Lettere Di Benedetto Croce Ad Alessandro Casati
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RASSEGNA BIBLIOGRAFICA LETTERE DI BENEDETTO CROCE AD ALESSANDRO CASATI Fu da qualcuno ritenuto forse inopportuno l’aver pubblicato queste 575 corrispondenze del Croce al Casati *, delle quali soltanto un numero molto li mitato ha un valore che va al di là della semplice richiesta di informazioni bi bliografiche, delle rapide notizie familiari, dei ripetuti inviti ad incontrarsi, della sollecitazione di una collaborazione alla quale il Casati gentilmente si prestava, come possiamo arguire dal tono di queste lettere. Ad esse, infatti, per la mancanza delle risposte del Casati, vengono meno e la vivacità e la chiarezza del carteggio, che si risolve in una specie di dialogo con un muto fantasma; un dialogo, pertanto, dimesso nella sostanza e molto spesso anche nella forma. Si può rispondere che queste lettere sono soltanto brevi parentesi tra i frequenti e talvolta prolungati incontri fra Napoli, Roma, Milano, Arcore, Meana e Pollone; è vero, ma questo, se mai, conferma la scarsa importanza di tale corrispondenza. Ne consegue, purtroppo, che al di fuori di quei pochi amici, superstiti testimoni di quel sodalizio che dal lontano 1907 durò fino alla morte del Croce nel 1952, ben pochi lettori, non guidati da alcun com mento, troveranno in quelle pagine lo stesso interesse di quella stretta mino ranza, poiché la materia di cui l’epistolario è fatto è, soprattutto, materia di erudizione; è una schematica dimostrazione di quell’opera di cultura che fu il diuturno aspro lavoro di Benedetto Croce dall’adolescenza fino al tramonto. Soltanto, dunque, ripeto, i pochi amici che ancora rimangono possono ope rare nella loro mente quei collegamenti con la realtà storica contemporanea che accendono di qualche momento di vivacità il testo di non molte lettere, le quali hanno nella massima parte quel carattere privato, che testimonia, con l’uomo d’erudizione, l’amico fedele. Si può tuttavia, tentare di condurre il leggero filo della memoria attraverso tutta questa materia per collegarne tempi ed eventi, dei quali fuggevoli testi monianze emergono qua e là; talvolta, bastano soltanto il tono e l’umore per rivelare la reazione agli avvenimenti storici dagli anni della prima guerra mon diale fino alle contese politiche posteriori alla Liberazione. È tutto quanto possiamo fare, rammaricandoci di quello che qui ci manca e che siamo costretti più a intuire che a conoscere di fatto in questo carteggio. Esso, infatti, è improntato al segno di quell’amicizia che, nata nei primi anni del secolo, si fece sempre più intima e familiare, amicizia destinata a * B e n e d e t t o C r o c e , Epistolario, vol. II: Lettere ad Alessandro Casati 1907-1952, Introduzione di Raffaele Mattioli, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, 1969, pp. 297, L. 3.000. Rassegna bibliografica 103 superare le difficoltà e le asprezze dei tempi, che pur videro mutarsi, anche per il Croce, in fredda ostilità vincoli che pareva non si dovessero scioglie re mai. Al Casati che nel lontano 1912 partecipava intensamente alla lotta per il modernismo religioso ed era uno dei collaboratori della rivista II Rinnova mento, l’amico scriveva difendendosi da un’accusa di disprezzo verso scrittori di quella corrente, soprattutto verso il Boine: « E lasci le contorsioni stilistiche •e le vaporosità ai letterati italiani, imitatori di circoletti francesi, ai quali io poi non lascerò mai il monopolio del sentimento, della fantasia e della reli gione, che sono cose che vivono nel mio petto e nel mio cervello un po’ più che in loro. Ma la nuova generazione è nevrastenica ed aspetta l’impossibile ed io adempio il mio ufficio che è di richiamarla sul terreno della storia e del la pratica. Anche la Voce mi ha seccato; speravo che con gli anni migliorasse e si facesse sempre più seria e diventa invece sempre più ragazzesca. Preferisco restare chez moi, nella mia rivista nella quale si rispecchia il mio essere » fpp. 10-11 ». Si accentua in quegli anni nel Croce la tendenza ad un isolamento spiri tuale, che lo tiene lontano dalle polemiche letterarie e soprattutto politiche, isolamento che si vien facendo più profondo all’avvicinarsi della fiera contesa fra interventisti e neutralisti. È nota la posizione del Croce contro la guerra, nella quale egli scorgeva un elemento di dissoluzione della vita italiana; posizione che, tuttavia, venuta la guerra, non gli impedì di recare il suo contributo ad alleviare sofferenze e ad esercitare un impegno civile che lo fece partecipe commosso dei lutti e delle vittorie della patria. Il 5 maggio 1915 scriveva: « Io sono a capo del Comitato napoletano per la preparazione etc. etc. Prepariamoci! Ma ciò non toglie che considero la guerra come un disastro, che solo un aiuto della fortuna potrà attenuare o convertire in bene. Noi scontiamo il nostro atteggiamento politico che da anni è quello del ’’vorrei e non vorrei”. E poiché nel luglio scorso non sapemmo ossia non potemmo far la guerra accanto ai nostri alleati, e proclamammo la neutralità, avremmo dovuto almeno tenerci saldamente stretti alla neutralità. Nossignore: la neutralità divenne benevola verso l’Intesa e malevola verso gli antichi alleati. [...] Intanto, non so a Milano, ma in tutta l’Italia meridionale si depreca la guerra: il miracolo di S. Gennaro è stato ac compagnato da commoventi preghiere del popolino per la pace; nelle province si è atterriti alla sola idea della guerra. E la maggioranza delle classi colte e della gente riflessiva è contro l’alleanza con l’Intesa. Vi pare che, stando così le cose, si possa dire che si è verificata l’ipotesi del sentimento o passione di guerra che invade e trascina un intero paese? » (p. 36). Un mese dopo, rammaricandosi dei tempi, deprecava: « Il male è che ho fatto un bagno di volgarità, in un tempo in cui si ha nel cuore il sentimento del tragico e del sublime » (p. 38). Intanto l’amico Casati, seguendo il suo sentimento di uomo legato per tra dizione familiare e per convinzione politica al patriottismo risorgimentale, par tecipa con entusiasmo e valore alla guerra come ufficiale di fanteria; nel set tembre del 1915 il Croce scrive a lui ferito sul fronte di battaglia: « Apprendo ora le notizie da vostra madre e voglio subito mandarvi un saluto affettuoso 104 Rassegna bibliografica che vi deve esprimere tante cose! Voi che avete sempre volto il vostro animo a cause nobili e degne e nessuna di esse vi ha mai trovato inerte, avete avuto ora l’occasione di esplicare tutte le vostre gagliarde forze morali, parte cipando con l’opera ed il sacrificio a grandi avvenimenti. Ciò non vi renderà orgoglioso, lo so bene, ma ciò deve darvi una grande soddisfazione interiore, anche perchè, se non voi, rende a ragione orgogliosi i vostri cari » (p. 42). Chiuso nella stretta cerchia degli studi e degli affetti familiari, il Croce segue, tuttavia, gli avvenimenti e vi partecipa con quella sofferenza e con quel l’apprensione che essi comportano. « Voglia il cielo che la nostra Italia si ri faccia della gravissima percossa che ha avuto nella vita e nell’onore. Questo è il pensiero che domina negli animi di tutti coloro che sentono e meditano », scriveva alla madre di Alessandro Casati, dopo Caporetto, il 29 novembre 1917,. ed un anno dopo, il 19 ottobre 1918, risollevati gli spiriti, ricordava alla stessa: « La verità è che il gran mutamento di scena, avvenuto nelle cose politiche e militari, dà forza e serenità. Quanta differenza col tristissimo finir d’ottobre del passato anno! A me pareva d’impazzire. Speriamo che presto i suoi figliuoli torneranno a casa; e si chiuda questo periodo cosi doloroso, se anche pieno di gloria » (p. 48). L’anno successivo segna l’inizio di un processo di riflessione e di ripensa mento dopo il dramma della guerra vissuto da un popolo intero, così come la sorte aveva imposto alla coscienza di ciascun cittadino; per il Croce si ac centua il sentimento della solitudine spinto fino al timore che si disperdano anche le vecchie amicizie: « Io, in questi anni, ho stretto società con me stes so, e continuo ad intrattenermi così, a dialogare, a somministrarmi svaghi e talvolta ad arrabbiarmi. Ma mi sarebbe assai caro riudire le voci dei vecchi amici... » (p. 49). A tale apprensione egli sente, tuttavia, di dover opporre una trepida speranza, che nulla si perda dopo le terribili prove; alla madre del Casati il 16 dicembre 1919 confessa: « Intendo le sue preoccupazioni pei tem pi che attraversiamo. Chi non le ha nel fondo del suo animo? Ma le confesso che le settimane di Caporetto hanno esaurito in me ogni passione di angoscia: tutto mi sembra niente rispetto a quella provata allora, perchè al danno si univa la vergogna. Ora c’è il solo danno che si teme: e a questo si può sempre opporre la coscienza che nessun cangiamento, nessun rivolgimento, nessun disastro può toglierci i nostri pensieri e i nostri affetti, coi quali forse noi o i nostri figli ricostruiranno un mondo migliore » (p. 51). Intanto la vita riprendeva faticosa, ma inesorabile; nella primavera del 1920 il Croce ebbe dal Giolitti l’incarico del Ministero della Pubblica Istruzio ne, al quale attese con quel senso scrupoloso del dovere ch’egli metteva in qualunque cosa dovesse fare, combattendo contro la consuetudine degli intrighi, dei favoritismi e degli abusi a proposito dei quali si sfoga con l’amico: « Se quel bel tipo di Amendola sapesse quali resistenze ho dovuto fare, e fò ancora, per non revocare il provvedimento [...] si persuaderebbe che è facile predicare morale, ma che è difficile praticarla » (p. 61). Nell’estate del 1921, libero dalle fatiche ministeriali, assapora con piacere « la libertà e la poesia della solitudine », mentre i tempi si avviano ad essere sempre più duri nel caos delle passioni e delle prepotenze civili.