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• BEPPE FENOGLIO E LE TRADIZIONI CELTICHE DEL PIEMONTE

By

Lauretta EI-Mauelhy Massina

Department of Italian Studies

McGill University Montreal

November 1999

AThesis Submitted to the Faculty of Graduate Studies and Research in Partial Fulfillment of the Requirements of the Degree of Master of Arts

Thesis Directed and 5upervised By Prof. Maria Predelli

• © lauretta EI-Mauelhy Massina, 1999 NationalLJbrary Bibliothèque nationale ofC8nada du Canada Acquisitions and Acquisitions et Bibliographie Services seN~.s bibliographiques 395 Welington Street 395. rue Wellinçton Ottawa ON K1A 0N4 Ottawa ON K1A 0N4 canada Canada

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0-612-64147-3

Canadl • BEPPE FENOGUO E LE TRADmONI CELTICHE DEL PIEMONTE

RIASSUNTO

Questa è una lettura della poetica di Beppe Fenoglio, alla luce della filosofia e della religione dei Celti, papalo che dominà, quasi incantrastato, il territorio piemontese dal IV secolo a.C. al 1secolo d.C.

Vi è, in primo luogo, una breve spiegaziane della staria dei Piemante, dalla preistoria, attraverso la dominazione celtoligure, sine alla conquista da parte di Roma ed alla canseguente, parziale, romanizzazione dei territorio.

In base a testimanianze di autan classici ed a ricerche di studiosi modemi, verranno poi presi in esame alcuni aspetti della religione dei Celti, e questi saranno messi in relazione con credenze, usi e castumi dei Piemonte contadino di oggi, per mezzo di alcune interviste condette nelle , terra natale di Beppe Fenoglie, raggruppate, Qui di seguito, nell'Aggendice.

Queste tradizioni saranno, infine, rintracdate nelle opere di Fenoglio (in particolare ne Il oamgiano Johnny e ne la malora), per dimostrare il nesso che lega la sua concezione della natura e la sua visione della vita e della morte con il naturalismo degli antichi Celti•

• -1- • SEPPE FENOGUO E LE TRADIZIONI CELTICHE DEL PIEMONTE

SYNOPSIS

Reading of the poetics of Beppe Fenoglio in relation ta the philosophical and religious systems of the ancient Celts, a people who dominated the territory of from the IV century Be to the 1century AD.

A brief expianation of the history of Piedmont from prehistoric times, through Ugurian and Celtic domination, ta Roman conquest and the consequent partial romanization of the territoy will introduce the subject.

Certain aspects of the religion of the Celts, as described both by dassical authors and modem scholars, will be examined in the context of beliefs, customs, and traditions of modem rural Piedmont using interviews C5ee Apcendix) conducted in Beppe Fenoglio's homeland, the Langhe.

Rural Piedmontese traditions and beliefs will be identified in the works of Fenoglio, particularly in Il oartigiana Johnny and La malora, in order ta describe the nexus that ties the concept of nature and the view of life and death expressed in the works with the naturalism of the ancient Celts.

• -II- • BEPPE FENOGUO E LE TRAOmONI CELTICHE DEL PIEMONTE

SYNOPSIS

Ceci est une lecture de la poétique de Beppe Fenoglio, faite à la lumière de la philosophie et de la religion des Celtes, qui ont occupé, presque sans opposition, le territoire piémontais du 4e siècle av. J.C. jusqu'au 1er siècle de l'ère chrétienne.

L'histoire du Piémont est brièvement éxpliquée, de la préhistoire, en passant par la domination des Uguriens et des Celtes, jusqu'à la conquête romaine et la romanisation partielle du territoire.

Quelques aspects de la religion des Celtes seront examinés sur la base de témoignages d'auteurs classiques et de recherches faites dans le cadre

d'études modernes. Ces aspects seront mis en relation avec (es croyances, les us et coûtumes des paysans piémontais d'aujourd'hui, selon des témoignages obtenus de vive voix lors de quelques entrevues menées dans le territoire des Langhe, terre natale de Beppe Fenoglio, et regroupées dans l'Annexe.

Enfin, ces traditions seront retracées dans les oeuvres de Fenoglio (notamment Il oartigiano Johnny et la malora) pour montrer le lien qui existe entre son concept de la nature et sa vision de fa vie et de la mort d'un côté, et le naturisme des Celtes de l'autre .. • -m- • RINGRAZIAMENTI Desidero ringraziare, prima di tutti, i miei zji, carfa e Mario, che mi hanno ospitata nella lare casa sul bric di san Siro, durante i miei vagabondaggi nelle Langhe, e mi hanno fatto canoscere persane che sono state di importanza fondamentale per la mia ricerca. Tra queste desidero ricardare, almeno, Rosetta e Rosalba, che purtrappo non vivono più, e Gabriella, tigUa dei meraviglioso Nuto, che ha fatte rivivere per me il padre, riportando cosi in vita anche il sua arnica, Cesare Pavese.

Un grazie particolare anche a Giulio Parusso, capo dell'Ufficio Stampa dei Comune di Alba, che ha più volte accettato di parlarmi di Fenoglio, non solo come scrittore, ma soprattutto come uomo.

Desidero anche ringraziare di tutto cuore la splendida gente delle Langhe, che mi ha raccontato storie e tradizioni gefosamente custodite da un tempo immemorabile : sono proprio loro, i contadini duri ed orgogliosi, i veri protagonisti, oltre che i custodi, di quanta ho scritto.

Il mio ultimo ringraziamento va a Silvia, che, con pazienza infinita, mi ha aiutata a riordinare la bibliografta ed alla mia mamma, che mi ha insegnate la lingua piemantese.

• - IV- •

In ricordo di nonna Modesta

• • INDICE

lntroduzione Oo •••••• Oo •• Oo ••••• Oo.Oo.Oo Oo.Oo ••••••••• Oo Oo Oo... 1

l. 1. Cenni storid 4

1. 2. Divinità e riti celtici. Relazione con le tradizioni delle Langhe 9

l. 3. Masche e streghe 23

1. 4. Le festività celtiche .. 35

l. Note 43

II. 1. Beppe Fenoglio : La vita e le opere 46

II. 2. La tradizione inconsciamente vissuta 50

II. 3. Cesare Pavese : morte della dea 69

ll.4. Conclusione. Beppe Fenoglio : moderne druido delle Langhe 76

ll. Note 86

Appendice .. 89

Bibliografia Oo •.•• Oo •••• Oo ••• Oo •...••.••.Oo...... 94

• - VI- • INTRODUZIONE Il Piemonte è la mia terra. Le grandi montagne, le fertili pianure, i laghi pieni di incanto e di pace, e, soprattutto, le sue colline, ondulate e rincorrentesi sino ad incontrare !'orizzonte con sfumature azzurre, compongono il paesaggio della mia infanzia e sono parte fondamentale e profonda della mia anima di piemontese.

Il Piemonte è una terra antica, e, a causa della sua posizione geografica, è da sempre una terra di frontiera, nella quale si sono susseguite influenze di popoli diversi, di lingue diverse, di tradiziani diverse, sina a giungere alla quasi completa decaratterizzazione operatasi negli ultimi decenni di questo secolo, che ha quasi cancellato i caratteri specifici della popolazione, oltre a ridurre la Iingua piemontese ad un idioma in via di estinzione. Infatti, can la fartissima immigrazione da altre regioni italiane, la popolazione è armai solo in minaranza di origine piemontese, in particolare nelle grandi dttà industriali, e a poco a poco nan solo la lingua, ma anche le tradizioni ed i costumi dei papoU originari, si stanno diluendo in una nuova forma di civiltà.

Il Piemonte è stato materialmente l'artefice dell'unità d'Italia e, cercando di ottenere un'unità morale, oltre che politica, della penisola, si sono per lungo tempo messe in ombra le sue radid da parte degli stessi piemontesi, e, di conseguenza, un immense patrimonio di tradizioni, usi, costumi, oltre alla Iingua stessa, si trova sul punta di cadere nell'oblio più completo: per questo voglio cercare di collegare le antiche tradizioni piemontesi ali/opera di une scrittore tra i maggiori dell'ultimo scorcio di questo secolo. Intendo scrivere su Beppe Fenoglio e su come 10 spirito piemontese, queUo preromano, sia strettamente intrecdato con la sua visione delle lotte partigiane e della vita • contadina di cui racconta. 2

Naturalmente, quanda si parfa dell'antico spirite di un popola ci si deve • appoggiare aile tradizioni, al fofclore, alla storia delle origini di questo stesso popola, e questo mi porta a riferirmi ai Celti, che, se non sono statl la prima popolazione a calonizzare il Piemonte, almeno sono quelli che più a lungo l'hanno abitato e le cui tradizioni ed usi più profondamente hanno indso sulla vita quotidiana delle popolazioni.

Prenderè, dunque, in esame, oltre ana storia, le tradizioni ed i costumi dei Piemonte in relazione a quanta si sa dei Celti e cercherà di ritrovare queste stesse tradizioni nelle opere di Beppe Fenoglio, senza per questo voler fare una trattazione scientifica sul folclore piemantese, dal momenta che quanta più mi interessa è cercare se le tradizioni della mia terra abbiano un qualche peso nella visione che la scrittare di Alba propane, sia della dura vita dei contadini delle Langhe, sia della latta per la libertà, condotta dai partigiani nella stessa regione.

Per fare QUesto traccerè una breve storia deI Piemonte e delle popolazioni che si sono susseguite sul sua territorio, saffermandomi sui Celti, che più a lungo degli altri papoli vi hanno dominato. Cercherè di tratteggiare gli aspetti della mitologia celtica che possona essere ritrovati nelle credenze e nelle feste piemantesi, ben sapenda che quando si tratta di tradizioni popolari, sono sempre presenti forme di sincretisma, dovute all1nstaurarsi di nuove popalazioni, e di conseguenza di nuove tradizioni, su un substrato precedente. Non è assolutamente mia intenzione ricercare se le tradizioni che prenderà in esame siano a no presenti anche in società preceltiche, in quanta è evidente che la cultura celtica si è sovrapposta a quella già esistente nello stesso territorio. Allo stesso modo non intendo fare una studio accurato di mitalogia comparata con tutti i cutti e le credenze esistenti nell'area • indoeuropea, alla quale i Celti appartengono : quello che mi proponga, e che 3

mi interessa in modo particolare, è vedere se Quanto puà essere ragionevolmente attribuito ai Celti per motivi di economia storica, è ancora in • qualche modo presente nella società contadina delle Langhe di oggi e nelle opere di Beppe Fenoglio.

Le opere di Beppe Fenoglio sono numerose, anche se non numerosissime, quindi per il mie lavara ho scelto di limitarmi a due sole, che a mie awiso, meglio di tutte le altre possono rendere evidente la base celtica della società di cui Fenoglio scrive. Esaminerà Quindi in prafondità solo Il partigiana Johnny e La matora, mentre prendero in considerazione in misura minore Una guestiane privata.

Per quanta riguarda le tradizioni e gli usi di oggi, ho preferito, invece di appoggiarmi a testi accademici, che, a mie awiso, hanno il difetto di essere troppo distaccati e scientificamente aridi, condurre personalmente alcune interviste nelle Langhe, registrando racconti e tradizioni dalla viva voce della gente, e scoprendo in questo modo tutto un universo di religiosità e fede che di cristiano, a mio awiso, ha solamente il nome. Questa è una prava dei sincretismo che si è operato tra la cultura dominante cristiana e cutti e fedi precedenti, siano essi propriamente di derivazione celtica, oppure, a lare volta, il pradotto di un altro sincretismo tra fa cultura celtica, quella delle popolazioni precedenti e quella dei conquistatori romani.

Un altro grande scrittore, originaria della stessa regiane, entrerà a far parte della mia trattazione : Cesare Pavese, neIle opere dei quale tradizioni ed usi delle Langhe sono presenti ed importantissimi. Il mie scapa, a questo proposito, è di rendere evidente che per Cesare Pavese queste tradizioni sono il risultato di un processo intellettuale di ricerca delle proprie origini, mentre per Beppe Fenoglio sono vita normale, vissuta senza una cosciente volontà di • rare una iÏcerca 0 une studio foldoristico. • CAPITOlO l 1. 1. CENNI STORIQ (1)

In Piemonte, a causa delle poco favorevoli condizioni dimatiche e degli alti monti, esistono solo scarse tracce della presenza dell'uomo net periodo paleolitico, mentre per il neolitico esistono reperti molto più numerosi, spedalmente nelle province di Alessandria e , dove ad Alba, vidno ad una palude, ora scomparsa, nei pressi dei torrente Cherasca, sono stati rinvenuti resti di focolari, ossa di animalï, accette ed asce.

Reperti appartenenti all'età dei bronzo sono presenti in tutto quanta il territorio piemontese, e in seguito, durante l'età dei ferro , il Piemonte assume la funzione di tramite tra le popolazioni dei due fronti . A questo periodo appartengono probabilmente, ma l'esatta datazione non è ancora stata stabilita, le numerose indsioni rupestrf, diffuse su tutto quanta l'areo alpino. Si tratta di incisioni antrapomorfe e zoomorfe, di escavazioni, cappelle, canaletti e vaschette, che sono comuni a numerosissime popolazioni di cultura diversa : si ritrovano in India, in Gna e persino in OCeania, e, come in Piemonte, coprono un vastissimo areo di tempo, dal paleolitico all'età dei ferro. Oltre la loro datazjone precisa, anche la loro funzione non è dei tutto nota: potrebbero rappresentare una tappa dei cammina di migrazione di

popoIazioni nomadi, COSI come potrebbero essere un sistema per segnalare la presenza di sorgenti, messa in atto da un popola dedita alla pastorizia transeunte.

Per quanta riguarda le popolazioni, si parla di Uguri in senso generico e vago, dal momento che sotto questa denominazione si raccoglie una popolazione • che non ha lasdato tracœ epigrafiche 0 linguistiche dirette. 1 Uguri 5

potrebbero essere autoctoni, oppure originari delle zone attorno al Battico, quello che è certo è che preœdono l'emigrazione dei Celti e prima di Ioro • accupano la vasta area dalla Francia meridionale al mare, che da loro prende il nome, espandendosi sine aile Alpi dei Trentino. 5uccessivamente, con l'arrivo dei Celti, le popolazion liguri vengono totalmente assorbite dai nuovi venuti, tante che neppure i Romani, dopo solo pochi secoli, saranno in grado di distinguere tra Celti e Uguri, e definiranno lintera popolazione Galli.

I celti già nel V secolo erano insediati lungo il corso dei Reno e dei Danubio e da queste terre si diffusera in tutte le direzioni: verso accidente (Franda, Spagna e isole britanniche), verso sud (Italia dei nord e Gallia Osalpina), verso nord (Boemia) e verso oriente (Pannonia, Greda e Galizia).

L1nvasione dell'Italia dei nord avvenne attomo al 390 a.C., mentre l'espansione verso la costa mediterranea si campi tra il 350 ed il 218 a.C. e Delft venne saccheggiata dalle orde celtiche nel 279 a.C.

L1nsieme di queste migrazioni, ed il conseguente insediamento celtico in quasi tutto il territorio europeo, si collocano tra il V ed il m secolo a.C., doè durante il cosiddetto periodo di La Tène.

In questo periodo, come attestato appunto dalla dviltà di La Tène, i Celti, eredi della cultura iIIirica di Hallstatt, erano in possesso di una ben sviluppata tecnica della lavorazione dei ferro, documentata da oggetti sia di usa comune che decorativo ed artistico.

Per quanta riguarda la lingua, quella dei cefti era una lingua indoeuropea, appartenente al gruppo germanico. le fonti scritte mancano quasi dei tutto, ma l'unità linguistica dei territorio è ben attestata dai toponimi : il suffisso dunum (città) è presente nelle Gallie in Spagna, in Inghilterra ed in • t 6

Pannonia, e diffusi ovunque sono durum (dttà fortificata), segu (angolo fortificato), ritus (guado) e magus (campo). Per quanta riguarda in modo • particolare il Piemonte le tracœ della lingua celtica sono numerosissime : Alpi sembrerebbe derivare dal celtico alp 0 alb, con il significato di altura, mentre la 5tura e la Dora (due fiumi della regione) deriverebbero i lara nomi

rispettivamente dalle radid celtiche storm e douro 0 dur, entrambi con il

significato di acqua corrente. 5empre di origine celtica, 0 almeno celte-ligure, è il nome dei Monginevro, dalla radice genev, porta. (2)

La conquista dei territori celtici da parte di Roma ebbe inizio poco dopa la fine della prima guerra punica, quando le legioni si spinsero nelle regioni costiere dei Uguri, pe~ punirli dell'aiuto concesso a cartagine, e, verso il 221 a.C., si spinsero in territorio piemontese, superando il Ticino. Questa prima occupazione non ebbe alcun esito, perchè nel 218 a.C. Annibale valicà le Alpi e tutte le popolazioni celtiche, con l'esclusione delle tribù dei Taurini e degli 5tazielli, che si mantennero neutrali, si schierarono a fianco dei cartaginesi.

Dopo la battaglia di Zama (202 a.C.), Roma riprende la penetrazione verso le terre piemontesi e la conquista della parte meridionale della regione puà dirsi condusa attomo al 173 a.C. e nef 148 a.C. Postumio Albino costruisce una strada che collega Genova con Piacenza e Cremona, dalla quale, in seguito, si dirameranno i collegamenti con i passi alpini.

Nonostante i Romani si presentino come padficatori in numerose liti che scoppiano ripetutamente tra le diverse tribù, la loro presenza in Piemonte non pua ancora definirsi una conquista vera e propria : questa awiene piuttosto come una penetrazione in diversi tempi, per mezzo di colonie, che fungono da teste di ponte per le marce successive verso le pianure e le Alpi. Un'occasione per un ulteriore avanzamento è fomito ai Romani dalla Querra • contra i Ombri ed i Teutoni : con la sconfitta dei Ombri ai campi Raudii 7

(probabifmente la Baraggia vercellese) nel 101 a.C., Roma conquista numerosi nuovi territori e vi insedia i suoi veterani, dando cosi inizio al • processo di romanizzazione dell1ntera regione.

Con l'impero di Augusto la conquista e la romanizzazione dei Piemonte possono dirsi complete, se per ramanizzazione si intende amministrazione e struttura delle nuove città, oppure la costruzione di strade, che ben presto collegano tutti i maggiori centri delle pianure can i valichi alpini, armai frequentatissimi da mercanti provenienti da tutto l'impero, oppure ancora l'insediamento di numerosissimi veterani delI'esercito sul territorio piemontese, a scapito dei preœdenti proprietari celtoliguri. Questi stanziamenti ed i traffid, natura1mente, contribuiscono anche a diffondere la lingua latina, almeno per tutti gli usi ufficiali e di commerda e questo risulta ben visibile nei nomi di città, che acqui5tano forma romana, come Alba Pompeia, Augusta Bagiennorum, 5egusium, Hasta Pretoria, pur conservando la loro radice celtica.

Nonostante tutta questa apparente romanizzazione, tuttavia, il carattere e la civiltà di Roma restano, se non dei tutto, almeno parzialmente estranei ai Celtoliguri, e pare che il processo di assimilazione nan abbia alcun effetto, in particolare Fra le popolazioni delle colline 0 delle montagne, mentre qualche successo in più si registra fra le popolazioni delle pianure. Il substrato celtoligure resiste e prospera a dispetto della dominaziane e questo fatto è ben dimostrato dalle forme di arte che sono soprawissute, e che, a dispetto della romanizzazione, continuana a fiorire seconda la loro forma originaria.

Con la decadenza deJl'impero avviene un rimescolamento delle popolazioni, quando altre genti si sovrappongono sui celtoliguri, dai Longobardi ai Saraceni: ma, nonostante le diverse influenze, fa cultura celtica riuscirà in • qualche modo a soprawivere, fondendosi con quelle delle popolazioni 8

successive solo in parte, acquisendo abitudini, costumi e termini linguistid nuovi, ma in definitiva, mantenendo attraverso i secoli alcune delle • caratteristiche principali di quella popolazione che a lungo fu la dominatrice dei territorio.

Per Quanta riguarda la religione, naturalmente con la conquista romana, oltre alla lingua, fu introdotta nella Gallia transalpina anche la religione ufficiale dei conquistatori, i Quali, perà, molto pragmaticamente, non pretesero che le

popolazioni assoggettate abbandonassero la loro fede 0 il loro credo,

accontendandosi di assimilare le divinità romane aile divinità celtiche più 0 mena corrispondenti, e imponendo solamente il cuita dell1mperatore divinizzato.

Nonostante questa permissività da parte dei dominatori romani, tuttavia, la reUgione dei celti resta ancora oggi quasi dei tutto misteriasa: sostanzialmente QUesto si puà far risalire a due diversi motivi. Il primo èche i celti privilegiarono sempre la trasmissione orale, rispetto a queUa scritta, anche se non poche sone le scritture runiche che si possono rîtrovare, mentre il seconde deriva dal fatte che, con l'avvento dei Cristianesimo, si cerro in tutti i rnodi di sradicare dalla società tutto quanta di pagano ancora esisteva, sia nella cuttura che nelle tradizioni. Questo processo di annientamento della cultura pagana continuo per lungo tempo, con successo relativo : dove la nuova religione non riusci a sradicare le credenze antiche le inglobà in forme sincretiche, che resistono sine ad oggi, ma che tuttavia lasciano trasparire la

loro origine più lontana, sia questa celtica, 0 romana 0 ancora di altre origini, ma sempre precedente l'awento dei Cristianesimo. • 9

1. 2. DMNITA' E RITI CELTIC! - RELAZIONE CON LE TRADmONI • DELlE LANGHE

Le Langhe sono una regione di colline che si susseguono come onde, a cavallo tra le province di Asti e di Cuneo.

5tranamente, il viaggiatore che proviene da Torina si trova, dopa una ripida e lunghissima discesa, in una regione di continue valli e alture, che tuttavia non raggiungono mai il livello dell'altipiano su cui sarge il capoluogo piemontese. Le Langhe, infatti, si trovano quasi al centra di una profonda e vasta depressione, situata tra l'altipiano torinese ed i primi contrafforti delle Alpi Marittime, a sud, e Cozie, a ovest. La posiziane geografica e, nel passato, la difficoltà delle comunicazioni, hanno fortemente contribuito ad isolare la regione, parzialmente almeno, dalla cultura dei territori circostanti, e, di conseguenza, hanno contribuito alla conservazione di usi, tradizioni e credenze più antiche che non neIle terre limitrofe, che offrivano un accesso più agevole e, sovente, condizioni climatiche più favorevoli.

Le Langhe, anche se più isolate rispetto aile altre regioni, erano comunque parte defla Gallia dsalpina ed alla mitologia delle due Gallie è opportuno rifarsi per interpretare le tradizioni e le credenze, che ancora sopravvivono nella regione.

Per quanta riguarda la mitelogia e la religione delle Gallie, Osalpina e Transalpina, esiste un gran numero di testimonianze di autori dassici, anche se non tutte risultane originali, poiché sovente, scrivenda di religione e di etnologia delle popolazioni barbare, d si rifaceva ad autori precedenti. a si trova, pertanto, continuamente rimandati a quanta sentte neIle opere di • Poseidonio di Aparnea, SCTittore dei n secolo a.C., purtroppo completamente 10

perdute e conosciute sofamente attraverso riassunti di epoche successive. Notevole tra questi è quelle di Timagene, dal quale hanno sucœssivamente • attinto Strabone (64 - 23 a.C.) ed Ammiano (330 - 400 d.C.). Nessuno di questi autori tratta in modo specifico della religione dei Celti, tuttavia i lorD riferimenti ai druidi, aile loro credenze ed al foro ruola nella società sono particalarmente interessanti.

Anche Cesare, nel VI libro dei De bello gallicQ, dedica atcuni capitoli alla religione celtica, rifacendosi ad Apollonio Radio (m secolo a.C.) e famisce l'interpretatio romana delle prindpali divinità celtiche.

cesare elenca una serie di dei e dee celtid, che menziona con appellativi romani, ponendo in primo luogo Mercurio, seguito da Apollo, Marte, Giove e Minerva (3). In realtà, la sua è una specie di mimetizzazione, in quanta le differenze tra le divinità romane e quelle celtiche sono occultate da un1dentificazione globale, che rende il riconoscimento degli originali celtid estremamente problematico e moite sono le ipotesi che possono sorgere da un tale procedimento: in agni casa questo esula dalla scapa di questa trattazione, in quanta mi pare molto più utile soffermarmi su alcune divinità femminili, che potrebbera avere una qualche connessione con le tradizioni ancora oggi vive in Piemonte, in particolare con il diffusissimo cuita delle masche, come sono chiamate nella regione sia le streghe che le fate.

Cesare, dunque, menziona tra le principali divinità celtiche Minerva : questa era pressa i Celti la patrona dei mestieri, sia maschili che femminili, e della guerra, e le sue funzioni sembrerebbero dei tutto simili a quelle dell1r1andese Brigid (4).

Brigid è stata messa in relazione con il fuoco rituale, che porta la guarigione, • ed alla stesso tempo è considerata propiziatrice di fertilità, in rapporta, LI

quindi, can le Veneres; chiamate anche matres 0 matronae, ed era particolarmente venerata durante la testa dell'[mbo/e; 0 Aime/c, che si • celebrava il 10 di febbraio. Questa festività cadeva all1nizio dei periodo di lattazione delle pecore, e sembrerebbe da collegare ai riti di purificazione, dopa le cfifficaltà ed i pericoli delrmvemo. Il 2 di febbraio si celebra ai nostri giomi il rita della cande/ara, come ringraziamento per la fine della brutta

stagiane, presente, più 0 mena con le stesse caratteristiche in moite regioni europee, oltre che in Piemonte, specialmente nelle aree rurali: i fedeli si recano in chiesa per la benedizione della gola (un rito di purificazione) e portano a casa le candele benedette dal prete. In una delle testimanianze da me raccolte nelle Langhe, una vecchia contadina dice:

« II 2 febbraio si chiama la Madonna della Cande/ara. Andiamo a prendere la candela e poi, quando arriva un temporale, l'accendiamo, perché ci protegga dagli spiriti. La teniamo accesa finché il temporale è passato, poi la spegniamo. Il giorno della candelora tutte le candele vengono benedette dal prete. Benedice il mucchio, pei ne dà una per famiglia. »

Questa affermazione riguardo alla protezione offerta dalla candela, potrebbe essere collegata con il potere dei fuoco sacra, concetto molto diffusa in tutte le società primitive, e, naturalmente, anche tra i Celti.

Per sottolineare la possibile soprawivenza dei cuita della Minerva celtica, mi vorrei rifare ad un'antica tradizione irlandese, neUa quafe Brigid è stata cristianizzata in santa Brigida. Seconda questa tradizione a Kildare, in Irtanda, nel convento dedicato alla santa, un fuoco sacra veniva accudito da diciannove monache per didannove giomi, mentre il ventesimo santa Brigida stessa compariva a prendeme cura : questo si direbbe mettere in evidenza sia l'irnportanza ed il grande significato attribuito al fuoco sacre, sia la persistenza dei cuita della dea celtica, che è stata trasformata in una santa • cristiana, ma non ha perduto le sue funzioni. 12

5empre a proposito di Minerva/Brigid ho menzionato le Veneres; 0 matres, a • matronae, che avevano il ruolo di propiziatrici di fertilità. Questa cuita è antichissimo e sona stati ritrovati esemplari di statuette votive, aventi funzioni magiche e propiziatorie, si pensa, appartenenti alla più lontana preistoria dei monda. Queste statuette, realizzate già a partire da trentamila anni or sono, presentano un'esecuzione uniforme in tutta Europa e in tutta l'area di civiltà indoeuropea. Le medesime statuette steatopigie sono presenti anche in moite regioni asiatiche e la tipica esagerazione nel rappresentare seni, flanchi, natiche e ventre non si deve intendere come enfasi sulla donna come oggetto sessuale, bensi come medium per propiziare la fertllità e la fecondità (5). La maggior parte delle immagini ritrovate appartiene al Paleotitico superiore (tra il 27.000 ed il 23.000 a.C.) e tra le più note si annoverano la Venere di Do/mi Vestonice (Boemia), il Gruppo dei Balzi Rossi (Uguria) e la famosissima Venere di Willendorf(Austria).

Le matres, a veneres, rappresentano la madre e questo è il simbolo più immediato per concepire l'energia vitale ed il suo perenne rinnovarsi, per questo vi si deve scorgere une strumento magico legato ai culti della fecondità, non tanto in relazione all'uomo, quanta piuttosto al rapporta uomo­ natura ed al continuo cielo di vita-morte-resurrezione (6).

Proprio a questo cielo, vita-morte-resurrezione, sono collegati i mo(teplid miti delle dee madri, dei quali si hanno numerosissimi esempi nelle mitologie sia mediorientali che europee~ Basti pensare a Inanna e Dumuzi, Ishtar e Tammuz in Mesopotamia, Iside ed Osiride in Egitto, Afrodite e Adone in Greda ed in Asia Minore, oltre a Obe/e, a Demetra ed ail'Afrodite asiatica.

Inanna, Ishtar, Afrodite, abele e Demetra sono tutte dee madri, e, pur • presentando nei (oro miti notevoli differenze, hanno tutte malte 13

caratteristiche in cemune. In primo luago i foro culti sono estremamente antichi e strettamente connessi con i dcli della natura. In seconda luaga tutte • le dee madri presentano nella loro personalità due aspetti opposti : la datrice di vita è anche colei che la toglie. Sono, pertanto, tutte dee della fertilità e tutte sono connesse con l'altretomba. Tutte, inoltre, richiedono una qualche forma di sacrifide : infatti i loro consorti devono martre, affinché il cielo vitale possa rinnovarsi con la resurrezione della natura. La dea ed il cansorte risorto si uniscano, quindi, nuavamente in lEpoçy~oç, propiziando in questo modo il rifiarire della vita. Demetra è l'unica dea madre che non sacrifica un consorte, ma, invece, una figlia : in agni modo il significato rituale resta inalterato, perché can il ritomo di Persefone, sulla terra ritama anche la vita (7).

Per quanta concerne i Celti, il culto di una Magna Mater è diffusa in tutto il lora territorto ed accanto a questa forma generalizzata, che indude tutta il cido della vita e della morte, si trovano molto sovente le matres rappresentate come una triade, fatte questo che sembrerebbe indicare le tre diverse età della vita femminile : la vergine, la madre ed infine la maga, che per mezzo delle sue arti magiche è cannessa con l'oltretomba e propizia la resurrezione(8). E' evidente in questo casa la somiglianza con il mita di Osiride, che, ucciso e smembrato da seth, yenne ricomposto e resuscitato da Iside, sorella e sposa, per mezzo di arti magiche. Il mito egizio, inoltre, si spinge tante in rà nel sua esoterismo da asserire che Iside concepi il figUo Horus dal marto Osiride per mezzo della magia (9), magia che è anche strettamente connessa ai miti mesopotamici di Inanna e Dumuzi e di Ishtar e Tammuz, mentre sembra essere assente nei più tardi miti ellenid (10).

1 mm delle dee madri erano diffusi ovunque, tra le popolazioni asiatiche 0 dell'Asia minore, nell'area mediterranea e indoeuropea,. presentavano notevoli • similitudini nella loro concezione anche tra popolazioni che non erano in 1.J.

diretto contatto tra di loro, fatte che potrebbe far pensare ad un'origine, più 0 mena simultanea, in luoghi diversi, oppure anche ad un'origine comune, per • quanta sconosciuta e nan specificabile, ed erana, inoltre, radicati in modo estremamente profondo nell'anima delle popolazioni, al punta che si potrebbe interpretare il mita della Vergine Maria, addolorata per la marte dei figlio, come una rivisitaziane cristiana dei mita di Afrodite e Adone (11).

Pressa i Celti, aile dee madri, apportatrid di fertilità, erano assodate le dee tutelari dei fiumi ed in particalare delle sorgenti, dal momento che l'acqua era riconosciuta come principio indispensabile alla vita e, quindi, apportatrice di fertilità. Queste medesime divinità govemavano anche le tempeste e le piene dei fiumi, ed avevano anche un aspetto distruttivo : compare quindi, anche in questo caso, il tipico dualismo delle dee madri, donatrici di vita e di morte (12). A queste stesse dee madri erano cannesse anche le dee della guerra, conosciute con nami diversi seconda i luoghi, sovente rappresentate da una triade di guerriere. Il cuita più diffusa era tributato alla triade che comprendeva Badb, Morrigain e Nemain.

La prima, 8adb, è una dea spiccatamente guerriera, che usa, non di rada, combattere per mezzo della magia e sovente si mostra in forma di cornacchia. In apparenza è una figura sostanzialmente demoniaca, ma, nonostante QUesto, è legata ai riti della nascita, presenta, cioè, il dualismo proprio delle matres : datrice di vita ed apportatrice di morte.

Di Nemain, a parte il nome, non si conosce nulla, mentre di Morrigain il cui nome in irlandese significa regina dei fantasmi, si sa che è un'abilissima maga, che combatte per mezzo delle sue alti magiche e, sempre per mezzo

di queste, pua risanare 0 addirittura riportare alla vita. Morrigain, con il nome • di Morgain la Fè, sopravvive nelle leggende dei cido arturiano (13) . 15

Per quale motiva si pose in tutte le società primitive, quindi anche in quella • eeltica, un accento tante forte sul potere femminile? Si potrebbe dire, seguendo un1nterpretazione junghiana (14), che nell'archetipo della dea madre si ritrovano i sentimenti primerdiafi, il magico della procreazione ed il potere che ne deriva, la saggezza che trascende i Umm della ragione, tutto cio che è benevolo, flessibile, tollerante; do che è necessario per crescere, la fecondità, il nutrimento. Inoltre, dal prindpio femminile, si origina fa magica trasformazione da essere impotente ad adulto patente, trasformaZione vista come una morte inziatica e una rinascita. Dai principio femminile si originano ancora 11stinto e tutte do che è segreto ed occulta, le tenebre e, per estensione, il monda dei morti. Dai principia femminne nasce tutte dô che affasdna e seduce, insieme con dà che provoca angosda e, infine, la morte stessa (15).

AgU albori della civiltà troviamo quasi davunque tracce di società matriarcali, nelle quali il potere apparteneva aile donne quali detentrid della fertilità e dei mistero connesso con il concepimenta e la nascita. In particolare le società agricole ebbero una più forte tendenza matriarcale, poiché nell'archetipo femminile erano presenti riferimenti chiari alla terra, che produce gli elementi necessari alla continuazione dei cielo vitale. Per questo le dee madri divennero nella coscienza dell'uomo primitivo l'alfa e l'omega della vita, in una visione perennemente dicotomica tra il benigno ed il maligno.

Con una simife concezione della natura fu sofa naturale che il sommo potere di chi govemava la vita e la morte appartenesse aile donne, tuttavia, con il passare delle generazioni, quando il mistero dei caneepimenta sessuale fu meglio compreso, dalla società matriarcafe si passà ad una patriarcale, ad una visione androcentrica, conseguenza di un nuovo atteggiamento culturale • e psichico, che poneva il padre creatore in una posizione preminente rispetto 16

alla madre generabice. Le mitologie ci affrona la conferma di questa evaluziane: si consideri, ad esempio, il mita babiIanese di Apsu, prima • sconfitto da Tïamat, sua sposa e madre dei suoi figli, ma a sua volta sconfitta da Marduk, che attiene, cosi, la supremazia sugli dèi di Babilonia (16). La stessa cosa si puà notare nei miti greci riguardanti Gea e la supremazia di Zeus sugli alm Olimpici ed è una chiara dimostraziane della vittaria dei patriarcato sul matriarcato originario.

Questo passaggio di poteri awenne, certamente, in tempi molto anteriori a queUi storici, dal momento che le nastre canascenze si basana essenzialmente sull1nterpretazione dei miti, mentre, per quanta riguarda i Celti, le informazioni che abbiama riguardano, in massima parte, il periodo storico e non si estendona oltre il IV secolo a.C. Queste attestana, se non l'esistenza di una vera e prapria società matriarcale, almeno la presenza di una particorare considerazione nei riguardi delfa parte femminile della società, che godeva di diritti e di poteri molto superiori a quelli esistenti nelle società della stesso perioda ed in particolare in quella romana. Il motiva è forse da ricercarsi nel fatto che la cultura celtica resta sempre, attraverso la sua storia, molto legata alla venerazione dei fenameni e degli oggetti naturati e conservè più a lunga, almena per quanta riguarda la religione e in particolare la magia, una specie di tradizione matriarcale, che, per quanta si debba considerare, da un certo punta di vista, estremamente primitiva, sembra essere ancora viva oggigiomo nelle aree degli antichi insediamenti celtici (17).

Pressa i Celti, altre al cuita tributata ai corsi d'acqua, aile sorgenti ed aile fonti, viste come datrici di vita, quindi assimilate aile dee madri, anche ai monti fu tributato un cuita particolare, casi come, d'altra parte, anche pressa i Greci i monti furono considerati luoghi sacrL Tuttavia, per i celti divennero luoghi di venerazione anche colline basse e quasi insignificanti, perché essi • considerarono che in quei punti la forza generatrice endogena della terra si 17

manifestasse con particolare potenza. Per la stesso motiva ebbero un cuita i massi erratid isorati sparsi dalle morene ai piedi delle montagne a nelle • pianure. Talvolta questi massi, insieme con i dolmen ed i menhir, non naturali, ma innalzati dagli uomini, erano considerati sedi per le anime dei mOrti, luoghi dove eompiere i sacrifiei, ed il loro culte era radicato tante profandamente nell'animo della popolazione che, nanostante sforzi di agni genere, neppure il Cristianesimo rtusà, in numerosissimi casi, a sradicarlo. Per tentare di esorcizzare QUesta credenza, molto sovente i massi furane inglabatl nelle chiese cristiane ed assimilati nel cuita dei santi locali. Gii esempi di questa cuita sincretica sono innumereveli in tutta il Piemonte e, in pratica, nen esiste chiesa di campagna che non sia addossata ad un masso. L'esempio più conosciuto e famoso è quello dei santuario di Oropa, nel Biellese, dove esiste il cuita di una Madonna Nera (forse in origine una matef). Qui una grande chiesa, ricostruita in perioda rinasdmentale su una base molto più antica, si appoggia, con un intero fata, ad un enorme pietrone, ai piedi dei quale sgorga una sorgente.

Molto significativa fu anche la venerazione tributata agli alberi (18), come manifestazione fisica evidente dell'etemo cielo naturale di nascita, morte e resurrezione. Una particolare venerazione avevano il tasso, il sambuco, il sorbo selvatico, il biancospino ed il nocciolo, e forse proprio in ricardo di questo, ancora oggi, nelle campagne piemontesi, i campi sono delimitati, per fa maggior parte da piante di nceciolo e di sambuco. Tra gli alberi, la Quercia, come d'altra parte anche nel mondo greco, ebbe una venerazione dei tutto particolare, ma, più che come albero magico, come il nceciolo ed il sorbo, fu venerata per la sua maestosità e, come a Dodona, dalle sue foglie si traevano auspid. Strabone racconta che alcune popolazioni celtiche si radunavano in un querceto sacra per le faro cerimonie (19), mentre Lucano riferisce di come le ghiande venissera mangiate per propiziare la visione dei futuro: Dryadae • glandibus comestis divinare fuerant consuetL Nonostante questa forma di 18

venerazione particolare per la Quercia, è totalmente sconosciuto se i druidi, il cui nome è stato talvolta, erroneamente, associato alfa querda, abbiano mai • avuto un rapporto preferenziale con questo albero : non sappiamo nulla oltre Quanta attestato da PUnia (20), àoè che i druidi avrebbero tagliato il vischia dalle querce cen una piccela falce d'oro, fatto che prova solamente il grande significato magico-rituale attribuito a questa pianta parassitaria.

Il cuita attribuita agli alberi ed ai boschi sacri rappresentè un seria scaglia, casi come anche quello dedicato aile grandi pietre, per gli evangelizzatori, che non essendo riusciti a sradicarfo, si diedero ad abbattere interi boschi, cansiderati sacri dalla popolazione, suscitandone, talvotta, reazioni violente, came racconta, ancora nel V secolo, Paolino (21). Unica soluziane per ovviare

a questa difficoltà fu quella di associare all'albero un1mmagine 0 una leggenda sacra, cristianizzandone, casi, il cuita.

Ministri dei cuita e maestri erano pressa i Celti i druidi, una casta a parte di sacerdoti e di sacerdotesse, che godettero attraverso i tempi di fama alterna. Alcuni studiosi modemi (22) vorrebbero vedervi null'altro che sdamani, esperti di magia, stregoni. AI contrario, la tradizione classica li tenne in grande considerazione e, seconda quanta detta nel De clarorum philosopharum vatis di Diogene Laerzio (m secolo d.C.), Aristotele stesso li avrebbe definiti inventori della filosofia ed avrebbe Iodate le lare teorie circa l'origine e la fine dell'uomo.

Ocerone parla con grande ammirazione dei druida Divitiacus (23), Tacito implicitamente conferma che i druidi non erana sempfid maghi (24) ed ancora Cesare (25) asserisce che i druidi godevano di una grandissima importanza nella vita sociale e politica delle Gallie. In particolare egli mette in evidenza la laro attività di educatori e puntualizza che mufti accorrono pressa • le seuole druidiche, ma solo nonnulli perseverano sina a comptetare 19

I~struzjone (26). Egli anche fa notare che le teorie insegnate dai druidi vertevano sullirnmortalità deWanima e la metempsicasi atque hoc maxime ad • virtutem exdtari putant, metu mortis neglecto (27). Tutti i druidi delle GalIie usavano riunirsi annualmente in un locus consecratus, aggiunge ancora Cesare, e l'autorità di questo condlio era indiscussa in tutta il territario gallico.

Il termine druido, piuttasta che derivata dal greco, con il significato di conoscitore di querce, potrebbe derivare dalla radice celtica druwids, che significa molto saggio, can allusione aile numerose conoscenze, proprie di questi sacerdoti, nelle dottrine esoteriche, suU1mmortalità dell'anima, in una speciale forma di magia naturalistica, nella cosmogonia, escatologia e nellinterpretazione e 10 studio dei fenomeni naturali e celesti (28).

Vati e bardi, come i druidi appartenenti alla casta sacerdotale, e per questo in un certo modo separati dal resto della società, erano considerati diversi e godevano dei massimo rispetto pressa le popolazioni celtiche. Strabone spiega le funziani dei vati come quelle di sacerdoti sacrificanti ed esperti di scienze naturali (29). Il termine orginale, tradotto con il greca OU~ ed il latine vates, potrebbe essere lirlandese Faith, che significa veggente, profeta. 5embrerebbe, inoltre, simile al gotico wods, che significa ossesso ed al medio-alto tedesco wut, che si puà tradurre con violentD turbamento spiritua/e. Le funzioni dei vate, quindi, dovrebbero essere state quelle di un sacerdote indovino, capace di trasferirsi in une stato di trance profetica.

Ai bard;' altrettanto onorati dei druidi e dei vati, spettava, invece, la trasmissione orale della poesia e della storia. Inoltre erano spesso considerati messaggeri degli dèi, grazie al potere evocativo ed ispirativo della loro arte. Le tre funzioni erana, comunque, molto strettamente connesse e sovente si • sovrapponevano (30). 20

Esisteva anche una casta di sacerdotesse : se in alcuni resoconti si parla di • queste come di guerriere (31), ed in alm ancora come di gruppi di donne che seguivano un cuita prettamente menadico (32), nella maggior parte dei casi ci si riferisce aile sacerdotesse druidiche come custodi dei luoghi di cuita e dei fuoco sacra, capad di trasformarsi in animali, eccellenti guaritrid di agni malattia ritenuta incurabile ed esperte nel predire il futuro. Anche le druydae erano molto onorate e tenute in grande considerazione e basti dire che non solo esse avrebbero predetto esattamente la morte di Alessandro severo (33), ma che anche 11mperatore Aureliano avrebbe interrogato le gallicanas druydas(34) per conoscere il future.

Questi sacerdoti e sacerdotesse, onorati e venerati, erano tuttavia, posti a parte, quasi separati dal reste della società: fa loro sapienza li rendeva degni di rispetto e di timore. A questo timore reverente nei confronti di esseri ritenuti diversi, si puà forse riallacciare la credenza nei settimini e neIle

masche, diffusa, più 0 mena dovunque, in tutto il Piemonte.

Per quanta riguarda i settimini , si tratta di uomini 0 donne, indifferentemente, (anche se le interviste che ho raccolto riguardano un uomo, la tradizione popolare ricorda donne che nel passato hanno avuto poteri simili), fa cui nascita awenne dopo soli sette mesi di gestazione. Questa anomalia conferisce loro, nella coscienza popolare, dei poteri particolari di guaritori, la capacità di conoscere il future, la conoscenza delle erbe e deI loro usa: in una parafa, possiedono tutte le abilità che erano proprie dei druidi, dei vati e dei bardL

Alcune testimonianze raccolte neIle langhe attestano la fiduda, totale ed assoluta, che fa popolazione contadina ha nelle capadtà di questi diversi, che, • a mie parere, fanna rivivere, attraverso strati sovrapposti di differenti culture, 21

le figure dei sacerdoti deI passata, anch'essi considerati divers; e posti a parte • dalla comune sodetà. Naturalmente il cuita dei diverso, dei segnato da Dio, non è solo celtico: tuttavia è anche celtica, dovunque abbia avuto la sua origine, quindi per un semplice motiva di economia storica, per cosi dire, la considera qui come celtico quando è riferito al Piemonte, pur tenendo presente la sua esistenza pressa altre culture.

Questa fiduda nei poteri sovrannaturali dei diverso è ancora estremamente viva in tutte le zone rurali deI Piemonte e in particolare nelle Langhe, dove ho raccolta le mie interviste, alcune delle quali sono raggruppate neWApoendice.

Questo fatto porterebbe a presumere che la tradizione dell'antica civiltà sia ancora viva nelle comunità di campagna, dove tutti fanno uso della tecnolagia dei ventesimo secolo, ma dove, per awenimenti particolari, ancora si tende a cercare spiegazione ed aiuto nell'esoterica. Esaminiamo, ad esempio, il casa molto ben documentato dei settimino di Incisa, un uomo nata dopa una gestazione di soli sette mesi, un diverso quindi, al quale sono attribuite doti profetiche, di onniscienza, l'abilità di curare malanni e malattie e la capacità di risolvere agni genere di problemi, riguardanti sia gli esseri umani che gli animali. Nel settimino, oltre l'ombra dei grandi druidi, indovini, saggi e guaritori, si potrebbe scorgere anche la dicotomia tipica delle dee madri, alla base della religione dei Celti, sempre sospese tra bene e male, tra l'essere damci di vita ed insieme apportatrid di morte. Si prenda ad esempio l'episodio, presente neIlTAD~ndice, intitolato L1ncredula di Measca, nef quale la donna che non ha fede in Tonina, il settimino, e neppure in Dio, non ottiene nessuna grazia e viene colpita da sventure terribili. Si potrebbe dire che il sacrifiào, preteso • dalle dee madri si sia trasforrnato in una richiesta diversa, ma altrettanto 22

impeflente : è richiesta una fede assaluta nella divinità e, ancora più importante, nelle capacità miracolose dell1ntermediario, doè dei settimino • stesso. Inoltre, dopa avere cansultata questo saggia, si solevano lasdare offerte valantarie, e non solledtate, per la costruzione di una cappella e questa potrebbe essere vista come sacrifido che il postulante accetta di fare, in ringraziamenta per l'aiuto ricevuto, mentre il fatto che il saggio non pretenda, e che neppure accetti un pagamenta per i suai consigli, colloca il sua interventa, miracoloso e non, nella sfera dei sacra, piuttosto che in quella economica, dove il sapere è profana e si riduce ad una semplice merce di scambia.

Per quanta, invece, riguarda le sacerdotesse, le druydae, pensa che la tradizione popolare le abbia trasformate nelle masche, essert sospesi tra umano edivine, partecipi di una doppia natura : quella di esseri umani, fomiti di conoscenze ed abilità che li pongone al di sopra dei comuni mertali, e quella di divinità che hanna scelta di vivere tra gli esseri umani una vita quasi normale, per une scapa incamprensibile ai più.

• • 1. 3. MASCHE E STREGHE

Il Cristianesimo, nel suo cammino per affermarsi come nuova religiane rivelata, si è scontrato can le antiche credenze, particolarmente dure a marire nelle isofate zone rurali, e nel tentativo di sradicare agni manifestazione pagana ha demonizzato e reso negative le figure delle masche. Queste, da sacerdotesse della grande madre, in parte partecipi della sua natura sovrannaturale, quindi, come la madre stessa, in equilibrio dicotomico tra bene e male, sono state trasfarmate, anche se in tempi relativamente recenti, in streghe, can una connotazione preminentemente negativa.

In origine le masche non erano nè buone nè malvage : erana semplicemente diverse. Oggi, invece, anche se talvolta nelle campagne si puà ancora trovare l'interpretaziane neutra della masca, prevale Quella negativa nei confronti di QUesti esseri che un tempo, ora benefici, ara malefici, facevano parte della

vita Quatidiana ed erano ritenuti responsabili dei fatti misteriosi 0 imprevisti per i Quali non fosse possibile trovare una spiegazione immediata ed evidente.

In Piemonte le streghe sono, ancora O9gi, chiamate masche, termine Questo già presente nel latine medievale. Nell'Editto di Rotari dei 643 d.C., legge 197, infattî, si puà (eggere « Stria QUod est masca», indicaziane che il termine masca ha armai sostîtuito il più dassico stria.

Ma il termine strega ha veramente 10 stesso significato di masca?

StTega proviene dal latino strix, e si riferisce ad un uccello nottumo: il • barbagianni, menzianato, tra gli altri, da Plinio, Virgilio ed Ovidio, ed al quale, fin daU'antichità vennera attribuite abitudini perverse e maligne in quanta si riteneva che succhiasse il sangue dei bambini, accusa, questa, che fu rivalta • anche aile masche ed aile streghe in tempi cristiani. Il termine strix dapprima indice le lamiae (35), pai, in epoca dassica, te sagae ed infine si identifice can le veneficae mulieres in generale (36). A canferma dell1dentificaziane, di masca con strega, nel vocabolario piemantese-Iatina di Michele Vapisco, edita nel 1564, questo termine viene tradotta con saga, lamia, strix e venefica (37). AI giorno d'oggi sono presenti, seconde le regiani, ara l'une, ara l'altro termine, con una netta preferenza, per quanta riguarda il Piemonte occidentale, l'arco alpino e la Uguria, per masca.

L'etimologia di masca è molto confusa ed incerta : l'unica indicazione sicura è che non deriva dall1taliano maschera, e che, anzi, potrebbe essere vero il contrario. Infatti, in piemontese (ed anche in ligure, le due lingue regionali che hanno in camune questa termine), l'equivalente di maschera è mascra (38), che in latina dassico era tradatto can persona e, più raramente, con os (39) : sembrerebbe, quindi, non esistere alcuna connessione linguistica tra il termine Iigure-piemontese, il latine e 11taliano.

Il significato di masca, almene nella Iingua piemontese, è, invece assolutamente certo ed è di strega, maliarda, incantatrice, fata (40), dei tutto bivalente, quindi, per quanta riguarda il sua significato etica, mentre solo

nella Iingua dei basso popolo pue, a volte, assumere il significata di spirito 0 anche di ombra di un morta (41).

se il sua significata, sempre per quanta riguarda il piemontese, è assolutamente certo, e ambigua si dovrebbe aggiungere, la sua origine resta dei tutto incerta ed oscura: potrebbe derivare da un termine italico, preromano, mask, con il significato di scuro (42), cosi come potrebbe derivare • da un tema, ancora preromano, camune a tutte le popolazioni mediterranee, 25

maska, di significato sconosciuto (43). A Quest'ultima potrebbe essere callegata un'altra etimologia, estremamente affasdnante, che deriverebbe il • termine masca dall'arabo : storicamente questo sarebbe possibile, se solo si pensa aile scorrerie saracene in Piemonte ed in Uguria, proseguite sin dopa l'anno 1000, che hanno lasciato non poche tracce nelle lingue di queste due regioni, e che sarebbe canciliabile anche con l'origine mediterranea dalla sconosciuto maska, che potrebbe, can facilità essere passato nella Iingua dei conquistatori saraceni. L'originale arabo potrebbe essere il verbe ~ (masakha), che in una sua accezione significa trasformare in animale, e da questo viene t~ (mamsukh) participio che significa trasformato in animale e il sostantivo ~--..... (maskh), che indica l'operazione stessa della trasformazione (44). II fascino di questa origine è evidente quando si pensi che la capacità di trasformarsi in animafi (gatti, pecore, cani, serpi) è una delle caratteristiche che le masche hanno in camune con le sacerdatesse druidiche. Per quanta affasdnante, tuttavia, è QUesta un'etimologia possibile, ma, se non dei tutte improbabile, almeno poco probabile. Infatti il verbo masakha viene usato nel Carano (45) un'unica volta e la rivelazione dei libre sacra dell'Islam viene fatta iniziare tredid anni prima dell'Egira (622 d.C.) e si dice sia continuata attraverso altri dieci anni. Questo tissa la prima

attestaziane dei termine arabo circa uno, 0 possibilmente, anche due decenni, nella più favorevole delle ipotesi, prima dell'Editto di Rotari (643 d.C.), documenta nel quale compare, per la prima volta masca con il significato di strega. Come si vede è un1potesi etimologica possibile che apre una lunga serie di ipotesi affasdnanti.

Attraverso i secoH, quindi le masche si sono trasformate in streghe: ma per le popolazioni rurali dei Piemonte hanno, insieme can quelli negativi, anche aspetti positivi e benefid, che le ricallegherebbera con le sacerdatesse druidiche, che tanta influenza ebbero ancora in epoca romana, oppure sono • soltanto le eretiche dell'Inquisizione, che hanno sostituita al cuita di Dio 26

quelle di satana e hanno rappresentato la quintessenza della malvagità e • della perversione? Per rispondere a questa damanda bisogna lasciare da parte le eventuali origini mitiche della stregoneria e dei cuita delle masche per considerare came la stregoneria stessa ed i suoi adepti siano stati giudicati attraverso i secoli, dall1nizio della cristianizzazione dei territori celtici, attraverso gli orrori dell'Inquisizione, sine ai giami attuali, per cercare di capire se l'antica cuita ancora sopravvive, almeno in parte e se le antiche credenze ed i rituali di un tempo lontano hanno ancora un posto nella cultura e nella vita modema.

Per quanta riguarda 11nterpretazione della fecfe popolare nell'occulta, si puà dire che la polemica iIIuminista si è campletamente e, dal punta di vista della ragione, giustamente, disinteressata delle confessioni delle presunte streghe, consideranda molto più importante dimastrare la barbarie e 11rragionevolezza della persecuzione. Di conseguenza, 1'IlIuminismo considerà le confessioni delle streghe null'altro che fantasticherie assurde, strappate aile vittime dalla ferocia e dalla superstizione dei giudici.

Nell'Ottocento, invece, insieme con una corrente di simpatia per la strega ribelle, fu presente 11nterpretazione che attribuiva le confessioni ad

allucinazioni, pravocate da unguenti 0 cibi a base di sostanze stupefacenti, oppure a stati patologici ed isterid. Nel 1921, poi, l'etnologa inglese M. Murray, discepola di J. Frazer, sottalineà 11mportanza delle confessioni rifasciate dalle imputate di stregoneria e ne rivalutà Itattendibifità. Seconda la Murray, Quanta descritta era reale e la stregoneria si riallacciava ad una religione antichissima, un cuIta precristiano di fertilità, nef quale i giudid voilera vedere una perversiene diabolica. Lo scaglia più ardue per giudicare • questa tesi yenne dal fatto che è estremamente diffidle separare, nelle 27

confessioni, quanta è di provenienza inquisitoriale da quanta è, invece, • genuinamente papolare e tradizionale (46). la similitudine tra alcune credenze papolari ed i riti schematizzati da teologi ed inquisitori fu messa a fuoco nell'opera di L. Weiser-Haal (47), che registrà credenze papolari, testimoniate per la prima volta nel X secolo, ma quasi sicuramente più antiche, che riguardavano voli nottumi, soprattutto di donne, in cui non vi era alcun accenno a presenze diaboliche, profanazione di

sacramenti 0 apostasia della fede. Questi convegni sembrano essere stati presieduti da divinità femminili legate ai culti della vegetazione e della fertilità e si riferiscono a popolazioni indoeuropee in generale, quindi non solo celtiche. Si direbbe, comunque, indubbia la relazione cen le matres, il fora culte e, di conseguenza, con le sacerdatesse di questa stesso cuita.

In questa stessa direzione si inserisce A. Meyer (48), che tuttavia, come gli alm prima di lui, non sa spiegare per quale motiva le streghe, se sacerdotesse di un cuita della fertilità, appaiana come nemiche dei racc~lti e delle mandrie, evocatrici di tempeste e causa di sterilità per uomini ed animafi. Tuttavia, se si tiene in consideraziane if dualismo con cui furono sempre rappresentate le dee madri, il loro essere datrici di vita ed allo stesso tempo apportatrici di morte, e se inoltre, si considera che queste tradiziani ci sono pervenute da un tempo in cui la cristianizzazione le aveva armai sostanzialmente mutate e demonizzate, allora si potrebbe anche formulare 11potesi che gli antichi riti non siana in effetti mai morti, ma abbiano subito un processo di sfigurazione, attraverso il quale si è messe in maggiare evidenza l'aspetto distruttivo deite dee madri e, per estensione, quello delle sacredotesse di queste divinità (49) ..

Che casa è dunque mai la stregoneria, che ha in parte sostituito e in parte • inglobato il cuita delle antiche dee della fertilità? 28

Attraverso tutti i primi anni dei Cristianesimo, il Medioevo, attraverso l'Umanesimo, il Rinascimento, fine all'IHuminismo, ed in certa misura fine ai • giomi nostri, la stregoneria potrebbe aver avuto la funzione di capra espiatorio, al quale far risalire i drammi e le traversie che affliggevano l'esistenza estremamente precaria in cui il popelino si travava costantemente. Per ricostruire le vicende delle presunte streghe non bisogna fermarsi ai particalari più evidenti e grossofani dei fenamena, tipo patta demoniaca, cosi come attribuire tutti i fenomeni di questo tipo alla perdita di cultura durante il Medioevo, sarebbe inesatto e troppe riduttivo rispetto aile proporzioni dei fenomeno. Infatti, la credenza nelle streghe, nei lare ambiguo valare dicotomico, ha radici che affondano nel più lontano passato, radici che si consofidarone in archetipi ed atteggiamenti divenuti parte integrante della nostra cuttura. Con la demonizzazione che il Cristianesimo attuà degli antichi eulti diffusi nelle campagne, tutto quanta prima dei suo awento era religiane, rito diffusa e giusta diventè peccato per la sfera morale, delitta per quella civile e, per tutte e due, cià che era diverse, anomalo e per tanta sbagliata (50). Quando il Cristianesima assunse un ruolo dominante, anche la figura della masca, che ancara conservava l'aspetto ambiV3lente delle dee madri, buono e malvagio insieme, andà acquistando le caratteristiche di :

« ...persona che ha un innato carattere mafefico e se l'è canquistato nel corso della vita. In queste casa il male non è una qualità mistica inconscia : essa viene raggiunta con un atto consda. » (51)

Le antiche cerimonie furane allora considerate da un punta di vista che ne stravolgeva il significato primitivo e gli antichi rituali furone colpevolizzati, per una necessità che nasceva dai conflitti interiori di una cuttura e di una società che doveva trovare una ragione per le proprie anomalie e 10 fece imponendo le sue idee su una fascia di persane emarginate e minoritarie, quindi già in • origine, più deboli. Si pensi, a questo proposito, agli esempi della scemo deI 29

villaggio, dei matto e den'uomo selvatico (52) che d riportano ai diversi ed ai • druidi, come parte separata della sodetà, quindi ai settimini, ai benandanti, aile persane nate in giomi ritenuti speciali, considerati esseri fomiti di poteri particolari (53).

La masca in questo contesta assumeva il valore di certezza, in una società che esisteva in un continuo contrasta diacronice tra culte uffidale e culte diverso, uffidoso: il primo era collegato ad una struttura religiosa precisa e

rispettata, più 0 mena sinceramente, da tutta la camunità, mentre il seconda era contraddistinto da un insieme di elementi e di credenze che si opponevano al primo. La strega fu individuata come l'unico mezzo per giustificare l'anomalia, e divenne l'intermediaria tra l'origine dei male (il

demonio, l'eretico, 0, comunque, l'essere negativo) e le vittime colpite da questo stesso male: la distruzione della masca divenne imperativa per eliminare il male ed impedire la sua diffusione (54).

Si potrebbe, dunque, asserire che la credenza nella stregoneria e la lotta contro di essa univano in un'unica realtà le paure collettive ataviche e la latta contro i resti della religione precristiana.

E' necessario a questo punta notare che, se la magia è sempre esistita fin dai primordi delra civiltà, la stregoneria, invece, è un fenomeno relativamente recente, anche se compare talvolta nel mondo c1assico dal quale deriviamo la distinzione tra theurgia, 0 magia bianca, e goeteia, magia nera 0 stregoneria. Con l'afferrnarsi dei Cristianesimo, il persistere di riti antichi accanto ana nuova religione produsse una mescolanza di credenze e di culti magico-rituali e diede origine ad una forma di religiosità diversa, che non mancè di mettere in allarme la Chiesa, perché deviata rispetto ai dogmi ufficialmente accettati. • 30

AI contrario dei popolo, che aveva fusa sincreticamente le diverse tradizioni can la nuava fede, mescolando credenze antiche e magia con il Cristianesimo, • la gerarchia ecclesiastica tenta di cancellare tutte le forme di religiosità legate al paganesimo: perà, solamente quando la Chiesa interpretà le antiche usanze e riti come manifestazioni diaboliche il papola comindo, a sua volta, a giudicarle malvage e dannase. Almeno in parte, si dovrebbe aggiungere, perché in effetti la presenza della nuova religione nan escluse la soprawivenza di credenze e culti precristiani. A questo proposito A.M. Nada­ Patrone osserva che questa fusione :

« •••sembra essere il pradotto dei sincretismo tra alcuni dei più tradizionali terni di rigarismo eccfesiastico,..., ma anche dei persistenti moduli di credenze e culti precristiani, di origine rurale : l'esempia più macroscapico di questa fusione pua essere offerto dal valdese della Val Germanasca, che adorava il sole e la luna genibus flexis, recitando il Pater nostere l'Ave Maria. (56).

5embrerebbe palese che, se per moiti secoli la masca dei papale fu la settimi17â, 0 la gobba; 0 fa matfâ deI villaggio (57), figura che peteva essere

benefica 0 malefica, come erano state le matres e le loro sacerdotesse, che, per il papalo, ne avevano assunto le caratteristiche, al contrario, per il potere costituito, ed in particolare per la Chiesa, la masca divenne un pericolo pubblico, una specie di catalizzatore dei peccato, l'essere che, per mezzo di artifià diabolici trascinava gli uomini alla perdizione morale: questa demonizzazione dei diverso condusse alla nefanda caccia aile streghe.

Il 5 dicembre 1484, papa Innocenzo VIn, con la Summis desiderantes affectibus scatenà ufficialmente la caccia aile streghe, latente, armai, da secoli, presentandola come la giusta repressione contra un male prafondamente radicato nella struttura sociale dei tempo. L'Inquisizione, • istituita da Gregorio IX nel 1232, con la balla di Innocenzo vm ebbe il 3l

compito di perseguire streghe ed eretid, accomunati nello stesso delitto, e • conobbe il suo periodo di maggiore potenza (58 ). Per la strix, la lamia, la masca iniziô un periodo tra i più terribili, drammatid ed oscuri della loro esistenza. 5empre Innocenzo vrn incarico due domenicani, Heirich Institor (Kramer) e Jacob Sprenger, di redigere un'opera che raccogliesse tutte le conoscenze sulla stregoneria, dando loro agni potere e libertà per quanta riguardava giudizio e sentenza (59).

L'opera compilata fu il Malleus maleficarum, una specie di manuale che descriveva il fenomeno della stregoneria nei suoi particolari, esaminava le pratiche magiche compiute dalle streghe e stabiliva i sistemi giuridici necessari per lottare contro la stregoneria, seguendo il sistema dogmatico dominante.

La prima edizione dei Malleus maleficarum è dei 1486: entro il 1669 le edizioni furono trentaquattro (60) ed esso divenne una pietra miliare nella latta contra quelle che era ritenuto il male per antonomasia. Inoltre, con il supporta dell'autorità biblica (61), si trasformè in uno strumento di repressione formidabile, aiutato anche dal clima di paura e di lotta nei confronti di un onnipresente demonio, rinvigorito dalle guerre di religione dei tempo. In aggiunta, quest'opera amplifico enormemente la supremazia della Chiesa nei confronti della giustizia secolare, limitando drasticamente il potere della magistratura, ed evidenzià l'aspetto fortemente repressivo della sodetà verso la parte femminile dell'umanità (non per caso il titolo contiene la voce maleficarum al femminile). Le streghe divennero, cosi, il capra espiatorio della sodetà, oppressa dalla carestia, dalle guerre, dalla povertà e, soprattutto, dall~gnoranza e dalla paura. Cercando di visualizzare il male, Institor e 5prenger si posera come testimoni dei crescente delirio antifemminista, tipico • della società dei tempo, che considerava, da una parte, la donna come anello 32

di congiunzione tra l'uomo e Dio, capace di farsi angelo a Madonna, da un'altra la vedeva came un essere che canduceva ana perdizione attraverso i • piaceri della came, concentrati in un corpe denso di messaggi di lussuria (62). Si pensi, a proposita della demonizzazione della donna, che gli autan dei Malleus maleficarum voilera derivare la parala (oemina da (oe(de) minus, essere can mena fede!

Si direbbe che alla base dell'accanimenta contra le streghe esista la demonizzazione di tutta quanta derivava da credenze precristiane, quindi anche di tradizioni che esaltavano un potere femminife, come quello delle matres, trasposta nelle masche, come eredi delle druydae , potere contrapposta al concetto basilare, proprio della religione cristiana, dei principio maschile, creatore, attivatore della natura passiva, che non poteva accettare di essere messo in crisi dallo squilibrio che si originava quando, in qualche modo, la femmina diveniva superiore (63).

Nei processi per stregoneria, che sotto uno dei loro aspetti, si potrebbero definire come l'estremo tentativo di soffocare una forma di religione superstizioso-popolare in cui la donna era, anche se non in assoluta, sovente predominante, si possona asservare alcuni terni ricorrenti, che vennera presentati came capi d'accusa contra le presunte colpevoli, in aggiunta all'accusa più comune, daè di avere rapporti con il demonio. Tra questi terni, i più importanti e frequenti sono la capacità di leggere il pensiero e di prevedere il futuro, 11ntelligenza pranta e brillante, ('aumento della forza fisica e la presenza di un non meglio identificato signum diabolicum, che poteva variare da persona a persona, ma che sempre rendeva la strega diversa dagli alm. Poteva essere, di volta in volta, un angioma deturpante, un neo di forma

a dimensioni particolari, una particolare beflezza 0 bruttezza, i capelli rassi a • rossicci, gli occhi verdi, ° anche, per assurdo, una partica(are abilità nel 33

curare i mali con pozioni 0 erbe. Anche una sola di queste caratteristiche • poteva condurre la malcapitata sui roghi dell'Inquisizione (64). Un'altra delle accuse ricorrenti rivotte aile streghe era quella di incantrarsi con altre compagne in luoghi isolati, nei quali si celebravano riti in anore di satana, i 5abba., termine che compare per la prima volta nella sentenza di un processo per stregoneria alla fine dei secolo XII in Francia (65). sabba potrebbe trarre la sua origine dalle feste in onore di Bacco sabasio, molto diffuse nell'antichità, e che, con l'awento dei Cristianesimo, cantinuarona ad esse celebrate di nascosto. Oppure potrebbe derivare dall'ebraico sabath, che indica il giorno di riposo e proviene, a sua volta, da 5abathai, saturno, il pianeta che si trova al sua apogeo nelle ore della natte tra venerdi e sabata.

Per recarsi al sabba, le streghe si spalmavano il corpe con un unguenta magico, che permetteva loro di volare al luago prefisso a cavalcioni di una scapa (trasvezione) a in grappa ad un animale (66). Nei luoghi dei riti dovevana sempre ardere dei fuochi e ci si abbandonava a balli ed orge, che culminavano nell'accoppiamento con satana, a con chi la rappresentava. 5embrerebbe, da tutta questo risuftare abbastanza evidente la somiglianza tra questo rituale e le antiche cerimanie di propiziazione della fertilità, comuni pressa maltissimi papoli, Celti compresi. Il vola delle masche al luogo di riuniane, d'altra parte, potrebbe essere un sogna, risultante dall1ngestione di sostanze allucinogene (tipica dei rituali druidici), appure canseguenza della spalmarsi con unguenti, anche questi a base di allucinogeni, appure ancora potrebbe essere l'espressione di un desiderio rimosso dal piano conscio della psiche, per cui ('alluonazione diveniva una specie di schema di vita, una trasgressione per evadere dall'emarginazione che la società imponeva ai diversi (67). • Come si puo vedere, il fenomeno della stregoneria ha in sé malte radici, che spesso si confondono (68). se è vero che nella persecuzione senza pietà, di • cui le streghe furono oggetto, si puo scorgere un forte contrasta tra religioni precristiane e Cristianesimo, è anche innegabile che a questo si sovrapposero numerosissimi altri motivi, sia storici che sociali, come le lotte di religione, il razzismo ed un violenta antifemminisma, oltre a forme psicotiche, originate dalla diffusissima superstizione. Comunque sia, il fenomeno ha lasciata nella storia un lungo, troppe lunga, elenco di sofferenze, tormenti ed ingiustizie, alimentato, piuttosto che cancellato, dai roghi dell'Inquisizione.

Tuttavia, nonostante i roghi, nonostante la mimetizzaziane con riti cristiani, ancara neIle campagne piemontesi si crede nei poteri delle masche, si cansultano i veggenti ed i settimini, si accendono i falo ai solstizi ed agli equinozi e si eseguono pratiche scaramantiche che già gli antichi seguaci dei druidi eseguivana : a tante sono serviti i roghi degli inquisitori, sui quali, si dice, nove miliani di esseri umani, per la maggior parte donne, persero la vita (69).

• 35 • 1. 4. LE FESTIVITA' CELTICHE Un altro importante aspetto della religione dei Celti, che, forse, potrebbe essere ritrovato nelle tradizioni piemontesi, riguarda le festività. Naturalmente, dal momento che i Celti, come la maggior parte degli indoeuropei, erano una società preminentemente agricola, prima ancora che guerriera, le lora celebrazioni rituali riguardavano, per la maggior parte, riti di fertilità e sono proprio QUesti che, forse, possono essere rinvenuti nelle feste contadine delle Langhe di oggi. E' evidente che, proprio perché si tratta di celebrazioni legate all'agricoltura, che riguardano la fecondità della terra e la sua fertilità, non possono definirsi ce/fiche solamente : sono, è avvio, comuni, almeno nella loro cancezione generale, a tutte le sodetà agricole primitive. Tuttavia, sempre per una legge di economia storica, mi sembra lagica, in una regione come il Piemonte, far risalire le tradizioni attuali a quelle dei papolo che per lungo tempo ha dominato il territoria, piuttasto che a influenze

venute, per esempio, dall'asia Minore, 0 anche a tradizioni romane, che solo in tempi più recenti si sono sovrapposte a quelle originarie. Si tratta di riti che i Celti ebbero in comune con la maggior parte dei papoU primitivi, indoeuropei e non, che, quindi, possono essere ritrovati in moltissime altre civiltà, con 10 stesso significato di base, ma con aspetti e caratterizzazioni diversi da popolo a popolo : e sono proprio queste diverse particolarità che mi permettono di tracciare un collegamento tra i Celti di ieri ed i contadini delle Langhe di oggi.

1Celti cefebravano quattro grandi feste, ognuna delle quali cadeva all'inizio di una stagione, in armonia con i ritmi della natura (70).

Il 10 di febbraio si cefebrava la festa detta di [mIJote, il 10 di maggio la festa di Be/tane, il 10 di agosto quella di Lugnasad ed infine il 10 di novembre • quelia di samain. Queste sono rispettivamente diventate la Cande/ara (2 36

febbraio), le feste pasquali (con date varianti), la Madonna de/la Neve (2 agosto) ed il giorno dei morti (2 novembre). In ognuna di queste ricorrenze • cristiane compaiono alcuni aspetti precristiani e, credo, tipicamente celtici.

Della festa di Imbolc, il 10 di febbraio e di come vi corrisponda la festa cristiana della Cande/ora, ho già parfate, trattando di Brigid e dei fuoco rituale che propizia la guarigione. Il termine Imbolc potrebbe derivare da imb-folc (71) ed alluderebbe aile purificazioni rituali dopo 11nvemo. Si potrebbe riallacciare alla tradizione romana delle februa e potrebbe essere, quindi, una tradizione italo-celtica (72). Nella festa cristiana il fuoco rituale di Brigid, che portava la guarigione e la purificazione, si è trasformato nelle candele benedette dal prete, ed usate, seconda re testimoninze raccolte (Appendice), come difesa contra i temporali.

Be/tane cade il 10 di maggio, all1nizio della bella stagione ed i fuochi accesi dai druidi nelle campagne vi avevano grande importanza. Questa tradizione è ancora viva nel periode pasquale in tutti gli antichi territori certio. Etimologicamente il termine allude al fuoco ( il suffisso -tene), mentre bel, che compone sia Be/enus che Be/isama, rispettivamente appellativi degli equivalenti celtici di Apollo e Minerva, dovrebbe significare luminoso. 1 fuochi di Be/tane venivano accesi dai druidi ed il fora scopa era di purificare il bestiame e proteggerlo durante l'estate. Durante le celebrazioni erana presenti anche riti di fertilità, con l'accoppiamenta rituale tra una

sacerdotessa, che rappresentava la dea madre, la terra, ed il re, 0 il capo dei villaggio. Si diceva anche che in questo periodo i poteri delle fate e delle streghe fossera particolarmente forti e se questo si mette in relazione con la cerimonia di fertilizzazione della terra è fadlmente comprensibile, in quanta tutto, sensibile e sovrasensibile, deve contribuire affinché la vita passa continuare. La connessiane di Be/tane con le cerimonie pasquali non appare • troppo evidente : alcune delle sue caratteristiche di giorno dedicato ai riti di 37

fertilità, come la benedizione dei rami di ulivo, si sono inserite nelle celebraziani pasquali, mentre altri, troppo esplidti per la religione cristiana, si • direbbero scomparsi. Tuttavia, se si vede nel mita cristiana della morte e resurrezione di Cristo e nella disperaziane della Vergine Maria una rivisitazione dei mita di Afrodite e Adone ( un mita di fertilità), allora anche nella celebraziane della Pasqua cristiana si potrebbero rinvenire gli stessi valari presenti nei riti di Be/tane. Inaltre, anche la tradizione delle uova, diffusissima nella sodetà modema, ma di chiara derivazione pagana, potrebbe essere interpretata come simbolo della vita in divenire, e, quindi, riallacciarsi alla propiziazione della fertilità.

Lugnasad, il 10 di agosto, era considerata la festa più importante dei Celti e ricardava anche 11mperatore di Roma divinizzato ed identificato con il dia Lug. Queste, naturalmente, era il significate principale neIle Gallie, dopa la conquista da parte di Roma, mentre nelle altre regioni alludeva in particalare all'unione di Lug, sovente rappresentato da un re, oppure da un capo, con la dea della terra, impersonata da una giovane sacerdatessa vergine. Dopa l'accensione di grandi falà rituali, le celebrazioni awenivana sul tumulo di una giavane donna, morta di recente, e, diversamente da quelle di Be/tane, il significate di Lugnasad non era tante quelle di rite propiziatorio per la fertilità, quanta quello di adombrare l'unione tra terra e dele, ambedue necessari ed indispensabili per la centinuaziane dei oda vitale (73 ).

Lugnasad è ricordato nella festa dei Ferragasto, e, per quanta riguarda il Piemente e le Langhe, in modo particolare nella festa della Madonna della Neve. Invece dei ricordo dell'unione sessuale tra due dei, si ha la celebrazione della Vergine, ma, considerando che è altamente improbabile che nella regione delle langhe sia effettivamente nevicato all1nizio di agoste, si potrebbe dedurre che, vista inutile il tentativo di sradicare questa tradiziane, • si sia deciso di sostituirla cen la celebrazione della Vergine Maria, dove la 38

neve potrebbe essere semplicemente allusiva, dal momento che la dea della terra era presse i Celti impersoniticata da una giovane sacerdotessa vergine. • La festa della Madonna della Neve, che si protrae per tre, ed a volte quattro giomi, si conclude, invartabilmente, can fuochi pirotecnid, accesi su una coUina vicina al santuario : forse un1mmagine tecnologica dei fuochi druidid.

La festa di Samain, 0 Samuin, veniva celebrata il 10 di novembre, all1nizio della brutta stagione, quando la natura sembra morire, ed era in stretta connessione con il cuita dei morti. Tendeva a placare le potenze degli inferi ed era, alla stesso tempo, un rite per incrementare la fertilità, poiché le

potenze infemali avevano il potere di concedere, 0 non concedere, buoni raccolti. Il termine Samuin si puà far derivare da san-fuin, cioè fine dell'estate, mentre la parafa stessa significa unione (74), e potrebbe alludere a quella tra le anime dei vivi e dei morti, ritenuta possibile in questa giorno, oppure al mito dell'unione sessuale, sempre awenuta in questo giomo, tra il dia Dagda e la dea Morrigain, la regina dei fantasmi, il che la connetterebbe di nuovo con i riti di fertilità. Durante le celebraziani, i druidi, come sempre si occupavano dell'accensione dei fuochi, dai quali, poi, venivano accesi tutti i focolari della comunità. La celebrazione dei morti, lungi dall'essere stata dimenticata, è ancora estremamente diffusa nelle regiani celtiche, e non solo in quelle, e, piuttosto che continuare la latta per tentare di estirparla, il Cristianesimo preferi assimiJarla e trasformarla nell'attuale Giorno dei Marti. Il

2 novembre, ancora oggi, più 0 meno dovunque in tutta Europa, si accendono i lumin dij mort sulle tombe, in ricordo dei fuochi di samain e neUe campagne piemontesi si veglia, recitando il rosario per le anime dei morti, con le tradizionali castagne bianche pronte sul tavolo: i fuochi dei falà si sono, è vero, trasformati in piccoli lumini, ma il significato della celebraziane è rimasto inalterato e gran parte dell'atmosfera magica celtica, che • permetteva in quei giomi la comunicazione con le anime dei defunti, si è 39

censervata nei rituali domestid delle Langhe, in questa forma di rite • evidentemente sincretica. A queste festività si devano aggiungere le celebrazieni dei solstizi e degli equinezi, e si deve notare che, mentre questi ultimi vivono armai solo con alcune tracce (la festa della vendemmia nelle Langhe per l'equinozio d'autunno, per esempio), i primi trovano ancora un'eco estremamente viva in tutta la cultura ocàdentale.

La festa dei solstizio d'estate è stata fatta coinddere con san Giovanni e non si puà pensare che ovunque in Piemonte venga celebrata con roghi e falà e fuochi artifiàali per pura caincidenza. Inoltre, la natte di san Giovanni, un po' dovunque, è chiamata la notte delle streghe, e si ritiene che gli influssi della magia siano, in quel momento, particolarmente potenti. Facilmente vi si potrebbero individuare riferimenti e richiami ai riti ed ai poteri delle sacerdotesse druidiche, che dovevano, in questa occasione, presiedere all'accensione dei fuochi rituali, trasformate in streghe dal Cristianesimo vittorioso.

Per quanta riguarda, invece, il solstizio d1nvemo, il Natale cristiano ha assimilato quasi agni tratta dell'antica celebrazione: dalla scambio di doni all'addobbo degli alberi, dal vischio, come simbolo di prosperità e fortuna, aile lua accese in agni luago per bandire il freddo e l'ascurità.

seconda la concezione celtica dell'universo, esseri sovrannaturali ed umani vivevano sulla stesso piano, in mondi separati, ma che potevano venire, in determinate drcostanze, in contatto l'uno con l'altro. Alcuni esseri umani diversi, come druidi, vati e bardi, appartenevano sfa al monda sovrannaturale che a quelle naturale ed avevano la capadtà ed il compito di mantenere i • mondi in contatto tra di loro. Dèi, fate, maghi, streghe ed anime dei defunti vivevano, quindi sulla stesso piano ed avevavo la possibilità di interagire sui tre mondi, delo, terra e oltretomba. Seconda una leggenda irlandese, can • l'avvento dei Cristianesimo e la sua vittoria sull'antica religione, tutte queste entità sovrumane si sarebbero ritirate a vivere nell'aes side, un luago che si trova sia sotta che sopra la terra, ma che, tuttavia, nan fa parte dei monda reale degli uemini : qui attenderebbere l'apportunità di ritemare nella realtà deUa vita (75).

Il Cristianesima annientè, a almena tenta di annientare tutti gli spiriti che animavane la natura e umilià, a tentè di umiliare, tutte le ferze e tutte le figure soprannaturali, riducendele alla condiziane di fantasmi insussistenti, unende nel tentative di demanizzazione esseri della più diversa specie, che da aUera hanne dato origine alla sterminata schiera dei demani (76). Nonestante agni sforza, perà, le antiche credenze continuana a soprawivere nelle tradizioni e nei miti, come quelle delle masche, metà fate e metà streghe, in Piemonte, antice territoria celtica, mai completamente romanizzata e, forse, mai completamente cristianizzato, come appare evidente dalle tradiziani prapiziatarie e scaramantiche ancora oggi in uso.

Ad esempio, dalle testimonisnze riportate nell'Apœndice, risulta che, per sfuggire aile devastazioni provocate dai temporali, si usa gettare la catena dei focalare sull'aia: si potrebbe scorgere in questo fatte una ferma particalare, demestica, di sacrificie, il privarsi di qualcosa di utile, necessarie e, quindi, prezieso. Bruciare l'erba di santacroce, sempre per difendersi dai temporali, si potrebbe, invece, callegare con la conoscenza delle erbe, che i druidi possedevane in somma grade e con la loro riconesciuta abilità nelle arti magiche.

Anche la fede nel potere dei fuoca sacra è ancara molto viva nelle Langhe. • Quando scoppia un temporale, infatti, vengono accese le candele, benedette, ·u

seconda alcuni nel giorno della cande/ora, seconda albi in quelle deWAscensione: da falà il fuoco druidico si è trasforrnato in una piccola • candela, ma il suo valore sacrale stato conservato attraverso la benedizione, è impartita dal sacerdote.

In una testimonianza, una vecchia contadina intervistata riferisce di una donna che, per difendersi dalla tempesta, accendeva un fuoco nella vigna, bruciava l'erba di santacroce e pregava santa Barbara di salvarla dalla furia dei temporale: cosi le vigne di questa donna erano sempre salve, anche quando quelle vicine venivano devastate. In questo, ed in altri casi simili, il sacro cristiano ed il sacra pagano sono fartemente interconnessi, cosi come è in bilico tra Cristianesima e paganesimo la pratica di formare croci con il ramoUvo benedetto neIle chiese, e metterlo nelle vigne come protezione, e quella di gettare il forcane sull'aia. Quest'ultimo gesto significherebbe inforcare il diavolo, quindi rifiutarlo e respingerlo. Del tutto pagana, invece, è la pratica di gettare sull'aia, sempre per difendersi dai temparali, le uova fecondate, ma non schiuse: in questa usanza è palese il sacrifido di una forma di vita (le uova fecondate) per propiziare la natura, in modo che un'altra forma di vita (le vigne) passa prosperare. Con le vigne salve anche il contadino godrà di un'esistenza prospera.

In questi gesti e pratiche rituali e nel loro significato inconsdo compare la tipica demonizzazione delle forze naturali : spiriti, né benigni né maligni, ma semplicemente esistenti per i Celti, diavola, invece, con connotazione dei tutto negativa, per i Cristiani.

In particalare, dall'esame delle interviste raccolte "el('Appendice, sarei portata ad asserire che l'antica fede naturalistica, che era dei celti, si sia unita sincreticamente con il cuita cristiana, che in buona parte la inglooo in nuovi • riti, in accorda con la nuova fede. la chiesa, COSI facendo, in parte trasformà i rituali antichi, cambiandone parziafmente le manifestazioni, e inventandone nuove origini e significati, ma anche contribui a tramandarli e, contre la • propria volontà, a mantenerti in vitae Cosa le masche delle Langhe, eredi delle druydae, con in più alcune delle caratteristiche delle matres, continuano a vivere, temute ed insieme onorate, non soro come retaggio dei tempi passati, ma anche come fenameno attuale. Allo stesso tempo sono ancora presenti rituali e culti, che risargono alla tradizione celtica, anche se uniti, in modo armai Quasi inestricabile, alla dominante tradizione cristiana. Mi resta ara da vedere se Queste antiche tradiziani sono, in qualche modo, presenti nelle

opere di Beppe Fenoglio e, qualara (0 fossera, in quale modo abbiano influenzato il sua pensiero e la sua poetica.

• • CAPITOLO l - NOTE 1. Ruggiero, M. Piemont! nef tempo. Documenti storid piemontesi. Torino: Il Punta, 1992. 1-24, 27-46. 2. De Vries, J. Keltische Religion. Stuttgart: Verfag W. Kohlhammer Gmbh, 1961. 98-104. 3. Per maggiori informazioni riguardo alla religione dei celti 51 veda : Keltische Religion di J. De Vries. 4. De Vries, J. Keltische Religion. Stuttgart: Verfag W. Kohlhammer Gmbh, 1961. 325-379. 5. Powell, T.G.E. The Celts. London: Thames and Hudson, 1980. 20s-21!. 6. De Vries, J. Kelten und Germanen. Bem : Francke, 1960. 298-311. 7. Hooke, S.H. Middle Eastern Mithotogv. London: Penguin Books, 1991. 18-41. 8. Morford, M.P.O. Oassical MitholOQY. New York: Longman, 1995. 132-134. 9. Hooke, S.H. Middle Eastern Mithotogv. London : Penguin Books, 1991. 23-27. 10. Morford, M.P.O. Oassical MitholOQY. New York: Longman, 1995. 147-149. Il. Morforcf, M.P.O. Oassical MitholOQY. New York: Longman, 1995. 132-134. 12. Powell, T.G.E. The cetts. London: Thames and Hudson, 1980122-123. 13. 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The Celts.london : Thames and Hudson, 1980.63-64. 29. Geooraohica. IV, 4, 4. 30. Green, MJ. The ceJtic Warfd. London/New York: Routledge, 1997. 116-121. 3I. Tacite. Annales. XIV, 30. 32. Strabone. Geooraohica. N, 4, 6. 33. Lampredus. Alexander 5everus. 60. 34. Vapiscus. Aurelianus. 44. 35. Morford, M.P.O. Oassical Mithology. New York: Longman, 1995. 315. NeHa mitologia elassica Giunane uedde per gelosia l figli di Lamia e questa, impazzita per il dolore, ottiene da Giave di potersi trasformare in animale per succhiare il sangue dei bambini. Questa capadtà di trasformarsi è anche tipica delle masche piemontesi. 36. Toschi, P. Le origini dei teatro italiano. Torina : Bollati Boringhieri, 1976. 169. 37. Vepiscus, M. Pmntuarium. Mentis Regalis: TIpografia Ducale, 1554. 38. Righini di sant'AIbano, V. Gran dizionario piemontese:italiane. Torino: La Bottega d'Erasmo, 1962. • 39. Badellino, O. Dizionario italiano-Iatino. Vil ed. Torino : Rosenberg & sellier, 1981. 40. Righini di sant'Albana, V. Gran dizionario pieroontese..jtaliano. Tonna: La Bottega d'Erasmo, 1962. 4l. Cortelazzo. M. e C. Marcato. 1 dialetti italiani. Dizionario etimolooico. Tarina : lITEr, • 1998. 42. Meyer-Luebke, W. Romanisches eymolooisches Woerterbuch. Heidelberg: Winter, 1935. 43. Devoto, G. Awiamento alla etimolooia italiana. Dizionario etimolooico. Firenze: Le Monnier, 1967. 44. Wehr, H. Dictionarv of Modem Written Arabie. nI ed. Beyrouth : Ubrairie du Uban, 1980. 45. Sura Va-Sin, Il Co@no. Commente e traduzione di A. Bausani. Firenze: sansoni, 1961. 46. Murray, M. The witch=cult in Western Eurooe. Oxford: Oxford Press, 1981. 47. Weiser-Haal, L « Hexen ». Handwoerterbuch des deutschen Aberolaubens. m (1828) : 49-5l. 48. Mayer, A. Emmutter und Hexe. Sne untersuchung zur Geschichte des Hexenglaubens und zur Vorgeschichte der Hexenprozesse. Muenchen : Freissing, 1936. 75-78. 49. Williams, C. «The arrivai of the devil ». Withcraft. New York: Mendian Books, 1959. 36-59. 50. Coctiee Teodosiano. IX, XVI, legge 4 : « .u nessuna consulti più I"aruspice, I"augure e il profeta; tacca per sempre QUesta malvagia confratemita; tacdano per sempre 1 caldei ed 1 maghi e gli altri che il papalo chiama stregoni per 1 loro infiniti delitti. Taccia per sempre e per tutti la smania di divinare. Quindi subisca la pena capitale e sia punito con la decapitazione chiunQue vion QUesta proibizione ».(Traduzione : LM.) 5l. Brown. P. «( Magia, demoni e ascesa dei Crtstlanesimo dalla tarda antichità al medioevo». La stregoneria. Confessioni e accuse nell'analisi di stariei e antTooolooi. Tonno : Boringhieri, 1980. 76. 52. centini. M. « Il sapiente dei bosco ». Il mita deU'uo01Q selyatico delle AlDi. Milano : Rizzoli, 1989. 53. Ginzburg, C. « 1 benandanti ». La stregoneria e i eulO pagani tra Onguecento e Seicento. Torino : Einaudi, 1972. 54. Brown, P. La stregoneria. Tonna: Boringhieri, 1980. 102-108. 55. Christophe, P. la chiESa nella storia deqli uomini. Torino : SEI, 1982. 109-123. 56. Patrone, A.M. Il medioevo in Piemonte. Torino : Einaudi, 1986. 263. 57. Tarducci, F. La strega, l'astrolooo. il maoo. Palermo : Il Vespro, 1980. 97-151. 58. Reviglio della Venaria, C. L'Inguisizione medievale e il processo inquisitorio. Tarina : Einaudi, 1951. 59. Hansen, ]. «Summis desiderantes affectibus». zauberwahn. Inquisition und Hexenprozess in Mittelalter und die Entsthung der grossen HexenyerfalQung. Muenchen : Freissing, 1990. 17-25. 60. Institor, H. (Kramer) e J., Sprenger. Il martelfo delle streghe. Introduzione di A. Verdiglione Venezia : Spirali-Vel, 19n. 9-10 6l. Esocfo, 22, 17 : « Non lascerai vivere la strega ». 62. Bril, J. Ulith 0 l'asoetto inquietante dei femminile. Genova : La Nuova Atlantide, 1990. 63. Di Nola, A.M. Antrooolooia religiosa. Firenze: Newton St Compton, 1974. 64. Rivera, M. TI magot il santoc fa morte. la festa. Bari : Dedala, 1988. 65. Von Warhen, R. satanismo. Milano : Corbacào, 1932. 54. 66. Delftni, G. e A. 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teolooo t la sdenziato. Genova: Nuava Atlantide, 1986.93-97. 69• Sommavilla, E. « Un po" di luee sulla caccia aile streghe ». Qviltà cattolica. Anno 133, • 3168(1982) : 563-564. 70. Powell, T.G.E. The cefts. London : Thames and Hudson, 1980. 116-121. 71. De Vries, J. Keftjsche ReliQÏon. Stuttgart: Verfag W. Kohlhammer Gmbh, 1961. 230-235. 72. De Vries, J. Keltische Religion. Stuttgart: Vertag Kohlhammer Gmbh, 1961. 241-244. • 73. De Vries, J. Keltische Religion. Stuttgart: Verfag W. Kohlhammer Gmbh, 1961. 250-257. 74. Green, M.J. The ÇeftjeWorfd. London/New York: Routfedge, 1997.413-418. 75. Marx, J. la légende arthurienne et le Graaf. Bruxelles: Edition de l1Jniversité, 1952. 5I. 76. Marx, J. La légende arthurienne et le Graal. Bruxelles: Edition de l'Université, 1952. 57­ 58•

• • CAPITOLO II II. 1. BEPPE FENOGLIO : LA VIrA E LE OPERE

La prima censiderazione che balza alla mente a proposito di Beppe Fenoglio è che si tratta eminentemente di une scrittore postumo, non solo perché la maggior parte delle sue opere fu pubblicata dopa la sua morte, ma soprattutto perché è stato necessario attendere un gran numero di anni per poterne comprendere il messaggio nella sua interezza. Infatti, solo dopo la caduta dei mura di Berlino nel 1989, ed il conseguente scenvalgimento ideologico-politico che ne è seguite, si è riusciti a superare il punta di vista astratta ed idealizzato, seconda diverse interpretaziani di parte, con cui si era, fine a quel momenta, giudicata la guerra Partigiana e a lasciare da Parte le rigide Ideologie, che avevano, a turno, ora esaltato, ora denigrato i fatti e gli accadimenti che compongono il cuore dell'opera di Beppe Fenoglio.

Fenoglio racconta la Resistenza direttamente, cosi come l'aveva vissuta e sofferta, senza abbellimenti retorici e senza deformazioni ideologiche a favare

della fede dell'una 0 dell'altra parte. Il sua è un raccanto di paure, di terrari, di atrocità, di eroismi, di safferenze, di troppe sofferenze, tutta divisa equamente tra le fazioni che si combattevano in quella guerra dvile. E Racconti della Querra civile si sarebbe dovuta intitolare la sua seconda opera, che pero non fu mai pubblicata, almeno con questo titolo : alcuni dei raccanti che la componevano furane, in seguito, inseriti in Ventitré giomi della città di Alba.

Il motivo per cui l'opera non fu mai pubblicata con il tltolo originale risiede nel • fatto che definire la latta partigiana guerra dvile era, negli anni attomo al 1950, inconcepibile ed inacœttabile per qualsiasi schieramento palitieo. Invece, in quegli stessi anni, Beppe Fenoglia aveva ben chiara nella sua • anima di partigiana la consapevolezza che proprio di questo si era trattato : sotta 10 strato delle ideologie, sotta la roboante esaltazione della lotta per la Iibertà, si era realmente trattato di una latta fratricida.

La politicizzazione dell'opera di Fenoglio fu estremamente pesante, sia da

destra che da sinistra, e rischio di annullare, 0 almeno di occultare, sotta pesanti strati di retonca a di condanna politica, la sua umanità, la sua poesia, la sua arditissima sperimentazione, sia a livello di impianto narrativo che Iinguistico. Vi furono, naturaimente, a(cune interpretazioni iIIuminate ed a(cune entiche positive sin dai suai esordi, ma non fu compreso nel suo valare reale se non quando il crolla dei comunismo a livello mondiale, annunciato appunta dalla caduta dei mura di Berlino, nan indusse un po' tutti a ripensare su quanta era stato, a rivisitare la storia, non più attraverso la lente deforrnante di questa a di quella ideofogia, ma sofa attraverso vafon di umanità, primitivi, inalienabili e comuni a tutti.

Molto indicativo ed interessante è esaminare come la critica si sia comportata nei confronti di Fenoglio.

Come ho già detta, la sua fortuna è soprattutto postuma, con la pubblicaziane di numerosi inediti, ma questo, tuttavia, non significa ehe alcuni eritid non abbiana ricanosciuto, mentre la scrittore era ancora in vita, il suo valore e la sua originalità; tra questi vanno ricordati almeno Pietro Citati,

Giuseppe De Robertis e Elio Vittorini: quest'ultimo in seguito, strancà, 0 almena commentè in modo parzialmente negativo La malora.

In quei primi anni, la critica inseri Fenoglio nel filone dei neorealismo • regionalista e l'accenta critico tu posto particolarmente sulle sue tematiche e ~8

sulla sua visione della Resistenza, che risultava, più 0 meno, inaccettabile per tutti gli schieramenti politici. Dopa un relativamente lungo perioda di • disinteresse, la critica fu di nuavo stimolata dall'usdta, nel 1959, di Primavera di bellezza, che, con la sua ardita scelta di stile e struttura, accese un natevole interesse per la Iingua, fortemente innovativa, e per i modi espressivi di Beppe Fenoglio e non più, come era awenuto in precedenza, quasi unicamente per i contenuti delle sue opere.

Ne11963, improwisamente, Beppe Fenoglio mari e la sua morte diede origine ad un'immensa serie di articoli su quotidiani e riviste italiane, come sempre accade in queste situazioni.

Nel 1964, poi, fu ltalo calvino che, per primo, riconobbe la validità di raccontare la latta partigiana senza prendere partita, anzi, restando completamente al di sopra delle parti, pur essendavi inserita. COI1 la recensiane di Calvino ad Una guestione privata ebbe inizio una nuava, diversa critica dell'opera di Fenoglio : si fini di considerare 10 scrittore di Alba come il fratello minore di Cesare Pavese, un neorealista in ritarda e, per di più, saspetto di lesa Resistenza. calvino di Una guestione privata scrisse :

« ... è castruita con la geometrica tensione d'un romanzo di follia amorosa e cavallereschi inseguimenti come ['Orlando furioso, e nella stesso tempo éè la Resistenza proprio com'era, di dentro e di fuori, vera come mai era stata scritta, serbata per tanti anni limpidamente dalla memoria fedele, e con tutti i valon morali, tante più forti quanta più impliciti, e la commozione e la furia. » (1),

e da allora si comincià a riconoscere in Beppe Fenoglio une scrittore epico, inventore di un'esperienza narrativa tra le più moderne dei Novecento italiano, inserito nelle tradizioni della sua pama provinciale, ma tuttavia • aperto all'aggressiva mocfemità di una lingua ricreata attraverso ('inglese ed i rigari deI ratina cfassico, la sua profonda reverenza per la vita e per la • tragedia dei viverfa. Nel 1968 usà, tra le polemiche di filologi e critici, Il oartigiana Johnny, a cura di Lorenzo Monda, una sorta di contaminatio tra due diverse redazioni della stesso Fenoglia, messe insieme senza preoccupazioni firologiche. Questa innescè una serie di discussiani, che culminarono ne Il oartigiano caoovolto di Maria Corti, che si basa praticamente sul dilemma se Johnny debba essere cansiderato un/opera arcaica e mai compiuta propriamente, quasi una specie di magazzino di idee dal quale trarre spunti e terni, oppure, al contrario, non rappresenti, invece, il punta di arriva di una campiuta parabola artistica, il superamenta fenogliana dei neorealismo degli inizi, attraverso 11nnovazione strutturale e la trasgressione Iinguistica.

Nel 1978 tu completata l'edizione critica dell'apera di Beppe Fenoglio a cura di Maria Corti : da allara in avanti, la crttica ha continuata ad interessarsi della scrittore, sia sotta il profila filologico che linguistico, stilistico e tematica.

Negli anni '90, dopa la fine dei comunismo, si è poi anche analizzata l'apparente frattura, ariginata dalla lettura politicizzata che ne era stata fatta, tra tematica di latta partigiana e tematica contadino-Iangarola, giungendo, infine, a comprendere il profonda inserimento dello scrittore nella vita e nelle tradizioni della sua gente.

la vita di Beppe Fenoglia puà essere riassunta in poche, brevissime frasi, piene di riserbo e decoro, come era l'uomo stesso : nacque ad Alba, nelle langhe. Fu partigiano e combattè per la Iibertà. Fu scrittore, testimone della sua terra. Visse e lavorà ad Alba. Mari, di canera ai bronchi, a Torina, lontana • poche decine di chilometri dalla sua terra nativa, all'età di quarantun anni (2). 50 • II. 2. LA TRADmONE INCONSCIAMENTE VISSUfA ln tutta l'opera di Beppe Fenoglia, a leggerfa can la mente sgombra da agni preconcetto, sia politico che letterario, cercando, cioè, di dimenticare faziosità

ed ideofogie di parte, cosi come inQuadramenti espressionistici 0 neorelistici, in tutta l'opera serpeggia un sense sacrale, che, pur antichissima, permea tutti gli awenimenti dei tempo attuale. E' come una sottile carrente, evocata dalle immagini, dai camportamenti, dalle vicende e, in modo particolare, dall'ambiente e dal paesaggia, nei quali la narrazione si svelge e prende vita. E' questa sacralità mistica e senza tempo che unifica in un continuum perfetto tutte le opere della scrittore.

Fenoglia possiede in sommo grade l'abilità di rappresentare il monda reale, trasfarmandolo, nonostante le crude apparenze, in Iirismo assoluto e di trasferire la realtà, pur senza cambiarfa, anzi rappresentandola in modo dei tutto realistico, su di un superiare piana metafisico. seconda la mia interpretazione, Questo piana metaflsico si ricollega, prescindendo dalla sua fede religiosa e dalle sue ideotogie politiche e civili, can la tradizione della sua terra, Quetta preromana, antichissima, che considerava l'uomo parte della natura, figUa della terra, ed a questa legata in modo inscindibile. E' in stretta cannessione con la filosafla naturalistica degli antenati celtici, che abitavano le Langhe, che vedevano i boschi come luoghi sacri alla grande madre, le colline come espressione della sua farza e della sua potenza, i raccolti come una ricompensa al patta stipulata tra i figU e la madre stessa. Un patta che non poteva mai essere infranto e che non daveva mai essere dimenticato, anche attraverso secoli e secoli di civiltà diverse e di fedi diverse.

Questo sense di comunione con la grande dea, di fiducia nel potere della • terra madre, si manifesta in Fenoglio in modo dei tutto spontaneo e naturafe, 5L

a livello della sua anima più profondamente inconscia, si potrebbe dire. In tutti i suai scritti, infatti, non compare mai il minima accenno erudito a • praposito di miti e mitologia. Non esiste, nel modo più assoluto, la volontà intellettuale di far usa di tradizioni, usanze, credenze papolart per dimostrare, a spiegare, un atteggiamento, un modo di esistere dei suai personaggi, e, quindi, di se stesso. Tuttavia, nonostante questa totale mancanza di

intellettualizzazione dei miti, 0 forse proprio per questo, tutta l'opera di Fenoglio vive in una dimensione mitica ancestrale, che in lui è assolutamente istintiva, dei tutta inconsapevole, naturale: perché Beppe Fenoglio stesso viveva, inconsciamente, in una tale dimensione.

Come le antiche leggende irfandesi che ci sono state tramandate, tutte, 0 per 10 mena in massima parte, di argomento epica ed eroica, anche le canzoni epica-narrative della tradizione piemontese presentano i terni tipici della poesia popolare dei popoU di origine celtica: sono composizioni che si awalgono di une sfondo epica e narrano storie di coraggio, di eraisma, di amore e di morte. Anche la narrazione di Fenoglio si svolge in una dimensione epica, e non sorprende, dal momento che i suai soggetti vertono sempre sul tema della latta per la vita, sia nei racconti di ispirazione contadina, che in quelli che narrana la sconvolgente epopea della Resistenza. Ma, al contrario di moiti scrittori a lui contemporanei, la sua interpretaziane della dura vita delle Langhe, in pace ed in Querra, non si riduce mai ad un bozzetto puramente vertsta a neorealista, e la tragedia partigiana non diviene mai una semplice cronaca, né mai è diluita in ombre elegiache. AI contrario, sia l'uno che l'altro tema riescono a travare un equilibrio quasi perfetto tra rappresentazione dei privato e rappresentazione della storia e si fondono in un unicum inestricabile, in una forma quasi omerica, 0 ariostesca, per dirla con calvino, di epica della vita eroica: il tutto con un senso dell'eroismo totalmente privo di connatazioni inteUettualistiche, inserito neHa vita della • natura e in arrnonia con essa. 52

• A questo epico senso di eroismo si aggiunge, senza che intervenga nessun processo intellettuale, in modo dei tutto naturale e spontaneo, l'idea della terra madre, sovente nelle sue opere esemplificata nella cascina della Langa, simbole di tutta quanta la sua terra, le Langhe. La casdna è un luoge reale, ma la sensibilità di Fenoglio e la sua comuniane con la vita della natura ne annullano l'esistenza fisica e la trasformano nell1mmagine stessa della madre, meglio ancora della terra madre, la grande dea.

Fenoglio saive :

« Fu, con la sua terra, la sua pietra e il suo bosco, la Langa, la nostra grande madre Langa... » (3),

asserendo che Fu la madre ancestrale a salvare i suoi figli braccati e in fuga.

Questa religiosità istintiva e naturalistica, come ho già detto, è presente in tutte le opere di Beppe Fenoglio : a volte sono brevi accenni, macH di dire che si riallacciano aile antiche tradizioni e credenze, a volte sono concetti antichissimi, che la scrittore usa in modo vivo ed attuale, perché vivi ed attuali sono per lui. In moiti dei suai racconti troviamo tracce di tradizioni, riti e credenze popolari, ma sempre usati in modo naturale, senza alcuna forzatura intellettuale, come sono usati dalle genti delle campagne.

Alcuni esempi :

« La tomba, le castagne bianche, il lumino perenne... » (4),

dove si nota l'accostamento di dbi ed oggetti tipici dei giorno dei morti (2 • novembre), reinterpretazione cristiana della festa celtica di samain, nel 53

rtcordo della quale, ancora oggi, si accendono i lumin dij mort e si mangiano • le castagne bianche durante la veglia. « La natura si inaspnva, terra crepata, banchi di tufo affioravano sul sentiero, e i primi boschetti di pinastri ingialliti dal gran sole. AI seconda boschetta lui le si giro addosso, lei intui subito e subito gli gridô di no, no, ma non d fu verso, dicendo : -Sulla mia terra, una volta sulla mia terra,-Ia perm di peso tra i pinastri, si ferma subito dave il dedivio toglieva la vista dalla strada e la stese sulla sua terra, senza nemmeno ripulirla dalle pigne. » (5),

dove è messo in grande evidenza il sense sacra dell'uniane sessuale. Il pratagonista, Toni, si reca al paese natale can la fidanzata, una prostituta torinese, della quale è profondamente innamorato. Vuole incontrare il fratello per ottenere da lui la parte che gli spetta dell'eredità patema. Il fratello 10 ucdderà con un'accetta, per irnpedirgli di disonorare la loro casa introducendovi una prostituta. Durante il percorso, a piedi tra i boschi della coUina, Toni sente il desiderio di far l'amore con la sua donna sulla terra che gli appartiene, ed alla quale lui stesso appartiene : è una forma inconsapevole di matrimonio sacra, un ricorda, non riconasciuto come tale, dei riti di fertilità, mentre la morte violenta di Toni si potrebbe rtcollegare al sacrificio necessarfo perché la terra possa portare frutti, come la morte indispensabile dei consorte della dea nei rfti delle matres.

« ... quando vidi che tutti quei professari non sapevano far altro che scrollare la testa, io presi la strada e andai dal settimino di Cessole, non trascuranda di portare una pancera dei mio pavera tiglia... ie d volli andare a piedi...perché a piedi mi sernbrava di fare un vota. Andavo da un settimino e nel mentre era come andassi a un santuario dei più celebrati e potenti. Epregai per tutta la strada e fra le mani tenevo la pancera di mie figUo come un rasano. Ma nan servi... » (6),

che si riallaccia al culte dei diverso, estremamente vivo in tutta la regione • piemontese, cosi come in tutte le terre celtiche. In questo casa è anche di nuovo presente il saafflCio, che è l'andare a piedi, preganda, a cenferma che di un vero e proprio cuita precristiano si tratta, molto leggerrnente • mascherato da forme rituali cristiane.

Altre volte non si trovano esempi particolari, ma piuttosto la tipica atmosfera epico-sacrale fenogliana, accompagnata da accenni aile tradizioni ed aile concezioni tipiche della campagna, come:

« Da chi andavano quelli di voi che avevano il morale basso? Venivano da Blister, come se Blister fosse un settimino. » (7),

Dove un vecchio partigiano, macchiatosi di furto, accusato e malmenato dai compagni, cerca di difendersi facendo appello alla vecchia amicizia, in attesa della sentenza, che sarà di morte. Istintivamente il vecchio Blister paragona la sua capacità di sollevare il morale dei campagni aile capacità di guaritore di un settimino, a riprova di Quanta il cuita dei divers; e fa fiduda nei lora poteri fosse diffusa nelle campagne.

« Ora sapeva che altro poteva, daveva servire quel sua corpo; non che non la sapesse da prima, ma aveva sempre mento Quel pensiero al corpo degli altri uomini. Dando la schiena a Matteo se la guardà e toccà e decise che quella sera stessa sarebbe stato per Argentina come la vanga era per la terra. » (8),

e in questo racconto è presente sin daH'inizio il senso di sacralità dell'atto sessuale, visto come un gioco, ma anche come un rito. C'è in Argentina una certa dose di malizia, ma, più di tutto, éè 11nnocenza gioiasa di una creatura naturaJe. Punita, dirà : « ...che lei credeva che le ragazze che non stavano in

collegio 10 facessero tutte e sempre ». Agostino pensa a lei come alla terra ed a se stesso come alla vanga, che le permette di portare frutti: si direbbe • un'inconscia ripetizione dell'antico rito delle nozze saae. 55

Una guestione privata è stata considerata l'opera più completa e perfetta, a detta di ltalo calvino e Lorenzo Mondo tra gli altri, di Beppe Fenoglio, nella • Quale situaziani personali ed epica universale si fondono in una sintesi assoluta. Insieme con Il oartigiano Johnny e La malara, inaltre, è completamente immersa nell'atmosfera di sacralità naturale, che, a mia awiso, compone il substrato della poetica di Fenoglio. A creare questa atmosfera sacra cangiurano moltissimi elementi, tra i quali particalare importanza assumono i sentimenti, amare ed amidzia, il pericalo, la latta, la morte e, sopra tutti gli alm, 11mmagine della terra, amica-nemica, in bilico nell'etema dicatamia, distruttrice-creatrice, come la nozione stessa delle dee­ madri, comune a moite civiltà e ben presente anche in quella celtica.

Una dei passaggi più interessanti è il seguente :

« In quelltlistante percepi con la coda dell'occhio, a destra, un'ambra nera, che la lambiva giusto con il sua estremo. Ruotà con tutto il corpo dietro il contenitore e spianà ta pistoia verso ta sorgente di quell'ombra. Subito la riabbassO in une stupore. Era una vecchia, tutta vestita di nero unto e bisunto. Lo stupore gli era nato dal fatto che distava un venti passi e non éera sole e lui si era sentito letteralmente schiacciato dall'ombra. » (8)

Come si vede è un clima completamente magico quello dell1ncontro di Milton con la vecchia contadina, che 10 nutrirà, 10 istruirà, fomendogli le infarmazioni necessarie per catturare l'ostaggio da scambiare con l'arnico-rivale, e che sarà, alla fine, la causa della sua morte. In questa figura di vecchia contadina si possono rintracdare tre caratteristiche delle matres: la madre, che nutre il figUo (il panino con il larda), la maga, che gli offre in modo soprannaturale la saggezza (la donna si accosta quasi per magia e Milton ne percepisce ('ombra, mentre è ancora lontane e non éè sole) e ra morte (la donna è vecchia e sporca, ma, nonostante tutto questo, amichevole, anche se il giovane si sente schiacciato dalla sua ombra inesistente). Di nuovo non passa • fornire nessuna prova che 10 scrittore avesse in mente, in questa descrizione, 56

le antiche matres, tuttavia potrei arguire che il concetto stesso delle antiche • dee si potrebbe essere trasforrnato in un archetipo mentale, comune a tutta la popolazione della regione.

Questi pochi e brevi passaggi indicano come alcune delle credenze e tradizioni che compaiono nelle interviste che ho condotto nelle Langhe (Appendice), siano inserite nella narrazione di Fenogfio come fatti normali e comuni, parte della vita dei popola e, quindi, anche parte dell'esperienza della scrittore. Fenogfio non fomisce mai, di questi riti e credenze, un1nterpretazione dotta, né una spiegazione intellettuale. Si potrebbe, in un certo sense, interpretare questo fatto come un verghiano astenersi da ogni forma di giudizio da parte dell'autore, niente altro che una rappresentazione verista di quelli che erano gli usi e le credenze della gente di cui scrive. A mie parere, invece, Fenoglio usa questi particolari di cuttura papa/are perché egli stesso appartiene a quella cultura e, quindi, sorgona naturalmente nella sua mente, senza bisogno di essere originati da un qualsiasi processo intellettuare. se cosi non fosse, tutta quanta la sua opera dovrebbe essere ricondotta ad un verismo esasperato e fuori tempo, e, inoltre, resterebbe dei tutto esclusa 11ntrigante atmosfera magico-sacrale che pervade agni pagina, riportanda chiunque legga ad un1nterpretazione naturafistica della vita, substrato irrinunciabile della cultura celtica, che, a mio parere, condiziona in modo cosi profondo, benché inconsapevole, la scrittura di Beppe Fenoglio e che è particolarmente evidente ne La ma(ora e ne Il oartigiano Johnny.

Nel 1954 pressa la casa editrice Einaudi, viene pubblicata La malora : con un commenta polemicamente negativo di Vittorini, che feri profondamente Fenoglio. Questa negatività da parte di Vittorini era indice di una profonda frattura, che non si originava da differenze scontate, come ad esempio la grande lontananza tra une scrittore provinciale, quasi esordiente, e • 11ntellettuale afferrnato, sulla cresta delf'onda nei drcoli colti deI capoluogo 57

piemontese, e, neppure, era un semplice scontro di caratteri ed onglnl diverse. Piuttosto, quelle che si manifestava tra Fenoglio e Vittorini in • quell'occasione era la profonda differenza di base che esisteva tutta una tra generazione di neorealisti, tra i quali proprio Vittarini ed il conterraneo di Fenoglio, Cesare Pavese, erana considerati indiscussi capiscuola, e le posiziani soUtane e personali, in cui si muoveva la scrittare di Alba. Tanta diversa, personale ed unica era l'esperienza di Fenoglio, tante lontana anche da quella di Pavese, che tuttavia si originava nella stessa area geografica e culturale, che agli occhi di Vlttorini poteva addirittura apparire come un1nvoluzione stilistica, persa nella ricerca dei preziosismi formali di un dialetto, quasi un passa indietre per ritomare ad un verisme alla Verga.

Questo giudizio di Vlttorini a proposite de La malara era non solo ingiusto, ma anche, e soprattutto, non teneva conta dei cainvolgimente totale della scrittore nella vita e nella società ancestrale della sua terra, della quale a lui non interessava tante cogliere le caratteristiche naturali dei Paesaggio, quanta piuttasta quelle marali, mettenda in evidenza quell'atmasfera barbarica che costituisce il tessuta di base delle campagne piemantesi e delle Langhe in particolare. Per evidenziare questo barbarismo Fenoglio elimina agni effusione lirica e rimane costantemente fedele nella narrazione alla sua esperienza personale, sia storica (la Resistenza), che geografica (le Langhe). Inaltre si impegna nell'uso di una Iingua scama, asciutta, che con i suai moiti neologismi e piemontesismi dà vita ad una novità stilistica eccezianale per la sua brevità, candsione e potenza espressiva. Il suo modo totalmente antiretarico di scrittura ed il sua occuparsi dell'umanità più umile, caratteristiche anche della contemporanea letteratura neorealista, al contrario che in questa, non sono centrati su rivendicaziani populistiche a motivazioni storiche dei fatti narrati, ma sono eminentemente basati sull1mmediatezza • della rappresentaziane, che molto sovente si awale di terrnini. dialettali e 58

proietta fatti e panorami in una dimensione etema, senza tempo, mitica, ma • senza che vi sia una volontà casciente di renderia tale. Il rtsultato, eccezianale sul piano artistico, non fu veramente tale su Quello politico. Infatti, Fenoglio fu accusata dalla sinistra ufficiafe di qualunquismo e di non essere altro che un piccolo borghese, che, per mancanza di basi intellettuali si era Iimitata a comporre un'apera astorica e che aveva abusato deJ dialetto per semplice mancanza di ispirazione, seguendo i modelli culturali dei momento.

Questi difetti che la critica, particolarmente quella di sinistra, evidenzià ed enfatizzà nel sua giudizio negativo, sono in realtà i pregi maggiori de La majora, quelli che la rendono un cantare storico di arcana semplicità e la trasfannano in un racconto quasi leggendario, atemporale: non tante realisma, in quanta a stile, ma piuttosto recupero di memorie popolari callettive. Un grande sensa tragico si dipana attraverso tutta il racconto, nella rappresentaziane fattuale di giomi sempre maledettamente uguali, un tragico che sfocia in una forte sacralità primitiva, che è normale in chi, vivendo nelle Langhe antiche, non si sia mai allontanato dal contatto fisica con la terra madre e sia sempre vissuta in armania con i cidi vitali della natura, come è appunto il casa di Agostino/Fenoglio, che, nan a casa, racconta la sua vicenda in prima persona.

In tutto il breve remanza ('atmasfera mitico-sacrale forma la camponente essenziale della narrazione : è più l'atmosfera in generale che non qualche passaggio particolare che la rtallacàano aile tradizioni piemontesi, anche se esistona alcuni punti in cui tralucono chiaramente gli usi, i costuni e, soprattutto la fede nelle forze della natura, praprie degli antichi popoli • preromani: 59

« Per chiedere la grazia di tirar su la testa, un anno nostra madre andà pellegrina al santuario della Madonna dei Deserta, che è lontano da noi, • sopra un monte dietro il quale si puà dire che éè subito il mare. » (10),

dove si vede la madre della famiglia impoverita che cerca l'aiuto divine attraverso la mediaziane della Madanna : comune a tutti i fedeli cristiani, si potrebbe dire, ma come dimenticare che le antiche popolazioni di Quella stessa terra onoravano, al di sopra di tutto, una grande dea, arbitra dei destina di tutti, e che i monti erano i luoghi naturali dei sua culto? 5embra facile vedere in Questa forma di devozione verso una versione femminile della divinità un'eca dei cuita delle antiche matres.

Ne La maJora, si trovano anche passaggi che mettono in evidenza la fede popolare nei rimedi naturali, come :

« Ah, s'è messa la verbena sulla panda! Almeno se n'è messa una farcata? Gioco cento lire contra un solda che è andata dal settimino dei Villaio, » (11),

in cui il farmacista, uomo moderne e di scienza, prende in giro i rimedi e le credenze contadine. Importante è notare l'usa delle erbe medidnali, la conoscenza delle Quali era prerogativa delle druydae, e che, in seguito, nel Piemonte contadino, divenne appannaggio delle masche, viste in sense positivo, come eredi delle antiche sacerdotesse. Inoltre si trova Qui un ennesimo accenno alla fiduda popolare nelle capadtà dei settimini, i diversi.

Anche l'occulta e l'esoterico sono presenti in passaggi come:

« ..., e d restai tante impalato e silenzioso che Fede voltandosi si spaventè come se ie fossi une spirito. » (12), • 60

dove la ragazza, spaventata, immediatamente paragona Agostino ad uno spirito, non ad un malvivente, dimostrando la forte tendenza della • popolazione della campagna ad interpretare agni fenomeno, anche il più comune, in sense animistico, ricordo, forse, di un tempo in cui il monda sovrannaturale e naturale erano in più stretto contatto ed interagivano Iiberamente, in armonia con l'antica fede precristiana.

« Pure la terra era tutta da ripassare, si vedeva lontano un miglio che Stefano non ci aveva dato dentra. Ma adesso le avrei fatto sentlre la mia vanga, bastava che tirassi per canto mio come avevo tirato sotto Tobia, e per poco che la fortuna m'accompagnasse e mia madre mi aiutasse col sua lavoro delle rabiole, si poteva sperare di toglierci una buona volta da necessitare, e se poi m'andava dritta dritta un po' d'anni, poteva anche tomare in quello che mie padre aveva dovuto vendere. Le prime mattine, avevo un bel chiodo, la prima casa che facevo da alzato era guardare dalla finestra se la mia terra éera ancora, se nella natte una frana non me l'avesse mangiata, come ho sentita dire che è capitata a gente dalle parti di Cissone e di Somano. Quelle poche giomate volevano dire che nella mia vita nan ci sarebbe mai più stato un Tabia. » (13)

« Adesso mi viene freddo nel fila della schiena se pensa che alla mira che eravamo nan ci voleva più che un soffio a perdere la terra e la casa e restare solo can le nastre bracda al monda. » (14)

« Per paura che io fossi in casa e la sentissi, è andata fuori e s'è inginocchiata vidno al primo palo della vigna,... » (15).

Tutta il significato de La matora è concentrato in questi passaggi finali dei racconto: riprendere possesse della terra significa ritomare alla vita, ma perché la vita passa ritomare, un sacrifiéo è necessario. sacrificio è stata la morte dei padre, ma la terra, che era stata trascurata dal fratello maggiore, pei andato lontano, non è ancara placata e ne pretende un altra. Per questo l'ultimo figlia, il seminarista per necessità, dovrà mortre. Contra le timide speranze di Agostino, la madre, inconsciamente sa che dovrà essere in questo modo ed esce a pregare sulla terra, ai limiti della vigna, sotta il deto. Prega • non per la salvezza dei figUa, che sa condannata, ma solo, umilmente perché 61

le sia concesso morire dopa di fui: poi, entrambi morti, potranno intercedere • per la fecondità della terra, per la quale sarà Agostino a vivere. È, la preghiera di una madre alla grande madre, e, senza voler asserire che questo sia un concetto tipicamente e unicamente celtico, dal rnomento che 10 si puà ritrovare pressa quasi tutte le culture primitive, tuttavia è indice di come la noziane della necessità dei sacrificio sia radicata nella società contadina delle Langhe e di come Fenoglio, rappresentando QUesta stessa società, ne sia partecipe.

Per quanta riguarda, invece, Il oartigiano Johnny, insieme con La malara, è il testa, nell'apera di Fenoglio, più permeato di atmasfere celtiche, sia nella sua connotazione eroica di lotta per la libertà, il sua essere, quindi, una grande epopea tragica, sia per la sua cannessiane con la terra in tutti i suoi aspetti naturalistici : la terra amata, ra terra perduta e ricanquistata, la terra che dà la vita, la terra che dà la morte ai suai figU. La sacralità della grande madre è presente in agni pagina dei romanzo, in agni aziane della narraziane e in agni parola degli attori. E' annipresente, si potrebbe dire, e forma la base prima della vicenda, con i suai continui passaggi tra la vita e la morte.

Il partigiano Johnny, come la maggior parte delle opere di Fenoglio, fu pubblicato postumo nel 1968 ed ebbe una staria editoriale abbastanza complessa. GU autografi delle scrittore, infatti, d offrono due lezioni diverse: la prima edizione dei 1968, pressa Einaudi, a cura di Lorenzo Mondo, si servi di tutte e due, e fu sempre in sede editariale che fu deciso il titola, dal momento che l'autore non aveva lasciato alcuna indicazione a queste proposito. Lorenzo Mondo, in questa prima edizione, utilizzà le due diverse versioni, fandendole insieme in un modo volutamente priva di preoccupazioni filologiche. • 62

Successivamente tu pubblicata una nuova edizione critica delle opere di Fenoglio, uscita nel 1978, sempre presse Einaudi, diretta da Maria Corti, • nell'ambito della quale Maria Antonietta Grignani si occupà in particolare de Il oartigiana Johnny, ed in questa le due diverse stesure apparivano nella loro interezza, una di seguito all'altra.

Ne11992, invece, yenne pubblicato un nuovo assette dei testi originali, a cura di Dante Isella, nei Romanz; e racconti di Bepoe Fenoolio, dalla casa editrice Einaudi-Gallinard. In questa edizione Dante lsella ha utilizzato i primi venti capitoli della prima stesura originale, mentre dal ventunesima al trentaquattresimo si è servito della seconda stesura. In questo modo 11ntera prima parte della narrazione è formata dall'unica testa disponibile, mentre la seconda, della quale esistono due differenti versioni, è formata dall'ultima stesura, a testimonianza della progressiane di lavare dell'autore.

Dltre aile due diverse versioni autografe ed aile tre, completamente diverse, edizioni, cntiche e non, a complicare la storfa de Il oartigiano Johnny esiste anche il preblema dell'Ur-partigiano Johnny, cioè la primissima stesura in inglese di Fenoglio, che, dice egli stesso, componeva le sue opere in origine in Iingua inglese e solo in seguito si autotraduceva in italîano. Come se tutto questo non bastasse, a complicare ulteriormente le case venne, nel 1994, il ritrovamento fortunoso di un certo numero di taccuini, che recano 11ntestazione della macelleria dei padre di Beppe Fenoglio ed il tito(o di Appunti oartigiani, scntti dalla mana stessa dell'autore. Negli Appunti oartigiani, scritti probabilmente a caldo, ossia durante i giomi della guerriglia,

0, in altemativa, immediatamente dopa, sono presenti moiti tratti che in seguito l'autore fascia cadere, come, ad esempio, un maggiore numero di riferimenti famigliari e personali, oppure un più intenso coinvolgimento in

prima persona, 0 giudizi più soggettivamente di parte, come la • rappresentazione dei contrasti, anche violenti, tra le fazioni dei comunisti e 63

dei badogliani. Sono, pero, anche presenti tutti i personaggi che popoleranno • Il oamgiano Johnny, i loro sentimenti, le battaglie, le vittorie e le sconfitte, che saranno poi ritrovate nell'opera successiva, come se gli ApDunti fassera una grande affiena di prova per Il partigiano.

Negli Appunti compare già la dimensione epica dei racconto, l'eroismo senza ostentazione, il senso sacrale della vita e della morte, quella sorta di religiosità naturalistica che bene si accorda con l'antica religione delle colline, degli alberi, dei fiumi, tra i quali Fenoglio era nato, aveva combattuto ed era vissuto. Soprattuta è presente cascina della Langa, il fulcro morale, sia negli ApDunti che nel Partigiano: il luogo dove tutta sembra confluire nella tradizioni degli antichi, dove Beppe, che diventerà Johnny, trova rifugio e salvezza. E' la valle nascosta dove la vecchia sacerdotessa-maga della dea madre accoglie nel suo asilo i figli dispersi, braccati e in punta di morte e dove li nasconde e li rigenera. Casdna della Langa è un luoga reale, cosi come reale è la vecchia che la abita, in compagnia della sua lupa, ed è presente, oltre che negli Appunti e nel Partiqiano, anche in Una guestione privata, e sempre rappresenta illegame, il cordone ombelicale con la madre terra: da luogo fisico e reale la cascina è stata trasformata, inconsciamente e senza l'intervento di un qualsiasi processo intellettuale, in mita, perfettamente all'unisono can un sentimento di religiosità ancestrale, che appare spontanee e connaturato nell'autore.

Nel Partigiano, oltre all'atmosfera sacrale, sono presenti numerosissimi tratti specifici, che si riallacciano, a si possano connettere, con riti e credenze di possibile derivaZione celtica, ancora oggi vive nelle regioni langhigiane, e tra questi i più importanti, sia riguarcio aile tradizioni, sia riguardo al senso sacrale dell'opera, sono quelli che riguarclana cascina della Langa. • Alcuni di questi passaggi particolart sono ; « 5tranito ed invasato, testa e petto coperto, seguiva l'ultimo spiralarsi • dell'ucciso sull'erba aCQuosa. Andà giù di schianto, bruising il nase nella terra sotto il tira di un fucile automatico, furente e sistematico, quasi pensante di farcela ad alzarto dalla coprente terra ed innalzarlo nella nuda aria a bersaglio sicura. »

« Si sarebbe persino deciso ad accendersi la sigaretta, non fosse stato che gli sarebbe costato un movimento che avrebbe violato per un momento la sua perfetta, dolce aderenza alla terra. » (16),

dove Johnny uccide il sua primo nemico e la terra è vista come la madre di tutti : dei sodato nemico, che essa protegge nella morte, impedendogli di essere colpita ancora; di Johnny stesso, che non vuel perdere il contatto con il sua dolce corpo, e dave inconsapevalmente l'autore ci rende partecipi di una dei suoi sentimenti più fondamentali, cioè l'appartenenza di se stesso e di tutto dà che vive sulla terra e la popola alla grande madre.

« Andavano a gambe abbandoflate su quella terra di pace... Rnché Fred, can un mugolio si rovesciè per terra, vi si awoltelà e rivoltolà tutta, a lunga... Pai Fred, sempre rotolandosi, pianse liberamente e sonoramente... » (17),

Dopa un'azione, Johnny e Fred si ritrovano vivi e, dopa il martale pericala corso, Fred, simbolo di tutti gli uomini, istintivamente cerca il contatto ftsico con chi dà la vita, con la terra, fa grande dea.

« Ma Johnny osserva che quella era fa più sentimentale e iniqua delle pasizioni; molto meglio il mammelfane a destra dei Paese, coronato di utile vegetazione...Ma Pierre smaniava cavallerescamente all1dea dei paese violentato. » (18)

« Pure, ... contemplava il paese occupato... come se origliasse alla • violazione invisibile d'una vergine silenziasamente piangente. » (19), parole nelle quali si puà scorgere una precisa personificazione dei territorio e dei suoi insediamenti: le colline diventano le mammelle della terra ed il • paesino abbadonato, a sua volta, è paragonato ad una donna stuprata. In tutta la regione delle Langhe le colline tondeggianti sono, da sempre, chiamate mammeJ/oni, percià questo termine nan è certo un1nvenzione di Fenoglio, bensi è l'espressione di una concezione popolare, che potrebbe essere benissimo il ricordo di una tradizione antica, che aveva personificato tutti gli elementi naturali e li considerava parte della divinità stessa.

« Ho capita una cosa, Johnny. Che sua madre e la mia sono la medesima unica persona. » (20) :

qui si tratta di un gruppetto di partigiani in rotta, che trasportano nella lorD fuga un ferito, nel tentativo di salvarlo. Quando, nonostante gli sforzi, il prigioniero muore, un giovane dice queste parole a Johnny, che è al comando. E' un nobilissimo esempio di pietà verso il comune destina di chi, a casa, attende i combattenti, ma è anche un riconoscersi tutti figli di una madre comune, un inconsdo riferimento alla magna mater, in quanta tutti sono figli della terra e tutti, un giorno, ritomeranno nel grembo della grande dea.

« Domani è il 2 novembre - disse forte ma come a se stesso un ragazzo, E' il giorno dei morti, domani.» (20).

Dice un ragazzo, senza rivolgersi a nessuno in particolare, mentre Johnny ed il sua gruppo attendone di entrare in azione. L'antica festa di samain, il giorno in cui il mondo dei morti e quelle dei vivi potevano entrare in contatto tra di lare, ha data origine al cristiana giorno dei morti, e se questa ricorrenza ora è poco osservata nelle dttà, non è invece cosi nelle campagne, dove • anche oggi viene celebrata con riti e tradizioni, che uniscono cristianesimo e 66

fedi precedenti, come i lumin sulle tombe, ricordo in chiave minore dei falà druidici, forse, e le castagne bianche da mangiarsi in famiglia durante la • veglia e da lasdare, poi, sul tavola della cudna, come offerta per gli spiriti, 0 le masche. Nella frase di Fenoglio fa capolina anche una certa forma di superstiziane (martre nel giorno dei mortJ), ma anche compare la familiarità, sia dell'autore che dei suoi personaggi, con le antiche credenze, la fede nella possibilità di mantenere, almeno in quarche giorno speciale, il contatto con i trapassati e quindi, una certa rassegnata speranza.

« Fissarona con occhi di stupratori la misteriosa femminile platitudine davanti a Iora ... Ma la campagna davanti a Johnny rimaneva vergine, Panica, totemica. » (22),

in questo casa la terra appartiene agli altri, ai nemid : di qui la necessità di vialarla da parte di Johnny e dei suai per canquistana, e, di qui sarge il terrore che genera questa stessa terra, vista come vergine perché intoccabile, essendo la madre degli a/tri, quasi un totem invialabile e sacro. Come al soUto la terra è razionalizzata nella figura femminïle, nella grande dea, apportatrice, in questo casa, di morte per Johnny ed i suai, perché madre dei nemici. Un altro particolare Interessante è che l'imminente battaglia viene paraganata ad une stupro: i figli, nemid tra di loro, si uccidono per il possesso dei corpo della madre. Si potrebbero inserire moite considerazioni in chiave freudiana sulla base di questo mita, anche se a me pare più in armonia con la filosafia naturalistica degli antichi Celti porre l'accenta sul fatto che la terra sia definita vergine: infatti, la vergine, con la madre e la maga, compone la triade che rappresenta la vita, come era cancepita nei riti delle matres.

« Si masse, camminà, nan sapeva dove andasse, i suoi piedi la portarona a cascina della Langa. Equanda riconobbe contra il dela nero il sua più nero sagomo, ne fu lieta e grata ai suai piedi, e si disse che era proprio li che desiderava arrivare... • La porta di casa si apri e 10 sten di Johnny sorse in normale come un pene 67

a una vulva. Ma era la vecchia padrona, la sua puzza svolazzando fini a lui. • A distanza 10 ricanobbe... » (23), Cosi Johnny in rotta e pensando che suoi amid, Pierre e Michele, siano stati uccisi, inconsdamente si dirige, per trovare rifugio e cansolazione, a Cascina della Langa, dave trova non solo riparo, ma anche i due amid sani e salvi. E' questo il punta centrale dei substrata possibilmente celtico dei romanzo : è un luago nascosto, non fadle da trovare, arcano, nella sua atmosfera di antica immobilità. E' il tempio della grande dea, servita da una sacerdotessa senza tempo, che vive sulla terra, della terra e per la terra. Allo stesso tempo, la vecchia Padrona, che Johnny riconosce dal sua cattivo odore, nonastante le sue sgradevali caratteristiche, ha in sé l'anima di tutte le madri dei monda, per il sua legame con la madre primordiale.

« Johnny sedette sul davanzale... Quando dall'ultima curva spuntà un carro trainato, con infinita lentezza, da un paio di buoi, e in serpa sedeva una donna nera, con uomini intomo, contadini, in atteggiamento di aiuto e venerazione insieme... Era la vecchia rilasciata dalle carceri della dttà. » (24)

« La vecchia aveva tirata su la mena fracassata delle sue sedie ed ara sedeva come in trono ... »

« Per piacere fateci una facda serena e sollevata, perché a una donna della vostra età ed esperienza non si insegna che è la vita che conta, la roba no, la roba si rifà. E la vostra vita è salva adesso. » (25) :

i contadini della colUna hanno saputo della Iiberazione della vecchia e le portano il loro aiuto per sistemare la casa devastata. Si fa ancora più evidente il ruolo sacrale, di sacerdotessa della madre, attribuita alla vecchia contadina. In particolare il carro, tirato dai buoi, accompagnata in processione dai contadini, si potrebbe rtallacciare non solo ai riti druidià in onore della magna mater, ma potrebbe anche contenere un'eco dei corteggi di Demetra e abele, • tanto più che, anche se in questi precisi passaggi è assente e ritomerà solo 68

più avanti nel testa, anche la vecchia è, come queste antiche dee della fertilità, sempre accompagnata da un animale, potenzialmente feroce: una • femmina di cane lupo.

« Quanta a lei si era subito trovata nei guai per illoro italiano, disse che ne capiva poco 0 niente, risposero che fingeva, che era una brutta e perfida strega di campagna... » (26) :

i fascisti, i nemici che l'hanno presa prigioniera, la definiscono una strega, perché sono trappo lontani dal naturalismo di chi vive sulle colline. Oltre a non capime la lingua, non comprendono neppure l'aura di sacralità che aleggia intorno a chi è sempre vissuto a contatto con la terra, e non ha mai dimenticato la sua forza e la sua compassione. Tuttavia, pur senza comprenderne a fonda il signiticato, anche i nemici awertano quanta di sacro e misterioso vi è attomo alla vecchia contadina, e, proprio per questo, oltre che per la lara chiusura mentale, la definiscono strega: perché QUesto è quanta scorgono in lei, una vecchia donna, che vive isolata dal resta dei monda, una persona diversa, una strega: anorata, invece, come una sacerdotessa, come la stessa grande madre dalla gente delle colline, che non ha mai perduto illegame con le proprie arigini e con la natura.

• 69 • II. 3. CESARE PAVESE: LA MORTE DELlA DEA E' necessario, per comprendere a fondo di Quafe natura sia il legame che unisce Beppe Fenogfio alfa terra e aile tradizioni ancestrali delle Langhe, esaminare come questo stesso legame sia stato vissuto in modo diverso da una scrittore ariginario della stessa regione, quasi contemporaneo, e dei quale Fenoglio fu, per lunga tempo, considerato il fratello minore.

Anche Cesare Pavese scrisse romanzi e racconti ambientati, per la più, nelle Langhe, oppure a Torina e sune colline circostanti. Anche Pavese, come Fenoglio, fu, da una certa critica, deflnito un neorealista, anzi, un maestro dei neorealismo, per quanta riduttiva passa sembrare una tale etichetta, riferita aile opere di entrambi gli scrittori. Inaltre, anche Pavese si interessà aire tradizioni dei sua popolo, alla vita delle campagne, ma il sua modo di accostarsi aile origini fu totalmente diverse, con risultati, owiamente, molto diversi, anche se altrettanto validi ed importanti sul piano artistico e letterario.

« Mi metto dunque, stamattina, per le strade della mia infanzia e mi riguarda con cautela le grandi colline - tutte, quella enorrne e ubertosa come una grande mammella, quella scoscesa e acuta dove si facevano i grandi falà, quelle interrotte e strapiambanti come se sotta ci fosse il mare - e sotto éera invece la strada che gira intorna aile mie vecchie vigne e scompare alla svolta, come un salto nel vuoto.

Eallora stamattina mi sono messe per questa strada e ho intravisto le colline remote e ripreso àoè la mia infanzia al punta in cui l'avevo interrotta. La mia valle era vaporosa e nebbiasa, la barriera lontana, chiazzata di sole e di campi di grano, era Quel che devessere il corpe della propria amata quand'è bionda. » (27)

Da Queste parole si capisce come cesare Pavese, dttadino sino al midollo, • abbia deciso con un atto della sua volontà cosciente di rivivere il mita della 70

sua infanzia, che si era svolta a santo Stefano Belbo, nelfe Langhe, ed il • paesaggio, al Quale allude è Quello di QUesta terra, aspro e dolce insieme. La campagna delle Langhe appare nelle opere di Pavese non descritta genericamente, ma estremamente ben caratterizzata, e il sua ricordo costitui una fonte Quasi inesauribile di ispirazione, sulla quale fondare la creazione artistica in senso mitico. Questo significô innalzare ad esempi universalmente validi i fatti accaduti durante gli anni dell'infanzia, trasformare gli eventi particolari in stereotipi, comuni all'umanità intera, leggere agni fenomeno in una chiave legata alfa terra ed ai suoi dcli, perché QUesto con la terra madre era il legame che univa tutti gli awenimenti in una simbologia etema ed immutabile.

Pavese fa vivere i suai paesaggi come persane, come contadini, come attori essenziali dei mito: cosi la grande collina-mammella è il corpe stesso della dea, alla Quate, nella notte di san Giovanni, si tributa un antico culte con l'accensione dei falo rituale, mentre il crinale stesso della colUna potrebbe essere la strada seguita da un ignoto eroe dvilizzatore. Le cime nude dei colli più alti divengono una specie di altare, cosi come le radure ombreggiate dei boschi: (uoghi sacri deve avviene l'unione tra mortali ed immortali, per propiziare la fertilità della terra e la continuità della vita umana.

Il mito delle Langhe è presente praticamente in tutte le opere di Pavese, con ('eccezione de Il carcere, Il campagnol e La bella estate (in Quest'u(tima si trova piuttosto un1mmagine mitica della città e della coUina torinese), ma in particolare le Langhe sono presenti in modo Quasi ossessivo nella sua u(tima opera.

Ne La luna e i falo, il romanzo dei sua commiato dal monda, sin dalle prime • pagine Pavese sembra voler evocare attomo a sé, come per volerti percepire 71

ed abbracdare per un'ultima volta, prima di scivofare definitivamente nel nulla, tutti i luoghi, i paesaggi e gli orizzanti della sua infanzia, che sempre • voile considerare momento dedsivo e fondamentale della vita. Già il titolo il stesso di quest'opera evoca il mita della grande dea, della terra madre, dal momento che la luna è connessa con i àcli stagionali dell'agricoltura, cosi come i falà venivano accesi per celebrare riti propiziatori per la fertilità della terra, e si deve ricordare anche che Pavese dimostrO sempre un grande interesse per l'etnologia, attraverso la Quafe studià le credenze popofari delle Langhe e le sue tradizioni, con le quali, grazie alla mediazione dell'amico Nuto, veniva in contatto.

Proprio Nuto, arnica determinante nella vita reale dello scrittore, diviene personaggio importantissimo nell'econamia dei suo ultimo romanzo: apPare ara come un seconda attare, ara come un co-protaganista, ora come una figura antagonista e sempre come complemento essenziale dell'autore stesso, quasi un co-autore, che insegna ed interpreta le antiche tradizioni e le antiche leggende. Si potrebbe dire che Nuto appare come il druido, il sacerdote che aiuta e dirige il rapporto, trappe intellettuale ed astratto, dell'autore con la realtà dei monda antico delle Langhe. Nuto diventa, cosi, il punta focale, l'ancora di salvataggio, e, per quanta riguarda Pavese stesso, il mezzo di collegamento tra 11dea intuita e fa realizzazione pratica dell1dea stessa. Infatti è Nuto il depositario di queUa cuttura che ha dato vita ai miti di Pavese, è l'uomo che conasce per esperienza diretta tradizioni e costumi, che li vive interiormente ed esteriormente, li comprende nef profondo delfa sua anima. Nuto canosce il dia eroe che ha portato fa civiltà, comparendo improwisamente in mezzo aile radure nascoste tra le colline, ed ha accettato da lui il peso e l'anore di trasmettere gli insegnamenti ed i riti, di sostiuire l'eroe divino con fa sua figura di uomo, sacerdote druido, assumendosi il compito di far continuare la vita, attraverso il àda etemo di vita, morte e • resurrezione. Nuto, uomo reale di santo Stefano Belbo, conosce tutto questo 72

in prima persona e direttamente : Cesare Pavese, l'autore, no. Cesare Pavese accetta, subisce, vive, anche i miti che l'arnica gli insegna e svela, ma li vive • nel passato, in quella sua infanzia che ha trasformato in esistenza mitica, quindi in simbolo universale. Non sa vivere il mita della terra nel tempo reale : deve, per capirlo, trasformarlo e riferirlo al periodo dell1nfanzia, e, facendo questo, ne relega il significata nel passata, nega il divenire della realtà mitica, la priva dei futuro e di agni probabiltà di vita. La grande dea, viva e reale per Nuta, non è altro che una morta immagine dei passato per Pavese, perché, legata all1nfanzia, non trova un futuro in cui esistere, quando 11nfanzia è passata e resta solo il sua ricordo : rivisitando la propria infanzia, Cesare Pavese raffigura per sé, per noi e per tutti la morte della dea.

Pur se originate da una conoscenza intellettuafe, mediata attraverso il mita dell1nfanzia, tutte le tradizioni, tutti i riti, le fesitività, che si possono supporre di origine celtica delle Langhe, sono presenti nelle opere di Pavese, che visse la maggior parte della sua vita in Piemonte e se ne allontano solo molto rararnente e per brevissimi periodi. Inoltre, fine alla morte, usava trascorrere vacanze e periodi di riposo nelle Langhe, e la campagna è sempre rappresentata come il luogo delle prime, importanti esperienze di vita, divenute fondamentali net rieordo. Attraverso queste esperienze prende forma la personalità dell'uomo e, in seguita, con una scelta consapevole, nasce il mito.

Il mito pavesiano, come tutti i miti, ha come caratteristica principale la sua unidtà, cioè la sua caratteristica di base è quella di essere accaduta una sola volta e di essere valida in etemo. Ogni nuovo accadimento, per tante volte che possa ripetersi, non è altro che la rivisitazione di un fatto originario, il rivivere un'azione già accaduta. Il mita è il fatto, il momento particolare e specifieo, oppure il luago, vissuto a visto durante 11nfanzia, trasformato in • qualcosa di molto più importante di un ncordo, piacevole 0 spiacevole, 73

facendogli acquistare un valore universale. Di solito il mita si origina nell'età infantile, quando le prime, inconsapevoli esperienze divengono le norme per • la conoscenza dei mondo.

L'etnologia definisce genericamente il mita come una storia sacra, che racconta un evento awenuto in un tempo favoloso. Questo tempo favoloso e divino per Pavese non è null'altro che fa sua infanzia. A sua volta l'infanzia rappresenta il monda istintivo delle origini, quello che è mena contaminato dalla cultura e dai processi intellettuali.

Nel corso di tutta la sua produzione artistica Pavese rivisita la sua infanzia/mito, ma come dttadino colto ed intellettuale, alla ricerca di un'innocenza originaria, che ha perduto nel corso degli anni e della vita : per questo ha bisogno di Nuto, l'uomo nan cantaminato, il puro, che non ha mai abbandonato le sue origini, la terra, la grande dea. Per mezzo dell'amico, falegname, contadino, suonatore di clarino, poeta a suo modo e saggio, Cesare Pavese rientra in contatto con la terra e le sue ongini, ma poiché terra ed origini sono state trasformate in miti, ha bisogno della mediazione dei sacerdote-Nuto, per interpretare, comprendere, percepire ed accettare il significato delle tradizioni e dei riti con i quali viene in contatto.

Praticamente tutte le tradizioni e tutti i riti antichi che si conoscono sono presenti nelle opere di Cesare Pavese. In Particolare sono menzionate e descritte le numerose feste di campagna, con una speciale attenzione per quelle estive: in tutte si trovano alcuni elementi costanti, quali il vina, la danza, la musica ed il canto, che sembrano essere indispensabili per ottenere l'uscita fuori di sé, necessaria per lasciare i limm umani e raggiungere il contatta con il divine, significato primigenio di tutti i riti festivi. Troviamo descritte feste religiose, come san Giovanni, popolarissima in tutto il • Piemonte, e che occupa un posta dei tutto particolare nel mita pavesiano. 7~

san Giovanni, inaltre, caindde con il solstizio d'estate e deve essere messa in relazione con i riti dell'inizio di un dela stagionale, di conseguenza è più una • festa agricala che nan una prettamente religiosa. Tutte le celebrazioni sono permeate di una forte atmosfera magica, che si diffonde nella notte più corta dell'anna .. Il culmine della festa si raggiunge con ('accensiane dei fa/ô, non

lontano dalle abitazioni, nei campi, neIle vigne 0, più sovente, sulla cima delle colline, oppure nelle radure, drcondate dai boschi di nocciali. Tutte le feste narrate da Pavese, inoltre, servono da comice all'evento che è il punta centrale, il fulcro della festa stessa : il sacrificio. Questa puà assumere la connotazione di un rttuale astratta, come la pura e semplice accensiane dei fa/à, che non sono altro che offerte votive per la fertilità della terra, oppure si tratta, in modo molto reale, di un sacrifido umano. Pavese nella sua narrativa estremamente intellettualizzata, insensce questa forma di ntuale in modo per

nulla simbolico, alludendo ana (esta antica, seconda le interpretaziani di Frazer, di cui Pavese era une studioso (28). Il motiva per il quale la scrittore si awale di questa tipo di simbologia, si potrebbe, forse, travare nel fatto che, per la società modema e quindi anche per Pavese, la nozione di div;nità non ha più alcun signiticato reale. La necessità da parte degli antichi di avere un contatto con l'essere divino, dava, in passato, origine al sacrifido, che poteva essere di varia genere, dall'offerta di fion e frutta, sine all'ucàsione rituale di un essere umano, ma che, comunque aveva sempre il significata di mediazione tra sacrificante e divinità, mentre i modemi hanno perse coscienza di questo bisogno. Per questo motiva, 11dea della spargimento di sangue per meglio conoscere la divinità suscita orrore, la stesso orrore che suscitano i delitti descritti da Pavese, àrcondati dalle notti di festa e

consumati crudamenter carichi di simbolismi e di antichi, nascosti muali.

La morte è sempre stata un tema centrale per Pavese e ne fanno testimanianza le malte annatazioni che si leggona nel sua diana, mentre il • sua stesso suicidio e la sua vita, esistenzialmente ammalata, contribuirono 75

non poco a dare alla sua opera un1mpronta socialmente negativa, di disperazione intellettuale e di vuoto morale. se perà si applica una chiave di • lettura diversa aile sue opere, rapportandole ad una società molto più antica dell'attuale, tutte queste morti violente possono essere viste come sacrifici

rituali, campiuti attraverso il fuoco, che purifica, 0 per mezzo dei sangue sparso, che è un donc per la terra e la rende feconda, neca e fertile, si potrebbe, insomma, trattare di un simbolo pavesiana, che ricandurrebbe al grande, etemo cido di vita, morte e resurrezione, la base dei culti tributati alla grande dea.

Il prablema è che Pavese era armai trappo lantano dalla terra e dalle sue arigini. Riusci a percepire 11mportanza della ciclicità della vita legata alla terra ed ai suai ritmi stagionali, ma questo awenne non in modo naturale : intui tutto questo attravero Nuto, il suo Virgilio, e la capi non can i sensi, ma con l'intelletto. U razionalizzà per mezzo di un processo intellettuale, che comprendeva l'amore per la sua terra, ma anche il distacco dell'uoma razionale, colto, moderno. Pavese incontrà la grande dea nel sua cammino, ma valle capina, possederla in modo intellettuale, al di là delle sue manifestazioni naturali : e provocè per se stesso il vuoto e la disperazione. La morte della dea.

Proprio questo è quanta rende i suoi mit;, sempre volutamente e cosdentemente creati, sostanzialmente diversi dai miti vissuti a Iivello inconscio da Beppe Fenoglio, che non ebbe mai bisogno di un Nuto per capire la vita della natura, dal momento che non aveva mai, neppure solo mentalmente, perduto il contatto con la grande dea. • 76

ll. 4. CONCLUSIONE. BEPPE FENOGLIO : MaDERNO DRUIDO DELLE • LANGHE

Come concfusione desidero esprimere le impressioni, i sentimenti e le intuizioni che sono stati susdtati nella mia mente dalle ricerche compiute nelle Langhe e dalla lettura e rilettura delle opere di Beppe Fenoglio.

Il giorno in cui cominciai il mio viaggia attraverso le colline che videra la vicenda partigiana di Beppe Fenoglio, e furono teatro di tutta la sua vita, era, da poco più di un mese, trascorso Beltane e le verdi colline delle Langhe si preparavano alla celebrazione dei salstizio d'estate, appena un poco mimetizzato nella cristiana festa di san Giovanni. In tutti i piccoli e grandi paesi, affondati nelle valU dei Tanaro e dei Belbo, 0 arroccati suife verdi, fertili tondeggianti colline, cosi simili a seni fernminili, la popolazione si preparava alla grande festa. Ovunque venivano organizzati festeggiamenti, banchetti e fuochi, tecnologici fuochi pirotecnici, ma anche più tradizionali falà. Quasi dovunque, i giovani si preparavano a prendere parte a gare di marda attraverso le foro terre, inconsapevolmente onorando, in questo modo, la madre, che garantisce e protegge la vita di agni essere vivente. In agni piccola comunità veniva eletta una regina, una fandulla giovane e graziosa, che, per poche ore, sarebbe stata fa savrana e come tale onorata : forse un ricordo della sacerdotessa druidica che, in un tempo lontano impersonava la dea, e che doveva celebrare le nozze sacre con il re, simbolo di tutti i viventi, in modo da garantire il continuare della vita attraverso la fertilità della terra, la madre di tutto e di tutti.

La stagione correva verso il solstizia d'estate, ma tale non appariva : quella mattina la coUina di san Siro, ai piedi di quella più alta su cui sarge l'antico • borgo di calosse, era completamente immersa in una nuvola, grigia come il n

piombo, dalla quale si riversavano sull'aia e sulla campagna drcastante torrenti di pioggia, cerne versata a secchiate dal cielo basso, chiuso,

• monotone. Ai margini dell'aia i dliegi, rfcchi di moltissimi, gonfi frutti, rassi 0 chiaro-rosati, apparivano come fantasmi, piangenti lacrime sanguigne sulla terra satura di pioggia, mentre le più lontane viti quasi sparivano nella nebbia, nascondendo i loro grappoli, ancora verdi, duri ed acerbi, sotto il precario ripara delle faglie fradice. La pioggia, rtversandasi sui tetti e suite faglie, riempiva l'aria di un rumore insistente e sempre uguale, che, tuttavia, era reso ovattato dalla nebbia, che penetrava dovunque. L'atmosfera era intrigantemente magica, sospesa in un'assenza di fluire temporale : etema.

Nonostante 11nclemenza delle condizioni atmosferiche, mi awiai verso la città di Alba, con la mia auto, che, cosi brillantemente rossa, formava l'unica chiazza di colore nel grigio-bianco-nero delle colline, dei cielo e della pioggia.

Decisi, proprio a causa dell'atmosfera sottilmente magica che permeava le colline, di seguire 11tinerario più tungo, viaggiando sui crinali invece che sulle più carnade strade dei fondovalle. Quelle che seguii erano strette strade, serpeggianti ara sugli spartiacque, ora sui fianchi scoscesi dei colli: ara correvano in mezzo a boschi 1ussureggianti, ara si precipitavana sul fonda delle valli, a volte solcate da rumoreggianti torrenti, che la pioggia, sempre cadente in furiose cartine, rendeva simili a grige furie, spaventosi ed incontrollabili. Attraversai, quasi triplicando il tragitto verso Alba, moiti dei paesi che videra la guerra di Fenoglfo tra i partigiani: Castiglione, santo Stefano, Neive, poi da Mango, attraverso Trezze e Tinella, scesi, superando il FIume, verso Alba. Durante il viaggia, attraversai cartine dopa cortine di pioggia grigia, l'una dopa l'altra, sempre susseguentesi, senza interruzione, come se il monda si fosse trasformato in un unicof immenso acquario. Mi immersif cosi, completamente nel mondo di Fenoglio, come 10 descrive in • moiti dei suoi racconti sulla Querra partigiana : il periodo delle grandi piogge, 78

che precedette la sbandamento delle forze di Iiberaziane, prima dei nuavo • raduna e della vittoria definitiva contra il potere nazifascista. la città di Alba mi apparve al di là dei fiume, grondante pioggia, viva di un traffico intenso, trappe nuova e modema, in contrasta con le colline senza età da cui scendevo. Man mana, pero, che mi addentravo verso il centra dttadina, nel vecchio cuore della città medievale, costruito di mattoni rassi, resi lucidi dalla pioggia onnipresente, ritrovavo la giusta atmosfera in accorda con le colline, che aveva appena lasciato : la nebbia era cosi bassa che si impigliava nei comignoli, nei tetti, nei balconi persino, delle case attutendo i ruman dei maton, lasciando passare soltanto la pioggia continua. Lasdai la mia auto dietro la piazza della cattedrale e camminanda mi awiai verso il Palazzo dei Comune, vidno aile ravine della casa di Fenoglio, situata tra la chiesa ed il municipia, dove mi attendeva la lettura di moiti documenti

riguardanti (0 scrittore.

Beppe Fenoglio visse qui, in questa antica terra celtica, ed anche se non esiste nessuna prava oggettiva dei sua personale coinvalgimento, a anche solo interesse, nelle antiche tradiziani e credenze, tuttavia credo che moiti particalari della sua vita permettano di interpretare sotta questa luce le sue opere letterarie.

Beppe Fenoglio, cittadino di Alba, di arigini contadine, ebbe malte difficoltà sociali, a causa della sua timidezza, provocata sia da una leggera forma di balbuzie, che dalla statura, eccessiva per la media dei sua tempo, sia dall'estraziane sociale, reputata inferiore dai rampolli della ncca borghesia albese, che gli erano compagni alliceo, tante che si senti sempre un diverso in mezzo agli altri. Nonostante fosse ricercata, corteggiato ed ammirato per la • sua modemità in un ambiente segnato dal tipice immobilismo borghese della 79

provincia, tuttavia fu sempre considerato diverso, a causa anche della sua • cultura anglofila, in un momento stanca di autarchismo profonde. Da ragazzo, Fenoglio fu profondamente dominate dall'intelligenza della madre, che imprantè tutta la vita di questo sua figUa eccezianale, poeta e sognatore, per indole e vocaziane, guerriero, invece, a causa delle circostanze. La madre l'avrebbe voluta laureato, tranquillo professore nelliceo cittadino e l'abbandana degli studi da parte dei figUa, incapace di reinserirsi in una normale, pallida e tranquilla vita accademica, dopa la terribile, devastante, ma alla stesso tempo esaltante, awentura della guerra partigiana, fa riempi di amarezza e delusiane. Considerava, infatti, il figUo un perdigiomo, un disadattato, smarrito nei suai scritti e nef fumo delle sempre presenti sigarette. Per dimostrare alla madre che anche lui aveva un suo valore, non solo il fratello Walter, brillante funzionario della FIAT, Fenoglio pubblicè i suai primi racconti e romanzi : in realtà, egli scrisse sempre per se stesso, per trovare una spiegazione, una giustificazione, forse, aile vicende terribili che aveva vissuto, inserendole nelle eteme vicissitudini della sua terra, legandole alla vita contadina, vista come la depositaria della reaftà, perché legata all'etemo cielo vitale dell'universo.

Anche dopa i primi successi, Fenoglio scrittore restè sempre un quasi sconosciuto per i cancittadini, sia per la popolaziane comune, composta in massima parte da contadini inurbati, sia per l'élite intellettuale della città. l metivi furane moiti e van, e, oltre che nella sua indole, estremamente schiva e riservata, vanna ricercati nella sua stessa staria partigiana. Infatti Fenoglio si uni, dapprima, ai gruppi Garibaldini, i casiddetti Rossi, di idea comunista e strettamente legati all1deologia dell'Unione Sovietica. In seguito, non potendo il sua spirito Iiberale accettare il continuo indottrinamenta marxista-Ieninista, lascià i Rossi per unirsi agli Azzurri badogliani, più Iiberali e in stretto • rapporta can le furze degli alfeati. Nef dapoguerra, con la DC al govemo ed i 80

comunisti all'opposizione, Fenoglio divenne un personaggio scomodo per entrambi gli schieramenti, oltre che per gli stessi gruppi di ex-partigiani. II • motiva èche Fenoglio, nelle sue opere, non esalta le imprese compiute da questo 0 quel gruppo in mcxfo unilaterale e corale, bensi tratteggia le figure dei combattenti in modo assolutamente oggettivo mettenda in luce eroismi e crudeltà, atti di meraviglioso coraggio e nefandezze senza nome, in tutti gli schieramenti, molto pacatamente evidenziando il fatte che agni partigiano combatte per il sue proprio, personale ideale di libertà, non per il trionfa di un'idea astratta e percio lontanissima dal sangue, il vero sangue, che era sparso suite colline. 5comode per tutti, quindi, e queste fatto non fu certamente diminuite dal sue vote per la menarchia, nel referendum che segui la fine della guerra, a dall'essere stato protagenista dei primo matrimonio civile celebrato in Alba, quande, poco prima dei quarant'anni, decise di sposarsi : in queWoccasione il sindaco della città rifiuto di celebrare la cerimenia e fu sostîtuito dal vice-sindaco.

Anche per i letterati Fenoglio fu sempre un personaggio scomodo, non solo per i suoi ideali e la sua concezione della letteratura, ma anche per la sua lingua, farcita di espressiani inglesi (Fenoglio diceva di comporre i suoi Javori prima in inglese e solo in seguito di tradurli in italiano), di numerosissimi

piemontesismi, di arditi neologismi e di espressioni cfassiche 0 classicheggianti: una lingua che presenta una struttura estremamente diffidle da definire, assai lontana da un italiana, non dico letterario, ma anche solo grammaticalmente e sintatticamente di fadle comprensione. Un esempio per tutti, a questo proposito, pub essere l'usa che egli fa dei participi presenti, completamente diverse da quello normale e corrente della lingua italiana modema. Fenoglio, infatti, dà nuova vita alla funzione verbale dei partidpio presente, seguendo in linea generale il mode110 dell1nglese ed usandolo solo raramente in funzione aggettivale, come è comune neU"ltaliano odiemo. • Troviamo nella sua prosa partidpi presenti con funzione di proposizione 81

relativa, participi presenti che reggono complementi e partidpi presenti sostantivali, oltre al participio presente usato come un ablativo assoluto • latino. Usi arditissimi di una forma verbale molto in disuso, che contribuiscono non poco alla difficoltà di lettura delle sue opere.

Per questi motivi, uniti a moiti altri di indole più privata e personaie, Fenoglio ebbe pochi apprezzatori nella sua dttà : solo un ristretto gruppo di amici Fu sempre cansapevole dei sua valare, e questo era sufficiente alla schivo, timido, introverso Fenogfio.

Trascorsi alcune ore nel Palazzo Comunale, leggendo documenti riguardanti Fenoglio, cercando di capire l'uomo Fenoglio, studiando la scrittore Fenoglio : întanto, al di fuori, sulla piazza antica, la pioggia continuava a cadere a rovesci, attraverso fa nebbia sempre fitta, che appiattiva agni cosa nella sua soffice, apparente calma. Usdi dalla splendido palazzo, guadai i numerosi torrentelli attraversa la piazza della cattedrale, riguadagnai l'asciutta della mia auto e, can i fart accesi, risalii le colline per tomare a calassa. La nebbia cominciava ad aprirsi in alto e rimaneva densa e pesante solo sul fonda delle valli. Dai crinali degli alti colli nei dintomi di Mango, la spettacolo era breathtaking, come avrebbe scritto Fenoglio. La pioggia accennava, tinalmente, a cessare ed era armai ridotta ad un'acQuerugiola sottife. Il cielo non era più un insieme plumbeo di nuvole basse e compatte, ma un ribollente cafderone di cumulonembi, neri, 0 grigi, 0 bianchi, in rapido accavallarsi. La terra brillava, umida e nera, e tutta la vegetazione scintillava, ludda e pulita, fresca e luminosa. Le valli, sul fondo, conservavano ancora bioccoli di nebbia, ma le colline si ergevano come rinate, seure, verdi, piene di vita nei lare anfratti scoscesi, simili a velluto per la ricchezza della vegetazione. Altrove le vigne allineavano i loro tilan essenziali in perfetta simmetria: un inno al • lavora urnano ed alla fertilità della terra. Altrove ancora, le colline si facevano 82

soffid e morbide, tondeggianti, rese seriche dalla vegetazione vista in • lontananza : i mammelloni. Mentre immobile contemplavo questo spettacolo senza tempo dall'alto di un crinale, che mi permetteva contemporaneamente la vista su due valli, mi venne in mente che, al di là dei moiti passaggi particolari, che possono alludere aile antiche tradizioni, proprio in questa visione della terra si pua travare un parallelo can la conceziane della natura che era prapria delle antiche popolaziani dei Piemonte.

In tutte le sue opere, infatti, Fenoglio ci offre un1nterpretazione della terra che si riallaccia, in spirita, aile antiche tradizioni, filtrate attraverso secoli e secoli di repressioni e rivestimenti di fedi diverse. Nonastante le sovrastrutture, nei mamenti di maggior pencala, l'anima dell'uamo ritoma istintivamente ai suai sentimenti primordiali, e si rifugia in una visione naturalistica dell'esistenza.

Se si volesse dare delle opere di Fenoglio una interpretazione psicanalitica di indirizzo freudiano, si potrebbe dire che tutto comincia con il padre e finisce con il padre, questi prendendo, via via, le sembianze di un vero padre, come ne La malara, appure dei van capi partigiani, come Nemega, Lampus, 0 Nord, oppure di partigiani amid, come Michele 0 Pierre. Tutto sarebbe, in questo modo, ridotto ad un sentimento di amore-odio di stampo edipico, dove l'amore per la madre vive tra la gelosia nei canfranti dei padre ed il desiderio­ orrare dell1ncesto (29). Da parte mia preferisco leggere le opere di questo grande scrittore tenendo presenti le tradizioni antiche della sua, e mia, terra.

Beppe Fenoglio proviene da una famiglia di origine contadina, anche se inurbata, quindi le antiche concezioni, tipiche di agni società contadina, • compresa quella celtica, gli erano certamente familiari, e anche se nessuno 83

ha poMo darmi conferma di un sua particofare interesse per la cultura popolare 0 il foldore, tuttavia il sua substrato culturale si basava sicuramente • su una forma di cultura popolare e contadina, che traspare da tutte Quante le sue opere, con un'attenzione dei tutto particolare per il mondo naturale, gli alberi, le coltivazioni, la terra : un'attenzione composta di rispetto, timore, meraviglia e, soprattutto, amore e coinvolgimento vitale.

Attraverso tutte le pagine de Il oartigiano Johnny, ma, anche se in misura minorer in tutte le altre opere, Fenoglio ci racconta l'epopea della terra, e la terra è interpretata a volte liricamente, a volte drammaticamente, a volte in senso trascendente, a volte in sense immanente, come la madre, la grande dea, la datrice di vita e, attraverso l'operato dei suoi figli, è anche rappresentata come l'apportatrice di morte. Gii uomini, i figli della dea-madre­ terra, combattono l'une contra l'altro in nome di ideologie astratte, che, alla fine, si traducono tutte con il desiderio di libertà. La libertà si identifica per Johnny, e per gli alm suoi fratelli letterari, nell'unione-vita con la madre universale, la grande dea, la terra. Johnny è un cittadino, che, pur essendo vissuto in città, come Fenoglia stesso, non ha perduto il contatta fisico con la terra e la riconosce come la propria madre ancestrale. In particolare questo bisogna di contatto fisico con la terra madre è evidente nelle scene di battaglia, nella descrizione delle fughe, nei tentativi di nascondersi alla furia dei nemici in mezzo agli anfratti ed ai boschi delle colline. Molto sovente, in queste descrizioni vengono rappresentati i rittani: profonde, scoscese spaccature nel corpe delle colline, quasi sempre ricoperti di ricchissima vegetazione, composta, oltre che dai soliti naccioli e sambuchi, da muschi e felà. Sul fonda dei rittani, quasi sempre, scorre un piccolo, ma impetuoso, torrentello, che rende la discesa e l'attraversamento estremamente difficili e, sovente, pericolasi. Il rittano rappresenta l'ultimo rïfugio, il luaga sacra, inaccessibile a chi abbia perso la capadtà di contatto con la terra madre. • Cercare rifugio in questo abisso significa, infatti, penetrare nel corpe stesso della terra, affidare la propria vita ad elementi che possono essere molto ostili per chi non sappia più riconascerli come parti integranti della propria • esistenza, ma che anche sanna essere benigni, pietasi, amorevaU, quasi, can chi, invece, viva in armania con la vita della terra.

Vi è in quest'opera un grande, sincero, primitivo amore per la terra: la madre offre riparo ai fuggiaschi, li copre can le sue fronde, impasta con il fango, che è il sua sangue, i loro valti e li mimetizza, assimilandali aile sue stesse membra, inghiotte i suoi figli in anfratti profondi, proteggendali, salvandali, senza sentirsi violata, perché questi vivono all'unisono con la sua esistenza e le sue stagioni.

A questa simbiosi tra 10 scrittore e la sua terra pensavo, mentre da) crinale dell'alta coiiina cantemplava le due valli, lucide per la pioggia, armai quasi cessata, ed al fatto che l'unica figura femminile di grande rilieva nei romanzi di Fenoglio è proprio la terra: ara è la vergine, violata e stuprata dalle battaglie, ara è la madre, che offre il suo sena come rifugio e nutrimenta per i suoi figIi. Ora, invece, è simile alla Morrigain, che porta la morte, ma è pietosa, tuttavia, verso la pavera, effimera umanità, e che accoglie le spoglie dei figli nel suo ventre, can la promessa di una nuova, mutata vita, scandita dal ritmo delle stagioni, eteme, come la terra stessa.

Questa è la terra per Fenoglio-Johnny e la vecchia, che ospita lui ed i suai amici, che viene imprigionata e pei liberata, e che ancora offre rifugio a Johnny, a casdna della Langa, è come la maga, la vecchia sacerdotessa della grande dea" la vecchia, una contadina senza tempo, è l'unica donna reale che abbia un qualche peso ne Il oartigiano Johnny, anche se compaiono altre figure femminili, madri, soreIle, innamorate, spose. Vi è Elda, ad esempio, ambigua adolescente, evanescente figurina dal sottile fascina perverso, • giovane donna senza radid e senza ideali, che ha la sublime audacia di 85

prostituirsi per poter offrire due pacchetti di sigarette a Johnny, che combatte per la libertà, 11deale di tutti : ma Elda e le altre sono tutte figure marginali, • vive solo un attimo nell'economia dei racconto. Completamente diversa, invece, è fa vecchia di casdna della Langa : è una donna anziana, contadina da sempre, solitaria nel sua casale, a stretto contatto can la terra. Vive sola con una lupa, animale dei tutto eccezionale, alter ego della donna stessa. Non ha fascina: altre che vecchia, è brutta, si muove malamente ed i suoi abiti sono maleodoranti, ma ha una maestà ed una dignità che tutti le riconoscono inconsdamente. Quando, liberata dopa l'arresto, ritoma alla sua cascina, gli abitanti dei dintomi l'accompagnano in corteo, riordinano e rifomiscono la sua casa, devastata e spogliata dai fascisti. Le rendono omaggio come ad una regina. Le genti che vivona sulle colline scorgono in lei, al di là della miseria umana, la personificazione della terra, perché è sempre vissuta in stretta contatta con essa. Trovano in lei la nobiltà e la potenza della sacerdotessa della grande dea, che conosce i misteri della natura e dei tempo e dell'etemo aela di vita, morte e resurrezione. Cosi come, senza neppure esseme cosciente, li conasceva Beppe Fenoglia e li ha lasciati intuire ai suai lettori.

• 86 • CAPITOLO II - NOTE 1. Calvino, I. Il sentiero dei nidi di ragno. Prefazione. Torino, Einaudi, 1963. 21-22. 2. 1922, 1 marzo Beppe Fenoglio nasce ad Alba (Cuneo). Il padre lavera in una macelleria, è un sodalista turatiano e diStaccato dalla vita refigiosa. La madre è una donna forte, cattolica praticante, che tiene con intelligenza ed energia le redini deJfa famiglia. 1928-1929. Il padre diviene padrone di una macelleria e la famiglia si trasferisce a vivere sopra la bottega e vi resterà fine al 1957. Appartamento e negozio si trovano nel centra starico di Alba, in piazza dei Duomo. 1928-1932. Pur essendo balbuziente Beppe supera in quattro anni le cnque cfassi elementari ed è une studente briUante ed appassionato ad agni genere di lettura. Su suggerimento dei maestro, Beppe, nonostante le non buone condizioni economiche della famiglia, viene iscritto al ginnasio. 1932-1937. Frequenta il Ginnasie Giuseppe Govone di Alba, inizia a studiare l'inglese e si appassiena alfa letteratura anglosassone. Beppe è un ragazza molto alto, sportivo e pratica attivamente la pallacanestro, il caldo, il tennis ed il pallone elastico. 1937-1940. Durante gli anni dei Iiceo incontra alcuni insegnanti eccezianali, che orientano le sue idee verso un totale antifascismo. Beppe è sempre timide, impacciato e balbuziente, ma la sua cultura diversa eserdta un grande fascina sulle sue compagne. Nasce in questo perioda la storia d'amore con una campagna di stato sociale superiore al sua, che diverrà la Fulvia di Primavera di beltezza e di Una guestione orîvata. 1940-1942.Si iscrive alfa Facoltà di Lettere dell'Università di Tonna, supera otto esami, con risultati non brillanti. 1943. Èchiamato aile armi ed assegnato al corso allievj ufficiali, prima a , pOi a Pietralata (Roma). Dopa la sfasdarsi dell'eserdto ritoma in famiglia, 1'8 settembre. In dicembre, Beppe e il fratello Walter prendono parte all'assalto della caserma dei carabinieri di Alba, dove erano stati imprigionati i genitori dei renitenti alla leva. In seguito a questo moiti cittadini di Alba vengono imprigionati e, tra roro, anche il padre di Beppe, che pero viene ben presto rilasciato. 1944 In gennaio si unisce ai partigianÎ della Brigata Garibaldi, partecïpa ai combattimenti di (arrù e in seguito ritoma a casa. Contemporaneamente anche il fratelro aveva disertato dall'eserdto ed era ritomato ad Alba. In seguito ad una delazione vengano scoperti ed arrestati, insierne con tutta la famiglia, madre e sorella comprese. Le donne sono fiberate Quasi subito, mentre per gli uomini di casa Fenoglio deve intervenire il vescovo di Alba, che ottiene ra loro liberazione mediante une scambio di prigionieri. In settembre Beppe ed il fratello si uniscono aile fermazioni partigiane al comando di Enrico Martini­ Mauri (Lampus). Beppe partedpa con il suo gruppo alla liberazione di Alba (10 attobre ­ 2 novembre). Dopa il proclama dei generafe Alexander, che suggerisce ai partigiani di disperdersi in attesa della primavera, trascorre l'invemo a cascina della Langa, in une spaventoso isolamento. 1945-1946. In febbraio, dopa il raggruppamento, Beppe partecipà alla battaglia di Valdivilla, fu uffidale di coilegamento can re ferze alleate, partedpà alla battaglia di Montemagno (19 • aprile). Il 2 giugno vota per la monarchia. A causa delle difficottà di inserimento nella 87

vita normale decide di abbandonare l1Jniversità e Questo provoca dissensi e ven e propri scontri con la madre. Si ritira sempre più sovente in solitudine per scrivere. 1947. • È assunto, come corrispondente per l'estera, in un'azienda vinicola di Alba (la ditta « Figli di Antonio Marengo ») ed in seguito ne diviene procuratore. Manterrà questo impiego per tutta la vita, muovendosi da Alba in rarissime occasioni e solo per lavora, recandosi, al massimo, a Genova, Tarina e raramente in Franda. 1949 Pubblica in PesO rassi il suc primo racconto, con la pseudonima di Giovanni Federico Biamanti. Presenta all'editore Einaudi i RaÇÇQnti della Querra civile e La caga dei sabato. Il 2 novembre !tala calvino esprime un giudizio molto favorevole sulla sua opera. 1950, 4 gennaio. Incontra a Tonno Vlttorini, Calvino e Natalia Ginzburg. Prepara la nuova stesura de !:a Daga dei sabato. In settembre inizia una nuova raccolta di dedid raccanti, in parte già inclusi nei Racconti della querra civile. 1951. Organizza in Alba un programma di attività culturali presso il Circolo Sociale. 1952. Esce in giugna l ventitré qiomi della città di Alba. 1953. Termina in estate di comporre la malora. 1954 In agosto viene pubblicata La matera, con una nota denigratoria e polemica di Vlttorini, che offende profondamente Fenoglio. 1955. Pubblica la traduzione di The Rime ofthe Ancient Mariner di Coleridge. 1957. Il fratello Walter, laureato in legge, si trasferisce per Iavara a Ginevra, mentre fa sorefla Marisa, laureata in scienze naturali, si sposa e va a vivere in Germania. Beppe ed i genitori si trasferiscono a vivere in Corso Coppino. 1958. 1 rapporti con la casa editrice Einaudi si deteriorano e nell'estate si mette in contatto con la Garzanti, presentando un remanzo sugli anni 1943-1945., che sta scrivendo e riscrivendo da oltre due anni. In settembre cominda a non stare troppo bene e in novembre si ammala di pleurite. 1959 Presso Garzanti viene pubblicato Primavera di bellezza. Arma con Garzanti un contratta con opzione di cnQue anni per i suoi favori inediti. Vince il « Premio Prato ». Inizia a scrivere un nuovo remanza sull'epopea partigiana, che verrà pubblicato solo nel 1978 da Einaudi con il titolo di Frammenti di un romanzo e nel 1992 come Limboscata. In invemo gli viene diagnosticata una grave affezione aile coronarie, compficata da un'asma branchiale cronica. 1960, 28 maggio. Sposa con il solo rito civile Ludana lombardi, proveniente da una famiglia albese di estrazione sadaie molto superiore alla sua. Si impegna nella triplice stesura di Ung guestione privata. 1961. Raccogfie i suoi racconti per presentarti al« Premio Intemazionale Fermenter ». Desidererebbe intitofarli Racconti dei oarentado, ma accetta ana fine il titolo Un giorno di fuoco. Contrasti sorti tra Bnaudi e Garzanti ne impediscono la pubblicaziane. 1962. Masce la figfia Margherita e per lei saive due brevi racconti : La favofa dei nonno e Il • bambine che rubà une scudo. Vince il premio« Alpi Apuane » per il racconto Ma il mio 88

amore è Paco. Contrariamente aile sue abitudini, si reca a riœverfo personalmente, ma lascia Quasi subito la Versifia a causa di un'emottisi, seguita da gravi compficazioni respiratorie. Quando fa matattia si aggrava, viene ricoverato prima a Bra, poi aile • Molinette di Torino, dove gli viene diagnosticato un cancre ai branchi. 1963. Viene sottoposto a tracheotomia, ma il mattino dei 17 febbraio entra in coma e muore nella natte dei 18 febbraio. 3. Fenoglio, B. Appunti oartigiani. Tonno : Einaudi, 1997.49. 4. Fenoglio, B. « Neira valle di san Benedetto ». Diciotte racconti. Tonna: Einaudi, 1995. 3. S. Fenoglio, B. « Ferragosto ». Didotto racconti. Torino : Einaudi, 1995. 56. 6. Fenoglio, B. « fi paese ». Didotto racconti. Torina : Einaudi, 1995. 108. 7. Fenoglio, B. «Vecchio Blister». 1 ventitré giami della dttà di Alba. Torina : Einaudi 1996.224. 8. Fenoglio, B. «Quell"antica ragazza». 1 ventitré giomi della città di Alba. Tonna: Einaudi, 1996. 283. 9. Fenogfio, B. Una guestione privata. Tonna: Einaudi, 1996. 104 10. Fenoglio, B. La matora. Tonna: Einaudi, 1997. 6. 11. Fenoglio, B. La maJora. Tonna: Einaudi, 1997. 56. 12. Fenoglio, B. La malora. Tonno : Einaudi, 1997. 75. 13. Fenoglio, B. La marora. Tonna: Einaudi, 1997. 83. 14. Fenoglio, B. La malora. Tonna: Einaudi, 1997. 64. 15. Fenoglia, B. La marora. Tonne: Einaudi, 1997. 85. 16. Fenogtio, B. Il oartiaiano Johnny, a cura di Dante IseUa. Tonna: Einaudi, 1994. 96-97. 17. Fenoglio, 8. Il oartiaiano Johnny, a cura di Dante IseUa. Tonna: Einaudi, 1994. 107 18. Fenoglio, B. Il Damaiano Johnny, a cura di Dante Isena. Tonna: Einaudi, 1994. 173. 19. Fenoglio, B. Il Damaiano Johnny, a cura di Dante IseJla. Tonna: Bnaudi, 1994. 180. 20. Fenoglio, B. Il oartigiano Johnny, a cura di Dante !sella. Tonna: 8naudi, 1994. 240. 21. Fenoglio, B. Il oamgiano Johnny, a cura di Dante !sella. Tonno : Einaudi, 1994. 290. 22. Fenoglio, B. Il Dartiqiano Johnny, a cura di Dante !sella. Tonna: Einaudi, 1994. 30l. 23. Fenoglia, B. Il oartiaiano Johnny, a cura di Dante Isella. Torino : Bnaudi, 1994. 392. 24. Fenoglio, B. Il oamaiano Johnny, a cura di Dante !sella. Tonna: Einaudi, 1994.44l. 25. Fenoglio, B. Il oartiaiano Johnny, a cura di Dante Isella. Torino : Einaudi, 1994. 443. 26. Fenoglio, B. Il oartigiano Johnny, a cura di Dante !sella. Tonna: Einaudi, 1994. 444. 27. Lettera da santa Stefano Belbo, 25 giugno 1942. 28. Frazer, J. The Golden Bouqh. Ware : Wordsworth, 1993. 29. Hundriks, M.R. Lettura osicoanalitica dei romanzi di Fenoolio. Università dell'Aia, 1995.

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APPENDICE

• Durante le estiJti dei 1996e 1997, ho compiuto una ncerra ne/le Langhe, in particolare ne/la zona a cavallo ua le province di Asti e Cuneo, intervistando un grande numero di persane, per la più contadin; e contadine, di età che variava ua i Quarantaanque ed i novantanove anni. Ilsoggetto di queste conversazioni, che si rive/arone estreinamente interessanti, sono sempre state le masche ed i loru poteJi, e le tradizion; scaramantiche e religiase. Tutte le interviste sono state registrate in diversi dialetti de/le Langhe e sono stati in seguito da me tradotte in italiano cercando, peni, di mantenere, quando possibile le caratteristiche della lingua piemontese.

Le prime tre interviste riportate sono vere e proprie storie di masche; seguono alcune testimonianze su un famosissimo settimino (un diverso) de/la zona e, infine, un buon numero di tradizioni e ritua/i, comuni, piü a mena, a tutta la popolazione delle colline langhigiane.

Come ultima casa desidero aggiungere che alcune di queste interviste compaiono anonime, altre ancora solo con il nome proprio de/ narratore; alcune recano I1ndicazione dei luogo in cui sono state racca/te, altre, invece, ne sono prive: questo per seguire l'espressa volontà dei narratori.

LA SERPE Un mezzadro non riusdva ad accudire la sua vigna, perché una gross agni volta che si addentrava tra i titari 10 seguiva e gli si awentava contro e non la lasciava lavorare. Non serviva a nul/a cambiare pasto, perché la serpe la seguiva sempre e non gl; permetteva neppure di awicinalSi aile viti. Disperato perché le sue viti erano le uniche della zona non in amine, si rivolse al parroco che gli consiglià di digiunare tre giomi a pane e acqua e di recitare alcune preghiere all'alba e altramonto di Quegli stessi tre giomi. lnoltre, gli consegnà un rasario benedetlD e gli suggeri di tomare nefla vigna allo scadere dei terza giomo e di gettare i/ rosario contra ta serpe, non appena QUesta fosse ricomparsa. Il mezzadro segui il consig/io e non appena i/ rosario tacca la serpe dal corpo di QUesta si alzô un fuma denso e nauseante, mentre la pelle sfrigoJava come ferro rovente a contatto con l'acqua. Con un guizzo la serpe spad tra le viti. Soddisfatto iul contadino toma a casa. 11 giomo dopa incontrO una vidna, il marito della Qua/e voleva comperare la caseina che egti aveva a mezzadria, con tutte e due le mani fasdate a causa digravissime ustioni. (Testimonianza non registrata, nome e tocalità omessi su richiesta deinarratore. 1996)

LA MASCA BURLONA Un pastore camminava con il suo gregge e ad un certo punto natiJ che una pecora Si allontanava sempre. Toma indietro per prenderla e vide che si trattava di un agnella piccolino, cosi se la caricà sulle spalle per poterlo portare rad/mente. Poi QUesto agne/la si mise a parfare con una voce di donna e comindo a dire aile altTe pecore: "Beeh, beeh, io mi faccio portare e va; dovete camminare!"Allara ilpastore lascià cadere l'agneJlo perterra e se ne andà via con il gregge, perché questo agne/la era una tnasca, che aveva attirato la sua attenzione, siera fatta trasportare a spalle e po; prendeve in giro ilgregge. (carla B. n. 1955- Costigliolej IFIDANZATI Mia mamma mi ha sempre raceontiltO che mio rugina Giovanni andava a tro'J-are la fidanzata, • che stava alla Roches, e doveva passare viane ad una casa chiamata dei mediconi. Una 90

volta, tomando a casa di notte, ha vista un agnel/a, una pecora, in mezzo al/a strada ed è cresciuta tanto che non gliha più permesso dipassare.. Tomato a casa aveva paura, perché era stiIto castJetto a prendere un'altriI strada per fDmare. Un'altra volta g/i è venuta davanti • un'ombra e anche queséa cresceva, cresceva...• e di nuovo non poteva passare da Quel/a strada. sempre più spaventato, ha deciso di lasciare /a ndanzata, perché era convinto che ci fosse qua/cuna che evidentemente non vo/eva quel ndanzamento. Maria, la fidanzata, invece, ha dedso che sisarebbero sposati subito, cosi non ci sarebbe più stato bisogno di tomare a casa. (Rosalba LI: n. 1949 - Cdlosso)

LA MAMMA QUARANTENNE Una donna si era sposata tard;' il Quaranta anni e aveva avuto un bambina che sembrava non riuscire a soprawivere, perché era tutto gia/Io. La madre aveva una grande ferle e fa subito chiamare ronina, il settimino di Incisa, che perà le dice di non poter tare niente, perchè i/ bambine non era battezzato.. L'!Tanna baltezzato subito subito e lui ha fatto il miracolo immediato. Subito gliha tolto tutto ilgiallo ed ha detto che era un gran bel bambino e che avrebbe sposato una signora. Là madre stessa l'ha raccontiJto alla mia mamma. Tonino conosceva i/ futuro e mia mamma aedeva a Queste CŒe, perché era una casa vivente (RosettiJ M. n. 1918 - Cd/osso)

LA MUCCA é GUAGHI Una volta d'inverno ci radunavamo nella stal/a perché sistava al calda. Le donne cucivano ed una volta una mucca aveva mangiato an gomitDlo dove erano piantati degli aghi, ma nessuno se ne accorge. La mucca aveva cominciato a star male, e il padrone non capiva perché, cosl era andato da Tonino, e lui aveva consigliato diprendere ana manciata dipaglia e distrofinare la mucca, fintanto che non escono cinque aghi. Avevano (alto in questo modo, tutti e cinque gliaghi erano tJSdtj e la mucca siera salvatau (RosettiJ Mo n. 1918 - Calosso)

L1NCREDULA Dl MEASCA Una donna di Measca un giomo rAene in visita da mia mamma e raccontiJ che la nuora aveva avuto una bambina, ma che era nala gravemente ammala/a. La nuora aveva chiesta a lei, la suocera, di andare a Incisa, da Tonino, per vedere se si paresse salvare la picco/a. Lei a~va accettato, perfar/a contenta, ma aveva dichiarato che quel « socron » era solo un darfatano. sena avere fede si è presentata davanti a Tonino, che le aveva rinfacciato di averlo chiamato « socron », l'aveva accusata di non credere in lui e in Dio e l'aveva rimandata a casa, dicendole di pregare la Madonna della Misericordia di sol/evarla dalle disgrazie che le stavano sul/a testa. Lei era spaventata e stupita da Que/la che le aveva detto, ma non era convinta, cosi la bambina era marta edanche i/ ng/io edil marito erano stati acasi in guerra. Dopa avere toccato con mano, aveva trovato la fede e stava andando in pellegrinaggio da Measca alsantuario della Madonna dei Buon Consiglio, che è quasi a Tine/la. Diceva che se aves:re avuto più fede non avrebbe avuto QUeste olSgrazie Prima non credeva a niente, poi è diventata una donna piena di fede (RosettiJ, M. n. 1918- Cd/osso)

IL SANTO ID[MIRACQU Tonino, il « settimino » di Incisa, continua a rare i miracoO. 10 sono stata sulla sua tomba: ci sono sempre tante candeJe e tantissimi fiort. La sua tDmba è sempre a disposizione di tutti i • fedeJi e ognuno fa l'offerta che vuole per castroire ana cappella. Lui non ha mai chiesta una 91

lira, proprio mai. Faceva proprio i miracoO e d VOffebbe là mia mamma pet'raccontarli. Anche adesso fa i miracoli. Mia sorella, per esempio, doveva essere operati1 aile vene e è andata sulla sua tomba a chiedere la grazia che tutto andasse bene.. Imatti l'operazione è andata • benissimo. Si andava da Tonino anche per motivi di interesse e lui sapeva sempre se era meg/io vendere a no. Non mi vengono in mente altri fatti : mia rnamma è morta nel 1962... Perô io la prego, ho anche la sua roto, perché passa tirare avaflÜ con QUeste gambe e non debba ridurmi su una sedia a rote/le. Ho le ginocchia deœ/cificate e non mi possono operare per il cuore, le vene el'età... Ho già settiJntotto annl... (Rosetta M. n. 1918- Calosso)

TRADIZIQNI PRQP1Z1ATORIE E5CARAMANTlCHE

Per difendersi dalle "masche" bisogna rivolgersi a/ prete. Per esempio, Quando Si sente baccano in CiJsa e sipensa che siano i morti che hanno bisogno di bene, a/Iora si fa benedire la casa dal prete e sifanno dire delle messe. Cosi 1 rumori in casa non sisentono più. QuestD è tutto Que/Jo che sipoo rare. Perché i preti sono capad di benedire, ma anche di ma/edire.. Proprio cosi.

Le "masche" sono cattive e sono buone. Forse sono spiriti di lassù oppure di quaggiù che si presentano cosi.

Quando sette gatti si radunano davanti a una casa, li c'è la "pecora nera": ln quel/a casa li, magari, vivono dieci persane, sette sono brave e dnque (sic) non sono brave E quei "tapin" (poveretti) attirano gli spiriti maligni. Que; "tapin" li chiamano le "pecore nere". Mia mamma diceva sempre que/la e tra le vitisi trovano deg/i spiriti molto potenti. (Rosetta M. n. 1918 - Ca/osso)

Una "masca" era una donna con i CiJpelli /unghi, vestita da zingara, una strega. Per difenderci mi dicevano di stare tranquilla in casa. Era proprio vero che c'erano. Non erano un peric%, ma facevano paura. (Margherita B. n. 1897- Costigliole)

Mia nonna diceva che bisognava mettere a/ riparo la biancheria stesa dei bambin; prima che

venga la natte Questo perché di notte una tfmasca" pua toecare i panni e portare la ma/edizione sul bambino. Mia nonna la diceva sempre e d insegnava proprio a ritirare dall'aia le fasce e tutte le cose dei neonati, perché le 'tmasche"erano un pericolo costante (Rosa M. n. 1927 - san Siro)

Una donna indnta deve semre ritirarsi prima dell'A ve Maria per non incontrare le nmasche".

se un neonala piange t3nla si dice che è statD toccata dalle "masche". Me l'banno sempre spiegato mia nonna e mia mamma, 10 dicevano proprio sempre. Dicevano anche sempre che non bisognava far uscire di casa i bambini prima die fossero battezzati. se proprio era necessario, bisognava chiamare una monaca, una suora 0 una laica, che dava la benedizione (Rosa en. 1936, San Bava) • 92

Il temporale si dice che sia 10 scompigUo provocato dal diavolo. Per rfJfendersi si buttavano fuori le catene dei fDcDlare, si bruciava il "ramaliv" si suonavano le campane. Si prendeva sempre quel che veniva, perché c'è poco da rare contra un temporale cosi. • (Rosa, M. n. 1927- Sdn Siro)

Contra il temporale mia mamma mi diceva sempre di prendere la catena dei focolare e gettarla sull'aia, ma io non volevo {arlo perché avevo paura. (Rosa Luigia M. n 1903 - C3stagnole)

Contra i temporaO servono le catene, l'erba di santacroce brodata e anche le uova. Le uova ratte dalla chioccia e gaUate, ma prima che nascano i pulcini. Le buttiamo tuori, contra ; temporalL La mia mamma mi diceva che è il diavolo che va in carrozza. È venuto a pelarci QUesto diaflOlo. Va' via, che li plJgna/o! Noi facevamo sempre dei grossi fuochi, po; mettevamo l'erba di santacroce, il ramoliva, gett3vamo la catena e il forcane, che significa inforcare ildiavolo.

112 febbraio si chiama la ''Madonna deUa ûndelora". Andiamo a prendere la candela e po~ Quando arriva un temporale, l'accendiamo, perché ciprotegga dagli spiriti. La teniama accesa fino a quando il temporale è passato, poi la spegniaff,o. II giomo della Candelora tutte le candele vengono benedette dal prete. Benedice il mucchio, po; ne dà una pel" famigUa. E Quando sentiamo tuonare, prendiamo il ramalivo, la distribuisce il prete. No; 10 prendiamo e quando éèiltemporale 10 brudamo. La mettiamo a forma di croce e 10 brodamo.

C'efa una vecchia che, Quando sentiva tuonare, prendeva un'eraba, l'erba di santacroce, e la rnetteva ne/la vigna e poi accendeva il fuaco e pregava SànfiJ Barbara, che la riparasse dalla tempesta. E lei diceva che il temporale andava suUe vigne degli altri, ma aile sue non arrivava mai. Distruggeva magari una vigna vidna, ma la sua era sempre salva. Perché lei pregava e faceva QUesto fuoco, pregava continuamente. Lei diceva che erano gli spiriti. Potrebbero essere anche le "masche~ (Rosetta Mo n. 1918 - calosso)

1 falà si accendono quando éè il temporale, si butta sopra il ramolivo e bisogna dire una preghiera, cosi il temporale siscioglie. Oppure no: ma si fa perfiduda. (Rosa C n. 1936- san Bava)

Mi hanno sempre detto di tenere preziosi 1gatti neri, perché tengono Iontane le disgrazie (Rosalba ~ n. 1949 - catosso)

Si dice che quando viene la cande/ara siamo fuori dal/7nverno. Quando eravamo piceole d facevano delle crocette sulle bracda. Ilprete benediœva la testa, la gola e ilnase.

La ''Madonna della Neve~ sifesteggia il2 agasto. Si chiama in QUesto modo perché una volta è nevicato il5 diagosto. Tuttigliannisi fa un raduno, si va in pe/legrinaggio alsantuario e si prega per Quattro a dnQue giomi. Una volta aipellegrini veniva anche data la colazione. Èa Montecucco, sopra santo Stefano e vidno c'ë un "bric", dove si acœnde il ralô e si mnno i • fuachi artificia/i. 93

Per la resta dei morti, il 2 novembre, si mangiano Iiceci e le castagne bianche e si va in chiesa e al camposanto. Non si accende nessun fuoco, ma si lasdano bruciare le candele benedette lutta la notte. • (Rosa C n. 1936- san Bovo)

• 94 • BIBUOGRAFIA

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