evitava d’incontrare il mio sguardo ma non ne feci grande caso, lo congedai e, preso subito dalle mie occupazioni, non ci pensai più.

208 Esulasse: fosse estraneo, non avesse alcun riferimento.

214 SCOPERTO I l mio Segretario intanto era uscito e appena rientrato venne da me tutto pre- occupato a dirmi di aver visto poco prima quel medesimo Partigiano uscire dall’Uf- fizio Polizia del R.A.P., di averlo guardato bene e, nonostante che il giovine voltasse il viso dall’altra parte, di averlo riconosciuto con certezza. Era ancor sempre collo stesso abito. Allora m’assalirono dei dubbi che ebbero la loro spiegazione l’indo- mani, quando tornò il Parroco della Moretta a dirmi che nella tarda sera del giorno innanzi era venuta da lui una brava giovane sua parrocchiana, con una sporta, a ritirare la talare domandatagli il giorno innanzi dai due Partigiani, avendo avuto da essi l’ordine di portarla loro. Ma, tutta piangente gli confidò che chi l’aveva mandata non era un Partigiano, ma un repubblicano, un giovane biondo, esile, ligure e che era stata costretta a venire con gravi minacce. L’abito, naturalmente non fu consegnato e alla ragazza non fu fatto nulla, perché il lestofante209 era riuscito egualmente nel suo scopo. Ecco come. L’indomani però io sapevo già che il biondo repubblicano si chiamava Carboneto, che apparteneva alla X squadra dell’Ufficio Polizia del R.A.P. e veniva chiamato «boia» della Compagnia per le sue efferatezze.

DAL PARROCO DEL MUSSOTTO Nello stesso giorno il tentativo di avere una veste talare fu tentato, sempre dal Carboneto e da un suo collega, con un altro Parroco della periferia, quello del Mussotto, il quale, tratto in inganno dalla sua troppa bontà, consegnò quanto i due filibustieri210 domandavano. Lo seppi solo l’indomani e si fece appena in tempo ad avvertirlo di fuggire, vi riuscì per un vero miracolo e dovette starsene poi nascosto molto lontano, fino alla fine della repubblica; ma fu per lui, così mite ed affezionato alla sua Parroc- chia, un colpo tale che decad- de nella salute, non si riebbe più e morì nella notte del 20 settembre 1945. Ma quale poteva esse- re lo scopo della ostinata e affrettata caccia ad un abito da prete? Sacrilego ed infame. Sacrilego perché il cap. magg. Mussotto d’Alba - Scuola materna Limardo pure della X squadra, che aveva fama di singolare crudeltà, voleva servir- sene la sera stessa del 23, per carpire ad un Partigiano che doveva essere fucilato sul greto del Tanaro, notizie sui Partigiani, fingendo essere Sacerdote e di confes- sarlo; il che, purtroppo fece, come seppi da sicure testimonianze, non escludendo,

209 Lestofante: imbroglione, persona di pochi scrupoli. 210 Filibustieri: persone furbe e spregiudicate, canaglie.

215 inoltre, di servirsene tutte le volte che l’avesse creduto utile ai suoi fini perversi. Infame, perché, avuto in mano un abito talare da un Sacerdote qualsiasi, preso questi e fucilatolo, si sarebbe sollevato uno scandalo eccezionale colla stampa, tutta venduta alla repubblica, e si sarebbe colpito finalmente anche quel Clero di Alba e indirettamente il suo Vescovo, che non si riusciva a colpire, ma che in un modo o l’altro e tosto o tardi sarebbe caduto nelle mani dei repubblicani. Ma Iddio non permise tutto ciò. Qui però comincia il bello. Partito il Parroco della Moretta, ecco arrivare Mons. Vicario tutto preoccupato e scuro in volto. Tornava dal Col. Pieroni che lo aveva chia- mato per narrargli, in stretta confidenza, quello che l’Ufficio di Polizia aveva tentato contro di me e che, se anche non era riuscito nell’intento, per il modo cordialissimo col quale avevo accolto il finto Partigiano e soprattutto per alcune mie frasi com- promettenti, rendeva molto grave la mia posizione e che si preparava una denunzia contro di me. Mi consigliava pertanto a parare il colpo con lo scrivere a lui una lettera, nella quale gli riferissi le cose com’erano andate. Volli invece e subito andare in persona a parlargli col Vicario Generale. Volevo venire senz’altro in chiaro di ogni cosa211. E là dal Colonnello seppi, con mille cautele e cento raccomandazioni di non metterlo in piazza, che altrimenti sarebbero stati guai serii per lui da parte di quei dell’Ufficio politico, quanto già avevo ricostruito da me, che il Partigiano era invece tutta una finzione combinata dall’Ufficio Politico e attuata da un suo soldato e che egli ad evitare la propria rovina era costretto a dar corso alla pratica, ma che tuttavia l’avrebbe presentata sotto un buona luce, ecc. E mi lesse con continue occhiate furtive alla porta per timore comparisse qualcuno, le accuse che l’Ufficio Polizia del II Batt., irritato di non essere riuscito nell’impresa, inventava contro di me per assestarmi almeno un colpo mancino212. Le accuse erano che io avevo trattato molto cordialmente il Partigiano, assicuran- dogli che presto con mia gran gioia sarebbe ritornato cogli altri Patrioti in Alba, che pur negandogli l’abito talare potevo però dare ai Partigiani denaro, armi e qua- lunque altro aiuto, che (questa è enorme!) lo autorizzavo a minacciare qualunque mio Sacerdote collo sten e a passarlo anche per le armi213 se avesse rifiutato di consegnargli un abito da prete, e infine che gli avevo insegnato a nascondere carte e documenti nel manubrio della bicicletta.

CADUTO NELLA RETE ? ... Per ben due volte il Pieroni soggiunse che si stupiva che io reputato da lui mol- to scaltro, fossi caduto tanto semplicemente nella rete tesa; ed ero io invece che mi stupivo come mai egli dimostrasse di credere ad accuse così malcombinate e così

211 Venire senz’altro in chiaro: fare chiarezza, avere assoluta certezza. 212 Assestarmi … un colpo mancino: darmi un colpo in modo vigliacco, accusarmi ingiustamente. 213 Passarlo anche per le armi: ucciderlo, fucilarlo.

216 grossolane. Naturalmente protestai per tutte e singole le accuse, e domandai mi si conducesse davanti l’accusatore, il cui nome però il Pieroni mai pronunciò, ma egli non volle perché giudicava la cosa pericolosa. Per chi? E’ evidente non per me ma per lui e per il gioco stesso che l’Uff. Polizia aveva combinato. Allora fui io stesso a provocare di essere interrogato ufficialmente e che si facesse poi quello che si credeva di fare nei miei DPOGSPOUJ'VEFDJTPMJOEPNBOJQFSMJOUFSSPHBUPSJPFDPNFNJFSPQPSUBUPQSJNBDPNF testimonio Mons. Vicario, così volli che fosse con me anche questa volta. Mandai intanto al Pieroni una lettera col racconto dettagliato del mio incontro col Carboneto.

UN COLPO CONTRO IL VESCOVO L’indomani ci fu l’interrogatorio e il relativo verbale, ma di fronte alla mia lettera le accuse del verbale furono più temperate e caute che nel rapporto; le mie risposte furono secche e categoriche. Ne volli e ne conservo con tanti altri documenti, una copia ed una fu spedita al comando generale del R. A. P. a Torino. E tutto finì lì, ma nell’ombra si tramava sempre contro di me. Pochi giorni dopo il Vicario Generale m’av- vertiva di stare molto attento e di non azzardarmi ad uscire da solo, perché correvano voci fondate di qualche colpo sinistro contro di me, e a non molta distanza da questo avviso, uno dei custodi delle carceri si faceva premure di venirmi ad avvertire d’aver udi- to nel corridoio delle stesse carceri il famigerato cap. magg. Limardo a dire che si stava preparando contro di me un colpo che aveva ogni pro- babilità di buona riuscita. Questo disgraziato, come anche il Carboneto, fu poi fucila- to dai Partigiani. Intanto si faceva sempre più credito ad una voce che ci fossero degli incaricati a sopprimermi e che fosse pronta per costoro una forte somma di denaro, e ad avvalorare tale voce non mancava l’apporto del Capo dell’Uff. Polizia del R. A. P., Cap. Gagliardi, che parlava della mia fine come di cosa sicura e definita.

LO SCAMBIO DEL CARBONETO I l bello si era che oramai non passava giorno senza che il Presidio repubbli- cano domandasse all’Autorità Ecclesiastica d’intervenire per salvare dalle mani dei Partigiani, che diventavano ogni dì più audaci, qualche suo soldato. Quanto scrive- re, quanti viaggi difficili e pericolosi, sempre sfibranti per le pessime condizioni del viaggiare, attraverso le Langhe, fatti dai miei Sacerdoti, qualche volta anche dai miei chierici214 che ero costretto ad adoperare per la urgenza immediata o la particolare complessità di certe missioni. E sempre con lo scopo tacito215, ma fortemente inteso,

214 Chierici: persone avviate al sacerdozio. 215 Tacito: sottinteso, accettato, senza necessità di espresso chiarimento. 217 di salvare così da fucilazioni, da incendi, da rappresaglie famiglie paesi Patrioti. L a sera del 27 Gennaio, verso le ore 20 arrivano all’Episcopio due soldati a dirmi che il Col. Pieroni aveva urgente bisogno di parlarmi e a pregarmi che lo ricevessi nonostante l’ora tarda. Acconsentii e venne col Cap. Gagliardi a interessarmi per ottenere la restituzio- ne e lo scambio di uno dei loro soldati, preso dai Patrioti, il giorno innanzi. Acconsentii perché essi avevano nelle mani un partigiano che stava molto a cuore ai suoi colleghi, sicuro di avere così lo scambio. Mi feci dare tutti i dati ed ecco venire fuori il nome del Car- boneto, quello che due giorni innanzi aveva tentato il colpo contro di me. Il Col. e il Cap. ignoravano che io ne sapessi il nome, e il bello si è che il più eccitato a volerlo salvare era il Gagliardi che lo magni- ficava come uno dei suoi migliori e per la re- stituzione del quale era disposto a qualunque cambio. Promisi d’in- teressarmene e garantii che il domani mattina avrei subito mandato il Cravanzana mio Segretario a farne ricerca e lo avrei con uno scambio restituito loro. Ebbi l’impressione che da qualche mia parola il Pieroni avesse capito che sapevo benissimo chi era il Carboneto e ne fui contento perché conoscesse quale era la vendetta del Vescovo, il perdono. Nel pomeriggio di quel giorno stesso un soldato della stessa compagnia di Carboneto mi riconfermava nome, cognome e connotati e tutta la impresa tentata contro di me da quel disgraziato. Il Carboneto, non so come, era stato prelevato da Partigiani e condotto ad occhi bendati fino a Seno d’Elvio, una valletta alla periferia di Alba, ben riparata, dove i Parti- giani stavano con un certo agio216. Là lo trovò il mio Segretario il giorno dopo e trattò lo scambio con la squadra di Paolo, della Matteotti, a cui premeva avere il patriota di cui dissi TPQSB-PTDBNCJPBWWFOOFJM*'FCCSBJP QSFTFOUJJM7JDBSJP(FOFSBMFFJMNJP4FHSFUBSJP  che riconobbe nuovamente e benissimo il Carboneto. Ma se quelli della Matteotti avessero saputo che il Carboneto era uscito dalle for- mazioni partigiane di stanza a Cravanzana per tradirli nelle file repubblicane, macchian- dosi di parecchi e veri delitti, penso che non lo avrebbero rilasciato. I suoi vecchi compa- gni Garibaldini però non lo perdettero mai d’occhio e riuscirono poi con un piano astuto e ben combinato ad averlo nelle mani, pochi giorni prima del 25 Aprile e lo fucilarono a Monforte. Prima di essere fucilato, nella speranza forse di salvarsi, tradì i repubblicani stessi, facendo rivelazioni gravissime sulle sevizie da essi perpetrate contro ostaggi e pri- gionieri che tenevano rinchiusi nei sotterranei del Seminario minore.

216 Con un certo agio: con una certa sicurezza di trovarsi in luogo adatto e protetto.

218 21 – Ancora soprusi

Sospetti e repressioni non risparmiano nessuno: anche giovani fanciulle vengono arrestate e trattenute in carce- re senza motivo e senza opportune indagini. Il solo so- spetto che possano essere sorelle di partigiani è motivo sufficiente per arrestarle. A salvaguardia di tante inno- centi, così come di sfollati, ebrei e di quanti necessitano di aiuto, prosegue l’opera di sostegno del clero che non si arrende neppure di fronte a gravi rischi e pericoli.

LE INSIDIE ALLE GIOVANI Ci fu un tempo in cui l’Ufficio di Polizia prese di mira in modo speciale le giovani; bastava il sospetto fossero sorelle di Partigiani perché venissero arrestate e tenute, senza esame alcuno, per settimane e settimane nelle prigioni o almeno chiuse in una casa che le buone Suore Luigine avevano offerto col pretesto del ne- cessario sfollamento alle carceri, ma più perché le figliuole trovassero il bene della assistenza delle Suore con tutti i conforti morali e materiali che queste sapevano con astuzia far pervenire senza compromettere nessuno. Pure qui l’opera del Clero fu assidua, anche se le promesse d’ogni giorno del Comando di rilasciare tante innocenti erano continuamente rinnegate dai fatti e dal trasporto in altre carceri delle povere figliuole. O rmai, incredibile ma vero, si era così abituati a soffrire, che un giorno il quale non portasse una nuova pena pareva cosa strana e incomprensibile; ma tali giorni furono ben pochi. E sì che il Comando del R. A. P. in un suo manifesto della metà di Novem- bre, che aveva dato adito217 a qualche speranza, raccogliendo lagnanze di qualche disordine provocato da Patrioti durante la loro occupazione di Alba, aveva scrit- to: «confronti la gente il nostro modo di agire con quello dei fuorilegge e saprà giudicare chi tratta meglio». È vero che vi furono da parte di certi Partigiani delle prepotenze, ma erano davvero ben poca cosa messe a confronto della tortura a cui veniva sottoposta Alba e tutto l’Albese dalla repubblica.

NON TUTTI DELINQUENTI N on che i militari repubblicani fossero tutti delinquenti, no; ve n’erano, e potrei fare i nomi, che aiutavano le vittime del fascismo per quanto potevano, che non sparavano neppure nei rastrellamenti, che cercavano di evitare incendi, furti, percosse, uccisioni, ma erano pochi.

217 Dato adito: suscitato, giustificato.

219 L a massa si poteva dividere in tre parti: la prima di pochi, incapaci di crimini e che cercavano una occasione propizia per scappare dalle file repubblicane; una seconda, con Ufficiali, sottufficiali e soldati veramente feroci e sanguinari, spregiu- dicata e capace di qualunque iniquità218; la terza indifferente, che giocava all’op- portunismo, che stava lì perché ci si trovava ed era ben pasciuta219 e ben pagata. Chi di costoro poteva avere un ideale a cui ispirarsi? Molti lo dicevano, ma chi poteva loro leggere nell’interno? Che ci fosse qualche idealista, repubblicano e mussoliniano è da credersi, ma dovevano essere ben pochi. I primi pure essendo in fondo brava gente erano soverchiamente220 paurosi di una schioppettata nella schiena nella ipotesi di un tentativo di fuga, perché in realtà i meno sorvegliavano ferocemente i più; i secondi erano quello che erano; i terzi vivevano nella speranza di trovare uno scampo all’ultimo momento e per intanto mangiavano, bevevano e facevano denaro, usando molta attenzione nei rastrellamenti a non esporsi sover- chiamente a quei benedetti Partigiani, che non scherzavano mai.

L’ARRESTO DI DON MASSÈ Gennaio doveva finire con violenze contro un altro Sacerdote, Don Domeni- co Massè, Rettore del Collegio di Barolo. Qualche spia aveva fatto sapere ai repub- blicani che nella infermeria del Collegio giaceva ammalato un Partigiano. Il 31, alle ore 7,30, tre Sottotenenti con un gruppo di soldati erano già sul posto. Entrarono nella chiesa parrocchiale che sta di fronte al Collegio, fecero uscire una ventina di uomini che sentivano Messa e insultarono il Parroco che aveva protestato per l’at- to arbitrario distur- batore del S. Sacri- ficio, coprendolo di villanie e di be- stemmie da degra- dare un ossesso221. Poi arrestarono e ammanettarono il Barolo Don Massè, cari- candolo di insulti da lupanare222 e di urla feroci e lo tradussero in Alba, facendogli, a lui molto noto in città e come educatore e come Sacerdote, attraversare tutta la via principale,

218 Capace di qualunque iniquità: capace di commettere qualsiasi azione malvagia e persino di uccidere. 219 Ben pasciuta: ben nutrita, che ha cibo in abbondanza, sazia, soddisfatta. 220 Soverchiamente: eccessivamente, troppo. 221 Da degradare un ossesso: da avvilire, mortificare persino una persona posseduta da demonio. 222 Da lupanare: volgari, tipici di un bordello, di ambiente moralmente degradato, corrotto.

220 legate le mani ad una fune che legava pure altri poveri innocenti barolesi. 'PSTFJEJTHSB[JBUJBHJ- vano così crudelmente per- ché non erano riusciti a cat- turare il Partigiano, che con un salto da acrobata di gran classe se l’era svignata da una finestra molto alta dal- la parte interna del Collegio opposta a quella dove sta- Abitanti di Montelupo ostaggio dei tedeschi vano i repubblicani. Erano stati beffati e qualcuno la doveva pagare, come al solito, e pagò l’innocente Don Massè, reo di aver dimostrato spirito di Carità verso un ammalato. Cacciato nelle prigioni civili di Alba il buon Sacerdote fu trattato però con ogni riguardo da tutto il personale non repubblicano, ma dopo pochi giorni fu trasportato a Torino, dove languì in carcere per parecchio tempo fino a che per l’operosità di un suo amico e di S. Eminenza il Cardinale Arcivescovo riuscì a riavere la libertà; ma la cattiveria fascista lo perseguitò ancor dopo, perché il Generale Presidente del C. O. G. U., uno dei tanti tribunali repubblicani, si adoperò per rifare a tutti i costi il processo a Don Massè e colpirlo ferocemente. Per fortuna l’Aprile spazzò via tutt’assieme, tribunali, uomini e la loro ferocia. I rastrellamenti e la caccia ai Partigiani e alle loro famiglie continuarono an- DIFJO'FCCSBJPF.BS[P JODJUUËFQFSUVUUFMF-BOHIFEJWFOUBOEPDPTBOPSNBMF  come continuarono ad essere piene le carceri del Seminario minore e le giudizia- rie223. Il 3 Marzo, sabato, avvenne un fatto che ridestò dal suo doloroso torpore la città.

Seminario di Alba

223 Le giudiziarie: luoghi di detenzione dove vengono condotti e custoditi gli arrestati, carceri statali.

221 22 – Liberazioni e scambi

Continua e si accresce la situazione di pericolo per tutta la popolazione costretta a rispettare un rigido coprifuo- co. Le azioni partigiane continuano spingendosi in città e penetrando nelle carceri dove sono prigionieri quattro giovani pronti per la fucilazione e per i quali una serie di trattative sono risultate vane. Intanto la paura di rappre- saglie e ritorsioni mantiene tutti col fiato sospeso.

LA BEFFA DELLE CARCERI In questo mese il coprifuoco era fissato per le ore 17 e la ronda lo faceva ri- spettare severamente, ma in quel giorno vi fu chi lo violò. Mentre la gente si affret- tava a rinchiudersi in casa, un giovinotto entrò risoluto nel cortiletto delle carceri. Salì le scale fino al grosso cancello di ferro che dà all’alloggio del capocarceriere e alle celle con un gran pacco, suonò il campanello e a costui accorso disse che lo EPWFWBDPOTFHOBSFBMVJEBQBSUFEFMDPSSJFSFEJ'PTTBOP I l pacco era tutto di trucioli e di mattoni rotti, il giovane era un Partigiano e nel buio della sera e della notte salivano, intanto, scalzi e attenti, altri Partigia- ni. A farlo apposta il pacco era così voluminoso che non passava attraverso alle sbarre del cancello e il capocarceriere dovette aprire; ma invece del pacco entrò il Partigiano a rivoltella spianata e subito di corsa gli altri Partigiani armati di tutto punto. Tutto questo durò come un lampo e, imposta al pover’uomo l’alternativa tra il silenzio e la morte, fattesi consegnare le chiavi, tagliati i fili telefonici, prose- guendo man mano nell’interno liberarono quattro Partigiani che dovevano essere fucilati l’indomani, un altro dei loro condannato a molt’anni di carcere, 16 altri prigionieri e prelevarono ancora per soprappiù i due repubblicani giunti poco dopo per la guardia notturna della prigione. Riuscirono ad uscire tutti indisturbati, ad attraversare il Tanaro e quando il Comando di Presidio fu avvertito era troppo tardi. A stuzia, coraggio e segretezza avevano reso possibile un tale colpo ma- gnifico; ma chi ne erano gli organizzatori? Chi gli esecutori? I primi furono Mons. Vicario Generale, il Maestro Don Vigolungo, la staffetta partigiana224 Guido Revello e la guardia-carceri Soldati; i secondi furono il Comandante della Matteotti Paolo 'BSJOFUUJ JM(VJEP3FWFMMPFBMUSJEVFDIFQJáOPOSJDPSEP5VUUPFSBTUBUPTUVEJBUP scrupolosamente, nei più piccoli dettagli e tutto andò com’era stato preveduto.

224 Staffetta partigiana: il compito della staffetta era quello di collegare le formazioni partigiane fra loro e con il centro direttivo. Tale ruolo impegnò maggiormente le donne che per le mansioni solitamente affidate loro a livello sociale o familiare potevano spostarsi più liberamente sia a piedi sia in bicicletta. Dovendo spesso recare messaggi o armi, il compito era assai rischioso; in caso di cattura la staffetta era torturata e deportata.

222 QUATTRO FUCILANDI E il lettore apprezzerà tanto più l’azio- ne e il coraggio di chi l’organizzò e la eseguì, quando saprà che lo scopo era di impedire una gravissima slealtà repubblicana e di sal- vare dalla fucilazione dei giovani che avevano diritto ad aver salva la vita. I quattro fucilandi salvati erano stati sorpresi 45 giorni innanzi colle armi alla mano oltre S. Rocco della Cherasca, a pochi chilo- metri da Alba e condannati a morte. L’Autorità Ecclesiastica e altre persone erano intervenute per impedire la fucilazione e s’era riusciti, me- diante lo scambio di ostaggi repubblicani, ad ottenere che l’esecuzione fosse sospesa e che Paolo Farinetti il Colonnello inoltrasse la domanda di grazia a Mussolini, da commutarsi col carcere225, e colla garanzia che sarebbe arrivata al capo della repubblica. Quanto a questi non sarebbe stato difficile fare pressioni con la certezza di ottenere quanto si voleva. La cosa era data come sicura. D ifatti s’attendeva di giorno in giorno la buona notizia, quand’ecco, dopo un mese e venti giorni, viene invece l’ordine di fucilazione. La notizia sconcertò tutti in città ed io mi recai subito a protestare presso il Col. Pieroni e a sentire com’erano le cose. E seppi che era stato il Gen. Mischi, capo dello S. M. dell’eser- cito repubblicano, che non ignorava lo scambio avvenuto come condizione della grazia, a dare il triste ordine, asserendo che non aveva creduto bene di inoltrare la domanda.

PROTESTA AL GEN. MISCHI A llora, a nome di tutta la popolazione scrissi al Mischi una severa lettera di protesta per la slealtà con cui si era proceduto e si procedeva. Una lettera di egual UFOPSFTDSJTTFSPQVSFJM$PNN1SFGFUU#JBODPFMPTUFTTP$PM1JFSPOJ'VBMMPSBDIF Mons. Gianolio, mio Vicario, comiciò a pensare che bisognava tentare la liberazio- ne dei poveri giovani, nella certezza che il Mischi non avrebbe deflesso226 dal suo sleale atteggiamento. E accordatosi col Vigolungo, col Revello e col Soldati e avuta da Paolo l’assicurazione che avrebbe attuato il colpo, lo preparò meticolosamente, studiandolo nei più minuti particolari. &SBWBNPBM'FCCSBJPFMBGVDJMB[JPOFGVEJOVPWPTPTQFTBNBBMMJOEPNB- ni arrivò l’ordine, e definitivo, della fucilazione.

225 Da commutarsi: da scambiare e sostituire con pena inferiore. 226 Deflesso: rinunciato, abbandonato la linea di condotta.

223 CIRCOSTANZE FAVOREVOLI Il Col. Pieroni doveva lasciare il comando in quel giorno per ritirarsi a casa e cederlo al Col. Palomba, ma non voleva lasciare il posto con un ultimo atto, la fucilazione, che sigillasse con un infame marchio di sangue fraterno la sua carriera; il Palomba, a sua volta, non voleva assolutamente fucilare i poveri giovani, per la slealtà dell’ordine in sé, perché nella Amilcare Mischi (1885-1970), giovane losca faccenda non c’era entrato e ufciale nella campagna di Libia, plurideco- non voleva iniziare il suo lavoro in rato nella prima guerra mondiale, nel 1927 Alba col versar sangue fraterno, tan- entra nella Milizia come console (grado to più che sarebbe parsa una vera equivalente a quello di colonnello). Dopo vendetta per la morte che i Partigia- attività di riorganizzazione della MVSN a ni avevano inflitta ad un suo figlio Forlì e Parma, partecipa alla riconquista di 19 anni, in un combattimento di della Libia e poi alla campagna d’Etiopia. pochi giorni innanzi a Nizza Mon- È comandante della Milizia confnaria con ferrato. sede a Torino fno al 1943, quando passa alla RSI e diviene capo di stato maggiore. Il I n città si bolliva di rabbia e il gen. Graziani lo incarica di “normalizzare” il Piemonte impegnandosi nella lotta anti- colpo che, a vero dire, doveva essere partigiana. Alla liberazione tenta il suicidio. effettuato già qualche giorno innan- Nel 1947 viene processato e condannato. Nel zi, fu subito deciso; il contrasto tra i 1950 viene scarcerato e riprende l’attività po- due Col. per non gravarsi del delitto litica nell’MSI. favorì la preparazione immediata, vigilata soprattutto da Mons. Vicario, che spesso o andava al comando repubbli- cano o vi telefonava con cento pretesti ma in realtà per sapere a puntino227 cosa si decideva dai due Colonnelli. La fucilazione decisa per il 4 mattina trovò la sera innanzi tutto pronto per l’azione liberatrice, che, grazie a Dio riuscì a meraviglia, ma che se non fosse riuscita avrebbe potuto avere delle conseguenze gravissime per gli attori e per chi l’aveva preparata.

A lla notizia fu una gioia vivissima, se pur celata228, per tutta la città, ma l’ombra funerea di una rappresaglia terribile gravava pesantemente sul cuore di ognuno. Mons. Vicario ed io ci mettemmo subito a contatto col Palomba, che aveva assunto il Comando, per impedire ogni repressione ed egli dimostrò subito buon senso e d’essere tutt’altro che un feroce ed un sanguinario e ci assicurò che egli non avrebbe fatto vendette. E il Mischi avrebbe taciuto?

227 A puntino: con esattezza, con precisione. 228 Se pur celata: seppure tenuta segreta, nascosta.

224 FUGA DALLA CASERMA Ma cinque giorni dopo avvenne un fatto così grave che si temette con cer- tezza dall’alto una bufera di furore repubblicano. Nella notte dell’11, verso la una, proprio nel cuore della notte, un gruppetto di Partigiani riuscì a penetrare nella grande caserma Govone di via Piave e ne uscì con 79 soldati, tutti dei gruppi che in principio di Gennaio erano stati forzati all’arruolamento e con questi uscirono anche altri soldati e sottuff., tutti del R. A. P. E ’ facile comprendere lo stato d’allarme del Comando; la notizia passò ap- pena fatto giorno in dominio pubblico, e dal Comando Sup. di Torino arrivò subito l’ordine di immediata ritorsione sulle famiglie, poiché i fuggitivi erano tutti dei dintorni di Alba. Le previsioni erano terribili, funeree. Mi portai subito con Mons. Vicario al Comando per tentare tutto il tentabile ad evitare ciò che tanto si temeva; il Colonnello prese bene il nostro interessamento e promise di non far ritorsioni se gli si restituissero almeno le armi asportate dalla caserma. Ci sentimmo sollevati e si provvide subito a mandare Sacerdoti e perfino due Suddiaconi229 ai vari gruppi Partigiani per tentare la restituzione domandata che ci garantiva da fucilazioni, incidenti e furti. Ma i Partigiani temporeggiavano. Intanto da Torino l’ordine di repressioni si ripeteva e diventava sempre più insistente e il Colonnello non si sentiva d’obbedire; la morte così vicina del figlio lo disponeva a sensi di mitezza e non di crudeltà; colle lacrime agli occhi l’aveva confessato a me. Intanto in uno di quei giorni il Cap. Carpinelli del Comando, parlando col Parroco di Vezza, ch’era corso per prevenire quanto potessero fare alla sua Parrocchia che aveva parecchi tra i fuggitivi, si lasciò scappare: «solo un intervento in alto del Vescovo può ancora salvare la situazione». Me lo riferì subito e allora combinai con Mons. Vicario di dire al Col. che sospendesse ancora ogni atto e che noi il domani saremmo andati personalmente a Torino all’Alto Commissariato che in seguito a una mia lettera conosceva bene la slealtà vergognosa con cui quei giovani erano stati tratti nell’e- sercito repubblicano, e che avremmo messo in moto ogni mezzo fino a Mussolini, pur di riuscire nell’intento. Il Colonnello ci pregò di non attendere più oltre, ma di agire subito, perché al mattino seguente, per forza, qualcuno avrebbe agito su vasta scala. Eravamo già verso sera. Che fare?

L’INTERESSAMENTO DEL VESCOVO Il Vicario partì subito per Torino in bicicletta, con la prospettiva di farsi circa 70 km. pedalando, in mezzo a molti probabili pericoli e io mi attaccai al telefono chiamando il Comando, poiché ogni altro telefono era bloccato, e domandai di poter comunicare subito con Torino, non solo, ma in qualunque ora della notte e con qualunque persona. L’ottenni e chiamai subito al telefono Sua Eminenza il

229 Suddiaconi: nella gerarchia cattolica, prima del Concilio Vaticano II, indica coloro che erano insigniti del primo degli ordini sacri maggiori (suddiacono – diacono – sacerdote).

225 $BSEJOBMF'PTTBUJ "SDJWEJ5PSJOP QSFHBOEPMPBJOUFSQPSSFJNNFEJBUBNFOUFMBTVB alta influenza affinchè l’Alto Commissario del Governo facesse sospendere ogni ordine di repressione fino a che non avesse ascoltato il mio inviato, Mons. Gia- nolio. Sua Eminenza mi promise di mandare senz’altro qualcuno al Commissario e combinammo un’altra telefonata di risposta per le ore 20,30. Mandò infatti il Can. Garneri che era il suo intermediario ufficiale con le autorità repubblicane e tedesche a narrare i fatti che avevo succintamente detti al telefono, assicurando l’arrivo del Vicario per il do- mani; ma per un piccolo equivoco sorto, alle 20,30 le conversazioni non erano ancora finite e c’intendemmo per un’altra telefonata per le 22. E’ facile immaginare il mio stato di inquietudine e di tanto in tanto mi infor- mavo al Comando se era giunto qualche ordine. Alle 22 ritelefono a Torino e mi risponde il segretario di Sua Emin. che la sospensione era stata ottenuta, avvisato il Comando e che s’attendeva per domani il mio Vicario. Deo gratias230! Non so dire la mia allegrezza e come la mia speranza diventasse più forte. Comunicai subito al Col. in persona quanto mi era stato detto a nome di Emilio Grazioli, prefetto Sua Eminenza e difatto al Comando qualche ordine era di Torino nell’ultima pervenuto. Intanto in piena notte Mons. Vicario peda- fase della guerra lava per Torino, ma giunto a Canale d’Alba era così buio e appariva sempre più così pericoloso l’inoltrarsi e l’entrare in Torino che giudicò prudente fermarvisi per ripartire il domani di buon’ora. Tanto a Torino non avrebbe potuto far nulla in piena notte né nelle prime ore del mattino. La conversazione per il domani era stata fissata, tramite il Cardinale, alle ore 15 al palazzo del Governo, davanti all’Alto Commissario per il Piemonte ch’era allora S. E. Grazioli, al posto di Zerbino divenuto Ministro, e non so quale altro grosso papavero231 della repubblica. Mons. Gianolio puntuale al convegno attaccò il suo dire facendo rilevare che quei giovani erano precisamente quelli che con volgare slealtà erano stati forzati al cosiddetto volontariato in Gennaio, pur essen- do in piena regola col servizio del lavoro, come doveva essere ben noto anche al Commissariato dalla mia lettera dell’8 Gennaio, ma soprattutto insisté nel dire che quei giovani avevano assistito a tali cose, a tali violenze, furti, scene di sadismo e di postribolo232 da diventare furibondi contro gli Ufficiali perpetratori di tali cri-

230 Deo Gratias!: formula latina che significa letteralmente “rendiamo grazie a Dio”. È un’esclamazione di sollievo per l’avverarsi di un fatto atteso. 231 Grosso papavero della repubblica: personaggio eminente, importante, che ha grande potere o ricopre un’alta carica o posizione nella repubblica di Salò. Si tratta di una espressione ironica. 232 Di postribolo: tipico di un bordello, luogo in cui si esercita la prostituzione.

226 mini che s’eran decisi a non più sopportare tali cose e a fuggire. E narrò tutte le prodezze del Gagliardi, del Rossi, dell’Orizio, del Limardo, del Balestra, ecc. contro donne, vecchi, giovani, ecc. Ma quando ebbe esposto tutte queste nefandità233 si sentì dire: – «eppure a noi risulta diversamente ». – Allora, in un impeto di sde- gno, per le relazioni evidentemente menzognere spedite a Torino, scattò in piedi e disse con forza: – «ebbene mandate una commissione onesta, seria ad Alba ad inquisire234 e se c’è una sola cosa falsa tra tutte quelle che ho narrate, ne vada pure di mezzo la mia testa, ne sono contento ». N e furono colpiti e presero allora il nome degli Ufficiali responsabili dei crimini da lui narrati. E fu sospesa ogni vendetta e non se ne parlò più, con quale sollievo di tutti e particolarmente mia, è facile immaginare.

Comandanti partigiani e delegati del CLN. Da destra: Ernesto Portonero, Italo Nicoletto (“Andreis”), Marco Fiorina (“Kin”), Giovanni Latilla (“Nanni”); al centro da sinistra: Mario Dellalonga (“Gianni”), Eugen Stipcevic (“Genio”)

233 Nefandità: nefandezze, atrocità. 234 Ad inquisire: ad indagare; sottoporre a indagine allo scopo di provare o escludere responsabilità o colpa rispetto ad una persona e al suo operato, in questo caso con riferimento al Vescovo. È detto soprattutto con intonazione polemica o con riferimento a ricerche minuziose su fatti e comportamenti per dimostrare in ogni modo la colpa dell’inquisito, più che a serie indagini di carattere giudiziario o conoscitivo.

227 23 - I fascisti fra violenze e disordine

Febbraio- marzo 1945, Alba. Cresce l’agitazione e il di- sordine all’interno dei Comandi repubblicani che tenta- no, intensificando gli atti di violenza, di mantenere il controllo della situazione: viene ordinato lo sgombero degli alloggi dei Superiori del Seminario Minore; circa 500 giovani, fra i quali alcuni chierici e sacerdoti, ven- gono prelevati dai fascisti. In quei giorni il Gagliardi è promosso maggiore e comandante del Presidio.

LO SFRATTO DAL SEMINARIO I n Marzo l’inquietudine andò ogni giorno aumentando; non passava notte che non ci fossero delle sparatorie e anche dei colpi di cannone e di mortaio, e lo stato d’animosità235 dei civili, dei Partigiani e anche dei repubblicani andavano intensificandosi; solo al Comando pareva non capissero che le cose si andavano facendo serie e credevano di dominare ancor sempre con atti di violenza. I l 16 Marzo un altro fatto veniva ad accrescere il disorientamento e a dimo- strare il nervosismo della repubblica e la prepotenza dei soliti Ufficiali. Da quando era stato occupato il Seminario Min., per convenzione col Col. Pieroni e nell’in- teresse del Seminario, l’alloggio del Direttore e dei Professori era stato rispettato e così non mancava un controllo alla manutenzione del Seminario, che guai fosse mancato!... forse neppure i muri si sarebbero salvati dalla sregolatezza e dalla in- disciplina delle truppe. E sa il Can. Demaria, che ne è il Direttore, quanto sangue cattivo dovette farsi e quanto amaro mandar giù.

Quel giorno arrivò l’ordine che i reparti non avrebbero dovuto più avere con- tatto d’abitazione coi borghesi e perciò i Superiori del Seminario Minore dovevano uscire dalle loro camere. E con una delicatezza pari alla loro educazione il Gagliardi e il Rossi alle ore 21 intimarono al Can. Demaria di far sgombrare tutte le camere per le ore 7 del mattino dopo; cioè sgombrare di notte, in poche ore, 10 appena, 12 camere piene di mobili e di libri di Prof. quasi tutti assenti, e un salone colmo di materiale didattico e con qualche collezione di valore. Ma dopo aver parlato col Colonnello Palomba, egli ricevette invece l’ordine di non toccar nulla e attendere fino alla mattina; il Col. per parte sua diede subito ordine che non fosse toccato nulla avvertendo che concedeva 48 ore di tempo per lo sgombero. Ma prima del- le12, nonostante l’ordine ricevuto, gli Ufficiali del Gagliardi avevano già occupate le camere buttando alla rinfusa, nel corridoio vicino, libri, abiti, ecc. dei Professori

235 Animosità: ardimento, coraggio.

228 del Seminario. Il Vicario Gen. protestò allora col Magg. Bonatelli, che era stato incaricato dal Col. della cosa, ma non ottenne nulla perché anche il Bonatelli non sapeva imporsi a quella gente. Nel pomeriggio allora andai io dal Col. e, dopo aver protestato per il modo villano usato coi Superiori, esigei che il Magg. Bonatelli an- dasse al Minore con Mons. Vicario e là facesse sgombrare il corridoio del I piano coi due saloni e tre camere del II piano per riporvi con ordine libri e robe dei Su- periori, il mobilio e le collezioni. E così fu fatto; ma purtroppo anche quest’ordine poco per volta fu poi violato.

I ntanto mentre i Professori s’allogavano alla meglio nel Seminario Maggiore, il Col. Palomba, il Magg. Bonatelli, il Cap. Carpinelli, il Ten. Tronconi cercavano alloggio presso privati dove fossero più sicuri nella notte e naturalmente andarono a cercarlo presso S. M. Chiesa236, cioè dall’arciprete della Cattedrale … Cose un pochino da operetta. Certamente aveva ragione il Col. Palomba nel dire «che vuo- le? siamo in pieno sfacelo». Ed era vero; il terrore dei Partigiani aumentava ogni di più il disordine repubblicano; i comandi funzionavano a rovescio dal sotto in su, ognun comandava e tutti s’infischiavano dei Superiori e degli inferiori. Mai una lezione ben data, omertà, intrighi, ricatti taciti e palesi, coprire le malefatte, porre in tacere, farsela gli uni con gli altri, quest’era il vivere dell’esercito repubblicano in quel tempo. Un esempio buffo e tipico, avvenuto pochi giorni dopo la battaglia di Alba, credo il 7 Novembre.

Quel giorno erano tornati ad Alba, per la divisione della preda di guerra, anche questa una delle belle trovate repubblicane imparate dai tedeschi, il Coman- dante Ing. Tealdy di Torino, il Dott. Ronza comandante le Brigate nere di Cuneo e altri. Il Presidio era comandato allora dal Magg. Ghisolfi, delle B. N., molto noto in Alba per le sua modesta carriera borghese e salito a tal grado colla fretta solita nel fascismo; in fondo però era un brav’uomo e, non so come, aveva avuto qualche parola da dire col Tealdy. Nel pomeriggio, una signora di Alba, la Dott. Silvano, che dimostrò sempre molto interessamento e operosità per il bene della cittadinanza stava trattando col Ronza e col Ghisolfi di non so quale questione, relativa a questa, in una sala del Municipio, quando entrò un semplice milite delle B. N., ostentò un largo saluto accompagnato da un fragoroso batter di tacchi e senz’altro dice: «il comandante Tealdy manda a dire che se ne fr… del Comandan- te di Presidio». Altro saluto, dietro front e via!... Silenzio dei due. Ogni commento guasterebbe.

236 S.M. Chiesa: sta per “Santa Madre Chiesa” usato qui in senso un po’ ironico, per se- gnalare che nonostante l’atteggiamento arrogante anche i fascisti in caso di bisogno ricorrevano all’aiuto degli uomini di chiesa.

229 UNA BURLA AL GAGLIARDI D ebbo tornare indietro di qualche giorno . Il 21 Marzo, i Partigiani fecero una burla al Gagliardi, gli involarono237 l’amante, una donna sposata. Non era la prima e l’unica purtroppo! La cosa lo fece andare su tutte le furie. A mezzodì il marito era venuto da me supplichevole perché la salvassi; il pover’uomo era impossibile igno- rasse la tresca, dimostrava tuttavia un affetto profondo per chi non lo meritava e lo rendeva la favola della città. Alle quattordici, il Gagliardi che aveva, tra le 12 e le 13, telefonato ripetutamente ma invano in Curia, che trovasi al piano terreno dell’Epi- scopio, lontano dalla parte abitata di questo, mandò un sergente e un caporale in Vescovado a dire che voleva assolutamente parlare col Vescovo, ma i due ebbero risposta da una finestra del I piano da una delle persone addette alla casa e ne venne fuori un po’ di battibecco nel quale il caporale non risparmiò nomi poco cavallereschi al Vescovo, ma furono rinviati insoddisfatti. Intanto il Gagliardi continuava a tem- pestare al telefono mentre io ero in giardino che recitavo il breviario; ma verso le 15 stavo rientrando in palazzo per le solite udienze, quando udendo sempre il telefono a chiamare con insistenza e pensando che gli Uff. di Curia non fossero ancora en- trati, andai io stesso a rispondere. Il tono concitato di chi parlava era di chi trattasse con un povero subalterno, ma quando sentì che invece all’ascolto c’era il Vescovo cambiò il tono, tuttavia si capiva la rabbia e il dispetto di chi telefonava. Insomma il Gagliardi voleva che mandassi dal Comandante Poli, che egli riteneva l’autore della beffa, qualcuno ad intimargli che se entro le ore 24 la donna non era restituita, egli avrebbe fucilati 6 Partigiani che aveva nelle mani e avrebbe fatto arrestare quelli che egli riteneva i membri del segreto Comitato di Liberazione Nazionale di Alba. N on mi commossero le sue smargiassate238 che avrebbero avuto una faci- lissima pericolosa ritorsione per i suoi da parte dei Partigiani e gli dissi che avrei provveduto a mandare qualcuno a compiere la Missione, riferendo a quelli la frase di poco prima dello stesso Gagliardi che «i Partigiani lasciassero in pace i repub- blicani, i quali se ne stavano tranquilli (sic) in attesa degli eventi bellici (sic)». E tanto per accentuare la sua ferrea volontà mi ammonì che non si cercasse d’im- pedire la fucilazione di chi aveva detto, nel caso non fosse ascoltato, perché egli l’avrebbe fatto anche scavalcando il Comandante di Presidio, il Colonnello.

VANE SPERANZE L a donna che era stata prelevata, con un abile trucco nel quale era caduta, e in questo la squadra di Paolo aveva dimostrato più volte d’essere assai abile, fu poi rilasciata dopo qualche giorno presente Mons. Vicario, alla condizione che se ne andasse dalla città e con un utile scambio di Partigiani. Al Col. Palomba feci sapere propositi e parole del suo Cap. Gagliardi, il che giustamente lo fece montare

237 Involarono: dal verbo involare, togliere, portare via di nascosto; celare, nascondere. 238 Smargiassate: boriosa vantazione o esibizione di forza o di capacità.

230 in furia, asserendo ripetutamente che se ne sarebbe presto liberato. Questa era infatti la speranza di tutta la città e anche di moltissimi repubblicani, stomacati dalla condotta iniqua e scorretta del Capitano, ma pur- troppo il Palomba a poca distanza doveva invece essere rimandato e il Gagliardi promosso Maggiore e Comandante del presidio. E da allora le cose sono andate man mano peggiorando, a testimonianza comune. In sul finire Ferdinando Gioelli, di Marzo, un distinto professionista, il Comm. Dott. componente del CLN di Alba T. Gioelli mi narrava che avendo visto con terrore in un pomeriggio alcuni soldati con un Ufficiale a scagliare una bomba all’inizio di via Vernazza e avendo avvistato subito dopo il Col. Palomba gli si avvicinò per fargli notare la pericolosa azione commessa; costui s’affrettò a raggiungere il Ten. e gli diede una solenne romanzina239 che questi sorbì in silenzio, ma appena fu di nuovo coi soldati scoppiò con essi in una solenne sghignazzata. Segni dei tempi e dello spirito militare repubblicano.

LE BANDE NERE I l giovedì di Passione, 22 Marzo fu una giornata terribile e simile solo al 2 No- vembre per la angoscia provata. Dopo una notte che fu di insonnia per tutti a causa di nutrite sparatorie, alle 8,30 il Cap. Rossi, il satana del Comando, una figura anche fisicamente di delinquente, entra in Seminario con una buona scorta di soldati dicendo di dover procedere ad una requisizione, che si riduce a nulla perché egli se ne va presto e l’altro Ufficiale incaricato, ad un certo punto si stanca di girare e se ne va anch’egli dicendo : – «ma qui è troppo grande e ci va un giorno intero». Che cosa erano venuti a fare? Non lo si capiva; ma non tardarono a tornare con l’ordine di condurre tutti i chierici al Convitto civico, senza dire per quale motivo. Incolonnatili, li fecero passare non per la via più breve, ma fecero loro fare un lungo giro da via Govone a via Paruzza per la via principale e piazza del Duomo, dietro a cui si trova il Convitto, con un percorso almeno 7 volte più lungo del necessario. Ad un punto s’ingiunse loro di cantare l’inno fascista «Giovinezza», ma fieramente nessuno aprì bocca. Quel mattino le vie erano deserte, perché vietata la circolazione, ma dietro le persiane mille occhi spiavano e trepidavano, fantasticando chi sa quali nere cose. Perché questa ingiustificata parata? Intanto altri del R. A. P. erano andati a prendere anche i Chierici e i Discepoli e alcuni Sacerdoti della Pia S. S. Paolo, che arrivarono pure incolonnati e al passo. Passando per via Vittorio E., la principale, incontrarono il nuovo Comandante del Presidio, il Maggiore Gagliardi,

239 Romanzina: variante popolare per ‘ramanzina’; lungo rimprovero espresso con tono severo e moraleggiante.

231 promosso a tale grado e messo al detto Comando solo il giorno prima al posto del Col. Palomba, che era dimesso. Passandogli davanti, il Cap. Rossi promosso a tal grado anche lui il dì innanzi, gli dice forte «ecco le bande nere»; al che egli risponde: – «le manderemo sul Po»; ma subito dalle file pronta e forte la risposta: – «staremo a vede- re». – Una sfuriata del Gagliardi e l’ordine immediato di far loro fare l’istruzione militare, appena giunti nel cortile del Convitto al comando di un Tenente e colla guida di qualche soldato. Ma prima dei Chierici e dei Paolini era già stata rastrellata una massa di giovani presi in tutti i modi, a casa, in letto, per le scale, nascosti nelle cantine. Di tutto quanto si faceva coi Chierici e coi Paolini nessun preavviso era stato dato al Vescovo; appena lo seppi mandai una protesta e fu risposto che si trattava solo di rivedere i documenti d’i- dentità e di passare una visita medica. Com’era possibile passare una visita medica a circa 500 persone in una giornata? Evidentemente c’era sotto qualche altro scopo; si voleva – io penso – deportare senza averne l’aria. Di- Uno dei manifesti di propaganda della RSI fatti seppi qualche giorno dopo che la visita medica era stata una curiosa e sciocca invenzione del Ten. Balestra, ma la realtà era quale l’avevo pensata e in oltre si voleva almeno una volta umiliare e spaventare l’Autorità ecclesiastica. I Chierici furono sempre assistiti dal Rettore, dal Vi- cerettore, dal Direttore spirituale che si alternavano; i Paolini da Sacerdoti loro confratelli. 'VSPOPUSBUUFOVUJUVUUJmOPBMMFPSFTFO[BOFQQVSVOPODJBEJDJCPBOFTTVOP NBGV provveduto dal Seminario e da S. Paolo e verso quell’ora alle reiterate proteste finirono di accontentarsi di un elenco di tutti i Chierici e di tutti i Paolini firmato da me e li lascia- rono liberi senza visite di sorta. Così di buona parte dei giovani, di cui un bel numero durante il giorno era già riuscito con gravi pericoli a scappare, perfino con corse sui tetti e attraverso al vicino cortile e al giardino del Vescovado, ma una ventina furono tratte- nuti e spediti a vari reparti militari. Nella sera, senza alcun motivo, dei soldati spararono DPOUSPMBDBTBEFMMF'JHMJFEJ41BPMP GPSUVOBUBNFOUFTFO[BGBSWJUUJNF

DAL COL. RUTA All’indomani mi recai col Vicario Generale dal Col. Ruta, comandante del Regg. R. A. P. cui apparteneva questo II Batt. di stanza in Alba, presente ancora il Col. Colomba, che pur essendo in Alba da pochi giorni conosceva già vita virtù e miracoli degli Ufficiali del Comando di Presidio e confermava quanto andavamo man mano dicendo; gli narrammo per filo e per segno tutte le atrocità, i furti, le violenze, gli incendi, i crimini commessi, scendendo a minuti particolari ed egli pareva cadesse dalle nuvole, asserendo di ignorare tutto ciò e quando ebbi detto tutto, mi congedai con queste precise parole: «voi dite di fare la guerra ai Parti- giani, ma in realtà la fate a noi civili, perché dopo aver attaccato i Patrioti e aver

232 concluso sempre poco o nulla contro di essi, vi voltate sempre a colpire noi inermi, e tra noi, inermi, ci sono poi i morti, i feriti, i depredati, i violentati, i privati coll’in- cendio delle loro case; e questo non è fare una guerra leale, questo è delinquenza». Ma tanto io come Mons. Vicario avemmo l’impressione che quell’uomo non fosse sincero e che non potesse o non volesse far nulla. Quest’uomo, colla caramella, elegante era venuto in Alba a premiare «della sua fede e del suo valore» il Gagliardi, promovendolo Maggiore e Comandante del Presidio in sostituzione del Col. Palomba che se ne andava. Di conseguenza anche il Rossi, il satana del Gagliardi, era promosso Capitano, e con questi avevano la promozione anche altri. Era la risposta che la repubblica dava al pianto di tante famiglie, alle reiterate esposizioni dei crimini che si commettevano, fatte da me e da Mons. Vicario e anche da altri degni cittadini, era, alla fine, un far precipitare gli eventi verso il baratro, che si intravedeva non lontano. La indignazione della città per queste promozioni fu enorme e negli ambienti partigiani rinfocolò più tenaci propositi di guerra. Anche tutto questo avevamo fatto notare al Ruta con chiarezza e con forza, ma non c’è peggior sordo che chi non vuole sentire.

L’ATTACCO ALLA CAVALLERIA Quattro giorni dopo il reparto Cavalleria del R. A. P., in perlustrazione sulle colline fu attaccato dai Partigiani sopra Villa Gavuzzi ed ebbe quattro feriti; in quel giorno si diè per certo che erano fuggiti altri soldati e parecchi Uff. e Sottuff. La conseguenza fu che la domenica successiva, per pura vendetta, il Rossi guidò una forte pattuglia dei suoi a incendiare parecchie ville e case sulla collina d’Altavilla che sta ad oriente della città, con relativi furti, col pretesto che i Partigiani avevano sparato da quei luoghi.

CAMBIO DELLA GUARDIA L e disavventure del Palomba, la fuga dalle prigioni, quella dalla caserma, l’attacco ai cavalieri, parecchie altre fughe parziali di soldati e Ufficiali, i suoi rap- porti tesi con il Gagliardi e il Rossi, il cui sistema egli apertamente non approvava, l’appoggio che costoro avevano in alto aumentarono talmente la difficoltà attorno a lui che se ne dovette andare. E spiacque, perché dal momento che si doveva su- bire un comando repubblicano era meglio subirlo ancora per qualche tempo con un uomo onesto, com’era apparso già il Palomba a Cherasco per qualche mese e come appariva ora, che dover capitare in chi sa quali mani. E ci capitò assai peggio perché a lui subentrò addirittura, come già dissi, il Gagliardi, promosso Maggiore con al fianco il suo satana, il Rossi promosso Capitano. Lealtà vuole però che si dica che il Gagliardi, dal momento che ebbe la responsa- bilità del comando, non diede più tanti segni di ferocia, ma di un po’ di calma e ragio- nevolezza che nessuno sospettava. Avevano fatto presa le proteste mie, pervenutegli attraverso il Col. Ruta? O era nato in lui, all’improvviso il senso di responsabilità?

233 24 - Il rastrellamento di Pasqua

Tristissima è per la città di Alba la Pasqua del ’45: ad un’e- splosione verificatasi nel Seminario minore ormai intera- mente occupato dai repubblicani, segue un rastrellamento, centinaia gli ostaggi; arresti e minacce proseguono nei due giorni successivi. Aumentano disordine e indisciplina.

LA BOMBA AL SEMINARIO E d eccoci al 31 Marzo, vigilia di Pasqua. Nella notte verso le 2, fu udita una esplosione come mai prima era stata udita; il vecchio palazzo vescovile, così so- lido e massiccio ne fu tutto scosso. Era stata messa una bomba ad alto esplosivo sul secondo pianerottolo dello scalone del Seminario minore, tutto occupato dal II Batt. Arditi del R. A. P. Parte del muro fu ridotto in frantumi, come andarono in frantumi e schegge inferriate, ringhiere, vetri, porte, finestre, avvolgibili dello sca- lone, della Cappella e dei due piani superiori. Danni gravissimi, nessuna vittima, pochi e leggeri i feriti. Chi aveva posto la bomba? I Partigiani? Ma come mai avevano potuto tranquillamente entrare in casa dei repubblicani? Certamente non era l’audacia la più spinta che facesse loro difetto, ma corse invece subito la voce che la bomba fosse stata messa da un Tenente, da due sergenti e da alcuni soldati repubblicani, che nella notte stessa erano fuggiti per raggiungere i Patrioti. Com’era da prevedere, nello stesso giorno s’iniziò un rastrel- lamento in ogni angolo della città, lo si continuò nella mattinata di Pasqua e furono portati alle carceri del Seminario minore 200 tra uomini e giovani. Io e Mons. Vicario supplicammo fin dal mattino per la liberazione di tanti ostaggi, ma solo la sera di Pasqua furono rilasciati in buona parte, gli altri ne uscirono poi poco per volta.

PASQUA TRISTISSIMA Tristissima Pasqua fu quella! Eppure le chiese furono egualmente affollate, ma al Vespro in Duomo pur essendovi molta gente s’accorgeva che mancavano NPMUJVPNJOJFHJPWBOJ DIFFSBOPPJODBSDFSFPUBQQBUJJODBTBQFSUJNPSF'JOJUPJM canto del Vespro tenni la solita omelia, quando verso la metà di essa si sentì sulla piazza del Duomo il fracasso di un carro armato e una nutrita sparatoria che si seppe poi provenire parte da Porta Cherasca e parte dal vicino Convitto civico che era pure occupato dalle truppe repubblicane. 'VVOBEPOOBBHFUUBSFMBMMBSNFJO$BUUFESBMFFMJORVJFUVEJOF DIFEJJN- provviso scolorì il volto di tutti, si mutò in spavento. La donna aveva detto forte: – «ci sono i Partigiani»; – bastò; chi fuggiva, chi piangeva, chi dimostrava terrore

234 pur non movendosi, né subito valsero le mie parole a calmare gli spiriti, ma grazie a Dio, fucilate e fracasso durarono pochi secondi e tutto tornò calmo. I fuggitivi rientrarono quasi tutti e potei terminare la omelia in pace. L’indomani, lunedì di Pasqua, che il Piemonte usa trascorrere in allegre TDBNQBHOBUF GVHJPSOBUBCFOUSJTUFQFSBMUSJSBTUSFMMBNFOUJ'VSPOPJNQSJHJPOBUF persone notissime in città e degnissime, innocenti nel modo più assoluto e anche minacciate di fucilazione, tra cui l’On. Avv. Bubbio e suo figlio Dott. Costanzo.

FARSA TRAGICA N é doveva ancora bastare. Ad accrescere il terrore, al martedì si seppe che nella notte tutto il posto di blocco di Porta Tanaro era fuggito coi Partigiani e che una giovane aveva avvelenato il Ten. Rossi. La voce era sicura, poiché il Rossi, benché non grave, era tuttavia stato ricoverato d’urgenza nella Casa di Cura di via Giraudi. Si temette allora lo scatenarsi di una vera furia sanguinaria, perché il Rossi costituiva col Gagliardi il binomio che decretava e preparava tutte le torture che venivano inflitte alla povera città e a tutto l’Albese. I nvece era tutto una farsa tragica. Una giovane dei dintorni di Alba faceva la spola tra Partigiani e repubblicani, con quale animo non era chiaro; la cosa finì col mettere qualche forte sospetto nei Patrioti che un giorno, fermata la giovane, ne misero alla prova la fedeltà verso di loro. Le sequestrarono padre e madre e quando la figliuola corse per liberarli, si sentì dire che il prezzo era l’avvelenamento del Cap. Rossi o del Magg. Gagliardi. La ragazza acconsentì e preso il veleno conse- gnatole in una bottiglia di vino va al Rossi. Ma a costui essa narra le cose come stanno e conviene col Rossi di fingere l’avvelenamento e così avere i genitori liberi; per l’avvenire si sarebbe aggiustata. Il Rossi finge, viene portato alla Casa di cura e la ragazza corre per avere liberi padre e madre. Ma i Partigiani attendono l’esito del veleno e sanno, come tutta Alba, che la mattina del domani il Rossi, fresco come una rosa, se ne gira già per la città. La conclusione fu che la ragazza fu fucilata. I n quei giorni, dal nervosismo dei giornali fascisti, da ciò che trapelava at- traverso le righe dei giornali e dei comunicati si sentiva che le cose dovevano precipitare. Il disordine aumentava come aumentava la indisciplina. Ciò che rimaneva immutato era il tono di prepotenza dei repubblicani e il tono gaudente della loro vita e la loro scostumatezza. Ho calcolato io stesso sul registro di cassa del Bar della I Comp. II Batt. Arditi R. A. P. che occupava il Semi- nario Minore, e aveva dai 150 ai 200 uomini, che dal I Gennaio 1945 al 26 Aprile 1945 furono spese fuori pasto lire 487.459,00 in paste dolci, torroni, liquori, e vini prelibati, il che vuol dire lire 4200 in media ogni giorno, senza contare la pastic- ceria che si fabbricava in cucina per le mense militari. E in città non si vedeva più lo zucchero, scarsissimo era il burro e a prezzi elevatissimi e il latte era diventato irreperibile anche per i bimbi e gli ammalati.

235 25 - Verso la liberazione

Non si arrestano le crudeltà repubblicane: un giovane diciannovenne, attendente del Gagliardi, accusato di aver sottratto del denaro, viene fucilato dopo orribili torture. Il 15 aprile è una difficile giornata: i partigiani intendono occupare Alba, si combatte dalle prime ore del mattino fino a sera. I giorni trascorrano concitati fra delazioni, equivoci, arresti e mancati processi.

SINTOMI U n giorno, sentore che le cose volgevano al termine lo ebbi il giovedì, 5 Apri- le, nel quale il Prefetto, per mezzo del Comm. Pref., mi pregò di recarmi l’indomani a Bra col medesimo, per cose urgenti. Non mi sentivo affatto bene e risposi che avrei fatto il possibile per andarvi di persona, ma alla peggio avrei inviato il mio Vicario Generale. Quale lo scopo della chiamata? Mi fu impossibile trovare un calessino per percorrere i 15 Km e vi andò in bicicletta Mons. Vicario col Comm. Pref. Là il Prefetto fu irreperibile; si telefonò a Cuneo e non se n’ebbe nessuna risposta, ma l’indomani fu dalla Prefettura telefonato ad Alba che il giorno innanzi era stato mandato un auto a prendere il Vescovo e il Commissario a Bra, per portarli a Cuneo. Nella cittadina però nessuno aveva visto la macchina. Che pasticcio era stato questo? Che cosa voleva il Prefetto? Si sospettava qualcosa, ma seppi poi la verità il sabato, 14 Aprile; la repubblica aveva intenzione di lasciare Alba, ma si voleva prima che il Vescovo e il Commissario iniziassero trattative coi Partigiani perché non la occupassero e Alba fosse dalle due parti considerata come città libera e a sé. Si seppe anche che da Cu- neo avevano paura a venire ad Alba, essendovi troppi Partigiani sul percorso, ma ad un secondo invito di recarci a Cuneo, il Comm. Bianco rispose che se dalla Prefettura volevano parlarci venissero essi da noi.

UNA FUCILAZIONE I n quei giorni un’altra delle solite crudeltà repubblicane fece inorridire tutta la città. Il Gagliardi aveva come attendente un giovane di 19 anni, certo Lorenzo Belli che non si distaccava mai da lui, assieme ad un altro soldato, sì da sembrare la sua ombra. Il Gagliardi scopre che gli mancano 108.000 lire, forse furto delle facili e frequenti razzie che fruttavano largamente e il cui provento era diviso tra tutti. Il Belli, preso in sospetto, confessa di averle prese ma non vuole restituirle OÏEJSFDIFOFBCCJBGBUUP'VQFSDPTTPBTBOHVF HMJGVSPOPMFHBUJJQJFEJBMMFNBOJ posteriormente, messo ventre a terra e torturato con ferri roventi, poi fu legato e lasciato per tre giorni ad un palo, continuandogli le torture; gli fu cavato un occhio

236 e bruciato l’orbita con ferro rovente, messogliene un altro in bocca e quando fu ridotto in fin di vita condannato alla fucilazione, che fu preceduta da un manifesto del Gagliardi che ne annunciava l’esecuzione perché servisse di monito del come la repubblica trattava i ladri, ecc… e la gente commentava: «finché rubò agli altri FCCFQSFNJFQBDF PSBDIFIBSVCBUPBMTVPQBESPOFWJFOUPSUVSBUPFGVDJMBUPx'V portato alla fucilazione legato su una sedia, coperto testa e petto da un enorme cappuccio perché non si vedesse l’orrendo stato a cui era ridotto e fu assistito pietosamente da un sacerdote di S. Paolo. I soldati stessi parlavano di questo fatto con indignazione.

LA PROVA GENERALE Gli avvenimenti però precipitavano anche per Alba e tra timori e speranze si arrivò alla terribile giornata del 15 Aprile, domenica; fu una giornata d’inferno. Alle 5,15 del mattino fu tolta la corrente elettrica a tutta la città per opera della Brigata «Matteotti» e cominciarono nutriti colpi di mitraglia e di mortai, che andavano intensificandosi con una insistenza che faceva presagire brutte cose. I Partigiani volevano occupare Alba, ma si disse poi anche che il Comando Alleato avesse ordinato una tale azione per mettere alla prova la loro preparazione tecnica e il loro coraggio. Alle 6 un gruppo di Patrioti, sfondata a bombe la porta dell’Oratorio maschile annesso al Seminario, che dà in corso M. Coppino, penetrarono nel giardi- no del Vescovado e nel Seminario stesso. Erano guidati da Partigiani della città, che fino a poco tempo prima fre- quentavano l’Oratorio e che DPOPTDFWBOP JM 7FTDPWBEP 'V facile penetrare al piano terre- no di questo, di dove volevano sorprendere il vicino posto di blocco di Porta Cherasca, ma alle buone ragioni addotte da me sulla inutilità e sui pericoli di tale azione si ritirarono, an- dando a raggiungere i compa- Alba – porta Cherasca gni che del Seminario avevano già occupato tutto il lato di vi- colo Vescovado, prospiciente tutto il lato interno e il cortile del Convitto civico, uno dei tre edifici occupati dalle truppe repubblicane assieme alla caserma Govone e al Seminario Minore. La battaglia ebbe così due epicentri principali nei due Seminari e un terzo, minore, nella caserma nella quale stavano pochi soldati. I Partigiani erano pieni di ardore, convinti di occupare la città e dicevano d’essere in 700 pronti a tutto. Il loro Comando si era insediato nell’atrio della chiesa di S. Paolo e la battaglia fu

237 dura e nutrita; le truppe repubblicane non desistettero di sparare coi mitragliatori, coi mortai; spostandoli perfino in qualche cortile di via Vida mentre nei pressi della Piana dei Biglini sparavano parecchi cannoni chiamati da Bra in aiuto alla repubblica. Vi furono dei quarti d’ora in cui il fuoco era così nutrito e incrociato e i colpi così pesanti da far tremare i grossi muri del Vescovado sì da dare l’impressione che tutto dovesse crollare. Il Seminario è annesso al Vescovado e da quello, verso le 8 essen- domi io recato tra i Chierici per vedere se non fosse loro occorsa nessuna disgrazia, un gruppo di Partigiani penetrò al piano nobile del Vescovado, lo invase tutto per andare a sparare sul vicino posto di blocco della Cherasca e qualche colpo fu sparato perfino dalla Cappella, di dove il posto di blocco era ben visibile e distante appena un 200 m. in linea d’aria, ma alle mie proteste di non contaminare quel luogo santo finirono per ascoltarmi e tornarono al Seminario, dove la lotta continuò fino verso le ore15, ore in cui si ritirarono da esso; ma per le vie della città e dalle colline la lotta continuò intensa fino verso le ore 18,30 e i repubblicani continuarono a sparare con irritazione per più di mezz’ora coi cannoni e coi mortai, mirando soprattutto con questi al Seminario e al Vescovado, oggetti della loro cieca rabbia.

MISSIONE DA COMPIERE A lle 18 il Magg. Gagliardi mandò da me una pattuglia, guidata dal Ten. Mol- trer, il quale dopo appena mezz’ora doveva morire sulla piazza Rossetti, colpito per errore da una bomba repubblicana e spirando nella battaglia accesasi colà improvvi- samente, assistito dal mio Segretario D. Balocco, il quale restò illeso per un grande miracolo tra morti e feriti. Il Moltrer per entrare in Vescovado si presentò al portone principale che dà al cortile sempre aperto che precede il palazzo; quel giorno però era stato chiuso per prudenza. Non riuscendo a farsi sentire, i suoi uomini tentarono sfondarlo con bombe a mano, ma il vecchio e robustissimo portone non cedette pur restando leso gravemente in sei punti diversi. Allora il Moltrer pensò passare dal Seminario, ormai del tutto evacuato dai Partigiani, ma non riuscendo neppure di là a farsi sentire, perché i campanelli elettrici non funzionavano per mancanza di corrente elettrica, scassò con delle baionette la porta che dal Seminario dava accesso al palaz- zo e me lo vidi improvvisamente davanti, fattosi accompagnare da un Sacerdote per dirmi rispettosamente che il Gagliardi mi pregava di mandargli il Can. Demaria e due altri Sacerdoti. Temetti un’ insidia e volli sapere il perché di tale richiesta. Mi disse che non temessi nulla, si trattava di qualche missione da compiere e che restava lui garante per loro, ma che doveva essere cosa molto seria, pur non potendo precisare di che si trattasse. Il suo accento era educato, sincero e il Moltrer aveva fama di esse- re un buon giovane; gli credetti e mandai il Can. Demaria, Don Mario Mignone e D. Balocco, mio Segretario. Trovarono il Gagliardi sconvolto e molto abbattuto, come tutti gli altri Ufficiali e soldati; egli voleva che anzitutto i tre Sacerdoti andassero in città, sempre ancora sotto il tiro partigiano e dei lontani cannoni repubblicani, a

238 cercare dei pezzi di una radio trasmittente che egli aveva dato ad aggiustare qualche giorno innanzi ad un elettrotecnico, e poi che due di essi partissero verso il luogo, non ben precisato, dove erano postati i cannoni, dei quali si sapeva solo ch’erano tra il Mussotto e S. Vittoria, e avvertirli che cessassero il fuoco. I pezzi della radio furono trovati e riportati, ma, avvertire l’artiglieria non era cosa facile, sia per il fuoco che continuava saltuariamente dalle colline, sia per i cannoni che non tacevano ma anche perché era impresa disperata trovare chi traghettasse all’altra riva del Tanaro. Pure il Can. Demaria e don Mignone andarono e la Provvidenza li aiutò visibilmente. Trovarono subito una barchetta che sul margine pareva li attendesse, più in là videro un uomo tutto solo che gironzolava come se cercasse qualcosa, incurante d’ogni pericolo e che si prestò volentieri a fare da barcaiolo, cosa che diceva non aver mai fatta, e più in là trovarono un lungo palo, che sarebbe servito ottimamente a regolare la barchetta che i due Sacerdoti avrebbero fatta avanzare col tiro della fune di ferro che univa le due sponde. E così col rischio di morire presi nel fuoco di una battaglia o di essere travolti dal Tanaro riuscirono ad arrivare dall’altra sponda incolumi, a cercare l’artiglieria che si trovava verso i Biglini. Ma quando arrivarono colà i cannoni avevano cessato da poco di tuonare e i soldati marciavano già verso Bra; i mortai repubblicani della città spararono ancora qualche colpo, cessarono anche i mortai partigiani dalle colline e alle ore 20 la città parve sepolta in un silenzio di morte.

Piana Biglini

PERDITE UMANE Quale sia stata la vera entità delle perdite di vite umane tra i combattenti non si potè conoscere con certezza. I Partigiani diedero quattro morti dei loro e pochi feriti; i repubblicani ebbero 8 morti più un Ufficiale fucilato da loro stessi, 10 feriti gravi all’Ospedale, tutti soldati, mentre gli Ufficiali feriti furono curati nelle loro unità. I feriti leggeri furono moltissimi, la repubblica ebbe anche prelevati dai Partigiani 60 uomini, tutti i cavalli e molta roba per il valore di qualche milione. Queste cifre erano date dai repubblicani stessi con qualche leggera variante, ma il Cap. Rossi – lui solo – andava spargendo la notizia, che diede anche a me recato- mi a vedere i danni del Seminario minore, che essi avevano messi fuori combatti- mento ben 400 Partigiani. Egli non aveva posto il naso fuori del Seminario minore,

239 come quasi nessun altro repubblicano, anche degli altri reparti, e si rendeva, come al solito, ridicolo con sì vana esagerazione la quale non s’appoggiava che sul suo spirito di megalomania sanguinaria e incosciente. N elle tristi vicende della giornata trovarono pure la morte due borghesi, un adulto ed un ragazzo; vi fu pure qualche ferito non grave. Quello che posso dire con certezza è che quella stessa sera del 15, il Ga- gliardi parlò di far saltare in aria colla dinamite il Vescovado e il Seminario Maggio- re, ma la sua sarà stata solamente una fanfaronata o forse lo trattenne il servigio reso con tanto pericolo dal Can. Demaria e da D. Mignone. I danni alla città furono calcolati all’ingrosso a 50 o 60 milioni, la STIPEL completamente distrutta, muri di case crivellati e qualcuno completamente di- strutto o molto malconcio, le vie disseminate di vetri rotti sì da dare l’idea che fos- se stata la battaglia dei vetri, il Duomo ferito in più parti e tutti i suoi vetri a colori distrutti, eccetto le preziose vetrate del coro, che erano state asportate a tempo. N on parlo dei due Seminari che furono ridotti molto male: tetti e volte rovina- te; muri crivellati e malconci, porte e finestre sfondate, ma grazie a Dio, al Maggiore non solo non ci furono vittime né tra i Chierici né tra i Seminaristi né tra i Partigiani TUFTTJ NBOFQQVSFVOGFSJUPBODIFTPMPMFHHFSNFOUF'VVOWFSPNJSBDPMP Per tutta la sera e la notte gravò sulla città un silenzio che incuteva paura; qualche raro colpo di mitraglia fino all’alba. La gente, col levare del sole, cominciò a ritirarsi dalla città che in breve si ridusse a deserto. Voci paurose e contraddit- torie circolavano gravi e minacciose. Si sussurrava che il Presidio era moralmente annientato, che tra i repubblicani c’era del grave spavento e che avrebbero abban- donato Alba, ma invece arrivarono il giorno dopo, dei rinforzi e in breve furono ristabiliti i posti di blocco abbandonati il giorno 15.

LA DEPOSIZIONE DI CARBONETO Ma da un’altra parte veniva anche il terrore si assicurava insistentemente che i Patrioti il giorno 15 avevano solamente fatta una prova e che fra pochi giorni avrebbero tentato il colpo definitivo per liberare Alba dalla repubblica. In quei giorni ad accrescere la forte volontà dei Partigiani di farla finita concor- se anche la grave deposizione, a cui ho già accennato, del soldato Carboneto, che i Garibaldini, con fine astuzia erano finalmente riusciti ad averne nelle loro mani. Costui era quel medesimo Carboneto che aveva tentato di far cadere me in una iniqua trappola, come già narrai; partigiano fino all’inverno 1944 aveva poi tradito i suoi compagni Garibaldini passando nella repubblica ad Alba. Carattere abbietto e sanguinario era stato messo nella squadra X dell’Ufficio Politico di Ga- gliardi e si era distinto subito per il suo spirito perverso. Queste cose le conobbi solo dopo che io, fallitogli il colpo contro di me, e preso due giorni dopo dai Par- tigiani di Paolo, l’avevo liberato con uno scambio. Preso ora dai suoi colleghi di pochi mesi prima, sperando di salvarsi, tradì i repubblicani facendo una deposizio-

240 ne, da lui stesso sottoscritta, di tutte le sevizie e le crudeltà che si commettevano in Alba dall’Uff. Politico del Gagliardi. La triste deposizione fu tosto battuta in molto copie e fatta girare tra i Partigiani. I n essa narra cose che la penna si rifiuta di trascrivere e dalle quali appare evidente che le passioni umane se non han- Fanti di Marina della X MAS no la guida e il controllo della legge naturale e divina mutano l’uomo in un animale molto al di sotto delle belve più feroci e più schifose. «Il Corriere del Piemonte», organo del P.W.B. nel suo n. 26 del venerdì, I – VI – 1945, pag. 2, riportò buona parte della triste deposizione, la quale fu fatta leggere dal Comandante dei Partigiani Kin a Mons. Vicario, recatosi a trattare con lui per uno scambio di prigionieri. Ma se anche c’è da supporre che nella relazione del Carboneto ci sia della esagerazione, è certo che il Can. Demaria, per tutto il tempo che abitò al Minore ebbe da soldati e sottufficiali notizie di cru- deltà innominabili e udì molte volte urli strazianti di uomini, donne e giovani. Ogni volta però che ebbe a protestare, ne guadagnò solamente disprezzo e titoli; ogni WPMUBDIFMPGFDJJP TJOFHÛ'VJORVFTUPQFSJPEPDIFUSBJTPMEBUJDPNJODJÛBDPSSFSF una canzone affibiata al Rossi, che diceva che il Vescovo l’avrebbe pagata e pareva che ci fossero soldati impegnati con una forte somma a cercare il modo di farmi la pelle senza compromettere il comando; più volte il Gagliardi disse chiaramente che io dovevo essere fucilato e se nulla fu tentato di mortale contro di me, io penso che, dopo a Dio, si debba al timore di non riuscire a tener nascosta la losca macchina- zione e di doverne subire gravi conseguenze e chi sa quali furiose rappresaglie dai Partigiani. Qualcosa però fu tentato sotto ridicoli pretesti, ma invano.

TENTATA INVASIONE DEL VESCOVADO U na notte buia di Marzo, senza luna parecchi soldati tentarono di invadere il Vescovado, penetrando dal Seminario, asserendo che avevan visto i Partigiani a camminare sul tetto del palazzo e volevano entrare a tutti i costi, salire sui tetti, e DBUUVSBSMJ'VJM3FUUPSFEFM4FNJOBSJPBQFSTVBEFSMJDIFBWFWBOPQSFTPJNPMUJDPNJ- gnoli dell’antico palazzo per uomini e che lasciassero stare in pace il Vescovo. Se n’andarono, e alcuni assai brilli eran quelli che spergiuravano fortemente di averli visti; tanto può la passione e … il buon vino albese, da far scambiare comignoli per nemici e dar pretesto a malefatte!

241 I PARTIGIANI IN VESCOVADO? L a notte del 20 Aprile succedette qualcosa di simile. Il Comando aveva mandato a presidiare il Seminario Maggiore, per timore che di notte lo occupassero i Partigiani e due soldati erano stati messi vicino alla porta che dal Vescovado mette in Seminario; c’era la convinzione che vi fossero partigiani ospiti del Vescovo. Nessuno aveva pensato ad avvertirmi della cosa; io intanto quella sera m’ero fermato nella Cappella dell’Episcopio fino alle 23,15, m’ero poi incamminato nella mia camera da letto a cui s’accende da un corridoietto che ha in fondo la porta che dà al Seminario e dietro cui erano stati messi i due soldati. Il corridoio ha poi due finestre che danno sulla pubblica via e i cui scuretti ero solito chiudere ogni sera. Il mio passo silenzioso, il rumore debole del chiudere insospettì i due soldati, di cui uno corse a chiamare il Ten. che li comandava e che così fu certo che in Vescovado c’erano i Partigiani. E accorse in punta di piedi a sentire.

I o udii qualche leggero rumore die- tro la porta e mi parve anche di aver sentito un bisbiglio, ma non vi badai, pensando fosse qualche gatto girellone ed entrato in camera, andai ancora sul balcone a go- dermi la notte placida e primaverile. Cosa insolita in me, mi misi a parlare da solo pa- ragonando la pace di quella notte alla furia che divorava i fratelli italiani. Un leggero muro separava il balcone dal pianerottolo dov’erano i soldati; ad un tratto udii parla- Alba, Collegio Civico re, poi bussarono alla porta del corridoio. Pensai che fosse succeduto qualcosa di grave in Seminario per venirmi a disturbare ad ora sì tarda. Andai alla porta e domandai: «Chi c’è?» – Soldati. – «Di notte non apro a nessuno, venite domattina». – «Non fate storie, mi si risponde, dobbiamo fare una perquisizione». – Risposi secco :«ripeto che di notte non apro, ad ogni modo vado ad avvertire il vostro COMANDANTE» . Pensavo di mandare il Segretario ad avvertire il vicino posto di Comando repubblicano al Convitto civico, ma avevo adoperata una parola partigiana, quella usata per indicare i loro capi. Udire quella parola e correre dal Rettore del seminario che aveva poco prima visto entrare nella sua camera, fu per il Tenente una cosa sola. Dovette alzarsi e ce ne volle a persuadere l’Ufficiale di aver preso un abbaglio e di aver scambiato il Vescovo, solito a ritirarsi tardi nella sua camera, per un Partigiano. Intanto io avevo svegliato il Segretario ch’era corso al Convitto e trovato subito il Comandante lo aveva avvertito che militari volevano entrare in 7FTDPWBEP'VDIJBSJUPMFRVJWPDP FQPJDIÏJEVFFEJmDJFSBOPTPMPTFQBSBUJEBVOWJDPMP  JMDPNBOEBOUFTUFTTPDIJBNÛGPSUFQFSOPNFJM5FO'PSDJTJDPTÖTJDIJBNBWB FWJTUPMPBG- facciarsi ad una finestra gli spiegò l’equivoco. Io udii tutto da una finestra della biblioteca, lì vicina e allora andai ad aprire e ad assicurare i soldati che non c’ero che io da cui non avevano nulla a temere. Erano spaventati, specialmente uno, diventato pallidissimo per

242 il terrore, avendo già corso il giorno 15 un grave pericolo di morte. Un bicchiere di vino li rianimò e al mattino dopo non c’erano più. Ma all’indomani il Rettore mi disse che avevo corso pericolo di vita, perché se avessi aperto all’ordine del Tenente, sarei subito stato freddato, tanta era la sua esaltazione.

IL CONVITTO CIVICO SGOMBRATO Il 21 entrarono altre nuove truppe in città, ma partirono i pochi rimasti della Cavalleria ed era voce concorde che dovesse andare via anche la famigerata VII Com- pagnia e tutto il Presidio. Intanto il Convitto civico fu completamente sgombrato con gran sollievo del suo Direttore, del Seminario e anche della vicina Cattedrale, che per la battaglia del 15 aprile avevano già troppo sofferto. L’atmosfera intanto si faceva in- focata dovunque in Italia e i repubblicani non nascondevano di presentire la loro fine.

I QUATTRO DEL CO.G.U I l 23 aprile ebbe lieto termine una vicenda che aveva appassionata la città. Cinque mesi innanzi, il 23 Novembre del 1944, venivano arrestati i Rag. Bonasso e Imasso con la signorina Manfredi, tutti tre impiegati del Municipio, accusati di aver Ingresso delle carceri di Torino consegnate false carte di identità ai Parti- giani. Trattenuti per 10 giorni nelle carceri di Alba furono poi tradotti assieme alla Sig.na Maria Gallizio a quelle di Torino, dove vi stettero fino al 23 Aprile del ’45. I due Ragionieri erano persone molto note in città e il Bonasso lo era moltissimo nel campo partigiano, per il quale lavorava con coraggio e fervore. Si tentò di tutto per strapparli alle mani della repubblica, ma sembrava una cosa giurata che non ci si dovesse riuscire mai, probabil- mente perché la causa doveva essere giudicata da uno dei più feroci tribunali repubblicani, il famigerato Tribunale Militare Straordinario CO.GU. (COntro GUerriglia). L e notizie che si avevano di tanto in tanto sulla sorte futura dei prigionieri vol- gevano quasi sempre al brutto e finalmente si seppe che il 18 Aprile ‘45 sarebbero stati giudicati, ma quel giorno il Tribunale dovette sospendere il processo perché lo sciopero scoppiato a Torino aveva immobilizzato anche i 20 soldati che dovevano presenziare in Tribunale. Intanto, come dissi sopra, si capiva che la catastrofe repubblicana era que- TUJPOFPSNBJEJHJPSOJ'VBODPSBM"VUPSJUË&DDMFTJBTUJDBBNVPWFSFJQBTTJQFSUFOUBSFUSB Partigiani e repubblicani uno scambio, al cui esito tutti si prestarono e che condotto bene indusse il Magg. Gagliardi ad accettarlo e fu deciso per il 23 Aprile. Mons. Vicario, ac- compagnato da Don Castoldi di S. Paolo, andò a Torino alle Carceri, e gli furono concessi i quattro prigionieri domandati. Portati in camion ad Alba, vennero condotti con altri 15 prigionieri che erano nelle carceri albesi al ponte di Seno d’ Elvio, ove avvenne lo scambio in un’ atmosfera alquanto inquieta, ma che permise però che tutto finisse bene e ai due Ragionieri di partire coi Partigiani e agli altri di tornare in città senza molestie.

243 26 - Le trattative per la resa

Il 26 aprile due Ufficiali inviati dal Gagliardi conducono il Vescovo al seminario minore e tentano di trattenerlo. Per porre fine agli indugi il Ballard e il comandante Ercole dei partigiani, si recano in città per affrontare il Gagliardi.

LA LIBERAZIONE Quattro giorni dopo, cioè il 26 Aprile, Alba veniva liberata. D a due giorni le voci insistenti che i Partigiani tornavano ad assalire Alba erano diventate quasi un’ossessione per tutti. Alla mattina del 26 si ebbe certezza che grossi contingenti di Patrioti occupavano le colline che coronano Alba e che sul Tanaro attendevano parecchie centinaia di essi, pronti ad un cenno per entrare a qualunque costo in città. In tutte le case si ascoltavano radio alleate che rendeva- no sempre più satura l’atmosfera carica di elettricità, di speranze ardite e di oscuri timori. I soldati repubblicani erano tutti consegnati, la città pareva morta; su tutto incombeva quel misterioso e greve silenzio che precede le tempeste. Qualche raro colpo di mitraglia dalle colline, quasi a invito ad una definitiva soluzione.

ORGASMO AL PRESIDIO Al Comando di Presidio, dopo la giornata del 15, si viveva in orgasmo e una radio trasmittente che alcuni soldati erano riusciti ad installare nei sotterranei del Minore, il mattino del 26 interrogava le città vicine per avere aiuto, ma da Torino avevano risposto che non potevano mandare neppure un uomo e da Cuneo era stato detto: «si salvi chi può». Verso le 11, dal posto di blocco di Porto Cherasca, dove c’era un cannoncino, partì qualche colpo e qualche colpo di mortaio partì pure dal Minore; fu risposto con raffiche di mitraglia, poi di nuovo silenzio snervante.

A lle 11,15 viene da me l’Arciprete della Cattedrale e mi presenta una si- gnora che dice di aver bisogno di parlarmi; io l’ascolto, ma invece di farmi subito l’ambasciata di cui era stata incaricata da un Ten. della repubblica, fece una sua lunga presentazione, durante la quale sentii bussare colle nocche alla porta della sala d’ingresso dove ci trovavamo. Io ero vicino alla porta e, senz’attendere il domestico, aprii; entrarono due Ufficiali e vidi fuori un soldato armato di sten, che si nascondeva frettoloso dietro la porta. Si presentarono e mi dissero che il Magg. Gagliardi aveva urgente bisogno di parlarmi e che andassi al Minore con loro. Risposi che toccava a lui venire da me, se mi voleva parlare, e che io non mi muovevo. Allora insistettero: -«ma egli non può venire perché è alla trasmittente e non la può lasciare in questi momenti difficili ».

244 Stetti un istante perplesso, sicuro di Gagliardo Gagliardi (1910-1945) e un tranello, ma poi pensando che avevo Amleto Rossi (1900- 1945 ) emergo- superato tanti pericoli e che la Provviden- no dal diario di mons. Grassi come za m’aveva sempre assistito dissi: - va gli elementi tra i più pericolosi della bene, vengo, vado a prendere il cappello presenza fascista in Alba. Entrambi e il soprabito e partiamo. – Pregai l’Arci- appartengono alla 2° brigata del R.A.P. prete di venire con me e feci pure veni- e godono di evidenti appoggi negli alti re il Segretario. La signora s’era ritirata in gradi della RSI. Le loro operazioni un angolo della sala, la salutai, mi parve violente, anche se imbarazzano i loro confusa ma non disse più nulla e partim- diretti superiori, sono evidentemente mo. Nel cortile c’erano due soldati che apprezzate, visto che proprio durante la loro presenza in Alba sono premiati attendevano, altri due nella vicina piazza. con un rilevante passaggio di grado: Pensai che si volesse ripetere qualcosa il primo diventa maggiore, il secondo come al 5 Novembre, ma andai tranquil- capitano. Processati dal Tribunale e lamente. All’ammasso spinato davanti al condannati a morte, saranno fucilati cancello del Sem. Min. attendeva un Ten. ad Alba il 29 aprile 1945. che ci portò subito nello studio del Ga- gliardi, dove non v’era alcuno; però dopo pochi istanti comparve il Cap. Rossi a ringraziare e ad assicurare che il Gagliardi sarebbe giunto subito. Dal suo volto non traspariva nessuna preoccupazione, ma bisogna anche dire che aveva una faccia così insignificante che lo si sarebbe preso per un deficiente ed invece era un anormale pericoloso. Ma appena entrati nel giardino d’ingresso al Seminario, per le scale, per il corridoio ci s’accorgeva subito di una vera agitazione, di un nervo- sismo generale e dalla porta socchiusa della saletta si vedevano andare e venire in fila soldati con ceste, cassette e bracciate di carte che asportavano dalla vicina fureria240. Ma il Maggiore non arrivava mai; erano esattamente 55 minuti che atten- devo e non m’illudevo più che non si volesse tentare qualcosa contro di me. Allora dissi al Can. Arciprete e al mio Segretario: - «ora basta attendere, andate a cercare nei sotterranei il Magg. Gagliardi e ditegli che il Vescovo non è suo caporale da farlo attendere così; o viene subito o me ne vado». Andarono e ritornarono dopo pochi istanti col Gagliardi e col Rossi. Il Gagliardi era molto rannuvolato e teneva gli occhi bassi e salutatomi disse quanto segue, che cito testualmente:

240 Fureria: nelle forze armate nome dato in passato all’ufficio incaricato di tenere l’amministrazione e la contabilità di una compagnia o di un reparto equivalente (detto anche “ufficio di compagnia”).

245 IL VESCOVO OSTAGGIO? «Abbiamo bisogno di un favore; che V. E. mandi dei suoi Sacerdoti ai tre punti principali dove stanno i Partigiani che ci circondano, a dir loro che il Magg. Gagliardi è disposto a uscire di città colle sue truppe, ma vuole 48 ore di tempo, a cominciare dalle 18 di stasera, senza che si spari un colpo da ambo le parti; che se quei banditi non accettano, noi spianiamo la città con la dinamite e quando sarà spianata daremo battaglia sul Tanaro mettendo davanti i 20 e più ostaggi che abbiamo nelle mani e vedremo chi la vincerà». E il Rossi intervenne pronto a calcare la dose: – «e chiameremo i cannoni da Bra e anche l’aviazione e di Alba non resterà più nulla». – Credevano forse di impressionare me e poi anche i Partigiani; ma a chi, come me, conosceva come stavano le cose quella appariva subito un’insipienza241 inconcepibile; anche in momenti così terribili bisognava in perfetto stile fascista venir fuori colla megalomania. R isposi che trattandosi di evitare spargimento di sangue e di salvare la città avrei fatto del mio meglio, pur non lusingandomi troppo di ottenere quanto doman- davano a chi li voleva invece nelle mani, e senz’altro decisi di mandare al gruppo nord, oltre Tanaro il Prof. D. Albino Pressenda del Seminario, al gruppo di est verso Treiso il Vicecurato del Duomo Don Cortese e a sud verso la Moretta il mio Segre- tario D. Balocco e dissi al Gagliardi che preparasse il foglio d’uscita per tutti tre dai posti di blocco. Il Rossi chiamò il Cap. Anglana che entrò con sul volto un vero spavento, fece i tre permessi richiesti e i due Sacerdoti uscirono con lui per andare a farli timbrare. Il Gagliardi intanto era scomparso e io mi trovai solo col Rossi. E ci fu questo dialogo: «Eccellenza, la ringrazio del favore che ci fa, ma ora ce ne deve fare ancora un altro; restare a colazione con noi». – Tanta cortesia mi sorprese e risposi: «la ringrazio, ma non posso accettare perché per principio non accetto mai inviti a pranzo da nessuno». – «Pure ci deve fare questo favore, vogliamo aver l’onore di averla con noi almeno una volta». – «Grazie, le ripeto, ma la prego di non insistere anche perché da tempo non sto bene e devo usare certi riguardi nel cibo». – «Ma noi qui abbiamo tutto ciò che si può desiderare e le daremo ciò che le occorre». – «Grazie di nuovo, ma proprio non posso; buon giorno, Capitano, io vado». Allora il volto del Rossi divenne una maschera dura e seccamente disse: «no, ella deve restare qui». – Lo guardai fisso negli occhi e domandai anch’io secco : – «io devo restar qui? E perché?» – «Deve restar qui ostaggio, a nostra garanzia». – «Ed io le dico che qui non resto». – «E lei non ne uscirà più; sono ormai chiuse tutte le uscite». – Allora dissi forte: «ed io le dico che qui non resto, mi ucciderete sul filo spinato che sta davanti al cancello d’ingresso, ma qui voi non avete nessun diritto di fermarmi e me ne vado; buon giorno, Capitano». – E gli voltai le spalle e in due passi fui nel corridoio e chiamai forte: – «Arciprete e D. Balocco, andiamo a casa, venite». I due uscirono e sentendo subito il Rossi che, camminando dietro di me, gri-

241 Insipienza: ignoranza, stoltezza intellettuale o morale.

246 dava che io dovevo assolutamente restare, alzarono la loro voce di protesta. Presso la scaletta che dà al giardino incontrammo il Gagliardi con in mano le chiavi colle quali aveva chiusa la porta che lasciava passare attraverso il filo spinato. Mi parve ancor più scuro in volto e al Rossi che gli gridava: – «S. E. dice che assolutamente non resta» – senza punto alzare il viso disse: – «Eppure deve restare a nostra garanzia». – «Ed io ripeto a lei ciò che ho detto al Cap. Rossi, che qui non resto, perché voi non avete nessun diritto a trattenermi e se lo faceste non do nessuna garanzia per ciò che potrebbe succedere quando la cosa la si sospettasse in città e peggio per quello che vi potrà succedere fra breve». - Ero ben sicuro di quanto dicevo e sapevo anche di una recente circolare del Prefetto che avvertiva che non si potevano più prendere ostaggi. E continuai:

PAROLE FRANCHE - «Quale garanzia? Non le basta la mia parola di fare quanto posso per salvare vite umane? E proprio a lei, Magg. Gagliardi, ricordo che quando ella tentò di rovinarmi con quanto ordì contro di me per mezzo del soldato Carbonetto, pur non riuscendovi, (il Gagliardi ebbe un sussulto perché ignorava che io avessi co- nosciuto il suo atto vile contro di me) e due giorni dopo venne da me a pregarmi che le facessi rilasciare dai Partigiani il Carbonetto, a cui tanto teneva, lei ebbe la mia parola che entro due giorni l’avrebbe riavuto e lo riebbe» – «È vero», disse con confusione e sempre a capo chino. - «E allora basta, signor Maggiore; e buon giorno a lei e al Capitano; io me ne vado». I due restarono come allocchi, non fecero più parola e io scesi nel giar- dino coi due Sacerdoti. Il piccolo giardino era pieno di Ufficialetti dal R. A. P. e di soldati, che vistici ci domandarono ansiosi come andavano le cose. Non nascosi loro che andavano male e allora vollero sapere che cosa volevano «quei due». La frase usata fa comprendere che Gagliardi e Rossi non godevano né stima né fidu- cia. Quei giovani erano stati quasi tutti rastrellati e si trovavano in Alba da pochi giorni e intuivano che la loro vita era in pericolo e che avevano tutto a temere a stare nelle mani a quei due, di cui certamente conoscevano le gloriose avventure. D issi francamente che la loro vita era in pericolo e anche ciò che il Gagliardi voleva dai Patrioti per mezzo del Vescovo e soggiunsi: - «però per tutto compen- so lui e il Rossi vorrebbero trattenere il Vescovo come ostaggio». – Scoppiò una esclamazione indignata di stupore, con qualche titolo poco garbato verso i «due». Ma una voce s’elevò tranquilla sulle altre: - «ma tanto il Vescovo qui non c’è». -«Sicuro che è qui» , risposi sorridendo. E parecchi pronti: -«ma dov’è?» – «Sono io» SJTQPTJ'VUVUUBVOBWPDFEJBMUBNFSBWJHMJBTFHVJUBTVCJUPEBGSBTJDIF deprecavano l’atto che si voleva fare contro di me. -«Ma state tranquilli- proseguii – che qui non resto». – «Ma ci aiuta a salvar- ci, vero? Noi siamo dei forzati a questa vita da un mese, siamo qui da pochi giorni

247 e non siamo neppure usciti di qui». – Ed era vero. Li rassicurai, perché mi facevano pena e seguendomi essi collo sguardo feci i pochi passi che mi separavano dal folto e largo reticolato spinoso che precludeva ogni entrata. Là c’era un Ufficiale che mi disse: «Eccellenza, lei non può uscire». – Vedevo intanto assai bene che la porta di filo spinato era stata fermata con un grosso catenaccio e un solido lucchetto. Calmo ma con forza sotto gli occhi attoniti di tutti quei giovani, alzai la voce e gli risposi di botto: «Io non posso uscire? Lei va immediatamente dal Magg. Gagliardi e gli dice che il Vescovo è qui e vuole uscire subito; vada» e col braccio teso gli indicai la via. Io non so se sia stata la forza dell’insolito imperativo e dell’insolita persona che glielo dava o se sia stata in lui comprensione dell’atto malvagio che si commetteva, il fatto è che si mise a correre e sparve in un attimo, tra la curiosità di tutti i militari che as- sistevano. Tardò però qualche minuto ad arrivare, forse perché tra i «due» era accesa una discussione sul come comportarsi, ma poi arrivò di corsa, come era partito, e aprì, mentre tutti salutavano con occhi supplicanti. Erano le 13,30 sonate.

INTIMAZIONE DI RESA Con noi uscì anche un Tenente che ci camminava a fianco senza parlare e capii il perché del suo atto solo quando all’imbocco di via Acqui non potevamo più essere visti da nessuno del Sem. Minore. Allora parlò e mi domandò se non era venuta da me una signo- ra ad avvertirmi di non accogliere nessun in- vito del Gagliardi perché avrebbe potuto avere conseguenze dolorose per me. Risposi narran- do le cose come erano andate e proseguii per il Vescovado. Là era già arrivata in gran fretta una signorina di Treiso, con un messaggio del Capitano Ballard del Comando Inglese che af- “Poli” (Pietro Balbo) comandante della II Divisione Autonomi (a sin.) con il fiancava quelli dei Patrioti, col quale mi pre- capitano Edward Ballard, a capo della gava di andare ad intimare la resa senza con- missione alleata nelle Langhe dizioni al Comando di Presidio dando tempo fino alle ore 16 e non di più. I miei familiari mandarono subito la signorina a Mons. 7JDBSJPOFM4FNJOBSJP.BHHJPSFBQPSUBSFMBMFUUFSBVSHFOUJTTJNB'VMBQSJNBDPTB che mi dissero. In pochi secondi fui anch’io in Seminario e trovai Mons. Vicario sulle mosse per andare al Seminario minore a cercare di me. Stava leggendo la lettera del Ballard e allora narratogli in fretta quanto m’era succeduto si combinò di non più mandare i tre parlamentari e che invece egli si recasse subito in mia vece a intimar la resa al Gagliardi e ai suoi. L’ambasciata fu accolta altezzosamente e questi rispose che mai non si sarebbero arresi, insisteva che fossero mandati i tre Sacerdoti a parla-

248 mentare e ad ottenere le 48 ore domandate per allontanarsi da Alba. Era incoscienza o un orgoglio completamente cieco che faceva agire così il Gagliardi? A nulla valsero tutte le buone ragioni addotte dal Vicario per persuaderlo ad un atto che avrebbe sal- vato tante vite umane, che egli non aveva nessun diritto di esporre alla morte sicura. Ma il ragionare era inutile e allora Mons. Vicario propose che almeno man- dasse con lui l’Aiutante Maggiore, il Cap. Anglana, a fare la risposta, e anche a sentire le cose come stavano, garantendo lui per l’incolumità dell’Ufficiale. Il Ga- gliardi accettò e così Mons. Gianolio e l’Anglana partirono per il Comando Alleato- Partigiano, ch’era sulla collina d’Altavilla.

Alba 26 aprile 1945. Lettera a mons. Grassi del comandante partigiano Varese

249 Lettera a mons. Grassi del comandante partigiano Varese alla guida delle formazioni che circondano Alba il 26 aprile 1945

Si tratta un documento significativo che illustra non solo il clima delle ulti- me drammatiche ore prima della resa, ma dice anche del ruolo svolto dal Vescovo e dell’atteggiamento che i resistenti avevano verso di lui.

Zona 26-4-45 Eminenza, La rendo edotta della situazione militare in Italia Settentrionale nelle ul- time ore. L’Esercito Italiano di Liberazione Nazionale ha occupato Genova - Alessandria - Asti - Acqui - Ovada - Nizza - - San Remo - Savona. La città di Torino è circondata e le residue truppe della 34^ Divisione Tedesca stanno trattando la resa a Cuneo. Parte delle truppe dell’Esercito Repubblicano si sono arrese e sono state internate nei campi di concentramento a disposizione dell’Autorità Militare Alleata. Coloro che hanno fatto resistenza come franchi tiratori sono stati passati per le armi sul posto. Coloro che hanno dato rifugio nelle proprie abitazioni a repubblicani sbandati sono stati passati per le armi. La tanto attesa alba di resurrezione è spuntata ed il sole della Vittoria e della liberazione splende sulle ridenti città italiane. Uno degli ultimi centri di resistenza è la città di Alba. Prima di passare ad operazioni militari contro le truppe della città io chiedo a Lei, Eminenza, di far comprendere ai Capi responsabili che sarebbe un’inutile massacro della popolazione e delle truppe. Dica Lei a questi uomini la parola che Iddio le detta. Da parte mia, nella qualità di Comandante le truppe d’attacco prometto formalmente salva la vita a tutti coloro che si arrenderanno per essere internati. Gradirei poter avere con lei un colloquio nella giornata di oggi (possibil- mente verso le 15-16) al fine di evitare gli orrori di una lotta senza quartiere. Resto pertanto in attesa di una Sua risposta e La saluto con tutta la devo- zione di un figlio al suo Pastore. Il Comandante la VI Brigata “Belbo” II Divisione Langhe Ercole Varese 26-4-45 ore 10,15

250 MISSIONE AL COMANDO ALLEATO-PARTIGIANO L à il Ballard e il Comandante Ercole non persero tempo a dare spiegazioni; preferirono coraggiosamente venire in Alba, affrontare il comando repubblicano e parlare chiaro al Gagliardi. E così fecero accompagnati da pochi Partigiani. La meravi- glia del Gagliardi non dovette essere poca a quella apparizione, ma non la dimostrò e cominciarono le trattative. Mons. Vicario che assisteva al dialogo, di tratto in tratto usciva fuori nel corridoio e nelle stanze adiacenti nelle quali c’era un nervoso via vai di Ufficiali e di soldati inquieti e curiosi di sapere che cosa succedeva. Possiamo im- maginarci come egli fosse tempestato di domande e anche cosa poteva rispondere; ma ad un certo punto, visto che gli Ufficiali attorno a lui erano numerosi disse loro che si stupiva molto che essi, trovandosi in un pericolo così grave di venire travolti in un combattimento di cui l’esito terribile era già certo, lasciassero che due incoscienti, il Gagliardi e il Rossi, giocassero la loro vita, non volendo accettare la resa incondi- zionata, come la esigevano gli Alleati e i Partigiani, sicuri del fatto loro. Si sbrigassero se volevano salvarsi; un ritardo sarebbe loro stato fatale. Così su per giù parlò Mons. Vicario. Non c’era bisogno di dire di più per eccitare gli animi, già molto scossi, di quegli Ufficiali, la maggior parte giovanissimi Sottotenenti, rastrellati da poco tempo e costretti a entrare e a stare nelle file repubblicane. Lo pregarono allora di dire al Gagliardi che gli volevano parlare d’urgenza. Quel po’ di chiasso che naturalmente facevano era arrivato all’orecchio del Maggiore, che invitato dal Vicario lasciò la sala FTJQSFTFOUÛBHMJ6GmDJBMJ'VBMMPSBVODPSPOVUSJUPEJUVUUJDIFSFDMBNBWBMBSFTBBT- serendosi disposti, qualora non fosse accettata, a passare anche a gravi vie di fatto.

LA RESA FIRMATA I l Gagliardi si vide allora perduto e rientrato accettò la resa. Ma poco mancò che non succedes- se ancora una tragedia. I l Ballard e Ercole, comandante dei Partigiani, erano giunti al Seminario minore verso le 15 e l’ordine lasciato alle formazioni partigiane era che se alle 16 non fosse stata issata sul campanile della Cattedrale la bandiera bianca, i Patrioti avrebbero attaccata batta- glia per la resa della città. Nelle trattative l’ora passò in Ercole Varese, comandante della un lampo e alle 16 in punto, dai colli che circondano “Brigata Belbo”, tra i firmatari la città, dove l’ordine era stato preso alla lettera e dove della resa dei fascisti ad Alba l’attesa faceva prudere le mani a più d’un Partigiano, cominciò una sparatoria nutritis- sima. Un balzo di tutti i parlamentari, assiepati nel piccolo studio del Gagliardi, e partì subito un Partigiano a esporre la bandiera bianca e il fuoco cessò d’incanto. La resa era pubblicamente accettata e con essa finiva la vita nefasta della repubblica di Mussolini in Alba. I firmatari furono il Ballard, Mons. Vicario, il Co- mandante Ercole, e il Magg. Gagliardi.

251 I l primo atto compiuto fu la liberazione dei prigionieri, che con me avreb- bero dovuto essere posti davanti alle truppe repubblicane se queste avessero dato battaglia per uscire di città; Alba fu invasa come per incanto dai Partigiani, accolti dal tripudio della popolazione, il Seminario minore fu subito presidiato, i soldati consegnarono le armi e furono trattenuti sotto custodia nello stesso Seminario DPNFQSJHJPOJFSJDPJMPSP6GmDJBMJ'VQVSFJOTFSBUBJOTFEJBUPJM$PNBOEBOUFEJ QJB[[BOFMMBQFSTPOBEFMQBSUJHJBOP&SDPMF TPTUJUVJUPQPJEB(JMEP'PTTBUJ Alba, da quell’ora parve destarsi da un sogno spaventoso, dal quale ormai pareva quasi impossibile destarsi tanto era stato grande e lungo, e la sera, una sera placida e mite, scese sulla città come una carezza da lungo attesa, foriera di pace e di serenità dopo tante torture e tante tempeste.

SINTOMATICA COINCIDENZA Nell’ora in cui la resa era firmata cadevano i secondi Vespri della Madonna del Buon Consiglio, Titolare e Patrona della Cappella del Vescovado e iniziavano i Primi Ve- TQSJEFMMB'FTUJWJUËEJRVFJ4BOUJ.BSUJSJ 'SPOUJOJBOP "MFTTBOESP $BTTJBOPFE&VGSFEP  Patroni di Alba, che da 16 mesi venivano ogni giorno invocati a protezione della città. L’indomani, 27 Aprile, fu insediato il Comitato Nazionale di Liberazione alla pre- senza di tutte le Autorità cittadine e la folla adunata sulla piazza sottostante al Municipio improvvisò al loro indirizzo una calorosa dimostrazione di ringraziamento per l’opera svolta nei 9 mesi trascorsi e di simpatia per il tanto che avevano pure sofferto.

27 aprile 1945 - La folla degli Albesi, finalmente sorridenti, in piazza dopo la Liberazione ascolta gli esponenti del CLN. Al balcone con alcuni comandanti partigiani, le autorità militari alleate ed il vescovo Grassi

252 27 - Processo ai criminali

Gagliardi e Rossi sono tradotti nelle carceri giudiziarie. I par- tigiani vogliono che il processo, seguito dall’esecuzione della sentenza, si svolga pubblicamente. Ripristinata la legalità, la città si ridesta riappropriandosi dei ritmi di lavoro e di ordine che la guerra aveva tanto dolorosamente sospeso.

GAGLIARDI E ROSSI ... A l sabato, 28, si trattò di fare il processo ai due maggiori criminali, il Gagliar- di e il Rossi, già tradotti con tutti gli Ufficiali e qualche sottuff. e soldato, additati come veri criminali di guerra, nelle carceri giudiziarie. E fu pubblicato un manife- sto che annunziava il processo da farsi pubblicamente sulla piazza del Duomo, l’indomani, domenica, seguito dalla esecuzione della sentenza. La cosa era voluta dai Partigiani, ai quali, per quanto avevano sofferto essi e avevano patito le loro famiglie, non pareva vero di dare una lezione esemplare alla causa immediata di tanti dolori. Ma giovane come essi erano tutti, non avevano pensato che un pro- cesso in pubblica piazza di tali persone si sarebbe conchiuso in un baccano di urli che avrebbe impedito di sentire una sola parola e che la folla, senza alcun dubbio, sarebbe giunta ad un punto di eccitazione tale che non la si sarebbe potuta tenere tranquilla e sarebbero certamente accaduti fatti dolorosi e gravi nella confusione della folla medesima. Non tutto ciò che idealmente pare debba svolgersi con tran- quillità finisce coll’attuarsi. Ma è sempre così, l’eccitazione nata da un grande sof- frire rende più feroci del castigo stesso, anche estremo, che si vorrebbe infliggere. Il Comitato di Liberazione si oppose ma inutilmente; chiamato io ad inter- venire, i giovani Patrioti si persuasero poi alle mie insistenze che era molto impru- dente fare quanto avevano escogitato e che le conseguenze sarebbero poi pesate TVM$PNBOEBOUFEJQJB[[B JM(JMEP'PTTBUJ DIFQFSWFSJUË NFSBQBSTPBMJFOPEBM voler quella parata, e che non meritava d’essere esposto a tanta responsabilità e tanto pericolo. E m’ascoltarono e fu deciso che il processo si sarebbe fatto invece nell’aula del R. Tribunale e che la sentenza sarebbe stata eseguita subito dopo. Quel giorno, sabato, era rinato come per incanto il mercato di Alba e dopo quasi due anni da che era disertato, era accorsa dalle Langhe molta gente, felice della liberazione, ed era stato molto letto e commentato il manifesto di cui dissi sopra. Il nome dei due criminali era tristemente famoso in ogni angolo dell’Albese e la curiosità di assistere alla loro sentenza capitale era fortissima e si andava d’ora in ora acuendo, sì242 che tutto faceva prevedere una folla immensa; e così i pericoli sarebbero aumentati.

242 Sì: così.

253 Tribunali ed Epurazione

All’indomani della liberazione si pose subito la questione di come trattare quanti avevano aderito al fascismo, alla Repubblica di Salò, ed in particolare si erano mac- chiati di azioni violente, di delazioni, di collaborazionismo con i nazisti. La necessità di fare giustizia si intrecciava però con il rischio di lasciare campo libero alle ven- dette. In diverse zone, come nel caso di Alba, vi fu un accordo tra CLN e comandi partigiani per sottrarre alle iniziative individuali la ricerca e ‘punizione’ dei fascisti ed evitare le esecuzioni sommarie (che altrove non mancarono), istituendo un ‘tri- bunale partigiano’ (o ‘tribunale militare straordinario di guerra’) che aveva il com- pito di svolgere un processo e di comminare la pena (compresa la pena di morte, in quanto era applicato il codice militare di guerra). Entrarono immediatamente in contrasto tre esigenze, suscitando molte tensioni an- che tra i partigiani (il ritorno alla legalità non era certo così semplice nel clima dell’epoca, dopo anni di brutalità e feroci rappresaglie): t la necessità di perseguire rapidamente quanti avevano compiuto delitti, torture, … temendo che un allungamento dei tempi avrebbe signifcato la possibilità di fuga e di impunità, oltre che alimentare le vendette private; t la necessità di svolgere processi regolari con efettive garanzie per la difesa, il che però implicava l’utilizzo di giudici e tribunali ordinari, visti con forte difdenza dai partigiani, in quanto facevano parte dell’amministrazione legata al regime fascista; t la necessità di defnire il tipo di reati perseguibili, in quanto alcuni atti violenti potevano inquadrarsi all’interno di azioni militari e come tali giustifcabili, così come molti atti potevano essere intesi come forme di collaborazionismo, ma anche dettati da paura di ritorsioni, ecc. A tutto ciò si sovrappose l’amministrazione alleata che molto rapidamente esautorò i tribunali partigiani locali, mentre il governo italiano rivendicava la piena giurisdi- zione sul nostro territorio. Già nel 1944 il governo Badoglio e poi quello Bonomi avevano disposto la creazione di un “Alto Commissariato per le sanzioni contro il Fascismo” e la “Commissione di epurazione”, con il compito di individuare quei funzionari pubblici più coinvolti col fascismo e allontanarli dall’amministrazione. Prevalse, però, fn dall’inizio, una linea assai morbida, fnché il ministro della Giustizia, Togliatti, nel giugno 1946, dispose un’amnistia per una serie di reati comuni e politici (tra cui quello di collaborazioni- smo e di concorso in omicidio), che ridusse di molto la portata dei processi contro i fascisti, al fne di giungere ad una ‘pacifcazione’ che chiudesse la stagione tragica del regime e della guerra. Proprio in Piemonte si ebbero forti reazioni a questo prov- vedimento, al punto che gruppi di partigiani decisero di riprendere le armi (vedi in particolare i fatti di Santa Libera, nei pressi di S.Stefano Belbo). In ogni caso, per quanto riguarda il nostro territorio, l’attività dei tribunali partigiani entrati in funzione dopo il 25 aprile operarono per poco tempo. Il 4 maggio il Co- mando Militare regionale delle forze partigiane proclamò il passaggio dei poteri alle

254 autorità civili. Già dal maggio 1945 i processi furono spostati a Torino presso la Cor- te Straordinaria d’Assise, che operò fno al 1947. Per gran parte degli imputati le con- danne a morte vennero commutate in ergastoli e successivamente ridotte, anche in ampia misura, mentre molti funzionari (specie prefetti e questori di polizia) vennero riammessi nei loro incarichi. Tutto ciò fece parlare di “epurazione mancata”. In efet- ti, l’ipotesi di sostituire il personale giudiziario operante durante il regime fascista si rivelò impraticabile, proprio per la mancanza di quadri professionalmente preparati. Gli Alleati inizialmente avevano intenzione di svolgere (o di far svolgere) anche in Italia processi contro i crimini di guerra commessi dai nazifascisti (sul modello di quello che verrà celebrato a Norimberga). Ma tali progetti sfumeranno negli anni successivi nel clima della guerra fredda e delle tensioni politiche interne.

...E LA LORO FUCILAZIONE L a discussione in Municipio coi Partigiani era durata fino a dopo le ore 17, quando tutti i forestieri erano già partiti. Quanto era stato deciso fu fatto, ma in una cittadina come Alba era im- possibile occultare ciò che era stato deliberato di diverso da quanto era scritto sul manifesto e ci fu la folla della città ad assistere alla fucilazione, ma quando arrivò il grosso dalla campagna tutto era già finito e vide solo più le due salme. I l Gagliardi morì coraggiosamente e pregò di poter essere fucilati entrambi al petto e di comandare egli stesso il fuoco come fu concesso. Tutti due – ed è giusto dirlo perché ne sia data lode alla misericordia di Dio – domandarono i SS. Sacramenti e morirono assistiti fino all’ultimo dal Sacerdote D. Luigi Cortese Cura- to della Cattedrale e da D. Castoldi della P. S. San Paolo, pregandoli ripetutamente di dire a quanti parlassero di loro con essi che riconoscevano di avere fatto tanto male e domandavano con tutte le forze del loro animo perdono a tutti.

ALTRI QUATTRO FUCILATI I ntanto io avevo avuto assicurazione dal nuovo Prefetto di Cuneo che si sarebbe interessato di far venire presto le truppe alleate ad Alba per portare in altro carcere gli Ufficiali che non avevano ancora subìto il processo. Altri quattro veri criminali di guerra processati e condannati alla fucilazione, subirono la pena nei giorni seguenti, ma intanto il ritardo nel venire a prendere quelli che erano in carcere senza accuse specifiche, eccitava ancor sempre gli animi dei Partigiani che volevano a tutti i costi fare giustizia da sé, mentre era già arrivata l’ordinan- za243 alleata che stabiliva che i Tribunali dei Partigiani non avevano più alcun valore legale.

243 Ordinanza: ordine emanato da un’autorità.

255 ULTIMO INTERVENTO I l sabato 12 Maggio si voleva a tutti i costi farla finita e procedere alla esecu- zione sommaria degli Ufficiali e sottufficiali ed era stata inscenata una piccola dimo- strazione per ottenere tale scopo contro l’opposizione del Comitato di Liberazione. Anche questa volta intervenni e di nuovo ottenni dai capi Partigiani che desistessero da atti che non avevano diritto di compiere e che dovevano invece lasciar compiere alla Giustizia, che restituita da poco, ne aveva tutto il diritto e il dovere. Anche questa volta non osarono contraddire alle mie ragioni e anzi avendo domandato loro la loro parola d’onore che non avrebbero fatto nulla, promisero per di più che avrebbero fat- to la guardia alle carceri nella notte, perché nessun singolo malintenzionato tentasse qualche triste avventura che avrebbe macchiato l’alta stima di onestà di cui hanno sempre goduto gli Albesi. E mantennero la parola.

I o ero sicuro della generosità d’animo di quei bravi giovani e non fallii. In- tanto si telefonò subito dal Com. Gildo al Prefetto di Cuneo che promise la venuta per l’indomani di soldati americani per portare via tutti i carcerati repubblicani sospettati di crimini e affidarli ai Tribunali ormai legalmente costituiti. Tutti gli altri soldati, qualche Ufficiale e sottufficiale su cui non gravavano né accuse, né sospetti, furono in quei giorni stessi accompagnati fino fuori città e lasciati liberi di raggiungere le loro case.

Alba – maggio 1945 – un gruppo di partigiani dopo la smobilitazione

256 Conclusione

UN SOGNO?... Ma il tempo corre sì veloce che a pochi mesi di distanza da tante torture sofferte, pare un sogno ciò che soffrimmo mentre la città ha già ripreso quasi al completo il suo ritmo tranquillo di lavoro e di ordine, come se nulla fosse accaduto di anormale come se questa terra tanto benedetta da Dio non fosse stata solcata e infranta da tanta malvagità umana. L’Albese ha visto altre epoche tristi e dolorose, come ogni angolo della terra; non so se per il passato il dolore abbia fatto scuola alla nostra gente e se la storia sia stata anche per essa una maestra di pochi e dimenticati scolari; ma voglia Iddio che gli uomini si pongano bene in mente che tanti dolori sarebbero stati evitati se essi fossero stati docili, in alto e in basso, a Dio e alla sua legge e che infischiarsene vuol dire in conclusione portare al suicidio gli uomini e le Nazioni.

Alba - Chiesa di San Domenico e Liceo Classico “Govone”

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