DOTTORATO DI RICERCA IN STUDI DI STORIA LETTERARIA E LINGUISTICA ITALIANA

XXIV° CICLO

L’epistolario Cardarelli – Bacchelli (1910-1925). L’archivio privato di un’amicizia poetica.

Morgani Silvia

Docente Guida: Prof.ssa Simona Costa Coordinatore: Prof. Franco Suitner

Alle ricerche, quando il sapere traccia la strada della vita.

Non so dove i gabbiani abbiano il nido, ove trovino pace. Io son come loro, in perpetuo volo. La vita la sfioro com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo. E come forse anch’essi amo la quiete, la gran quiete marina, ma il mio destino è vivere balenando in burrasca.

(V. Cardarelli, Gabbiani)

TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI

DBI = Dizionario Biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana.

EPISTOLARIO I = Cardarelli V., Epistolario, a cura di B. Blasi, introduzione di O. Macrì, vol. I (1907-1915), Roma, Ebe, 1987.

EPISTOLARIO II = Cardarelli V., Epistolario, a cura di B. Blasi, introduzione di O. Macrì, vol. II (1916-1932), Roma, Ebe, 1987.

OPERE = Cardarelli V., Opere, a cura di C. Martignoni, Milano, Mondadori, 2007.

INTRODUZIONE

1. La dimensione epistolare tra letteratura e vita.

«Io spero che i posteri non si fonderanno sui miei documenti epistolari, aborritissimo genere».1

Con una suggestiva dialettica metaletteraria tra forma e contenuto, nell’aprile 1923 Cardarelli nega in una missiva a Riccardo Bacchelli il valore della propria scrittura epistolare, genere che sarà invece considerato da Clelia Martignoni uno dei suoi luoghi «privilegiati d’espressione: dove la sua prevalente inclinazione etico-ragionativa si manifesta al meglio».2 Tuttavia, come notò Oreste Macrì, l’excusatio non petita con cui egli si definisce un pessimo scrittore di lettere non è altro che una fictio letteraria che tradisce un «intento artistico»3 di cui Cardarelli era ben consapevole, come dimostrò del resto con l’ossimorica pubblicazione nel 1946 delle Lettere non spedite.4 Le potenzialità della scrittura privata cardarelliana, in cui anche Gianfranco Contini ravvisò l’espressione piena della «profondità della vocazione letteraria»5 del fondatore della «Ronda», si rinnovano e si consolidano in questo nuovo epistolario rimasto fin’ora inedito tra le carte del suo destinatario, Riccardo Bacchelli. Come già hanno avuto modo di notare concordemente gli studiosi citati, che si sono occupati delle raccolte epistolari dell’autore dei Prologhi, la necessità di offrire agli «annoiati ventiquattro lettori»6 di Cardarelli una sua nuova raccolta di lettere trova esaustiva giustificazione in quel «doppio divario», per dirla con Contini, «tra la futilità e meschinità dei documenti esibiti e l’incanto irrecusabile della scrittura»7 con cui il poeta attraversa la sua dimensione biografica e quotidiana – senza tralasciare disagi, difficoltà, necessità materiali, le più spicciole e immediate – rendendola ontologicamente funzionale a riflessioni poetiche, teoretiche e critico-letterarie che, in più di un’occasione, ci consegnano la chiave interpretativa della sua opera. Al di là del valore qualitativo di numerose missive, che raggiungono lo statuto di testi saggistici

1 Vedi lett. 195. 2 V. CARDARELLI, Assediato dal silenzio: lettere a Giuseppe Raimondi, a c. di C. Martignoni, Montebelluna, Amadeus, 1990, p. 7. 3 EPISTOLARIO I, p. VI. 4 V. CARDARELLI, Lettere non spedite, Roma, Astrolabio, 1946. 5 G. CONTINI, Lettera da non spedire a Vincenzo Cardarelli, in Altri esercizi (1942-1971), Einaudi, Torino, 1972, p. 10. 6 V. CARDARELLI, Assediato dal silenzio, cit., p. 7. 7 G. CONTINI, Lettera da non spedire a Vincenzo Cardarelli, cit., p. 10.

3 per la pregnanza contenutistica delle osservazioni critiche e delle dichiarazioni di poetica, questo nuovo epistolario permette di completare il quadro delle relazioni personali e soprattutto professionali di una generazione, vociana prima, rondista poi, rileggendo vicende e relazioni in parte note da un diverso e, per alcuni aspetti privilegiato, punto di vista; ma soprattutto permette di dare ascolto a quello spunto di ricerca proposto da Alfredo Giuliani negli anni ‘80 in merito alla necessità di indagare ulteriormente i rapporti tra i due corrispondenti,8 al fine di avallare, anche attraverso la dimensione privata, le reciproche interferenze letterarie, nelle rispettive opere di esordio, messe puntualmente in luce da Clelia Martignoni alla luce del raffronto linguistico.9 L’epistolario infatti offre un’immagine in parte revisionata della posizione di Cardarelli nei confronti del più giovane, ma più prolifico, Bacchelli, per il quale si rivelò una figura chiave più importante di quanto non sia stato fin’ora rilevato, soprattutto nel periodo dell’esordio sulla scena poetica. Le lettere a Bacchelli vanno a colmare quindi quella «vistosa assenza»,10 dall’epistolario cardarelliano già edito, delle lettere scritte al più caro amico e sodale della sua giovinezza, dimostrando quanto l’amicizia personale tra i due sia stata fondamentale e spesso funzionale per il percorso e la maturazione letteraria di entrambi.

La raccolta epistolare è rimasta inedita11 per molto tempo per volontà dello stesso Riccardo Bacchelli, restio alla pubblicazione delle lettere cardarelliane in suo possesso a causa del carattere molto schietto di alcune affermazioni del poeta su fatti e persone a loro vicini e, in alcuni casi, ancora viventi nel periodo in cui Bruno Blasi stava lavorando alla raccolta delle lettere dello zio. Le missive infatti non furono cedute al nipote di Cardarelli, suo erede, per i volumi dell’epistolario12 ma vennero donate, dopo la morte di Bacchelli, alla Biblioteca comunale dell’Archiginnasio di Bologna, che nel 1984 acquisì tutto il

8 A. GIULIANI, Autunno del Novecento: cronache di letteratura, Milano, Feltrinelli, 1984, p. 32. 9 OPERE, pp. XXIII e segg. 10 EPISTOLARIO I, p. I. 11 È da precisare tuttavia che alcune lettere sono state parzialmente citate da Elisabetta Graziosi che ha potuto accedere al fondo alla fine degli anni ’80, durante la fase di ordinamento e catalogazione. I passi editi sono stati puntualmente segnalati nella descrizione in calce alle singole missive. 12 In occasione dell’uscita del primo volume dell’epistolario cardarelliano, Bruno Blasi, nipote ed erede di Cardarelli, affermava che Bacchelli era «tuttora incerto sulla opportunità di pubblicare le sue lettere cardarelliane» (V. CARDARELLI, Epistolario. (1907-1929), Tarquinia, Lions Club di Tarquinia, 1978, p. 570), tornando a ribadire nel 1981 che, nonostante l’uscita del secondo volume delle lettere completasse «il ciclo del periodo rondista […] vengono ancora a mancare due componenti di quella straordinaria brigata; cioè Riccardo Bacchelli ed Aurelio Saffi che, direttamente o indirettamente, hanno preferito mantenere nel segreto i rispettivi carteggi» (V. CARDARELLI, Epistolario, a c. di B. Blasi, Tarquinia, «Centro studi cardarelliani» del Lions club, 1981, p. 566).

4 materiale bibliografico e manoscritto dello scrittore bolognese per volontà della moglie Ada Nuvolari Fochessati. Il Fondo Bacchelli, accessibile al pubblico dal 2002, è costituito da una nutrita raccolta libraria (circa 4.600 libri, prime edizioni, opuscoli e periodici) e da un’importante sezione archivistica di alto valore documentario, nella quale si conservano materiali eterogenei sia di tipo testuale - autografi, dattiloscritti, bozze con correzioni, appunti, articoli, saggi letterari, sceneggiature e copioni per radiodrammi, cinema e televisione, ritagli di giornali – sia di foggia onorifica e privata - fotografie, diplomi, medaglie e attestati. L’archivio è costituito inoltre da una ricchissima sezione epistolare che raccoglie, oltre al nutrito carteggio di Bacchelli con la moglie Ada Fochessati Nuvolari, le lettere inviate allo scrittore bolognese da 590 corrispondenti, fra cui spiccano i più importanti intellettuali della scena letteraria e culturale novecentesca (Papini, Prezzolini, Saffi, Cecchi, Baldini, Slataper, Raimondi, per citare soltanto gli autori il cui percorso culturale e biografico si incrociò con quello tracciato nel carteggio in questione).13 Le 199 lettere inviate a Bacchelli abbracciano il quindicennio che va dal 1910 al 1925, dall’anno in cui i due corrispondenti si conobbero nella Libreria della «Voce» sino al periodo post rondista, durante il quale, in seguito allo scemare degli entusiasmi giovanili, le rispettive ricerche stilistico-letterarie si assestarono su strade differenti, con il conseguente venir meno di una condizione di condivisione che, come si vedrà, li aveva legati sino a quel momento. Le missive disegnano infatti in maniera molto esaustiva tutta la parabola di un’amicizia dal forte valore culturale, all’interno della quale i rapporti personali e professionali seguirono un’evoluzione molto chiara anche in relazione agli eventi storico-letterari e alle relazioni intessute con i maggiori esponenti del panorama culturale e letterario coevo. A tal proposito, molto preziosi e di necessario compendio al lavoro sull’epistolario sono stati i carteggi novecenteschi di quelle importanti e poliedriche figure di intellettuali, poeti, scrittori e filosofi che insieme a Cardarelli e Bacchelli animarono il dibattito e la scena culturale del primo ventennio del novecento, documenti d’archivio che diventano a loro volta archivi della memoria di un’epoca e delle sue coloriture: relazioni personali e intellettuali, itinerari editoriali, entourage letterari, nascita ed esaurimento di progetti culturali sono questioni che svelano i loro reali meccanismi nella dimensione privata, fucina ideale di informazioni funzionali al discorso letterario. In

13 L’elenco completo dei corrispondenti è registrato nell’inventario del Fondo Bacchelli, presso la Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, consultabile al momento soltanto in formato cartaceo.

5 un’epoca certamente «favorevole al genere epistolare»14 le numerosissime raccolte allestite divengono un necessario strumento di consultazione per ricostruire il contesto culturale di riferimento che emerge da allusioni e comunicazioni reticenti per un lettore estraneo agli eventi, oltre a fornire un diverso punto di vista sui medesimi argomenti eventualmente trattati con più corrispondenti. In relazione con l’epistolario cardarelliano i carteggi di Giovanni Papini, Giuseppe Prezzolini e Ardengo Soffici15 hanno fatto luce sulle querelle giovanili del poeta con l’entourage vociano, rapporto notoriamente vissuto in una continua dicotomia dialettica tra tentativo di adesione e distanza ideale di fondo da un diverso modo di intendere la funzione della parola, dello stile, della letteratura in sé. I carteggi citati, inoltre, insieme a quelli di Cecchi, Baldini, Onofri,16 e Boine17 sono stati indispensabili per relativizzare la dimensione di un’epoca letteraria, filtrata dalle posizioni cardarelliane rispetto a pubblicazioni di nuove opere, articoli e recensioni che il poeta andava commentando via via con Bacchelli. Vi è da precisare inoltre che l’utilizzo di raccolte epistolari collaterali si è dimostrata funzionale anche nei casi in cui non vi si trovasse alcuna eco delle questioni sollevate da Cardarelli, a testimonianza, in tali casi, di una diversa percezione che aveva quest’ultimo delle necessità e dei progetti della società letteraria. Significativo a tal proposito il caso della nascita di una rivista letteraria legata al «Tempo», di cui si sarebbe dovuto occupare Papini, in qualità di direttore della terza pagina del quotidiano, insieme a Cardarelli, in quel momento suo collaboratore. Quest’ultimo ne parla a Bacchelli con grande entusiasmo e aspettativa,18 mentre l’episodio non ebbe nessuna eco nell’epistolario papiniano. In effetti la rivista rimase soltanto una

14 V. CARDARELLI, Assediato dal silenzio, cit., p. 7. 15 Cfr. G. PAPINI, Carteggio. II. Dalla nascita della Voce alla fine di Lacerba (1908-1915), a c. di S. Gentili e G. Manghetti, Roma, Edizioni di storia e letteratura, Lugano, Biblioteca cantonale, Archivio Prezzolini, 2008; G. PAPINI, A. SOFFICI, Carteggio. II 1908-1915. Da «La Voce» a «Lacerba», a c. di M. Richter, Edizioni di storia e letteratura, Fiesole, Fondazione Primo Conti, 1999; G. PAPINI, A. SOFFICI, Carteggio. III 1916-1918. La Grande Guerra, a c. di M. Richter, Edizioni di storia e letteratura, Fiesole, Fondazione Primo Conti, 2002; A. SOFFICI, Lettere a Prezzolini. 1908-1920, a c. di A. Manetti Piccinini, Firenze, Vallecchi, 1988. 16 Cfr. A. BALDINI, E. CECCHI, Carteggio (1911-1959), a c. di M. C. Angelini e M. Bruscia, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2003; E. CECCHI, Carteggi Cecchi, Onofri, Papini (1912-1917), a c. di C. D'Alessio, Milano, Bompiani, 2000. 17 Cfr. G. BOINE, Carteggio. I. Giovanni Boine - Giuseppe Prezzolini (1908-1915), a c. di M. Marchione e S. E. Scalia, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1971; G. BOINE, Carteggio. II. Giovanni Boine - Emilio Cecchi (1911-1917), a c. di M. Marchione e S. E. Scalia, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1983; G. BOINE, Carteggio. III. Giovanni Boine - Amici del «Rinnovamento», a c. di M. Marchione e S. E. Scalia, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1977; G. BOINE, Carteggio. IV. Giovanni Boine – Amici della Voce, vari (1904-1917), a c. di M. Marchione e S. E. Scalia, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1979. 18 Scrisse a Bacchelli il 4 febbraio 1918: «Ora uscirà una grande rivista, sempre del Tempo. Sarebbe anzi bene che tu potessi esserci in mezzo. […] Bisognerebbe cercare di servirsi di questo mezzo che può essere la rivista per fare valere qual noi siamo elegantemente e con indipendenza».Vedi lett. 128.

6 bozza di progetto, mentre l’aspettativa di Cardarelli aggiunge ulteriori conferme al suo desiderio di essere presente nel panorama letterario non solo come poeta ma come promotore di un progetto culturale e redazionale.19 Proprio in riferimento a questa propensione cardarelliana, le raccolte epistolari di Giovanni Boine e Oscar Ghiglia20 hanno integrato in maniera preziosa il quadro delineato dalle lettere del 1913 riguardo al progetto di allestire una «Ronda» ante litteram insieme a più fidati amici del tempo, Bacchelli, Cecchi, Baldini e Boine. In questi carteggi si è trovato un ampio riscontro ai dubbi organizzativi espressi nelle lettere cardarelliane così da chiarire, per alcuni aspetti, velleità e illusioni del poeta su progetti spesso vincolati alla magnanimità di facoltosi mecenati. Per quanto riguarda invece la contestualizzazione delle lettere su «La Ronda» vera e propria, fondata nel 1919, di fondamentale importanza è stato l’ausilio dei carteggi tra Bacchelli, Cardarelli e Korach21 e tra Baldini e Cecchi.22 Il primo, sebbene molto concentrato sulla collaborazione dell’ungherese Korach alla rivista, costituisce un’importante integrazione per la sezione rondista dell’epistolario oltre ad offrire le uniche risposte bacchelliane in nostro possesso su alcune questioni legate sia alla rivista, sia ad una particolare querelle nata con Cardarelli nel 1922, a proposito del libretto d’opera di Bacchelli L’infedele Innocente.23 Il secondo carteggio invece si è dimostrato il più importante strumento di compendio per tutto l’arco tematico dell’epistolario, sia per integrare le missive del periodo giovanile, sia per sciogliere dinamiche redazionali e rapporti interpersonali che influirono sulla scelta della rosa dei redattori della «Ronda», oltre a far luce su singoli episodi, quali l’uscita di Baldini dalla redazione nel 1920 o incomprensioni e diverbi con Cecchi in itinere. I due corrispondenti erano infatti i principali amici e colleghi romani del poeta con i quali egli condivise serate, opinioni e, ovviamente, progetti culturali, sebbene il rapporto con entrambi fosse a volte velato dalle consuete asperità caratteriali di Cardarelli che offuscavano periodicamente anche i legami più forti. Infine, diretto e principale contraltare delle missive inviate a Bacchelli sono stati

19 Nel 1913, come risposta all’insinuazione di Cecchi e dell’entourage fiorentino che egli avrebbe voluto allestire una rivista solo per trarne un sostentamento economico, Cardarelli scrisse a Cecchi: «sappi che da questa impurità io sono organicamente immune, che sebbene paia questo che tu dici, in realtà l’idea della rivista preesisteva in me all’occasione economica, e seguiterà ad esistere, e, se dio vuole, ad attuarsi libera dai suoi calcoli» (EPISTOLARIO I, p. 334). 20 O. GHIGLIA, Oscar Ghiglia e il suo tempo, a c. di P. Stefani, Firenze, Vallecchi, 1985. 21 R. BACCHELLI, Bacchelli-Cardarelli-Korach: lettere inedite (1919-1975), a c. di C. di Biase, Salerno, EDISUD, 1990. 22 A. BALDINI, E. Cecchi, Carteggio (1911-1959), cit. 23 Infra, pp. 36 e segg.

7 i volumi dell’epistolario cardarelliano pubblicato per cura di Blasi,24 raccolta che, sebbene poco esaustiva negli apparati di annotazione e a volte erronea in qualche datazione,25 è di fondamentale importanza per integrare il quadro contestuale sotteso alle epistole. Il raffronto con l’epistolario edito ha fatto emergere inoltre la peculiarità e il carattere privilegiato della scrittura privata che l’irascibile poeta della terza saletta di Aragno impostò con il più caro amico e sodale della sua giovinezza. Il ductus stilistico infatti trova linfa in una triplice dimensione che muovendo dal rispetto verso l’uomo Bacchelli, si trasforma in ammirazione per il poeta e lo scrittore sino a maturare nella forma del sincero affetto per l’amico e compagno di un ben preciso momento biografico e culturale. Si percepisce una dimensione più intima della comunicazione, spesso decentrata, nei toni e nei contenuti, verso una tensione conoscitiva dell’altro che si serve della parola, prima, e dell’esercizio critico, poi, elevati entrambi alla dimensione più alta della loro potenzialità etica. Il desiderio di confessione, i guizzi polemici, gli estremismi cardarelliani polarizzati tra lo sconforto e la miseria da una parte - è martellante, ancora una volta, la pressante richiesta di denaro che in ogni lettera compare a ricordare l’indigenza come status ontologico di vita di questo poeta26 - e l’orgoglio e la creatività dall’altro, la difficoltà dei rapporti umani e la disillusione sui frutti letterari del tempo; amori, amicizie, repentini distacchi, i frequenti vagabondaggi:27 toni e tematiche caratteristici del genere epistolografico cardarelliano si ripresentano in questa raccolta in tutta la loro veemenza, acquistando tuttavia una nuova corposità grazie ad una scrittura meno formale, meno interessata al dato informativo quanto più animata da un desiderio di schietta interazione, umana e conoscitiva, con l’altro. Bacchelli, più di Cecchi – il corrispondente che fino ad ora aveva ricoperto un ruolo di rilievo nella scrittura privata cardarelliana, per la quantità

24 EPISTOLARIO I, EPISTOLARIO II. 25 Eventuali aporie cronologiche riscontrate sono state appositamente segnalate nelle singole lettere. 26 Quasi ogni singola lettera di Cardarelli trova in apertura o in chiusura un appello economico all’amico, più o meno accorato, pieno di gratitudine o a volte, all’opposto, venato di una esigente richiesta di mantenimento che prescindesse da una sua oculata gestione del denaro affidatogli. Significativo a tal proposito un passo di una delle primissime lettere dell’epistolario: «Caro Bacchelli, certo questa volta non avrei pensato a te ma il tuo: hai bisogno di nulla?, mi richiama troppo vivamente alle mie disperate condizioni economiche – e fisiche, e morali! – perché io possa fingere di non accorgermi della tua generosità, e risponderti bravamente: grazie amico, di nulla. Anzi ho tanto bisogno che se Cristo non mi aiuta tra giorni io rivado a finire, letteralmente, sulla strada. Che si, pensa quel che vuoi della mia mancanza di energia pratica, e di volontà, ma questo è» (vedi. lett. 3). 27 I mutamenti umorali del poeta, che nel corso dell’epistolario gli fanno confessare quanto i suoi continui spostamenti da una città all’altra siano vincolati alla continua ricerca di una sua propria dimensione, riecheggiano nelle parole del Sole a picco: «Ho avuto padrone di casa un po’ dappertutto: a Roma, a Milano, a Venezia, a San Remo, sul lago di Como, a Lugano. Senza contare le proprietarie di trattoria o di pensione con le quali sono stato a contatto. Soggiorni, per lo più brevi ma intensi, confidenziali, e qualche volta assai felici» (OPERE, p. 464).

8 ma soprattutto per la complessità delle missive inviategli, anch’esse luogo di confessione, di confronto e di costruzione delle rispettive identità letterarie – fu il confidente dei moti più intimi dell’animo di Cardarelli, delle sue brevi quanto intense esperienze amorose, spesso non raccontate ad altri per un consapevole pudore, così come fu il depositario dei suoi giudizi più feraci su amici e letterati contemporanei, opinioni che invece modulava a seconda delle convenienze e delle opportunità nelle missive con altri corrispondenti. Si può affermare che nel rapporto epistolare con Bacchelli, in modo complementare ma anche autonomo rispetto allo scambio con Cecchi, Cardarelli riponesse realmente sé stesso nel periodo della sua piena formazione, come uomo e come letterato, con i suoi toni lirici più alti e con i suoi deliqui e bisogni più bassi, laddove gli altri corrispondenti rappresentavano invece singole fasi, specifici interessi, spesso meramente economici, occasioni lavorative, momenti di vita culturale o confronti occasionali con critici e lettori. Lettera dopo lettera si ha la sensazione che nel quindicennio epistolare con Bacchelli ci sia tutto l’uomo e il poeta Cardarelli, trasposto in seguito sul piano letterario nelle forme di quell’«autobiografismo metafisico»28 in cui la dimensione quotidiana svela il caleidoscopio delle sue potenzialità liriche. La scrittura privata si dimostra un luogo privilegiato di costruzione di quel sé cardarelliano – scisso nel suo duplice statuto di autore e protagonista – in termini di lessico, formularità e assunti critico-letterari che riecheggeranno con suggestiva puntualità nelle prose liriche, sia in quelle elaborate negli anni dello scambio epistolare con Bacchelli (Prologhi) sia nelle opere più tarde (Il Sole a Picco29 e Solitario in Arcadia30), a testimoniare come il genere espistolare in Cardarelli fosse in realtà un’officina scribendi in pectore della sua opera letteraria, «che rivela» in tal modo «il delicato e continuo nesso»31 con l’esperienza biografica.

Cardarelli si rende conto della profondità e della peculiarità del suo legame con Bacchelli sin dalle primissime lettere del 1913,32 nelle quali per altro carica già la scrittura epistolare di un valore etico e conoscitivo che emergerà sempre più nel tempo:

28 V. CARDARELLI, Assediato dal silenzio, cit., p. 9. 29 V. CARDARELLI, Il Sole a Picco, Bologna, L’Italiano, 1929. 30 V. CARDARELLI, Solitario in Arcadia, Milano, Mondadori, 1947. 31 OPERE, p. XVII. 32 L’epistolario conserva soltanto due lettere tra il 1910 e il 1913, una del 1910 (lett. 1) e due del 1912 (lett. 2-3).

9 «[…] mi son detto, dunque, che ti volevo bene senza ragione, per mera simpatia, quasi animalesca. Poi mi sono più volte, in seguito a ciò, compiaciuto, di vedere dalle tue lettere che tu sei davvero un uomo intelligente».33

Nel corso di due anni infatti lo scambio epistolare aveva rivelato il carattere necessario delle differenze e delle distanze che solo apparentemente li divideva, in realtà legandoli sempre più intimamente:

«Io in tutti questi tempi non ti ho mai parlato come pure tu hai molto taciuto dei cambiamenti in senso pessimistico che devono essere avvenuti dentro di te. Ma da qualche parola che t’usciva io ero silenziosamente meravigliato a dover constatare come pure insieme a tante diversità di destino e di facoltà le nostre due vite si rincontrassero così in questa muta e ostinata discensione come s’erano incontrate in qualche mattina di felicità».34

Facendo particolare attenzione ai segnali linguistici non sarà forse frutto di mera suggestione notare come un anno dopo, all’uscita dei Prologhi, accomiatandosi nella fictio letteraria da un concetto falsato, a suo avviso, di amicizia, Cardarelli eleggerà, in maniera latente per il pubblico, ma molto chiara al confronto epistolare, il suo rapporto amicale con Bacchelli a esempio di una equilibrata, positiva e sincera relazione umana:

«E nessuno ha voluto vedere il rapporto possibile e giusto tra di noi. Che doveva essere: simpatia con giudizio. Amore con timore e al di sopra di ogni dispiacere».35

Quella «mera simpatia» che, apparentemente «senza ragione», legava Cardarelli all’amico era in realtà un sentimento molto più profondo, vera linfa dell’unico «rapporto possibile e giusto», quella συμπάθεια che porta con sé tutta la forza dell’originario valore etimologico greco: una conformità del sentire, una vibrazione all’unisono di due personalità al di là di ogni contingenza di vita che intaccasse la mera emotività. L’intesa tra i due poeti si sostanziava quindi ad un piano più alto del mero accordo caratteriale o letterario, era un incontro di sensibilità, ostinato e silenzioso come era accaduto «in qualche mattinata di felicità». Evidentemente un legame di questo tipo, che toccava le corde nascoste di un’intesa profonda, era il solo che potesse effettivamente contrastare i frequenti urti a cui l’instabilità caratteriale di Cardarelli, e una spiccata diffidenza nei rapporti umani,

33 Vedi lett. 5. 34 Vedi lett. 73. 35 OPERE, p. 137.

10 sottoponevano continuamente le sue relazioni amicali e lavorative. Sono frequenti infatti nell’epistolario i suoi perentori riferimenti alla necessità di vivere in solitudine:

«La vita solitaria è uno stato di beatitudine che vuole essere perpetuamente ritrovato di là dai contatti. Se no è misera cosa, ecco perché io ammetto una grave importanza».36

Condizione molto frequente nella quotidianità cardarelliana, nei momenti di solitudine egli accedeva a quella profonda consapevolezza di sé che lo rese un abile indagatore dell’animo umano:

«Ma in questi primi giorni di vera solitudine e di nuovi tentativi devo constatare con dolore come la mia indocilità a ogni intenzione prestabilita minaccino seriamente ormai di farmi fare una gran brutta fine. La sola consolazione è che non ho più paura dell’ignoto come una volta e che mi sento preparato a tutto con un’asprezza di rassegnazione che è però più un segno del male che una fortunata disposizione per superarlo»,37

Questo tipo di riflessioni trovano speculari occorrenze nei Prologhi, laddove Cardarelli decreta con dogmatica sentenziosità: «È dunque scritto che io me ne debba star solo»,38 o più tardi, in Indiscrezioni sul mio destino, la prosa di Solitario in Arcadia che sopra tutte eleva sul piano letterario la biografia di un poeta che, sentendosi «amato da pochi, ingiuriato dai più, e compreso veramente da nessuno»,39 arriva all’assunto che

«bisognerebbe vivere soli, questo è il punto. Vivere soli. Non avere coi propri simili altri rapporti se non di utilità e di convenienza».40

In una continua dialettica di costruzione e decostruzione del sé, la dimensione epistolare offre a Cardarelli spazi di ripiegamento interiore in cui si percepisce il forte sentimento di dignità con cui egli affronta la sua condizione, biografica ed esistenziale, in nome di un assunto che riassumerà nell’apodittica affermazione: «io voglio che la mia solitudine e il mio orgoglio siano almeno due fatti reali».41 Inoltre, i frequenti accenni alle sue complicate situazioni di salute, il più delle volte collegate a realtà interiori faticose e ostative per il lavoro creativo, fanno si che la «trama epistolare» sia «in funzione

36 Vedi lett. 11. 37 Vedi lett. 73. 38 OPERE, p. 141. 39 Ivi, p. 288. 40 Ivi, p. 289. 41 Ivi, p. 142.

11 dell’uomo corpo e dell’uomo anima»,42 secondo una felice definizione di Roberto Fuselli. Nel 1913 Cardarelli infatti confessava all’amico:

«Non mi so mantenere aderente alla vita. […] Ora la mia vita si è capovolta. Perché ho giornate d’imbecillità, e molte pazzamente lucide, nelle quali, invece di dormire, mi torturo a leggere e pensare. Basta, io non dispero di me, tutt’altro. Sono un benedett’uomo che riesce a logicizzare tutto entro di sé».43

Una lotta continua contro la propria natura attraversa le pagine dell’epistolario, passando «dal supremo al pratico senza diminuzione teoretica»,44 dando vita ad un involontario scartafaccio ante litteram della sostanza critico-teoretica delle prose successive. Molto significativo è il passo della lettera 76 in cui la confessione cardarelliana prelude all’autoanalisi della prosa Dati biografici.

«Devi sapere che sto sostenendo con la mia salute una lotta minuta, faticosa, dolorosa. È inutile illudersi, c’è qualcosa di tristo nella mia natura: uno spirito di contraddizione che resiste e s’ingigantisce quanto più io cerco d’essere docile e disciplinato. Cado in stanchezze incommensurabili, oppure l’esercizio della volontà si risolve in alterazioni paurose, soffocanti. Ho paura per il cuore. I miei sforzi fremono sul petto, mi mordono il fegato – ho queste impressioni. Eppure sono queste, con tutte le loro fasi che spesso non riesco a superare e mi ributtano giù, le mie crisi naturali di risollevamento da uno stato di dissipazione. Una specie di riconquista della realtà a gradi spietatamente lenti, inevitabili. Capisci che io ho la giustizia nella carne! – ma lasciamo stare, non so quel che ti dico l’importante è che mi pare, con tanto dolore cresciuto, con tante definite probabilità di catastrofe (anche questa è una sensazione) di avvicinarmi, bene o male, a un nuovo periodo di produzione. E questo metterà tutto a posto, se verrà».45

E così, specularmente, nella prosa, in cui i moti dell’animo acquistano la veste formale dell’eticità dello stile cardarelliano:

«non ho mai potuto compiere un atto che non fosse ostacolato da un’immancabile contrarietà. […] La mia fiducia di creatore sta nei molti e profondi errori che ho da riparare. La mia forza è quando mi ripiego. La mia massima musicalità quando mi giustifico. Non sono vittorioso che in certe fulminee ricapitolazioni. […] Il segreto delle mie conoscenze è l’insoddisfazione».46

42 R. FUSELLI, Sul cammino di Cardarelli, Bologna, Boni, 1985, p. 35. 43 Vedi lett. 4. 44 R. FUSELLI, Sul cammino di Cardarelli, cit., p. 41. 45 Vedi lett. 76. 46 OPERE, p. 135.

12 Tra le righe della scrittura privata la capacità affabulatoria del poeta lascia la traccia ben sbozzata dei principali temi della sua produzione, poetica e prosastica, avallando senza dubbio la formula di continiana memoria che sancì «l’equivalenza cardarelliana di letteratura e vita»,47 interpretazione tanto avversata da Giansiro Ferrata48 quanto condivisa da questo studio. Nel rapporto tra il piano biografico e quello della fictio «la vocazione letteraria produce inconsciamente la propria struttura in ogni atto epistolare, e, d’altra parte, la vita vuol ritrovare un’identità stabile, fissa, non precaria»49 e la trova nelle prose.

Nell’arco del quindicennio attraversato dalle missive si intrecciano fasi biografiche ed elementi culturali che dialogano sul piano sincronico, tracciando in diacronia l’evolversi del rapporto umano e letterario tra i due corrispondenti in funzione della loro maturazione artistica e del loro relazionarsi con il panorama culturale del tempo. Nella narrazione epistolare si individuano in maniera piuttosto chiara tre macro aree cronologico-tematiche: l’esordio e i progetti culturali giovanili (1910-1917), che caratterizzano il periodo più lungo, articolato e denso di implicazioni con il contesto storico-culturale coevo all’interno del quale iniziano ad affacciarsi le prime raccolte poetiche dei due corrispondenti; la fase dell’ideazione, fondazione e declino della «Ronda» (1918-1922), in cui il rapporto personale e professionale si va consolidando, mostrando una decisa maturazione delle rispettive individualità poetiche; infine gli ultimi contatti epistolari degli anni ’20, fino al 1925, missive nelle quali si delinea gradualmente l’indebolirsi di un legame personale parallelamente all’individualizzarsi di un gusto estetico-letterario non più convergente su posizioni comuni. Come si vedrà, secondo un processo tanto osmotico quanto ossimorico, il nesso vita-letteratura tenderà a rafforzarsi quanto più le strade biografiche e letterarie dei due autori si divaricheranno.

47 G. CONTINI, Lettera da non spedire a Vincenzo Cardarelli, cit., p. 141. 48 A tal proposito infatti affermava Contini che «l’equivalenza cardarelliana di letteratura e vita era affermata, sotto forma d’identità poetica e poesia, in quel nostro antico saggio anteriore al momento di più trionfante irrazionalismo […]. Essa è stata contestata dall’illustratore […] del “genio” cardarelliano, da Giansiro Ferrata in persona, per il quale non si darebbe semmai poesia più tematica, dunque più separabile, più staccata, più conforme all’ideale intuizione lirica, quella di Cardarelli. Asserzione irrefutabile ma tutt’altro che in disarmonia alla nostra equazione […] quale promozione della vita sul piano della letteratura, dove appunto cristallizza formalmente in isolamento e consequenzialità tematica)» (ivi, pp. 141-142; la posizione critica di Ferrata alla quale fa riferimento Contini si trova in V. CARDARELLI, Poesie, a c. di G. Ferrata, Verona, Mondadori, 1942). 49 R. FUSELLI, Sul cammino di Cardarelli, cit., p. 34.

13 Nei primi scambi epistolari, il cardarelliano «tema-mito»50 dell’amicizia trova il suo afflato più autentico nella scrittura privata, la quale avvia il processo conoscitivo, osserva il consolidarsi di un legame, ne avverte la profondità e ne alimenta la sostanza culturale attraverso un fitto interscambio di letture filosofiche e letterarie. Nelle missive degli anni 1913-15 spiccano infatti i nomi degli autori più amati da Cardarelli: i filosofi Blondel, Bergson, Laberthonniere, protagonisti di quelle letture giovanili grazie alle quali, sotto il segno dei tempi, egli si avvicinò allo spiritualismo filosofico di matrice tardo ottocentesca.51 Curioso tuttavia come, al Nietzsche maestro della sua prima formazione, sulle cui pagine «si è agguerrita […] di armi ben appropriate»52 la sensibilità poetica dei Prologhi, Cardarelli faccia riferimento nell’epistolario soltanto per accomiatarsene, nel 1916, segnando così il primo discrimen nel suo percorso letterario:

«Io rivedo antiche letture con occhio incredibilmente lucido. Questa è la mia umile consolazione, di constatarmi sempre mezzo disposto a prendere cantonate. […] Chi mi s’impadronisce sempre di più è Goethe. Al contrario, a Nietzsche non mi riesce più di credergli. Non parliamo poi dei nostri vecchi colossi di legno. Pochi sono gli uomini che resistono ai nostri lunghi contatti con la natura».53

A dominare empaticamente le missive dell’estate del 1914 infatti sarà Goethe, al quale sono dedicate entusiastiche lettere, estremamente interessanti, per altro, dal punto di vista critico, poiché rivelano l’origine delle intuizioni cardarelliane sulla poetica goethiana esposte qualche anno dopo, con una specularità lessicale piuttosto significativa, nella prosa rondesca Decadenza del genio54. Nelle lettere 37, 38 e 40, infatti, Cardarelli si confronta con l’amico non solo sul Faust di Goethe, ma anche sulle personalità artistiche di Shakespeare e Beethoven,55 nomi che, non a caso, verranno associati nuovamente nella prosa come esempi tipologici di genialità artistica:

50 La definizione è di Clelia Martignoni (OPERE, p. LVIII). 51 A proposito dell’influenza del pragmatismo e spiritualismo francese sugli entourage intellettuali tra Roma e Firenze nel primo ventennio del Novecento si ricorda l’articolato saggio di E. GRAZIOSI, Dai "Poemi lirici" ad "Amore di poesia”, in M. VITALE (a cura di), Riccardo Bacchelli lo scrittore, lo studioso: atti del Convegno di studi, Milano, 8-10 ottobre 1987, Modena, Mucchi, 1990., pp. 71-106. 52 OPERE, p. XIII. 53 Vedi lett. 85. A tal proposito Clelia Martignoni dirà che «al Nietzsche decadente e avventuroso della giovinezza si sostituisce […] la classicità eretta in mito castissimo con Leopardi (OPERE, pp. XIX. Per un’approfondita analisi del rapporto cardarelliano con Nietszche vedi ivi, pp. XIII e segg). 54 V. CARDARELLI, Decadenza del genio, «La Ronda», a. I, n. 5, settembre 1919, pp. 67-70. 55 Nella lettera 38, ad esempio, scriverà: «Il richiamo che tu fai a Shak[espeare] in parte è giusto. Ma non è precisamente a loro che pensavo parlando dei soliti grandi uomini tutti spirito e dramma. Io pensavo a Beethoven p. e. di cui sto leggendo la biografia. Quanto a Shak[espeare] qui siamo senz’altro, secondo me, nel tragico e nella genialità assoluta, e tu hai ragione a parlare di gioia della disperazione etc. Però che

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«non c’è niente che riesca a dare la vertigine dell’inesistenza quanto il contatto con certi geni, quelli che si possono considerare come tipi: Shakespeare, Goethe, Beethoven».56

Nelle lettere 37 e 38, in particolare, Cardarelli si sofferma ad esaminare la poetica del Faust focalizzando l’attenzione su quell’ironia lirico-drammaturgica che a suo avviso costituiva il punto di forza dell’opera goethiana:

«Intanto io mi son riletto il Faust. La grandezza di Goethe cresce sempre ogni volta. In lui l’ironia assume forme totali, cosmiche. Fece del mondo la più inebriante delle mascherate. La materia gli diventò genio. Che uomo strano tra i soliti grandi uomini tutto spirito e dramma!».57

Tornando sull’argomento nella lettera successiva, sottolineerà infatti l’estrema modernità del poeta tedesco, in cui la capacità di modellare lo stile della parola, in una maniera tanto caleidoscopica, si alimentava di un rispecchiamento del reale che abbatteva l’illusorietà della fictio drammaturgica, rendendo il mondo

«un congerioso e illuminato spettacolo. È naturale che dentro sé l’unico sostegno serio fosse l’ironia. […] Tutta la sua strana acutezza morale ha i caratteri della riflessione greca. C’è la pratica degli uomini e delle cose, aderenza empirica e cruda all’esperienza assoluta; non c’è l’invenzione e l’arbitrio creatore. Non c’è diremmo noi, attività. Grande creatore è invece nel modo, nella giacitura della sua espressione. Nel ritmo della sua eloquenza che del resto ha un segreto che è quasi sempre lo stesso: voglio dire la sua ironia formidabile. […] È perciò modernissimo, e io lo sento come pochi».58

Con una suggestiva ripresa tematica e lessicale, Cardarelli rielaborerà le riflessioni sulla genialità, nate attraverso il confronto epistolare del 1914, nella prosa Decadenza del genio, laddove ragionava appunto sulla natura artistica dei auoi autori più amati:

«Si pensi, per intendere, come devono esser nati i drammi di Shakespeare, o il Faust di Goethe: due geni, questi, fatti per non scrivere mai altro che liriche, geni frammentari, momentanei, e fantastici, al più alto grado, che devono aver preso la realtà, la natura, fino a un certo punto abbastanza sul serio, ma che finirono anche per portare sulle scene azioni terribilmente

c’entra questo con quello che io volevo dire di Goethe? Sia pure esercizio interno e fatica. Ma questo non mi contrasta: anzi! Un genio molto misterioso à appunto bisogno di molto esercizio e molta fatica. Senonché alla fine ecco di che cosa t’accorgi: che tutta questa fatica e questo esercizio hanno elevato castelli meravigliosi sulla tavola d’un palcoscenico». 56 OPERE, p. 310. 57 Vedi lett. 37. 58 Vedi lett. 38.

15 paradossali e scherzose. […] Tutto in loro ha il senso, l’accidentalità e il sapore dello scherzo, perché non sono che miraggi e opere dello stile».59

Allo stesso modo, un’osservazione en passant nata da un suggerimento di Bacchelli sulla musicalità dello stile shakespeariano

«le insistenze del buffone sulla coglioneria colpevole di Re Lear mi hanno fatto pensare a quel che tu mi scrivevi sulla musicalità di certe fantasie. Veramente l’effetto è terribile, come una frase che espulsa da un piano sinfonico seguita ad essere ribattuta e rimaneggiata da uno stiramento isolato e cupo. Ce n’è in Beethoven di queste ossessioni»60

verrà assolutizzata nella medesima prosa come una delle qualità creative del genio:

«Non sappiamo quanto la sua fantasia agisca e crei, si direbbe automaticamente, per deduzioni e sviluppi del tutto musicali».61

Nelle missive del 1914, inoltre, viene gettato un altro seme della ferace critica cardarelliana a proposito di uno degli studiosi più contestati da Cardarelli, Francesco De Sanctis. Le letture e gli studi giovanili del poeta, che proprio in questi anni stava costruendo e consolidando, da autodidatta, il suo bagaglio filosofico letterario, lo portano a contatto anche con gli scritti del celebre critico,62 sul quale espresse, sin da subito, le sue veementi perplessità in merito alla metodologia di approccio ai testi, foriera di bozzetti letterari ma incapace, a suo avviso, di un approccio ermeneutico e storiografico di ampio respiro sulla storia della letteratura italiana. Già nel giugno 1914 infatti scriveve a Bacchelli:

«La sua famosa concretezza d’esigenza che gli fa ricercare continuamente il fantastico il corposo etc. e disprezzare la teologia si riduce in pratica ad un’arbitraria e dilettantesca schematizzazione di tipi. Il buon Taine sotto tutti gli strati della conoscenza artistica che egli compone, s’illude almeno di giungere ai sentimenti generatori, alla psicologia dell’artista, punto di riferimento e riduzione all’unità delle opere, che vanno secondo me considerate come fenomeni e non essenze come fanno gli esteti (onde l’esigenza grammaticale della perfezione etc.) – il De Sanctis invece non ci pensava affatto. Lui prende il personaggio, tenta di sagomare la cosa. Allora dà veste di assolutezza al provvisorio. Violenta l’indizio fino a fargli assumere una finalità che non comporta per niente».63

59 V. CARDARELLI, Decadenza del genio, «La Ronda», a. I, n. 5, settembre 1919, in OPERE, pp. 308-309. 60 Vedi lett. 40. 61 OPERE, p. 310. 62 Vedi lett. 29. 63 Ibid.

16 Convinto che l’opera letteraria dovesse essere compresa nel suo rapporto contestuale con l’autore e non valutata come unicum estetico in sé (si noti per altro il riferimento all’inutilità dell’accanimento verso la perfezione grammaticale dell’opera, concetto cardarelliano che sarà sviscerato nelle critiche mosse al metodo correttorio di Bacchelli),64 Cardarelli costruirà su questi spunti ermeneutici la sua prosa rondesca De Sanctis e della nostra lingua,65 nella quale si riscontrano nuovamente occorrenze lessicali, rispetto agli assunti della scrittura epistolare, a proposito della tipizzazione desanctisiana dei personaggi letterari:

«La sua è storia di personalità, di uomini rappresentativi. E dove la letteratura non s’individui in qualche eroe che ecciti la sua fantasia, il nostro storico non ci vede altro che ozio, decadenza, sterilità e noia».66

Così l’illustre Storia della letteratura italiana desanctisiana, già definita nella scrittura privata un «monumento insigne di faciloneria e tesoretti di bestialità»,67 verrà definitivamente bollata da Cardarelli come il libro «tra i più fornicatori che si siano mai scritti in lingua pressappoco italiana».68

Animo inquieto e per natura polemico, nella scrittura epistolare di questi anni Cardarelli lascia veementi tracce dei suoi più schietti giudizi e valutazioni anche sull’ambiente letterario fiorentino contemporaneo, vociano in particolar modo, entourage che lo coinvolse sempre in un vortice dialettico tra sentimenti di attrazione e repulsione, spesso legati all’avvicendarsi dei direttori della «Voce» e alla linea di impostazione culturale che la rivista andava seguendo via via. Ragioni di opportunismo lo portarono spesso a cercare la collaborazione con i tanto biasimati e deplorati Papini, Prezzolini69 e Amendola,70 dei

64 Infra p. 26 e segg. 65 La prima parte della prosa fu pubblicata nella «Ronda», a.IV, n. 2, febbraio 1922 con il titolo del De Sanctis e della nostra lingua; lo scritto venne poi ripreso e ampliato sul «Tevere», 2 febbraio 1927 con il titolo Parere su De Sanctis. Incluso in Solitario in Arcadia, Milano, Mondadori, 1947 venne poi escluso dall’autore nelle edizioni successive. Ora in OPERE, pp. 956-964. 66 OPERE, p. 959. 67 Vedi lett. 29. 68 OPERE, p. 964. 69 A proposito di quest’ultimo scriveva nel 1912: «Ho avuto uno scambio di lettere aperte con Prezzolini. Ho costretto quel serpe a sputar la sua bava. Ed è stata verdina come mi aspettavo. Rottura definitiva! Manco male» (vedi lett. 7). 70 Il disprezzo per Amendola si percepisce netto nelle parole dell’aprile del 1913: «Qui Amendola mi si rivela sempre lo stesso. Quindi peggio. Stasera passavo davanti alle Giubbe Rosse. Lui era seduto ad un tavolo davanti a Papini. Dopo quanto se ne è detto insieme! Papini era, all’atto, l’uomo più naturale e disinvolto del mondo. Ma avessi veduto Amendola! Tutto nero, sostenuto ritegnoso, col cappello in testa e

17 quali si servirà spesso se soggiogato a impellenti bisogni di pubblicazione,71 a esigenze economiche o se pressato da interessi legati ai suoi progetti redazionali.72 Frequenti i resoconti sullo stato dei suoi rapporti personali con gli amici dell’entourage romano, Cecchi e Baldini in primis, e sul suo rapporto sempre conflittuale con i critici Borgese,73 Timpanaro,74 Gargiulo,75 notazioni che, oltre a riprodurre in tutta la sua veracità lo spaccato di un’epoca culturale, alimentata da una continua tensione dialettico critica, svelano la reale natura dell’aneddotica irascibilità cardarelliana, per la quale egli stesso chiese perdono al suo più intimo confidente:

«Ma non mi giudicare male se mi sono un po’ lasciato andare in questa lettera a mettere in questione qualche amico non del tutto simpaticamente. Tu sai che questi momenti dirò così negativi non sono che crisi di conoscenza e direi quasi atteggiamenti di vita per me».76

Sotteso alle alterne vicende personali e culturali, l’epistolario offre un interessante percorso tematico legato alla produzione letteraria di entrambi i corrispondenti, in merito alla quale chiarisce il problematico rapporto poetico in cui si posero le rispettive opere di esordio, confermando che «l’intenso sodalizio intellettuale che congiunge in questi anni i due futuri rondisti, fa sì che circoli nei loro scritti un’aria di esperienze comuni, dove non sarebbe districare debito e credito».77 Sebbene la trama epistolare si presenti molto densa dal punto di vista dei contenuti letterari, risulta certamente più interessante ciò che si ricava dal punto di vista della formazione delle rispettive coscienze poetiche, soprattutto tra il 1913 e il 1917, rispetto al l’ombrello su le coscie. Come uno che siede e non siede. Ma insomma – la vita è terribile! – sedeva. E Papini Prezzolini Soffici perfino Tavolato tutti, sono più forti di lui» (vedi lett. 6). 71 I rapporti con Papini ad esempio riacquistarono di cordialità con la proposta di quest’ultimo di pubblicare I Viaggi nel tempo cardarelliani presso Vallecchi, casa editrice in quell’epoca agli esordi di cui Papini fu uno dei primi e principali collaboratori. 72 Il giudizio su Amendola si modificherà quasi radicalmente in occasione dell’aiuto che quest’ultimo avrebbe potuto offrirgli per le trattative con Gustavo Sforni, possibile finanziatore del progetto redazionale cardarelliano del 1913: «Insomma unica colonna al mio feroce volere che da questi spettacoli trae lena, Amendola. Sarà quel che sarà ma ha almeno un pregio: la facoltà del soccorso pratico. In ciò è molto umano ed è un semplice. Con lui spero di vincere tutte le viltà che mi circondano e di riuscire a fare intorno a me un vuoto puro e costante» (vedi lett. 12). Allo stesso modo anche la diffidenza nei confronti di Prezzolini sparirà in occasione della fondazione della «Ronda», rivista di cui il letterato fiorentino salverà le sorti economiche ed organizzative nel 1920 acquisendone la gestione amministrativa (vedi lett. 161). 73 A proposito di Borgese Cardarelli userà espressioni molto colorite, definendolo «lamentoso» e «palloso» (vedi lett. 6), accusandolo per altro di fare la «camorretta» sul suo conto quando si vide escluso da Cardarelli dal progetto redazionale del 1913 (vedi lett. 12). 74 Vedi lett. 21, 22, 26 per la piccola querelle nata con il critico. 75 Vedi lett. 175 a proposito di un articolo di Gargiulo un po’ scomodo per Cardarelli andato in stampa sulla «Ronda». 76 Vedi lett. 69. 77 OPERE, p. XXIII.

18 valore funzionale che potrebbero assumere le lettere per la filologia testuale cardarelliana, alla quale, in effetti, non aggiungono informazioni dirimenti per la tradizione dei testi.78 Purtroppo non si sono conservati i fogli allegati alle lettere contenenti le diverse redazioni delle liriche che l’autore dei Prologhi inviava spesso all’amico per riceverne un parere o semplicemente per il desiderio di condividere idee e toni poetici.79 È pur vero tuttavia che Cardarelli fu poco prolifico negli invii poetici e piuttosto reticente sul suo lavoro, limitandosi spesso solo ad una frettolosa informazione sullo stato delle sue composizioni, a volte in maniera entusiasta

«Ho scritto ieri una lirica a Omar Kheyyam, di cui sono allegramente soddisfatto. È il tono di Homo sum ma più alto»,80

a volte entro i termini di una prudente discrezione, legata a momenti particolarmente prolifici e di ampio respiro certamente preziosi nell’incostante attitudine al lavoro del poeta: «Ora sto molto lavorando. Vedrai che rispetto a le altre cose che tu conosci ciò che ora fò è di una superiorità inattesa, di una larghezza per me davvero confortante. Quando me la sentirò ti manderò alcune pagine».81

In altri casi invece appare molto concentrato sulla questione della ricerca stilistica, vissuta da Cardarelli in una continua tensione conoscitiva:

«Mi limito per ora a dirti che sono già abbastanza lontano dalle ultime liriche che ti mandai una delle quali, quella che a te pareva la più importante, è irremissibilmente condannata. Forse ti sorprenderà qualche perfezione nuova in me».82

Tuttavia, una costante sensazione di incompletezza e inadeguatezza gli procurava una forma di severa reticenza sul proprio operato, conducendolo ad uno stato di continua revisione del ductus stilistico affinché riuscisse a percepirlo più aderente a sé stesso:

78 Le informazioni che si ricavano percorrendo l’epistolario in merito al processo compositivo cardarelliano confermano, senza tuttavia aggiungere nuova sostanza, le ricostruzioni filologico testuali offerte da Clelia Martignoni in OPERE relativamente ai testi citati in queste missive. 79 L’unica redazione che compare nell’epistolario è quella del refrain l’Arca di Noè (vedi lett. 157), pubblicato poi in calce alla prosa Diluvio; il testo tuttavia presenta già la redazione definitiva, licenziata per la stampa un mese dopo per «La Ronda», luglio-agosto 1919, n. 4 . 80 Vedi lett. 33. 81 Vedi lett. 48. 82 Vedi lett. 35.

19 «Delle cose mie non parlo. Ho rimesso a nuovo una vecchia breve preghiera per il buon uso del tempo che aprirà la serie. E ho rifatto qualche pagina dell’espiazione che ti lessi. Inoltre avrò qualche altra piccola cosa nuova, e le liriche che tu conosci sono qua e la seriamente rilavorate, specie il preludio estivo e pigro. C’è già dell’aspettativa. Vedremo».83

Se è vero che i tempi compositivi di Cardarelli erano certamente più lunghi e complessi di quelli del più prolifico Bacchelli – al punto che quest’ultimo lo accusò persino di «stitichezza»84 nel licenziare i testi – nella reticenza cardarelliana si celava probabilmente anche un timore di condivisione dei propri contenuti poetici con l’amico, a causa di quella comune e condivisa ricerca stilistica che avrebbe potuto certamente metterli in competizione. Le prime avvisaglie di un tale timore dell’autore dei futuri Prologhi si hanno già nel marzo 1914:

«C’è stato un tempo che tu, mi hai detto, subivi un po’ la mia soggezione. E c’è stato ora un momento che io ho avuto paura di te. Son cose che bisogna dirsele. Adesso io, senza accettare la tua consolazione in articulo mortis del Socrate senza Platone, guardo a te con molta serena compiacenza non disgiunta da una certa mefistofelica gioia di conoscere i tuoi limiti».85

Mentre Bacchelli si trovava nel pieno della stesura dei Poemi lirici, che avrebbe licenziato di lì a qualche mese, Cardarelli, ancora in fase aurorale della sua opera d’esordio, di cui aveva già composto alcuni testi ma era lontano dal licenziarli in un’opera altrettanto strutturata, confessa all’amico quel sentimento di rivalità e di problematico confronto sul piano letterario che Clelia Martignoni aveva ipotizzato come valido motivo cardarelliano per retrodatare al 1913-14 la composizione dei Prologhi,86 pubblicati due anni dopo i Poemi lirici di Bacchelli.87 In effetti l’ipotesi della studiosa viene ampiamente avallata e definitivamente asserita dalla dichiarata empatia poetica di Cardarelli nei confronti dell’amico, verso il quale non soltanto sentiva un’innata affinità emotiva,88 ma vi vedeva il

83 Vedi lett. 41. 84 Nella lett. 79 infatti Cardarelli risponde all’amico a proposito della sua lunga gestazione dei Prologhi: «e non credere neppure che io voglia morire di stitichezza, come tu dici che io sono stitico in quanto a licenziare. È che la cosa per me è assai più grave che per altri. Io non ho nulla di ereditario». 85 Vedi lett. 18. 86 V. CARDARELLI, Prologhi, Milano, Studio editoriale lombardo, 1916. 87 Ricostruendo l’iter compositivo dei Prologhi la Martignoni si chiede: «forse Cardarelli, retrodatando la sua opera al ’13-’14, intendeva rivendicare a sé stesso la priorità nel genere della confessione morale e astratta, o almeno garantirsi dal rischio di essere riconosciuto debitore ad altri?» (OPERE, p. 1033). I Poemi lirici erano usciti nel 1914 a Bologna per i tipi di Zanichelli. 88 Nel 1913 Cardarelli dimostrava già di percepire a fondo il carattere innovativo della lirica di Bacchelli: «Caro Bacchelli, non ho alcuna difficoltà a scriverti subito il mio parere sulle tue liriche. Il quale è che le capisco e mi piacciono. Ci sei molto bene tu, col tuo curioso modo di leggere, e il tuo opaco modo di soffrire (vedi lett. 10).

20 suo alter ego che aveva già portato in atto, nel senso tecnico aristotelico, quanto nel suo animo poetico giaceva ancora in potenza:

«T’invidio per le cose che riesci a dire, le esperienze che irretisci. È strana la nostra somiglianza biografica! Il nostro parallelismo fisiologico! Ma di me tutto è sacrificato. Io non sono ancora ben certo sul significato di quest’assoluta impotenza».89

L’uscita dei Prologhi segna l’esplicita ammissione cardarelliana di un suo latente risentimento – «un vecchio punto delicato»90 dirà egli stesso – per la convinzione di dover «rivendicare a sé stesso la priorità nel genere della confessione morale e astratta»,91 cioè di quel bagaglio valoriale tradotto nelle più diverse forme della parola che Bacchelli aveva fatto proprie fin dai suoi esordi:92

«Le tue prose a me fanno l’effetto, diversità di stile a parte, dei miei Prologhi: vale a dire di cose molto belle e importanti, fedi che non si ritroveranno più, delle quali non vorrei sentir più parlare. Ma spesso ho pensato se tu non sia destinato a riassumere e rappresentare proprio certi valori che io mi attribuivo come caratteristici. Mentre io vado sempre più violentandomi a contatto dell’esperienza bruta. È certo che se parliamo di autoconoscenza tu ne hai più di me, di spirito, di relazione etc. tu ne hai più di me - e in una forma più meritoria perché più conquistata. Ma è un vecchio punto delicato che non amo sfiorare per timore di dare il senso che io voglia attribuirti le qualità meno native, mentre poi non la penso così e la tua natività è nella lingua e io insomma non ci vedo ben chiaro. Bisognerebbe che cominciassi a fare un’analisi di me troppo dettagliata. Cosa dalla quale mi allontana una ripugnanza istintiva».93

89 Vedi lett. 83. In una missiva dell’anno precedente, mentre Cardarelli osservava i futuri Poemi lirici evolversi e prendere forma, aveva già affermato: «Io sento di difendere me stesso (le mie posizioni) difendendo te» (vedi lett. 54). 90 Vedi lett. 96. 91 OPERE, p. 1033. D’altronde piena consapevolezza del suo ruolo di ispiratore per l’amico Cardarelli la dimostrò già nel marzo 1914, quando, poco dopo aver scritto a Bacchelli il 6 marzo 1914 (lett. 18), confessò all’amica Sibilla Aleramo: «Il mio amico Bacchelli ha scritto un poema che sarà una rivelazione per l’inverno prossimo. C’è tanto di me e di mio là dentro. Ciò non può che darmi gioia. Almeno come fecondatori si comincia a vedere che siam buoni a qualcosa» (lettera del 24 marzo 1914 in V. CARDARELLI, Lettere d’amore a Sibilla Aleramo, a c. di G. A. Cibotto e B. Blasi, Roma, Newton Compton, 1974, p. 213). 92 D’altronde lo stesso De Robertis riconoscerà a proposito dei Poemi lirici che «questo libro nacque sotto la stella cardarelliana, felice stella. Bacchelli era già altro scrittore, fastoso, sovrabbondante, e ineguale: l’incontro con Cardarelli, il teorico più sottile e irregolare della giovane letteratura, l’inventore più fascinoso e prepotente di verità e caparbietà sullo stile poetico e in genere sull’arte dello scrivere, gli fu buona scuola. Per un poco arginò la sua forza, e gli diede una coscienza. […] La sua natura, vitalmente più ricca, lo preservò dalle imitazioni fastidiose; ma certo gli diede subito una sorta d’affanno a riesprimersi da capo con quell’accento nuovo riscoperto. […] Le parole, allusivamente chiare e ferme, non danno lume, e non c’è che sensi mortificati, o un’animale contentezza di vivere. Quelle parole, così scandite, gli venivano da Cardarelli, per un fenomeno di mimesi; la pesante fatica invece era sua […]. A Cardarelli allora non si accostò, realmente, e s’intonò, che in certe pause idilliche, e nella parte di sè più elementare: quando guardava le cose di natura, fermandole in aperte prospettive, e quando chiudeva le pagine irte in cadenze gnomiche» (G. DE ROBERTIS, Scrittori del Novecento, Firenze, Le Monnier, 1958, pp. 102-103). 93 Vedi lett. 96.

21

La difficoltà cardarelliana nei confronti del successo dell’amico d’altronde era stata già dichiarata poco dopo l’uscita dei Poemi lirici, quando il poeta scrisse molto esplicitamente:

«Caro Bacchelli, è possibile che io m’imbarchi con te in una discussione su quelli che in fondo dovrebbero essere i limiti del tuo temperamento, prima di averti fatto sentire fino a qual punto io sono meravigliato e ostacolato dalle tue possibilità? Se io mostrassi di ignorare in quale condizione il tuo lavoro, e anche la tua uscita, ha posto la nostra amicizia, e il pericolo per me, l’inquietudine che ne è scaturita, potrei darti due impressioni altrettanto inesatte: o che io sia così spensierato da non accorgermi delle cose che accadono, o che io mi fidi talmente di me e dell’avvenire che mi è serbato da non sentire il bisogno di modificare in nulla rispetto a te la mia parte antica di critico e di risponditore. Ora io non sono abbastanza pratico e cerebrale per questo. Tu sai che mi lascio illudere poco. E dunque, tu devi capirlo, un silenzioso rispetto e insieme un istituto di difesa che obbligano ormai a qualche reticenza con te, e tu devi essere così bravo da non costringermi a spiegazioni che a me parrebbero sempre inadeguate».94

Costretto nel duplice sentimento di condivisione di una ricerca poetica che assumesse tuttavia forme di rigorosa distinzione da quelle di Bacchelli, soprattutto in vista dell’uscita dei Prologhi, Cardarelli aveva tuttavia la consapevolezza di offrire il suo importante contributo nella condivisione del loro percorso letterario ricoprendo per l’amico quel peculiare ruolo di «critico e risponditore» che avrà delle implicazioni significative nel percorso editoriale e compositivo bacchelliano. Nel corso del quadriennio aperto dai Poemi lirici e chiuso dalle prose vociane95 di Bacchelli, con l’intermezzo dei Prologhi del nostro, Cardarelli sanzionò, infatti, in maniera sempre più preponderante, la sua funzione di promotore ed editore del poeta bolognese, formalizzandola egli stesso in una lettera del febbraio 1914:

«Sapessi quanto mi piace avere qualche amico da presentare! Talvolta provo un senso di malinconia pensando che forse io sono destinato a rappresentare nella cultura una di quelle parti di suggeritore o proclamatore che son tanto generali quanto sterili di risultati propri».96

Cardarelli, che credeva fortemente nel suo «compito di persuasore e di guida della sua generazione»,97 esercitò questo ruolo in maniera privilegiata nei confronti di Bacchelli

94 Vedi lett. 64. 95 R. BACCHELLI, Memorie, «La Voce», a. VIII, n. 7, 31 luglio 1916, pp. 295-302 e Riepilogo, «La Voce», a. VIII, n. 8, 31 agosto 1916, pp. 323-326. 96 Vedi lett. 17.

22 spesso con notevoli influenze sull’edizione dei testi di quest’ultimo. Numerose missive infatti si rivelano molto eloquenti sul grado di responsabilità attribuibile a Cardarelli per la pubblicazione e diffusione dei testi dell’amico affinché questi ne ricavasse sempre dignità e prestigio. Se ne fece, in sostanza, l’agente letterario. Che lo facesse in situazioni occasionali, come accadeva «la sera, in un’osteria […] a leggere e rileggere alcune pagine»98 del giovanile Ludovico Clò agli amici, o che agisse attraverso recensioni commissionate a colloquio con gli intellettuali più influenti,99 Cardarelli si impegnò a diffondere presso l’entourage culturale ed editoriale del tempo i testi che Bacchelli andava componendo via via, preoccupandosi perfino di formare, nel senso etico del termine, un pubblico di estimatori tra i critici letterari più fini, ai quali segnalava la via interpretativa che più rendesse onore alla poesia dell’amico. Nel febbraio 1914 ad esempio, in attesa che Bacchelli licenziasse i suoi Poemi Lirici, Cardarelli gli propose una piccola operazione editoriale che iniziasse a catalizzare l’attenzione del mondo letterario su un nuovo genere poetico:

«Piuttosto sai cosa ho pensato? Fare un fascicoletto di saggio (cose mie tue e di Baldini che fa lirica anche lui, battuta un po’ sul mio metro, ma che va). Io scrivo due righe, specie per te, per preparare il lettore a scoprirti, d’introduzione. Una trentina di pagine. C’è l’editore di Lirica che ci stampa gratis. Una cosa originale. Da mettere la zucca dei critici sopra un fatto nuovo. Ti va? Non hai allora che da mandarmi tutto quello che vuoi e che più ti piace».100

L’intenzione cardarelliana di concentrare l’interesse dei critici «sopra un fatto nuovo» avalla per altro la tesi di Carla Gubert che sottolineava

«il senso profondo della complessa ricerca artistica in atto nel Cardarelli di quegli anni, una ricerca condotta al fianco dell’amico Riccardo Bacchelli, discepolo e interlocutore ideale, verso nuove forme di scrittura che si distaccano polemicamente dall’eccessivo cerebralismo del frammento vociano»101

97 A proposito del ruolo cardarelliano di animatore culturale, Giorgio Luti afferma che «al suo compito di persuasore e di guida della sua generazione dovette credere davvero, se dopo aver percorso alcuni capisaldi importanti della sua odissea (la redazione dell’«Avanti», le collaborazioni alla «Voce» prezzoliniana, a «Lirica» e al «Marzocco»), aveva dato inizio proprio nel 1913 ad una capillare azione di stimolo verso i colleghi romani, prospettando una nuova rivista letteraria di difficile gestazione» (G. LUTI, Firenze corpo 8: scrittori, riviste, editori del '900, Firenze, Vallecchi, 1983, p. 142). 98 Vedi lett. 18. 99 Nel marzo del ’14 ad esempio scrisse all’amico: «Ieri mattina venne da me Cecchi. Ha letto con me alcune cose tue. Gli ho detto i tuoi ultimi frammenti. Abbiamo parlato a lungo di te. Ho capito che ti capisce e ti stima come una cosa profonda, vale a dire come una cosa esistente» (vedi lett. 18). 100 Vedi lett. 17. 101 C. GUBERT, Era già il tempo di ritrovarsi altrove. Cardarelli e Bacchelli al tempo de «La Voce», «Rivista di Letteratura Italiana», a. 22, n. 3, 2004, p. 96.

23 e che troveranno piena espressione nei Prologhi del 1916 e nel loro percorso elaborativo. In una missiva del maggio 1915 infatti Cardarelli esterna proprio la necessità di rendere il processo creativo ‘altro’ rispetto al genere del frammento (auto)biografico, dal quale entrambi stavano cercando di svincolarsi:

«non mi fido più di biografarmi: resisto alla tentazione del frammento: e per ora non ho altro in vista, all’infuori delle mie rigorose esigenze e della mia pazza inesauribile persistenza a sapere. Se mi rimetterò al lavoro sarà, come si dice, per costruire».102

Nonostante i timori cardarelliani di apparire «una sorta di Romolo e Remo della nuova poesia»,103 bersaglio di facili ironie, la ricerca e la condivisione di una nuova dimensione etica della poesia alimentarono la collaborazione costante tra i due poeti, vincolandola, tuttavia, alla necessità di assecondare i diversi equilibri che tendevano a modificarsi man mano che le rispettive coscienze poetiche si andavano determinando e individualizzando. Nel periodo giovanile infatti Cardarelli, grazie anche ad una gavetta giornalistica che lo aveva messo in contatto con il contesto culturale romano prima di Bacchelli, si fece carico di istradare l’amico nel panorama letterario, certamente non disdegnando il sentimento di orgoglio che gli derivava dall’esserne il «suggeritore o promotore», come dimostra la soddisfatta asserzione del marzo del 1914: «Quando vieni a Roma […] hai già una piccola posizione fatta».104 Se per i Poemi lirici si limitò a sostenere o meno l’amico sulla scelta di un tipografo piuttosto che un altro, criticando per altro la scelta del «parruccone»105 Zanichelli, nel caso delle prime prose liriche, Memorie e Riepilogo, la questione editoriale fu più articolata, dimostrando quanto l’aiuto cardarelliano fosse indispensabile a Bacchelli per pubblicare e far circolare i propri testi.106 Cardarelli infatti si adopererà per cercare una rivista adatta per la pubblicazione, sia perché l’autore si trovava in guerra e non poteva curare direttamente i rapporti con l’editore, sia perché la scelta della sede editoriale avrebbe assicurato alle prose d’esordio una differente diffusione e una non trascurabile

102 Vedi lett. 68. 103 Vedi lett. 45. In una lettera precedente del giugno 1914 Cardarelli aveva già manifestato al suo amico il timore di «diventare un poco troppo zelante padrino della tua nascente gloria e delibatore eccessivamente spensierato del tuo poema» (vedi lett. 27). 104 Vedi lett. 18. 105 Vedi lett. 46. 106 Anche la Martignoni notò infatti che «ad alleggerire la fama malevola di Cardarelli, nel ’16 lo vediamo prendersi a cuore con affettuoso scrupolo la sorte delle prose di Bacchelli al fronte (Memorie e Riepilogo). Ne scrive con insistenza a Cecchi e a Boine nella speranza di farle accettare dalla ostile Riviera Ligure, e poi a De Robertis, che in effetti le accolse sulla Voce» (OPERE, p. XXIVn).

24 connotazione culturale a seconda dell’entourage redazionale che li avrebbe accolti. È noto d’altronde il ruolo di orientamento letterario svolto dalle riviste in questo primo ventennio del Novecento, spesso responsabili della fortuna o, eventualmente, della mala sorte dei testi presentati. Nel 1916 il declino dell’ambiente vociano e il desiderio cardarelliano di distaccarsene definitivamente gli fecero confessare all’amico che:

«Il fatto che non si riesca a trovare una rivista per un tuo scritto è abbastanza significativo. Ma ti basti intanto che qualcuno di noi la conosca o l’apprezzi non superficialmente. Poi il modo di pubblicarla verrà. Mandandola a Papini per la Voce sarei sicuro che l’accetterebbe con piacere, ma il pensiero mi ripugna. Se tu me ne dai l’autorizzazione lo faccio senz’altro. Tu che sei in guerra non puoi avere idea del grado di depressione a cui il nostro mondo letterario è arrivato. Non si può essere liberali fino a non soffrire la vergogna di certe relazioni, di certa contemporaneità, vicinanze etc».107

Le due prose uscirono infatti sulla «Voce», poiché, nonostante le ben note distanze ideologico-letterarie dei due poeti dall’ambiente fiorentino, Bacchelli acconsentì a pubblicarle in tale sede, mentre Cardarelli si trovò ad ammettere qualche mese dopo che «La Voce» era «ormai «l’unica rivista letteraria importante»108 ancora in auge al tempo, per altro sotto la più apprezzata direzione di De Robertis. Informazioni piuttosto preziose per ricostruire la storia editoriale delle Memorie del Tempo Presente derivano invece dalle lettere scritte tra il 1917 e il 1920. Questo insieme di prose bacchelliane, composte mentre il bolognese si trovava in guerra come luogotenente, vennero pubblicate nella «Ronda» nel 1919,109 ma dalle missive se ne ricostruisce un iter editoriale sino ad ora sconosciuto, anche perché le trattative non ebbero esito e i testi vennero pubblicati solo nel 1957 insieme a tutti gli altri scritti giovanili.110 Il caso delle Memorie del tempo presente è emblematico del lavoro editoriale lungo e ponderato che svolse Cardarelli nell’arco di tre anni, dal 1917 al 1920, durante i quali contattò diversi editori che volessero accogliere in volume le prose di guerra dell’amico.

107 Vedi lett. 85. È importante sottolineare che sebbene le prose di Bacchelli uscirono effettivamente su «La Voce» nel 1916, Carla Gubert ricorda che nel marzo 1915 Bacchelli aveva in realtà affermato la sua estraneità al mondo vociano anche se, scrisse a Cecchi, «gli avrebbe fatto comodo per la bibliografia» (C. GUBERT, Era già il tempo di ritrovarsi altrove, cit., p. 96). 108 Vedi lett. 93. 109 R. BACCHELLI, Memorie del tempo presente. I. La vita Anteriore. II. Introduzione, «La Ronda», a. I, n. 6 ottobre 1919, pp. 5-10; Quota 208, ivi, a. I, n. 7, novembre 1919, pp. 43-52; Considerazioni sulla storia, ivi, a. I, n. 8, dicembre 1919, pp. 14-23.. 110 R. BACCHELLI, Memorie del tempo presente, testo, prefazione, cronache, commenti alle edizioni e alle rappresentazioni, Milano, Mondadori, 1957.

25 Vagliando di volta in volta la migliore soluzione editoriale, a parità di offerta economica, si rivolse infatti a Bellonci e Bergamini nel 1917,111 a Vallecchi112 sempre nello stesso anno e a Podrecca del «Primato» nel 1920.113 Non traspaiono dalle risposte cardarelliane i reali motivi per cui le trattative non andarono a buon fine, ma sembra evidente che la responsabilità della mancata pubblicazione in volume sarà in realtà di Bacchelli stesso, evidentemente non soddisfatto dalle condizioni e dalle sedi editoriali che avrebbero dovuto licenziare la sua seconda opera letteraria. Dopo il fallimento anche dell’ultima trattativa con Podrecca infatti Cardarelli scriverà disarmato all’amico:

«Fa dunque quello che vuoi e informami sull’esito di questa discussione. Non ti nascondo che quando saprò che le tue Memorie hanno finalmente trovato un editore di tuo gusto tirerò un sospiro di sollievo».114

Il ruolo di Cardarelli tuttavia non si esaurì soltanto nella mansione di «promotore» editoriale, ma si connotò di una particolare rilevanza quando ebbe modo di esprimersi come critico e curatore dell’opera di Bacchelli. Egli seguì infatti la correzione di tutti gli stadi redazionali dei testi che il bolognese gli inviava costantemente, spesso in forma di abbozzi e redazioni in fieri. A tal proposito, l’esercizio critico si manifesta in maniera così articolata nel carteggio da conferire alla dimensione epistolare un doppio statuto di letterarietà: alcune missive hanno un carattere quasi programmatico per la metodologia applicata ai testi dello scrittore bolognese, mentre altre si presentano in veste di veri e propri saggi letterari, connotando la scrittura privata di una propria autoreferenzialità saggistica,115 in alcuni casi ante-litteram rispetto alle riflessioni presentate poi nelle prose o nei contributi in rivista.116 Scendendo nello specifico dell’esercizio critico-ermeneutico della dimensione epistolare cardarelliana, si possono individuare alcuni indirizzi metodologici piuttosto rigorosi, indici non solo delle speculazioni teoretiche dell’autore sulla creazione poetica, che poi ritroveremo formalizzate nelle sue opere, ma soprattutto di un vero e proprio approccio

111 Vedi lett. 124. 112 Vedi lett. 164. 113 Vedi lett. 169. 114 Vedi lett. 172. 115 A proposito della scrittura epistolare cardarelliana Clelia Martignoni scrisse: «Ed è […] indubbio che, per Cardarelli in particolare, proprio il genere epistolare, costringendolo al nudo e immediato confronto con sè stesso prima che con l’interlocutore, tra tragedia e ironia, sia uno dei settori privilegiati d’espressione: dove la sua prevalente inclinazione etico-ragionativa si manifesta al meglio, nonostante a tratti sembri diluirsi – è inevitabile – nel dettaglio spicciolo (il refuso, i giri di bozze, il pettegolezzo, etc.) che dà però sale e tregua all’assieme» (V. CARDARELLI, Assediato dal silenzio, cit., p. 7). 116 Emblematico a tal proposito il caso dell’Amleto bacchelliano, infra p. 34 e segg.

26 filologico ai testi. Cardarelli prestò infatti moltissima attenzione al metodo che utilizzava Bacchelli per correggere le sue composizioni, approccio in cui ravvisava una sistematicità di interventi a posteriori nocivi rispetto al respiro lirico della prima redazione. Con i Poemi lirici infatti Cardarelli iniziò a notare che la revisione dell’autore, molto spesso, non andava a potenziare il tessuto lirico del componimento, ma lasciava la materia poetica ancora passibile di intervento:

«Caro Bacchelli, ho letto le bozze che hai mandato a Quilici. Ci sono cose nelle prime parti che io per conto mio ancora sfronderei. Trovo che qualche paesaggio non lo hai toccato senza nuocergli. In genere non mi sembra che tu ti sia curato di dare risalto alle parti più belle. Questo come consiglio, se ancora fossi in tempo a ridare una seria occhiata alle bozze».117

Dopo l’uscita del libro infatti, Cardarelli non poté trattenere le sue riserve di fronte alle aspettative di una maggiore risonanza letteraria della sua opera prima lamentate da Bacchelli:

«Tu hai dovuto lasciare sul tavolo molta materia assai più visibile e persuasiva di parecchia che invece ne hai pubblicata. E anche qua e là hai corretto troppo e male, creati dei rapporti fatti per tutt’altro che per aiutare a orientarsi il lettore estraneo. Non insisto troppo su questo che dico, soprattutto perché le parti armoniose ed emergenti del tuo libro superano di gran lunga quelle oscure e confuse».118

Se quindi l’opera di esordio, letta in itinere ma non revisionata da Cardarelli, uscì tra le remore del suo principale estimatore, due anni dopo, con la contingenza della guerra e in virtù di un rapporto personale che sempre più si alimentava di un supporto reciproco, la futura prosa vociana, Memorie, subì invece una significativa revisione testuale giustificata da una rigorosa, quanto insolita, metodologia filologica:

«Mio caro Bacchelli, ancora poche righe. Ho ricevuto il tuo manoscritto e lo passerò a Cecchi per farlo subito pubblicare. M’è parso però che alcune correzioni andassero bene, altre al solito piuttosto male. […] Per questo disponendo della prima copia mi sono permesso di fare con le mie mani nel tuo lavoro un leggero e delicato esercizio dirò così filologico, consistente nel ripristinare in gran parte la prima lezione (anche sulle mie cose trovo spesso che le correzioni più ispirate sono quelle che portano a riscoprire l’originale) e nell’accettare quelle delle tue correzioni che mi sembravano necessarie, respingendo le altre. […] Purtroppo ho osservato che quando ti metti a correggere le tue cose ti dimentichi dello stato in cui l’hai scritte e ci fai su delle osservazioni da dottore. Ma allora sarebbe troppo facile correggere,

117 Vedi lett. 57. 118 Vedi lett. 50.

27 invece è il rimettersi in posizione poetica, come se da quel primo momento non fosse accaduto niente altro di nuovo in noi, che fa la difficoltà, il compromesso silenzioso e quasi eroico, d’una buona correzione. Considerato tutto questo, giacché tu sei alla guerra io ho creduto, con ogni discrezione, di procedere alla piccola manomissione che t’ho detto».119

Evidentemente il primo editing cardarelliano era stato nuovamente ‘viziato’ dall’intervento dell’autore, pertanto, sei mesi dopo, Cardarelli torna a scrivere che avrebbe inviato a De Robertis, allora direttore de «La Voce», la prima redazione delle Memorie, motivando così la sua abiura all’ultima volontà dell’autore:

«Tu postilli nel correggere, pessimo metodo, mentre bisogna che le frasi (liriche) restino sospese come nacquero. Ragione per cui io manderò la prima copia a De Rob[ertis] aggiungendo naturalmente le correzioni che secondo me, in tutta coscienza e riposatamente, vedo che possono andare. Scusami di questa prepotenza che è fatta di amicizia vera e di sincera ammirazione e che si rende necessaria data la tua lontananza in questo momento. Non credere che io non apprezzi abbastanza le Memorie».120

Queste notazioni e dichiarazioni di intervento da parte di Cardarelli assumono una rilevanza letteraria non trascurabile nel momento in cui permettono di individuare le sue precise responsabilità nella correzione ed elaborazione dei testi di Bacchelli, che risultano così esser andati in stampa con un significativo editing, diremmo oggi, del curatore e non secondo l’ultima lezione autoriale. La lettera del 31 gennaio 1916 (lett. 83), ad esempio, diventa un prezioso documento di avantesto per l’elaborazione di Memorie poichè Cardarelli vi segnala dettagliatamente tutti gli interventi che ha ritenuto opportuno fare sul testo, dandoci modo di rintracciare, tramite il raffronto con la lezione a stampa, la paternità delle sue lezioni all’interno di questa prosa:

«In genere: approvo l’aver levato: Ah signora e il nuovo versetto: Aver detto: era meglio non nascere etc. Approvo l’aver tolto quella intempestiva scappata erotica che cade assai più opportuna la seconda volta, e altre lievi correzioni che illuminano poeticamente e danno un senso nuovo alle vecchie frasi. […] Perché il discorso corresse (intendo questo non nel senso banale) ho dovuto sacrificare ancora due o tre periodi; ecco il mio maggiore arbitro. P. es. là dove dice: - “E il sospetto che la mia scelta e abbondante esperienza etc, non mi pare che si riprendesse bene con tutto quel periodo carnale che suppone troppo direttamente il pezzo

119 Vedi lett. 83. 120 Vedi lett. 95. Sul potenziale espressivo di una frase poetica concepita come un unicum irripetibile, e in quanto tale non passibile di correzioni che non facciano altro che snaturarla, Cardarelli tornerà a ragionare nelle Opere e i giorni, dove affermava che «l’insostituibilità di una frase, di un’espressione, non significa tuttavia perfezione assoluta. Significa soltanto che non potevamo fare di più, di meglio; che non potevamo scrivere diversamente e ci siamo espressi con lealtà» (OPERE, p. 312).

28 tolto: Insomma te ti vorrei etc. Così sono andato senz’altro al: Ci siamo aspettati troppe cose etc. Con ciò mi pare che si riprenda magnificamente e che anzi questo plurale improvviso dia a tutto il discorso precedente un’intenzione ampia e nuova. E allora tutta la strofa, dirò così, sentimentale: Ed anche la gioia era venusta (io ho messo: eppure la gioia era venusta – vedi tu) viene isolata e splendidamente a posto. Così pure ho dovuto levare il periodo: […], illuminazione etc e ricominciare a: Finora son perduto.1 «Come farei a vivere se no? (spazio) Finora son perduto». Quante parole uno spazio indovinato ci può risparmiare! Ti ho detto quasi tutto. Il resto è quasi tutto come tu hai scritto».121

Il raffronto di questi passi con la stampa è sempre a favore della lezione cardarelliana. Se confrontando la lettera del 19 ottobre 1915 (lett. 75) e del 31 gennaio 1916 (lett. 83) si ricava che lo scrittore bolognese accettò, in fase redazionale, il consiglio di Cardarelli di eliminare un intero passo a suo giudizio poco in linea con il tono della prosa,122 il raffronto tra le varianti segnalate nella lettera del gennaio 1916 e il testo a stampa dimostra che vennero resi definitivi sia i lievi aggiustamenti stilistici, sia la cassatura di interi periodi che Cardarelli ritenne opportuno eliminare dal testo. Il poeta si fa dunque filologo, applicando tuttavia una metodologia che, se rispetta le finalità ecdotiche della restituzione della lezione d’autore, nella prassi è viziata da un approccio non tecnico ma poetico, che tende a privilegiare il momento creativo rispetto a quello della revisione del testo, fase in cui l’approccio razionale elabora, con esiti inevitabilmente argomentativi, la prima intuizione lirica. Volendo formalizzare il metodo cardarelliano in termini ecdotici, egli non rispetta l’ultima volontà dell’autore, come richiederebbe la prassi filologica in questo caso, ma sceglie di mettere a testo la prima redazione, poiché, a suo avviso, lezione autentica, d‘autore appunto, in quanto trascritta, o traslitterata addirittura, in quella «posizione poetica» pronta a ricevere l’ispirazione epifanica che rende parola un’intuizione creativa.123

121 Vedi lett. 83. 122 Dopo una delle prime attente letture di Memorie, Cardarelli gli fece notare che «una cosa di cui avresti potuto fare a meno è quella specie di episodio erotico che ci hai incastrato e che qui dentro ci sta proprio male» (vedi lett. 75); Bacchelli evidentemente seguì il consiglio, poichè dopo tre mesi il poeta tornò a scrivergli: «Approvo l’aver tolto quella intempestiva scappata erotica che cade assai più opportuna la seconda volta, e altre lievi correzioni che illuminano poeticamente e danno un senso nuovo alle vecchie frasi» (lett. 83). 123 Il procedimento correttorio così inteso valeva anche per sé che proprio in quei mesi stava terminando la stesura dei Prologhi. Nel gennaio 1916 infatti, contestualmente alle sue osservazioni sulle prose di Bacchelli, scrisse all’amico: «in quanto a me sto uscendo da un periodo nero. Figurati che a giorni mando il libro all’editore e tu lo vedrai stampato credo dentro i primi di febbraio. Ho voluto pulirlo con accanimento con ostinazione feroce. E non lo sentivo più in nessun punto capisci? Era come lavorare un cadavere; senza che tuttavia l’immagine abbia più che un valore d’espressione, perché adesso che la fatica è finita ti dirò che sono soddisfatto di me e mi sento tutto pronto e buono da ricominciare. Ma vedremo. Certo che oggi sento

29 Il principio che sostanzia l’appunto critico al metodo correttorio di Bacchelli deriva dall’assunto cardarelliano che «esprimesi è restituirsi. L’opera che esce dalle nostre mani segue un suo destino. Giudicarlo non ci appartiene».124 Applicando una teoresi poetica alla prassi filologica quindi, la definizione del procedimento correttorio per Cardarelli non può non consistere nel «rimettersi in posizione poetica, come se da quel primo momento non fosse accaduto niente altro di nuovo in noi, che fa la difficoltà, il compromesso silenzioso e quasi eroico, d’una buona correzione».125 Enunciati questi che trovano una puntuale eco nella riflessione cardarelliana proprio degli anni coevi alle lettere citate (1916-1917) quando, in un frammento vociano delle Parole povere, traduceva la necessità di ritrovare dentro di sé quella particolare disposizione alla creazione, definendo la parola poetica come

«la parola più satura di verità […]. Quella che a contatto d’una certa impressione, la quale può rinnovarsi identica, abbiamo pensata e ripensata con maggiore insistenza, tenendola tuttavia silenziosa in noi, lasciandola riposare […]. Finchè un giorno, a forza di durare, si finisce a credere in lei con una persuasione superstiziosa, una persuasione tale che, oltre a non aver bisogno di fastidiose riprove critiche, serve anzi meravigliosamente a prevenirle e, se mai, a rassicurale. Questo parrebbe dover essere il lungo viaggio, naturale e organico, della parola intesa come creazione».126

Questa necessità cardarelliana di rendersi presenti a sé stessi, rispettando fino in fondo l’atto creativo, è ciò che rimase nell’animo di Bacchelli anche a distanza di anni, quando, rievocando in un’intervista la sua amicizia giovanile con il poeta affermò:

«io risento quel travaglio risolto in certi appelli di Cardarelli alla spontaneità e alle remissività invocate, anzi prescritte all’uomo che tende sempre a eccedere in disegni e previsioni; lo ritrovo in definizioni segretamente trepide come questa: che poesia è fiducia di parlare a sé medesimo».127

d’avere più polpa, più gesto, più humanitas. Ma non più quella divinità di armonia, quella tenerezza d’accenti vergini, sicuri. Che cosa significa progredire!» (vedi lett. 80). 124 OPERE, p. 159. 125 Vedi lett. 83. A proposito dell’importanza di una buona ispirazione che, in quanto tale, non sempre è facile da ottenere scriverà in Solitario in Arcadia: «Io so quel che mi ci vuole per mettermi in grado di ricevere un’ispirazione» (OPERE, p. 283). 126 Il brano venne pubblicato per la prima volta in Parole Povere, raccolta di frammenti usciti su «La Voce», n. 7, 31 luglio 1916 ed ebbe numerose riedizioni, prima fra tutte nella «Ronda», n. 5, settembre 1919 con il titolo La Parola (si rimanda a OPERE, p. 1144 per una cronologia bibliografica approfondita). L’edizione definitiva, da cui si cita, venne inclusa nella sezione Le opere e i giorni di Solitario in Arcadia, ivi, p. 313. 127 R. BACCHELLI, Come arrivai alla Ronda, «La Fiera Letteraria», a. IV, n. 9, 26 febbraio 1928, p. 1.

30 Si capisce quindi perché la parola liricamente intesa in senso cardarelliano non abbia bisogno di essere spiegata, in quanto ontologicamente epifanica e semanticamente completa in sé, motivo per cui «bisogna che le frasi (liriche) restino sospese come nacquero».128 L’approccio filologico del poeta rispecchiava per altro quanto affermava il De Matteis a proposito del Cardarelli critico, il quale, alieno da ogni schematismo e accademismo, prediligeva un’analisi caratterizzata «da una facoltà d’alto riposo sensitivo, e di placido interesse umano»129 che lo portava a valutare la qualità di un testo letterario «nelle sue componenti di essenzialità e di purezza»,130 come confermano d’altronde le missive di questo epistolario dalla dimensione saggistica. Dedicarsi all’opera di un autore con un approccio analitico voleva dire per Cardarelli esercitare la propria sensibilità per comprendere l’individualità del soggetto poetante, atteggiamento che si traduce in una metodologia critica che va «verso forme più elevate […] e che ancorché dilazionato come indugio e spazializzazione prescrive come meta il nosce te ipsum esigendo fra sé e l’uomo una relazione armonica».131 Di qui una critica cardarelliana epidermica, e allo stesso tempo profonda, empatica che riesce «spesso a toccare di un’opera la parte più difficile e sfuggevole, il significato simbolico finale»,132 approccio rievocato dalle parole dello stesso Bacchelli a distanza di anni:

«Io mancavo di filosofia, Cardarelli di filologia, ma ci mettemmo in pari, per quel che a noi occorreva. Per noi si trattava, accettando dall’Estetica di Croce una definizione della poesia come fatto intuitivo, autonomo, puro, di vedere poi quale dovesse essere il valore umano di questo fatto, il suo significato. […] In questo esercizio l’acutezza intuitiva di Cardarelli prendeva forma ed efficacia di attacchi ed indagini sulle persone. Difficile era stringere i panni addosso ai poeti con più vigore aggressivo e di vigore ragionante».133

Quella «eticità» della scrittura cardarelliana individuata dalla linea critica Cecchi- Bacchelli-Gargiulo134 a proposito dei Prologhi e dei Viaggi nel Tempo,135 la prima

128 Vedi lett. 95. 129 G. DE MATTEIS, Cultura e poesia di Vincenzo Cardarelli, Lucera, Costantino Catalano, 1971, pp. 88-89. 130 Ibid. 131 R. FUSELLI, Sul cammino di Cardarelli, cit., p. 61. 132 R. RISI, Vincenzo Cardarelli prosatore e poeta, Berna, Franckie, 1951, p. 28. 133 R. BACCHELLI, Come arrivai alla Ronda, cit., p. 1. 134 Carmine Di Biase mette in evidenza una linea critica che attraversa la recensione di Cecchi ai Prologhi (E. CECCHI, Testimonianze classiche, «La Tribuna», 18 ottobre 1916), la recensione di Bacchelli ai Viaggi nel tempo (R. BACCHELLI, recensione a V. Cardarelli, Viaggi nel Tempo, «La Ronda», a. II, n. 2, 1920, pp. 58-62) e il saggio di Gargiulo sulla «Ronda» degli anni ’20 (A. GARGIULO, In famiglia II, «La Ronda», a. II, n. 8-9, agosto-settembre 1920, pp. 42-54), in cui ravvisa come tutti e tre i critici abbiano colto un aspetto

31 raccolta saggistica scritta non a caso proprio tra il 1916 e il 1917, costituisce il quid ontologico del confronto epistolare tra i due corrispondenti che ha permesso alla loro amicizia di crescere, sia umanamente che professionalmente. Confrontarsi sui propri scritti sfruttando la dimensione privata della scrittura epistolare voleva dire imparare a conoscersi, secondo una connotazione della critica come esigenza, strumento di conoscenza. Fin dalle prime battute epistolari del 1913 infatti Cardarelli chiese al suo corrispondente:

«Tu scrivimi più spesso e dimmi più spesso quel che pensi di me, specie se è male. Ti assicuro che mi fa bene. La critica è carità».136

In virtù di questo esercizio ermeneutico-conoscitivo inserito in una dimensione privata, e quindi privilegiata, Cardarelli poté comprendere in profondità il messaggio poetico di Bacchelli individuando il quid che lo contraddistingueva nella sua peculiare sensibilità. A proposito dei futuri Poemi lirici gli scrisse infatti nell’ottobre 1913:

«Caro Bacchelli, non ho alcuna difficoltà a scriverti subito il mio parere sulle tue liriche. Il quale è che le capisco e mi piacciono. Ci sei molto bene tu, col tuo curioso modo di leggere, e il tuo opaco modo di soffrire».137

Più avanti, nell’ottobre del 1915, iniziava anche a sbozzarsi quella vicinanza stilistica che lasciava Cardarelli quasi in uno stato di afasia e di speranza per una strada poetica che sembrava mostrare importanti potenzialità di ricerca lirica da condividere:

«È qualche cosa come una porta che tu hai aperto […], è una rete lanciata. Di quelle cose che tappano la bocca. […] Quel che mi ha colpito soprattutto è una certa solidità di genere tutto nuovo in te: lineare. E per contrapposto un maggior risalto di colori, visioni, drammaticità. Tutto in iscorcio e in distruzione. È insomma molto da vicino l’arte come la preferisco io, e come noi la faremo ciascuno per proprio conto e a suo modo, se ci salveremo».138

Quella peculiare συμπάθεια, che gli permise di costruire un comune percorso poetico con l’amico, lo porterà anche a rivendicare come sua peculiare specificità la capacità di profondo della scrittura cardarelliana: la sua eticità. Egli sottolinea infatti come Cecchi avesse percepito nella prosa dei Prologhi «la presenza della riflessione critica come bisogno etico» (C. DI BIASE, Invito alla lettura di Vincenzo Cardarelli, Milano, Mursia, 1975, p. 130), Bacchelli ne avesse rilevato «la necessità della riflessione critica e logica, per indicare le ragioni profonde d’uno stile» (ivi, p. 132) e Gargiulo traesse le fila di un discorso che trovava il suo ubi consistam proprio nella parola «eticità» (ibid.), atta a connotare «quella sostanza spirituale» (A. GARGIULO, In famiglia II, cit. p. 46) della retorica cardarelliana. 135 V. CARDARELLI, Viaggi nel tempo, Firenze, Vallecchi, 1920. 136 Vedi lett. 4. 137 Vedi lett. 10. 138 Vedi lett. 75.

32 percepire stilisticamente le prose bacchelliane, laddove la cifra stilistica diventa manifestazione di un habitus morale ed etico dell’autore nei confronti della sua opera:

«C’è in te del predicatore, dico questo in senso altamente positivo. Qualche cosa di ecclesiastico, di corale – eppoi una specie di nobile disinteresse, un senso cavalleresco dell’espressione che non sarà capito da nessuno».139

Come affermerà nelle Opere e i giorni, lo stile è qualcosa che trascende la pura formalità del dettato

«è un fatto naturale ed ereditario come il carattere […] esso ci dà la misura di quello che siamo, delle nostre qualità, dei nostri limiti e dei nostri difetti. […] Lo stile è sinonimo di personalità, non di altro».140

In una delle primissime missive infatti aveva già affermato: «E capisco la conquista formale così: come confessione energica e dominata della nostra miseria.La dimensione stilistica si carica quindi di potenzialità epifaniche rispetto alla dimensione autoriale interiore, assunto cardarelliano, questo, che investe anche l’esercizio ermeneutico della capacità di intensificare legami e affinità nella sfera privata».141

Questo equilibrio tra Cardarelli e Bacchelli, che vide il primo farsi promotore, editore e critico del secondo per quasi tutto il periodo della loro giovinezza, iniziò a cambiare la distribuzione delle forze con l’esperienza rondesca,142 durante la quale è evidente una ormai piena maturità stilistica di Bacchelli e una sua più forte autocoscienza letteraria, che esigerà una revisione degli equilibri nel gioco dei ruoli culturali condotto sino ad allora. Dopo l’esperienza rondesca infatti il gusto estetico di entrambi andò progressivamente divaricandosi, assestandosi su posizioni differenti: tra il 1918 e il 1922 la corrispondenza si fece letterariamente intensa, nei toni e nei contenuti, sino a rendere antinomica, e ontologicamente inconciliabile, quella complementarietà tra vita e letteratura che sin’ora era stata consustanziale al discorso epistolare cardarelliano. Il rapporto i due scrittori modulò infatti le proprie dinamiche sulla base del confronto poetico e artistico di due personalità che tendevano ora a distinguersi e a individualizzarsi, anche a causa di alcuni dissapori dovuti a divergenze letterarie; probabilmente, sulla scia di una giovinezza che

139 Vedi lett. 84. 140 OPERE, p. 312. Nel maggio 1916 infatti commentando a Bacchelli l’esito dei suoi Prologhi aveva scritto: «Anche Saffi pare molto colpito e mi scrive dandomi del classico etc. etc. fatto sta che io sono convinto d’aver costruito qualcosa di stilisticamente importante. In fondo tutto per me si riduce a questo» (vedi lett. 89). 141 Vedi lett. 6. 142 Infra p. 40 e segg.

33 andava svanendo, subentrava la necessità di trovare un nuovo equilibrio nelle reciproche aree d’azione. Infatti, di fronte ad una maturazione della produzione letteraria di Bacchelli, che lo rendeva ormai più autonomo nelle scelte e nelle nuove sperimentazioni, sempre più lontane dal gusto di Cardarelli, quest’ultimo, pur rimanendo sempre una figura di riferimento indispensabile per il bolognese, vide ridimensionarsi, in termini di efficacia, il suo ruolo di editore e curatore ricoperto fino ad allora; fu egli stesso, per altro, a prendere coscienza di questo esautoramento, confessando a Bacchelli: «cosa potrei ormai rivelarti di nuovo col mio modo di criticare?»,143 dimostrando di percepire ormai il passo in avanti fatto dalla poetica del bolognese sulla strada di una personale e più matura ricerca stilistica. Bacchelli ebbe un diverso approccio alle interferenze dell’amico sulla sua produzione, rispetto alla libertà d’azione sui suoi scritti che gli aveva concesso fino a qualche anno prima, mentre Cardarelli, dal canto suo, continuò a leggere le redazioni in fieri in maniera attenta, problematizzandone di volta in volta forma e contenuto, senza intervenire più, tuttavia, sul tessuto testuale. Nel caso in cui le opinioni dei due divergessero, infatti, il bolognese accettava ormai difficilmente i consigli dell’amico, con la conseguenza, a volte, di aspre polemiche e furenti litigi. Testimoni di tale cambiamento relazionale sono le missive caratterizzate da due fondamentali querelle nate a proposito di due opere teatrali di Bacchelli: l’Amleto e il libretto d’opera l’Infedele Innocente.

La prima opera con cui Bacchelli si cimentò nel genere teatrale fu una riscrittura drammaturgica dell’Amleto shakespeariano. Composto nel 1918 e pubblicato nei primi cinque fascicoli della «Ronda» nel 1919,144 uscì in volume nel 1923 in una nuova versione (successivamente rifiutata dall’autore) per le edizioni de «La Ronda»145 e fu rappresentato per la prima volta soltanto nel 1956 al teatro Olimpico di Vicenza.146 Se in prima battuta Cardarelli fu colto dagli stessi dubbi che animarono i contestatori di Bacchelli per la scelta di un soggetto non originale, oltre che per la paventata e latente competizione con il modello shakespeariano, il confronto epistolare, dispiegato in 3 corpose missive147 dall’impostazione saggistica spiccata e molto dettagliata in merito all’operazione fatta

143 Vedi lett. 135. 144 R. BACCHELLI, Amleto. Cinque atti 1918. Atto primo, «La Ronda», a. I., n. 1, aprile 1919, pp. 18-40. Atto secondo, ivi, n. 2, maggio 1919, pp. 10-24. 145 R. BACCHELLI, Amleto: dramma in cinque atti, Roma, La Ronda editrice, 1923. 146 R. BACCHELLI, Amleto 1918: cinque atti, Milano, Mondadori, 1957. 147 Vedi lett. 135-137.

34 dall’amico, diede modo a Cardarelli di fugare scetticismi e perplessità, dando adito, anzi, a quelle riflessioni che il direttore della «Ronda» presentò nell’introduzione all’Amleto in rivista.148 Alla prima lettura infatti il poeta aveva già colto il vero significato dell’operazione bacchelliana:

«Nell’insieme questo dramma è un magnifico documento filologico, voglio dire un esempio di stile che potrebbe avere una strana importanza culturale, ma non credo che tu abbia voluto fare opera di divulgazione letteraria»,149

giudizio che infatti riproporrà specularmente nella sua nota introduttiva:

«l’esigenza del dramma è chiara e urgente in queste pagine. Drammi e commedie originali se ne fanno in Italia, oggi come sempre, ma si può dire che nessuno ha mai sospettato di doversi conquistare questo diritto formandosi prima di tutto uno stile, ciò che vuol dire, in conclusione, un mondo, un contenuto riconoscibile e saldo di umanità e di pensieri».150

L’introduzione rondesca di Cardarelli servì «ottimamente a mettere in tono il lettore»151 e, come ricordò molto più tardi Bacchelli, se

«non poteva sottrarre così insolito assunto agli ingenui scalpori e alle insulse ironie inevitabili, pose per altro chiari e fermi principii a un retto intendimento dell’assunto stesso, e rilevò, del lavoro drammatico, i principali caratteri. Indicò le ragioni poetiche di quello che ben poteva apparire un avventato e bizzarro colpo di testa».152

Dopo alcune perplessità iniziali da parte di Cardarelli, quindi, il confronto epistolare fu in tal caso estremamente funzionale alla fortuna dell’opera bacchelliana e le lettere sull’Amleto possono essere lette come piccoli saggi, precursori di quanto egli avrebbe poi espresso, con molta vivacità critica, nell’introduzione pubblicata sulla «Ronda», chiarendo ai lettori il significato e la chiave di lettura più autentica di una tale operazione letteraria. Superato ormai il ruolo del Cardarelli critico-editore, non è da sottovalutare tuttavia l’impegno che dispiegò anche in questo caso per promuovere il dramma attraverso il migliore canale di diffusione. Dalla lettera del marzo 1919 apprendiamo infatti che fu Cardarelli a spronare l’amico a rappresentare l’Amleto, con l’intenzione di farlo leggere a Ruggero Ruggeri, certamente uno dei migliori registi del tempo, anticipando per altro sui

148 V. CARDARELLI, Introduzione, «La Ronda», a. I., n. 1, aprile 1919, pp. 17-18. 149 Vedi lett. 135. 150 Vedi lett. 124. 151 Vedi lett. 147. 152 R. BACCHELLI, Amleto 1918: cinque atti , cit., p. 9.

35 tempi un suggerimento che verrà dato a Bacchelli da Silvio D’Amico soltanto quattro anni dopo, in occasione dell’uscita dell’Amleto in volume per «La Ronda Editrice». Il critico infatti concludeva la recensione dell’opera consigliando di rivolgersi proprio al Ruggeri per la rappresentazione di un dramma «dalla introspezione e dalla riflessione critica e morale».153 Il tentativo tuttavia non andò in porto e sei anni dopo, in uno degli ultimi colloqui epistolari, Cardarelli si trovò nuovamente ad appoggiare l’intenzione dell’amico di far rappresentare il dramma, questa volta aspirando persino a Pirandello.154

Un piccolo caso letterario tra i due nacque invece intorno ad un libretto d’opera scritto da Bacchelli nel 1922 per Giannotto Bastianelli, compositore e critico musicale su «La Voce». Il testo, intitolato L’infedele innocente, è la trasposizione in opera buffa della novella Il geloso di Estremadura del Cervantes ed è rimasto a tutt’oggi inedito, non rappresentato e scarsamente, anzi, quasi per nulla, conosciuto. Purtroppo l’attuale collocazione del manoscritto non è nota,155 ma siamo in possesso di una preziosa descrizione che ne fornì Miriam Donadoni Omodeo, l’unica studiosa che riuscì a visionarlo nel 2002 in casa degli eredi di Bastianelli,:

«Quel libretto d’opera, così com’era, giaceva tutto gualcito, tra le carte di Bastianelli che ritrovai tanti anni dopo a Bologna nella cantina del nipote: parte dattiloscritto, parte scritto a mano – mano di Bacchelli. Il titolo, che nelle novelle esemplari di Cervantes è Il geloso di Estremadura, qui diventa L’infedele innocente. I personaggi, elencati nella prima pagina, sono gli stessi: Filippo di Carrizales, vecchio geloso marito di Lenora; Luigi, moro eunuco, portinaio e schiavo; Loaysa, giovane sivigliano scapestrato; Marialonso, dama di compagnia di Leonora. Dietro a questa prima pagina, su un pentagramma tracciato a mano libera in penna, con scrittura affrettata, dieci brevi battute in tempo 2/4 (le «quattro gracili note») e la data: 6 maggio 1922».156

153 Ibid. 154 Vedi lett. 197. 155 Il manoscritto fu trovato nel 2002 da Miriam Donadoni Omodeo in casa degli eredi bolognesi di Giannotto Bastianelli (la famiglia Barbareschi); tuttavia, allo stato attuale delle ricerche, e dopo aver contattato personalmente Mario Natucci, uno degli eredi di Bastianelli, risulta che tutti i manoscritti di casa Barbareschi siano stati donati al Fondo Omodeo, recentemente devoluto, dopo la scomparsa della studiosa, all’Istituto Superiore di Studi Musicali “Rinaldo Franci” di Siena. Il fondo tuttavia è ancora in fase di riordinamento e catalogazione, per cui non è stato possibile accedere al materiale per una ricerca diretta del libretto, che ci si riserva di effettuare non appena il Fondo sarà aperto al pubblico. 156 M. DONADONI OMODEO, Riccardo Bacchelli e «L’infedele innocente», «Nuova Antologia», a. 137, n. 588, aprile-giugno 2002, p. 115. Il contributo della studiosa, seppur breve, si rivela di grande utilità sia per ricavare informazioni utili a contestualizzare la nascita di questo libretto, sia per capire che tipo di operazione ha eseguito Bacchelli sul testo del Cervantes, grazie al raffronto tra le due versioni. Un accenno all’operetta si trova anche in G. BASTIANELLI, Gli scherzi di Saturno. Carteggio 1907-1927, a c. di M. de Angelis, Firenze, Libreria Musicale Italiana, 1991, p. 251.

36

L’occasione per cui venne composta questa operetta viene spiegata da Bacchelli stesso ricordando quel personaggio così particolare che fu Bastianelli:

«[…] della sua vocazione di compositore, di cui non sono in grado di dar giudizio, posso per altro citare l’episodio generosamente disperato, disperatamente generoso, comico ma tragicomico, della rinuncia dolorosa, dell’abbandono sconfortato, della finale sua desolazione d’artista finito. Gli artisti non sorrideranno nell’apprenderlo. Mi chiese un libretto d’opera. Allora non supposi, adesso ritengo, come ho detto, che fu disperazione. Da una novella di Cervantes, Il geloso d’Estremadura, cavai un libretto tra buffo e patetico, tragicomico, e c’inserii una romanza spagnoleggiante, che lo entusiasmò.157 Passò qualche giorno, e con rapidità rossiniana ci annunciò che l’opera era fatta. Per la verità non ci credemmo nessuno, ma qualcosa di più di quel che ci fece sentire l’aspettavamo: quattro gracili note costituenti il motivo della romanza, dal quale, ora ch’era trovato, stava per nascere come da sé sola, spiegava Bastianelli, l’opera tutta quanta. Lo vedo al piano solfeggiare. […] Che l’opera non andasse oltre, inutile ricordarlo, sarebbe ingiusto divertirsene».158

A causa dell’estrosa inconcludenza del compositore, quindi, il libretto bacchelliano non trovò seguito sulle scene, e nemmeno, tuttavia, tra le sue opere a stampa. Se non si conoscono le ragioni, o le valutazioni personali, che hanno impedito a Bacchelli la pubblicazione di questo testo, si possono per lo meno analizzare le reazioni che ebbe Cardarelli alla lettura del libretto, causa di una vera e propria querelle, letteraria e personale, tra i due amici. Una ben definita sezione del carteggio infatti è dedicata alla critica dell’Infedele innocente, che poco convinceva Cardarelli sotto diversi punti di vista, pur riconoscendone l’indubbio valore all’interno del percorso teatrale dell’amico. Le cinque lettere159 che gravitano attorno alla commedia, scritte tra giugno e luglio 1922 e connotate da una forte autoreferenzialità rispetto al resto del corpus, sono costruite alla stregua di saggi critici e dimostrano la padronanza cardarelliana del genere, dovuta certamente alla sua esperienza nel campo della critica teatrale negli anni della sua giovinezza. Egli getta infatti un ampio colpo d’occhio sulle dinamiche drammaturgiche, strutturali e linguistiche che avrebbero portato a suscitare il riso, e, soprattutto, ad appagare le esigenze del pubblico moderno al quale riteneva che Bacchelli avrebbe dovuto

157 Scrivendo a Gianfrancesco Malipiero infatti, Bastianelli commentava così l’opera di Bacchelli: «Mi si prospetta un’estate laboriosissima – anche in musica giacchè (ehu horror!) ò deciso di fare un’opera: il libretto, bellissimo, è di Riccardo Bacchelli» (G. BASTIANELLI, Gli scherzi di Saturno, cit., p. 251). 158 R. BACCHELLI, Disperazione d’uomo e d’artista, «Il Corriere della Sera», 29 giugno 1976, in G. BASTIANELLI, Lettere e documenti inediti (1915-1927), a c. di M. Donadoni Omodeo, Firenze, Olschki editore, 1992, p. 59. 159 Vedi lett. 182-185.

37 adattare modi, espressioni e contesti dell’originale cinquecentesco al fine di ottenere il successo sperato. Anche da questo piccolo ciclo saggistico emerge un’interessante metodologia critica: Cardarelli infatti affronta in un primo momento gli elementi strutturali della commedia (struttura degli atti, movenze e caratteri dei personaggi), si sofferma sull’analisi linguistica (con la peculiare osservazione di un inadeguato linguaggio «troppo bacchelliano»160 per il genere della commedia buffa), per decretare un giudizio finale sfavorevole alla teatralità del testo, a suo parere non rappresentabile nella veste formale a lui sottoposta. Bacchelli non accettò di buon grado le critiche dell’amico, differentemente da quanto era accaduto in passato, e la querelle161 si chiuse sulla presa di coscienza cardarelliana dell’esautoramento del suo antico ruolo di «critico e di risponditore»162 che, vantaggioso per il bolognese nel felice periodo della giovinezza, ora risultava per lui quasi dannoso e castrante. A questo proposito sono molto significative le accorate parole che Cardarelli gli rivolge nella lettera:

«Gli anni passano e tu sei ambizioso di arrivare. A che cosa ti posso più giovare io se non a ritardare la tua lena e mortificare le tue speranze? Riconosci che io sono stato l’amico della tua giovinezza e che ora ho il diritto di essere sdegnato di te e dei tuoi pratici procedimenti».163

È evidente che la sublimazione del piano personale a dimensione etico-letteraria è insita nel modus vivendi cardarelliano al punto che il progressivo divaricarsi delle rispettive posizioni poetiche va ad influenzare il piano personale, incrinando un’amicizia decennale: venendo a mancare quel ruolo di cui egli aveva investito la dimensione privata della

160 Affrontando la veste linguistica della commedia infatti Cardarelli scrisse che il linguaggio dei personaggi era «troppo bacchelliano e, in un certo senso, soggettivo e uniforme, per non dire troppo dotto e retorico in molti casi, per poter dare quella generale impressione di varietà e di vita che si richiede in questo genere di lavori» (vedi lett. 184). 161 Nella schermaglia venne coinvolto anche Maurizio Korach, anch’esso collaboratore della «Ronda», al quale Bacchelli confessò i suoi risentimenti per i giudizi negativi di Cardarelli: «E a questo proposito ti dirò che a Cardarelli ha fatto un’impressione di cosa letteraria, immobile, insostenibile e non abbastanza esplicita ed obiettiva e caratteristica. E fin qui le opinioni sono libere, ma il punto curioso è ch’egli mi ha fatto osservazioni e suggerimenti assolutamente banali e anche un poco contraddittorie fra loro, che ti vorrei mostrare sulle sue lettere stesse, e ha finito coll’aversi un mezzo permale delle obbiezioni le quali sono state molto più riguardose e obbiettive che le sue critiche. Tu sai che io, oltre al resto, sono tenace sostenitore […] di Cardarelli, e non vorrei in nessun modo cavare deduzioni da un caso che mi tocca personalmente, ma ti confesso che fin da quest’inverno io ho l’impressione che il disordine di Cardarelli cominci a non esser più del tutto innocuo per le sue condizioni di spirito. Ma parliamo d’altro. Forse io (e tu) ci illudiamo sul valore di questa mia commedia, o forse il suscitare essa dei contrasti è segno che è qualcosa davvero. Del resto non credere che io ce l’abbia con Cardarelli» (lettera di Riccardo Bacchelli a Maurizio Korach del 5 luglio 1922, in R. BACCHELLI, Bacchelli-Cardarelli-Korach, cit., pp. 96-97). 162 Vedi lett. 64. 163 Vedi lett. 186.

38 scrittura, cioè il momento critico-ermenutico come momento di conoscenza dell’altro, anche lo scambio epistolare non aveva più motivo di proseguire.

«Che cosa resta dunque di te agli occhi miei? Una bellissima e melanconica vena di poesia annegata in un mare di superbia e un uomo che, come amico, rappresenta la mia più insigne 164 delusione e sconfitta».

Tuttavia un legame amicale costruito nel tempo non solo attraverso una consuetudine biografica ma soprattutto sul confronto di una comune sensibilità poetica, impedì ad entrambi di privarsi di uno scambio culturale prezioso, anche se il tempo avrebbe comunque affievolito gli ardori giovanili; Bacchelli avrebbe ritirato i propri risentimenti di fronte alle critiche di Cardarelli165 e questi avrebbe riconosciuto che :

«[…] non si smentisce con alcuni tratti di penna né una personalità come la tua né un’amicizia come la nostra, e mi farai il piacere di non credermi decaduto fino a questo punto. […] Ma quanto io ti ami e ti rispetti lo puoi capire da ciò, che in questi giorni io ho sentito chiaramente come il distaccarmi da te sarebbe stato per la mia vita morale un fatto direi quasi patetico e nutriente della nostra stessa amicizia. […] E d’ora innanzi ti assicuro che cercherò quanto più posso di comportarmi verso di te come se fossimo qualche cosa di più che due amici, ossia non mi dimenticherò più mai quanto noi possiamo essere l’uno per l’altro due giudici severissimi».166

Se il venir meno della continiana consustanzialità tra vita e arte sembra confermare per Cardarelli la mancanza della conditio sine qua non per uno scambio epistolare, tuttavia la possibilità di essere vicendevolmente «giudici severissimi» sul piano artistico conferma che la possibilità di un confronto critico rimane la linfa vitale di una corrispondenza, epistolare e soprattutto umana, ancora oggi archivio della memoria di un’amicizia dal forte valore culturale.

164 Ibid. 165 In una lettera a Korach del 20 luglio 1922 Bacchelli spiega all’ungherese come fosse riuscito a risolvere l’impasse creatosi con l’amico: «Se Cardarelli ti ha riferito della mia lettera trattenuta da Saffi in principio, avrai visto che subito ho saputo prendere la via più giusta che era anche quella più facile, e cioè della ragione e dell’amicizia non senza un onesto ma non rancoroso dispiacere» (R. BACCHELLI, Bacchelli- Cardarelli-Korach, cit., p. 98). 166 Vedi lett. 187.

39 2. Gli anni della «Ronda» nella scrittura privata

La dimensione epistolare, ontologicamente connotata da una prospettiva di indagine filologica sull’officina dei due scrittori e su quanto le poliedriche relazioni autoriali abbiano influenzato i rispettivi habitus scribendi, apre una via di accesso privilegiata anche per osservare senza mediazioni, programmatiche o letterarie, l’ambiente redazionale rondesco del quale i due corrispondenti furono appunto i principali esponenti: promotore e ideatore l’uno, animatore e punto di riferimento l’altro. La fondazione e collaborazione alla rivista romana costituisce senza dubbio l’esperienza giovanile di maggior importanza nel profilo biografico e letterario di Cardarelli e Bacchelli, i quali, giunti alla soglia di quei «trent’anni», semanticamente legati ad una connaturata svolta biografica in cui la vita «è come un gran vento che si va calmando»,167 sentono la necessità di imporre al panorama culturale del primo dopoguerra gli esiti di un percorso di formazione letteraria a cui avevano individualmente e intimamente lavorato fino a quel momento, con il preciso intento di emanciparsi completamente da un atteggiamento culturale giovanilistico all’insegna di illusioni e velleità idealistiche. Non è questa la sede per riaprire problematiche ermeneutiche o dissertazioni storico- critiche che, ormai da quasi un secolo, occupano le riflessioni degli studiosi sull’ambiente rondesco in maniera esaustiva e diversificata in merito ai diversi aspetti letterari, filosofici, storici e politici della rivista,168 quanto piuttosto è preziosa l’occasione per sfruttare il tipo di informazioni che il materiale epistolare inedito porta alla luce, per ricavare nuovi spunti di riflessione e focalizzare alcuni aspetti, meno funzionali ad un discorso di tipo ideologico quanto interessanti per comprendere l’evoluzione di un progetto redazionale i cui aspetti ‘biografici’ sono strettamente interconnessi con la vita ‘pubblica’ della rivista, sin’ora raccontata dagli scritti critici e creativi che vi apparvero. La genesi del titolo, ad esempio, è una delle questioni meno dibattute intorno alla «Ronda» e chiusa grossomodo su posizioni che ne riconducono il valore etimologico

167 [V. CARDARELLI], Prologo in tre parti, «La Ronda», a. I, n. 1, aprile 1919, p. 3. 168 Si rimanda al dettagliato ed esaustivo excursus bibliografico sulle principali posizioni critiche attorno alla «Ronda» presentato in M. BIONDI, «La Ronda» e il rondismo, in Il Novecento, a c. di G. Luti, Padova, Piccin Nuova Libraria, 1993, vol. II, al quale aggiungiamo la segnalazione dei due più recenti studi sulla rivista offerti in G. LANGELLA, Passaporto per la «Ronda», «Otto Novecento», a. XXIV, n. 1, gennaio-aprile 2000, pp. 89-104, e A. R. PUPINO, Ragguagli di modernità: Fogazzaro, Pirandello, «La Ronda», Contini, Morante, Roma, Salerno, 2003.

40 all’immediato campo semantico militaresco,169 foriero di una calzante giustificazione ideologica per quel ‘richiamo all’ordine’ tanto evocato a proposito del modus operandi della rivista. Un titolo «militar-poliziesco, allusivo a coprifuochi, ritirate, rientro nei ranghi»170 della letteratura pura, scevra da implicazioni vociane favorevoli ad un engagement politico-sociale, valenza che per altro diede facilmente adito ad accostamenti forse ideologicamente troppo netti con il sorgere del movimento fascista,171 fino a rintracciare «nella denominazione stessa del periodico […] un intento perfino poliziesco».172 La testimonianza epistolare si fa a tal proposito preziosa per ricostruire la genesi di un titolo che avrebbe dovuto racchiudere forti e allusive valenze semantiche. Nelle lettere fin’ora note,173 Cardarelli non si era pronunciato su eventuali titoli da vagliare, mentre a Bacchelli offrì una rosa piuttosto ampia e soprattutto molto significativa di possibilità su cui ragionare. L’8 luglio 1918 (lett. 137) infatti, ancora nella fase aurorale del progetto, Cardarelli accennava all’amico della necessità di trovare un titolo174 e dopo quindici giorni, aggiornandolo sullo status della rivista, gli scriveva: «si chiamerà

169 Interrogandosi sul significato del titolo della rivista Donato Valli interpreta così un accenno fatto dallo stesso Baldini nel secondo numero della «Ronda»: «la metafora militare, quale si conveniva in relazione al contesto sociale e politico del tempo, è spiegata con abbondanza di particolari programmatori da Baldini, il quale, dopo aver sottolineato il ruolo della rivista nel “fare servizio dentro le mura”, cioè nel mettere, o piuttosto tentare di conservare, l’ordine nell’animoso e rissoso spettacolo offerto dagli addetti ai lavori delle patrie lettere, precisa che lo sforzo maggiore è indirizzato verso un’opera di normalizzazione dell’espressione artistica, consistente in maniera prevalente nel “garantire la nostra sintassi e la nostra morfologia”» (D. VALLI, La Ronda e i rondisti, in N. Borsellino, W. Pedullà (diretta da), Storia generale della letteratura italiana, Milano, Federico Motta Editore, 1999, vol. X, p. 1012). 170 S. MAXIA, «La Ronda» e la prosa d’arte: Bruno Barilli, Antonio Baldini, Emilio Cecchi, in N. Badaloni, F. Fortini, S. Maxia, C. Muscetta, Il Novecento. Dal decadentismo alla crisi dei modelli, vol. IX, t. II, Bari, Laterza, 1976, p. 28. 171 La vicinanza con il fascismo fu in realtà una lettura proposta dallo stesso Lorenzo Montano nella Lettera agli amici della Ronda, inclusa nella sua opera Il Perdigiorno, ma lasciata cadere dai rondisti stessi che non vi si riconoscevano. Su una «lettura fascistica della Ronda» ragiona il CARETTI nei contributi Il «fascismo» della Ronda, edito su «Il Contemporaneo», a. II, n. 48, 3 dicembre 1955, pp. 3-4 e successivamente insieme al Codicillo rondesco in id., Antichi e moderni. Studi di letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1976, mentre il volume A. CICCHETTI, G. RAGONE, Le muse e i consigli di fabbrica. Il progetto letterario della «Ronda», Roma, Bulzoni, 1979 offre una rilettura storiografica della rivista che ridimensiona notevolmente il binomio, storicamente forzato, Ronda-fascismo. 172 A. R. PUPINO, Ragguagli di modernità, cit., p. 105. Anche Pupino tende a liberare «La Ronda» da sovrastrutture ideologiche militaresche o storicamente connotate, soprattutto se volte ad indicare un consapevole coinvolgimento della rivista con il nascente movimento fascista, ricordando che «la denominazione era tralatizia, e in quest’ambito non necessariamente gravata da quell’intento infamante: una «Ronda» si stampa a Verona dal 1883, una che si proclama liberale, democratica e popolare a Firenze dal 1890, una a Palermo dal 1903, una nientemeno che umoristica a Parma dal 1908, e infine una dal 1914 a Biancavilla» (ibid). 173 Il progetto redazione del 1913 è noto sin’ora grazie alle lettere 254-55, 260-64 edite in EPISTOLARIO I, nelle quali tuttavia non vengono espresse ipotesi di titoli da dare alla rivista. Si ha un’unica testimonianza indiretta in una lettera inedita di Cecchi a Bacchelli di cui ci occuperemo più avanti. 174 Lettera da Roma dell’8 luglio 1918: «Vedi intanto tu se trovi un titolo» (vedi lett. 137).

41 probabilmente: Il nuovo ordine. Ti va?».175 Quella che nel luglio 1918 era soltanto un’ipotesi per la nascitura «Ronda» si carica in realtà di valenze molto significative se relazionata con l’uscita, nel maggio dello stesso anno, del primo numero di «Energie Nove» e nel maggio 1919, esattamente un mese dopo l’uscita del primo fascicolo della «Ronda», de «L’Ordine Nuovo» di Gramsci, realtà redazionali che avrebbero costituito l’esatto contraltare ideologico della rivista romana in quel primo dopo guerra così dialetticamente animato da istanze normative e necessità di rinnovamento sociale. L’occorrenza del «nuovo» nel titolo di esperienze così dissimili per impostazione, intenti e programmi risulta quanto meno eloquente sulla necessità post-bellica di rinnovamento delle fumisterie avanguardistiche del primo novecento, i cui caratteri potevano assumere connotazioni letterariamente reazionarie a favore di una eticità profonda dello stile,176 quanto le forme di una lotta sociale lontana da implicazioni estetiche e più legata all’ideale dell’intellettuale engagé.177 Tuttavia, se la declinazione del desiderio di un «nuovo ordine» (o di un «ordine nuovo») concorda nel titolo quanto differisce sostanzialmente nei programmi e nelle modalità d’azione delle tre redazioni coeve, è possibile rintracciare alcuni temi comuni che le rispettive dichiarazioni di intenti si preoccupano di affrontare, pur con esiti molto differenti: lingua, stile, pubblico e relazione con il contesto socio- culturale. L’«Ordine Nuovo» lancia proclami ben definiti con il primo numero:

«Occorre alla propaganda parolaia, che ripete stancamente, con sfiducia mal celata dalla sonorità e dall’audacia tutta esteriore delle frasi, sostituire la propaganda del programma socialista, di quel complesso cioè di soluzioni ai grandi problemi sociali che solo possono

175 Vedi lett. 138. 176 La lettura proposta negli anni ’70 da Carmine Di Biase portò avanti il valore dell’impegno etico della «Ronda» rispetto alle accuse di un dichiarato disimpegno politico e sociale, identificando nella ricerca stilistica della rivista un messaggio non sterilmente calligrafico ma denso di valenze morali, veicolo di contenuti valoriali significativi attraverso la parola «espressione umana, senso realistico e concreto d’una situazione che esige ordine, «reazione» (se così piace) ma intesa come forza oppositiva ed operante, che non deflette e non viene a compromessi di fronte a concezionei che si oppongono ad una propria, conquistata e sofferta visione di vita e di arte» (C. DI BIASE, La Ronda e l’impegno, Napoli, Liguori, 1971, p. 131). 177 A proposito dei punti di tangenza dei due diversi atteggiamenti nei confronti della necessità di un nuovo ordine, rappresentati da una parte dalle riviste social-comuniste di Gobetti e Gramsci e dall’altra dalla letteraria «Ronda» è molto significativo quanto scrive lo Scrivano: «Sono due atteggiamenti ben distinti anche se nascono da un fondo comune: da una parte una repulsione al nuovo che si trasforma, o è già trasformata, in un prudente «stiamo a vedere», in un conservatorismo illuminato, tutto riflesso su se stesso e rivolto alle proprie esperienze di mestiere. Dall’altra invece una foga di ricerca, di indagine verso la realtà, una sete di problemi concreti, tesi verso una modernità tutta europea e più che europea: un rifiutare sia schemi sia facili entusiasmi. V’è insomma da una parte un gruppo di giovanissimi che, a modo suo, ha assorbito le esperienze di cultura delle riviste fiorentine d’anteguerra, che è ancora tutto su di un piano di tensione ideale, anche se questo piano proposto è la realtà, è l’urto con le cose; dall’altra uomini che hanno fatto già le loro esperienze e le loro delusioni e vanno guardinghi» (R. SCRIVANO, «La Ronda» e la cultura del Novecento in Riviste scrittori e critici del Novecento, Firenze, Sansoni, 1965, pp. 15-16).

42 conciliarsi e vivificarsi in un tutto armonico e compatto nell’ideologia socialista. Vogliamo che in tutta la propaganda socialista cioè si faccia seguire sempre la critica della società […], del falso ordine borghese coll’ordine nuovo comunistico».178

Alla volontà gramsciana di incidere all’esterno fa da contrappunto il ripiegamento della «Ronda» all’interno delle proprie fila perché, come si afferma nel Prologo,

«una spontanea affinità di gusti, di coltura, di educazione doveva condurli naturalmente ad accogliersi intorno a questa pubblicazione che essi promettono di curare, senza strepito e senza illusioni, come l’adempimento d’un dovere. […] questa rivista dovrebbe essere un luogo di ritrovo, un obbligo e una condizione di lavoro per loro stessi».179

Toni quasi crepuscolari di fronte ai ‘futuristici’ proclami gramsciani, eppure entrambi frutto di una volontà di azione rinnovata.180 Strumento principale per affermare un nuovo status, la lingua è il secondo elemento su cui ragionano i diversi ambiti ideologici, mostrando ovviamente una diversità ancora più radicale nelle differenti esigenze stilistiche:

«l’Ordine Nuovo non si propone di fare opera di accademica cultura, ma si preoccupa di fare del sano proselitismo socialista e si rivolge specialmente agli operai e ai giovani. I compagni sono pregati di scrivere in modo semplice, vivace e concettoso, che a un tempo stimoli le energie mentali dei lettori senza richiedere da essi uno sforzo inadeguato»,181

laddove invece i rondisti rimangono elitari e orgogliosi, molto lontani senza dubbio dal proselitismo di massa ed estremamente concentrati su un valore dello stile che caricheranno di valenze etiche profonde:

«fidiamo d’intenderci col pubblico accessibilmente e sommariamente. Non ci rifiuteremo, quando sarà il caso, di far conoscere la nostra retorica. Se anche dovessimo sembrare degli scolari i nostri maestri furono grandi e meritano qualche rispetto. […] Eviteremo perciò di proposito di far fracasso con delle formule che mandano odore di muffa e di giovinezza. Il nostro classicismo è metaforico e a doppio fondo. Seguitare a servirsi con fiducia di uno stile defunto non vorrà dire per noi altro che realizzare delle nuove eleganze, perpetuare insomma,

178 [s.a.] Battute di preludio, «L’Ordine Nuovo», a. I, n. 1, 1 maggio 1919, p. 1. 179 [V. CARDARELLI], Prologo in tre parti, cit., p. 4. 180 A tal proposito infatti Giuseppe Ravegnani, anch’esso redattore della «Ronda» scrisse che «è naturale quindi che la “parola” consapevole “La Ronda”, dichiarata al suo nascere, fu un “richiamo all’ordine”, riferito non tanto a un rigidismo esteriore e formale, quanto a esigenze interiori, contrapposte alle varie dissoluzioni romantiche» (G. RAVEGNANI, La Ronda, «Almanacco letterario Bompiani», 1960, p. 59). 181 [s.a.] Programma di lavoro, «L’Ordine Nuovo», a. I, n. 1, 1 maggio 1919, p. 2.

43 insensibilmente, la tradizione della nostra arte. E questo stimeremo essere moderni alla maniera italiana».182

Assestato su posizioni diametralmente opposte, il raffronto testuale rivela tuttavia un ideale rapporto dialogico in continua dialettica in cui le due realtà sembrano rispondersi puntualmente sulle rispettive posizioni intorno al medesimo tema. Da non trascurarsi, per le implicazioni che ne deriveranno e per l’eredità forte del primo decennio del secolo, la comune riflessione sul momento biografico durante il quale i vari gruppi redazionali si pongono a capo di significativi passaggi culturali propositivi e innovativi, cioè il periodo della «giovinezza» in cui il gruppo di «Energie Nove» ripone il proprio entusiasmo per

«portare una fresca onda di spiritualità nella gretta cultura d’oggi, suscitare movimenti nuovi d’idee, recare alla società, alla patria le aspirazioni e il pensiero nostro di giovani».183

Snodo centrale anche nelle linee programmatiche cardarelliane, la giovinezza è vissuta invece dai rondisti coma una leopardiana fucina di illusioni che fanno «credere chissà a che cosa», un periodo che acquisisce valore non nel momento in cui è vissuto ma nell’istante in cui ci si affranca da esso e si acquisisce la necessaria maturità per distaccarsi empaticamente dalle cose per vederne la reale essenza. L’atteggiamento rondesco d’altronde ponendosi come movimento antivociano e antilacerbiano, contro ogni fumisteria futurista non fa altro che cercare anche di sdoganarsi da tutta una mitografia del giovanilismo come potenzialità di un’azione valida, incisiva e innovativa. Alla luce della diversità degli esiti delle tre esperienze redazionali, il fatto che uno dei titoli proposti per la futura «Ronda» coincidesse lessicalmente con quelli delle altre due riviste notoriamente connotate da modus agendi e obiettivi differenti, risulta piuttosto eloquente sulla percezione di comuni punti chiave che il momento culturale, condiviso, del primo dopoguerra individuava come snodi necessari su cui agire.184 Per altro l’esigenza di

182 [V. CARDARELLI], Prologo in tre parti, cit., p. 5. 183 [s.a.] Rinnovamento, «Energie Nove», a. I, n. 1, 1-15 novembre 1918, p. 2. 184 L’esigenza di comuni linee di intervento tra la «Ronda» e le riviste gobettinane, pur su differenti piani d’azione, è sottolineata anche da Salinari: «In un certo senso rappresenta un «richiamo all’ordine» anche l’altra esperienza culturale e letteraria dominante nell’immediato dopoguerra: quella di Gobetti e delle sue riviste. Ma si tratta della ricerca di un «nuovo ordine» ispirato soprattutto da quell’appello alla ragione che mancava a «La Ronda» e da un atteggiamento democratico e impegnato, che non ha nulla a che vedere con i tratti conservatori e qualunquisti della rivista romana di Gobetti, nel primo numero di «Il Baretti» […]. Gobetti, dunque, rifiuta le cosiddette avanguardie del primo decennio del secolo, le avventure di «Leonardo» e «La Voce», la chiassosa presenza dannunziana, il pasticcio di arte e vita, le tendenze misticheggianti: ma, coerentemente, rifiuta anche il neoclassicismo proposto da «La Ronda» […] rifiuta anche il distacco aristocratico e l’esercizio formale dei rondisti» (C. SALINARI, «La Ronda» e «Il Baretti»: impegno e

44 innovazione si accordava su un principio che appare imprescindibile per le pur diverse prassi d’azione: il richiamo rondista ai maestri trova piena eco, infatti, nel richiamo gramsciano all’utilità dei classici:

«i classici del socialismo, compresi gli utopisti, traendo da essi quella luce che ancora possono dare […] e la cui lettura, insomma, rinfrescata oggi, possa costituire un prezioso esercizio di critica storica o teorica».185

Lessicalmente meno mediata forse, quella gramsciana «lettura rinfrescata» evoca senza dubbio, a nostro avviso, il più retorico, ma semanticamente equivalente, «classicismo metaforico e a doppio fondo» cardarelliano, che non era altro che «un modo nostro di leggere e rimettere in vita ciò che sembra morto».186 La netta distanza tra le due riviste converge quindi nella concezione etico-valoriale della tradizione, laddove l’insegnamento del passato si pone come fondamentale insegnamento per ogni «nuovo ordine».187

Tornando alle testimonianze epistolari, per ricostruire le connotazioni semantiche del titolo rondesco è utile incrociare la corrispondenza di Cardarelli e Bacchelli con una lettera inviata a Carlo Carrà, amico pittore anch’egli coinvolto nel progetto, al quale l’ideatore della «Ronda» scrisse il 1 agosto 1918:

«ti dico che si sta pensando di fare una rivista tra me, Bacchelli, Saffi, ed altri. Dovrebbe essere una rivista ben finanziata. Abbiamo grandi idee e, per conto mio, una seria voglia di lavorare. Nel caso spero che tu sarai dei nostri. Ti chiederemo dei buoi articoli sulla pittura moderna e passata. La nostra rivista dovrebbe essere più che altro una revisione di tutti i valori tradizionali, una specie di università bocconi, una accademia di uomini liberi. Si sta pensando a un titolo. Tu conosci le nostre idee e giacchè vedo che hai una certa disposizione a ben definire, tenta se puoi di proporci dal canto tuo il titolo che meglio credi. Pensavo a quella tua frase “Il principio italiano”, ma è troppo metaforica per servire al caso».188

disimpegno, in Letteratura Italiana. Novecento. I contemporanei. Gli scrittori e la cultura letteraria nella società italiana, a c. di G. Grana, Milano, Marzorati, 1982, vol. 5, p. 3906). 185 [s.a.] Programma di lavoro, cit., p. 2. 186 [V. CARDARELLI], Prologo in tre parti, cit., p. 6. 187 A proposito del valore ideologico di queste differenti esperienze, Salinari, in riferimento all’azione di Gobetti afferma che se questi si fosse dedicato maggiormente alla questione culturale «avrebbe postulato, certamente, anch’egli l’esigenza di una letteratura classica, governata dalla ragione, nutrita di cultura, nemica delle spontaneità, saldamente ancorata alla tradizione […] Insomma nell’impegno formale caratterizzante tanta parte della letteratura del ventennio, bisogna saper distinguere […] il filone rondesco da quello gobettiano: vale a dire il gioco formale sostanzialmente gratuito dalla difesa dei valori letterari come difesa dei valori morali e civili» (C. SALINARI, Preludio e fine del realismo in Italia, Napoli, Morano, 1961, pp. 269-270). 188 EPISTOLARIO II, p. 630.

45 Come si intuisce dalla lettera di Cardarelli a Bacchelli temporalmente successiva a questa, Carrà rispose proponendo un altro titolo, che, messo in relazione con le altre possibilità vagliate sino a quel momento, rivela la volontà di trovare un nome che evocasse la motivazione etica alla base del progetto unita all’atteggiamento di professionalità con cui si sarebbe presentata la rivista nel panorama contemporaneo:

«In quanto al titolo Carrà mi propone: L’Iniziativa; ci avevo pensato anch’io ma è sempre troppo impegnativo. Se lo intitolassimo Lo Studio che ne diresti?».189

Il principio italiano, paventato all’inizio da Cardarelli, voleva farsi carico probabilmente dell’idea di un primato nazionale nella direzione di una nuova proposta letteraria nel panorama europeo contemporaneo, intento di cui rimase un’eco nei richiami del Prologo cardarelliano all’Italia che

«sta per divenire un paese moderno […]. Ritardata la nostra modernità di più d’un mezzo secolo […] e rifatta l’Italia grettamente nazionalistica, e provinciale nelle arti, la nostra letteratura intraducibile e poco valida ad attestare della nostra universalità tra le nazioni contemporaneee, forse è giunto il momento di uscire e di farci intendere in questo contagioso crepuscolo della civiltà moderna europea».190

L’Iniziativa voleva proseguire probabilmente su questa linea di pensiero, presentando il gruppo redazionale, in quel panorama letterario che attendeva una valida proposta al disorientamento post bellico, in termini strutturati e programmaticamente ben chiari, con la responsabilità di un compito che, non essendo ancora giunto ad uno stadio elaborato di coscienza d’azione nell’estate del 1918, sembrava ancora «troppo impegnativo» a un gruppo che non aveva, almeno nelle intenzioni, velleità divulgative. Come ebbe a dire Bacchelli anni dopo infatti:

«Che cosa ci ripromettevamo è una questione più delicata: non ci ripromettevamo niente! Ciascuno ci portava le sue convinzioni, il suo temperamento e, siccome eravamo scrittori, ciascuno ci portava il suo stile di scrittore e di uomo».191

Sebbene le affermazioni di un Bacchelli ormai scrittore maturo siano certamente viziate dal distacco con cui si ricorda un’esperienza giovanile, tuttavia non dovevano essere molto lontane dal reale sentimento che li portò ad intraprendere questo progetto, se i propositi della rivista riecheggiano nel Prologo cardarelliano negli stessi termini, con la sola

189 Vedi lett. 140. 190 [V. CARDARELLI], Prologo in tre parti, cit., p. 6. 191 G. CASSIERI (a cura di), I Cinquant’anni della «Ronda», «L'Approdo Letterario», a. XV, n. 46, 1969, p. 59.

46 differenza di una maggiore formalizzazione: la «Ronda» viene presentata infatti come un’accolita di «amici di gioventù» che si raccolsero attorno a questa pubblicazione «senza strepito e senza illusioni, come l’adempimento di un dovere».192 Difatti, proprio al dovere di proporre una seria alternativa a «questa letteratura di parvenus che s’illudono di essere bravi scherzando col mestiere e giocano la loro fortuna sui dieci termini o modi non consueti»,193 si ispira probabilmente l’ipotesi del titolo Lo Studio, che evoca quell’aria di accademia, tanto criticata da De Robertis194 quanto necessaria ai rondisti per «ritrovare, in questo tempo, un simulacro di castità formale».195 L’intenzionale frequente ricorrenza al Prologo cardarelliano dimostra come nell’estate del 1918 linee guida e modalità d’azione iniziassero a manifestarsi in nuce, attraverso la scelta del titolo, nello scambio epistolare, per poi trovare più ampia formalizzazione nell’aprile dell’anno seguente in apertura della rivista. Tuttavia, ciò che risulta molto interessante per una insolita contestualizzazione critica della «Ronda» è il richiamo storiografico che Cardarelli propone a Bacchelli nella medesima lettera del 22 luglio 1918 (lett. 138):

«A Milano c’era una volta La compagnia brusca. Bisognerebbe trovare un titolo che esprimesse il nostro carattere, il nostro modo d’intendere la letteratura con un sottinteso all’amicizia che ci lega. Io vado facendo intanto molte lettere allo scopo di raccogliere le mie idee. Bisognerà pure fare della storia, cercare qualche appiglio nei movimenti letterari meno conosciuti; per esempio la scapigliatura milanese può essere tutta roba da ridere in un certo senso, eppure credi che dal nostro punto di vista non ci sia movimento più interessante di quello che si svolse in Milano dal tempo di Goethe e di Sthendal a quella bruttissima e monca epoca di Rovani, Arrighi, Tarchetti etc. Come si capisce la forza di Carducci pensando a quegli uomini! L’Italia allora si fece pedante, filologica, professorale e ne nacquero i frutti che conosciamo. Intanto la scapigliatura continuava con Oriani, Panzini e altra specie di uomini incolti e illetterati. Che posizione è la nostra di fronte a tutto questo? Io credo di avere delle idee. Non sarebbe male che si esordisse con un buon abbozzo di storia. È certo che le nostre due colonne sono e rimarranno: Manzoni e Leopardi».196

Il riferimento alla Scapigliatura risulta quanto mai anacronistico e certamente curioso per l’ambiente rondista, eppure Cardarelli ne coglie un aspetto molto significativo per la relazione che ha con «La Ronda». La Compagnia brusca infatti è il primo capitolo della

192 [V. CARDARELLI], Prologo in tre parti, cit., p. 4. 193 Ivi, p. 5. 194 Scrivendo al Caretti, infatti, De Robertis aveva affermato che «la Ronda, in un tempo inquietissimo, fece solo dell’accademia» (L. CARETTI, Codicillo rondesco, cit., p. 346). 195 [V. CARDARELLI], Prologo in tre parti, cit., p. 5. 196 Vedi lett.140.

47 Scapigliatura e il 6 febbraio, romanzo di Cletto Arrighi che narrava la storia di un particolare gruppo di amici nella Milano di metà Ottocento. Al confronto testuale, la descrizione che dà Arrighi di questa compagnia appare suggestivamente simile alla compagine rondista:

«c’era a Milano una certa compagnia di giovani tra i 20 e i 30 anni, la quale nel quartiere dove teneva la sua principal residenza era chiamata – quasi per antonomasia – compagnia brusca. […] Erano sette – numero mistico, numero cabalistico! […] Questa piccola società non aveva uno scopo apparente fuori di quello di riunirsi a fumare ed a ciarlare. L’amicizia e una certa conformità di carattere, di posizione e di gusti pareva legasse fra loro i sette membri di questa misteriosa compagnia».197

La corrispondenza dell’età anagrafica dei componenti (quei trent’anni in cui «la vita è come un gran vento che si va calmando»), del numero degli amici (sette, come «i sette savi» della Ronda») e della mancanza di uno «scopo apparente» delle riunioni in cui ci si incontrava solo per «ciarlare» (che sia la fonte cardarelliana dell’asserzione programmatica «questa rivista dovrebbe essere un luogo di ritrovo […]. Si tratta per noi che fondiamo questa rivista, di vedere fino a qual punto le idee che siamo venuti coltivando e discutendo per anni nelle nostre conversazioni possono essere condivise dal pubblico al quale ci rivolgiamo»?) fanno pensare che Cardarelli abbia realmente riscontrato in quell’esperienza tardo ottocentesca gli elementi chiave del movimento rondista che, in prima istanza, era percepito dal suo ideatore come momento di condivisione di capacità e conoscenze di singole individualità formatesi nella stessa epoca generazionale e temperie culturale.198 Il richiamo all’esperienza scapigliata sembra per altro sorprendentemente segnalata, ad un occhio critico-filologico, in un particolare luogo testuale che presenta una suggestiva specularità sintattico-lessicale della fraseologia cardarelliana rispetto a quella dell’Arrighi: se infatti nella Compagnia brusca «l’amicizia e una certa conformità di carattere, di posizione e di gusti pareva legasse fra loro i sette membri di questa misteriosa compagnia»,199 nella «Ronda» «una spontanea affinità di gusti, di coltura, di educazione doveva condurli naturalmente ad accogliersi intorno a

197 C. ARRIGHI, La Scapigliatura e il 6 febbraio, Milano, Redaelli, 1862, pp. 25-26. 198 Alla luce di questa lettura assume allora una valenza peculiare la proposta che fece Cecchi nel 1913, per il titolo del primo progetto redazionale, scrivendo a Bacchelli: «Intanto non mi persuade ancora del tutto il titolo che Cardarelli ha pensato: “La pagina”: m’ha un po’ di eremitaggio francese. Non so: “La buona compagnia”? Ma questo è troppo strafottente. Ci pensi su» (lettera inedita di Emilio Cecchi a Riccardo Bacchelli del 1 novembre 1913, Fondo Bacchelli, busta 9, n. 1). Come vedremo più avanti la testimonianza offre un ulteriore elemento di continuità tra il due progetti redazionali cardarelliani prima e dopo la guerra. 199 C. ARRIGHI, La Scapigliatura e il 6 febbraio, cit., p. 25.

48 questa pubblicazione».200 Evidentemente Cardarelli mette da parte gli esiti letterari di questa esperienza per valorizzare quello che sarà uno dei temi-mito della sua produzione: l’amicizia. La scrittura privata infatti ci dà modo di revisionare uno dei falsi miti più contestati dell’ambiente rondesco, cioè il reale legame amicale tra quelli che saranno definiti i «sette nemici» della «Ronda», a proposito del quale Montano stesso dirà che se

«molti dal di fuori la credevano una consorteria, una società di mutuo incensamento […] la realtà era ben diversa: le congratulazioni vi correvano scarsissime. Poca, o nessuna, collaborazione redazionale».201

Sebbene la scelta finale del titolo202 e la nota difficoltà dei meccanismi redazionali, dovuta spesso alla mancanza di un lavoro collegiale e condiviso, sconfessino gli intenti cardarelliani di riunire una reale accolita di amici, il contesto epistolare fa riflettere invece sul valore etico attribuito ai legami amicali come base strutturale per intraprendere un progetto letterario, lungi da esigenze mistificatorie che ne giustificassero la nascita sotto la buona stella della concordia. La necessità dichiarata da Cardarelli di «trovare un titolo che esprimesse il nostro carattere, il nostro modo d’intendere la letteratura con un sottinteso all’amicizia che ci lega»203 toglie il velo di un’eventuale fictio letteraria a quella che Giuseppe Cassieri definì la «pietosa bugia»204 del Prologo cardarelliano alla «Ronda», con la quale avrebbe voluto ostentare la «consanguineità degli elementi che la compongono. […] Amici di gioventù se non d’infanzia».205 Quel peculiare ruolo culturale che vide il poeta impegnato in frequenti tentativi di allestimento di fascicoli editoriali o di nuove riviste critico-letterarie fu sempre legato al desiderio di collaborazione con gli amici più intimi e con le «persone fra le più

200 [V. CARDARELLI], Prologo in tre parti, cit., p. 4. 201 L. MONTANO, Primo dopo guerra romano (1919 e oltre), «Nuova Antologia», a. LXXXIX, fasc. 1846, ottobre 1954, p. 179. 202 Il titolo definitivo verrà comunicato a Bacchelli da Aurelio Saffi nel gennaio 1919: «Caro Bacchelli, se non ti ho risposto subito tu immaginerai che in questi giorni non si è perduto il tempo. Abbiamo scovato varie cose decisive: un uomo praticissimo di tipografie, pubblicità ecc., un amministratore pratico, e un titolo sul quale non credo che avrai niente da ridire: La Ronda polemiche e fantasie letterarie» (lettera inedita di Aurelio Saffi a Riccardo Bacchelli del 21 gennaio 1919, Fondo Bacchelli, busta 15, fasc. 28, n. 5). Il titolo perde le connotazioni che avrebbero dovuto evocare i legami tra i vari redattori per rivolgersi soltanto all’impostazione critico letteraria della rivista. Nella denominazione definitiva il sottotitolo Polemiche e fantasie letterarie sarà abolito per diventare il titolo sotto cui Cardarelli riunirà il gruppo delle sue prose pubblicate sul primo numero della «Ronda» (a. I, n.1, p. 45). 203 Vedi lett. 140. 204 G. CASSIERI, «La Ronda» 1919-192, Napoli, Liguori, 2001, p. 7. 205 [V. CARDARELLI], Prologo in tre parti, cit., p. 4.

49 letterate».206 Le prime avvisaglie di questo modus operandi trovano terreno fertile d’altronde già nel primo progetto di una rivista di ispirazione cardarelliana, risalente all’ottobre 1913, di cui questo epistolario offre la primissima testimonianza:

«Caro Bacchelli, mi sono svegliato stamane con una idea. Fondare una rivista. Allora ho preso il tram e via da Cecchi. Stasera mi pare d’aver rimesso a posto il campanile di Pisa. Dunque senti. Si tratta d’una rivista critico letteraria, di rigorosa distinzione. Volevo che Cecchi fosse direttore. Abbiamo finito per tenerci alla forma del comitato di redazione: il quale dovrebbe essere composto di me di Cecchi, di te, di Boine».207

Il nucleo redazionale originario su cui Cardarelli contava nel 1913 era esattamente lo stesso che avrebbe fondato «La Ronda» nel 1919, con l’unica eccezione di Boine, vociano, con il quale Cardarelli chiuse definitivamente i rapporti nel 1917.208 Nella fase di progettazione della «Ronda» quindi i principali interlocutori, oltre a Bacchelli, rimanevano proprio gli amici più saldi della giovinezza:

«In quanto alla rivista ho già pronto il preventivo delle spese da presentare a Parodi alla fine di settembre. Ho scritto a Baldini, ho parlato con Cecchi. Tutti entusiasti».209

Il piano biografico sembra quindi giustificare la perentoria e apparentemente falsata asserzione cardarelliana secondo la quale

«chi voglia conoscere le origini della “Ronda” deve tener conto ch’essa fu, prima d’ogni altra cosa, il frutto dell’amicizia o, se si vuole, di quel mio non troppo comune sentimento di solidarietà verso la mia generazione e il mio tempo […]. Questo sentimento è alla radice di tutta la mia opera scritta e non scritta. Mi sosteneva a trent’anni, quando la “Ronda” non era che un sogno, una fisima della mia giovinezza, e mi sostiene tuttora, nonostante le esperienze fatte e le amare note che posso aver consegnate in questo libro sul naturale destino delle amicizie».210

Il significato intrinseco della consorteria rondesca va declinato quindi secondo le innumerevoli valenze cardarelliane relative al tema-mito dell’amicizia, da intendersi, più che come tensione emotiva, come un sentimento intessuto su un’empatia poetica e culturale che lo portava a voler condividere progetti e iniziative con gli amici-sodali di

206 Vedi lett. 136. 207 Vedi lett. 8. 208 Vedi lett. 119. 209 Vedi lett. 141. 210 OPERE, p. 278.

50 un’epoca ben precisa. In tal senso quindi i redattori della «Ronda», differenti per attitudini, interessi e potenzialità

«si trovano uniti in un unico ideale di cultura e di arte, nonostante le diversità evidenti e le personalità fortemente individualizzate e contrastanti. La Ronda perciò, programmaticamente, non vuole essere altro che un “luogo di ritrovo”, per permettere ai redattori di lavorare su sé stessi, senza velleità di costituire una scuola (o cenacolo o «società») e senza inutili e vane polemiche».211

La definizione di Di Biase della redazione rondista come «scuola o cenacolo» sarà poi problematizzata e contestata in tempi più recenti dal Valli che preferì descrivere il movimento come una «spontanea unione di spiriti indipedenti»,212 definizione che riteniamo più aderente alla reale tipologia di aggregazione attorno ad un’idea comune come la intesero realmente Cardarelli nel Prologo e Bacchelli nelle sue rievocazioni memoriali («Ciascuno ci portava le sue convinzioni, il suo temperamento e, siccome eravamo scrittori, ciascuno ci portava il suo stile di scrittore e di uomo»213). Le tanto discusse differenze tra i sette redattori (diversità caratteriali, di interessi e modus scribendi) furono in realtà estremamente funzionali ad uno dei principali scopi e connotazioni della rivista, lo specialismo. Il gruppo rondista infatti non fu tale per omogeneità, quanto piuttosto per diversificazione di interessi e rispettive individualità, sineddoticamente unite nella condivisione di un comune sentire culturale e ideologico. In tal senso nel 1913

«i futuri protagonisti sembrano già riconoscersi, sondano le reciproche disponibilità ma non si incontrano sul piano delle scelte conclusive. Il progetto dovrà attendere un profondo mutamento della temperie culturale per potersi realizzare».214

«La Ronda» del 1919 infatti riprende molte delle linee guida del progetto originario – fallito al tempo a causa della mancanza di fondi – portando a maturazione alcuni aspetti che diventeranno il modus operandi e la marca di stile di una generazione poetica.215 Il

211 C. DI BIASE, La Ronda e l’impegno, cit., p. 128. 212 D. VALLI, La Ronda e i rondisti, cit., p. 103. 213 G. CASSIERI (a cura di), I Cinquant’anni della «Ronda», cit., p. 59. 214 G. LUTI, Firenze corpo 8, cit., p. 143. 215 L’unico studioso che si sia soffermato ampiamente sul valore del primo progetto redazionale come fucina ante litteram di forme e contenuti rondeschi è Marino Biondi che scrisse molto significativamente a tal proposito come « in questa premonizione di una rivista da farsi ci sono tratti che anticipano quella che sarà la Ronda, come la creatività o almeno l’intenzione di creatività, da riversarsi in una entità compatta, fusa, estremamente personalizzata quanto a gusti e disgusti […]. La Ronda punterà alla struttura solida, alla architettura dei classici, aborrendo gli equivoci scontati dalle giovani generazioni dell’anteguerra nello

51 raffronto delle testimonianze epistolari permette di enucleare numerosi punti di contatto tra le due iniziative che dimostrano come nella storia del percorso culturale cardarelliano fosse insita l’origine e la giustificazione di meccanismi redazionali e aspetti programmatici propri della stagione rondesca. L’idea «d’una rivista critico letteraria, di rigorosa distinzione»,216 che avrebbe dovuto rappresentare «nel mondo della cultura e dell’arte italiana cosa nuova e seria»,217 era già negli animi giovanili del 1913 che pensavano ad una dimensione redazionale che avesse «carattere […] affermativo (blocco di scritti, di cose scritte) non polemico» riservandosi tuttavia la possibilità «di giudicare, in un’appendice di stelloncini, certi capponi di nostra conoscenza ogni qual volta che se ne presenterà l’occasione. Manterremo però in tutto un carattere di solitudine di disinteresse pratico (sul serio)».218 Ferma restando la necessità di un’impostazione critico-letteraria, il dopoguerra portava con sé l’empito di una volontà di affermazione e di posizionamento letterario che rendeva programmatiche le velate, ma non troppo, intenzioni polemiche del progetto originario: la rivista del 1919 sarebbe stata «critica e polemica», articolata in «pagine liriche, saggi critici, magari spunti d’osservazione storica e politica una ben nudrita e competente bibliografia».219 Immutato rimase il bersaglio polemico che nell’ante guerra dava voce ad un messaggio «antivociano e antilacerbiano» tanto determinato da «sentire tutto il pollaio fiorentino sotto la suola delle […] scarpe»,220 sebbene nel 1919 l’atteggiamento antivociano fosse ormai solo un a priori ideologico, mondato dell’acceso livore contro un entourage e un movimento che aveva ormai esautorato il suo ruolo e la sua influenza culturale. Fortemente mutati infatti sono i rapporti con il binomio Papini-Prezzolini – l’uno ormai lontano da posizioni futuristico-filosofiche, l’altro deluso dal fallimentare tentativo di affermazione di un’utilità sociale della letteratura – al punto che, se nel 1913 si doveva certamente evitare di «scendere a trattare con certa gente»,221 sei anni dopo Cardarelli invitava ripetutamente

smarrimento delle crisi individuali, nella confusione mentale» (M. BIONDI, «La Ronda» e il rondismo, cit., p. 654). 216 Vedi lett. 136. 217 Vedi lett. 8. 218 Ibid. 219 Vedi lett. 147. 220 Vedi lett. 8. 221 Ibid.

52 Papini a scrivere sulla «Ronda»222 e Prezzolini ne acquisiva la direzione amministrativa salvando per altro nel 1920 la gestione della rivista.223 Tuttavia linee guida, obiettivi e bersagli polemici del primo progetto redazionale rimasero formalizzati solo nelle missive del 1913 poiché Cardarelli, per inesperienza e troppo orgoglio giovanile non ritenne necessario, al tempo, scrivere un manifesto programmatico224 i cui tratti principali anticipano chiaramente i punti fondanti del futuro progetto rondesco. Si legge infatti in una lettera a Boine del 19 ottobre 1913:

«Che cosa sia questa rivista, quali impulsi si proponga di secondare, che cosa voglia, non con atteggiamenti polemici, bensì affermativi e di spietato giudizio, significare in mezzo agli ambienti culturali e letterari del momento, non è cosa ch’io vi possa chiarire su due piedi. Cercate d’indovinare. Immaginate il massimo del rigore e della spregiudicatezza commisti; e una profonda fiducia lirica in tutto, una seria fede nella grandezza, un inquieto bisogno di stile, una rigorosa passività tranquilla davanti ai nemici che, per avventura, ci accadesse di procurarci. Noi abbiamo, un po’ tutti, più o meno, un passato di esperienze che cercheremo di porre a frutto. Si tratterà appunto di lavorare in un’atmosfera di riflessione di esitazioni – di virilità. Tutto ciò non ci potrà impedire naturalmente di essere giovani. Insomma, io voi Cecchi qualcun altro, lavorando potremmo fare oggi in Italia qualcosa di assolutamente nuovo e non privo di necessità storica».225

Rigore, afflato lirico e bisogno di stile diventano le parole chiave del Prologo in tre parti del 1919 tracciando linguisticamente un ponte ideale tra le due esperienze pensate, evidentemente, all’insegna di una continuità di valori culturali, avvertiti nel ’13 e consolidati nella «Ronda». Tuttavia le potenzialità dei due progetti sono costruite su aspettative ed esperienze biograficamente opposte: laddove l’idea originaria ambiva ad agire in «un’atmosfera [….] di virilità» senza tuttavia abiurare al loro «essere giovani», nel 1919 sarà proprio il bisogno di elaborare le fallaci esperienze giovanili in favore di

222 Come ricordava anche Luti commentando le lettere scritte da Cardarelli a Papini nel periodo di esordio della «Ronda», il poeta «insisteva per una necessaria presenza del gruppo fiorentino (Papini e Soffici) tra i collaboratori del nuovo foglio letterario che avrebbe dovuto raccogliere tutto quel che di positivo produceva il mondo letterario italiano del dopoguerra» (G. LUTI, Firenze corpo 8, cit., p. 147). Le lettere scritte a Papini per invitalo a collaborare alla «Ronda» si leggono ora in EPISTOLARIO II, lett. 517, 520. 223 Vedi lett. 161. 224 Il 18 novembre 1913 infatti scriveva a Bacchelli: «Qui tutti vogliono sapere il programma l’indirizzo etc. che programma e che indirizzo! Non basta il semplice accordo (ma deciso) dei nostri quattro o cinque nomi a sostituire tutto ciò? E come può bastare per altri dovrebbe bastare anche per noi. Si tratta di crearci una condizione permanente di lavoro e il pungolo d’una responsabilità» (vedi lett. 11). Diverso atteggiamento ebbe invece nel 1919 quando ritenne fondamentale la stesura di un programma e se ne volle assumere il compito in prima persona (vedi lett. 137), trasformando intenzioni e obiettivi discussi fino ad allora per via epistolare nelle linee programmatiche del Prologo rondesco. 225 EPISTOLARIO I, pp. 325-326.

53 un’acquisita maturità a giustificare toni, posizioni e affermazioni dei sette redattori. Intraprendendo un progetto redazionale di impostazione critico-letteraria, i giovani scrittori esordienti del 1913, sulla strada di una personale ricerca poetico-letteraria nei primi anni del secondo decennio del secolo, volevano «appena finire di vivere la […] gioventù»,226 trovando probabilmente nella rivista un’occasione di affermazione delle proprie individualità creative in una società letteraria che aveva appena perso Pascoli e che salutava il D’Annunzio delle Laudi; il progetto rondesco invece ritrova il medesimo gruppo di sodali ad aver ormai superato la cesura temporale della sperimentazione giovanile e ansioso di accogliere le esigenze di una generazione consapevole delle proprie potenzialità letterarie. Celebre è infatti l’apostrofe alla giovinezza, dal sapore quasi manzoniano, che apre il Prologo del 1919:

«A trent’anni la vita è come un vento che si va calmando. Tante partenze, mutamenti, abbandoni, adii ai luoghi che ci piacquero, alle donne penetranti che ci sorrisero brevemente, alle idee, alle amicizie, ai grandi libri ai quali pure dobbiamo se abbiamo imparato qualche cosa, coincidono finalmente col fatto che noi non siamo più giovani. […] O animosa e benedetta gioventù, addio! Vogliamo affrettarci a renderti gli onori che ti si devono e riconoscere che tu sei passata, dal momento che non potremmo prolungarti neppure d’un minuto senza sembrare dei ragazzi invecchiati. Altro tempo, altre condizioni, allorchè tu ci rapivi nelle tue lusinghe operose! Essere giovani significava costituire una promessa, una simpatica e audace promessa […]. Ora siamo fatti grandi. La realtà è tutt’altra».227

Quella che poteva sembrare una fictio letteraria cardarelliana, per avvalorare l’importanza di un movimento non giovanilistico, trova in realtà le sue radici nelle confessioni epistola, che mostrano quanto la necessità di sdoganarsi proprio da una forma giovanile di letteratura fosse legata alla responsabilità di portare avanti un progetto culturale.

Le stagioni biografiche relative ai due progetti redazionali mettono in luce infatti un equilibrio di forze tra i due corrispondenti, all’interno della «Ronda», carico di sfumature rispetto al ruolo cardarelliano di animatore della rivista comunemente noto. Promotore di entrambi i progetti, Cardarelli si volle tenere sempre fuori dal ruolo dirigenziale, accordato volentieri nel 1913 a Cecchi228 e nel 1919 a Bacchelli,229 in una dialettica alternanza tra

226 Ivi, p. 338 227 [V. CARDARELLI], Prologo in tre parti, cit., p. 3. 228 Spiegando ad Angiolo Orvieto la struttura della rivista, Cardarelli scrisse nel novembre del 1913: «Io non sarò né il direttore né nulla (chè sarebbe troppo pomposo, sebbene i miei amici vorrebbero proprio farmi

54 orgoglio demiurgico e rifiuto di una posizione che avrebbe comportato attitudini relazionali e amministrative certamente lontane dal suo modo di essere. Si optò in entrambi i casi per la formula del «comitato di redazione» poiché

«la collegialità di intenti e di direzione si uniformava ad un ideale di umanesimo collettivo, di armoniosa accademia, o di unanime consiglio di amministrazione, che non volesse esprimere un presidente, scontroso e diffidente nei confronti delle responsabilità e dei poteri individualmente determinanti»230

In ogni caso Cardarelli rivendicò comunque la paternità e la proprietà intellettuale di un progetto legato imprescindibilmente alla sua persona: nel 1913 infatti presagiva nella rivista un’«opera in un certo senso storica e polemica»231 che egli si accingeva a compiere e che considerava il risultato di una sua «emanazione»,232 come confessava privatamente all’amico più fidato, al quale nel 1919 tornò nuovamente a chiedere: «dammi modo di fare questa rivista come la penso io e fidati del mio amoroso criterio».233 Se non v’è dubbio che la sostanza stilistica e critica della rivista nasca da un’esigenza letteraria e culturale cardarelliana, tuttavia alcune affermazioni presenti nell’epistolario documentano un progressivo depauperamento dell’entusiasmo del poeta, esaurito quasi del tutto già nella fase iniziale, fino al dicembre 1919, quando chiese a Bacchelli: «Io tra l’altro potrei anche avere il diritto di chiedere che tu prendessi in mano la Ronda per qualche mese».234 È nota la posizione di forza che ricoprì Bacchelli all’interno della redazione, il collaboratore più costante e soprattutto più prolifico, a proposito del quale Montano ricorda che fu «l’unico scrittore di getto ricco e abbondante tra noi […]. Più d’un numero si mise in moto caricato sulle sue solide spalle»235, mentre Cardarelli «contribuì, in una forma o nell’altra, un numero ragguardevole di pagine, ma aveva i suoi lunghi silenzi e non era di per sé particolarmente copioso».236 Una particolare considerazione del ruolo effettivamente minoritario del poeta all’interno della rivista, contrariamente a quanto possa far pensare il

figurare come direttore); sarò un semplice segretario di redazione; lettore di manoscritti e, se è il caso, cestinatore» (EPISTOLARIO I, p. 335). 229 Nell’agosto 1918 Cardarelli scriveva a Bacchelli:«Che ne dici se se ne desse a te la direzione? Ci vuole un nome nella copertina, e poiché il mio non potrebbe essere per molte ragioni credo che non rimanga che sobbarcarti te a questa ingrata funzione» (vedi lett. 140). 230 M. BIONDI, «La Ronda» e il rondismo, cit., p. 660. 231 Vedi lett. 11. 232 Vedi lett. 8. 233 Vedi lett. 146. 234 Vedi lett. 163. 235 L. MONTANO, Primo dopo guerra romano (1919 e oltre), cit., p. 180. 236 Ibid.

55 canonico binomio storiografico Cardarelli-«Ronda», si trova nella riflessione di Giorgio Luti sulle riviste del primo novecento in occasione della quale lo studioso, dopo aver constatato l’«esistenza di un comune denominatore che trascende i singoli componenti del gruppo», mette in evidenza come

«Cardarelli anche se è potuto apparire come il teorico e l’animatore del movimento rondiano […] non ha grandi responsabilità. Appare piuttosto come un sintomo o un prodotto, che come l’artefice primo o l’animatore di una tendenza destinata a connotare gli anni tra la fine della guerra e la nascita del fascismo».237

Già nel nel marzo 1920 infatti Cardarelli confesserà all’amico che

«Papini dice apertamente che chi fa la rivista siamo io e te, anzi che per il momento la Ronda è diventata la rivista di Bacchelli, cosa che non mi dispiace».238

Tuttavia l’atteggiamento cardarelliano nei confronti della rivista divenne di sempre maggior distacco e sebbene continuasse ad occuparsi della veste editoriale degli articoli, valutandone contenuti, stile e modalità di pubblicazione, i problemi economici e di salute oltre ad una maggiore concentrazione sui suoi lavori personali (sono gli anni dell’elaborazione di Favole e memorie239) lo distolsero in breve tempo dal suo ruolo di capo redattore, posizione nominale alla quale non rispondeva già più una costante pratica redazionale. Nel maggio 1920 infatti scriverà perentoriamente a Bacchelli che «quanto più la Ronda avrà meno bisogno di me tanto più io mi sentirò tranquillo».240 Allontanatosi da Roma per problemi di salute che lo oberavano nel corpo e nell’animo, Cardarelli tornò a dare sue notizie soltanto nell’ottobre 1921, anno in cui inviò a Bacchelli soltanto due missive in merito al suo lavoro personale per il Calepino dantesco, con il quale avrebbe onorato il seicentenario della morte di Dante sulle pagine de «La Ronda». Nella seconda delle due lettere di quell’anno – nelle quali si percepisce per altro la sua concentrazione sul lavoro dantesco a discapito di una visione più generale delle esigenze della rivista, vissuta forse più come un veicolo editoriale che come un progetto più ampio rispondente a una linea editoriale – Cardarelli ricordava all’amico che

237 G. LUTI, Firenze corpo 8, cit., p. 134. 238 Vedi lett. 164. 239 V. CARDARELLI, Favole e Memorie, Milano, «Bottega di Poesia», 1925. 240 Vedi lett. 165.

56 «tu sei il braccio secolare de La Ronda ed io (scusa la mia immodestia in omaggio alla poco gloriosa funzione che m’attribuisco) l’inquisitore. E a me si convengono le distinzioni intransigenti e sottili, a te le operazioni sollecite e spicciative».241

Incrociando le testimonianze epistolari di quel periodo si apprende che Bacchelli, che ben conosceva gli animi irrequieti e volubili del poeta, accondiscendeva al distacco che Cardarelli stava vivendo dalla realtà rondesca, difficoltà per altro vissuta in maniera intima e personale lungi dall’esser legata a motivi redazionali; nel giugno del 1921 infatti Bacchelli aveva già scritto a Korach che

«siccome poi Cardarelli è stanco di star fermo e ha bisogno di lasciar Roma dove non fa più altro che rodersi, la direzione verrà assunta da Saffi con pieni poteri. Questo potrà far piacere a Parodi e forse darà dei buoni risultati. Cardarelli ritiene finito il suo compito di fondatore, e ha ragione; ritiene di non essere adatto a quello più propriamente di direttore, e non ha torto. Resterà il suo nome sulla copertina per non fare rumore inutile, ma egli si limiterà a fare il collaboratore (serbando l’attuale retribuzione) e credo che così potrà lavorare di più per conto suo dando al pubblico anzi l’impressione di essere più vicino che mai alla rivista».242

Si apprende quindi come la posizione di Cardarelli, ormai esautorato della propria autorità di fondatore, prima ancora che di direttore, inviso anche al finanziatore Parodi per la sua indole incostante e inaffidabile, godesse in realtà della protezione dell’amico, ormai punto di riferimento centrale per la rivista, il quale aveva tutte le intenzioni di non allontanarlo dall’entourage rondesco pur limitandone le azioni dannose per una redazione che aveva già iniziato a vacillare sotto i colpi di politiche editoriali da rivedersi. Presa coscienza di questa sua scomoda posizione infatti Cardarelli scriverà all’amico:

«In quanto all’andarmene io dalla Ronda o al restare non s’è sentito il bisogno finora di esigere da me una decisione e credo che non cascherà il mondo se tardo ancora a prenderla in un mese o due. Una cosa è certa: che io sono forse più di tutti preoccupato e stanco di questa mia deplorevole situazione, che non penso di protrarla più molto […]. Ma non temo la tua giusta severità e credo che in fondo anche tu, malgrado che io mi esprima sempre male e abbia ben poche ragioni da far valere, riconosca che sarebbe dare alla Ronda un valore eccessivo insistere troppo nel torto che io possa avere avuto ad essermene in questi ultimi tempi disinteressato, quando questo non voglia semplicemente dire che ho mangiato il pane a ufo».243

241 Vedi lett. 179. 242 R. BACCHELLI, Bacchelli-Cardarelli-Korach, cit., p. 84. 243 Vedi lett. 180.

57 Consapevole di questo auto-esautoramento da una realtà di cui era stato si l’ideatore ma dalla quale si era distaccato forse proprio nel momento in cui sentiva di non poterla più gestire come sua creazione, ne analizza la parabola biografica nelle intenzioni e negli esiti, lasciando un documento epistolare dal forte valore documentario per la vita della rivista, oltre che per la posizione predominante che era venuto ad assumere Bacchelli nell’economia decisionale della redazione:

«Spero che questo periodo di smarrimento passi presto e che almeno la gaiezza torni a regnare tra di noi. Voglio dire tra noi della Ronda. Se poi si tratta di uccidere la rivista, facciamolo presto senza lamentele. […] Invece sono costretto ancora una volta a dirmi che la nostra amicizia è praticamente finita, e a considerare qualunque speranza in contrario come una perniciosa illusione. In realtà credo che avremmo tutti da guadagnare a non vederci più e a rompere l’uno con l’altro le antiche relazioni. Noi siamo stati prudenti quando si doveva e oggi troppi equivoci e troppe cose e persone estranee si sono infiltrate in mezzo a noi. Triste miscela di volontà buona e cattiva, di fedeltà e d’infedeltà, di forze operose e d’oziose seduzioni che ci hanno finalmente condotto al punto da non più ricondurci né capire. E, come accade, sono i pesi morti che mandano a fondo le navi, sono i pagliacci e i funamboli che colle loro prodigiose attrazioni distolgono l’uomo serio dal suo modesto dovere. […] Per tornare alla Ronda, se tu non sei troppo urtato da queste chiacchiere che non riguardano te in nessun modo e so bene chi me le inspira, desidererei che tu mi dicessi se proprio sei disposto a finirla e se in tal caso io debba rimanere da un momento all’altro in mezzo alla strada. Perché a questo mi pare che stiamo giungendo, se non ci affrettiamo a venire ad una decisione seria. Io ho dato poco alla Ronda ma ne sono ancora il direttore. E io credo che implichi qualche obbligo giuridico da parte della Ronda verso di me, per non parlare di obblighi morali».244

Con una ciclicità semantica molto marcata, il tema dell’amicizia torna a sottolineare il suo valore intrinseco con l’esperienza rondesca, a riprova della funzionalità che i legami personali avevano per Cardarelli nell’economia delle sue azioni culturali: fondata su un

244 Vedi lett. 190. Fu proprio l’esito dell’esperienza rondesca probabilmente a far riecheggiare queste parole nelle affermazioni di apertura di Indiscrezioni sul mio destino: «se mi sono tanto impegnato con la letteratura, bisogna dire proprio che alle vocazioni non si comanda. Ma certo, fra le molte disgrazie che possono capitare a un uomo e a un artista, quella di esercitare il proprio mestiere con disinteresse è la più grave e irreparabile. Giacchè nessuno vorrà credere che un tale uomo possa esistere e tutti saranno propensi a sospettare in lui mefistofeliche ambizioni. […] Costui non potrà avere che pochi amici […] e anche qui pochi amici che gli sarà dato incontrare, appunto perché pochi, saranno amici preziosi, facili a stancarsi, facili a porre condizioni e limiti alla loro amicizia […]. Presto verrà il tempo che fra lui e questi tali amici non ci sarà più nulla da fare, né da dire; né sussisterà altro impegno, se non quello, sottinteso e reciproco, di scriversi un bel necrologio» (OPERE, p. 280). Il passo rievoca alcuni momenti critici delle due esperienze redazionali del poeta, nel 1913 e nel 1919, soprattutto a proposito delle cattive dicerie sulle mere intenzioni economiche che avrebbero mosso Cardarelli a fondare delle riviste, oltre a formalizzare quanto scrisse a Bacchelli, nella lettera appena citata, a proposito delle amicizie.

58 nucleo storico di amici e sodali, «La Ronda col ’22 perdeva di vigore ed andava morendo anche per la mancanza di intesa del primitivo gruppo di scrittori»,245 che vide la sua coesione venarsi non tanto sul piano personale, che litigi e scontri ve n’erano sempre stati, quanto sul piano degli obiettivi, dei ruoli e di un modus operandi nel panorama letterario che avrebbe assunto uno status quo ben connotato. Lo stesso Montano, che fu il più severo riguardo la reale situazione di mancata collegialità che si aveva nella redazione, riconobbe che «vi era tra quei primi, pur senza nessuna intesa, a dispetto anzi della diversità di temperamenti e nature e anche malgrado i contrasti, una sorta di concertato spontaneo, essenziale al carattere della rivista, al quale i sopraggiunti, per eccellenti che fossero, non potevano supplire».246

Cardarelli non era riuscito a seguire la naturale evoluzione della «Ronda», di cui era stato soltanto il motore creativo poiché, afferma Luti,

«al Cardarelli rondiano mancò sempre il senso della «consorteria» e del movimento organizzato. […] Cardarelli fu più un pervicace utilizzatore a fini propri del movimento rondiano che un suscitatore di rapporti e di stimoli all’interno di una prospettiva culturale di largo respiro. Emilio Cecchi aveva ragione quando affermava che l’unico vero promotore della «Ronda» era stato Cardarelli e che senza di lui la rivista non si sarebbe nemmeno potuta immaginare; ma si dovrà pur riconoscere che la vita e l’attività della rivista trascesero il promotore, non ne furono condizionate e non lo condizionarono. Cardarelli resta isolato, all’interno della rivista romana, come un nume tutelare volutamente sistematosi su di un piedistallo che lo preserva dall’inclemenza dei tempi».247

La suggestiva immagine del poeta nume tutelare, che si fa da parte per sdoganare la rivista da un legame che fa fatica a mantenere, diventa una reale condizione biografica nella confessione privata del poeta:

«La Ronda pare in via di trasformazione. Vogliate per qualche tempo occuparvene voialtri rinunciando ai miei consigli, se non colla mia collaborazione. Forse questa mia forzata astensione potrebbe essere provvidenziale».248

Il 1923 segna il silenzio epistolare sulle sorti della «Ronda», sia nelle missive cardarelliane sia in quelle che inviò Bacchelli a Korach. La rivista diede l’ultimo segnale

245 R. SCRIVANO, «La Ronda» e la cultura del Novecento, cit., p. 22. 246 L. MONTANO, Primo dopo guerra romano (1919 e oltre), cit., p. 180. 247 G. LUTI, Firenze corpo 8, cit., p. 141. 248 Vedi lett. 192.

59 di attività con il numero straordinario del dicembre 1923 – complici, principalmente, anche motivazioni economiche e una coordinazione strutturata assente e dannosa249 – dopo il quale, anche per Bacchelli, venne superato quel limite esperienziale oltre il quale poteva considerarsi concluso, anche biograficamente, un progetto redazionale che, sebbene fosse nato come segnale di maturità culturale, era ormai divenuto un’esperienza del suo percorso giovanile:

«se si tratta di continuarla, non so e non ho idea di come o di chi per che verso o di chi potrebbe farlo sotto qualunque rispetto finanziario, pratico e organizzativo. Per me, chiunque la voglia fare ha la mia collaborazione ridotta e chiusa in cose di mia stretta pertinenza e responsabilità. Insomma, non sento e non credo più a una futura possibilità collegiale rondesca e questo, intendiamoci, per ragioni d’età e di storia».250

Era stato proprio Bacchelli infatti il principale dissuasore delle velleità di resurrezione della rivista espresse da Saffi e Cardarelli stesso251 (uscita bimestrale, diminuzione del numero di pagine, commercializzazione della rivista),252 al quale non rimase che salutare così la fine del suo progetto più ambizioso, la testimonianza culturalmente più incisiva di un cinico che ha fede in quel che fa:253

«Non c’è mai stata una morte di rivista più silenziosa, impietosa e di cattivo augurio, vera morte per costernazione. Lasceremo che tutto finisca così senz’alzare un braccio, senza scrivere una parola? Almeno bisognerà prenderne atto. Uno di noi deve scriverne non dirò l’epicedio, ma la breve storia. E se la nostra fu la vita d’un soffio, o d’un bel motivo, lo si dica».254

249 Già nel 1922 infatti Bacchelli scriveva a Korach: «Come vedi, lo scandalo della Ronda continua. E dire che Saffi si riprometteva di mettersi in pari entro gennaio! V’è certamente una forma di debolezza disperata ed imbecille in quell’uomo, oppure sono io che non ci capisco più niente» (R. BACCHELLI, Bacchelli- Cardarelli-Korach, cit., p. 91). 250 Ivi, p. 107. 251 Scriverà Cardarelli nell’aprile del 1923: «Tra le tante idee che passano in questi giorni per la mia testa c’è anche quella, del resto antica, di risuscitare la Ronda a Milano» (vedi lett. 195). 252 Ben note sono le problematiche della rivista risalenti già al 1920, quando Saffi propose a Parodi «un programma di ampliamento finanziario, e un po’ anche collaborativi e redazionale, della Ronda e per farne insomma una rivista un po’ più mediocre certo ma più regolare» (R. BACCHELLI, Bacchelli-Cardarelli- Korach, cit., p. 75). 253 Recita così uno dei primi versi di Poesie: «Io sono un cinico che ha fede in quel che fa» (OPERE, p. 7). 254 Vedi lett. 195.

60 NOTA AL TESTO

Il lavoro presenta un’edizione dell’epistolario inedito di Vincenzo Cardarelli, composto dalle 199 missive inviate a Riccardo Bacchelli, tra il 1910 e il 1925, conservate attualmente presso il Fondo Bacchelli della Biblioteca comunale dell’Archiginnasio di Bologna (Fondo Bacchelli, busta 8, fasc. 1-4).1 L’Appendice accoglie due allegati al corpus epistolare: Allegato 1. Una lettera di Carlo Linati a Emilio Cecchi del 28 aprile 1916, reinviata da quest’ultimo a Cardarelli per metterlo a conoscenza dei complimenti che Linati faceva ai suoi Prologhi, stesso motivo per cui egli la reinviò a sua volta a Riccardo Bacchelli. Allegato 2. Un estratto del «Tempo» del 18 marzo 1918, pp. 1-4, nelle quali è pubblicato l’articolo di Cardarelli La favola breve di Leopardi. I due documenti sono stati estrapolati dal corpus cardarelliano poiché ritenuti elementi autonomi rispetto all’epistolario, sebbene ne siano parti complementari.2 Laddove nelle missive vi si faccia riferimento vi è stato puntualmente inserito il rimando testuale. Il corpus è costituito da supporti cartacei molto diversi: cartoline postali, semplici ritagli di carta, fogli e biglietti di varie dimensioni, intestati e non. L’eterogeneità dei supporti, nel caso dell’epistolario cardarelliano, si connota per altro di una funzionalità non irrilevante in relazione alla definizione dello status biografico del poeta nei diversi periodi attraversati dalla corrispondenza: le intestazioni dei vari caffè letterari attestano ad esempio il suo girovagare per numerose città italiane ed europee, spesso alla ricerca di una nuova ispirazione poetica o semplicemente per trovare un ristoro climatico per la sua cagionevole salute; così le intestazioni redazionali circoscrivono i periodi di maggior stabilità professionale (si vedano le carte intestate del «Tempo» e della «Ronda»), laddove invece i semplici ritagli di carta, ricavati da fogli di fortuna, si collegano a volte ai periodi più produttivi, ma anche più indigenti del poeta, spesso chiuso in casa per lungo tempo. Tutte le lettere sono manoscritte, eccetto la n. 42, dattiloscritta con un’aggiunta in calce a penna, la n. 177, dattiloscritta dalla sorella di Cardarelli sotto dettatura di quest’ultimo e la n. 51, un telegramma inviato tramite modulo preimpostato.

1 Le lettere sono state trascritte con il permesso degli eredi dei rispettivi corrispondenti: Bruno Blasi, erede di Vincenzo Cardarelli e Mario Ferrerati Ferrarone, erede di Riccardo Bacchelli. 2 La scelta di estrapolare i testi fa si che la numerazione del corpus qui adottata presenti due unità epistolari in meno rispetto all’inventario del Fondo, che invece include questi materiali nella numerazione progressiva dei documenti. Si veda l’Indice dell’Epistolario per una comparazione tra i due ordinamenti del corpus.

61 Non tutte le rispettive buste sono state conservate, motivo per cui, in assenza dell’indicazione d’autore e dei timbri postali, la datazione è stata ricostruita per congettura. Il lavoro d’archivio infatti ha richiesto un necessario riordinamento dell’epistolario rispetto alla progressione che i documenti presentavano nell’inventario del Fondo Bacchelli, redatto secondo un criterio cronologico limitato alle date apposte dall’autore alle lettere, o ai timbri postali presenti. L’ordinamento che ne risultava, tuttavia, presentava delle discrepanze in alcuni casi, emersi dalla lettura integrale della raccolta e dal conseguente lavoro ermeneutico sulle missive, grazie al quale è stato possibile sia individuare i frequenti lapsus dell’autore stesso nell’indicazione della data (a volte erronea nel giorno, nel mese e persino nell’anno), sia datare alcune lettere prive di elementi cronologici esterni, che nell’inventario erano state messe in coda al corpus nella difficoltà di essere collocate. L’epistolario viene presentato quindi secondo un nuovo ordinamento rispetto a quello attualmente presente nel Fondo Bacchelli, in alcuni casi correggendo le datazioni d’autore in disaccordo con i timbri postali (laddove necessario si è privilegiato il dato esterno, previa verifica con il contenuto della lettera), in altri proponendo una datazione ex novo per le missive non collocate, qualora il contenuto permettesse di avanzare un’ipotesi certa, comprovata su più livelli (storici, culturali, cronologici e biografici) e avallata dall’incrocio intertestuale con altre raccolte epistolari, tangenti e coeve alla nostra. L’Indice dell’Epistolario mostra in prospettiva comparativa la discrasia tra la numerazione dell’inventario del Fondo e il nuovo ordine qui proposto. Il metodo utilizzato nella trascrizione, quindi, prevede l’indicazione, secondo un criterio conservativo, delle indicazioni di luogo e tempo cardarelliane, con l’integrazione, dove necessario, dei dati ricostruiti per congettura, o mancanti del tutto, racchiusi tra [ ]; oltre all’annotazione erronea della data infatti, è frequente anche l’omissione da parte dell’autore stesso delle indicazioni spaziali e, soprattutto, temporali. In calce ai singoli testi è stata registrata la descrizione fisica di ogni singola missiva e della relativa busta postale, laddove conservata, accompagnata da eventuali argomentazioni volte a giustificare la collocazione cronologica della lettera in quella precisa posizione all’interno dell’epistolario.

62 I testi sono corredati di note critiche necessarie a sciogliere sia i riferimenti prettamente biografici,3 sia le occorrenze bibliografiche, le situazioni di tipo storico-culturale e le relative occasioni letterarie che caratterizzarono il percorso giovanile dei due corrispondenti. Per rendere più funzionale la fruizione dell’epistolario si sono indicati in nota anche i riferimenti intertestuali tra le missive stesse, relativamente a temi o personaggi citati in più di una lettera. La trascrizione segue un criterio conservativo rispettando l’uso ortografico cardarelliano; si conserva ad esempio la forma del verbo avere, nella terza persona e plurale del presente indicativo, con la grafia «à» e «ànno», uso raro ma sanzionato dai grammatici e proposto come consuetudine grafica nel 1911 dal Congresso della Società Ortografica Italiana. La scelta di un uso grammaticale peregrino d’altronde è conforme alla caratteristica del linguaggio cardarelliano, non estraneo all’utilizzo di un lessico spesso ricercato, denso di francesismi (bon gré mal grè, lett. 67; blague, lett. 69 ; taches, lett. 84; routinier, e J’ai tant fait patience, lett. 85; soulagement, lett. 90; confortable, lett. 100; enfoncer, lett. 123; boutades, lett. 153; brignolo, provenzalismo, lett. 164; tour de phrase, lett. 178) marcato da parole specialistiche («tardigradi», lett. 5) e costruzioni morfologico- sintattiche poco consuetudinarie («conferire» usato intransitivamente nel senso di «giovare, essere adatto, conferire alla salute», lett. 181) ma contemplate dalla norma grammaticale, o in uso nel periodo coevo all’autore (vedi anche «chieggo», «aveggo», lett. 12; «aombrare», lett. 24; «trattenermi di ridere», lett. 31; «andiedero», lett. 37). Tuttavia la scrittura spesso frettolosa o stanca di Cardarelli ha lasciato traccia di alcuni errori ortografici che si è ritenuto opportuno correggere, perché considerati semplici sviste, non rispondendo a varianti grafiche dei vari lessemi. Si dà di seguito l’elenco delle parole corrette nelle rispettive missive: lettera 15: «di parlerò» corretto in «ti parlerò» lettera 25: «deturba» corretto in «deturpa» lettera 49: «redice» corretto in «redige» lettera 62: «necessario» corretto in «necessaria»; «ha pensarlo» corretto in «a pensarlo»; «riabilitali» corretto in «riabilitai»

3 Si precisa che sono state segnalate le notizie biografiche di tutti gli intellettuali coevi e coinvolti nell’epistolario per renderne spesso più espliciti i legami con i due corrispondenti, mentre sono stati omessi i profili biografici di poeti, intellettuali e artisti storicamente ben noti nel panorama culturale.

63 lettera 64: «inaguatezza» corretto in «inadeguatezza» lettera 76: «esercizio» corretto in «esercizi» lettera 86: «un’odore» corretto in «un odore» lettera 121: «domandandoti» corretto in « domandandomi» lettera 133: «e arrivata» corretto in «è arrivata» lettera 159: «aquerelli» corretto in «acquerelli» lettera 166: «di costa» corretto in «ti costa» lettera 185: «sbrigativo» corretto in «sbrigativa»; «affettuoso» corretto in «affettuosa». lettera 194: le parole «fatto i miei» erano state erroneamente ripetute due volte nell’originale.

Allo stesso modo, si è resa necessaria l’integrazione, seppur sporadica, di alcune parole dimenticate dall’autore nel cursus scribendi, mentre in altri casi non è stato possibile sciogliere alcune espressioni, segnalate pertanto come insolute, sia a causa di una scrittura troppo faticosa e poco comprensibile, sia a causa di lacune meccaniche della carta per deterioramento dell’inchiostro o per guasti materiali del supporto. Si dà di seguito il prospetto dei segni diacritici utilizzati nel testo per segnalare le diverse situazioni di intervento:

<…> lacuna meccanica non ricostruita lacuna ricostruita ad sensum […] parola non sciolta per grafia di difficile comprensione [abc] espressione mancante nel testo inserita ad sensum

Si precisa infine che si sono utilizzate le abbreviazioni di consuetudine r e v per indicare il recto e verso delle singole carte, mentre i corsivi traducono il sistema grafico delle espressioni sottolineate.

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EPISTOLARIO

VINCENZO CARDARELLI – RICCARDO BACCHELLI

(1910-1925)

[1]

[3. 7. 1910] San Remo, via Roma 12 presso vedova Fedeli, int. 3

Caro Bacchelli, eccoti il mio esatto indirizzo. Scrivimi appena puoi. Io per superare le difficoltà dei primi giorni leggo Plutarco e Pablo di Segovia.1

Tuo affmo V. Cardarelli

San Remo, via Roma 12 presso vedova Fedeli, int. 3

[1] Cartolina postale illustrata (San Remo – Panorama dei Giardini Regina Elena), indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 4a/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza SAN REMO 3.7.10.

1 Pablo di Segovia è il protagonista del romanzo picaresco Historia de la vida del Buscon, llamado don Pablos, exemplo de vagamundos, y espejo de Tacanos di Francisco de Quevedo (Barcellona, per i tipi di Sebastian de Corrmellas, 1626). La traduzione italiana Pablo di Segovia, il gran taccagno venne pubblicata nel 1886 (per i tipi di Sonzogno, Milano).

67 [2] Firenze, li 19. IX. 1912 Via San Bartolomeo, 17.

Mio caro Riccardo, so ora, per bocca di Ghiglia,1 eppoi la notizia mi è stata confermata dal Resto del Carlino,2 ma, per fortuna, mitigata, (che m’ero impressionato assai) del tuo accidente.3 Se ti dicessi ch’io l’ebbi in previsione nel sangue quando tu mi parlasti del viaggio che avresti fatto? Ma che c’è di grave? Puoi scrivermi due righe? Se puoi fallo, ti prego. E io che ti aspettavo! Ho ricevuto anche una cattiva notizia da Sibilla.4 Tutto va male, tutta va male in questi giorni. Ma spero tanto che ti possa riavere tra qualche giorno e ritornare a Firenze. Non per me sai; non credermi così ciecamente egoista; per te. Se avessi denari verrei subito a Bologna per farti una visita. Non potendo sentimi lo stesso vicino ed abbiti una stretta di mano fraterna dal tuo

Vincenzo

Saluti aff. Oscar Ghiglia

Auguroni di pronta guarigione Amedeo Arment<…>5

[2] Un foglio scritto sul r, intestato: «GAMBRINUS HALLE/ BIRRERIA E RISTORANTE/ CAFFÈ CONCERTO/ FIRENZE»; in calce, dopo la firma, si aggiungono i saluti, rispettivamente autografi, di Oscar Ghiglia e di un non ben identificato Amedeo […].

1 Oscar Ghiglia (1876-1945) pittore e scrittore italiano che, agli inizi del Novecento, entrò in contatto con l’ambiente intellettuale fiorentino attraverso la rivista «Leonardo» di Papini, Ojetti e Soffici. Nel 1909 incontrerà Gustavo Sforni, collezionista e pittore che diventerà il suo mecenate; proprio per il tramite di Ghiglia, conosciuto nel suo periodo fiorentino, Cardarelli potrà rivolgersi a Sforni, l’anno seguente, per proporgli di finanziare il progetto di una rivista letteraria (vedi lett. 8, 9, 14). 2 «Il Resto del Carlino» importante rivista bolognese fondata nel 1885. Nei primi anni dieci del Novecento vi collaborarono, per la Terza pagina, alcuni tra i massimi intellettuali italiani del tempo, tra cui Giuseppe Prezzolini, Giovanni Papini e Giovanni Amendola. 3 Il 17 settembre 1912 Riccardo Bacchelli era rimasto coinvolto in un incidente stradale sulla Lucca-Pesaro riportando tuttavia solo una contusione ad una gamba. L’episodio è riportato nell’articolo [s.a.] Il figlio dell’on. Bacchelli ferito in uno scontro automobilistico «Il Resto del Carlino», 19 settembre 1912, p. 6. 4 Sibilla Aleramo (pseudonimo di Rina Faccio, 1876-1960) poetessa e scrittrice italiana con la quale Cardarelli strinse, nel 1909, un’affettuosa amicizia trasformatasi con il tempo in un’intensa storia d’amore «sfociando al termine d’una estenuante altalena di sospetti, gelosie, accuse, perdoni, riprese esaltanti, stanche sazietà, nell’addolcita comprensione dell’amicizia» (V. CARDARELLI, Lettere d’amore a Sibilla Aleramo, cit., p. 9). L’Aleramo fu direttrice del settimanale socialista «L'Italia femminile» nel biennio 1899- 1900 e nel 1902 si trasferì a Roma dove frequentò l’ambiente intellettuale della capitale, collaborando con «La Nuova Antologia», diretta dal marito Giovanni Cena. Nel 1906 pubblicò il suo primo romanzo, Una donna e nel 1910, durante il soggiorno fiorentino si avvicinò all’ambiente della «Voce», instaurando anche una duratura amicizia con Emilio Cecchi. Negli anni successivi collaborò con numerose riviste, il «Marzocco», «Il Resto del Carlino» (1912) e «La Grande Illustrazione» (1913), che diresse nel biennio 1914-15. 5 Il nome è di difficile identificazione a causa di una lacuna meccanica della carta strappata sul bordo.

68 [3]

[Roma, 1 o 2 gennaio 1913 ca.]

Caro Bacchelli, certo questa volta non avrei pensato a te ma il tuo: hai bisogno di nulla?, mi richiama troppo vivamente alle mie disperate condizioni economiche – e fisiche, e morali! – perché io possa fingere di non accorgermi della tua generosità, e risponderti bravamente: grazie amico, di nulla. Anzi ho tanto bisogno che se Cristo non mi aiuta tra giorni io rivado a finire, letteralmente, sulla strada. Che si, pensa quel che vuoi della mia mancanza di energia pratica, e di volontà, ma questo è. Se Orvieto1 non mi da un cantuccio di tranquillità nei suoi poderi io sono finito. Finito, finito. Non ce la fo più a lavorare per la vita pratica. Dunque senti, caro Bacchelli, se hai qualcosa da mandarmi, mandamelo subito, magari con un vaglia telegrafico. E permettimi di troncare questo discorso. Quanto al resto ti ho scritto una lunghissima lettera che non ti mando perché mi pare un po’ confusa. Oggi non ho testa per la filosofia. O’altro che filosofia oggi, e ieri, e domani, per la testa. Ti prego solo di leggere le Meditazioni di Cartesio, prima che puoi, se non le hai già lette. Conoscerai le radici del pensiero blondelliano,2 e il padre di tutto il contingentismo moderno. Per Prezzolini,3 gli mandai l’art. su Gargiulo.4 Rifiutato. Da

1 Angiolo Orvieto (1869-1967) poeta e intellettuale italiano, fu il fondatore e il primo direttore del «Marzocco» (1896). Rapporti tra Orvieto Cardarelli sono attestati già in una lettera di quest’ultimo a Prezzolini del 1909 (EPISTOLARIO I, lett. 14), a proposito della pubblicazione di alcuni suoi articoli sul «Marzocco», ma dalle lettere di quell’anno si evince una familiarità con l’Orvieto già consolidata, che porterà Cardarelli a collaborare in maniera continuativa con la sua rivista a partire dal 1911. Nel 1913 Orvieto era diventato per Cardarelli un importante punto di riferimento, soprattutto perché la benevolenza del direttore gli permise di avere spesso un sostentamento economico a cui affidarsi. 2 Maurice Blondel (1861-1949) filosofo francese esponente del movimento culturale antipositivista primo novecentesco, le cui posizioni principali sono esposte nella sua opera principale, L’action (1893). La sua filosofia dell’azione si fece promotrice della supremazia della volontà, nella dialettica con la razionalità, ai fini di un attivismo pratico e creativo nel campo morale, spirituale e sociale. Blondel fu uno dei principali modelli culturali e filosofici del gruppo vociano, una lettura generazionale importante e ispiratrice di veri e propri entusiasmi, soprattutto nella formazione giovanile di Cardarelli e Bacchelli. Quest’ultimo infatti, a proposito di quegli anni, ricordava che: «Blondel dominava le nostre conversazioni e ispirava le nostre più profonde esigenze. Come poteva chiamarsi azione, azione, s’intende, in quel senso etico e impegnativo per la vita dell’anima, la poesia?» (R. BACCHELLI, Come arrivai alla Ronda, cit., p. 1). Per un panorama dettagliato dell’influenza di Blondel tra gli intellettuali vociani e in particolare sull’opera di Bacchelli si rimanda a E. GRAZIOSI, Dai "Poemi lirici" ad "Amore di poesia”, cit., pp. 77-106. 3 Giuseppe Prezzolini (1882-1982) scrittore, giornalista e intellettuale italiano molto amico di Giovanni Papini, con il quale fondò nel 1903 la rivista «Leonardo» e nel 1908 «La Voce», di cui fu direttore dal 1908 al 1911, e poi nuovamente nel 1914. Il soggiorno in Francia nel 1900 gli permise di entrare in contatto con alcuni dei grandi intellettuali europei del primo novecento, tra cui Bergson, il più importante esponente dello spiritualismo ottocentesco. Il nutrito carteggio di Cardarelli con Prezzolini testimonia il rapporto dialettico e incostante che si instaurò tra i due sin dalla prima collaborazione cardarelliana a «La Voce», in virtù delle divergenze di pensiero e delle differenti modalità di azione in campo letterario, pur in una continua manifestazione di stima reciproca. I rapporti tuttavia si acuirono nel momento in cui Cardarelli si allontanò

69 ridere no? Riceverai questo art., riveduto e ampliato, in estratto. Vieni, vieni a Roma, ma ho paura che se non ti sbrighi non mi ci troverai più. Io qui muoio di fame. Penso, leggo, abbozzo libri, ma muoio di fame. E se la bandiera si rivolta ti divento, perdio, un Corrado Brando.5 Ti saluto con affetto. Tuo Card.

[3] Un bifolio, scritte le pp. 1-3, non datato; dal contesto è possibile attribuire la lettera al gennaio 1913 circa, quando il poeta si trovava a Roma con la speranza che Angiolo Orvieto lo ospitasse nei suoi poderi. Inoltre nella lett. 4 Cardarelli ringrazia l’amico dell’invio di denaro, la cui richiesta compare in questa missiva, oltre ad anelare ancora ad un posto tranquillo in cui lavorare. definitivamente dall’ambiente vociano per appoggiare e alimentare gli entusiasmi del gruppo romano raccoltosi attorno a «Lirica». 4 V. CARDARELLI, Metodo estetico (a proposito del D’Annunzio di Alfredo Gargiulo), «Lirica», a. I, n. I, 1912, pp. 382-391. 5 Corrado Brando è il protagonista del dramma dannunziano Più che l’amore (1906), espressione del superuomo nelle vesti di un criminale-esteta, alla ricerca del gesto eroico e dell’affermazione vitalistica in opposizione alla mediocrità dell’Italietta giolittiana burocratica e del sistema economico borghese. Senza denaro e sconfitto dalle regole di quella stessa società avversata, a suo modo, da Corrado Brando, Cardarelli si ribella, nell’estemporaneità della sua allusione, alla maniera dell’eroe dannunziano.

70 [4] Roma, 9. I. 1913. Via Palestro, 3

Caro Bacchelli, le tue cinquanta lire sono state provvidenziali per il mio trattore. Pover’uomo! Avevo già deciso d’inchiodarlo. Ora ho un altro lungo mese di respiro; del quale cercherò di usare meno pigramente, se la salute, come purtroppo mi pare dubbio, mi assisterà. Io vedo con piacere un accrescimento vivace d’interessi intellettuali, che sono interessi umani, in te. Bravo Bacchelli. Io spero che piano piano anche nei tuoi articoli vedrò riflessa l’energia che anima queste tue lettere a me. Lessi, a proposito, quello sul Saba.1 Tu hai certamente attitudini naturali, originali, di scrittore. Ma devi cercare di stringerti, di architettarti. Caro San Sebastiano, non mi stilizzare la mollezza. E bada che io ti dico questo perché stai più bene diritto che inchinato mollemente sul fianco. Se no tacerei. Sono un poco artista pure io, come tu riconosci (e sei forse il solo): non parlo dunque per pregiudizio. Quanto alla mia attività di giornalista2 che vuoi che ti dica? Io ho vergogna di dovermi esporre in un periodo così incerto per me. Il mio problema è assai difficile. Non riesco ad interessarmi di nulla. Di che credi che informi il giornale io? Se dò un’informazione mi sforzo con la fantasia come se facessi dell’arte. Non mi so mantenere aderente alla vita. Ho bisogno di essere mandato per qualche tempo in luogo solitario col pane assicurato. Allora solo potrei vedere di che cosa, infine, sono capace. E spero che questo arriverà. Nel frattempo farò quel che potrò; vale a dire seguitare a fare e a vivere male. Male, male, male, si, caro amico. Ora la mia vita si è capovolta. Perché ho giornate d’imbecillità, e molte pazzamente lucide, nelle quali, invece di dormire, mi torturo a leggere e pensare. Basta, io non dispero di me, tutt’altro. Sono un benedett’uomo che riesce a logicizzare tutto entro di sé. Pare impossibile. La cosa più assurda quando è stata vissuta ti diventa la cosa più ragionevole del mondo. Tu vedi sempre la tua vita dal punto

1 R. BACCHELLI, Su un libro di versi di un giovane triestino: Umberto Saba, «La Voce», 12 dicembre 1912, p. 956. 2 L’esperienza giornalistica di Cardarelli inizia nel 1909 quando venne assunto come redattore dell’«Avanti!», per il quale si occupò di critica teatrale, musicale e di costume; nel 1911 interrompe la collaborazione con il giornale di stampo socialista, per il trasferimento della sede a Milano, e inizia a scrivere sul «Marzocco». Anche in questo caso la produzione giornalistica del nostro non sarà legata ad una rubrica in particolare, ma sarà poliedrica e multiforme, spaziando in diversi ambiti, letterari e cronachistici.

71 di vista della tua ultima risoluzione. E così io finirò, Santo Iddio, per morire soddisfatto. Questa è quella inesauribile sensualità nella quale a me pare consista il segreto dell’anima religiosa. Ed ora, per finire, ti voglio dire una cosa, se avrò questa pensione sei disposto a venirtene per qualche tempo in Germania?3 Io ho ferma intenzione di andarci. Ma non a Berlino, né a Monaco, in qualche solitaria cittadina del sud. Se mai se ne riparlerà. Le mie relazioni con Amendola,4 Baldini,5 Cecchi,6 sono stazionarie. Brutto segno no? In compenso strido i

3 Bruno Romani informa dell’intenzione di Cardarelli di recarsi in Germania per approfondire i suoi studi filosofici e politici e tentare la strada dell’insegnamento universitario. L’affermazione ci sembra tuttavia poco attinente al percorso cardarelliano, sempre molto distante dall’ambiente accademico, per altro mai menzionato nell’epistolario. La sovvenzione a cui il poeta aspirava era probabilmente la pensione Cantoni. Vedi lett. 5. 4 Giovanni Amendola (1882-1926) giornalista e politico italiano, si legò sin da giovane all’entourage fiorentino di Papini e Prezzolini pubblicando parte della sua produzione saggistica e filosofica sulle riviste «Leonardo» e «La Voce». Nel 1911 fondò e diresse con Papini «L’Anima». Di idee liberali, favorevole alla Destra storica e «rappresentante autorevole delle tendenze nazionalistiche che vagheggiavano un liberalismo più energico e moralmente più elevato di quello giolittiano» (G. CAROCCI, Amendola, Giovanni, DBI, 1960, vol. 2, p. 762), nel 1912 scrisse come corrispondente politico romano sul «Resto del Carlino», sostenendo l’impresa libica, mentre dopo le elezioni del 1913 collaborò con «L’Azione», in contrasto con i nazionalisti più estremisti, usciti dal partito liberale. Dal 1914 invece scrisse per il «Corriere della Sera», entrando definitivamente e attivamente in politica nel dopo guerra, durante i due ministeri di Nitti. Come si vedrà nel corso dell’epistolario il suo rapporto con Cardarelli fu sempre molto problematico e, da parte di Cardarelli, spesso opportunistico. 5 Antonio Baldini (1889- 1962) fu uno dei principali scrittori dell’entourage intellettuale romano di primo novecento. Giunto a Roma per studiare lettere all’università «La Sapienza» entrò subito in contatto con Cecchi, Cardarelli e Bacchelli con i quali avrebbe instaurato una lunga amicizia, seppur viziata, a volte, da incomprensioni letterarie, soprattutto con Cardarelli (vedi lett. 35). Pubblicò i suoi primi testi su «Lirica» e nel 1914 uscì la sua prima opera in prosa Pazienze e impazienze del Maestro Pastoso, mentre dall’anno successivo iniziò a collaborare con «L’Idea Nazionale» e poi con «L’illustrazione letteraria». Arruolatosi per la prima guerra mondiale, al suo ritorno fu coinvolto nella fondazione de «La Ronda», entrando così nel novero dei «sette nemici», per uscirne tuttavia ben presto in seguito a dissapori creatisi con la redazione (vedi lett. 166). 6 Emilio Cecchi (1884-1966) scrittore e critico letterario italiano, legato all’ambiente fiorentino in cui avvenne la sua formazione letteraria, nel 1903 conobbe Papini e il pittore Spadini e iniziò a frequentare Borgese, Prezzolini e Soffici, all’epoca studenti dell’istituto di studi superiori. Esordì sulla rivista «Leonardo», scrisse sul «Regno» e collaborò assiduamente al quotidiano fiorentino «Nuovo Giornale». Allontanandosi gradatamente dagli eccessi degli ambienti legati al «Leonardo», «Hermes» e «Il Regno» andò sviluppando una personale linea critica che caratterizzerà il suo periodo vociano, svoltosi durante le due direzioni di Prezzolini (1909-1911 e 1913). Tuttavia Cecchi iniziò ben presto a manifestare dissenso nei confronti della linea vociana, poichè «al ritorno di Prezzolini, si convinse che la Voce era, in effetti, una "rivista di idealismo militante" orientata verso G. Gentile» (F. DEL BECCARO, Cecchi, Emilio, DBI, 1979, vol. 23, p. 252), per distaccarsene del tutto con la direzione di De Robertis, di cui non approvava il progetto letterario della «Voce bianca». Trasferitosi a Roma nel 1911, conobbe Boine e Cardarelli, amico e sodale tra i più cari, con cui impostò nuovi progetti letterari (vedi lett. 8-14) e con il quale fonderà «La Ronda». Dal 1910 portò avanti assiduamente la sua collaborazione con «La Tribuna» e i suoi studi e scritti sulla letteratura inglese. Nel 1919 venne pubblicata la sua raccolta saggistica più rappresentativa, I Pesci rossi, antologia di prose scritte tra il ’16 e il ’19, che connotarono significativamente il suo inconfondibile stile di critico scrittore. Dal presente epistolario cardarelliano, come già da quello edito da Blasi, si evince come

72 denti pensando a Borgese.7 E’ l’ultimo antico amore che mi rimane da seppellire. Tutto il resto è passato. Papini,8 Prezzolini, Soffici,9 passato remoto. Ma ci fu dunque un giorno su questa terra la Liberazione della Voce?10 L’unico fiorentino che non disprezzi è Slataper.11

Cecchi fosse un costante punto di riferimento nella vita di Cardarelli, nonché depositario, alla stregua di Bacchelli, dei suoi più intimi moti dell’animo così come dei suoi giudizi più feraci sul mondo letterario a loro coevo. Come si noterà dalla lettura delle lettere successive, Cecchi sarà anc he uno dei primi critici di Bacchelli e Cardarelli, spesso guidato, per altro, dai colloqui con quest’ultimo,con il quale era solito confontare e sviluppare le sue idee critico letterarie. 7 Giuseppe Antonio Borgese (1882-1952) critico letterario italiano che negli anni giovanili si legò all’ambiente fiorentino del «Regno» di Corradini e del «Leonardo» di Papini. Fondò nel 1904 «Hermes», rivista di stampo estetizzante e dannunziano, nel 1913 «La nuova cultura» con l’editore Bocca e nel 1914 «Il Conciliatore». La sua critica giovanile, particolarmente apprezzata da Benedetto Croce «faceva propri sostanzialmente i fondamenti dell’estetica crociana e le istanze antipositivistiche dell’ambiente fiorentino» (E. GHIDETTI, Borgese, Giuseppe Antonio, in DBI, 1971, vol. 13, p. 575). Cardarelli, tre anni prima, aveva scritto un appassionato articolo su di lui intitolato La Fortuna di un critico. G.A. Borgese, «Liberissima», a. I, fasc. 23, 15 ottobre 1910. 8 Giovanni Papini (1881-1956) scrittore e poeta italiano che ricoprì un ruolo chiave nel movimento avanguardistico fiorentino, filosofico e letterario, del primo novecento. Principale animatore del dibattito che si costruì attorno alle riviste «Leonardo», che fondò insieme a Prezzolini nel 1903, e al «Regno», di cui fu redattore, fondò e collaborò a «La Voce» sotto la direzione di Prezzolini per poi subentrargli come direttore nel 1912; l’anno successivo fondò insieme a Soffici «Lacerba». Papini fu uno scrittore poliedrico, la cui vasta produzione spaziò dagli articoli giornalistici, alla saggistica, alla narrativa (la sua opera più celebre, edita nel 1910, fu Un uomo finito), alla poesia, sino alla critica militante, di cui rimangono celebri le sue stoccate feraci (poi raccolte nelle Stroncature del 1916). I rapporti tra Papini e Cardarelli, ideologicamente complessi e feracemente conflittuali nel periodo vociano, andarono mutando, una volta scemata la supremazia culturale fiorentina, verso una reciproca stima e collaborazione, spesso motivata anche da ragioni di opportunismo cardarelliano (nel 1920 infatti Papini fece pubblicare a Cardarelli i suoi Viaggi nel Tempo presso Vallecchi, dopo il continuo procrastinare dello Studio Editoriale Lombardo di Facchi; vedi lett. 144, 150). Nel 1918 Cardarelli si ritroverà a lavorare per Papini, direttore della terza pagina del «Tempo» (vedi lett. 126)., mentre nel periodo rondista Cardarelli auspicò più di una volta la pubblicazione in rivista di scritti papiniani. 9 Ardengo Soffici (1879- 1964) pittore, poeta e scrittore italiano. La sua formazione pittorica e poetica avvenne a Parigi tra il 1903 e il 1907, dove ebbe modo di frequentare i più grandi artisti del tempo, da Picasso ad Apollinaire. Da Parigi invia a Papini articoli di critica d’arte per la rivista «Leonardo». Tornato in Italia nel 1907 e rafforzata l’amicizia con Papini e Prezzolini, collaborò con la redazione de «La Voce» occupandosi di nuovo di critica d’arte. Alcuni suoi componimenti poetici uscirono anche su «La Riviera Ligure» e nel 1911 pubblicò l’opera Arthur Rimbaud, prima importante monografia italiana sul poeta francese. Nel 1913 fondò la rivista «Lacerba» insieme a Papini. 10 «La Voce», rivista letteraria fondata nel 1908 da Giuseppe Prezzolini e Giovanni Papini attorno alla quale si riunirono i più importanti intellettuali del primo novecento, dando vita ad un movimento letterario che incise profondamente nella storia culturale dei primi anni del secolo. La rivista fu soggetta a diversi cambi redazionali, ai quali corrisposero altrettante linee d’azione e di pensiero che si alternarono nei cinque anni di attività. Dal 1908 al 1911 sotto la direzione di Prezzolini, «La Voce» fu una rivista di letteratura e impegno politico e sociale; nel 1912 con Papini la linea editoriale tornò ad essere esclusivamente di tipo letterario, per trasformarsi nuovamente in una «rivista di idealismo militante», come la definì Prezzolini (contaminando il pensiero crociano con quello bergsoniano), tornato nuovamente a dirigere il periodico per l’anno 1914. Infine nel biennio 1914-1916 Giuseppe De Robertis assunse la direzione di quella che divenne «La Voce» bianca (dal colore della copertina), esclusivamente letteraria e ormai emblema della poetica del frammentismo della prima metà del secolo. Fu solo in quest’ultima fase infatti che Cardarelli si avvicinò maggiormente all’ambiente vociano, poiché i suoi rapporti con l’entourage intellettuale fiorentino furono sempre piuttosto complessi e conflittuali rispetto a un’idea di letteratura engagé che la rivista portava

73 Il suo silenzioso egoismo mi attrae. Ma rivoglio un libro mio che ha. Non gli voglio regalare nemmeno un libro. Tu scrivimi più spesso e dimmi più spesso quel che pensi di me, specie se è male. Ti assicuro che mi fa bene. La critica è carità. Questo non si vuol capire. Salutami il tuo papà, tuo fratello, e, in attesa di vederti quanto prima a Roma, ricevi una stretta di mano del tuo Cardarelli

[4] Un bifolio di piccole dimensioni, scritto sul r e sul v, e un foglietto sciolto, anch’esso scritto sul r e sul v. Lettera parzialmente citata in E. GRAZIOSI, Dai Poemi lirici ad Amore di Poesia, cit., p. 85. avanti. Lo stesso Bacchelli, ricordando gli esordi dell’amicizia con il tarquinese dichiarò: «A quell’età, tra 20-21 anni, è stato Cardarelli che io ho incontrato, appunto nell’ambiente de «La Voce», alla quale lui apparteneva lateralmente (non apparteneva affatto alla Redazione de «La Voce») mentre io ero molto più intimo nel lavoro de «La Voce» (ho fatto anche il redattore capo per un certo periodo) ed era in una posizione di critica verso «La Voce» stessa […]» ([s.a.] L’«Approdo» ha superato la sua millesima trasmissione, «L’Approdo letterario», a. XIII, n. 38, aprile-giugno 1967, p. 97). 11 Scipio Slataper (1888-1915) scrittore triestino, si laureò a Firenze dove iniziò a frequentare l’entourage vociano, esordendo proprio su «La Voce» con prose d’arte, mentre nel 1912 pubblicò la sua opera principale, Il mio Carso, di stampo autobiografico. Morì al fronte nel 1915.

74 [5] Corneto Tarq. 18. II. 1913

Caro Bacchelli, dunque io sono a Corneto.1 E come ci sono? Molte cose ti dovrei dire a questo riguardo. Ci sono venuto ad ancorare per caso. Come tu sai negli ultimi mesi a Roma io era andato molto giù. Tanto giù che ritornerò difficilmente a stabilirmi in quella come in altre città! Qualche altro mese e certo Roma mi avrebbe ammazzato. Tu sai pressappoco quali sono le ragioni per le quali io non posso vivere che a brevi intervalli tra gli uomini e tra le donne. Ora questa mia dolorosa incapacità era giunta al punto che io aveva perduto ogni attaccamento alla vita. Tutto mi mancava; dal cibo di una parca pensione dove ero costretto a rimanere, alla schifosa letteratura pomeridiana di alcuni miei tardi (intendo tardigradi)2 ammiratori che mi si palesavano tanto più letterati quanto più s’illudevano di partecipare al travaglio intimo della mia disgraziata intellettualità. Andavo al letto tardissimo, non riuscivo con qualunque sonnifero ad addormentarmi prima dell’alba, mi svegliavo normalmente intontito e con lo stomaco gonfio dopo mezzogiorno, e in queste condizioni, prima di mangiare, facevo la mia entrata alla terza saletta di Aragno;3 dove, un po’ per il mio abbassamento fisico un po’ per la idiotaggine dei miei interlocutori accadevano discussioni, diverbi, litigi, colluttazioni, a paragone dei quali le scenate del Pascoreschi4 ed altri liti di Firenze erano brodo di giuggiole. Basta, non ti so dire i propositi che, ogni giorno, come rimanevo un poco a riflettere sulla mia vita, mi passavano per la testa. Un giorno stavo per buttarmi dalla tromba delle scale di casa mia. Poi avevo cessato di leggere, e, tranne le sfuriate in conversazione, non sentivo più alcun vero interesse per nulla. La compagnia di qualche diaccio spirito analitico mi aveva anche

1 Corneto Tarquinia, paese natale del poeta in provincia di Viterbo. 2 I tardigradi sono dei piccolissimi animali non più grandi di un millimetro, tuttavia la parola in italiano è sinonimo di tartaruga, bradipo, lumaca; utilizzando questo termine Cardarelli alludeva alla lentezza dei suoi lettori un po’ tardivi nell’apprezzamento della sua opera. 3 Il Caffè Aragno fu uno dei principali luoghi di ritrovo degli intellettuali romani nel primo ventennio del Novecento, locale di cui divenne famosa la Terza saletta dedicata esclusivamente ai dibattiti letterari. In questo caffè, di cui Cardarelli fu un assiduo frequentatore, venne redatta, tra le altre, «Lirica», rivista a cui collaborarono molti futuri rondisti. Nel quadro Amici al caffè Amerigo Bartoli ha voluto riprodurre i più noti frequentatori dell’Aragno: Antonio Baldini, Emilio Cecchi, Ardengo Soffici, Pasqualina Spadini, Giuseppe Ungaretti, Riccardo Francalancia, Armando Ferri e Vincenzo Cardarelli. 4 Cardarelli allude al Caffè Paszkowski luogo di ritrovo dell’èlite politica e intellettuale fiorentina fin dal 1846. In questo caffè si incontravano, quasi giornalmente, Papini, Prezzolini e Soffici all’indomani dell’uscita della «Voce», rivista che vi circolò insieme a la futurista «Lacerba» di Soffici. Il Paszkowski tuttavia non riuscì mai a fregiarsi di un gruppo stabile di letterati attorno alle sue sale poiché fu vissuto soprattutto come punto di passaggio.

75 persuaso che io non sarei stato mai buono a mettere un po’ d’ordine nella mia testa. Sicché la mia disperazione assoluta. Miseria, depauperamento fisico, sfiducia intellettuale. Quando ti scrissi che sarei andato nelle campagne di Orvieto5 formulavo appena un desiderio, ch’era di buttare a monte libri e illusioni, e farmi sano e vivere come un animale senza più impegni e nascoste brame. Ho anche pensato seriamente a un impiego. Ho venduto quasi tutti i miei libri, senza valore, mi sono messo a dire male dei filosofi come un Papini qualunque, ho portato a spasso i miei malori erotici come un gobbino sentimentale, mi sono quasi adattato (oh, infinita viltà nostra) ad una specie di platonico menage à trois, ho frequentato qualcuna di queste case d’artisti romani, dove la sifilide letteraria corrode perfino i mobili, ho insomma fatto scempio e ludibrio di tutto l’orgoglio della mia vita. Le cose erano giunte a un punto che poteva anche allarmare. Un mio buon amico, un mio semplice ed ingenuo amico, mi ha salvato. S’è messo in mezzo. Ha scritto a Sibilla, ha scritto ad Orvieto. Che così non poteva andare. Che chi aveva intenzione di aiutarmi lo facesse ora ch’era tempo. Orvieto s’è impressionato. Ha risposto che avrebbe fatto volentieri tutto il possibile per me.6 Io non ci sono entrato bada bene. Tutto è stato concluso quasi a mia insaputa. Non è la prima volta che mi capita d’essere salvato così quando meno me l’aspetto, nel punto più estremo della mia passività. È un fatto che i filosofi, specie idealisti, si danno poco la pena di considerare. Bene. Orvieto ora mi passerà, per un anno, tanto di che vivere in campagna, senza studiare, e senza lavorare beninteso, unicamente per rifarmi il sangue e la carne; ma è certo che mi sarebbe più facile diventare un uomo politico che rispettare questi patti. Nel primo volevo ritornare a Settignano. Orvieto saggiamente me lo sconsigliò. E fu così che, da un momento all’altro, impensatamente decisi, di ritornare in questo mio paese. Fatto di non poca importanza per me, come si vedrà forse col tempo e se io avrò animo di restarci per tutto il tempo che mi sono prefisso. Che cosa sia la mia vita qui ora non ti dico. Sappi che io t’aspetto, e che, se non vieni, almeno per qualche

5 Vedi lett. 3. 6 In una lettera del 23 ottobre 1913, a fronte delle lamentele di Orvieto per le spese eccessive del poeta, Cardarelli ricorderà al suo mecenate l’impegno preso in questa occasione: «Lei, caro signor Angiolo, in seguito a lettere e replicati interessamenti di persone che non agivano, le assicuro, sospinte da me, aveva promesso di sussidiarmi un intero anno acciocché io mi potessi rimettere da una grave e completa perturbazione avvenuta in tutto il mio essere in seguito a fatti e per cause che ancora non vedo bene. È vero si o no? Un intero anno. Dal febbraio del 1913 al febbraio del 1914. Ora che male era il mio? Oimè, non soltanto fisico. Lei lo sa. Il riposo, la solitudine sì, fino ad un certo punto. In realtà sotto il mio esaurimento nervoso c’era qualche altra cosa. Io le chiedevo non tanto un aiuto per il mio corpo quanto per il mio spirito e per la formazione (difficile combattuta sanguinosa, ma pur, via via, constatata e riconosciuta da persone di severo giudizio che mi conoscono da vicino) della mia persona intellettuale» (EPISTOLARIO I, lett. 253).

76 settimana, a trovarmi quassù, me l’ho a male. Noi ci dobbiamo ora dire troppe cose. Tu sei ora nel mezzo della selva, ed io forse risento scaturire in me qualche vivo getto poetico. Sarà assai interessante, credo, per noi due, rivederci e riparlarci. Da queste tue lettere non posso avere che delle fumate, come dalle fessure d’una fornace chiusa. Sei sempre un uomo di buon senso e di gusto preciso quando ti stizzi con Bergson7 e mi parli di Benda,8 astrattista pazzo da legare, pitagorico matto; espressioni da nulla, che però avrei voluto trovare io. E che a te sia difficile l’espressione credo; ma per la volontà che la tormenta; e, in ogni modo, se difficile in tema di filosofia, felicissima a volte quando significhi con un tratto le tue impressioni. Tu sei per tre quarti nascosto. Io qualche volta mi son detto quando per es: Amendola (Amendola che à tutti i sensi dell’antipatia sviluppati al più alto grado) mi voleva mettere con le spalle al muro e mi diceva: - Dio mio, quel Bacchelli come scrive! (e c’era qui, magari inconscio, il bisogno di affrontare me, di concentrarmi in una mia simpatia) mi son detto, dunque, che ti volevo bene senza ragione, per mera simpatia, quasi animalesca. Poi mi sono più volte, in seguito a ciò, compiaciuto, di vedere dalle tue lettere che tu sei davvero un uomo intelligente. Questa confessione che potrebbe anche seccarti, ti parrà soltanto, come spero, ingenua. E se io te la faccio è, in questo momento, per un rigoroso bisogno di sincerità. Ora come io non ti voglio specificare i miei studi attuali e i miei risorti propositi di lavoro, così evito di entrare con te in argomento filosofico. Ti ho detto che devi venire a trovarmi. Ci ho qui sulla lingua qualche pepato epiteto per il signor Gentile9 e De Ruggiero10 e compagnia bella e la loro

7 Henri Louis Bergson (1859-1941) filosofo francese, massimo esponente dello spiritualismo del primo novecento e antesignano del pragmatismo filosofico, si fece interprete di un pensiero che, contrapponendosi al positivismo, non considerava l’intelligenza e la ragione come unici strumenti di indagine del reale, attribuendo all’intuizione un valore conoscitivo fondamentale. Il bergsonismo ebbe un’ampia risonanza nel mondo letterario e scientifico primo-novecentesco e, in Italia, seguaci e interpreti del suo pensiero furono soprattutto Papini e Prezzolini. 8 Julien Benda (1867-1956) filosofo e scrittore francese, inzialmente seguace di Bergson, fu coinvolto in un’aspra polemica con il maestro proprio tra 1912 e il 1914, affermandosi come critico dell’intuizionismo bergsoniano e promotore di un razionalismo antidialettico. 9 Giovanni Gentile (1875-1944) filosofo italiano idealista il cui pensiero, insieme quello del Croce di cui fu amico e discepolo, fu di estrema influenza nel panorama contemporaneo della critica al positivismo. Fondatore insieme al Croce della rivista «Critica», entrò in polemica con il filosofo per alcune posizioni non condivise a proposito delle rispettive speculazioni teoretiche idealiste; proprio nel 1913 il Croce decise «di rendere pubblico il "dissidio" filosofico che lo divideva dall'idealismo attuale» (G. SASSO, Gentile, Giovanni, DBI, 1999, vol. 53, p. 201), scrivendo a Gentile una lettera aperta proprio sulle pagine della «Voce» di Prezzolini nel 1913. 10 Guido De Ruggiero (1888-1948), storico della filosofia e professore universitario, aveva appena licenziato, sotto l’egida del Croce, il volume La filosofia contemporanea che lo avrebbe reso molto noto al panorma culturale del tempo, oltre a procurargli numerose collaborazioni giornalistiche con «La Voce» di Prezzolini, con «Il Resto del Carlino» e nel biennio 1913-14 con l’«Idea Nazionale», dalle cui pagine espresse le sue posizioni liberali e nazionaliste investite di un senso etico critico dello stato giolittiano e delle

77 sfrontatezza inaudita. Di Laberthomiere11 credo si possa fare anche a meno. E quanto a Blondel tu, caro Bacchelli, devi farmi riavere a tutti i costi quel libro. Perché non te lo prendi e lo porti qui e lo leggiamo insieme? Parliamo adesso di cose pratiche. Se vai a Parigi ho da chiederti un favore. C’è al Cimitière de Bagneuse12 (529 division – 19° ligne, n. 27), sepolto, un giovine qui di Corneto, Renato Pacchelli.13 Bisognerebbe, se non ti scomoda, che tu andassi a portare un fiore su quella tomba. Compiresti un ufficio pietoso prima di tutto, e, in secondo luogo, venendo qui, daresti una consolazione straordinaria ai genitori del povero morto descrivendo loro la tua visita. Sono loro, anzi, che, senza conoscerti, siccome sono amici miei, ti pregano di far questo. Io ho parlato per caso di un mio amico che andava a Parigi e subito mi hanno assediato. Se puoi procura di farmi questo favore. Guarda che su quella tomba ci dev’essere una corona, e se ci sono fiori sul tumulo strappane uno e portalo con te. Ora un altro favore, che ci ho pensato assai se dovevo o non dovevo chiederlo, ma, infine, mi son deciso per il si. Con tutta la pensione di Orvieto (che, bada bene, non è la pensione Cantoni14, la quale molto probabilmente non l’avrò mai) io sono rimasto questo mese, nel

fumisterie interventiste italiane. Discepolo di Gentile e in contatto con il Croce, De Ruggiero si distaccò ben presto da entrambi con l’elaborazione di una sua ben precisa linea teoretica che voleva privilegiare in massimo grado «la responsabilità umana, la libertà come autonomia del pensiero, non sufficientemente- assicurate dallo storicismo crociano e insidiate dall'attualismo gentiliano» (R. DE FELICE, De Ruggiero, Guido, DBI, 1991, vol. 39, p. 249). 11 Lucien Laberthonnière (1860-1932) filosofo e teologo francese, seguace della filosofia di Blondel, con il quale fu in rapporti di amicizia fino al 1928. 12 Cimitero parigino situato nel quartiere di Bagneux. 13 Renato Pacchelli era il figlio di Giovanni Battista Pacchelli, amico cornetano del poeta ricordato come «l’amico sartore» nella prosa Il mio paese inclusa nel Sole a Picco (OPERE, p. 383), morto in Francia dove lavorava (Cardarelli ne parla a Sibilla Aleramo in una lettera del 25 aprile 1913; EPISTOLARIO II, lett. 224). 14 Cardarelli allude qui ad un lascito di £200.00 gestito dalla Fondazione Alberto Cantoni, istituita alla morte di Luigi Cantoni per sua volontà testamentaria, destinata ad «aiutare nei primi e più difficili anni giovani studiosi italiani di discipline letterarie o storiche o filosofiche» ([articolo siglato E. P.], Qual differenza, «La città di Brindisi», a. 13, n. 32, 13 ottobre 1912, p. 1). La Fondazione Cantoni e il relativo fondo furono messi a disposizione dall’ottobre 1912, tant’è che in una lettera del 7 novembre Cardarelli scrisse a Sibilla Aleramo: «quanto alla pensione Cantoni, Orvieto mi ha scritto una letterina che, sebbene non voglia essere un impegno, pure lascia trasparire assai chiaro la possibilità ch’io riesca ad ottenerla» (EPISTOLARIO I, lett 211, pp. 262-63). A distanza di tre mesi, questa lettera ci testimonia che in effetti Cardarelli non ottenne mai questa sovvenzione. Bruno Romani, nella sua monografia su Cardarelli, afferma che nel 1914 al poeta «fu assegnato una specie di pensionato (o come si dice oggi, di “borsa di studio”) istituito con un lascito di Alberto Cantoni, per giovani studiosi, e partì alla volta della Germania col proposito di perfezionare la sua cultura filosofica e sociale e tentare la strada dell’insegnamento universitario» (B. ROMANI, Cardarelli, Padova, CEDAM, 1943, p. 9), salvo fermarsi poi a Lugano per lo scoppio della guerra. L’informazione, tuttavia, viene contraddetta, oltre che dalla sfiducia del poeta espressa in questa lettera, anche dal fatto che le lettere cardarelliane del periodo luganese non accennano mai alla pensione Cantoni o ad una borsa di studio ottenuta, anzi prima di partire Cardarelli continua a chiedere aiuto ad Angiolo Orvieto per il suo mantenimento economico in continua difficoltà anche nei mesi luganesi.

78 mio paese natale, dove cioè ho vergogna di parere micragnoso più che in qualunque altro luogo, con dodici lire e cinquanta: e ci devo andare avanti fino alla fine del mese. Come va? In primo luogo la pensione è meschina, veramente per campagna, e, in secondo luogo, ho avuto molte spese straordinarie, viaggi, biancheria, qualche debituccio d’antica data etc. Questo il discorso mi servono venti lire. Non più bada bene. E intendo restituirtele quando tu verrai qui. Il passato è naturalmente salvato, almeno fino a quando io non diventerò milionario. Ma queste venti lire se me le mandi debbono essere a titolo di amichevole prestito. Ora la mia situazione non mi permetterebbe più di accettar doni come ho fatto, senza riguardo, prima. E mi rivolgo a te perchè, francamente, come tu puoi immaginare, non saprei a chi altri rivolgermi. In ogni modo ho una preghiera da farti: rispondimi prima che tu vada a Parigi, con precisione su questi due punti: la visita al cimitero di Bagneuse (anzi Cimitier Parisien de Bagneuse) e la tua venuta qui. Intanto scusandomi per la prolissità di questa lettera che t’infliggo ti stringo affettuosamente la mano. V. Cardarelli

P.S. A proposito, ho ricevuto il Windelbant15, e già, in parte, letto. Strana la mia infantile brama di sapere!

[5] Tre fogli sciolti scritti sul r e sul v.

15 Wilhelm Windelband (1848 – 1915) filosofo tedesco e professore a Strasburgo e Heidelberg che cercò di riportare in auge l’idealismo di stampo tedesco attraverso il recupero di Kant. Il suo sistema filosofico proponeva una sintesi del criticismo kantiano con l’indagine storica, al fine di individuare un sistema solido di principi di scelta e conoscenza, che egli elevò alla categoria filosofica di valori.

79 [6] Firenze, lì 8. IV. 1913

Caro Bacchelli, grazie delle presentazioni. Non so di che genere fossero le inquietudini che ti trascinarono così in fretta, l’altro giorno, a Bologna. In ogni modo io non ne rimasi affatto male; e pieno di contentezza anzi per la visita inaspettata.Tu poi non vorrei che diventassi sentimentale per influsso mio. Sotto i miei sfoghi c’è una durezza di pietra sai. Non badare. E dico questo a te a Baldini a Onofri1 a tutti. Se no sarei un lamentoso mettiamo alla Borgese. Oh il palloso di Borgese!2 E non meriterei il fato che ho. Così non vorrei che l’ultima frase: Pubblica le tue poesie etc., ti fosse stata suggerita quasi dal rimorso di non avere abbastanza visibilmente aderito alle cose che vi dissi quella sera. Sta certo che io so chi sono, e anche chi sono i miei amici. Le mie poesie compariranno. Ho, per ora, soppresso quella sul Passato3 troppo dolente. Quella prima di Corneto ha assunto una forma tutta nuova; assai più agile e chiusa (soppressione di arti agitati. Della quale agitazione mi vergogno, da uomo che sono). Ho aggiunto qualche tocco vivo a quella sul vagabondo.4 Insomma comparirò con la mia interiorità, abbastanza mascherato, nel senso tragico. E questa è per me una conquista. Come mi rimordo poi di essermi lasciato andare a una leticata, così mi fa male rileggermi in un eccessivo doloramento. E capisco la conquista formale così: come confessione energica e dominata della nostra miseria sostanziale. Ora mi dedicherò tutto al libro sulla Sardegna.5 Partirò infatti dopodomani. Se vuoi scrivermi indirizza a Corneto. Poi ti manderò il mio indirizzo. Non ho altro da dirti, se non che Orvieto mi ha proposto per il prossimo anno un impiego che mi fa pensare:

1 Arturo Onofri (1885-1928) poeta romano, fondò e diresse la rivista «Lirica» nel 1912. La sua poesia, dai toni inizialmente crepuscolari e dannunziani, si orientò successivamente verso l’esoterismo e le teorie antroposofiche di Steiner, influenze che, insieme ai modelli francesi di Rimbaud e Mallarmè, conferirono ai suoi versi una maggiore oscurità. 2 L’allontanamento da Borgese era stato preannunciato nella lett. 4 e la rottura sarà definitiva qualche mese dopo, nel novembre 1913 (vedi lett. 12), quando Borgese si risentirà del fatto che Cardarelli aveva preferito rivolgersi a Cecchi per la realizzazione di una nuova rivista letteraria (EPISTOLARIO I, lett. 254). 3 V. CARDARELLI, Passato, in OPERE, p. 55. La lirica è stata poi inserita nel corpus definitivo delle Poesie. 4 La lirica a cui si riferisce il poeta è Incontro notturno, in OPERE, p. 12. 5 Angelo Orvieto aveva commissionato a Cardarelli un libro sulla Sardegna, opera per la quale lo pagherà anticipatamente assicurandogli in tal modo il sostentamento per vivere, sebbene l’opera non verrà mai portata a compimento.

80 segretario particolare di Bemporad6 (rapporto con gli autori, editori, lettura di manoscritti, pareri etc.) Duecento lire subito. Sette ore (ahi!) di orario. Posizione – dice Orvieto – piena d’avvenire. Già, se io non fossi io. In ogni modo non so che rispondere e ho poco tempo. Tu che ne dici? Qui Amendola mi si rivela sempre lo stesso. Quindi peggio. Stasera passavo davanti alle Giubbe Rosse7. Lui era seduto ad un tavolo davanti a Papini. Dopo quanto se ne è detto insieme! Papini era, all’atto, l’uomo più naturale e disinvolto del mondo. Ma avessi veduto Amendola! Tutto nero, sostenuto ritegnoso, col cappello in testa e l’ombrello su le coscie. Come uno che siede e non siede. Ma insomma – la vita è terribile! – sedeva. E Papini Prezzolini Soffici perfino Tavolato8 tutti, sono più forti di lui. Addio, e scrivimi. Tuo V. Cardarelli

[6] Un foglio sciolto scritto su r e v, intestato: «GAMBRINUS HALLE/ FIRENZE/ BIRRERIE E RISTORANTE/ CAFFÈ CONCERTO». Lettera parzialmente citata in E. GRAZIOSI, Dai Poemi lirici ad Amore di Poesia, cit., p. 85.

6 Cardarelli si riferisce a Enrico Bemporad, figlio di Roberto fondatore della omonima casa editrice, al quale era succeduto nella direzione della società nel 1890. 7 Caffè delle Giubbe Rosse, storico caffè fiorentino fondato nel 1897 che dal 1913 divenne la sede fissa del movimento futurista fiorentino di «Lacerba». 8 Italo Tavolato (1889-1963) scrittore italiano noto per la sua produzione di aforismi; pubblicò alcuni testi su la «Voce» e collaborò con il gruppo futurista di «Lacerba» di cui fu il cofondatore insieme a Papini, Soffici e Palazzeschi.

81 [7]

Gavignana, 7. VIII. 1913

Tu scrivi come un padreterno (le lettere dico!) ed io non ho nulla da ridire. Quanto all’unità e ai suoi mali io intendevo una cosa molto più semplice. Sai che sono così poco politici! Ma per il resto hai ragione te. E, giacchè mi fai balenare la speranza di averti per qualche giorno a Gavignana, dì, perché non vieni davvero? Io sto qui sino alla fine d’agosto. Ho scritto una cosa sulle sere di Gavignana9 di cui sono alquanto soddisfatto. Ma sai che sto diventando un impressionista!? – Ho avuto uno scambio di lettere aperte con Prezzolini.10 Ho costretto quel serpe a sputar la sua bava. Ed è stata verdina come mi aspettavo. Rottura definitiva! Manco male. Se vieni quassù ti spiegherò. E senti un po’: si potrebbe avere un altro di quei miracolosi scontrini? Perché se no non posso nemmeno usar questo che è, come sai, fino a Belluno, avendo dovuto sciupar l’altro da Vancouver a Roma. Saluta tuo fratello ed abbimi per tuo affmo. V. Cardarelli

P.S. La faccenda del Carlino poi?

[7] Cartolina postale illustrata («Appennino Pistoiese – Monte Uccelliera e Corno alle Scale»), indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Forte dei Marmi»; timbri postali di partenza GAVIGNANA-FIRENZE 8.8.13.

9 V. CARDARELLI, Sera di Gavinana, in OPERE, p. 24. 10 In EPISTOLARIO I, pp. 305-306 è pubblicata una sola missiva riguardo la querelle tra i due letterati, basata, da quanto si evince, sul rifiuto prezzoliniano di pubblicare nella «Voce» un articolo di Cardarelli.

82 [8]

Roma, 23. X. 1913.

Caro Bacchelli, mi sono svegliato stamane con una idea. Fondare una rivista.1 Allora ho preso il tram e via da Cecchi. Stasera mi pare d’aver rimesso a posto il campanile di Pisa. Dunque senti. Si tratta d’una rivista critico letteraria, di rigorosa distinzione. Volevo che Cecchi fosse direttore. Abbiamo finito per tenerci alla forma del comitato di redazione: il quale dovrebbe essere composto di me di Cecchi, di te, di Boine.2 Chi darà i quattrini? Ecco il problema. Io ho pensato a Sforni3. A tale scopo ho già accennato la questione ad Amendola e domani io e Cecchi andremo da lui per ottenere la sua mediazione.4 Credo che riusciremo. Credo inoltre che faremo nel mondo della cultura e dell’arte italiana cosa nuova e seria. Intanto tu mi devi dire che accetti di far parte di questo comitato e di lavorare per la rivista; lavorare dico con la intenzione e la severità con la quale ci siamo già proposti di lavorare io e Cecchi. Ho già pronto uno schema di preventivo finanziario. Ci vogliono (compreso uno stipendiuccio per me che sarò il factotum della rivista) quindicimila lire per un anno. Data la serietà dei nomi che presento e il visibile significato antivociano e antilacerbiano (senza però scendere a trattare con certa gente) della pubblicazione, ho fiducia che Sforni ci sosterrà. Non ti posso parlare a lungo della cosa e delle grandi e nobili necessità che può investire. Forse tu le indovinerai. Il tuo nome è voluto più da Cecchi che da me, tanta è la simpatia che egli ha per te. E mi

1 Prima attestazione cronologica del progetto cardarelliano di fondare una rivista letteraria negli anni ’10 insieme ad alcuni dei futuri rondisti (si rimanda a EPISTOLARIO I, lett. 254, 257, 259, 260, 262, 263, 264 per il dettagliato excursus del progetto). 2 Giovanni Boine (1887-1917) scrittore e critico letterario ligure, collaborò con Papini fin dagli anni universitari per la collana “Cultura dell’anima” diretta da quest’ultimo. Si avvicinò all’ambiente vociano nel 1910, anno in cui progettò con Amendola e Casati una rivista che rielaborasse la crociana «Critica», sebbene il progetto finì poi per concretizzarsi solo l’anno successivo con il periodico «Anima». Nel 1912 iniziò la sua collaborazione con «La Riviera Ligure», rivista alla quale è legata la sua produzione critica più viva e più nota, pubblicata nella rubrica Plausi e botte, di cui fu il responsabile e le cui «pagine sono le più felici, forse, che egli scrisse, e quelle in cui la critica letteraria e la confessione autobiografica, la poesia e la polemica si fondono e armonizzano un modo straordinariamente suggestivo» (M. COSTANZO, Boine, Giovanni, DBI, 1969, vol. 11, p. 227). Con la collaborazione a «La Riviera Ligure» si sancisce anche il suo definitivo allontanamento dagli ambienti fiorentini della «Voce» e di «Lacerba», in aperta polemica con i rispettivi direttori Prezzolini e Papini, dei quali non condivideva più modalità e linee letterarie. 3 Gustavo Sforni (1888-1939) pittore, importante collezionista e uomo di cultura. Amico e mecenate di Oscar Ghiglia, fu vicino all’ambiente della «Voce». Cardarelli e Cecchi avevano individuato in lui un perfetto finanziatore per l’impresa della rivista, conoscendo la sua sensibilità di uomo di cultura e la sua disponibilità di mezzi economici. 4 Giovanni Amendola era in ottimi rapporti con Oscar Ghiglia, come traspare dal loro carteggio (cfr. O. GHIGLIA, Oscar Ghiglia e il suo tempo, cit.) e poteva quindi essere un buon intermediario con Gustavo Sforni, molto legato al pittore.

83 pare che il drappello sia più che simpatico. Puoi scrivere a Slataper5 accennandogli questa idea e spingerlo a darci intanto la sua adesione come collaboratore. Quanto a te, se la rivista si fonda, come spero, credo sarebbe finalmente venuta la buona occasione di passare qualche mese a Roma. Non ti pare? Pensa alle cose che potremmo fare e dire via via. La rivista sarebbe quindicinale, di carattere come dissi affermativo (blocco di scritti, di cose scritte) non polemico. Tuttavia ci riserveremo di giudicare, in un’appendice di stelloncini, certi capponi di nostra conoscenza ogni qual volta che se ne presenterà l’occasione. Manterremo però in tutto un carattere di solitudine di disinteresse pratico (sul serio). Il fatto che tutti e quattro siamo bene o male passati dalla Voce sarà profondamente significativo e ci permetterà di sentire tutto il pollaio fiorentino sotto la suola delle nostre scarpe. L’idea, insomma, mi sembra geniale e abbastanza pregna di fato storico. Tutto sta a realizzarla e a condirla poi con sufficiente praticità di mezzi e di vedute. Per tutto ciò io sono all’erta, e domando agli amici un atto di adesione e d’entusiasmo. Cecchi è tutto preso da questa iniziativa. Egli si è incaricato di scrivere a Boine, io a te. Scrivimi subito, e dimmi quando ci potremo vedere. Ti terrò poi informato di tutto.

Tuo affmo V. Cardarelli

P.S. Scrivi anche a Cecchi. Egli forse ti parlerà più minutamente di ciò che vorremmo fare.

Fermo posta.

[8] Tre fogli sciolti di piccole dimensioni scritti sul r. Numerata da Cardarelli la pagina 2.

5 Scipio Slataper, sebbene legato all’ambiente de «La Voce», godeva di una accreditata stima da parte di Cardarelli che intende quindi coinvolgerlo nel progetto della nuova rivista (vedi lett. 4).

84 [9]

Roma, 28. X. 1913

Caro Bacchelli, due righe in fretta perché io sto partendo un’altra volta per la Sardegna.1 Sarò qui di nuovo verso la fine di Novembre. L’idea della rivista galoppa, e si concreta, entro di me, sempre meglio. In sostanza sarà emanazione mia. Tanto Cecchi quanto Amendola vogliono così. Si tratterà quindi di lavorare e di cimentarsi una buona volta. Però ti prego di deciderti e di venire, per qualche mese, a Roma. Ma su tutto ciò c’intenderemo meglio quando io tornerò qui. Se mai vengo a svegliarti a Bologna. Quanto ad Amendola, d’ora in vanti, silenzio. È un valore pratico e ci serve.2 Ho incaricato, non so se te lo dissi, lui di fare le pratiche presso Ghiglia e Sforni per i capitali. È compreso della gravità della mia idea e mi aiuta sul serio. Spero che ci riuscirà. Orvieto, dopo la mia letteruccia,3 mi manda, in termini affettuosi, un vaglia telegrafico di duecento lire. Cose del mondo e fortune dei poeti. Ti riscriverò. Augura a tuo padre vittoria,4 per conto mio. Saluti dal tuo V. Cardarelli.

[9] Un piccolo bifolio, su carta color azzurrina, scritte le pp. 1 e 3; busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 29.10.13, timbro postale di partenza poco leggibile.

1 Vedi lett. 6. 2 I difficoltosi rapporti con Amendola vengono messi da parte poiché in questa fase la sua intercessione presso Gustavo Sforni poteva essere estremamente utile per ottenere il denaro necessario ad avviare la rivista. Vedi lett. 8. 3 Lettera ad Angiolo Orvieto del 23 ottobre 1913 (EPISTOLARIO I, lett. 253) in cui il poeta si lamenta delle accuse del suo mecenate in merito alle eccessive spese sostenute a fronte di un lavoro che sembrava non procedere; Cardarelli, in questa lunga lettera, espone con un tono piuttosto perentorio il suo disagio nella scrittura del reportage sulla Sardegna, non consono alla sua vena creativa, lavoro accettato soltanto per dovere nei confronti di colui che gli stava fornendo il sostentamento per vivere (vedi lett. 5, nota 6). 4 Il 26 ottobre 1913 si tennero le prime elezioni politiche a suffragio universale maschile. Giuseppe Bacchelli «una delle personalità più in vista del liberalismo bolognese […], presidente del consiglio degli Ordini Forensi» (M. C. PAVAN TADDEI, Bacchelli, Mario, DBI, 1963, vol. 5, p. 17) e già Presidente alla Deputazione provinciale di Bologna, si presentò alle elezioni divenendo deputato parlamentare.

85 [10]

Roma, 30. X. 1913

Caro Bacchelli, non ho alcuna difficoltà a scriverti subito il mio parere sulle tue liriche.1 Il quale è che le capisco e mi piacciono. Ci sei molto bene tu, col tuo curioso modo di leggere, e il tuo opaco modo di soffrire. Se fossi qui ti direi tante altre cose, ma buone; dovendoti scrivere mi limito a questa secca espressione. Quanto alla rivista non ti preoccupare: la cosa va, Ghiglia ne ha accettato l’idea con entusiasmo,2 Cecchi è tutto esilarante, siamo sicuri di riuscire in ogni senso. – Mando intanto queste tue liriche a Cecchi consigliandolo di leggerle con molta attenzione e di rileggerle. Perché non ti si dovrebbe accettare? Ma c’è qualche inezia ortografica che discuteremo, se non ti dispiace, assieme. Intanto lascia che ti dica bravo. Io partirò definitivamente domani sera. Sarò qui verso la fine di Novembre. Procuriamo per quel tempo di vederci: è necessario. Ti riscriverò dalla Sardegna. Tu per ora scrivimi, ma scrivimi: Nuoro: fermo posta. Cardarelli.

[10] Biglietto postale intestato: «CAFFÈ NAZIONALE/ PERONI & ARAGNO/ ROMA», indirizzato: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; timbro postale di partenza ROMA 30.10.13, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 31.10.13. La lettera è parzialmente citata in E. GRAZIOSI, Dai Poemi lirici ad Amore di Poesia, cit., p. 85, ma con la data erronea del 20 dicembre 1913.

1 Le liriche in questione sono quelle che andranno a costituire il corpus dei Poemi lirici, in questa fase ancora in fieri. 2 In una lettera del 21 novembre 1913 infatti, Amendola scriverà a Oscar Ghiglia: «Caro Ghiglia,[…] mi corre l’obbligo di ringraziarti per la cordiale – e spero efficace – adesione che tu hai dato alla mia preghiera relativa alla rivista – la quale, se uscirà, spero non dovrà farci pentire della garanzia morale che io e te avremo offerta per la sua esistenza. Cardarelli, che dovrebbe essere il redattore, si troverà per la prima volta in sua vita a poter vivere col compito di essere se stesso; a lavorare insomma senza dover distrarre attività per altro. Cecchi farà in essa di meglio che nella Tribuna. Ed altri ci scriveranno: per es. Boine – Io non mancherò di dare qualche scritto per dimostrare praticamente la mia solidarietà; potrei preparare ad es. uno scritto per Carlo Michelstaedter. Se tu potessi – per la stessa ragione – dare qualche pagina si andrebbe benissimo – Ed avremmo, oltre a tutto, un luogo pulito di resistenza ed eventualmente di iniziativa critica. Tu naturalmente abbi cura di parlare a Sforni col tono di chi non chiede nulla per sé: questa è la verità, e non sarebbe giusto che noi contraessimo obbligazioni personali, laddove invece noi offriamo a Sforni l’opportunità di giudicare s’egli creda di render possibile un’iniziativa, della quale noi gli presentiamo i caratteri e gli garantiamo la serietà. Se lo credi utile, puoi mostrargli le mie lettere» (O. GHIGLIA, Oscar Ghiglia e il suo tempo, cit., p. 158).

86 [11]

Roma, 18. XI. 1913. Via degli Scipioni, 191.

Caro Bacchelli, son di ritorno dalla Sardegna, e con buone intenzioni. La mia salute non va troppo bene, ma la volontà forse è disposta ad agire. Ho fatto l’Ogliastra1 in automobile. Fortuna così ha voluto! Della Sardegna ormai sono pieno, e mi butterò quanto prima a scrivere il libro. Intanto, a parte questo, vorrei sapere precisamente da te che cosa hai deciso di fare per la rivista che, pare, vada avanti. Vieni? Così mi ha detto Cecchi. E mi piacerebbe davvero che così fosse. Evitiamo le esitazioni preliminari e cerchiamo di non discutere troppo: buttiamoci avanti. Poi sarà quel che sarà. Qui tutti vogliono sapere il programma l’indirizzo etc. che programma e che indirizzo! Non basta il semplice accordo (ma deciso) dei nostri quattro o cinque nomi a sostituire tutto ciò? E come può bastare per altri dovrebbe bastare anche per noi. Si tratta di crearci una condizione permanente di lavoro e il pungolo d’una responsabilità. Hai voglia a dire tu che si lavora anche e anzi meglio soli. La vita solitaria è uno stato di beatitudine che vuole essere perpetuamente ritrovato di là dai contatti. Se no è misera cosa, ecco perché io ammetto una grave importanza. Non solo per me ma anche per i tre o quattro amici che stimo, e quest’opera in un certo senso storica e polemica che mi accingo a compiere. Tu che ne pensi? Spero che l’avventura non ti dispiacerà. E per ora ti saluto riservandomi di tornare a parlarti dei tuoi versi e di altro. V.

[11] Biglietto postale intestato: «CAFFÈ NAZIONALE/ PERONI & ARAGNO/ ROMA», indirizzato: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; timbri postali di partenza ROMA 18.11.13, timbri postali di arrivo BOLOGNA CENTRO 18.11.13.

1 Regione della Sardegna.

87 [12]

Roma, 29. XI. 1913 Via Scipioni, 191

Caro Bacchelli, alla tua lettera rispondo con altrettanti paragrafi. I. Precipitoso nelle decisioni io sono, come sai, lento nelle attuazioni. Superfluo dire che ciò è giusto per necessità di compensi. D’altra parte non vedo perché a ritardare d’un mese o due la nostra uscita ci siano degli svantaggi. Anzi, meglio andare adagio. II. Tanto più che capitano delle sorprese come questa. Cecchi va a Firenze, parla con Prezzolini, torna sfiduciato e mi scrive una lettera negativa la quale continua per di più un sospetto atroce. Come dire che io faccio questa rivista animato da un bisogno economico preponderante.1 Eh si che ci vuoi fare, la materia obbliga, ma quando si è fiorentini impossibile vedere, prima e dopo di queste obbligazioni, la libertà d’uno spirito organicamente immune dal pericolo di esaurirsi nelle costrizioni di cui ha bisogno per agire e che volentieri riconosce. Mi spiego? Ma io zitto. Tu mi dicesti una volta: sii di quella chiara mentalità inglese che riesce a far tutto quel che vuole. Avresti dovuto dire (e intendo con ciò fare un omaggio): mentalità emiliana. III Bah, senza presumere di essere troppo machiavellico mi sforzo anch’io di fare quel che posso. Ed ora quello che assolutamente voglio è: non leticare con Cecchi per recare in porto la rivista. Poi cesseremo di essere…inglesi. III. Insieme a questa molte altre miserie attorno a me in questi giorni. Baldini scopre la sua innocente anima di ipocrita,2 Onofri la sua invidia bestiale e superbia tanto più sinistra quanto più infondata3 Borgese allarmato ed offeso dell’averlo io messo in disparte4 mi fa la camorretta e la malignità insinuata tra larghe parentesi sonore sul mio ingegno e il suo

1 In merito a tale questione Cardarelli rispose a Cecchi nella lettera del 24 novembre 1913 (cfr. EPISTOLARIO I, lett. 261), negando ovviamente la veridicità dell’ipotesi. 2 Il 30 novembre 1914, giorno successivo a questa missiva, Baldini scrisse a Cecchi: «Cardarelli, non so se con intenzione, non mi tiene per nulla informato delle sorti della Rivista» (A. BALDINI, E. CECCHI, Carteggio (1911-1959), cit., p. 31). 3 C’è da presumere che l’invidia di Onofri avvertita da Cardarelli fosse dovuta al fatto che la nuova rivista che egli stava cercando di allestire avrebbe costituito un’alternativa a «Lirica», di cui Onofri era direttore e alla quale collaboravano la maggior parte dei poeti coinvolti da Cardarelli. 4 Borgese, che non era stato incluso nel progetto della rivista, ne rimase «fortemente irritato» come aveva scritto tempo addietro Cardarelli a Cecchi, al quale spiegò anche che l’episodio aveva causato una forte controversia verbale tra loro due, conclusasi con la fine di «qualunque strascico di amicizia mia verso Borgese» (per la querelle tra Cardarelli e Borgese vedi EPISTOLARIO I, lett. 254).

88 eccezionale significato. Insomma unica colonna al mio feroce volere che da questi spettacoli trae lena, Amendola. Sarà quel che sarà ma ha almeno un pregio: la facoltà del soccorso pratico. In ciò è molto umano ed è un semplice. Con lui spero di vincere tutte le viltà che mi circondano e di riuscire a fare intorno a me un vuoto puro e costante. So bene ormai che il più grande sforzo (lavoro di ogni giorno) lo debbo chiedere a me stesso. Del resto se anche dovessi fallire al secondo numero non vorrebbe dire nulla. Avrò fatto e detto già molte cose. Ma non credo. IV. Per tutte queste ragioni mi importa assai sapere se sei ancora fermamente deciso a venire e quando. Io non ti chieggo una solidarietà a priori e indiscussa (per quanto ormai dopo tanto discorrere che abbiamo fatto assieme su tutto e su tutti ne avrei quasi il diritto). Vieni parleremo a lungo, e c’intendemmo. E se non c’intenderemo, come facesti a Decimo,5 prendi il treno e te ne rivieni. Ma è necessario intanto vederci. Che vuoi scrivere! Son cose che si scrivono una volta sola e per tutti. E prima è possibile soltanto parlarne. M’aveggo che in questa lettera i paragrafi ci stanno per modo di dire. Vuol dire che assolutamente io non riesco a distinguermi! Tanti saluti e rispondimi con precisione. Tuo

V. Cardarelli

III. Questo perché ultimamente ho fatto qualche riflessione sulla chiarezza e l’eleganza della mentalità emiliana. Ma chiarezza soprattutto stilistica. Ho conosciuto un bellissimo tipo di musicista parmense.

[12] Un bifolio di piccole dimensioni scritto sul r e sul v e un foglietto sciolto scritto solo sul r.

5 Si tratta forse di Azzano Decimo, comune in Provincia di Pordenone, ma non è nota l’occasione a cui di riferisce il poeta.

89 [13] Roma, 3. XII. 1913 Via Scipioni, 191

Caro Bacchelli, con Cecchi la questione si è risoluta1 con una sua simpatica ritrattazione (lui dice che io avevo male interpretato! Ma non fa nulla) e siamo, nella volontà di fare questa rivista, più saldi di prima. Senonchè da Firenze non si sa più niente, quantunque Ghiglia abbia dato a Cecchi, una ventina di giorni fa, l’affare per fatto.2 In ogni modo io aspetto ancora un po’: e se le cose procedono sempre così prendo il treno e vo a Firenze. A proposito: sai che sono stato a Napoli? Sfuggito al disastro per miracolo. Quanto a venire tu qui, prima vieni e più mi fa piacere. Puoi venire, credo, anche se la rivista non è ancora combinata, e stimo anzi ora la tua presenza gioverebbe ad effettuarne la riuscita. Io lavoro, un poco. Quel che è interessante sapere, è che mi vado mettendo, con la vita, tenacemente in regola. Questo mi costa sacrificio ed esercizi di sopportazione dolorosissimi e noiosi. Sono andato molto giù: me ne accorgo dalla difficile e riottosa convalescenza. Gl’impulsi, che sono la salute, rinascono a poco a poco, con una spietata esigenza di riposo. Cosicchè puoi immaginare il tormento (celato) della mia esistenza in questa aspettativa. Ho alle spalle gente che ritenendomi finito anzi il cominciare attende con un certo sarcasmo quel che farò. Intanto io sono premuto dalla voglia di fare e non posso. Ecco gli spazi in cui se la vita d’un uomo non è riempita d’un po’ d’amicizia e d’amore va a farsi fottere. Ma questa volta ti assicuro che l’ho vinta io. Tu non puoi credere che cosa nuova sia per me, dopo anni, ciò che sto provando. I miei rapporti con Baldini Onofri etc sono ormai pressoché nulli. Non li vedo molto. Ed abito assai in casa mia. Se verrai non saranno più le serate clamorose ma passeggiate come ne facevamo a Firenze qualche mattina lungo il Mugnone. Soprattutto bisognerà sul serio lavorare. Io mi rimetto in tono filosofico. Gentile è un uomo muscoloso che nessuno capisce in Italia (tanto meno, credo, i suoi scolari) perché appunto troppo cupamente

1 Vedi lett. 12. 2 In realtà, il giorno prima di questa missiva cardarelliana, Cecchi aveva scritto a Ghiglia: «Caro Ghiglia, […] di giorno in giorno, da Amendola o direttamente da te, aspettavo una qualche notizia, a proposito del progetto Sforni; ma inutilmente. Se mi manderai a dire se lo Sforni è tornato, se gli hai potuto parlare con effetto, mi farai grande piacere. Quaggiù, noi ci prepariamo; e il bisogno dell’azione, non ti pare?, ci sarebbe e fortemente. Tutti i giorni mi sento più piantato nella certezza della nostra causa; facciamo tutti di riuscire! Quando tornerò a Firenze, fra un mese o così, tu mi porterai da Sforni, vero?» (O. GHIGLIA, Oscar Ghiglia e il suo tempo, cit., pp. 160-161).

90 personale e filosofo. Ma vale dieci Croce messi assieme. Ha un punto solo su cui martella con una insistenza di vero creatore. Dobbiamo scoprirlo. Papini servirà anche a questo. Voglio riprendere Blondel e farmi tutta una coltura. Se tu vieni porta con te quanti più filosofi hai. Il primo volume del Windelbandt anche. Ti ricordi? Per Slataper sì, ma bada che niente bozzetti come ne faceva alla Voce. Vogliamo stile e non funambolismi. Fatti capire tu insomma. Sai bene qual è il pericolo dato Slataper. Vorrei trovarti una buona camera qui in Prati; quindi scrivimi con precisione la tua venuta. Ti avverto che Boine teme di te.3 Dice che se ci sei tu alla rivista non gli passerai nulla. Il timore mi sembra un po’ esagerato, no? È vero che le tue antipatie sono violente, come tu stesso dici. Ma insomma siamo esseri ragionevoli, e non dispero che c’intenderemo un po’ tutti. Questo non è camorrismo caro Prezzolini, sai bene. È tutt’altra cosa. Saluta tuo fratello e vieni presto Tuo

V. Cardarelli

Ho qui una lunga lirica di Saba,4 mandata a Cecchi, scimmiottatura delle Ricordanze, che è una vera porcheria. Costui si che è un omarello antipatico.

3 I timori di Boine nei confronti di Bacchelli erano dovuti ad alcune lettere non favorevoli che egli aveva scritto al bolognese in merito al suo romanzo Il filo meraviglioso di Ludovico Clò. Boine infatti reputava l’opera «una specie di romanzo pornografico, o giù di lì» e considerava il suo autore «una specie di esteta con intenzioni letterariamente oneste; ma non so capire come sia finito alla Voce» (G. BOINE, Carteggio. III. Giovanni Boine - Amici del «Rinnovamento», cit., 475). Il poeta ligure, quindi, aveva manifestato a Cecchi le sue remore su una eventuale collaborazione con il bolognese nella nuova rivista, in un lettera del 22 novembre 1913: «Se mettete Bacchelli nella Redazione non saran molti gli articoli che mi pubblica. Credo si ricordi di certe mie lettere un po’ feroci sul suo romanzo a fascicoli. Già nella Voce ha fatto l’inquisitore su due mie cose» (G. BOINE, Carteggio. II. Giovanni Boine - Emilio Cecchi (1911-1917), cit, p. 66). Cecchi consigliò quindi a Boine di scrivere a Cardarelli esponendogli i suoi timori in proposito, aggiungendo: «Ma credo che Bacchelli, qui, se ci vuol stare, dovrà rassegnarsi a non seccare la gente, e a capire la sua posizione rispetto a chi è, e ha lavorato più di lui» (ivi, p. 67). Bacchelli aderì al progetto della nuova rivista intorno a metà novembre (vedi lett. 11) e Boine concluse la sua piccola querelle scrivendo a Cecchi il 2 dicembre: «In fondo ti confesso che non m’ero sulla rivista-Sforni fatta illusione. Sebbene io sia convinto che del buono mettendoci insieme si potesse fare. Ma pensavo che con te ci fosse Amendola e par non ci sia. E non sapevo che s’aggregasse Bacchelli, del quale quanto a me non m’importa. Ma quello è un uomo da Voce nato e sputato. Non si capisce cosa ci abbia da fare con una rivista che le si vuol contrapporre o giù di lì» (ivi, p. 69). 4 La lirica in questione è di difficile identificazione, anche perché nel 1913 il poeta triestino, che iniziava a pensare al progetto di un canzoniere, stava tornando su liriche già composte. L’unica testimonianza d’autore in merito è attestata da una lettera che Saba inviò a Cecchi il 20 novembre 1913 (poco prima di questa missiva cardarelliana): «Mi è successo, nella crisi trentina, di risentire come attuali sentimenti di dieci anni or sono, e ne ò approfittato per mettermi con le facoltà espressive di oggi alla finestra d’allora, e rifare più o

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[13] Un bifolio di piccole dimensioni scritto sul r e sul v e un foglietto sciolto scritto solo sul r.

meno, a seconda del difetto, quelle poche liriche di Poesie che penso serbare per l’edizione della “Prima parte del mio Canzoniere”. Per il rifacimento di A mia madre mi sono anche giovato d’una primissima copia dimenticata in mano d’un amico; ed ho trovato che in quella stampata ne avevo, per una malvagia ispirazione, sciupata la linea, e gonfiato certi particolari e soppressi altri; come quello dei fanciulli molto fiorentini girovaganti la domenica dopopranzo per le vie di Firenze, che invece conferiscono molto al colore dell’insieme […]» (E. CECCHI, Mostra bio-bibliografica, Palazzo strozzi – Firenze 28 aprile- 26 maggio 1979, a c. di R. Fedi e C. D’Amico de Carvalho, Firenze, Arti grafiche C. Mori, 1979, anche in U. Saba, Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1988, pp. 1018-1019). E’ difficile quindi dedurre dalle parole Cardarelliane se Saba avesse inviato a Cecchi una lirica appena composta o magari una nuova stesura di una lirica già pubblicata ma revisionata alla luce del nuovo progetto. È’ possibile tuttavia che la lirica di cui parla Cardarelli sia proprio A mia madre, citata esplicitamente nella lettera di Saba, poiché si tratta di un testo piuttosto lungo e giocato sulle tematiche del tempo che fugge e dei ricordi giovanili, rievocazioni comuni appunto alle Ricordanze leopardiane, di cui si avvertono refrain nella tessitura dei versi. Si ricorda inoltre che un anno prima proprio Cecchi era stato l’unico recensore, insieme a Bacchelli, ad aver parlato positivamente della raccolta Coi miei occhi, primo libro poetico del triestino (E. CECCHI, Liriche di Umberto Saba, «La Tribuna», 27 dicembre 1912; R. BACCHELLI, Su un libro di versi d’un giovane triestino, cit., vedi lett. 4).

92 [14]

Roma, 22. XII. 1913

Caro Bacchelli, ti annunzio, a meno che tu non lo abbia saputo già per altre vie,1 che il progetto della rivista è fallito. Sforni non ci è stato.2 Ed ha rifiutato, sai, senza troppi complimenti. La proposta non gli è parsa pratica e non gli è parsa necessaria. Non ha avuto fiducia di noi. Ci fosse stato un Carducci, oh allora! In conclusione un fiasco per Amendola, un caso di conoscenza personale per me, una cosa, in fondo, indifferente per Cecchi,3 un piacere per molti e un su casu era preistu (come dicono i sardi) per quelli di Firenze che già lo sapevano.4 E per te? Nondimeno l’idea, quantunque in me già morta, è ancora portata in giro. Rosso,5 che ha leticato seriamente con Onofri, ne vorrebbe fare una specie di combinazione industriale per spioni. C’è un piccolo editore che potrebbe servire. Lui metterebbe duemila lire intanto. Ma, eppoi? Basta, io ti ventilo la cosa tanto perché se ne discorre. Ma dentro di me, per adesso, non vi partecipo in nulla. Prima di tutto, a sacrificare gli amici c’è sempre tempo. Finchè si trattava d’uno arcimilionario nessuno scrupolo. Avremmo fatto sempre abbastanza per compensare il suo dono. Ma questo ricorrere al mezzo estremo di una contribuzione di amici,6 non sarebbe giustificata se non nel caso d’un opera inevitabile. E io, per conto mio, conscio delle mie difficoltà, non mi

1 Cardarelli aveva già comunicato la notizia a Cecchi in una lettera dell’11 dicembre 1913 (EPISTOLARIO I, lett. 263). 2 Cardarelli, il 16 dicembre 1913, informava così Orvieto del fallimento del progetto: «ci siamo dovuti rivolgere ad un mecenate che ha considerato un po’ l’affare, senza volerlo, dal punto di vista della nostra scarsa autorità pratica e della buona riuscita» (EPISTOLARIO I, lett. 264). 3 Cecchi in effetti aveva appoggiato l’idea di Cardarelli dando la sua disponibilità per il lavoro da farsi, ma non aveva mai ricoperto un ruolo fattivo nella concreta realizzazione del progetto. L’atteggiamento di Cecchi, che andò per altro progressivamente disilludendosi sull’impresa, si evince chiaramente da quanto scrisse a Boine il 4 dicembre 1913: «Io non seguo Cardarelli nei suoi andirivieni, l’organizzazione della rivista dipende da Sforni, naturalmente, da Amendola e da lui: io do opera e lavoro, come ho promesso; tempo in discussioni non voglio perderne […]» (G. BOINE, Carteggio. II. Giovanni Boine - Emilio Cecchi (1911-1917), cit, p. 69). 4 Al riferimento polemico di Cardarelli contro «La Voce» fa da contrappunto la risposta di Boine a Cecchi a proposito del fallimento del progetto, proprio il giorno stesso in cui Cardarelli inviò questa lettera a Bacchelli: «Per la rivista Sforni di nuovo ti dirò che sospettavo. Le due lettere che mi scrisse Cardarelli su di essa sono dei vaniloqui […]. Non ci si può mettere ad una rivista con così fiacche e vaghe intenzioni. Certo che la Voce 1914 fatta secondo le “tradizioni dell’idealismo italiano” fa venir voglia di mostrar che tutti imbecilli né ciarlatani non siamo» (ivi, p. 73). 5 Pier Maria Rosso di San Secondo (1887-1956) drammaturgo, narratore e poeta italiano in contatto con l’entourage intellettuale romano e collaboratore di «Lirica». Autore inizialmente stimato da Cardarelli che invece nel marzo 1914 troncherà con lui ogni rapporto, definendolo «la scimmia furba che voleva salir sulla testa dell’uomo» (EPISTOLARIO I, p. 353). 6 Scrivendo a Cecchi dieci giorni prima Cardarelli aveva paventato la possibilità di riunire «4 o 5 amici facoltosi» in una sorta di società per azioni (EPISTOLARIO I, lett. 263).

93 sento di farlo. Di altre cose, del posto che p. e. verrebbe ad assumere Rosso nella rivista con questa combinazione, non temerei. Io ho molta fiducia nel senso di limite dei miei amici. In tutti i modi ora ho altro da fare. Trovatomi un’altra volta, finiti i mensili Orvieto, sotto la minaccia della più isolata miseria, il partito più conveniente mi è parso di buttarmi giù seriamente a scrivere questo libro7 per vedere se posso trarre qualche frutto economico. Proposito che ho già cominciato a mettere in pratica. Ma il lavoro è relativamente lungo. Non ho ancora esaurito quello, più necessario, di informazione, eppoi lo scrivere mi porterà via di sicuro almeno un mese e mezzo o due mesi. Insomma io non posso calcolare di aver finito questo libro prima della fine di febbraio. Intanto come vivere? Orvieto mi ha mandato l’estrema unzione di duecento lire oltre il pattuito. Mi vorrà mandare altre trecento lire, almeno, per vivere Gennaio e febbraio? Tenterò. Ma ho paura, e non gli potrò scrivere prima che abbia addirittura già formulato il disegno materiale del libro, per esporglielo e convincerlo che ci ho lavorato e ci lavoro, se no è un altro fiasco sicuro. Nel frattempo, siccome ho bisogno di qualche soldarello, ed ho le tasche aride, mi farebbe assai comodo che tu potessi mandarmi una piccola strenna di Natale, senza promessa di restituzione che sarebbe inutile. Non più di quel che tu possa aver per le mani. Di una cosa sola mi raccomando: della sollecitudine. Sono arrivato ad un punto che non posso più tollerare di rimanere senza un soldo in tasca. E credo che se mi dovessi ammazzare (cosa, forse, dopo le ultime esperienze, in cui ho avuto agio di constatare quali sono le ragioni ultime che la vita tira fuori contro il suicidio, impossibile) non sarebbe per altro che per ragioni economiche. Ti vorrei adesso parlare del libro. Ma non posso e rimetto ad altra volta. Stasera ho freddo sono stanchissimo con lo stomaco in ristagno e la testa vuota. Non vedi che lettera ti ho scritto? La straccerei se potessi farne un'altra. Stracciala tu, se vuoi, ora che l’hai letta. In attesa di vederti a Roma ti auguro buon Natale e ti saluto Tuo V. Cardarelli.

[14] Tre fogli sciolti di piccole dimensioni scritti su r e v, tranne l’ultimo scritto solo sul r. Busta indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; timbro postale di partenza ROMA […] e timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO […].12.13. Lettera parzialmente citata in E. GRAZIOSI, Dai Poemi lirici ad Amore di Poesia, cit., p. 85.

7 Il libro sulla Sardegna commissionatogli da Orvieto (vedi lett. 6, 9, 11).

94 [15]

Roma, 13. I. 1914

Caro Bacchelli, Baldini mi dice di aver saputo da Quilici1 che tu verrai, tra poco, a Roma. È vero? Questo mi ricorda la mia incommensurabile e sgarbata pigrizia, e mi spinge a riparare con queste due righe al mio lungo silenzio. (Lungo almeno pare a me che non so da quanto mi propongo ogni giorno di scriverti senza riuscirci). Dunque va bene per ciò che dici della rivista – e non si farà. D’altra parte io te ne avevo scritto tanto per informartene, non per altro. Per la mia posizione economica attuale, anche è fortunatamente superfluo il tuo amichevole proposito, di far qualchecosa per me nei limiti del tuo possibile. Orvieto s’è convinto che un libro sopra un paese2 non s’improvvisa e ha aderito a mantenermi per qualche altro mese. Io spero così di poter consegnare questo libro almeno alla fine di marzo, e ottenere poi da Orvieto o dall’editore qualche altro incarico simile che mi permetta di vivere indipendentemente e nomade, come ho bisogno. <…> in questo tempo ho abbastanza lavorato, sempre al libro. Il bibliotecario del senato (un sardo) s’è messo a mia disposizione, cosicché ho avuto agio di leggere e conoscere molte cose, delle quali volentieri ti parlerò appena verrai. Credo che sarebbe stato assai utile anche a te un tale

1 Nello Quilici (1890- 1940) giornalista, studioso e scrittore italiano, collaboratore dal 1909 de «La Voce» e del «Nuovo Giornale», dal 1911 scrisse per la rivista «Patria» e per «Il Resto del Carlino» per il quale fu corrispondente politico da Roma negli anni 1913-15 e direttore dal 1921 al 1923. Professore universitario, poligrafo e intellettuale, che si occupò in numerosi volumi dei problemi politici e sociali italiani dell’epoca, studiò con particolare «acume il problema della formazione spirituale dell’Italia contemporanea» (Nello Quilici: l’uomo, il giornalista, lo studioso, il maestro, con scritti di Antonioni, Baldini, Belli, Bottai, Calura, Cardarelli, Colamarino, Fortunati, Fovel, Galassi, Gardenghi, Marchiori, Nosari, Padovani, Pennisi, Visconti, Viviani, Zaghi, Ferrara, Edizioni “Nuovi Problemi”, 1941, p. 255) e partecipò attivamente ai più vivaci movimenti d’avanguardia, tra i quali quello rondista. A Roma Quilici strinse grande amicizia con Baldini e Cardarelli, che frequentò assiduamente; difatti, proprio a memoria dell’amicizia romana Cardarelli scrisse alla sorella Mariula Quilici: «egli rappresentava la nostra giovinezza» (ivi, p. 39, lettera di Cardarelli a Mariula Quilici del 4 luglio 1940). Quali fossero i rapporti di Quilici con gli ambienti intellettuali primo novecenteschi ci è testimoniato invece da Baldini: «ebbe amicissimi gli scrittori della «Voce», e tra i primi Scipio Slataper con il quale aveva vissuto adolescente giornate fervide di discussioni a Firenze e a Vienna, e Papini e Soffici. Ebbe dimestichezza fraterna con gli scrittori della «Ronda» e tra i primi Riccardo Bacchelli, col quale aveva combattuto le giovanili battaglie bolognesi della «Patria». Un sicuro istinto lo fece sempre volgere con la più viva simpatia verso quelle correnti dove maturavano le migliori energie della nuova vita spirituale italiana» (ivi, pp. 47-48). 2 Il libro sulla Sardegna commissionatogli da Orvieto (vedi lett. 7, 9, 14).

95 studio. È un cor di economia feudale. Incidentalmente poi mi sono incontrato con Cattaneo,3 gran paesista di società primie! Vieni, vieni. Tuo Cardarelli

Baldini ti saluta non avendo che fare! V. C.

[10] Biglietto postale intestato: «CAFFÈ NAZIONALE/ PERONI & ARAGNO/ ROMA», indirizzato: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; timbri postali di partenza illeggibili, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 14.1.14. La frase «Baldini ti saluta» è stata scritta a matita da Baldini stesso, mentre Cardarelli ha aggiunto a penna l’espressione «non avendo che fare».

3 Carlo Cattaneo (1801-1869) filosofo politico e scrittore italiano. Il suo pensiero filosofico si ispirava alla fiducia positivista nel progresso tecnico-scientifico, mentre a livello politico si fece promotore di una soluzione federalista per il Lombardo-Veneto di cui auspicava l’indipendenza dal governo austriaco.

96 [16]

Roma, 31.I.1914

Da una estasiante cantina romana. Saluti Vincenzo Cardarelli Nello Quilici […] (Baldini) Roma, 31.I. 1914

[16] Cartolina postale illustrata («Antico Tinello, vini scelti di Frascati, MORETTI FILIPPO, Foro Traiano 4 - vicolo chiuso»), indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; timbro postale di partenza ROMA FERROVIA I.II.1914.

97 [17]

Roma, 23.II. 1914

Caro Bacchelli, io delle tue cose1 sono semplicemente entusiasmato. Le scrivo, vale a dire le leggo, a modo mio. Ma non conta. Le ho mandate a memoria e le vo dicendo qua e là con successo. È cosa che non ti deve allarmare. Io sono, nelle mie indiscrezioni, di un acrobatismo meraviglioso, e cado, come le farfalle, dove so e dove debbo. Anche degli altri frammenti ne so uno, gli adolescenti,2 che uso dire spesso ed è già, tra alcune persone, conosciutissimo. Sapessi quanto mi piace avere qualche amico da presentare! Talvolta provo un senso di malinconia pensando che forse io sono destinato a rappresentare nella cultura una di quelle parti di suggeritori o proclamatore che son tanto generali quanto sterili di risultati propri. Ma, fortunatamente, il mio spirito è pieno di feccie concupiscenti e di risvegli predaci. Così posso indugiarmi a fare anche il Lizt3 o l’Eckerman4 senza paura, anzi con pieno e puro godimento. Tu dunque vuoi pubblicare? E ti rivolgi a Cecchi? Ingenuo. Cecchi ha digrignato i denti venti giorni prima di riuscire a dirmi che nelle mie liriche c’era qualche ritmo realizzato. Non t’impeciare in polemiche con lui. Bisogna aspettare che lui venga, e non scrivergli. E quando viene stare attenti a non beverne troppo. Piuttosto sai cosa ho pensato? Fare un fascicoletto di saggio (cose mie tue e di Baldini che fa lirica anche lui, battuta un po’ sul mio metro, ma che va). Io scrivo due righe, specie per te, per preparare il lettore a scoprirti, d’introduzione. Una trentina di pagine. C’è l’editore di Lirica5 che ci stampa gratis. Una cosa originale. Da mettere la

1 Bacchelli in questo periodo stava lavorando ai Poemi lirici che usciranno nel novembre del 1914. 2 Cardarelli si riferisce a Memorie d’adolescenza, che includerà poi nei Poemi lirici del 1916. 3 Franz Liszt (1811-1886) pianista, compositore e direttore d’orchestra ungherese. Uno dei più grandi esponenti della musica romantica, raggiunse un acclamato successo in tutta Europa rivoluzionando la tecnica pianistica. Nel 1840 conobbe Richard Wagner, con il quale instaurò una forte amicizia (attestata anche in questo caso da un intenso carteggio), incontro che rivoluzionò la sua carriera pianistica rendendolo uno dei più accesi sostenitori e promotori dell’arte totale wagneriana. 4 Johann Peter Eckermann (1791-1854) scrittore tedesco che si guadagnò la stima di Goethe il quale, dopo averlo assunto come collaboratore e segretario, gli affidò la curatela delle sue opere postume. Eckermann deve infatti la sua fama all’opera Gespräche mit Goethe in den letzten Jahern seines lebens (Colloqui con Goethe negli ultimi anni della sua vita), testimonianza fondamentale sull’ultimo decennio di vita e pensiero del poeta tedesco. Citando questi due personaggi Cardarelli allude al fatto che vorrebbe essere per Bacchelli l’equivalente di Liszt per Wagner o di Eckermann per Goethe, conferendo quindi non poca autorità al suo ruolo di promotore dell’opera dell’amico. 5 «Lirica», rivista letteraria fondata nel 1912 da Arturo Onofri e Umberto Fracchia. Cardarelli ne fu uno dei più attivi e assidui collaboratori.

98 zucca dei critici sopra un fatto nuovo. Ti va? Non hai allora che da mandarmi tutto quello che vuoi e che più ti piace. Ma dovresti venire, perbacco. Io non ho pazienza di scrivere, bisogna parlarci. Ho un sacco di cose da dirti sulla tua poesia. Vedrai che critico intelligente sono io! Forse alla fine del mese vado a Corneto per una quindicina di giorni con una donna (la maestrina). Vogliamo vederci li? Addio. Non ti parlo ora delle mie condizioni pratiche. Ma che importa? Se riesco a fare meglio, con un po’ di poesie tutto mi sarà perdonato. Tuo. V. Cardarelli

Inutile dirti che apprezzo sempre di più la tua precisione di giudizio sulle mie cose. Dico per quella frase: bellezza drammatica.

[17] Biglietto postale intestato: «CAFFÈ NAZIONALE/ PERONI & ARAGNO/ ROMA», indirizzato: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; timbri postali di partenza ROMA 23.2.14, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 24.2.14.

99 [18]

Roma, 6. III. 1914.

Caro Ludovico Clo,1 subito dopo la tua lettera ti avevo risposto lungamente e con la solita confidenza. Ma ecco che la sera, in un osteria, quando avevo ancora la mia lettera in tasca, mi trovai ad avere finalmente tra le mani i fascicoli del tuo romanzo. Siamo stati, in parecchi, in mezzo a un frastuono del diavolo, fino al tocco, dopo mezzanotte, a leggere e rileggere alcune pagine che Quilici c’indicava. Leggevo io. E andai a letto più briaco di te che del vino. È stato così che prima di risponderti ho chiesto a me stesso un congruo periodo di riflessione, lasciando da parte quella lunga lettera che ti avevo scritto. Né ora come puoi immaginare ti dirò nulla. Ti basta sapere che la mia meraviglia nell’essermi dovuto trovare a scoprire un uomo, dopo due anni che lo conoscevo. Un fatto simile non poteva accadere che a due penosi egoisti quali noi siamo. Monadi senza finestra! Ma basta. Io del fascicolo adesso non penso si debba far più nulla.2 Lo farei tutto di te se credi, e se ne valesse la pena. Ma ti dovessi dare un consiglio ti direi: - aspetta di pubblicare il poema intero, o tanti frammenti da poterne fare un volume,3 e intanto, senza paura, ripubblica questo filo meraviglioso com’è. Bada io tutto non l’ho letto. Ne ho letto bensì la più parte e alcuni squarci (o somma gioia!, il principio, l’affare con Lilion,4 e altre passeggiate) cinque o sei volte, ma tutto intero non mi pare di averlo letto. Cosicché non so se a rivedermelo tutto squadernato davanti cambierei giudizio, ma non credo. Per ora io questo penso che andrebbe fatto. In ogni modo ci sto meditando un articolo che manderei, o al Marzocco5 o al Carlino.6 E allora saprai quello che io stimo di te. C’è stato un tempo che tu, mi hai detto, subivi un

1 Lo pseudonimo con cui Cardarelli apostrofa Bacchelli è il nome del protagonista del romanzo di quest’ultimo Il filo meraviglioso di Ludovico Clò, pubblicato in fascicoli a Bologna nel 1911. L’opera non aveva avuto una larga diffusione poiché era stata pubblicata «in sei dispense vendute per abbonamento» (A. Briganti, Riccardo Bacchelli, Firenze, La Nuova Italia, 1980, p. 14). L’autore inoltre raccontò a tal proposito: «Quando divenni intrinseco di Cardarelli, Baldini, Cecchi, mi guardai bene dal dir loro che avevo già pubblicato un romanzo. Lo scoprirono sa sé e ne rimasero tutti stupiti ed entusiasti» (ivi, p. 3), come si evince infatti da questa missiva. 2 Vedi lett. 18. 3 Bacchelli avrebbe pubblicato infatti a novembre dello stesso anno i suoi Poemi lirici, mentre non avrebbe più ripubblicato il romanzo. 4 Protagonista femminile de Il filo meraviglioso di Ludovico Clò. 5 «Il Marzocco», rivista letteraria fiorentina, fondata nel 1896 da Angiolo e Adolfo Orvieto. Diretto all’inizio da Enrico Corradini, il settimanale seguiva un chiaro indirizzo estetizzante e dannunziano (il titolo infatti venne scelto da D’Annunzio) seguendo le teorie simboliste e antipositiviste primo novecentesche. Cardarelli venne assunto come redattore dal «Marzocco» nel 1911. 6 «Il Resto del Carlino». Il proposito cardarelliano di scrivere l’articolo rimase in realtà incompiuto.

100 po’ la mia soggezione. E c’è stato ora un momento che io ho avuto paura di te. Son cose che bisogna dirsele. Adesso io, senza accettare la tua consolazione in articulo mortis del Socrate senza Platone, guardo a te con molta serena compiacenza non disgiunta da una certa mefistofelica gioia di conoscere i tuoi limiti. E addio caro Riccardo. Lavora. Il che non è un augurio né un incitamento ma un affettuoso secondamento. Ieri mattina venne da me Cecchi. Ha letto con me alcune cose tue. Gli ho detto i tuoi ultimi frammenti. Abbiamo parlato a lungo di te. Ho capito che ti capisce e ti stima come una cosa profonda, vale a dire come una cosa esistente. Quando vieni a Roma (e te lo dico sapendo che certe cose ti fanno sorridere) hai già una piccola posizione fatta. Ma io non ci sarò. Già, io bisogna che me ne vada subito in campagna, se voglio un po’ lavorare e mantenere il mio impegno con Orvieto, il quale ha accettato ancora una dilazione, a patto però che vada in solitudine, e ha ragione. Così senti. Tu mi hai spesso parlato di quella tua casa a Forte dei Marmi.7 Chi c’è? Potrei per qualcuno di questi mesi abitarla? S’intende che io non ti chiedo altro. E non ti sto a dire quanto sarebbe grande il beneficio che a me verrebbe da un tale favore. Ma bada. Io accetterei solo a patto che non ci fossero ombre paterne o che so io nella concessione. Perché non c’è di peggio che sentirsi tollerati in casa d’altri. Perciò tu che sei così schietto non avrai, credo, ritegno a parlarmi liberamente, come non ti offenderai di questo pregiudizio che manifesto (e non è un pregiudizio ma un delicato timore) sulla cordialità della tua famiglia. Se si combinasse colà poi, bisognerebbe che tu mi venissi a installare per due o tre giorni. In tutti i casi dimmi quanto costa di questi mesi la vita a Forte dei Marmi e se c’è qualche altra cosa che io potrei abitare fuori del paese, che dentro mi dicono ci sia il rumore dei marmi. Rispondimi subito e abbimi ora più che mai per tuo amico V. Cardarelli

[18] Due fogli sciolti scritti sul r.

7 Cardarelli non si recò più a Forte dei Marmi per lavorare al libro, ma tornò a Settignano, come spiegò ad Angiolo Orvieto il 18 marzo 1914: «Caro signor Angiolo, io sono da qualche giorno qui a Settignano. Non potendo andare a Forte dei Marmi il mio amico mi ha fatto tener presente la difficoltà di abitare una casa lontana dal paese, sguernita di tutto il necessario e senza servizio, venir quassù era il meglio che potessi fare» (EPISTOLARIO I, lett 270).

101 [19]

Roma, 7. III. 1914

Caro Bacchelli, mi sto accorgendo che la nostra amicizia ci segue, cresce con noi. Ti pare poco significativo? Ma ora lasciamo stare le cose serie. Se avessi tempo vorrei precisarti il tono della mia lettera che non era di distacco, sebbene di distinzione, e tutto a tuo vantaggio, perché il più egoista fra noi, in fondo, sono stato io, e in modo vizioso, non al tuo bel modo laborioso ed attento. Con quella cattiveria dell’articulo mortis, non tanto a scriverla quanto a pensarla, non ti ho voluto dire che il male che mi son fatto, vivendo tanto tempo in abbiezione. La fede che dimostri ancora in me non potrei accettarla se non stessi, come davvero sto, uscendo da una formidabile crisi di virilità. Mi apparecchio a molti mesi di solitudine con l’animo giocondo e gonfio di gestazioni. Però non vorrei parlare e desidererei piuttosto un accompagnamento di contestazioni e di dubbii che di fiducia inerti (e bada che questa non è per te). E ripeto, lasciamo stare questo, e anche Ludovico Clo, cosa assai più seria di quel che tu non stimi, e senza (almeno da parte mia) amplificazioni. Volevo dirti della tua venuta a Roma. Sì, io ti aspetto felice di poter vivere, prima di andarmene, gli ultimi giorni romani con te. Non appena ricevuta questa lettera tu non hai che da prendere il biglietto e venir via. Siamo intesi? Perché io ho il denaro contato, e Orvieto mi sorveglia, e d’altra parte io stesso sono smanioso (ma non a tal punto da rinunziare a te, no) di fuggire da questa mia galera d’inverno. (Ricordi nel Canto d’autunno1 un’immagine di Baudel.? «E il mio cuore, come il sole nel suo inferno polare, non sarà più che un disco rosso e freddo». Così io, a Roma.) Dunque telegrafami subito il tuo arrivo, e io ti aspetto in piedi a casa, che, suppongo, sarà di mattino. Ciao. Non so ancora dove andrò. Tu forse potrai consigliarmi. Tuo. Vincenzo.

[19] Un foglio sciolto scritto solo sul r. Busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna», timbri postali di partenza ROMA –BOLOGNA 8.3.14, timbro postale di arrivo BOLOGNA TELEGRAFO ESPRESSO 9.MAR.14.

1 Cardarelli cita a memoria alcuni versi del Canto d’autunno di Baudelaire, lirica raccolta ne I fiori del male.

102 [20]

Settignano, 22. III. 1914

Caro Bacchelli, non dimenticare i libri, e mandami anche alcune copie del Carlino, che io ne ho prese quattro e ora non ne trovo più. Che ne dici di quell’art.?1 Bah. Gargiulo2 è sempre così. Ma è preferibile agli altri. Hai visto che curiosa neutralità? Cita B. C. O.3 per ordine alfabetico. C’è tutto Gargiulo qui. Ma le ha sonate bene a tutti in fondo. A Borgese poi non ne parliamo.4 Ha vendicato tutta la mia bile di due settimane. E anche con Baldini è stato quel doveva essere. Chissà che ne pensa il buon Bismarch.5 Io m’indugio a parlarti di queste cose perché sento di dover tacere su tutto il resto. Tu però dimmi come va il tuo lavoro, e se sono venute le ragazze del circo tedesco, voglio dire del seguito Busoni.6 Forse più in qua io potrò dirti qualcosa di mio. Saluta tuo fratello. Tuo. V. C.

[20] Cartolina postale italiana indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; timbri postali di partenza SETTIGNANO (FIRENZE) 22.3.1914, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 23.3.14.

1 A. Gargiulo, Gli scrittori della rivista «Lirica», «Il Resto del Carlino», 21 marzo 1914. In questo articolo il critico prende in esame la produzione in prosa e poesia inclusa nel numero unico di «Lirica», uscito a Natale del 1913, fascicolo nel quale Cardarelli aveva pubblicato sei liriche, raccolte sotto il titolo I miei Discorsi (Un mattino, Homo Sum, Sera di Gavignana, Incontro notturno, Adolescente e Tristezza). 2 Alfredo Gargiulo (1876-1949) critico letterario italiano il cui esordio e tirocinio letterario avvenne sulla «Critica» crociana dal 1904 al 1910, per la quale si occupò soprattutto di recensire pubblicazioni tedesche di estetica e opere teoriche di storia dell’arte. Nel 1907 iniziò a collaborare con «La Cultura», per la quale, dal 1909, si occupò anche del dibattito politico-ideologico e di letteratura contemporanea. L’eterogeneità dei suoi interessi lo portò gradualmente ad allontanarsi dal metodo e dall’estetica crociana, fino a sviluppare un proprio sistema critico autonomo «basato sull’esame formale del prodotto artistico, in particolare nei suoi rapporti con l’ispirazione dell’artista (rievocata e ricostruita dal critico)» (D. PROIETTI, Gargiulo, Alfredo, DBI, 1999, vol. 52, p. 302). Divenuto amico di Cecchi, nel dopoguerra si avvicinò all’ambiente de «La Ronda», con la quale collaborò dal novembre 1919. 3 Baldini, Cardarelli, Onofri. 4 L’articolo del Gargiulo sottolineava, con parsimonia ed equilibrio, risultati ottenuti e potenzialità da sfruttare dei tre poeti citati (Baldini, Cardarelli, Onofri) sottolineandone, laddove necessario, fragilità poetiche e defaillance compositive, soprattutto nel caso di Borgese, a proposito del quale scrisse: «Il Borgese, che ha larga rinomanza come critico, che molto ha lavorato nel campo della critica, e che molto si è impegnato nel vaticinare all’Italia una poesia nuova dalle radici affondate nell’odierno idealismo filosofico, ha dato pessimo l’esempio» (A. GARGIULO, Gli scrittori della rivista «Lirica», cit., in ID., Letteratura italiana del Novecento, Firenze, Le Monnier, 1940, p. 377). 5 Bismarck era il secondo nome di Antonio Baldini (il padre era un fervido ammiratore dello statista tedesco). Nei primi scritti pubblicati in rivista Baldini si firmò sempre con il doppio nome. 6 Potrebbe trattarsi di Dante Michelangelo Benvenuto Ferruccio Busoni (1866-1924) pianista, compositore e direttore d’orchestra italiano; scrisse anche alcune opere teatrali, le più famose delle quali sono Arlecchino e Turandot. Nel 1914 si trovava a Bologna con l’incarico di direttore del Liceo Musicale.

103 [21]

Settignano 10. IV. 1914

Caro Bacchelli, un certo Seb. Timpanari,1 su un cartoncino dell’Arduo2 («Giornale di Pensiero») mi scrisse da Bologna domandandomi le mie pubblicazioni in prestito e qualche notizia autobiografica perché intenzionato, pur non conoscendo di mio che la «bella lirica Adolescente»,3 a fare uno studio su me. D’ingenui o pazzi o cattivi burloni ce ne sono di molti al mondo, perciò ti prego di dirmi subito chi è questo signor Timpanari, se lo conosci, se sei tu che gli hai dato il mio indirizzo. Un curioso uovo di pasqua, no? Hai visto l’art. di Cecchi?4 A me ha fatto piacere soprattutto per quelli che mi avranno invidiato. Del resto, a parte qualche restrizione credo eccessiva, Cecchi è stato con me di una cordialità che mi ha quasi commosso. Sai che anche Prezzolini, sebbene a denti stretti, riconosce il valore dei miei versi? Vedi che la tua fiducia non era giustificata. Cecchi è stato da me l’altro giorno. Era molto preoccupato. Io l’ho mezzo rincoglionito leggendogli il mio dialogo dello scettico, al quale posso dire di aver posto termine (non manca che l’ultima pagina).5 E così, m’avvezzo di averti dato anche quasi tutte le informazioni più importanti. Ma ancora due: - ho comperato Hegel6 (poetica, Forme artistiche, Filosofia

1 Sebastiano Timpanaro (1888-1949), padre e omonimo del noto filologo novecentesco, importante critico letterario e uomo di cultura della prima metà del Novecento. Fu il fondatore delle riviste «L'Arduo» e «L'Alba», e assiduo frequentatore del Caffè delle Giubbe rosse. 2 «L’Arduo», rivista mensile di scienza, filosofia e storia fondata nel 1914 da Sebastiano Timpanaro, insieme a Bruno Biancoli e Orazio Specchia. Pubblicato a Bologna dal gennaio al dicembre 1914, avrà un’uscita unica nel maggio del 1919 sulle rivendicazioni italiane nella questione bellica, per riprendere poi con la seconda serie nel luglio del 1920 pubblicata con regolarità dal 1921 al 1923. Tra i maggiori collaboratori della rivista si ricordano Luigi Russo, Adriano Tilgher, Piero Gobetti, Giuseppe Saitta, Guido De Ruggiero. 3 V. CARDARELLI, Adolescente, in OPERE, p. 9. 4 E. CECCHI, I giovani, in «La Tribuna», 10 aprile 1914. Con questo articolo Cecchi divenne il primo critico di Cardarelli. 5 L’ultima lezione dello scettico, dialogo filosofico mai ultimato e a tutt’oggi perduto, a cui il poeta lavorava dal 1913. Nella prosa Primi passi, raccolta nel Sole a Picco, Cardarelli scriverà a proposito di questo dialogo: «In quell’epoca scrissi anche una commedia intitolata: Per diverse vie. […] Questa commedia l’ho smarrita, insieme con una lunga novella e un dialogo filosofico scritto in tempi ormai più maturi, da cui scaturirono alcune pagine del mio primo libro. L’avevo intitolato L’ultima lezione dello scettico ed era forse niente altro che un risentimento dell’Apologia di Socrate e del Fedone. Di tutto ciò che posso aver scritto in quel guazzabuglio lirico-filosofico rimangono le pagine che ho dette, alcuni versetti coi quali si apre il mio libro di poesie («La speranza è nell’opera ecc.») e una frase inedita che mi si vorrà permettere di salvare dal provvidenziale naufragio: «Lasciate che venga l’ora della passione e vedrete come il genio è lucido e ragionativo» (OPERE, pp. 441-442). 6 Cardarelli si riferisce all’opera principale del celebre filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770 – 1831), la Fenomenologia dello spirito, in cui il filosofo affrontava il problema dell’Idea e del rapporto tra soggetto e oggetto attraverso la logica, la filosofia della natura e la filosofia dello spirito,

104 Natura) e sono innamorato. Forse quest’anno sarà decisivo. Parleremo meglio appena ci rivedremo. Dimmi di te, e rispondimi subito, e saluta il tuo caro fratello. Tuo V. Cardarelli

[21] Un foglio sciolto scritto solo sul r.

attraverso la quale si occupava appunto delle declinazioni e manifestazioni del soggetto in rapporto ai campi dell’arte, della storia, dello stato e della religione.

105 [22]

Settignano, 17. IV. 1914

Caro Bacchelli, ho scritto al Timpanaro.1 Gli ho mandato anche un mio scritto, quello sul Tasso.2 Poi gli ho detto che a te avrebbe potuto chiedere le liriche3 e il metodo estetico.4 Se te lo chiede daglieli e mi farai un piacere, io naturalmente ho risposto al Timpanaro per cortesia, e tanto per non avere delle innaturali purità catoniane, ma non vorrei uno studio, per carità, mi contenterei d’una nota intelligente sopra una falsariga che gli ho io stesso accortamente indicato. Vediamo che ne uscirà. E se nulla, sarà lo stesso. – Dunque ti volevo domandare: si va o non si va a Roma? Scrivimi in modo preciso, e procuriamo d’andare. Io quaggiù mi sono alquanto scocciato e sento il bisogno d’un po’ di distrazione. Se si va bisognerebbe partire o il venerdì sera o il sabato mattina. Meglio sarebbe che si partisse il sabato mattina da Bologna col primo treno. Io vengo alla stazione si fa colazione a Firenze e si riparte col diretto delle due. Non dico bene? L’ottimo Orvieto per avere il libro sulla Sardegna5 ha ricorso all’estremo espediente di farmi avere un colloquio con Pasquale Villari.6 Ora sono impegnato per la più veneranda stretta di mano che abbia mai avuto. Si contentano intanto di un capitolo. Buona gente! Procurerò di farlo appena di ritorno da Roma. Questo mio impegno con Orvieto sta diventando un caso di dipendenza sociale molto curioso. Meglio non pensarci. Ti parlai l’altra volta del mio amore.7 È proprio così, caro amico. Invecchiando impazzendo, dicono al mio paese. Ma sai che scopro adesso un paesaggio insospettato! Il fatto è che dentro quest’anno bisogna che lei venga con me, e ci verrà, se no non resisterei a starle vicino. È una cosa geniale!

1 Vedi lett. 21. 2 V. CARDARELLI, Il Tasso, uomo, «Il Marzocco», 23 giugno 1912, p. 4. 3 Le sei liriche pubblicate sul numero di Natale 1913 di «Lirica», vedi lett. 20. 4 V. CARDARELLI, Metodo estetico, cit. 5 Vedi lett. 6, 9, 11, 14-5. 6 Pasquale Villari (1827-1917) importante storico italiano, fino al 1913 fu insegnante di storia moderna e di propedeutica storica nell'Istituto di studi superiori di Pisa. Ministro della Pubblica Istruzione durante il primo gabinetto Rudinì, presiedette la società «Dante Alighieri» dal 1896 al 1903, oltre ad essere membro dell’Accademia dei Lincei dal 1878 al 1910. Tra le ultime opere storiche pubblicate si ricordano Le invasioni barbariche in Italia (1901) e L’italia da Carlo magno ad Arrigo VII (1910). 7 Finita la storia con Sibilla Aleramo Cardarelli avrà diverse avventure amorose delle quali però non si hanno sufficienti notizie per avanzare identificazioni certe.

106 Non ti parlo del mio lavoro perché ho passato due giornate terribili, e la scioltezza quasi allegra di questa lettera ne è una triste conseguenza. Ma sono sicuro ormai che riuscirò presto a mettere assieme un libro dopo il quale potrò, come te e Baldini giustamente profetaste, riposarmi. Intanto non vivo che di volontà e di speranza. Rispondimi subito perché o da chiedere i quattrini a Orvieto- Tuo V. Cardarelli

Ho visto che tuo fratello ha poi esposto a Roma.8 Secondo me avete fatto male. Salutalo.

[22] Un bifolio di piccole dimensioni scritto su tre facciate (1-3). Busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; timbri postali di partenza SETTIGNANO (FIRENZE) 18.4.14, timbro postale di arrivo 18.4.17.

8 Dal 13 aprile al 25 maggio 1914 si tenne a Roma la prima "Esposizione libera futurista" nella quale Mario Bacchelli espose le sue opere insieme a Morandi, Depero, Sironi, Prampolini, Rossi, Zanini, Rosai, Martini, Griselli, Archipenko, De Fiori.

107 [23]

Firenze, 6. V. 1914

Caro Bacchelli, mutamenti nella mia vita. Quella è stata cacciata di casa.1 In seguito appunto all’incontro che facemmo quella mattina. Ora mi scrive da Pisa, impaurita di ciò che è accaduto, e domandandomi consiglio. Che vuoi che rispondessi? Che sessista, dal momento che certe cose non debbono avvenire per ischerzo. Vedremo come finisce. Intanto io, preoccupato della cosa, ho scritto a Orvieto pregandolo di additarmi un qualsiasi modo pratico di vivere.2 Ecco quel che mi capita. Orvieto mi spedisce a un suo amico di vicino Mantova che ha una villa deserta, dove io resterò ospite per alcuni mesi. Lui intanto svincolandomi dall’impegno del libro seguita a mandarmi un centinaio di lire ogni mese per il vitto. L’idea mia ha lusingato e partirò subito domani o dopodomani per Mantova. Però siccome le stanze dove alloggerò non sono in ordine e dovrò giungere con un preavviso di qualche giorno, invece di restare a Settignano dove seguiterebbero a correre i giorni dispendiosi o aspettare a Mantova parto da Bologna e mi fermo due o tre giorni in casa vostra. Approfitto così dell’invito. Va bene? – Adesso non ti parlo di altro. La mia salute va sempre male. Poco fa alla Leonardo,3 aspettando Orvieto, ho ispezionato un po’ il mio corpo all’uso tuo. Vi sono dei ristagni torbidi e cocenti di sangue nelle mie vene. Circola male, questo è il difetto. Ma se stessi un po’ fermo, dico con l’attenzione e con la volontà, sono sicuro che il difetto non è assoluto. Ecco perché tento ancora l’estremo rifugio di questa villa con una discreta speranza. Che proprio proprio io debba esser finito del tutto? L’altra sera mi son buttato sull’erba moribondo. A poco a poco ecco il mio vile corpo destarsi in una sciocca presunzione creativa. Così mi frego. Basta che mi butti giù un momento sul serio per annullarmi e subito tutte le tentazioni della vita rifluiscono senza misericordia. Ho pensato che la mia fatica è proprio questa: di non potermi riposare mai senza immediatamente scoprire nelle cose che mi stanno intorno un’intenzione di poesia. – Basta, è meglio che ne riparliamo di queste cose perché ora non mi va più di scrivere. Ho scritto stamane a

1 Vedi lett. 22, tuttavia la donna e l’avvenimento a cui Cardarelli si riferisce non sono noti. 2 Lo stesso 6 maggio 1914 Cardarelli scrisse infatti al suo mecenate: «Dica dunque lei cosa debbo fare. Io son pronto ad uscire da questa situazione in qualunque modo, anche accettando un lavoro pratico che a lei le piacesse di propormi» (EPISTOLARIO I, lett. 279, p. 355). 3 «Leonardo», associazione culturale fiorentina legata all’ambiente del «Marzocco».

108 Timpanaro4 cercando di metterlo io in carreggiata. E se ha buone orecchie deve aver sentito. Con la speranza di poterti rivedere senza disturbarti ti saluto affettuosamente. Tuo V. Cardarelli

Ora dalla Lombardia conoscerò l’Emilia un po’ più intimamente e credo che farà bene anche per la nostra amicizia.

[23] Un foglio sciolto scritto solo sul r, intestato: «GAMBRINUS HALLE/ FIRENZE/ BIRRERIE E RISTORANTE/ CAFFÈ CONCERTO». Busta intestata: «GAMBRINUS HALLE/ FIRENZE », indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; timbro postale di partenza FIRENZE – FERROVIA 6.V.1914, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 7.5.14.

4 Vedi lett. 21 e 22.

109 [24]

Cremona, 17. V. 1914. Indirizzo: Cremona - fermo posta

Caro Bacchelli, sono scappato da Belfiore.1 Ho trovato un altro ebreo tutta cortesia e familiarità. Mi aveva preparato due stanze in pieno podere, nello stesso casamento dei contadini. Due stanze con un odore tombale di nuovo e di disabitato. È lì sullo stradone. Tu sai pressappoco che cosa è lo stradone della pianura lombarda, specie se in vicinanza della città. C’è casa dappertutto e non c’è stabilità in nessuna parte. Casotti, osterie, spacci, paese, tutto diffuso, tutto sparpagliato, tutto polveroso. Non mi sono mai sentito così solo e randagio come in questa infinita pianura battuta e popolata. Io vivere li? Passar l’estate a quei solleoni? Io che non vado in bicicletta, non mi diletto a remare sulle paludi? E in quella casa vuota, dove la sera son solo, chiuso dentro fin dalla porta da basso che si spranga con tre paletti, e invece della persiane ci sono degli usci verdi di legno alla finestra come in una rimessa o in un fienile? Tra questo idiota contadiname di pianura che non mi capisce? Vera ascesi tolstoiana da proporre a qualche milionario di sentimento. Io intanto ci ho passato la più lugubre notte della mia vita. Qualcosa di simile credo che provai a Firenze l’ultima volta che vidi Sibilla. Uno sbigottimento infantile, uno svenimento gelido con fricazione quasi di coscienza. Non so se ho dormito. Non so cosa mi sia accaduto. Stamane quando ho riacquistato i sensi ero vergato alle gambe e volevo rimanere a morire sul letto. Immagini tu un mattino che non da voglia di levarsi? Ma allora mi sono alzato di scatto, mi son messo le uose2 della Sardegna e via sulla strada alacre senza sapere bene dove andassi. Mi sono reso ben conto. Donne che stan qui certamente perché l’uomo si possa salvare dalla monotonia e dalla noia della terra. Non ne ho mai viste di così asciutte ed intense. Verso Curtatone3 veniva contro me sotto le acacie un pezzo di adolescente seminando con una grande paglia molle sulla testa che la faceva somigliare ad una figura neoclassica leggermente pervertita da una sensuale movenza rococò. Non aveva scommetterei che la sopraveste. Vedendo me si è raccolta su quel lieve sostegno tutta la ricchezza delle anche e ha cominciato a correre quasi timorosa del mio desiderio. Invece

1 Belfiore, quartiere della città di Mantova. 2 Le uose sono un tipo di ghette molto diffuso nella moda maschile sino alla prima guerra mondiale, segno distintivo di particolare eleganza. 3 Curtatone, comune in provincia di Mantova.

110 io, avevo altro per la testa. Camminando, camminando ho deciso di scappare. Ad un osteria ho scritto ad Orvieto.4 Vado a Uscio.5 Voglio guarire sul serio, sono stanco di errare. Sono stufo di cercar mezzogiorno alle due. Gli chiedo altre lire quattrocento. Se ci sta bene. Se non ci sta vado via lo stesso, anche a piedi. L’unico bello di queste strade è che invitano a camminare a piedi (onde, io credo, la naturale romantica avventurosità di questa gente «dal focolare alla strada»). Vediamo cosa mi risponde. Il Moccia poveretto ha fatto del suo meglio. Lui mi passava il latte, caffè zucchero vino etc. non gli pareva vero di avermi qui e sarebbe venuto spesso a trovarmi. Mi avrebbe aiutato a entrare nel giornalismo mantovano. Chissà poi che intanto non gli avessi potuto esplicare qualche benigna attenzione sui suoi contadini. Bontà timidità piccoli calcoli inconvenienze offensive, tutto è indistinto nell’animo dell’ebreo. Ma gli sono scappato. E non avendolo trovato in casa gli ho dovuto per di più annunziare la mia partenza per lettera. E immagino il viso che avrà fatto, lui che, poveretto, mi si è tanto prestato. Il fatto è che ora qui penso alla sua sbalordita ingenuità con una specie di compassione. E ho rimorso della mia forza così poco riguardosa, ogni volta che si manifesta. Adesso che accadrà di me? Aspetto qui la risposta di Orvieto. Poi ti scriverò. Sono stato una gran sorpresa per mia sorella,6 e conto di passare qui con lei alcuni giorni buoni. Se domani o dopodomani avrò tempo ti parlerò anche di questo. Mia sorella mi somiglia molto. Io studio la sua fisionomia e ci riscontro i simboli della mia anima. Sopra un corpo carnoso e poco felice spunta una pura faccia di bimba vivificata. Ha venti anni quasi! Sul viso non ne dimostra quindici. Ha verso me degli slanci di affetto quasi dolorosi. Poi assenze improvvise, divagazioni, insofferenze che io conosco. Quale disgraziata potenza generatrice era dunque in mio padre. Ma con tutto ciò io ho degli increspamenti di amore paterno per questa ragazza, e stasera dopo averla riveduta son così, non dirò contento ma calmo, che ti ho scritto, come vedi, una ben lunga lettera. Questa ti valga per le molte parole che ci tacciamo a vicenda quando stiamo assieme, e io forse, sebbene parli di più, più di te. Quel che tu hai scritto sulla nostra amicizia è bello e buono ed è giusto. Ma non bisogna acquietarsi alle battute sulle spalle familiari, e invece volersi bene senza temere nulla dalla nostra reciproca

4 La lettera a Orvieto a cui si riferisce Cardarelli è datata 25 maggio 1914 e risulta esser stata inviata da Como (EPISTOLARIO I, lett. 280); si tratta probabilmente di un errore, poiché, come attesta questa lettera, in quella data Cardarelli era già andato via da Como e si trovava a casa della sorella a Cremona. 5 Uscio, comune in provincia di Genova, dove Cardarelli voleva andare per recarsi alla «casa di salute del dott. Arnaldi» (EPISTOLARIO I, lett. 280), di cui gli avevano parlato bene a Firenze, per risolvere i problemi di salute che in quel momento gli impedivano di lavorare. 6 Assunta Romagnoli, secondogenita di Antonio Romagnoli e Giovanna Caldarelli.

111 attività. Tu soprattutto devi smettere con me due cose che sono poi una: il timore e l’orgoglio. Devi lasciarmi parlare e scherzare e anche negare. Intanto su te. Il colmo della conoscenza è un raggiungimento di limite che dopo averlo constatato si torna qualche volta a rendere infinito con l’amore, com’è avvenuto nel caso mio riguardo a te; amore che non ha bisogno di nascondersi nulla perché è sempre in grado di opporre un estremo argomento alle soluzioni della ragione pura, per intenderci in qualche modo. Ma lascia che io veda e non ti inalberare. Su te, almeno finora, io non posso dire che cose affermative, anche se assumono provvisoriamente il pungiglione o una vaga aria beffarda. Mi spiego? Abbiamo tutti un modo di essere. Io ho il mio. Ma di queste cose bisognerebbe parlare e lungamente perché ho paura che tu non abbia ancora del tutto perduto il senso antelucano di un Cardarelli aggressivo e prepotente nella discussione che spesso ti fa aombrare a una mia parola innocente o ti spinge a reagire a una mia temuta contrarietà magari con una frettolosa dichiarazione preventiva o con delle distinzioni evidentemente superflue. Ti dico questo tanto per farti capire che io sto sempre attento. Ora addio caro Bacchelli. Chissà quando ci rivedremo. Nella tua casa ho passato delle ore calde di sangue e di riso. Malgrado le vostre ironie, siepi acute non sempre agevoli a passare per uno che viene dalla strada come me. Voi siete in fondo tutti buoni e cordiali a un modo. Quando starò bene racconterò questi giorni e sono sicuro di far celebri le scappate di tuo padre. Se hai tempo e voglia scrivimi qui qualche cosa. E torna a salutare tutti Tuo V. Cardarelli

P.S: Bisogna anche che ti dica che modifico radicalmente il mio parere su Rimbaudt.7

[24] Cinque fogli sciolti scritti su r e v, tranne l’ultimo, numerati da 1 a 9; a pagina 4, in basso a destra, è scritto: «(torna alla prima cartella)». Busta indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; timbri postali di partenza CREMONA 18.5.14, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 18.5.14.

7 Arthur Rimbaud (1854-1891) poeta francese autore della Saison en enfer (1873) e delle Illuminations (1886), opere conosciute in Italia per la prima volta attraverso il saggio del 1911 di Ardengo Soffici dedicato al poeta. La poesia di Rimbaud fu un modello culturale imperante e imprescindibile tra gli intellettuali di primo novecento, soprattutto per Papini e l’entourage avanguardistico a lui legato; l’adesione al rimbaudismo fu infatti uno dei principali motivi di dibattito nell’aspra diatriba tra il gruppo vociano e quello romano (a tal proposito E. GRAZIOSI, Dai "Poemi lirici" ad "Amore di poesia”, cit.).

112 [25]

[27. 5. 1914] Porlezza (pensione Ceresio)

Caro Bacchelli, sono finalmente a posto in uno dei meno manierati villaggi del Lago di Lugano.1 Ma lasciamo gli scherzi, questi luoghi son belli davvero. La mia sensazione di giovine Werther a spasso per le campagne italiane è ora, in quest’odore di nord, perfetta. Ti scriverò a lungo quando sarò più fermo su qualche particolarità di questa gente. Del resto sono stato in Svizzera per poche ore, vale a dire a Lugano. Il paese dove ora sto e conto di rimanere appartiene al regno.2 Ciò significa due soldi di più le sigarette e qualche intemperanza festiva che deturpa i silenzi del lago, il quale a tutta prima mi fece l’effetto d’un’immensa piscina, tanto è liscio smaltato e immobile. La mia prima giornata qui è stata naturalmente laboriosa. Ho tradotto alcune pagine di Rimbaud. Saison en enfer3 è il più forte, e mi meraviglio come Cecchi parli solo delle illuminazioni.4 La coscienza qui entra in gioco solo en enfer. Ma ci sono alcune scavature formidabili. Eppoi una melodiosità che arriva e occupa tutto. Basta il mio indirizzo è questo: Porlezza (Lugano lago) pensione Ceresio. Scrivi quando hai tempo. Vorrei se l’hai un vocabolarietto francese non addirittura tascabile. Saluti a tutti. Tuo Cardarelli.

[25] Cartolina postale italiana indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dal timbro postale di partenza PORLEZZA 27 MAG 14.

1 Il poeta si trova a Porlezza, un comune in provincia di Como situato sulle sponde del Lago di Lugano conosciuto anche come Ceresio, lago ramificato lungo il confine italo-svizzero. 2 Il Regno d’Italia, retto in quegli anni da Vittorio Emanuele III. 3 A. RIMBAUD, Une saison en enfer, Bruxelles, Alliance typographique, 1873. 4 E. CECCHI, Arturo Rimbaud, «La Tribuna», 23 marzo 1914.

113 [26]

Porlezza, 31. V. 1914

Caro Bacchelli, ti ringrazio dell’ira generosa e non mi sarebbe mai passato per il capo il timore di esser considerato come tuo sostenuto. Timpanaro mi comunica della tua protesta, ed ha una certa aria come di chiedere protezione a me, non senza alludere, quasi che tra me e lui certe cose dovessero parere pacifiche, a non so quali tue incapacità critiche e tirando in ballo Giovanni Vailati1 che, secondo lui, sarebbe passato invano in Italia. Conchiude protestandosi non imbecille e soprattutto non mascalzone e dichiarandosi pronto ad accogliere eventuali contraddizioni a quelle sue verità che egli non ritiene insolute. Io gli ho risposto così. Lui è una di quelle persone per le quali non solo Giovanni Vailati, che aveva un po’ della discrezione e della sottigliezza d’un Socrate, è passato invano in Italia, ma la disciplina e il bastone dei gesuiti. Lui non è nè un imbecille né un mascalzone: lui è soltanto un incosciente. E mi prendo l’incarico di farle questa rivelazione, pensando che, se non le scrivessi nulla, il mio silenzio finirebbe per sembrarmi troppo sproporzionato alla piccolezza bestiale del suo atto. - Così tu sai in che modo ho preso io l’accidente e come l’ho risoluto. Naturalmente potrebbe anche mandarmi i padrini io mi guarderò bene di spendere un’altra parola su Timpanaro. Notizie per me? Ho scritto un piccolo preludio estivo,2 lirica, e qualche altra cosa. Il dialogo sta li.3 Ho tradotto ancora del Rimbaud. Ma impossibile credo presentarlo in Italiano. È un poeta che a volerlo rispettare, intendere, seguire troppo fa passare il traduttore per un balbuziente. Eppure qualche passo credo mi sia riuscito. Vedremo insieme quando ci rivedremo. Da qualche telegramma forse sta per venire qua su quella che sai. In tal caso è probabile che io passi il San Gottardo.4 In ogni modo ti riscriverò e tu sarai il solo al quale

1 Giovanni Vailati (1863-1909) filosofo e matematico italiano. Pensatore originale e intellettuale poliedrico, a volte stroncato da Croce e Gentile, si fece portavoce e mediatore del pensiero pragmatista in Italia. Entrò in contatto con l’ambiente intellettuale fiorentino di Papini e Prezzolini, militando anche tra le fila della rivista «Leonardo», ma successivamente se ne distaccò avendo rielaborato il pensiero pragmatista in maniera molto personale, allontanandosi quindi dalle posizioni sostenute da Papini. 2 Forse si tratta della lirica Estiva, pubblicata nel «Giornale d’Italia», supplemento a favore della Croce Rossa del 4 gennaio 1915, ora in OPERE, p. 36. 3 Si tratta del Dialogo dello scettico, vedi lett. 21. 4 Passo del San Gottardo, valico situato nella parte centrale dell’arco alpino tra la Lombardia e la Svizzera.

114 seguiterò a mandare notizie di me. Saluta tuo fratello, Morandi5 e tutta la casa. Tuo aff.mo Cardarelli

[26] Cartolina postale italiana indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; timbro postale di partenza PORLEZZA 31 MAG 14, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO […].

5 Giorgio Morandi (1890-1964) importante pittore italiano che attraversò sia l’esperienza futurista, sia l’esperienza metafisica avvicinandosi nel 1918 a Carrà e De Chirico. Nel 1920 si accostò al movimento di «Valori plastici» per poi intraprendere una sua strada personalissima. Giorgio Morandi frequentò l’Accademia di Belle Arti di Bologna con Mario Bacchelli, suo compagno di corso e fratello di Riccardo.

115 [27]

[Lugano, 5. 6. 1914]

Caro Bacchelli, non so dirti nulla sulle tue preoccupazioni di diritti…d’autore. Sai che io sono impratico come dice Orvieto. Dunque vedi tu. A me però sembrerebbe già una conquista se Treves1 ti accettasse. La tua poesia è sottile, non priva di uncini per la gente mediocremente ragionativa, e non così impetuosa da rendere imponibili anche i tuoi difetti. In ogni modo è chiaro che qualunque editore, e anche nessuno, è in fin dei conti lo stesso. Appoggiarsi a un grosso editore è un fatto intimo della dignità dell’artista, ma agli effetti della pubblicazione, dato il pubblico italiano, e la natura, disgraziatamente aristocratica, dei successi a cui possiamo aspirare, non credo conti assai. L’idea di presentarsi a Ianni2 è buona. E se io non temessi, sia per me che per te, di diventare un poco troppo zelante padrino della tua nascente gloria e delibatore eccessivamente spensierato del tuo poema ti proporrei di venire a Milano dove io sarò sabato e domenica per cercare assieme una traccia che ci portasse nel modo più spiccio a Ianni e a Treves nel tempo stesso. Basterebbe andare al Savini,3 dove io conosco bene Boccioni,4 uomo assai più delicato del suo dinamismo, il quale è pieno di relazioni, in tutti i casi se l’idea ti va puoi scrivermi. Ora che sono a Lugano venire a Milano per me è poco disturbo e poca spesa. Vedo quel che dici del mio metodo.5 Che quella fine sia sforzata è vero. O meglio è una stanchezza filosofica che si risolve in una predica lirica. Perché internamente c’è continuità. Ma io difendo la parte buona. Filosofo io vedi sono tanto poco che lo sono meno di te. E chi dice di me che sono un meditativo un riflessivo etc, dimostra soltanto la difficoltà che trovo io, nella finezza della mia espressione, a farmi capire; e forse nessuno ci vedrà chiaro fino a quando, vinta ogni impossibilità d’orgoglio e di pudore, non darò io stesso il filo per arrivarmi (A questo proposito ho abbozzato stanotte una lirica che forse

1 La «Treves» è una casa editrice fondata dai fratelli Emilio e Giuseppe Treves nel 1861, al tempo di Cardarelli ormai ben affermata e apprezzata grazie alla pubblicazione di autori di successo quali Verga, De Amicis e Pirandello. 2 Ettore Ianni, scrittore abruzzese che pubblicava con Treves. 3 Il Caffè Savini, nato nel 1867, divenne uno dei luoghi mondani più rinomati di Milano dopo la Scala e il Duomo, punto di ritrovo di artisti, pittori, scultori, romanzieri, giornalisti, uomini di scienza e finanza, musicisti; tra i più noti si ricordano Boito, Praga, Giacosa, ma anche Mascagni e Puccini. Il caffè fu distrutto nei bombardamenti del 1943. 4 Umberto Boccioni (1882-1916) pittore e scultore italiano, fu il maggior teorico ed esponente del futurismo. Il dinamismo dell’artista a cui accenna Cardarelli si riferisce ad uno dei principali valori dell’arte futurista su cui lavorò Boccioni, il carattere dinamico, veloce e mutevole del reale. 5 Vedi lett. 22, nota 4.

116 va più giù di quella fiorentina). Ma intendo che se ho e dico qualcosa di sostanziale gli altri se ne aveggano; o se dimostro infelicità sia veduto non solo quel [che] c’è di assunzione volontaria ma la loro intrinseca necessità. E lasciamo star ciò. Ho piacere che Quilici stia alla terza pagina6 e certo adesso sarò più allettato a scrivere. Salutalo tanto, digli il mio indirizzo, di che mi scriva. Io stesso uno di questi giorni gli scriverò. M’avvicino al giorno delle nozze.7 Sabato sera andrò incontro a lei a Milano. Sono accadute in questo frattempo alcune cose curiose. Quando tutto pareva finito i parenti la riconducono in casa. Due giorni dopo, mentre io avevo già deciso di non volerne sapere più nulla, m’arriva un telegramma: libera. Ora si tratta di definire le cose materiali. Sono in ballo avvocati. Non so che cosa ne nascerà. So soltanto che questa volta se lei viene (chissà, io non arrivo più ad esser certo di nulla) il dado è tratto, e la mia vita a è in mano del diavolo. Del resto da qualche sua allusione pare che lei sappia già che cosa io attendo e m’insinua offerte che vogliono evitare richieste o possessi virtuali. Ti parrà cinico il mio modo di discorrere e pare anche a me mentre mi esprimo. Ma questo dice il grado di disperazione a cui sono giunto, il vuoto che ho fatto in me, il male che ho lasciato crescermi dietro come una dolomite che mi copre qualunque viva luce del passato. Nessuno può sapere bene questo. Né tu che sei troppo discreto e indulgente, né gli altri scioccamente ostili. Ed ora è tempo che la vita sia ripresa al laccio, e l’amore rinasca dal calcolo, e la spontaneità della riflessione seguiti fino al pervertimento. Ho però un limite dentro di me che sento sempre più farsi concreto e stringente. Il giorno in cui il male che ho fatto o che farò strapiombasse sul bene di cui posso sinceramente fidarmi, non mi riuscirà più sopportare a vivere, e allora la prima vittima sarò io. Parole gravi, che però non hanno nessun tono eccezionale di drammaticità. Sono il mio pasto quotidiano. Come gli spaghetti al burro che qui a Lugano cucinano orrendamente. Tuo Cardarelli

6 La terza pagina era quella del «Resto del Carlino», periodico di cui Nello Quilici fu il corrispondente da Roma nel biennio 1913-1915. 7 Nei carteggi non si sono rintracciate notizie riguardanti un matrimonio di Cardarelli. Un accenno forse è possibile coglierlo nella velata allusione che il poeta lascia cadere in una lettera a Cecchi del 4 giugno 1914: «ricordati di me e seguita ad aver fede in me anche se tra poco saprai che ho ancora aggravato d’un punto il dossier delle mie responsabilità, ma seppellisci nelle tue fedeltà d’amico anche questa semplice allusione» (EPISTOLARIO I, p. 364).

117 Letto le lettere di Napoleone,8 mandami i due volumi del Taine9 si. Mi piace anche il Taine perdio!

[27] Un foglio sciolto scritto sul r e v. Busta indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza LUGANO 5.VI.1914; timbro postale di arrivo 6.6.14. Lettera parzialmente citata in E. GRAZIOSI, Dai "Poemi lirici" ad "Amore di poesia”, cit., p. 85.

8 Probabilmente Cardarelli lesse le Lettere di Napoleone a Giuseppina e lettere di Giuseppina a Napoleone ed a sua figlia (la cui prima edizione uscì nel 1834 per i tipi di Truffi, Milano). 9 Hippolyte Taine (1828-1893) filosofo, storico e letterato francese fu uno dei massimo teorici del naturalismo e del positivismo in Francia.

118 [28] [Lugano, 7-8 giugno 1914 ca.]

Caro Bacchelli, una delle ragioni per cui io non farò mai un duello è la rituale spesa che mi pare che costi di qualche centinaio di lire. Allo stesso modo odio e rifuggo dalle passioni d’amore per la loro dispendiosità. So che il terrore è meschino, ma il suo significato è grandiosamente ironico. Tuttavia ecco che senza essere un appassionato nello spazio di poche ore ho dedicato in telegrammi espressi viaggi alla mia bella non meno di una cinquantina di lire. E almeno avesse servito a qualcosa. Ma si sa che le spese passionali sono l’esasperazione all’assurdo di quell’inutile capitolo del bilancio umano che s’intitola spese voluttuarie. E tanto vero che se fosse stato il contrario adesso non le chiamerei così e non me ne lamenterei. La mia bella mi fa girare il capo; non per amore, ma per novità e capricciosità di decisioni. Penso che in questo sono più punito di quel famoso infernale calcolo con cui cerco di secondare questo connubio, ma ti assicuro che la noia è una grande purificatrice, e sono deciso a non muovere più un dito e non spendere più un centesimo per questa ombra d’amore che mi perseguita. Inutile ora che ti spieghi. Sono stato a Milano e ho fatto, come dice il zi, Checco, becco. Lei non è venuta, io mi son trovato in una città come Milano con quel po’ di rabbia e di disperazione in corpo che ti puoi immaginare, e figurati come son tornato a casa stralunato. Il peggio è che ora sono senza un centesimo e costretto a ricorrere a te per un altro piccolo aiuto. Amico mio io sono desolato di doverti rompere le scatole a così breve intervallo di tempo, e non ho neppure la voglia di giustificarmi. A Orvieto non posso scrivere che mi mandò 150 lire agli ultimi di maggio e non ne debbo avere in tutto da lui che altre 150 con le quali vorrei andare avanti almeno fino al mese di Luglio. Non sorridere di questa mia illusione perché a Lugano ho trovato per fortuna una casa dove ci vivo con tranquillità ed economia. Mangio in casa e non vengo a spendere in tutto più di cento lire al mese. La mia padrona1 è sola, un curiosissimo tipo di bizzoca cattolica protestante. Appena può scappa per qualche benedizione. È sempre in abito nero di strada, in cucina anche, e sa a memoria tutti i santi le processioni i pellegrinaggi del luogo. Quando resta un poco in casa senza far nulla si chiude in cucina e canterella una

1 Il tema delle padrone di casa ritorna molto spesso nella produzione in prosa di Cardarelli (si veda ad la prosa del Sole a picco, Interno, in OPERE, p. 460.)

119 lauda di chiesa, oppure rigida e bistorta a sedere, come quel ritratto di Cèzanne,2 legge Santa Teresa. Dice sempre alla più innocente parola che le si rivolga: oh bella, oh che bellezza! Ma è tutt’altro che gesuita, e deve bere di nascosto qualche bicchierello di vino, e credo che la sua attività religiosa non sia altro che un eccesso d’allegria persistente che non trova altre soddisfazioni. Puoi dunque capire come io mi trovo bene, e come ho interesse ad essere puntuale nel pagamento almeno alla prima decade. Quanto ai libri mandameli quando hai tempo e non ti nascondere. Adesso son proprio dietro al lavoro. Ho pronte tre o quattro liriche.3 Sai che non son poco. Ma tutte le mie possibilità sono un’altra volta in effervescenza. Se compio il miracolo di rimanere molto tempo a Lugano, dove spero mi verrai a trovare almeno per qualche giorno (c’è in casa un’altra camera, e il viaggio venendo da Milano col treno elettrico che finisce a Porto Ceresio4 non costa nulla). Farò assai. Ho scritto una cosa tra l’altro intitolata: Amicizia.5 Una cosa dolorosa e amara. Anche io mi distinguo in poesia. E quel che trovo il più delle volte è la mia amletica mancanza di vita. Tuo Cardarelli. Via Canova, 13 – presso Riva.

P.S. Poi che ho tardato a impostare questa lettera, ti ci accludo le tre liriche, la migliore di tutte è però, naturalmente, quella che sto facendo, che avevo scritto per mandarla alla Riviera Ligure.6 Vedile e rimandamele. Siccome la mia lirica non è riferimento immediato tu sai come leggere Amicizia.

[28] Un foglio sciolto scritto sul r e v, non datato, intestato: «CAFÈ JACCHINI/ LUGANO/ PLACE DE LA RÉFORME (Hotel de Ville)». La lettera segue la n. 27 poiché l’autore racconta la sua avventura sentimentale

22 Dalla rievocazione cardarelliana l’allusione potrebbe essere all’opera Ritratto di Madame Cezanne (1890), moglie del pittore francese. 3 Si tratta probabilmente di Stanchezza, Fuga e Passaggi, uscite successivamente insieme ad Amicizia su «La Grande Illustrazione», febbraio-marzo, 1915. L’informazione che Cardarelli fornisce nel post scriptum di aver composto queste liriche per inviarle alla «Riviera Ligure» testimonia un tentativo antecedente a quello sin’ora noto del settembre dello stesso anno (vedi lett. 40) a cui seguì un nuovo rifiuto di Mario Novaro, che lo costrinse a ripiegare sulla «Grande Illustrazione» (per la questione si rimanda a OPERE, p. 1030). 4 Comune sul lago Ceresio in provincia di Varese. 5 V. CARDARELLI, Amicizia, in OPERE, p. 34. 6 «La Riviera Ligure» rivista letteraria fondata a Oneglia nel 1899 da Mario Novaro, che accoglieva poeti e scrittori contemporanei sia di ambito ligure (Piero Jahier, Giovanni Boine e Camillo Sbarbaro), sia scrittori affermati non locali (tra i più importanti si ricordano Pirandello, Gozzano, Borgese, Soffici, Palazzeschi, Cecchi e gli stessi Bacchelli e Cardarelli. Quest’ultimo in particolare cercò spesso di pubblicare i suoi componimenti su questa rivista). «La Riviera Ligure» si affermò presto come una delle realtà letterarie più attive e accreditate, soprattutto per il successo che ottenne la rubrica di critica militante Plausi e botte, tenuta da Boine dal marzo 1914 all'ottobre 1916. Fu dalle pagine di questa rubrica infatti che lo scrittore ligure offrì uno spaccato del panorama culturale contemporaneo, non esitando ad esprimere i suoi giudizi più schietti, senza indulgenze, verso amici e collaboratori, come nel caso dei Poemi lirici di Bacchelli (G. BOINE, recensione a R. Bacchelli, Poemi lirici, «Riviera Ligure», n. 43, luglio 1915, pp. 188-194).

120 milanese annunciata nella lettera precedente del 5 giugno, che risultava essere un venerdì, per il sabato successivo. Si deve presumere quindi che Cardarelli sia stato a Milano sabato 6 giugno (la lettera successiva del 9 giugno esclude la possibilità che si trattasse del fine settimana successivo), e che il 7 o l’8 abbia poi scritto a Bacchelli, sebbene, come afferma egli stesso in chiusura, spedì la lettera in ritardo. Dalla carta intestata inoltre si deduce che egli era tornato a Lugano.

121 [29]

Lugano, 9. VI. 1914

Caro Bacchelli, la tua lettera e l’art. di Timpanaro1 arrivarono in una brutta mattinata. Non potei così prendere la cosa col riso che meritava e stiedi alcune ore indeciso tra il cinismo e il dolore eppoi finii per scrivere la cartolina che tu sai. Io sono disgraziatamente impressionabilissmo e di più disposto intimamente a dar ragione ai miei nemici, la parola è veramente esagerata, in modo quasi morboso. Però sarebbe ingiusto fermare la mia personalità a questo primo stadio femmineo e nichilista, e, bene o male, raggiungo sempre il mio punto d’equilibrio e di virilità. Ti dico tutto questo senza nessuno scopo e per puro bisogno di chiarimento. Quanto a Timpanaro, il pover uomo ha una sua rozza ingenuità sentimentale che, almeno sentimentalmente, lo salva. Ha preso la mia cartolina piuttosto con dispiacere che con arroganza, malgrado la parata […] delle sue parole di risposta ed io gli ho replicato con una lettera ancora più crudele perché più umana e giusta della cartolina. E siccome parla di cortigianeria etc. e dice che a causa di non poter esser lui cortigiano ha piacere di aver rotto amicizia con me e mi saluta con un addio verdiano, io ho tenuto a mettergli bene in chiaro questo. Che se allude a te si sbaglia grossolanamente. Io che non vado a studiare gli uomini al caffè e al postribolo, gli ho detto, ma li conosco in quello che fanno etc. ho di Bacchelli una grande e quasi timorosa stima; dunque se mai si dovesse sospettare un cortigiano tra noi due questo sarei io, se alla sua benignità un tale ipotesi non sembrerebbe per lo meno audace. Quanto al resto gli ho ribattuto e spiegato la nota d’incoscienza e gli ho consigliato in seguito di studiare un poco più e di leggere magari un poco meno. Lo hai visto più tu? E che commenti ha avuto al vostro caffeuccio l’articolo? Avrai ben capito che ormai per me questo fatto è diventato nient’altro che un esercizio di facoltà polemica e che è un motivo di distrazione. È solo perciò che te ne parlo e così diffusamente. Molte altre cose vorrei dirti, ma anche io non trovo il verso. Ho pensato bene per esempio in questi giorni al poco successo avuto, anche presso te, del mio

1 MARIO PANT [S. TIMPANARO], Vincenzo Cardarelli, «L’Arduo», maggio, n. 5, maggio 1914. Il critico aveva scritto un saggio sulla produzione cardarelliana sino ad allora conosciuta (per altro fornitagli dallo stesso autore, vedi lett. 21-22) che non si rivelò né lusinghiero né benevolo nei confronti del nostro. Il critico infatti giudicò l’uomo Cardarelli «piccolo e filisteo», definì la sua critica «non abbastanza ispirata» ed il suo discorso filosofico fragile e farraginoso, laddove rifiutava le posizioni crociane. Nel successivo numero di giugno de «L’Arduo» Timpanaro pubblicò anche un secondo articolo (questa volta con lo pseudonimo Etna) dal titolo Da Giovanni Boine alla compagnia cardarelliana (Bologna, giugno n. 6).

122 scritto sul metodo estetico2 e sono sempre più convinto invece della validità fondamentale di quello scritto. Io me ne frego di scoperte e non concepisco l’attività intellettuale come primato inventivo ma insomma chi ha notato per la prima volta, filosoficamente, vale a dire con un puro procedimento dialettico e sistematico, il fatale sbocco nella materialità dei tipi, dell’estetica crociana? Non solo: ma la impossibilità di un punto di vista estetico? Leggendo i pezzi del De Sanctis3 a Cremona – monumento insigne di faciloneria e tesoretti di bestialità (si dice a un punto dell’Ulisse dantesco: - presentimento di Cristo pro Colombo, hai capito?) – ho visto e mi son ben convinto che questo coiffeur ballerino dell’eghelismo è un astrattista della più giornalistica specie e Taine4 a suo confronto è grave come un padre della chiesa. La sua famosa concretezza d’esigenza che gli fa ricercare continuamente il fantastico il corposo etc. e disprezzare la teologia si riduce in pratica ad un’arbitraria e dilettantesca schematizzazione di tipi. Il buon Taine sotto tutti gli strati della conoscenza artistica che egli compone, s’illude almeno di giungere ai sentimenti generatori, alla psicologia dell’artista, punto di riferimento e riduzione all’unità delle opere, che vanno secondo me considerate come fenomeni e non essenze come fanno gli esteti (onde l’esigenza grammaticale della perfezione etc.) – il De Sanctis invece non ci pensava affatto. Lui prende il personaggio, tenta di sagomare la cosa. Allora dà veste di assolutezza al provvisorio. Violenta l’indizio fino a fargli assumere una finalità che non comporta per niente. Vedi un po’ in mano sua che cosa diventano la Francesca5 e il Farinata.6 Così l’Ofelia e la Giulietta7 etc. sono altrettanti tipi platonici di femminilità che

2 V. CARDARELLI, Metodo estetico, cit. 3 Cardarelli fu sempre duramente critico verso la Storia della letteratura italiana del De Sanctis, riprendendo per altro i giudizi feraci esposti in questa lettera negli scritti critici successivi sull’illustre critico letterario. A tal proposito si rimanda all’Introduzione. 1. La dimensione epistolare tra letteratura e vita. 4 Hippolyte Taine, vedi lett. 27. Cardarelli, paragonando De Sanctis a Taine, sottolinea come il pensiero romantico del primo tenda in realtà a schematizzare in tipologie fisse i soggetti letterari trattati, molto più di quanto non ci si aspetti da un esponente del positivismo quale fu Taine, teorico, per altro, delle tre categorie di analisi: race, moment, milieu. 5 Francesca da Rimini protagonista del V Canto dell’Inferno dantesco. De Sanctis scrisse su questa figura il saggio Francesca da Rimini secondo i critici e secondo l’arte, «Nuova Antologia», a. IV, vol. X, gennaio 1869, pp. 33-46. 6 Farinata degli Uberti, capo ghibellino a Firenze nel XIII secolo, collocato da Dante nel X canto dell’Inferno. De Sanctis gli dedicò il saggio Il Farinata di Dante, «Nuova Antologia», a. IV, vol. XI, maggio 1869, pp. 43-56. 7 Nel saggio Francesca da Rimini De Sanctis scrive: «Giulietta ed Ofelia e Desdemona e Clara e Tecla e Margherita ed Ermengarda e Silvia hanno una vita più salda e reale che non tutte le donne storiche: perché l’aridità della cronaca e la gravità della storia toglie a queste tutta la vita intima, ed elle stanno come in lontananza da noi, e le vediamo in piazza e non le conosciamo in casa, e sappiamo le loro azioni ed ignoriamo il loro cuore. […] A questa serie di fanciulle immortali appartiene Francesca; anzi è essa la primogenita, la prima donna viva e vera apparsa sull’orizzonte poetico de’ tempi moderni» (F. DE SANCTIS, Francesca da Rimini, cit., in Id. Saggi critici, a cura di L. Russo, Bari, Laterza, 1963, vol. I, p. 243).

123 egli espone via via e torna a richiudere nei suoi cassetti di antiquario, non espressioni viventi d’una figura di creatore.8 In altri termini ciò che dovrebbe esser fatto su me, spirito determinante e vivo, è fatto sulla mia opera che così diviene cosa morta e abbandonata al capriccio costruttivo del critico. Va tanto in là su questa strada il De Sanctis che non solo parla della Laura del Petrarca, come se per noi che sappiamo capire quella poesia, fosse mai esistita, ma scrive un saggio sulla Donna di Leopardi.9 Un critico domani biograferà la mia nostalgia della verginità costruendo il tipo della mia adolescente. Orbene io dico che sotto tutti gli aspetti; della schematica ragione desantisiana e del pregiudizio grammaticale e letterario alla Gargiulo, la scuola estetica è, in forza del suo stesso principio, condannata a forme di conoscenza pratiche scolastiche estranee dilettantesche materiali; e questa scoperta è formalmente espressa nel mio scritto. A prescindere da altri rilievi e vizi […] che se in Italia ci fosse più finezza e personalità di ricerca avrebbero qualche sviluppo – così rimarranno, fino a quando a me non tornerà la salute filosofica, insospettati e vilipesi. Il Timpanaro per esempio non ha capito in che senso io dico: puro contenuto, dopo aver fatto pure capire con l’esempio del: - questo verso è dolce, che ogni vera definizione stilistica è una definizione di puro contenuto, e fa diventare un’estrema finezza un tratto di balordaggine. Ma forse chissà che io non possa presto prendermi su tutti questi imbecilli una ripudiante rivincita. Ora ti saluto perché sono stanco. Volevo dirti qualchecosa sulle tue intenzioni di pubblicare. Tra giorni tornerò a scriverti e ne parleremo allora. Intanto tu indirizza: Lugano. Fermo posta, perché me ne vado da Porlezza. Tuo Cardarelli

[29] Due fogli sciolti scritti sul r e v, intestati: «CAFÈ JACCHINI/ LUGANO/ PLACE DE LA RÉFORME (Hotel de Ville)».

8 Cardarelli si discosta quindi dal magistero critico desanctisiano in cui egli vede un tentativo di ricondurre a tipizzazioni fisse quelli che sono invece alcuni dei più complessi e problematici personaggi della letteratura classica italiana e straniera; il poeta affermava invece la necessità di interpretare le opere d’arte come diretta emanazione della sensibilità ispiratrice dell’autore e non come diretta derivazione di modelli consolidati e riconoscibili. 9 F. DE SANCTIS, «Alla sua donna». Poesia di Giacomo Leopardi, «Cimento», a. III, vol. VI, dicembre 1855, pp. 1023-1037.

124 [30]

[Lugano, 12. 6. 1914]

Caro Bacchelli, siccome non mi fido di scrivere a Quilici e al Carlino, così scrivo a te perché tu gli dica di tenere indietro se è possibile qualunque art. gli mandassero su Rimbaud; argomento che vorrei trattare io dopo la pisciata di Borgese.1 Fammi questo favore. Oggi mi è accaduto un caso che non è così semplice come può apparire. Un dentista (tedesco) nel cavarmi un dente si è sbagliato e mi ha curato quello buono. Dentisti e critici mi pare che non differiscano. Fatto sta che ora ho una caverna a un lato della bocca, ma è impossibile che io possa sopportare un tale sconcio e appena potrò, a qualunque costo, ce li rimetto magari d’oro; tanto per beffeggiare la fortuna. Ti ho scritto una raccomandata eppoi ancora una lettera.2 Hai ricevuto? Hai visto che roba in Italia? Alla larga! Qui siamo in Catalogna!3 E viva la libera Elvezia.4 Tuo Cardarelli

[30] Cartolina postale svizzera, indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Villa Cipressina/ fuori porta Saragozza/ Bologna» (è indicato anche l’indirizzo del mittente: «Lugano,/ via Canova, 13/ presso Riva»); la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dal timbro postale di partenza LUGANO 12. VI. 14, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO […]. […]. 14.

1 G.A. BORGESE, Arturo Rimbaud, «Corriere della Sera», 12 giugno 1914. 2 Le lettere in questione sono molto probabilmente le n. 28-29; la prima venne forse spedita come lettera raccomandata poiché, a detta dello stesso autore in chiusura della missiva, la spedì in ritardo e allegandovi alcune sue composizioni, di cui voleva forse assicurare l’arrivo a destinazione. 3 Il poeta si riferisce all’insurrezione popolare contro il governo Giolitti, repressa duramente con il fuoco da parte delle forze dell’ordine e nota come «la settimana rossa»; la rivolta, sorta ad Ancona, si diffuse in Romagna e in Toscana nella settimana tra il 7 e il 14 giugno 1914. L’evento probabilmente ricordava a Cardarelli i moti per l’indipendenza catalana in Spagna. 4 Nome latino della Svizzera.

125 [31]

Lugano, Canova 13 - 19. VI. 1914.

Caro Bacchelli, forse tu hai ragione e forse io sono un pazzo a disperarmi così come fo ormai quasi quotidianamente. Ma forse anche non abbiamo ragione nessuno dei due, né tu col tuo ottimismo, del quale se non s’ombra un po’ di attenzioni e d’inquietudini comincerò a diffidare, né io con la mia rabbia suicida. E il vero è solo questo: che io sono, praticamente, come essere vivente, come uomo di tutti i giorni, inferiore alla mia lirica e a me stesso. Con il dubbio vero che sale ogni volta su me e quel che faccio. Dalle mie folli parentesi di vanità con me stesso e di disordine è giusta punizione del poco conto in cui tengo la vita e la poesia. Lasciamo intanto qualunque altro discorso. Vorrei da te anche l’ultima poesia che t’ho mandato, la quale in parte è ributtata giù e rincalzata. Mi fai questo favore? Poi dopo di ora un buon metodo sarà non rendere note le mie cose che a mezzo di stampa. E pensare che mentre io decido questo anche con te, Onofri e Baldini con una persistenza di fiducia degna di elefanti mi chiedono che io mandi loro le mie primizie. Parroci porci e condannati a morire di gotta! Mi ha scritto Cecchi una lunga lettera piuttosto seria. Si duole al solito della coglioneria letteraria dei suoi amici fiorentini e vicini. Boine confesso che ha fatto anche lui – odi!- l’apologia di Rosso.1 Dice che per non essere confuso con loro vorrebbe compiere le stramberie di esteta più pazzo: rasarsi col rasoio mezza testa, tingersi il naso d’oro! Io non posso trattenermi di ridere anche adesso che te lo ripeto. Addio. Saluta tutti. Cardarelli.

[31] Cartolina postale svizzera, indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Villa Cipressina/ fuori Porta Saragozza/ Bologna»; timbro postale di partenza LUGANO 15.VI.14, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 16.6.14.

1 Boine aveva recensito Elegie a Maryke di Rosso di San Secondo su «La Riviera Ligure», giugno 1914. Lo stesso Cecchi scrisse a Boine il suo disappunto per la benevolenza dimostrata nei confronti della produzione di Rosso di San Secondo: «Tu non pensi, per es. quanto psicologismo minuto, gossip, fatto di cronaca etc, tu pigli per arte. La «Salute» di Rosso contro l’«estetismo» di Mallarmé? No, grazie» (G. BOINE, Carteggio. II. Giovanni Boine - Emilio Cecchi (1911-1917), cit., p. 101).

126 [32]

[Lugano, 24 . 6. 1914]

Caro Bacchelli, è stata qui Sibilla un giorno. Abbiamo anche un po’ parlato di te. Le ho dato una copia del tuo romanzo.1 Ora mi scrive che è interessata e ti vuol conoscere. Siccome passa da Bologna venerdì o sabato, così ti scriverà perché tu vada alla stazione. Io volevo dirle che eri a Forte dei Marmi. Poi ho pensato che era ridicolo e le ho mandato senz’altro il tuo indirizzo.2 Se non ti dispiace fa di andarci e di essere gentile. È una rovina! - Stamane ho ricevuto l’ultima assicurata di Orvieto. Siccome dalla sua lettera un ci passo in buone ho lasciato cadere rispondendogli un poscritto sul tuo poema.3 Naturalmente per insinuargli di aiutarti presso Treves, ma in forma piuttosto esplicita. Ho fatto capire che gli scrivevo d’iniziativa mia («So che Bacchelli sta facendo dattilografare etc.»).4 E tu quando conti di essere a Milano? Io ci dovrò essere sabato o domenica, o giù di là, a ricevere il baule della mia signora. Si potrebbe combinare di trovarci? Se mai scrivimi. E subito. Sono anche contento che verrai a Lugano. Ma porta allora anche tuo fratello. Per un giorno o due non più, chè anche io ho da lavorare. Qui c’è da prendere una barca e stare tutto il giorno in acqua. Inoltre tabacco di tutte le regie a ufo. E belle ragazzette di tipo misto: italo-anglo-germaniche! E ballerine sentimentali di Zurigo. Non dico altro. Io lavoro e ho scritto tanto per fare una cosa nuova un commiato agli amici, in prosa. Tuo Cardarelli.

[32] Cartolina postale svizzera, indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Villa Cipressina/ fuori porta Saragozza/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dal timbro postale di partenza LUGANO 24.VI.14, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 25.6.14.

1 Cardarelli si riferisce a Il filo meraviglioso di Ludovico Clò di Bacchelli. Vedi lett. 18. 2 Lettera del 22 giugno 1914 a Sibilla Aleramo (EPISTOLARIO I, lett. 288). 3 Bacchelli stava cercando un editore per i Poemi lirici. 4 Lettera ad Angiolo Orvieto del 24 giugno 1914 (EPISTOLARIO I, lett. 289).

127 [33]

[Lugano, 27. 6. 1914]

Caro Bacchelli, mi manderai per favore l’Arduo. Io non so ancora se andrò a Milano oggi o domani o non so quando. Non so nemmeno se ti potrò telefonare data la condizione che tu metti. Bisognerebbe dunque che tu cercassi di fissare quando potrai venire a farmi una visita qui dove io solo moltiplico per dieci la fatica delle giornate. Ho scritto ieri una lirica a Omar Kheyyam,1 di cui sono allegramente soddisfatto. È il tono di Homo sum2 ma più alto. Anzi guarda combinazione e autenticità di motivi. Sono andato a contare i versi di Homo sum. Sono esattamente come quelli di questa nuova lirica, quarantasette! Giuocalo al primo estratto. Intanto sono tutto percosso allo sforzo di ieri e non mi reggo a scrivere neppure questa cartolina. Salutami Quilici e digli che non dubiti gli manderò l’articolo su Rimbaud, ma se io mi metto a leggere con l’intenzione di fare articoli, poi la lettura mi sfoga in liriche che ci posso fare? Saluti alla casa. Tuo Cardarelli

[33] Cartolina postale svizzera, indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dal timbro postale di partenza LUGANO 27.VI.14, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 27.6.14.

1 V. CARDARELLI, A Omar Kayyâm, in OPERE, p. 21. L’indicazione conferma e integra la storia della lirica cardarelliana tracciata da Clelia Martignoni in OPERE, p. 1014. 2 Il componimento era stato pubblicato su «Lirica», numero unico Natale 1913 (ora in OPERE, p. 17).

128 [34]

[Lugano, 30. 6. 1914]

Caro Bacchelli, va bene; tanto più che domani dovrebbe venire quella lì. Ma ti sei dimenticato di mandarmi l’Arduo. La tua decisione di servirti del piccolo tipografo bolognese mi pare la migliore.1 Anzi ti dirò che appena avrò pronto io qualche cosa farò lo stesso. E mi pare che sarebbe anche un bel fatto. Perchè non cominci intanto tu senz’altro? Io spero dentro quest’anno di fare una piccola cosa seria. Ho in mente una pubblicazione sui generis. Spero che mi scriverai qualche volta da Forte dei Marmi, e meno laconicamente, e anche se il sole dovesse, l’impudente, tornare a scottarti la pelle! Tuo Cadarelli

Saluta Quilici e digli che Lugano sta all’estero e che non seguiti a farmi pagare tasse d’affrancazione.

[34] Cartolina postale svizzera, indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dal timbro postale di partenza LUGANO 30.VI.14.

1 Evidentemente, prima di affidare il suo libro all’editore Zanichelli Bacchelli si era rivolto ad un piccolo tipografo bolognese che rimane tuttavia di difficile identificazione. Si è a conoscenza infatti soltanto di un rifiuto dei Poemi lirici da parte di Treves che indusse Bacchelli a rivolgersi alla Zanichelli.

129 [35]

[Lugano, 22. 7. 1914]

Caro Bacchelli, a me il tuo silenzio sembrava naturale, e perciò pur desiderando spesso di scriverti, non ho cercato di provocarlo. Quanto a me ho perduto l’abitudine di aspettare lettere, e le ultime che ho scritto mi hanno servito a liquidare, con il dovuto rispetto, la mia amicizia con Baldini. Questo ragazzo ha creduto di potermi delineare in un suo ultimo lavoro sotto le spoglie di un personaggio nominato Briggeri.1 Non conosco lo scritto, so soltanto questo. Ma conoscendo a fondo Baldini era più che sufficiente perché io cercassi di mettere in chiaro alcune cose tra me e lui. Basta, è finito che quasi quasi io dovevo consolarlo di avermi preso in giro. Dice che lo ha fatto per punirsi di aver aspirato ai giardini proibiti della mia eticità, della mia superiorità, e un pater nostro e un avemaria secondo il solito. Con molti abbracci peggio non si poteva finire. – Questo è dunque il mio ultimo episodio epistolare. Dopo di che niente amore e niente gioia, come tu mi hai confortato. Da spremere. Soltanto lavoro. È inutile ch’io cerchi di dirti. Spero di vederti qui o a Bologna in autunno e allora ti farò vedere quel che ho fatto e fin dove sono arrivato. Mi limito per ora a dirti che sono già abbastanza lontano dalle ultime liriche che ti mandai una delle quali, quella che a te pareva la più importante, è irremissibilmente condannata. Forse ti sorprenderà qualche perfezione nuova in me. Ma ripeto stiamo zitti e

1 Antonio Baldini aveva appena pubblicato il romanzo Pazienze e impazienze del maestro Pastoso (Roma, Nalato, 1914), i cui personaggi raffiguravano in chiave allegorica alcuni letterati del tempo: Borgese, Serra, Amendola e lo stesso Baldini; Cardarelli, pur non avendo letto il romanzo, seppe di esser stato identificato con il personaggio Bùggeri e ciò lo indispettì particolarmente nei confronti dell’amico (cfr. EPISTOLARIO I, lett. 290), con il quale i rapporti di amicizia erano già piuttosto complessi. A tal proposito infatti Baldini scrisse nella postfazione all’edizione del 1947 del Pastoso: «è certo che in quegli anni giovanili io subii riluttante la forte personalità di quel mio amico, che primo aveva sconvolto con la sua parola le quiete acque della mia vita di figlio di famiglia. I caratteri non potevano essere più differenti, e forse proprio per questo la mia amicizia per Cardarelli assunse per un certo tempo un tono che direi passionale, se non temessi d’essere frainteso. […] La nostra restò sempre un’amicizia un po’ battagliera». In seguito alla reazione risentita di Cardarelli per l’accaduto, da cui per altro nacque una querelle epistolare tra i due, Baldini scrisse comunque a Cecchi che si riteneva verso Cardarelli «l’amico e il difensore che sono, benché non m’abbiano tenuto all’oscuro delle molte riduzioni e diffamazioni delle quali mi regala, dove mette piede» (lettera di Baldini a Cecchi del 16 luglio 1914, in A. BALDINI, E. CECCHI, Carteggio (1911-1959), cit., p. 34). Tuttavia, pur avendo deciso di chiudere l’amicizia con Baldini come scrive a Bacchelli in questa lettera, Cardarelli, dopo aver letto il romanzo, smussò un po’ le sue posizioni scrivendo a Cecchi il 10 agosto 1914: «è vero che il Baldini non ha voluto fare di me quel personaggio che supponevo, ma l’accidente che è accaduto tra noi lo punisce, in ogni modo, del suo poco e frettoloso equilibrio estetico. […] Bisognerebbe che si decidesse – o per la verità o per la deformazione. E non giova mettere in fondo delle scuse. Il giuoco è ipocrita, e quanto a me non lo accetto. […] Conclusione: non mi pento di quel che è accaduto. Voglio bene al Baldini. Vorrei che si decidesse a cominciare a fare sul serio» (EPISTOLARIO I, p. 372). In effetti Baldini sarà poi coinvolto nella redazione della «Ronda», a testimonianza di un rapporto che sebbene inquieto non impedì comunque una collaborazione.

130 avanti. Idealismo, San Paolo etc. tutte cose giuste. Ma io ne ho perduto il ricordo. Tuo. Cardarelli.

[35] Cartolina postale svizzera, indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Forte dei Marmi/ (Lunigiana)/ Italia»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dal timbro postale di partenza LUGANO 22.VII.14.

131 [36]

Lugano, Agosto, 1914

Caro Bacchelli, ho assolutamente bisogno di sapere dove sei, per scriverti di cose importanti. Son passato da Bologna due volte ma tu non c’eri. Avrei voluto trovare tuo fratello e far visita a tuo padre; scusa ch’io era in compagnia che non avrei potuto presentare senza di te, eppoi non avevo troppo tempo. Ricevesti i miei due telegrammi? Avrai già capito quel che è accaduto dall’allusione che ho fatto più sopra. Ora avrei bisogno di te per un sacco di ragioni. Quando, dove ti posso scrivere? Io vado domani a Locarno (Lago Maggiore) sempre Svizzera, scrivimi lassù fermo posta. Allora ti dirò con calma quel ch’è successo, e come mi trovo, e a che punto sono del mio lavoro, che resta sempre la cosa più importante e più pura. Prima di ricevere questa mia lettera faresti male a pensarmi in luna di miele. A Locarno anzi tornerò ad essere solo. Tu sai con quante serrature è assicurata la gioia che io dovrei scassinare. E tu? Persisti tanto a rinviare al Forte1 che comincio a sospettare ti ci trattenga qualche secreta attrattiva! Io ti ho scritto da qui ben due cartoline2 a cui non ho avuto risposta. La causa? Non ti sono forse arrivate? E di tutto codesto pandemonio che mi dici? Ho paura che i tedeschi abbiano a ritornare a Parigi. Scrivimi dunque presto e te ne sarò assai grato. Tuo affmo V. Cardarelli.

[36] Cartolina postale svizzera, indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ villa Cipressina/ fuori Porta Saragozza/ Bologna»; timbri postali di partenza LUGANO 23.VIII.14; sopra l’indirizzo Cardarelli ha annotato «pregasi far seguire».

1 Forte dei Marmi. 2 Vedi lett. 34 e 35.

132 [37] [Lugano 31. 8. 1914] . Caro Bacchelli avevo bisogno di te per alcune cosette pratiche ma sono state già risolte, cosicché non ti scrivo altro che per ristabilire le nostre comunicazioni, dopo un certo periodo di silenzio che deve aver prodotto in te, come in me, qualcosa di nuovo. Io son restato a Lugano. Aspetto che la mia amica possa mettere in chiaro la sua situazione e poi tornerò in Italia, assai probabilmente a Roma, ma in un modo tutto nuovo, con l’intenzione di lavorare e comparire il meno possibile. Se poi là, o di passaggio per Bologna ci potremo vedere, tu sai il piacere e il bene che mi farai. Non è del resto escluso, se tu credi, che io possa prendermi qualche giorno di libertà e venire costì. Ho rivisto Bologna solo solo e mi è piaciuta come una città famigliare. Hai letto il libercolo di Serra sulla letteratura d’oggi?1 C’è un cenno a me che pare uno sfregio. Il buon uomo in seguito, e senza che io gielo chiedessi mi ha scritto una lettera confessando di avermi letto in fretta sul banco della Libreria della Voce e di avermi confuso con Onofri e De Sanctis! Ma leggo in questi giorni che cosa si scriveva di Beethoven via via che andava svolgendosi e mi consolo. Io credo che presto tornerò a lavorare, con altro vello. Mi si delinea sempre più il bisogno di dar vita a un carattere. Stavo ricredendomi e cerco di assumere con allegrezza tutte le mie cattiverie. Ne parleremo. Che dici della guerra? Non sono d’accordo con te. Che ci andiedero a fare i nostri bersaglieri a Crimea? Il richiamo mi pare significativo. La verità è che siamo sempre gli italiani esclusi da ogni grande storia. Qual’è la grande guerra europea a cui abbiamo partecipato? - Intanto io mi son riletto il Faust. La grandezza di Goethe cresce sempre ogni volta. In lui l’ironia assume forme totali, cosmiche. Fece del mondo la più inebriante delle mascherate. La materia gli diventò genio. Che uomo strano tra i soliti grandi uomini tutto spirito e dramma! Ricambia i saluti a tutti. Tornerò a scriverti. Tuo Cardarelli.

Non parlo delle tue malinconie perché mi sembrano un buon segno e mi fanno piacere.

[37] Cartolina postale svizzera, indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Villa Cipressina/ fuori Porta Saragozza/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dal timbro postale di partenza LUGANO 31.VIII.14, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 1.9.14.

1 Renato Serra (1884-1915) critico letterario italiano che collaborò con «La Romagna» e «La Voce», sulla quale pubblicò alcuni scritti. Nel 1914 pubblicò il saggio Le Lettere (Roma, Bontempelli e Invernizzi, 1914), panoramica critica sulla produzione letteraria contemporanea, in cui Serra accennava anche alla produzione poetica di Cardarelli uscita sino a quel momento (le sei poesie su «Lirica»), apportandovi tuttavia delle critiche che indispettirono il poeta. Sulla questione vedi le lettere di Cardarelli a Serra e Cecchi in EPISTOLARIO I, pp. 373-377.

133 [38]

[Lugano, inizio settembre 1914]

Caro Bacchelli, tu sai che se ci mettiamo a discorrere a questo modo io non ho a portata di mano né i tuoi dati storici né la tua saggezza di uomo politico emiliano. Ma dire di un fatto come questo, e di nessun fatto che accade si può dire, che non ha né capo né coda, mi pare un pirronismo, che dopo una seria lettura di San Paolo non dovrebbe uscir fuori. Guerra di razze? Questo non è che il lato orientale della questione. Per me vuoi che te lo dica? Questa è la guerra1 di tutti i difetti e di tutte le disgrazie dell’anima germanica. Odio etnico con gli slavi, in ciò russi e tedeschi si equivalgono, attrito sciovinista – che senso d’antiquariato questa guerra franco-tedesca! – rivalità economica con gli’Inghilterra etc. etc. Ora io penso che chi ha saputo prima di tutti vedere il senso di quel che accade è stata l’Inghilterra. Si tratta di guarire la Germania dalle sue convulsioni e di liberare l’Europa dalle minaccie dei suoi contraccolpi. La cosa è molto semplice e credo che gl’inglesi ne andranno a fondo. Tutto il resto, tutta l’enormità territoriale di questa guerra, paragonata a quella rapida soluzione che dovrà pure avvenire tra la flotta tedesca a la flotta inglese, ha un valore molto relativo. Non ti pare? In questo caso vedi bene che la cosa ci può interessare non indegnamente e rivelare i caratteri di una spiccata attualità. Per quel che riguarda noi tu ragioni, ripeto, saggiamente. Ma, dico io, vuoi scommettere che tra qualche anno la Serbia e il Montenegro finiranno per essere in Europa più rispettate dell’Italia? Vedremo io sono tutt’altro che un romano. Ma applico il mio gusto dell’energia e dell’affermazione e delle necessità oscure delle esperienze anche alle nazioni e concludo che l’esercito e il paese italiano farebbero bene a provare in poco una buona volta quanto sugo son capaci di spremere. A noi ci rovina la buona educazione e l’amore del quieto vivere. Siamo una razza di briganti imborghesiti. Non abbiamo il coraggio, pur avendone la voglia, di compiere un’aggressione. Eppure io credo, per esempio, che l’esercito italiano sia superiore a qualcuno dei grandi eserciti che ci han sempre messo la tremarella nelle ossa. In ogni modo vorrei vedere. E lasciamo stare la Marsigliese che è una brutta canzone. A quel che farà Pèguy,2 curioso, ci ho pensato anch’io. Mah! tutta roba vecchia.

1 La prima guerra mondiale. 2 Charles Pèguy (1873-1914) scrittore francese, allievo di Bergson le cui opere si ispirarono ad un socialismo cristiano con accenti rivoluzionari e nazionalisti. Amico di Rolland e Benda si pone nel novero dei modelli filosofico-culturali a cavallo tra i due secoli a cui si ispirarono gli intellettuali primo novecenteschi. L’unico contributo cardarelliano su «La Voce» del 1913 fu proprio un articolo su Pèguy che negli anni giovanili occupava gran parte delle sue letture, come quelle di Bacchelli e del loro entourage.

134 Tutta la Francia è tarlata. Credo che in tutti i casi all’indomani di questa tempesta scorgeremo paesaggi nuovi e un cielo più limpido. Spero che la guerra sia lunga e che ci sia modo di compiere tutta la giustizia, anche quella che temporaneamente potrebbe essere affidata alla bomba e al piccone del tedesco. Vorrei anche discutere su Goethe,3 visto che questa volta non me ne hai passata una buona. Ma è difficile parlare di quell’uomo. Il richiamo che tu fai a Shak.4 in parte è giusto. Ma non è precisamente a loro che pensavo parlando dei soliti grandi uomini tutti spirito e dramma. Io pensavo a Beethoven5 p. e. di cui sto leggendo la biografia. Quanto a Shak. qui siamo senz’altro, secondo me, nel tragico e nella genialità assoluta, e tu hai ragione a parlare di gioia della disperazione etc. Però che c’entra questo con quello che io volevo dire di Goethe? Sia pure esercizio interno e fatica. Ma questo non mi contrasta: anzi! Un genio molto misterioso à appunto bisogno di molto esercizio e molta fatica. Senonché alla fine ecco di che cosa t’accorgi: che tutta questa fatica e questo esercizio hanno elevato castelli meravigliosi sulla tavola d’un palcoscenico. Questo io intendo. E non dico mica che mi dispiaccia! Prima di tutto mi meraviglia. Per Goethe il mondo fu un congerioso e illuminato spettacolo. È naturale che dentro sé l’unico sostegno serio fosse l’ironia. Il naturalismo di Faust6 è per così dire la […] ghètiana. La sua anima è quella di Mefistofele. Tutta la sua strana acutezza morale ha i caratteri della riflessione greca. C’è la pratica degli uomini e delle cose, aderenza empirica e cruda all’esperienza assoluta; non c’è l’invenzione e l’arbitrio creatore. Non c’è diremmo noi, attività. Grande creatore è invece nel modo, nella giacitura della sua espressione. Nel ritmo della sua eloquenza che del resto ha un segreto che è quasi sempre lo stesso: voglio dire la sua ironia formidabile. Ed ecco perché il suo più fine discorritore è Mefistofele.7 Mentre Faust è spesso un […] insopportabile. Reazioni tu dici? Ma a patto che questo non voglia dire dialogo e dramma, e tanto meno furia tragica. Egli è l’uomo della sfilata dei balli in maschera dei monologhi. È perciò modernissimo, e io lo sento come pochi. Ma forse non solo quello che abbiamo

3 Dalle lettere di questo periodo emerge l’amore e l’appassionata inclinazione cardarelliana per Goethe, non solo per le sue opere, ma anche per l’uomo. Nella prosa Decadenza del genio infatti, Cardarelli rielaborerà le riflessioni qui esposte definendo Shakespeare e Goethe «due geni, questi, fatti non per scrivere mai altro che liriche, geni frammentari, momentanei, e fantastici al più altro grado» (OPERE, p. 309). 4 Shakespeare, così come sotto. 5 Romain Rolland, autore molto noto e discusso in quegli anni e particolarmente amato da Bacchelli, pubblicò nel 1903 la biografia del celebre musicista (R. ROLLAND, Beethoven, Paris, Cahiers de la quinzaine), libro che ebbe numerose ristampe negli anni successivi. E’ verosimile ipotizzare quindi che Cardarelli stesse leggendo la vita di Beethoveen nella ricostruzione di Rolland. 6 Faust, tragedia di Goethe molto amata da Cardarelli. 7 Mefistofele, diavolo protagonista del Faust di Goethe.

135 di buono ma anche tutto il cattivo e il vuoto che abbiamo ci viene da lui. Vi sono anche in Rimbaud e si sentono distintamente delle risonanze ghètiane. Ma smettiamo a parlare di tutto questo e scusami se mi troverai un po’ arruffato e diluito. In questi giorni non sto troppo bene. Quanto a Serra8 ha finito per riconoscermi assai più che non desiderassi. Ma che importa? Mi scrive Cecchi domandandomi notizie di te e pregandomi di salutarti. Dagliele tu stesso e anzi salutalo da parte mia, senza dirgli nulla naturalmente delle cose intime, e avvertilo che presto io andrò a Roma. Non so ancora se verrò a Bologna. E però probabilissimo. In tal caso potrei venire da un giorno all’altro. Saluta intanto tutti e abbiti una stretta di mano affettuosa dal tuo, Cardarelli. Anche Slataper è a Roma. Il fuoco caccia le talpe. Vedi?

[38] Un foglio sciolto scritto sul r e v, intestato: «CAFÈ JACCHINI/ LUGANO/ PLACE DE LA RÉFORME (Hotel de Ville)». La lettera risulta tematicamente interconnessa con il contenuto della lett. 37, alla quale segue, collocandosi nei primi giorni di settembre 1914 (il terminus ante quem è fissato al 10 settembre dalla lettera 40). In questa missiva infatti Cardarelli risponde all’amico in merito alla sua opinione sulla guerra, su Goethe e fa un accenno a Serra, temi introdotti nella lettera precedente sui quali ritorna, con tono responsivo, in questa missiva.

8 Vedi lett. 37.

136 [39] Casalmaggiore, fermo posta (Cremona) [10. 9. 1914]

Caro Bacchelli, sono da alcuni giorni in questa bassa pianura lombarda, da mia sorella. Non so se tu mi abbia risposto, non ho ancora ricevuto nulla. In ogni modo ti scrivo per darti questa notizia e per dirti che il mio affare, quello intimo, è finalmente, una volta per tutte, andato in fumo come sospettavo. Non ti dirò nulla di più. È stata l’avventura più triste della mia vita. Quindici giorni di matrimonio!1 C’è una lettera <…> in cui egli comunica ad un amico la sua sordità pregandolo di custodirne il segreto come una cosa della più alta importanza; vero segreto di stato. Io ti comunico adesso questa rottura con la stessa mortificazione e con lo stesso terrore. Quando ci vedremo ti dirò poi a voce. E ora sono qui in condizioni disperatissime. Per questo non oso assicurarti nulla riguardo alla mia venuta costà. E non so dove andrò e non so cosa farò appena uscito da questo limbo. A Roma che ci andrei a fare? A Firenze come ci resisterei? Consigliami tu qualche cosa. Io ho munizioni sino a tutt’ottobre. Per dopo la mia situazione è di rimettermi a lavorare a qualunque costo. Parla un po’ a Caroncini.2 Ma il guaio è che pur facendo sforzi giganteschi contro il male non riesco più a trovare un’ora di salute e affondo in un vero stato di ipocondria, con crisi frequenti di autodistruzione in cui non mi riesce più di acquietarmi a una sola delle righe scritte; e parlo di ciò che tu ancora non conosci. Che pensi tu di tutto questo? Se mi scrivi non farlo in cartolina, perché non voglio che qui in famiglia sappiano nulla del mio stato. Saluta intanto i tuoi e spero di trovare le forze per rivenire qualche giorno in mezzo a voi. Tuo affmo V. Cardarelli

[39] Cartolina postale italiana, indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Villa Cipressina/ fuori porta Saragozza/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza CASALMAGGIORE (CREMONA) 10.9.14, timbri postali di arrivo BOLOGNA CENTRO 11.9.14.

1 Vedi lett. 27. 2 Alberto Caroncini (1883-1915), intellettuale di ispirazione liberista e vicino ai movimenti nazionalisti e irredentisti, nel 1914 divenne vicedirettore del «Resto del Carlino» e fondò a Milano l’«Azione» insieme ad Arcari. Studioso della situazione politico economica del tempo, aveva lavorato al ministero dell’Agricoltura e collaborato con «Il Regno» di Corradini e la rivista «Critica e azione», poi confluita ne «La libertà economica» di Giovannini, rivista di stampo antigiolittiano. Negli anni ’10 era stato vicino all’ambiente della «Voce». Probabilmente Cardarelli pensava ad una eventuale collaborazione con «Il Resto del Carlino» per tramite di Caroncini.

137 [40]

[Casalmaggiore – Cremona, 20. 9. 1914)]

Caro Bacchelli, non scrivere a Quilici. Adesso vado a Roma e, se mai, penserò io a quel che debbo fare. Intanto passando da Bologna mi fermerò qualche giorno, va bene? Partirò di qui certamente lunedì telegrafandoti l’ora precisa del mio arrivo. Debbo già avere in posta qualche lettera per me. Nel frattempo io sono un’altra volta in relazione con quella donna. E questo fia suggel.1 Vedrai che alla fine qualcosa di serio e di durevole si compirà. In questi giorni ho messo assieme alcune carte e le ho mandate a Cecchi per la Riviera.2 Pare che gli siano molto piaciute. Io qui ho fatto figurati un’appassionata lettura del Werter.3 Ho anche rivisto qualcuna delle più grandi scene di Re Lear.4 Le insistenze del buffone sulla coglioneria colpevole di Re Lear mi hanno fatto pensare a quel che tu mi scrivevi sulla musicalità di certe fantasie. Veramente l’effetto è terribile, come una frase che espulsa da un piano sinfonico seguita ad essere ribattuta e rimaneggiata da uno stiramento isolato e cupo. Ce n’è in Beethoven di queste ossessioni. E ti ricordi la prima espressione dello stupore di Lear appena comincia a capire l’ingratitudine della figlia? «Tenebre e caos». Io quando mi capitano di queste sorprese alzo la faccia e scrivo il ricordo con un largo sorriso faunesco. È il grado massimo di commozione a cui posso arrivare. Per esempio Goethe ti tiene in uno stato continuo di soddisfazione, ma è raro che t’assalga con questi colpi di genialità. Dunque a rivederci. Tuo Cardarelli.

[40] Due foglietti sciolti, scritti sul r. Busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Villa Cipressina/ fuori Porta Saragozza/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza CASALMAGGIORE (CREMONA) 20.9.14, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 21.9.14. Sulla busta, in basso a destra per mano dell’autore, a matita, è scritto: «(vedi dietro)»; in v l’autore ha scritto: «Senz’altro; io arrivo a Bologna lunedì sera alle 7. Ma siccome a quell’ora voi cenate e io d’altronde non ho con me che una valigietta, non stare a venire. Ci vediamo poi alle 9 al caffè dove andavamo. Capito?».

1 «Fia Suggel», espressione dantesca (inferno, XIX) per indicare «sia un segno». 2 Lettera a Cecchi del 19 settembre 1914 (EPISTOLARIO I, lett. 302). 3 I dolori del giovane Werther, romanzo di Goethe. 4 Re Lear, tragedia di William Shakespeare.

138 [41]

[Roma, 21. 10. 14] Via Sistina, 134

Caro Bacchelli, io non ho nulla in contrario per quanto riguarda Morandi.1 E pubblicherei volentieri anche una cosa di Mario.2 Purchè siano cose realmente riuscite e non eccentriche, tu m’intendi. E se Mario legge queste righe che capisca quello che voglio dire e non s’inalberi contro il mio filisteismo. Vedrai che faremo un bel numero. Poca brigata e buona. Tu mandami al più presto una buona selezione delle cose tue. Ti metterò, come si rimase, a capo. Ci saranno le liriche di Sibilla che non sono spregevoli;3 forse qualcosa di Quilici, forse qualcosa di Slataper. Cecchi non so quel che mi darà. Liriche dice.4 Io temo. In ogni modo siamo in tali rapporti che mi potrò permettere di trattare liberamente con lui. Avrò poi qualche pagina di Bavarese.5 Questo modesto non disonorerà. Baldini è incerto e io mi guardo bene di forzarlo.6 Delle cose mie non parlo. Ho rimesso a nuovo una vecchia breve preghiera per il buon uso del tempo che aprirà la serie. E ho rifatto qualche pagina dell’espiazione che ti lessi. Inoltre avrò qualche altra piccola cosa nuova, e le liriche che tu conosci sono qua e la seriamente rilavorate, specie il preludio estivo e pigro.7 C’è già dell’aspettativa. Vedremo. Io non ho ancora fatto nulla di pratico perché so che quel che importa è avere il materiale e quanto al lavoro tipografico lo manderò avanti, appena sarà il caso, a tamburo battente. M’informerò della spesa eppoi ti dirò

1 Vedi lett. 26 2 Mario Bacchelli, fratello di Riccardo, pittore e amico di Giorgio Morandi con cui aveva studiato all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Cardarelli si stava adoperando per allestire un nuovo fascicolo di «Lirica», la cui ultima uscita era stata il numero unico del Natale 1913 (per la vicenda relativa alla rinascita di «Lirica» vedi EPISTOLARIO I, lett. 305-315). Per questo fascicolo Cardarelli non escluse la pubblicazione di testi di Giorgio Morandi e Mario Bacchelli, purchè rispondenti ai criteri che il nuovo progetto imponeva «con un criterio di selezione addirittura darwiniano» (lettera del 13 ottobre 1914 a Sibilla Aleramo, in EPISTOLARIO I, p. 389). 3 A tal proposito vedi le lett. 308, 310 e 313 in EPISTOLARIO I, in cui Cardarelli esprime alla poetessa l’approvazione per le sue liriche da inserire nel fascicolo di «Lirica». 4 Sulla piccola querelle nata tra Cecchi e Cardarelli a proposito della modalità di inclusione dei pezzi di Cecchi in «Lirica» si veda EPISTOLARIO I, lett. 311. 5 Nino Savarese (1882-1945) fu uno dei più affermati prosatori e romanzieri italiani, collaborò a «La Voce» e «La Ronda», al cui stile prosaico rimase sempre fedele. Nel primo ventennio del Novecento fece parte del fervente entourage romano, al fianco di Cardarelli, Bacchelli, Baldini e Montano. Esordì come narratore nel 1912 con Le Novelle dell’oro. 6 A proposito della partecipazione di Baldini a «Lirica» Cardarelli aveva scritto a Cecchi il 17 ottobre 1914: «Baldini ho l’impressione che ciurli gentilmente nel manico. L’idea di poter collaborare alla Voce in stato di scrittore principe lo deve lusingare assai più e se ne deve ripromettere assai più positivi vantaggi» (EPISTOLARIO I, p. 390). 7 Vedi lett. 26.

139 quanto ci tocca per ciascuno.8 Non credo che né tu né Mario né Morandi avrete nulla in contrario per questo. Credo che valga la pena fare questa rivista. Qui ho visto Naldi9 e fanno un nuovo giornale a Roma,10 dove forse avrò qualche incarico. Amendola col Corriere11 è diventato un caso sinistro. Slataper è trattabile a patto di contentarsi delle occhiate e a forza di bontà da parte mia. Tanto più che la moglie è molto delicata e intelligente. Figurati che Slataper sta ancora ad Amend[ola] storico e rigeneratore di filosofia in fieri. Non basta neppure che questo signore abbia smesso ogni ipocrisia e si sia buttato a fare il politicante più lercio. Io vivo come posso. La mia donna è dovuta riandar via. Penso con molta gratitudine alla mia fedeltà e alla tua intelligenza. Questo è tutto. Saluti a Tavol.12 Scrivimi. Tuo Cardarelli.

[41] Biglietto postale intestato: «CAFFÈ NAZIONALE/ PERONI & ARAGNO/ ROMA», indirizzato: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dal timbro postale di partenza ROMA CENTRO 21.10.14, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 21.10.14.

8 Cardarelli, animato dalle più vive intenzioni letterarie, avrebbe rifondato «Lirica» a Roma anche a spese personali dei singoli collaboratori; tuttavia, come scrisse a Serra il 28 ottobre 1914, era comunque in cerca di un editore: «volevo dirle […] che noi abbiamo bisogno, non assoluto, chè saremmo disposti a farla anche a nostre spese, ma insomma se si potesse avere non ci dispiacerebbe di trovar un editore. Ho pensato a Bontempelli. Le pare pratica la mia veduta? Potrebbe al caso portarci un aiuto decisivo?» (EPISTOLARIO I, p. 394). Il tentativo cardarelliano di una «Lirica» romana tuttavia fu abbandonato già nel mese successivo (EPISTOLARIO I, lett. 315 a Renato Serra). 9 Filippo Naldi (1886-1972) giornalista e politico italiano, già direttore de «Il Resto del Carlino» (1914-18), fondò nel 1917 «Il Tempo». 10 «Il Tempo», quotidiano fondato a Roma il 12 dicembre 1917 da Filippo Naldi, affiancato nella direzione del giornale, nel 1919, da Mario Missiroli. 11 Giovanni Amendola, nel 1914, era passato dal «Resto del Carlino» al «Corriere della Sera». 12 Italo Tavolato.

140 [42]

Roma, 28 ottobre 1914 Via Sistina 134

Caro Bacchelli, non vorrei che nella decisione di Morandi e Mario avessero influito quelle tali ragioni di sucettibilità artistica cui accennavo. In ogni modo tu sai con quanto piacere e anche adesione avrei accettato i loro lavori. Ma se credono che non ne valga la pensa e non si fidano dei clichés non ne parliamo più. Facciano loro del resto. Quanto a te va benissimo, ma aspetto le cose che mi prometti al più presto. Per il costo del fascicolo non ti posso ancora dire nulla di preciso; è certo però che tu metterai tutto quel che crederai giusto e che potrai mettere;1 e mi pare che questa sia la migliore soluzione. Ripeto, mandami subito le tue cose e non temere dell’esito di questa impresa che porteremo in fondo a ogni costo. Di me avrei troppe cose gravi da dirti e perciò per adesso taccio di tutto rimettendomi ad una prossima lettera che ti scriverò, meno, come vedi ufficiosa. Con Slataper ora si va molto meglio:2 si tratta di trovare la formula e poi si va bene con tutti. Amendola è sparito dalla circolazione. Vedo tutti i giorni Quilici che sarà tra giorni a Bologna per la tesi di laurea:3 farà sicuramente l’articolo che tu chiedi, e credo che per esempio su me dirà le cose più fini: sarà anche lui tra i poeti di Lirica, figurati. Gli ho detto che ti venga a trovare. Saluta tutti e ciao. Cardarelli.

Saffi mi ha chiesto molto simpaticamente notizie di te: e io gliele ho date come puoi immaginare.

[42] Foglio dattilografato, scritto solo sul r, con l’inserimento autografo, a penna, sul lato sinistro del foglio, della frase: «Saffi mi ha chiesto molto simpaticamente notizie di te: e io gliele ho date come puoi immaginare». Busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; timbri postali di partenza ROMA CENTRO […].10.14, timbro postale di arrivo 30.10.14. Sulla busta è scritto a penna: «vaglia B. J./ 046506».

1 Vedi lett. 41. 2 Il 13 ottobre 1913 Cardarelli, informando Cecchi del progetto del fascicolo romano di «Lirica», scrisse a proposito di Slataper: «Slataper mi casca sempre più giù. Tanto vero che le nostre relazioni sono ormai dolcissime e senza pericolo di sorprese, di nessun genere» (EPISTOLARIO I, p. 388). 3 Quilici si laureò in Lettere, a Bologna, l’11 dicembre 1914.

141 [43]

[Roma, 5. 11. 1914]

Caro Bacchelli, speravo che Quilici ti vedesse e ti potesse un po’ parlare delle cose mie, ma a quanto so è stato ieri a Bologna ed è ripartito immediatamente credo per Roma; così date le sue lentezze e distrazioni non credo che abbia trovato il tempo di venirti a vedere come mi aveva promesso. Ed eccomi a parlartene io brevissimamente. Dopo una settimana con quella donna finì subito tutto un’altra volta e per sempre. C’era come ti dissi una rivalità: il fratello. Io la posi con le spalle al muro, e il fregato fui, come mi accade spesso, naturalmente io. Con questa ironia, per di più, che mi sono inteso di anche da lei, come da un Baldini qualunque! Tu mi hai rivelato a me stesso. Basta non starò a dirti nulla di più delle cose intime. La vergogna e la rabbia d’una simile avventura, troveranno, se la troveranno, la loro espressione lirica – per adesso io non ti comunico che il disastro materiale. Al quale ho bisogno di riparare così: chiedendo un nuovo sussidio a Orvieto che mi permette di andare avanti fino alla fine dell’anno. Ma intanto, e tu sai con quante seccature, ho bisogno anche di un tuo aiuto. Ti confesso che se avessi cinquanta lire da potermi mandare subito il vantaggio non sarebbe poco. A Orvieto non posso scrivere prima d’aver pronte tutte le mie ultime cose e mandargliele perché veda il lavoro che ho fatto. Non aggiungo di più. È meglio che mi scriva fermo posta. E le cose tue quando me le mandi? L’altra sera ho fatto un tour de force con Laterza,1 che molto probabilmente stamperà Lirica.2 Così non ci sarà niente da spendere. Ma bisogna che ti decida perdio. Quanto a me mi rileggerai in parte nuovo e per il resto tutto ripulito e rilavorato. Tuo Cardarelli.

Cecchi è qua presente e ti saluta. Saluta tutti.

[43] Biglietto postale intestato: «CAFFÈ NAZIONALE/ PERONI & ARAGNO/ ROMA», indirizzato: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza ROMA CENTRO 5.11.14, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 6.11.14.

1 «Laterza», casa editrice fondata a Bari nel 1901, da Giuseppe Laterza, il cui principale collaboratore fu Benedetto Croce, consulente per circa quarant’anni per questa casa editrice con la quale pubblicò tutte le sue opere. Vi collaborarono inoltre alcuni illustri filosofi e intellettuali come Luigi Russo, Guido de Ruggiero e Giovanni Gentile. 2 In realtà il progetto fallirà, probabilmente anche per mancanza di un editore disposto ad investire nell’impresa.

142 [44]

[Roma, 8. 11. 1914 ca.]

Caro Bacchelli, se tu non li hai è inutile parlarne, ma è curioso che mi stia a domandare se proprio mi servono urgentemente. Credi tu che sia una passeggiata di piacere per me venire a chiederti cinquanta lire? Lunedì mi scade l’affitto di casa e non avrò come provvedere. È appunto nella previsione di dover fare per qualche giorno l’uccel di bosco che ti avevo detto di scrivermi fermo posta. Ma bada, che se tu dovessi fare delle dichiarazioni esplicite a tuo padre o cose del genere per mandarmi questi denari preferirei che tu non mi mandassi nulla. Non ho avuto ritegno neppure questa volta a darti tale seccatura perché so che presto in un modo o nell’altro il mio problema economico si risolverà per un periodo di tempo abbastanza lungo. E questo è tutto. Quanto alla rivista1 hai perfettamente ragione e credo che ci imporremo anche oltre le nostre stesse aspettative, almeno per parte mia. Ho già visto parecchia gente rincoglionita. Cecchi ha scritto a Laterza una lettera che dovrebbe secondo me decidere della cosa; la quale se avviene potrà anche essere utile per altri motivi. Sarebbe l’editore assicurato. Quilici non mi ha ancora portato nulla, e so che è già a Roma. Mandami subito i manoscritti se non li hai già dati. Sempre fermo posta. Cardarelli.

[44] Biglietto postale da 5 centesimi, indirizzato: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dal timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 9.11.14; timbri postali di partenza ROMA CENTRO 7.11.14.

1 Si riferisce al progetto della rinnovata «Lirica» romana. Vedi lett. 41-43.

143 [45]

[Roma, 10. 11. 1914]

Caro Bacchelli, ti ringrazio del vaglia. Non poteva giungere più opportuno. Spero che non avrai avuto bisogno di operazioni chirurgiche e apprezzo tanto più la cifra che mi hai mandato in quanto mi fai capire che hai spremuto tutto quel che potevi dalle tue tasche. Come ti feci intendere ho messo in moto qualche forza per risolvere il mio problema nella sola forma in cui mi è possibile per un tempo relativamente lungo. Fu lo stesso Cecchi a propormi un espediente simile a quello usato con Orvieto verso Sforni.1 Ieri sera abbiamo impostato una lettera scritta da Cecchi che non potrebbe essere più eloquente. A Cecchi hanno fatto molta impressione le cose che ho scritto quest’ estate e non ha avuto bisogno di grandi sforzi per aprirsi con Sforni nel modo più risoluto. Ho la convinzione che qualcosa si debba concludere. Se non mi sbaglio credo che questo mio inverno romano, più pieno di decisioni e di conclusioni riguardo ai soliti compagnoni, potrebbe essere per me piuttosto fecondo. Mi sono assestato in una grande camera a due finestre in Via Sistina 134, presso Kaiser (dove d’ora innanzi mi scriverai), e certo ora mi sarà meno doloroso passare molte ore del giorno in casa. Ma se anche questa volta mi dovessi illudere, allora non so proprio come andrà a finire. Io ho messo a vuoto il sacco della vanità e delle illusioni. Non potrei vivere ormai che sul sodo. Il Signore mi aiuti. Riguardo alla rivista Laterza pare si schermisca e che i miei sforzi siano stati vani. Cecchi è molto pessimista e preferirebbe che io pubblicassi le mie cose da solo, oppure un fascicolo con te. Questa seconda idea non mi piace perché rischieremmo di diventare una specie di Romolo e Remo della nuova poesia, e in certi casi bisogna fermarsi a tempo ed essere più furbi di certe ironie. D’altra parte la rivista non si potrebbe fare se non a patto di mischiarsi con

1 Nel 1913 Cardarelli era riuscito a farsi stipendiare in maniera abbastanza costante da Angiolo Orvieto, con l’impegno di scrivere un libro reportage sulla Sardegna che tuttavia non scrisse mai trascinando la questione fino all’aprile del 1914 (vedi lett. 6, 9, 11, 14-5, 18, 22). Essendo difficile in seguito a ciò convincere Orvieto ad aiutare nuovamente il poeta, Cecchi gli suggerì di appellarsi a Gustavo Sforni con lo stesso espediente della promessa di un lavoro sotto compenso, pur sapendo già di non poter mantenere l’impegno. D’altronde fu lo stesso Cardarelli a svelare le sue intenzioni in una lettera a Cecchi del 23 novembre 1914, in attesa di una risposta positiva che risolvesse le sue finanze disastrate: «Dunque se davvero il bisogno che io ho è giustificato e serio mi pare che adesso ci sarebbero queste due vie, o convincere Sforni delicatamente che per lui altre mille lire non sono nulla e per me potrebbero rappresentare qualche cosa di enorme, mentre con queste cinquecento non potrò che mediocremente sollevarmi, oppure andare da Orvieto. […] Io lavoro e tra qualche mese egli potrebbe avere la soddisfazione di farmi riuscire a scrivere un libro non inglorioso. Dopo di che si vedrà se io avrò avuto tutto e non debba piegarmi a qualche lavoro meno essenziale» (EPISTOLARIO I, p. 399).

144 molti elementi deteriori. Onofri ha scritto delle cose di una pesantezza incomprensibile. Non ci sarebbe che Sibilla. E Serra se mandasse qualcosa.2 Quanto a Cecchi è piuttosto in un periodo di dispersione a quanto vedo. In queste condizioni tu che cosa diresti di più? Ti confesso che io non credo arrivato il momento di dare fuori sia pure un fascicolo soltanto mio, che ho d’altronde bisogno di liberarmi di queste cose che ho scritto. Pensaci ponderatamente e proponimi tu. Quilici mi riferisce le tue inquietudini riguardo alla tua proposta sul verso. Sai che io non sono un prosodista. Così a occhio e croce posso meravigliarmi come tu dia tanto valore a certe cose, però. Bada di non far fatiche uso mirabile visione (o solitario orgoglio!). Con questo ti saluto. Cardarelli.

Se tu decidi col sistema delle […] la rivista la si fa in quindici giorni.

[45] Biglietto postale intestato: «CAFFÈ NAZIONALE/ PERONI & ARAGNO/ ROMA», indirizzato: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza ROMA CENTRO 10.11.[…], timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 11.11.14.

2 Il 28 ottobre 1914 Cardarelli aveva scritto a Serra sia per chiedergli la cortesia di intercedere presso Bontempelli, sia per coinvolgerlo direttamente nel novero dei collaboratori del numero romano di «Lirica»: «Ora le volevo dire: prima se lei avesse qualcosa da poterci mandare e non si vergognasse di stare tra noi (pagine autobiografiche sul tipo di quelle che incontrai nello scritto su Paul Fort o che so io); e, in secondo luogo, la volevo interessare, anche a rischio di urtare un po’ troppo i suoi malumori attuali contro la letteratura, all’esito pratico della nostra impresa» (EPISTOLARIO I, p. 394). Solo qualche mese prima Cardarelli aveva avuto un fitto scambio epistolare con Serra a proposito del giudizio del critico sul poeta tarquinese nel volumetto Le Lettere (vedi lett. 38), ma la questione si era chiusa sull’attestazione di una reciproca stima, che Cardarelli sembra confermare in questa lettera.

145 [46]

Roma, via Sistina, 134, presso Kaiser [18. 11. 1914]

Caro Bacchelli, non discuto la tua decisione. Soltanto credo che avresti potuto procurarti un editore meno parruccone,1 ma anche queste son cose che non hanno nessuna importanza e sono curioso di vedere quale forma ha finito per assumere il tuo poema, e vorrei anche poter conoscere più minutamente le ragioni che t’hanno spinto a questa frettolosità inopinata. Non so se Cecchi ti abbia risposto, ma credo che l’articolo di lui non l’avrai se non quando gli verrà. È un curioso uomo, tu lo sai. Ti confesso che mi sono meravigliato della cartolina che gli hai scritto; mi è parso un atto profondamente impolitico. Come anche con Quilici. Sono ingenuità di cui io capisco il valore e che mi posson fare magari piacere; ma quando si è stati fermi per tanto tempo perché dare ad un tratto impressioni di smaniosità? – Del resto non dare a queste mie parole un significato troppo grave. Sono intenzioni che io ho raccolto e subito ribattute, ombre d’impressioni che son passate in me stesso e delle quali ora ti discorro in omaggio alla nostra solita sincerità. L’essenziale adesso è che il tuo libro esca e sia conosciuto. Di me ho da dirti cose tristi e cose consolanti. Sforni non risponde e la fine del mese si avvicina, e intanto son rimasto con una lira e venticinque in tasca: ecco le cose tristi che potrebbero diventare anche di una gravità pazzesca. Quanto a tutto il resto non potrei andare meglio. Lavoro di buona lena e ho già aggiunto alcune pagine a quelle che tu consoci di tessitura assai delicata. È tutto il dialogo dello scettico2 che mi ritorna ma in forme allegre e suggestive. Ci ho tirato fuori p. e. un pezzo che ho intitolato Il silenzio,3 e ne sono soddisfattissimo. Ora sto scrivendo, figurati, un Canto dei posteri:4 cose nuove e liete per me. Ricordi i nostri discorsi bolognesi sulla comune insospettosità attraverso la quale passa lo spirito dell’uomo? Con tutto ciò eccomi ancora colpevole della fame alle

1 Cardarelli si riferisce alla casa editrice Zanichelli, fondata a Modena nel 1859 da Nicola Zanichelli, che aveva pubblicato sino ad allora le opere di Carducci e Pascoli. Cardarelli non approvò la scelta dell’editore, attribuendogli, con l’aggettivo «parruccone», una linea troppo tradizionalista rispetto al carattere innovativo della poesia dei Poemi lirici. Come ricorda Elisabetta Graziosi infatti, nel 1914 nel catalogo di Nicola Zanichelli erano presenti i nomi dei «ripudiati maestri bolognesi: Giuseppe Albini, Pascoli, Vittorio Puntoni, Giuseppe Tarozzi» (E. GRAZIOSI, Dai "Poemi lirici" ad "Amore di poesia”, cit., p. 85). 2 Vedi lett. 21, nota 5. 3 Non si hanno tracce di questo testo, ma essendosi smarrito il Dialogo dello scettico, probabilmente la stessa sorte è capitata anche a questo testo che Cardarelli dice di aver estratto proprio dal Dialogo. 4 Anche di questo testo non si hanno notizie.

146 porte. Tu non avresti qualche diavolo da indicarmi? Borelli5 per esempio con quei suoi ammiratori ricconi. Pensa poi qualchecosa. Ho dato a Cecchi l’opuscolo di tuo padre su Lutero.6 Ne farà un pezzo in Biblioteca. Addio. Scrivimi. Cardarelli

[46] Biglietto postale intestato: «CAFFÈ NAZIONALE/ PERONI & ARAGNO/ ROMA», indirizzato: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dal timbro postale di partenza ROMA FERROVIA 18.XI.1914, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 19.11.14. Lettera parzialmente citata in E. GRAZIOSI, Dai "Poemi lirici" ad "Amore di poesia”, cit., p. 85.

5 Aldo Borelli (1890-1965) giornalista, redattore ai suoi esordi del quotidiano l’«Alfiere» e del «Mattino», fu direttore dal 1915 al 1929 della «Nazione» e dal 1919 al 1943 del «Corriere della Sera». 6 G. BACCHELLI, Leggendo il libro del Dot. Enrico Rivari: la mente e il carattere di Lutero, Bologna, Stab. Poligrafico Emiliano, 1914.

147 [47]

[Roma, 20-23. 11. 1914 ca.] Via Sistina, 134, Kaiser

Caro Bacchelli, ho letto le bozze1 che hai mandato a Quilici. Ci sono cose nelle prime parti che io per conto mio ancora sfronderei. Trovo che qualche paesaggio non lo hai toccato senza nuocergli. In genere non mi sembra che tu ti sia curato di dare risalto alle parti più belle. Questo come consiglio, se ancora fossi in tempo a ridare una seria occhiata alle bozze. Per il resto debbo dirti che quasi tutta la parte città2 e quella dei giorni idillici3 e moltissimi altri paesaggi sono d’una intensa e rara singolarità e quel che è meglio mantengono la loro linea da pagina a pagina con un continuità che sarebbe desiderabile anche nelle altre parti che accennavo prima. Ma il mio vero e raro stupore è per le ultime parti: fatiche e in tempi difficili,4 dove mi sembra che tu abbia continuato i tuoi sforzi più profondi e serrati. Questo quanto all’insormontabile limite di cui una volta s’è discorso vale più d’ogni impuntatura superbiosa o trovata d’altra natura comunque speciose. Di questo veramente sento di dovermi congratulare con te. Mi piace moltissimo la preghiera a Dio. I versi che hai aggiunto hanno la santa semplicità che ci vuole. Adesso manda le bozze anche a Serra, a cui ho scritto di te proprio oggi,5 e anche a me, le hai mandate a Cecchi? Scrivimi se puoi. Io ho finito quello scritto sui posteri,6 con molta meraviglia mia e di altri: cosa assolutamente nuova e largamente drammatica. Ma ora sono giù a fondo in un’altra cosa dello stesso genere. Basta. Metto qui anche un pezzo della Tribuna7 per tuo padre, caso mai non l’avesse visto. E me lo saluterai.

1 Le bozze dei Poemi lirici che Bacchelli avrebbe licenziato di lì a breve. 2 Sezione dei Poemi lirici 3 Probabilmente era inizialmente una sezione dei Poemi lirici, poi modificata dall’autore, poiché nell’edizione del 1914 non è presente. 4 Sezioni dei Poemi lirici. 5 A proposito dell’amico bolognese e della imminente uscita dei Poemi lirici Cardarelli scrisse a Serra: «Vorrei anche parlare un po’ di Bacchelli; ma non ne ha bisogno ne son certo. Quando vedrà i suoi Poemi – badi che bisogna cercarli: l’autore non è stato felice nelle disposizioni. Lei sarà uno dei pochi che saprà assaporarne la straordinaria bellezza. È come certi vigneti e certi orti e certe maggesi sacre che ho visto io per il Bolognese, sotto quel cielo, con quella indefinibile austerità di campagna. Un pallore opulento. Basta, io non so esprimere le mie sensazioni: veda lei» (EPISTOLARIO I, p. 398). 6 Lo scritto non si è conservato. 7 «La Tribuna» (1883-1946) quotidiano romano fondato da Baccarini e Zanardelli, al quale collaborò Emilio Cecchi dal 1910 al 1923.

148 Ho letto l’accenno all’uomo più amato da cui ti rimorde di dover prendere. Attenti ai sentimenti ingenui però. È probabile che io non trovi davvero di che. Tuo V. Cardarelli

[47] Due fogli sciolti scritti sul r; il primo è intestato «Hòtel – Pension Pacitto/ ROME». La lettera non è datata, ma dal riferimento cardarelliano alla lettera scritta a Serra quello stesso giorno (cfr. EPISTOLARIO I, lett. 315) è possibile ricondurla ai giorni tra il 20 e il 23 novembre 1914. Anche la lettera a Serra infatti non risulta datata ma è stata collocata tra due lettere a Cecchi rispettivamente del 20 e del 23 novembre.

149 [48] [27. 11. 14] Roma, via Sistina, 134 presso Kaiser

Caro Bacchelli. ti ringrazio delle offerte che mi fai. Per questo mese non ne avrò bisogno, ma tengo conto in ogni modo della promessa per giorni più magri. Sono proprio costretto a difendermi ormai avaramente. Sforni mi ha mandato cinquecento lire in linea definitiva e Orvieto non ne vuol più sapere. Così sono assicurato al massimo fino alla fine di gennaio. Ho conosciuto un poco più intimamente Naldi; è un uomo della nostra razza: mi pare di poter aver fede che non gliela faranno: quanto al suo giornale1 sarei sicuro di potervi entrare se volessi. Ma quando mai io non avrei potuto, volendolo, trovarmi un onesto lavoro? Soltanto che non l’ho voluto e ora lo debbo meno che mai. Le mie possibilità, almeno attuali, mi si cominciano a delineare seriamente e sarebbe ridicolo che proprio ora mi lasciassi andare. Io ho bisogno di resistere in tutti modi almeno fino all’inverno prossimo, con un’altra estate in mezzo di piena e spensierata solitudine. Dopo di che potrei far sosta e finirla di avere a che fare con dei filantropi milionari. Ora sto molto lavorando. Vedrai che rispetto a le altre cose che tu conosci ciò che ora fò è di una superiorità inattesa, di una larghezza per me davvero confortante. Quando me la sentirò ti manderò alcune pagine. Ora è necessario che anche tu ti metti a pensare seriamente a me se è possibile. Una sera con Naldi, con Borelli,2 con qualche diavolo che so io, parlo della mia condizione. Possibile che io non debba riuscire a trovare altre due mila lire per arrivare a una prima conclusione? Ho visto tuo padre l’altra sera a un cafè chantant dove ero andato a finire per fuggire i triestini – quale invasione! – di Aragno. Gli ho parlato del tuo libro3 e l’ho visto molto fraternamente compiaciuto. Quando uscirà? Tu non verrai a Roma quest’inverno? Per quello che dicevi rispetto a Cecchi nessuna conseguenza che dà urlo. Soltanto che non è il caso di fidarsi più di nessuno – e mica per diffidenza ma perché poche sono le cose reali e rispondenti fuori di noi. Tuo Cardarelli

[48] Biglietto postale intestato: «CAFFÈ NAZIONALE/ PERONI & ARAGNO/ ROMA», indirizzato: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza ROMA CENTRO 27.11.[…], timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 28.11.14.

1 Il giornale di Naldi a cui Cardarelli farà diversi accenni nelle lettere seguenti attendendone la fondazione sarà «Il Tempo», che vedrà la luce soltanto nel 1917. 2 Vedi lett. 46. 3 I Poemi lirici che sarebbero usciti di lì a pochi giorni. (vedi lett. 49).

150 [49]

[Roma, 4. 12. 14]

Caro Bacchelli, ho ricevuto il libro.1 Quilici ha ferma intenzione, a quanto pare, di farne un’intera pagina sul Carlino.2 Non avevo bisogno della tua raccomandazione per stargli sopra. Io pure ne vorrei parlare. Ma lo farò? Almeno mi dico che dovrei. Non prometto però. Quanto al resto non so come il tuo libro potrà trovare un mecenate a me. Giova sperare tuttavia; il bisogno è prepotente. Non so perché anch’io ho pensato a fare una lettura dei tuoi versi. Ma qui a Roma, di questi tempi, la cosa naufragherebbe di sicuro. È meglio non pensarci. Vorrei essere con te a Milano. Ti manderò se mai l’indirizzo di Sibilla. A proposito lei potrebbe essere una buona rastrellatrice di pubblico per te. Adesso redige la Grande Illustrazione3 che si stampa a Milano. Dice che vuol pure cose tue; ti manderò l’indirizzo. In quanto al non fidarsi neppure di me, giustissimo. Vedo che sono condannato a essere capito sempre di là da ogni onesta e fiduciosa aspettativa. Scrivimi. Tuo Cardarelli

[49] Cartolina postale italiana, indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’auotre, è ricavabile dai timbri postali di partenza ROMA (CENTRO) 4.12.14 timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 5.12.14.

1 R. BACCHELLI, Poemi lirici, Bologna, Zanichelli, 1914. 2 N. QUILICI, Letteratura d’eccezione. «Poemi lirici» di Riccardo Bacchelli, «Il Resto del Carlino», 11 marzo 1915. 3 «La Grande illustrazione», rivista di arte e letteratura diretta da Basilio Cascella alla quale collaboravano, tra i più noti, Gozzano, Deledda, Panzini, Tozzi. Nel dicembre 1914 Marino Moretti, allora redattore letterario, aveva proposto a Sibilla Aleramo di collaborare con la rivista e così la poetessa ne divenne direttrice dal gennaio 1914 all’aprile 1915.

151 [50] [Roma, 19. 12. 1914] Via Sistina, 134,

Caro Bacchelli, avrai visto l’insolenza vociana contro di te.1 Non poteva mancare. Tuttavia, come puoi immaginare, io ne son rimasto malamente meravigliato, e oggi non potendone più ho scritto al signor De Robertis, il quale gode a confessarsi autore di quella nota che io attribuivo a Papini e prometto di ritornare, al prossimo numero credo, sull’argomento, una letterina che non fa il paio con quella mandata a Timpanaro2 soltanto perché questa è più validamente pedagogica che quella non fosse. Ti dirò poi l’esito. Intanto qui il Ghetto romano3 non è inferiore per qualche lato a quello fiorentino. Onofri va dicendo che la tua poesia è il caos. Tilgher4 è ossessionato. Gargiulo ti scriverà (gran bontà). Slataper ingoia tutto, ma con gli occhi di fuori. Cecchi, vedremo Cecchi. Quanto parlare abbiamo fatto! Ma puoi star certo che il massimo d’ingenerosità a cui può giungere è far aspettare un po’! Quanto a capire perdio non può farne a meno. Baldini, Saffi etc. solidali. Ma che te ne fai? È necessario che io ne scriva. Ma sono stato un po’ male e occupato dalle cose mie. Spero dentro questo mese di farcela. Sapresti indicarmi un giornale? Vorrei poter citare ampiamente. Penso che nella peggiore ipotesi potrei farne un opuscolo. Il caso è prestantissimo.5 Ah se noi fossimo più uomini! Su questi propositi un Nietsche non avrebbe dormito. Ma l’ipocrisia, il disinteresse, l’invidia, la generale mediocrità sono cose dure da affrontare. E Quilici che ha fatto? Non lo vedo più. Questa Roma si fa impossibile ogni giorno più. Ne scapperò presto. Ho intenzione d’andare a

1 Giuseppe De Robertis, in quel momento direttore della «Voce», scrisse una breve nota anonima sui Poemi lirici, dai toni piuttosto irriverenti: «Si chiede al signor Riccardo Bacchelli perché nei Poemi lirici non ha stampato sotto forma di versi certa sua brutta prosa apparsa nella Voce del 1912, e perché non ha pubblicato sotto forma di prosa, e in qualche rivista semi filosofica, i suoi Tempi difficili» (G. DE ROBERTIS, Consigli del libraio: Poemi lirici, «La Voce», a. VII, n. 2, 30 dicembre 1914, p. 80). 2 Vedi lett. 26. 3 Con l’espressione «Ghetto romano» Cardarelli si riferisce all’ambiente letterario gravitante attorno a «Lirica» e in contrapposizione all’ambiente vociano, all’interno del quale non erano stati apprezzati i Poemi lirici bacchelliani (infra nota 1). A quanto riferisce il poeta tuttavia, anche l’entourage romano vicino a Bacchelli non accolse in maniera entusiastica e brillante l’opera del bolognese. 4 Adriano Tilgher (1887-1941) filosofo, saggista e giornalista italiano che contribuì particolarmente a far conoscere la cultura europea in Italia. Si dedicò particolarmente alla critica teatrale, occupandosi soprattutto dell’opera Pirandelliana che contribuì a diffondere. Nel 1914 fondò «Il Conciliatore» insieme a Borgese e collaborò a diverse riviste e giornali tra cui «La Stampa» e «Il Resto del Carlino», diventando nel primo dopoguerra un giornalista di spicco nell’ambiente romano dalle pagine de «Il Mondo», diretto da Giovanni Amendola. Il suo stile brillante e polemista lo connotò particolarmente nel panorama contemporaneo. 5 L’articolo, in realtà, non venne mai scritto dal poeta, il quale affidò solo alla dimensione epistolare i suoi entusiasmi, o eventuali disaccordi, con la lirica bacchelliana.

152 Milano. Tu che ne dici? C’è Sibilla lassù. Le ho scritto qualchecosa:6 vedremo. Tra l’altro penso che tra qualche mese avrò pronto il mio libro sul serio7 e stare a Milano mi converrebbe per pubblicarlo – sai da Puccini.8 Scrivimi Cardarelli

Ti ha scritto Serra? Se hai qualche buon libro mandamelo. Torno alla lettura adesso.

[50] Cartolina postale italiana, indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’auotre, è ricavabile dai timbri postali di partenza ROMA (CENTRO) 19.12.14, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 20.12.14. Lettera parzialmente citata in E. GRAZIOSI, Dai Poemi lirici ad Amore di Poesia, cit., p. 86 ma con l’erronea trascrizione: «Intanto qui il ghetto romano non è inferiore per questo lato a quello fiorentino. Onofri va dicendo che la tua poesia è il caos. Tilgher è ossessionato. Gargiulo ti scriverà (gran bontà!). Slataper ingoia tutto, ma con gli occhi di fuori. Cecchi, vedremo Cecchi…Baldini, Saffi, etc. solidali».

6 Cardarelli aveva scritto a Sibilla Aleramo il 17 dicembre (EPISTOLARIO I, lett. 322). 7 A proposito dei Prologhi a cui Cardarelli stava lavorando aveva scritto a Sibilla Aleramo il 17 dicembre: «Quest’estate a Lugano ho gettato in maniera precisa le basi del libero che deve costituire la mia prima affermazione. Tu sai che cosa voglio dire. Ed è un libro che io non posso raffazzonare in fretta. La mia natura inquieta ha bisogno, per ritrovarsi, di larghi e profondi riposi. Io ho bisogno di almeno un’altra estate di ozio e di tranquillità» (EPISTOLARIO I, p. 405). 8 Mario Puccini (1887-1957) scrittore e narratore italiano, collaboratore della «Voce». La sua linea narrativa segnò un distacco dall’estetismo dannunziano per ispirarsi a più spiccati criteri veristi. Collaboratore di numerose riviste novecentesche tra cui «La Voce» e «La Riviera Ligure», nel 1913 diede vita allo Studio Editoriale Lombardo con Facchi e Linati. Cardarelli stava allestendo il volume Prologhi che sarebbe stato pubblicato da Facchi.

153 [51]

Roma, 21 dicembre 1914 aperto giornale resto sbalordito1 ultima volta roma. Sentii irragionevolmente qualchecosa non so dirti nulla tu sei forte – Cardarelli .

[51] Modulo prestampato per telegrammi; sul r, in alto al centro su una striscetta bianca incollata sul foglio è scritto: «giorno – Riccardo bacchelli arienti 40 bologna» e al centro in basso, sempre su una striscetta bianca, il testo del telegramma; la data in cui è stato ricevuto il telegramma è il 20.12.1914, corretta a penna in 21.12.14; timbro postale di arrivo BOLOGNA ESPRESSO 21.12.14.

1 Il 21 dicembre 1914 morì Giuseppe Bacchelli, padre di Riccardo.

154 [52]

[Roma, 23-24 dicembre 1914 ca.]

Caro Bacchelli, ti prego di volermi perdonare se ancora oggi non sono in grado di dire nulla al tuo dolore. La grandezza della disgrazie che ti è toccata mi si è a poco a poco rivelata in questi due giorni. Il mio telegramma1 non potè essere che un segno atterrito della mia confusione. Se parli con Mario,2 con gli altri fratelli, con gli zii fa sapere quanto io partecipo al vostro lutto. A te caro amico ti lascio solo. Forse da questo punto comprenderai che poca cosa sia rispetto a te e a ciò che ora ti si prepara quel che finora hai vissuto, conosciuto, fatto, sofferto. Ma ho sempre più ritegno e paura di parlare! Tuo Cardarelli

[52] Un foglio sciolto, scritto sul r, non datato; dalle parole di Cardarelli si ricava che la lettera è successiva alla n. 51, cioè al telegramma per la morte del padre di Bacchelli, di due giorni circa, perciò dovrebbe datarsi al 23 o 24 dicembre.

1 Vedi lett. 51. 2 Mario Bacchelli, fratello di Riccardo.

155 [53]

[Roma, fine dicembre ’14, inizio gennaio ‘15]

Caro Bacchelli, ti avrei da dire molte cose, ma al solito per non rimandare questa lettera all’infinito, sono costretto a rinunciarvi. Aspettavo però che tu mi scrivessi. Dove sei in questo momento? Io sono a Roma e non so quanto ci dovrò rimanere. Comincio a entrare in un inverno abbastanza fantastico e avventuroso. Procuro di lavorare. Vorrei fare di quelle prose assolutamente ritmiche e sostanzialmente ironiche che Cecchi definirebbe petrarchismo gelido. (In proposito l’appunto mi diventa innocuo quando penso che è una espressione copiata. Ti ricorderai infatti quella frase di Sainte Beuve1 a Baudelaire parlando della sua poesia: petrarquiser sur l’orrible. Che sottile utilizzatore di modi di dire è il nostro amico!). Tu quando vieni? Che fai? Mi dispiace di non poterti parlare più a lungo. Sono costretto a farti una nuova domanda di denaro. Non puoi credere quanto la città sia diventata costosa! E ho paura quest’anno che non riuscirò a districarmene. Tu mi manderai quel che puoi e quel che hai. Se poi non mi bastasse ricorrerò a un’altra persona di Bologna. Ma che fatiche! Io non sono l’uomo più discreto del mondo ma in certi momenti non mi riesco più a sopportare. Addio per oggi caro Bacchelli. Ti auguro buon anno insieme a tutti i tuoi. Ho scritto una cartolina a Mario indirizzata costà. Gliel’avete trasmessa? Salutamelo sempre quando gli scrivi e fammi sapere tue notizie. Tuo affmo V. Cardarelli

[53] Un bifolio, scritte le pp. 1 e 3, non datato. La lettera potrebbe collocarsi dopo la n. 52: Cardarelli lamenta una certa difficoltà a scrivere questa missiva, forse perché emotivamente bloccato ancora dal lutto avuto dall’amico, al quale aveva scritto più volte intorno a Natale, non ottenendo, evidentemente, risposta. Nella lettera 54 infatti si dimostra felice di aver ricevuto una bella risposta dall’amico bolognese, probabilmente scritta in seguito a questa missiva, i cui termini temporali quindi sono da fissarsi tra il Natale 1914 (lett. 52) e il capodanno 1915 (la lett. 54 è del 3 gennaio), dal momento che Cardarelli invia anche i suoi auguri di buon anno.

1 In una lettera a Baudelaire del 20 giugno 1857, Sainte Beuve aveva scritto al poeta: «en perlant le détail, el pétrarquisant sur l’horrible, vouz avez l’air de vous être joué» (A. GUYAUX, Baudelaire: un demi-siècle de lecture du Fleurs du mal, 1855-1905, Presses Paris Sorbonne, 2007, pp. 175-176).

156 [54]

Roma, Via Sistina, 134. 3.I.1915

Caro Bacchelli, sono molto lieto di questa lettera che mi hai scritto perché temevo che il dolore ti avesse talmente battuto da toglierti qualunque desiderio di conversazione. Invece vedo che sei già riuscito a prendere il […]; e questo è necessario. Non so per ora che cosa io farò e dov’è che ci ritroveremo. Tutto quel che posso dirti adesso di me è che vivo in una solitudine sempre più prossima e che ho perduto ogni illusione rispetto alle mie possibilità di contatto. Dopo aver lavorato qualche tempo ora non faccio che leggere. Ho letto la Vita di Nietsche,1 ed è stata come puoi immaginare una settimana eroica. Adesso ho passato molte notti sulla vita di Danton.2 È qualchecosa di grande veramente. Chi sapesse scrivere un dialogo tra Danton e Robespierre3 assumendo i due personaggi come entità umane ideali ed eterne scriverebbe una pagina da potersi consegnare a ogni tempo, di inesauribile applicazione. Ma questo capitolo è quando Danton ad Arcis apprendendo la morte dei girondini, di questi faziosi come dice quel giacobino di provincia, viene a quella tragica e scettica conclusione che siamo tutti dei faziosi. Oppure quando dice a Robespierre: Ti dispiacerebbe che non ci fossero dei colpevoli da condannare? Nella quale domanda è tutta la psicologia del terrore legale. Ma è inutile discorrere. Anche io sono preso da quest’uomo. Vorrei potertene parlare. Per quel che dici del tuo libro e dei giudizi, che credi? Abbiamo tanto vantato la nostra squisitezza in natura artistica ma è un […]. C’è del licealismo intorno. L’espressione di Sibilla non mi stupisce, ma è vergognosa. In ogni modo hai torto a ritenere che tutto sia finito. Ne hanno ancora da parlare quelli che più contano. Cecchi per esempio ne parlerà, come mi ha detto, dentro

1 Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900) filosofo tedesco il cui pensiero ha dominato la cultura filosofica e letteraria del XX secolo, divenne una delle maggiori letture filosofiche fondanti per la formazione culturale degli intellettuali primo novecenteschi. Bacchelli lo lesse intorno ai vent’anni, prima di venire in contatto con l’ambiente vociano e per Cardarelli, come notò Clelia Martignoni, «grande maestro del cammino faticoso come del riscatto finale è Nietzsche, in particolare il Nietzsche di Così parlò Zaratustra. Le intense letture del ’14-’15, nel pieno della stagione creativa di Prologhi, dovettero significare per l’avido autodidatta una rivelazione fulminea» (OPERE, p. XIII). 2 Georges Jacques Danton (1759-1794) politico francese, fu uno dei più importanti protagonisti della rivoluzione francese, fautore del rovesciamento della monarchia in favore della repubblica. Il suo pensiero tuttavia era moderato rispetto a quello più estremista di Robespierre, cosa che lo portò ad essere giustiziato dagli hebertisti durante il regime del terrore, perché sospettato di comportamento anti-rivoluzionario. 3 Maximilien-François-Marie-Isidore de Robespierre (1758-1794) politico francese, fu uno dei maggiori protagonisti della Rivoluzione francese, particolarmente spietato nella repressione dei nemici della rivoluzione. Danton e Robespierre rappresentano due modi opposti di concepire la rivoluzione: l’uno più moderato e contrario alla repressione sanguinosa, l’altro più ferreo, austero e ligio all’ideale rivoluzionario.

157 questa prima decade di gennaio. Eppoi io. Eppoi altri. Io sento un po’ di difendere me stesso (le mie posizioni) difendendo te. La cosa non mi pare che debba finire così liscia. Ma tu hai altro da fare, e va bene. Questo era per dire. Intanto ti saluto insieme ai tuoi. Cardarelli.

[54] Biglietto postale intestato: «CAFFÈ NAZIONALE/ PERONI & ARAGNO/ ROMA», indirizzato: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; timbri postali di partenza ROMA 3.[…].15, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 4.1.15. La data scritta a penna dall’autore, «3.II.1915», è probabilmente un lapsus calami, poiché dal timbro postale di arrivo si ricava che il mese di spedizione era gennaio 1915.

158 [55]

[Roma, 21 gennaio 1915 ca.]

Caro Bacchelli, il terremoto1 e altre cause più o meno naturali mi hanno buttato in uno stato di abulia e di disperazione impressionante. Non c’è altro per me che andar via. È inutile che ti dico. Le mie sofferenze sono complicatissime, inevitabili, date certe condizioni, e abbastanza indegne. Fatto sta che non m’ero mai trovato così sperduto e sterile quanto adesso. Se tu potessi affacciarti un pochino a Roma e vedere che cosa, la guerra, il nazionalismo, i triestini, hanno fatto del nostro ambiente, capiresti credo in parte il disagio rabbioso e impotente della mia vita. Ma ho da fare cose ben precise per qualche tempo e mettere assieme finalmente un volumetto2 che un editore di Milano3 si è offerto spontaneamente di pubblicare e che sarebbe perfetto dentro qualche mese. Puoi tu aiutarmi? Beninteso che io non faccio calcoli chimerici su di te. Ma dico: potresti p.e. per tre o quattro mesi mandarmi un centinaio di lire al mese? Ho riflettuto molto prima di scriverti e ho strappato più d’un biglietto. Ora però vinco ogni considerazione e mi affido alla tua solita liberale indulgenza. Non so in che condizioni tu ti trovi ora e quanto sia opportuno e ragionevole la mia richiesta. Io non posso adesso che esporti quanto ritengo per me indispensabile per la mia salvezza; e non credo di essere esagerato dicendo pro mia salvezza! Quanto a Orvieto e Sforni non mi rispondono più neppure. Che devo fare? Uccidermi? Oltre questo non vedo molte altre vie d’uscita. È vero che dopo, dirai tu, saremo sempre allo stesso punto. Ma intanto avrò fatto altro e anche tu mi avrai dato abbastanza. Ogni bisogno è limitato al momento e non sono che gli avari che si permettono certe obiezioni. Non ti dico altro. Rispondimi presto e senza timore. Avrai visto sul Carlino due mie corrispondenze4 da Avezzano: la prima era quasi tutta di Quilici, e la seconda fu scritta in un’ora. Se tu mi rispondi di si, avrei intenzione di andare a Corneto dove forse anche tu

1 Il 13 gennaio 1915 si verificò un forte terremoto ad Avezzano. 2 Si tratta dei Prologhi, a cui il poeta stava lavorando da ben due anni. A tal proposito, il 27 gennaio Cardarelli scrisse a Sibilla Aleramo: «Voglio mettere assieme al più presto un volume e tu sai che cose difficili siano per me questi rifinimenti, distinzioni e risoluzioni» (EPISTOLARIO I, p. 411) e il 13 febbraio 1915 le comunicava: «ho quasi finito di comporre il mio libro. È stata una vera fatica. S’intitolerà: Prologhi» (EPISTOLARIO I, pp. 416-417). 3 Si tratta di Puccini, titolare insieme a Facchi dello Studio Editoriale Lombardo che pubblicherà i Prologhi di Cardarelli. Vedi lett. 50, nota 8. 4 Cardarelli fece un viaggio ad Avezzano insieme a Slataper e Quilici, in seguito al quale pubblicò nel «Resto del Carlino» del 16 gennaio 1915 l’articolo Visioni di rovina e di morte.

159 potresti venire per qualche tempo. Basta, procura in ogni modo di potermi aiutare quanto puoi. Io sono molto giù. Tuo Cardarelli

[55] Biglietto postale intestato: «CAFFÈ NAZIONALE/ PERONI & ARAGNO/ ROMA», indirizzato: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dal timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 21.1.15; timbri postali di partenza ROMA CENTRO (con data illeggibile).

160 [56]

[Roma, 27. 1. 1915] Via Sistina, 134

Caro Bacchelli, giorni fa ti ho scritto un biglietto1 al quale mi meraviglio di non aver ricevuto finora risposta. Non lo hai forse ricevuto? Ti facevo in questo biglietto una proposta molto delicata riguardante la mia eterna condizione materiale. È faticoso per me adesso ripetertelo con tutte le attenuanti e le giustificazioni necessarie. In complesso ti chiedevo una scorta di qualche centinaio di lire da mandarsi via via per poter ritornare per qualche altro mese al mio paese o altrove. Tutto questo naturalmente facendoti ben capire quale scarso calcolo io faccia anche adesso della tua efficienza economica e soprattutto con la chiara disposizione a ricevere senza sorpresa anche un diniego da parte tua. È possibile che tu non abbia ricevuto questa mia? Se questo non fosse e anche tu, come già Orvieto e Sforni,2 ritenessi venuto il momento di non dovermi rispondere neppure più, sarebbe il colmo. Ma spero che ci siano altre ragioni. In ogni modo contavo su te per un minimo di appoggio alla fine di questo mese secondo una tua passata promessa che ti dissi di tenere in considerazione per il momento più opportuno. Scrivimi dunque qualche cosa e levami da questa triste incertezza. La mia situazione è disgraziata soprattutto per questa parentesi di denaro che io sono costretto ad aprire con te. Ma che devo fare? Aspettavo il giornale di Naldi3 e chissà quando verrà fuori. Intanto mi nascono progetti e bisogni di lavoro mio che rimangono in aria per non potermene andare da questo inferno di Roma. Non so a che santo voltarmi. Roma ora s’è tutta chiusa e ufficializzata in un piccolo fenomeno prussiano uso guerra del ’70. Dove stai tu? Che fai? Uomo troppo volontario che stai praticando nella tua vita? Rispondimi. Tuo Cardarelli Qualche cinismo?

[56] Biglietto postale intestato: «CAFFÈ NAZIONALE/ PERONI & ARAGNO/ ROMA», indirizzato: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dal timbro postale di partenza FIRENZE-MILANO 27.1.15, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 28.1.15. L’autore annota a penna, sopra l’indirizzo: «preghiera di far seguire».

1 Vedi lett. 55. 2 Qualche giorno prima, il 23 gennaio 1915, il poeta scriveva a Sibilla Aleramo: «Io non so adesso che farò. Sono all’asciutto. Nessuno più ne vuol sapere di me. […] Adesso i miei antichi benefattori adottano con me un metodo d’irresistibile effetto: non mi rispondono più neppure. Intanto pensioni e pigioni scadono; e alla fine di questo mese non avrò più capelli da strapparmi» (EPISTOLARIO I, p. 410). 3 Nuovo riferimento al «Tempo». Vedi lett. 41.

161 [57]

[fine gennaio 1915] Roma Via Sistina, 134, presso Kaiser

Caro Bacchelli, ti ringrazio moltissimo e mi dispiace del contrattempo. Ciò che dici, che non avresti aspettato ch’io fossi il primo etc., è commovente per me, ma permettimi di riconfermarti il mio desiderio di esser discreto con te più che non lo sia mai stato con altri, assai più. Queste cento lire che mi hai mandato e la promessa che mi fai per la fine di febbraio sono i primi aiuti che io ricevo allegramente e con un beneficio morale infinito. Vedrai che non ne andrà sprecato un centesimo. Sono in un periodo di grande raccoglimento, e per la fine di febbraio spero, se altre inquietudini terrestri non vengono a terrorizzarmi, di aver pronto il mio libro da mandare a Puccini.1 Saranno un centinaio di prose tra grandi e piccole (senza calcolare il dialogo2 che non so che fine farà) e una quindicina di poesie. È tutto in via di mobilitazione. Tu vedrai parecchie cose che già conosci sotto una luce nuova, altre che non conosci affatto. In tutto credo che saprò stendere una pulizia veramente invernale. Ma è impossibile e superfluo parlare di queste cose. Io non te ne parlo come puoi capire, per altro che per farti sentire se mai ce ne fosse bisogno quanto io sia ancora vivo (ci sono dei tempi in cui se ne dubita amaramente, non è vero?) e fermo nelle mie intenzioni e possibilità di lavoro. Tu intanto, oltre gli affari, a che pensi? Passiamo ad altro. Ti confesso che la tua impazienza a proposito di molti silenzi sul tuo libro3 mi pare in gran parte ingiustificata. Prima di tutto l’abito del riflettere, come direbbe un cinquecentista, ti dovrebbe ricondurre a due considerazioni che riguardano esclusivamente te: vale a dire il tempo inopportuno scelto per la pubblicazione del tuo libro e il modo secondo me impratico di presentarlo. Più ci penso e più questa seconda osservazione mi sembra vera. Tu hai dovuto lasciare sul tavolo molta materia assai più visibile e persuasiva di parecchia che invece ne hai pubblicata. E anche qua e là hai corretto troppo e male, creati dei rapporti fatti per tutt’altro che per aiutare a orientarsi il lettore estraneo. Non insisto troppo su questo che dico, soprattutto perché le parti

1 Vedi lett. 50 e 55. 2 Il dialogo dello scettico non verrà mai pubblicato. 3 Evidentemente, a circa in mese dall’uscita dei Poemi lirici, Bacchelli lamentava una scarsa attenzione dei critici sulla sua raccolta poetica.

162 armoniose ed emergenti del tuo libro superano di gran lunga quelle oscure e confuse. Le coprono addirittura anzi a saper leggere, e poi anche perché certe manchevolezze di confezione (va bene che la confezione è un po’ una sorta d’architettura) bisogna essere troppo villani per rimproverarle. Ma insomma, dico, di che ti lamenti allora? Procediamo da Amendola. Chi sta lontano ferma il tempo e tu vivi ancora un Amendola passabilmente umano. Ma io ho la convinzione che questo signore, colpito negli ultimi tempi da un nuovo attacco di pazzia della moglie durante il quale si sono sapute delle cose orribili sul loro dessous coniugale (un mènage macabramente pervertito, insomma) vista insensibilmente caduta tutta la sua ipocrita impalcatura morale, si sia deciso, dal momento che la volontà è il bene, per tutti i cinismi e tutti i tradimenti possibili e immaginabili. Prendi l’ultimo almanacco della Voce4 e guarda la sua fotografia. Un uomo così cupamente vanitoso è capace di tutto. Allora non dare nessun peso al fatto che non ti scrive. È pappa e ciccia con Borgese, ormai. Avranno concluso assieme che è ora di farla finita con questa genialità superbiosa e sfuggente, ci sono parecchi punti morti in cui possono intendersi perfettamente quei due. So che adesso faranno un giornale.5 Che vuoi? Amendola gli uomini vitali e proposte le ha prese sempre per di dietro. Era naturale che dovesse finire come è finito. Per conto mio non lo saluto quasi più, e evito accuratamente di starci assieme. Quilici. L’affare qui è bolognese. Gli hanno rimandato indietro l’articolo pregandolo di ridurlo a due colonne perché veramente troppo lungo (dice che prendeva una pagina). Ma ci sarà naturalmente anche della rivalità, del dispetto, dell’antipatia. Mio caro, bisogna che tu te ne convinca. Non basta essere forti in resistenza. Mi pare che tu non sia ancora illuminato pienamente su questo! Scusami se ho l’aria di predicare. Tornando a Quilici bisogna che tu cerchi di vedere immediatamente Naldi che anzi mi saluterai. Quilici abbrevierà subito nei limiti del possibile l’art. e lo rimanderà. Io gli starò sopra non dubitare, quantunque anche Quilici abbia finito per mettere fuori una mediocrità lacrimevole e assai poco sopportabile.6 Degli altri c’è poco da dire. In quanto a Sibilla ti mando una lettera che mi scrisse tempo fa in cui si parla di te. Non so se ti potrà dispiacere, non credo. Sibilla è soprattutto una incolta. Gargiulo ha avuto una paura santissima del terremoto, e questa è forse la ragione

4 Almanacco della Voce, Firenze, Libreria della Voce, 1915. 5 Non risulta che Amendola e Borgese fondarono un giornale insieme. 6 N. QUILICI, Letteratura d'eccezione. «Poemi lirici» di Riccardo Bacchelli, cit.

163 per cui non ti ha scritto; ma so che ne aveva intenzione e lo disse anche a me. Quanto a Cecchi e Bellonci7 puoi star certo dei loro due articoli, prima o poi. Cecchi ha bisogno di trovare il tono tu lo sai. A Baldini ho commesso l’art. per l’Illustrazione che Sibilla8 chiedeva a me. Dice che me lo darà prestissimo e lo manderemo. Mi pare insomma che tu non ti possa lamentare. Senza contare che io ho l’impressione che le cose serie si vedano dal silenzio che prima di tutto fanno intorno a sé, e che del tuo libro si sia ancora da cominciare a discutere. Di me non parlo. Io ho promesso e farò quando potrò. Ma del resto se tu non desiderassi che articoli! - Non credere che io abbia fatto questo lungo resoconto per tranquillizzarti. So bene il valore che hanno certe inquietudini, e le possibilità di soluzione in te stesso che tu hai ben più profonde. Ma volevo passare una mezz’ora con te. Quanto ci rivedremo? Scrivimi appena puoi. Tuo Cardarelli

Caro Bacchelli, tu mi fai una lunga compagnia col tuo libro e credo che questa sera mi verrà scritta quella qualche pagina di cui C., ti parla più sopra. Baldini

[57] Un bifolio di piccole dimensioni scritto sul r e sul v, più un foglietto sciolto scritto solo sul r; la lettera non è datata ma è possibile attribuirla alla fine di gennaio 1915 tramite i seguenti elementi di contesto: nella lettera del 13 febbraio 1915 a Sibilla Aleramo Cardarelli afferma di aver ricevuto da Bacchelli «alla fine del mese» (quindi gennaio) cento lire, le stesse per le quali ringrazia l’amico in apertura di questa missiva; nella lettera del 2 febbraio 1915 a Sibilla Aleramo Cardarelli informa la poetessa di aver commissionato a Baldini l’articolo a lui richiesto su Bacchelli, riferimento che compare anche in questa lettera; Cardarelli rassicura Bacchelli in merito al riscontro critico che il suo libro, appena uscito, avrebbe avuto a breve da parte dei letterati vicini al loro entourage. I Poemi lirici di Bacchelli vennero pubblicati a dicembre del 1914 per cui la lettera dovrà porsi a breve distanza cronologica da quella data.

7 Goffredo Bellonci (1882-1964) giornalista e critico letterario, redattore del «Giornale d’Italia» e collaboratore del «Resto del Carlino» e del «Messaggero», per i quali si occupava di arte, letteratura e teatro. 8 Sibilla Aleramo dirigeva a quei tempi «La Grande Illustrazione Italiana».

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[24. 2. 1915] Roma, via sistina, 134

Caro Bacchelli, avrei da darti molte notizie spicciole della mia vita. Mi limiterò alle più importanti. Ho quasi finito di mettere assieme il mio libro.1 Sarà su per giù del volume del tuo. Potrei pubblicarlo da Treves. Ma siccome porterebbe via del tempo, avrei intenzione di passare quasi tutto il mese di marzo a Milano (dove è ben del resto che io m’accosti per ogni ragione) e di pubblicarlo allo Studio Milanese: almeno così mi propose Facchi2 che ne è il direttore. In secondo luogo: ho avuto un piccolo incidente con Quilici e per adesso non ci parliamo più: inutili credo altre spiegazioni: la verità è che Quilici s’impressiona un po’ troppo di Naldi eppoi porta nella sua vita certi modi scettici e spicciativi che sono tollerabili appena come antitesi al moralismo più fregnone che in certi momenti minaccia di prendere il sopravvento dentro di noi. Hai letto Lacerba3 ultima? C’è una stoccata contro di me del De Robertis.4 Mi si da del giovane scrittore mangiavento e ciociaro (Io distinguo la Lunigiana dalla Toscana superiore, non si capisce come costoro non sappiano distinguere la Ciociaria dall’etruria: simbolico!). In compenso Boine fa un articolo (Riviera: chiedila) contro Serra,5 dove, a parte certe confusioni di gusto, si dicono specialmente in ultimo cose abbastanza serie. Ho l’impressione che qualche cosa di buono stia per sorgere. L’insulto fiorentino ci aiuterà. Si vede che Boine ha capito il tuo libro perché ti nomina insieme a un nome rappresentante di nudità lirica, superamento di stile etc.6 È vero che c’è anche in parte l’Onofri. Ma non conta. L’importante è che ci siamo

1 Si riferisce ai futuri Prologhi che sarebbero usciti soltanto l’anno successivo. 2 Facchi era il direttore dello Studio Editoriale Lombardo in società con Linati e Puccini. 3 «Lacerba» rivista fiorentina di arte e letteratura, fondata nel 1913 e pubblicata sino al 1915 da Giovanni Papini e Ardengo Soffici in aperta polemica con «La Voce», diretta in quel momento da Prezzolini. La rivista sposò sin dall’inizio l’ideologia futurista e i maggiori collaboratori furono infatti i principali esponenti di questo movimento: Boccioni, Carrà, Marinetti e il Palazzeschi futurista. 4 De Robertis infatti cita indirettamente Cardarelli come un «giovane scrittore mangia-vento e ciociaro» (G. DE ROBERTIS, Striglia, «Lacerba», a. III, n. 8, 21 febbraio 1915, p. 63). 5 G. BOINE, recensione a Le Lettere di Renato Serra, «La Riviera Ligure», a. XXI, n. 39, marzo 1915, pp. 381 bis e 388 bis. 6 Recensendo il libro di Serra infatti, Boine aveva sottolineato le mancanze e le falle della sua visione critica, imputando ad una ingiusta valutazione «il disconoscimento di un altro gruppo coscientemente indirizzato a cui per es. appartiene il Cardarelli ch’egli imbranca coi futuristi, in certe cose l’Onofri, ed il Bacchelli: gruppo che ha il suo critico simpatizzante, quasi il suo teorico, il suo incitatore, la sua estetica in Emilio Cecchi. Dico ingiustizia perché i sintomi, gli esponenti di quella nudità lirica, di quel tragico superamento stilistico ed intimo del quale il Serra parla nel secondo paragrafo dell’introduzione come uno dei caratteri della produzione nostra, dove mai li ha veduti più schietti e decisi, più dolorosamente voluti che in Cecchi e

165 noi: Cecchi è stato stamane a casa mia a scusarsi di non avere ancora scritto l’art. su te. Dice che lo scriverà presto. In ogni modo dal ritardo tu hai tutto da guadagnare. In quanto a me hai capito per adesso quale sarebbe il mio piano immediato. Ti prego perciò di calcolare freddamente quel che mi puoi sacrificare e di scrivermelo al più presto. Messo il fine a questo libro (ciò che avverrà dentro a questo mese) non penserò che a darti per conto mio quel che ti devo: voglio dire quel che devo al tuo libro. Che fa Mario? Dicono che è molto amico di Soffici! Salutalo. Tuo Cardarelli

[58] Biglietto postale intestato: «CAFFÈ NAZIONALE/ PERONI & ARAGNO/ ROMA», indirizzato: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza ROMA (CENTRO) 24.2.15, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 25.2.15. quelli altri che ho ricordati?» (G. BOINE, Il peccato. Plausi e botte. Frantumi. Altri scritti, a cura di D. Puccini, Milano, Garzanti, 1983, p. 167).

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[4. 3. 1915] Roma, via Sistina 134

Caro Bacchelli, ho ricevuto e aspettavo di scriverti di giorno in giorno in un’ora di tranquillità che non è ancora venuta. Questo spiega il mio ritardo. La difficoltà che tu incontri nel portarmi qualche aiuto questo periodo purtroppo assai difficile della mia vita (la guerra mi ha come escluso da ogni possibilità di relazione col mondo) mi rende più cara la tua amicizia. Intanto visto che a un lavoro pratico per adesso è inutile pensare ho messo in moto Cecchi per altre vie: ma riuscirò a niente? Contavo con te di andare avanti qualche mese, rimettermi in tutti i sensi, dentro e fuori, eppoi finalmente vedere a che punto sarei giunto per prendere qualche decisione. Invece non si può e questo mi ha fatto ricadere di colpo in una disperata indolenza. Il mio libro come ti scrissi è finito. Ma ora come curarlo? Ho scritto a Orvieto che ancora non risponde.1 Tenterò domani da Bontempelli2 ma con esito dubbio e quanto posso prevedere. E in ogni caso se viene la guerra chi è che si fida di pubblicare? Tutto questo mette a una dura prova la mia forza di resistere, il mio gusto della bravura stoica. Viene adesso l’art. di Papini3 con tutto quello che implica e promette per il seguito. Per conto mio ti dirò che la mia persona storica non poteva desiderare di meglio. Questa gente vuol fare di me a tutti costi qualcosa di molto interessante e cresimarmi a una maledizione nuova. Ma è innegabile che son disturbi tutt’altro che indicati a rallegrarmi a rendere più agevole l’attesa. Ho passato in rassegna tutti i possibili modi di reazione, li ho tutti scartati. Non per nulla il problema mio più sentito degli ultimi tempi è stato quello dell’atteggiamento da assumere di fronte ai contanti. Non sarei chi sono (compresi i miei difetti) se questo che mi comincia ad accadere non fosse logico e

1 La lettera manca in EPISTOLARIO I. 2 Massimo Bontempelli (1878-1960) scrittore italiano, esponente della corrente letteraria del realismo magico, insieme a De Chirico e Savinio. Collaborò con «La Voce» e lavorò come giornalista per diverse testate, tra cui «Il Marzocco», «La Nazione», la «Nuova Antologia», «Il Corriere della Sera» e fu corrispondente di guerra per «Il Messaggero». Nel 1915 Bontempelli divenne responsabile culturale dell’Istituto Editoriale Italiano, motivo per cui Cardarelli si rivolse a lui in un momento in cui cercava un editore per i suoi Prologhi. 3 Papini, in un articolo su «La Voce» rivolto contro Cecchi, aveva fatto degli accenni piuttosto sarcastici a Cardarelli, definendolo: «quel minuzzolo immantellato di Cardarelli, con quel suo labbruzzo torto e quella sua balzetta alzata a sdegno in su e il ditino didattico volto al firmamento a dissertare di Pèguy e di cristianesimo e dell’eticità necessaria nella terza saletta dell’Aragno» (G. PAPINI, La sor'Emilia, «La Voce», a. VII, n. 6, 28 febbraio 1915, in ID., Stroncature. Seconda serie dei 24 cervelli, Firenze, La Voce, 1916, p. 98).

167 direttamente determinato dalla gravità stessa delle mie azioni. Vedrai che il mio libro non potrebbe desiderare un campo più adatto. E come credi che mi adiri con Papini? L’insospettosità con cui si serve del mio nome mi fa profondamente pena. Se penso alla vita sedentaria e maniaca di questo decrepito ragazzo mi cade qualunque velleità di risentimento. Eppoi è chiaro ch’egli ha sentito e abbastanza sofferto il mio disprezzo. Per Cecchi la cosa è un poco più grave, ma speriamo che la lezione gli giovi.4 L’altra sera avrei voluto che assistessi alla predica che gli ho fatto. Gli ho tirato fuori tra l’altro l’incredibile ritardo di cui è colpevole verso il tuo libro.5 Si è battuto il petto, speriamo che in avvenire si deciderà a capire un poco più generosamente qual è la sua funzione e che sono gli uomini ai quali deve rimanere attaccato. Tuo Cardarelli Seguitiamo a lavorare intanto con fiducia e a credere in qualche cosa di buono!

[59] Biglietto postale intestato: «CAFFÈ NAZIONALE/ PERONI & ARAGNO/ ROMA», indirizzato: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza ROMA (CENTRO) 4.3.15, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 5.3.15.

4 Papini aveva scritto una salace Stroncatura su Cecchi, che veniva ridicolizzato sia come uomo sia come critico letterario. Alludendo a Cecchi sempre al femminile con l’appellativo «Sora Emilia» Papini apre il saggio spiegando che «se la maligna natura le avesse dato, invece di un utero mobile e sensibilissimo, un sacchetto spermatico e un bel mazzapicchio fecondatore invece di due piccole labbra la signora Emilia avrebbe risparmiato a sé stessa la febbre sorda dell’inquietudine perpetua e alla matria letteratura il postema dei suoi isterismi rassegati» (ivi, p. 86). 5 Cecchi aveva promesso a Bacchelli un articolo sui suoi Poemi lirici che però tardava ad arrivare. La recensione sarebbe uscita su «La Tribuna», il 3 maggio 1915 con il titolo Impressionismo vero.

168 [60]

[7. 4. 1915] Roma, Via Sistina 134

Caro Bacchelli, è parecchio tempo che io sono senza tue notizie. Che fai dunque? Cerco nella mia ultima lettera se qualche frase non ti sia potuta dispiacere, ma non credo che il tuo silenzio possa dipendere da ciò. Probabilmente non avrai nulla da dirmi. Rassicurami in ogni modo. Per conto mio dopo aver abbastanza lavorato a mettere assieme quel libro1 io ho dovuto rimuginare per molte ragioni (prima di tutto, la guerra) e credo che lo verrò pubblicando via via per le riviste.2 Ma anche questo è un problema serio. Quali riviste? La Riviera Ligure3 non ne vuol sapere di me.4 l’Illustrazione (hai ricevuto un numero con delle mie cose?)5 forse cederà, oppure mi sarà preclusa perché Sibilla smette di occuparsene. E che resta? Non c’è che la Voce. Avrai letto l’ultimo accenno di De Robertis6 a noi due.7 Cose di nessuna importanza siamo d’accordo; ma pure non del tutto insignificanti se si pensa attraverso quali rigori il buon uomo è dovuto passare per giungere a una nozione qualunque di noia. Eppoi c’è quella Italianità che mi ha tutta l’aria di un problema imposto da noialtri. Io ho paura che insomma dove son queste genti sarà meglio d’ora in avanti non aver più questioni e cercare di servirsene se mai fuor d’ogni impegno. Tu che ne pensi? È un consiglio preciso che ti chiedo. Io ho leticato con De Robertis come sai e

1 Cardarelli si riferisce alla lunga gestazione dei Prologhi, che vedranno la luce a stampa soltanto nel 1916. 2 Trovandosi in una delle consuete e difficili contingenze economiche Cardarelli cerca di pubblicare il più possibile in rivista per trarne dei veloci guadagni e assolvere alle imminenti scadenze dei pagamenti. 3 «La Riviera Ligure» rivista di letteratura contemporanea fondata nel 1899 da Mario Novaro a Oneglia. Alla rivista collaborarono sia scrittori liguri emergenti ma già ben noti nel panorama culturale del tempo quali Piero Jahier, Giovanni Boine e Camillo Sbarbaro, sia poeti e romanzieri di altre regioni come Pirandello, Gozzano, Borgese, Soffici, Palazzeschi,Cecchi e gli stessi Cardarelli e Bacchelli. 4 Novaro, direttore de «La Riviera Ligure», aveva respinto recentemente la pubblicazione di alcuni componimenti che Cardarelli gli aveva inviato tramite Boine (vedi a tal proposito EPISTOLARIO I, lett. 337 a Boine del 6 aprile 1915). 5 Nel numero di febbraio-marzo 1915 della «Grande Illustrazione» comparvero infatti le liriche Amicizia, Stanchezza, Fuga e Passaggi. 6 Giuseppe De Robertis (1888-1963), critico letterario, compagno di studi di Serra, Cecchi e Slataper; nel 1912 iniziò a collaborare con «La Voce», divenendone direttore dal 1914 al 1916. Nel suo biennio di direzione la rivista assunse un taglio più critico e letterario (venne definita la «Voce» bianca, per il colore della copertina) rispetto alla precedente linea prezzoliniana non condivisa, per altro, da Cardarelli. Fu sotto la direzione derobertisiana infatti che il poeta di Tarquinia pubblicò alcuni suoi contributi su «La Voce», anche in virtù dell’amicizia sorta con De Robertis nel soggiorno fiorentino del settembre 1914. Tuttavia, dopo lo sgradevole episodio dell’incarceramento di Cardarelli, questi si allontanò con disprezzo dall’ambiente vociano e di conseguenza anche da De Robertis, a causa dell’atteggiamento poco solidale che i letterati fiorentini ebbero nei suoi confronti. I feraci accenni del critico a Cardarelli e Bacchelli si spiegano quindi alla luce della temperie anti vociana in cui i due poeti si erano collocati. 7 Vedi lett. 58.

169 ora non avrei nessuna difficoltà a mandargli freddamente tre o quattro cose mie da pubblicare, ma non vorrei farlo senza il tuo parere. Fa il favore dunque di pensarci un poco tanto più che io non sono affatto invasato dalla smania di farmi pubblico e non posso garantire che non ritorni io stesso su questa momentanea intenzione. Sulla Riviera ultima (non so se sia uscita) ci deve essere una recensione di Boine su te.8 Cercala. E Mario che fa? Tu hai intenzione di andare alla guerra? Spero di no. Io per adesso non aggiungo altro e ti saluto. Roma è asfissiante.

V. Cardarelli

[60] Biglietto postale intestato: «CAFFÈ NAZIONALE/ PERONI & ARAGNO/ ROMA», indirizzato: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza ROMA (CENTRO) 7.4.15, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 8.4.15.

8 G. BOINE, recensione a R. Bacchelli, Poemi lirici, «Riviera Ligure», n. 43, luglio 1915, pp. 188-194. Il 15 giugno 1915 Boine inviò a Cecchi il numero della «Riviera» con la sua recensione al poeta bolognese e il 10 luglio gli scrisse di nuovo a tal proposito: «E Bacchelli per es. dov’è? Devo aver picchiato troppo. Certo è un giovane interessante ed un significato il suo libro l’ha» (G. BOINE, Carteggio. II. Giovanni Boine - Emilio Cecchi (1911-1917), cit., p. 161).

170 [61] [Roma, 12 . 4. 1915] Via Sistina, 134

Caro Bacchelli, queste cinquanta lire che mi hai mandato, annunziate genericamente come vaglia, avevano servito a farmi fare un sogno: quello di poter partire. Tu sai che cosa vuol dire vivere due giorni con una decisione in corpo eppoi doversene scordare. Tu immagini anche in quale stato io mi debba vedere ridotto, dopo sette mesi di questa vita romana, quest’anno, con tutto il provincialismo irredente che ha allagato tutte le strade e tutti i caffè di Roma. Io non mi starò a descrivere. Ti dico solo che ho assolutamente bisogno di andarmene. Se tu mi avessi mandato soltanto cento lire (bada che quando ti scrissi io non ci pensavo affatto e mi riserbo se mai un poco più avanti a farti delle richieste) io avrei lasciato un chiodo al trattore e me ne sarei senz’altro andato al mio paese. Così invece son costretto a rimanere senza nessuna ragione e speranza di poter impiegare utilmente il mio tempo, in pura perdita fisica e spirituale. Ma io non so se tu sei in grado di poter fare per adesso un altro sacrificio e mandarmi via. Certo che se lo potessi fare tutto sommato sarebbe un guadagno anche per te. Dopo, almeno per un mese o due, cercherei di non seccarti più e in pieno riposo cercherei di ottenere un piccolo aiuto da un signore che io conosco e sta a Bologna: cosa che adesso per molte ragioni non posso fare. Non ti dico altro. Capirai da te la gravità della mia condizione e se è possibile soddisfare al mio bisogno. In ogni modo finché starò a Roma tutto quel che tu mi manderai (ricordati anche che io non mi riposo affatto su te e tengo già d’occhio il limite delle tue possibilità) non servirà ad altro che a puntellare la mia inerzia dolorosa e rabbiosa. Quanto alle altre cose mi dispiace che sia andata perduta una mia lettera nella quale ti dicevo appunto il perché del ritardo di Cecchi a scrivere del tuo libro. Cecchi insomma è intimidito. Ma avrai il suo articolo credo prestissimo. Ancora, ieri sera, avendo capito che io sorveglio il suo ritardo e lo giudico, sentì il bisogno di assicurarmi spontaneamente che lo farà quanto prima. Intanto è certo che nessuno, dopo di me, è in grado di capire quel che si nasconde nel tuo libro quanto lui. In quanto a me tornare a scrivere un articolo sarà un affare serio. Riguardando in questi giorni qualche mio vecchio articolo ho sentito che mi ci voleva allora molta fiducia lirica per scriverne. Adesso questa fiducia mi serve a fare altro come puoi capire. Ma in tutti i casi è sicuro che io parlerò del tuo libro; e non perché tu ne abbia bisogno ma perché io ne ho bisogno. – Un avvertimento su Boine. Sta attento a

171 non impigliartici, caso mai, in conversazioni epistolari. È un’isterica femmina inconcludente. Arriva ad alzarsi la veste eppoi scappa dopo aver tentato di prenderti a pedate. Si è sicuri d’un minimo di giustizia e d’intelligenza. Guai a dargli confidenza. Ho piacere che le mie liriche ti abbiano fatta impressione. Ma per aver la misura di quel che io ho concluso quest’inverno bisognerebbe tu leggessi due o tre prose che ti tengo celate con una certa persistente mefistofelica soddisfazione. Le leggerai quando ci vedremo. Intanto ti saluto Tuo Cardarelli

[61] Tre foglietti molto piccoli, scritti solo sul r, non datati. Busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data è ricavabile dal timbro postale di partenza ROMA FERROVIA 12.IV.1915.

172 [62]

[Roma, 19. 4. 1915] Via Sistina, 134

Caro Bacchelli, non c’è niente d’ignobile in quel che tu fai. Per conto mio vorrei essere soltanto sicuro che tu non hai perduto la persuasione che è necessaria, almeno per ora, in vista del poco o molto che posso fare, che io viva come vivo; eppoi non domando a te altro che quel che puoi, senza impressionarmi per i ritardi e sospettare della tua buona volontà. Io sono forse meno psicologizzante, meno asceta, di te, ma altrettanto inclinato a darmi torto, specie in questi casi dove sono in giuoco sentimenti di delicatezza, timori sociali, etc. che tutte le mie decisioni non valgono a neutralizzare. Per venire al sodo, accetto con piacere questo nuovo invio e ti prego di farlo subito se puoi, perché il 22 mi scade la pigione di casa e per qualche giorno vorrei potermene andare da Roma non so in caso verso dove. Intanto siccome tu non mi rispondevi mi sono deciso a scrivere alla persona di cui ti parlai1 e spero oggi o domani di ricevere una risposta affermativa con qualche foglio da cento che mi permetterebbe di prendere subito il largo con una certa riserva. Ti terrò informato. Di Cecchi volevo dire che è intimidito dalla difficoltà che gli presenta il tuo libro. Ma adesso penso che possano influire sulla esitazione anche timori d’altra natura. Però Baldini mi disse che aveva incominciato a scrivere questo famoso articolo per te. Ho saputo adesso che ce n’è anche uno in tipografia dell’Idea Nazionale2 di Spaini.3 Cerca dunque di vedere questo giornale che può contenerlo stasera stesso. Ma ho orrore a pensare Spaini che parla del tuo libro. Con quell’andatura a strattoni e sensibilità d’ippopotamo! Leggeremo. Mi dispiace della tua crisi, forse non è che la primavera. E mi dispiace più profondamente ancora un certo tono di saturazione e di distacco che avverto in queste tue ultime lettere. Non so a che cosa preluda né che cosa voglia dire. In questi casi io mi contento di notare di star fermo. Ho conosciuto in queste sere Tavolato.4 Che è un nichilista raccomandabile a gente valida. Mi ha raccontato delle cose che mi sembravano sublimi e riabilitai fortemente – con una pedanteria schifosa – altre di cui m’ero dimenticato. Insomma un

1 Vedi lett. 61. 2 «L’Idea Nazionale» importante periodico nazionalista romano fondato come settimanale da Corradini nel 1911. Dal 1914 divenne quotidiano e cessò la pubblicazione nel 1925. 3 A. SPAINI, Poesia in azione, «L'idea nazionale», 20 aprile 1915. 4 Vedi lett. 6.

173 vero ricostituente! Siccome non posso seguitare per mancanza di spazio e per dei seccatori che mi stanno ai gomiti, ti saluto. Cardarelli.

[62] Biglietto postale intestato: «CAFFÈ NAZIONALE/ PERONI & ARAGNO/ ROMA», indirizzato: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza ROMA (CENTRO) 19.4.15, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 20.4.15.

174 [63] Corneto Tarquinia lì, 8 V 1915

Caro Bacchelli, oggi sono stati qui Cecchi e Baldini con le fidanzate, e abbiamo rimpianto la tua assenza. Mi dicono che avevi promesso a Sibilla di passare per Assisi. Forse per andare a Roma? Mi piacerebbe che tu mi dicessi qualcosa di quel che farai nel caso di guerra. Non credo che rimarresti sempre lo stesso a Bologna; tanto più che si avvicina l’estate. Io qui non oso invitarti una seconda volta, e non so quindi quando ci potremo rivedere. Per adesso non avrei intenzione di muovermi, pensando anche alle spese che ci vogliono per camminare. Basta, adesso non è per questo né per altre cose che ti scrivo, ma solo per dirti che se hai da mandarmi qualchecosa più presto che sia possibile mi farà molto comodo. Ebbi quell’aiuto dalla persona che ti scrissi,1 ma avevo da saldare a Roma debiti piuttosto forti, sicchè finii per venire a Corneto con meno di cento lire. Ora però faccio molta economia e finchè starò qui potrò vivere con poco più di cento lire al mese. Perdonami tutto questo e la mancanza di decisione con cui parlo di queste cose: non è un segno inferiore. Alla tua lettera risponderò uno di questi giorni riposatamente. Ora ti prego di scusare l’impersonalità di questo biglietto; scrivo in un caffè in mezzo al frastuono per impostare stasera stesso e arrivare con la speditezza necessaria. Se ti andasse di fare un vaglia telegrafico credo che sarebbe ancora meglio. Mi sono deciso anche questa volta proprio in estremo. Saluti a Mario e auguri. Io non desidero affatto la guerra. Leggo Laforgue.2 Sta bene e a presto tuo Cardarelli

Ti accludo una curiosa lettera di Serra che forse t’interesserà non solo per il fatto che si parla anche di te. Dimmene qualche cosa e rimandamela. Io gli ho risposto intanto per conto mio.3

[63] Un foglio sciolto, scritto solo sul r, intestato: «Caffè dello Sport/ Orizeo Gentili/ Corneto Tarquinia».

1 Vedi lett. 61 e 62. 2 Jules Laforgue (1860-1887) poeta francese la cui opera maggiore fu L'Imitation de Notre-Dame la Lune, composta nel 1885. Poeta dai toni simbolisti e decadenti venne apprezzato soprattutto per l’umorismo che seppe intrecciare alla vena sentimentale della sua poesia, molto imitata in Francia e all’estero. Echi poetici laforguiani infatti si riscontrano in Apollinaire e Prévert ma anche in Pound ed Eliot. 3 Lettera a Serra del 5 maggio 1915 (EPISTOLARIO I, lett. 343).

175 [64]

Corneto Tarq. 13 V. 1915

Caro Bacchelli, è possibile che io m’imbarchi con te in una discussione su quelli che in fondo dovrebbero essere i limiti del tuo temperamento, prima di averti fatto sentire fino a qual punto io sono meravigliato e ostacolato dalle tue possibilità? Se io mostrassi di ignorare in quale condizione il tuo lavoro, e anche la tua uscita, ha posto la nostra amicizia, e il pericolo per me, l’inquietudine che ne è scaturita, potrei darti due impressioni altrettanto inesatte: o che io sia così spensierato da non accorgermi delle cose che accadono, o che io mi fidi talmente di me e dell’avvenire che mi è serbato da non sentire il bisogno di modificare in nulla rispetto a te la mia parte antica di critico e di risponditore. Ora io non sono abbastanza pratico e cerebrale per questo. Tu sai che mi lascio illudere poco. E dunque, tu devi capirlo, un silenzioso rispetto e insieme un istituto di difesa che obbligano ormai a qualche reticenza con te, e tu devi essere così bravo da non costringermi a spiegazioni che a me parrebbero sempre inadeguate. Tra l’altro ho un’atroce stanchezza e la tua lettera, con quella impressione che la guerra sia necessaria e imminente, ha sensibilmente accresciuto il mio malumore. Non vorrei vedere in Arcadia anche te. Forse non hai ben riflettuto su che cosa è l’interventismo in Italia. Chi è che vuole l’intervento.Quali uomini, quali partiti. E perché! Per conto mio se Giolitti riesce ad evitare questa guerra diventa più grande di Garibaldi. Per tornare al tuo libro, a me dispiace, vedi, che tu prenda per buono un articolo d’illusione come quello di Spaini,1 e t’inalteri così verticalmente davanti a un’obiezione come quella di Cecchi2 che in fin dei conti non è altro che una definizione di personalità,

1 Vedi lett. 62. 2 E. CECCHI, Impressionismo vero, «La Tribuna», 3 maggio 1915 (l’articolo recensiva I Poemi Lirici di Riccardo Bacchelli). A proposito di questo articolo Baldini, l’11 maggio 1915, scrisse a Cecchi: «[…] ho visto Onofri: anche lui dice di non averci capito niente nell’art. di Bacchelli. Ma Onofri ha meno agilità di qualunque altro e allora s’è scoperto nella sua miseria, e ha scoperto meglio la miseria degli altri. […] Onofri mi fa vedere d’essere vissuto in pena dal giorno che ha letto Bacch. in pena di doverlo accettare, di dovergliene un poco di gioia, un poco d’amicizia, in pena che qualcun altro si potesse accorgere quanto Bacch. potesse interessare, in pena di tutte l’affermazioni che gli potevano arrivare a quei suoi orecchi di lievito: e l’articolo tuo, quand’oramai cominciava a fidarsi di tanto silenzio, gli ha passato l’anima. Schifoso lui e gli altri, hanno fatto questo ragionamento incredibile, ma vero quanto me […]. Queste cose a te non premono, ma nemmeno a me, per niente oramai. Ma però quest’ignobiltà per me è stata una scoperta troppo chiara: e tu mi pare che ne faccia troppo poco conto dei tratti più animali di certa psicologia. Cardarelli di certe cose ne tiene primario conto» (A. BALDINI, E. CECCHI, Carteggio (1911-1959), cit., p. 48).

176 una di quelle limitazioni da cui si esce confermati, e alle quali in ogni caso mi pare sia meglio contraddire silenziosamente che col discorso. Se ci volessi entrare in questo argomento non potrei che aggiungere della psicologia e mostrare al Cecchi stesso qualche rapporto, certe possibilità d’estensione della stessa materia che tu hai realizzato finora, che forse a lui sembrano già in gran parte esaurite, ma è certo che, capito lo spirito di quel ch’egli vuol dire parlando dei luoghi comuni, non potrei sostanzialmente dargli torto: e anzi trovo il rilievo finissimo, vera saturazione di conoscenza. Ma poi a che servono certe antitesi se non a rendere praticamente possibile ed efficace un giudizio? Termini che si affermano e si annullano nel tempo stesso. Opposizioni transitorie e puramente dialettiche. È male insospettirsene e indugiarvi troppo. Tu parli di distacco, d’inadeguatezza, e deduci queste cose quasi a dimostrazione che Cecchi ha torto a non riconoscere la tua superiorità su te stesso. Ma il mio punto di vista, e credo anche quello di Cecchi, è che tu non hai nessun bisogno di questa superiorità. Vedrò forse di chiarire proprio questo punto. Per me quando arrivi a Dio, a quella mestizia delle tue ultime pagine, il senso che mi dai non è, per intenderci, tragico (fatto impreveduto e meraviglioso), ma dolcemente umano e commovente. Proprio per questo perché sento che in quelle ultime pagine è tutta bontà tua tutta buona volontà, nature perfettamente disposte che agiscono. Ma questo era già anche prima, in ogni pagina riuscita del tuo libro; questa sicurezza pacata e convincente, questa fede. I tuoi paesaggi hanno lo stesso spirito della preghiera. La tua fiducia in Dio diventa quasi oggettiva, non implica, mi pare, negazioni e contraddizioni. Tu credi senza discussione, così nelle cose come nelle idee. Questa è la tua facilità. Trasporre per i tuoi interessi dalle cose alle idee fa la nobiltà e il lavacro formale della tua arte. Ma se è possibile, dopo essersi chiusi così naturalmente nei limiti della tua perfezione, uscirne con un’ulteriore esigenza si può dire che a te manca fin adesso quella che si potrebbe chiamare la conquista interna o produzione sostanziale del mondo; qualche cosa di diverso della tua primitiva oggettività, delle tue liminari riflessioni: una superficialità a terza dimensione: il luogo comune. Per esempio per me Goethe1 non ha prodotto nulla. Tutta l’arte moderna a base psicologica e sentimentale è sulla tua strada.

1 Intendere con discrezione

[64] Un bifolio scritto sul r e sul v, non spedito in questa data ma successivamente, come allegato alla lettera n. 67 (vedi infra).

177 [65]

Corneto T. 13 V 1915

Caro Bacchelli, ho buttato giù stancamente qualche pagina1 per rispondere al tuo invito, ma siccome non mi fido qui per qui di mandartele avrai un poco di pazienza ad aspettare che io te le mandi tra giorni oppure ne faccia un articoletto che non so dove potrebbe vedere la luce. Forse all’Alba?2 Io non avrei niente in contrario. Ho ricevuto il vaglia e grazie. Quanto a te spero vorrai avvertirmi nel caso in cui il Dio di Cartagine (dico la guerra) stesse per prendere anche te. E anche vorrei sapere, ma a tempo, quali sono le tue condizioni e quale conto francamente io posso ancora fare su te. Passo giorni tristissimi e sento che tutto il mondo è fuori dei miei interessi e tutto quel che posso fare è di serbarmi ciecamente per un avvenire che non so quale sarà. L’Italia è un paese troppo arretrato per noi. Il meglio è confessare la sproporzione e il nostro ateismo nazionale. Cecchi ha almeno trovato il suo compito: instauratore di una sorta di decadentismo critico, le cui conseguenze pratiche soltanto un operaio solitario della sua forza può sostenere.3 Questa gesuiteria robespierriana che grida contro Giolitti! Per conto mio se Giolitti riesce ad evitare questa guerra diventa più grande di Garibaldi. O avrà almeno la gloria, giustamente sanguinosa per un paese come il nostro, d’un Luigi XVIII. Saluta Mario, e vorrei pregarvi di non montare di […]. Tuo Cardarelli

Per Serra parole superflue. Non ti ho detto quel che gli ho scritto.4

1 Si tratta della lettera n. 64 che lasciò incompiuta quel giorno per spedirla come frammento allegato alla lettera n. 67 quache giorno dopo. 2 «Alba» periodico mensile di battaglia fondato a Bologna nel 1915. Questa rivista, insieme alle bolognesi «Arduo» e «Fuoco» fu una delle esperienze letterarie minori accanto a «La Raccolta» e «La Brigata», focolai di vita letteraria collocabili «nella movimentata fase di interregno che segna il passaggio dall’attivisimo delle riviste fiorentine al nuovo clima romano della “Ronda”» (A. NOZZOLI, La cultura e il fascismo, in Storia letteraria d’Italia. Il Novecento, a c. di G. Luti, t. 2, Milano, Piccin Nuova Libraria, Milano, Vallardi, 1993, p. 903). 3 Papini, nella ferace stroncatura di Cecchi, scrisse a proposito della sua critica che «per distinguersi alla meglio dagli altri critici s’è caricato sulle spalle la croce dell’etica ed etico vuol essere a ogni patto e va caramellando a ogni piè sospinto di coesione morale, d’interna disciplina; di coscienza profonda, di pienezza costruttiva e che so io. Ma codesti cataplasmi verbali non son neppure suoi e glieli ha appiccicati un tal Cardarelli, famoso per le sue concitate e interminabili farabolerie a tutti i marciapiedi e tavoli di Roma e di Firenze» (G. PAPINI, La sor'Emilia, cit., p. 98). 4 Vedi lett 63, nota 3.

178 Pensare che io dalla nostra reciproca esclusione dalla guerra stavo traendo tremendi oroscopi e significati provvidenziali!

[65] Un foglio sciolto scritto sul r e sul v; busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; timbri postali di partenza CORNETO TARQUINIA (ROMA) 14.5.15, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 15.5.15. La lettera è stata scritta lo stesso giorno della precedente, ma questa venne inviata, mentre la n. 64 venne lasciata in sospeso e inviata successivamente.

179 [66]

Corneto Tarquinia 16 V 1915

Caro Bacchelli, in questo momento soltanto la tua fedele amicizia mi permette di vivere. L’impossibilità di scriverti lunghe lettere è già in questa confessione. Lascia che io mi rimetta, mi domini, mi corregga da solo – senza discorrere; non ne è più il tempo. Ho pure prolungato, oltre l’umano, il mio soggiorno a Roma quest’inverno. O forse, in troppo poco tempo, sono accaduti troppi spostamenti per il mio inerte bisogno di ordine. Fatto sta che son ridotto alla minima efficienza e certi giorni me ne vado tutto in languore peggio dell’infelice Alvaro1 (hai letto la Riviera Ligure?). Mi pento di quel che dissi di Giolitti.2 Spero che il valore italiano risolva in cariche di cavalleria la poliedrica vigliaccheria e mediocrità che hanno agito in tutta questa vasta commedia. Certe cose ce le sapevamo, ma è sempre disgraziato assistere alla realizzazione in termini materiali dei nostri scetticismi. Noi potremo essere testimoni che in Italia non c’è più senso né pudore di autorità, che tutto quel che si diceva d’una Monarchia serva e senza scrupoli, d’un giolittismo irresponsabile e ciurmatore, d’una burocrazia venale e traditrice, d’un militarismo indifferente e pizzaiolo, era vero. Noi abbiamo visto l’ipocrisia rivoluzionaria andare in cerca del Re per portarlo in processione e mettergli la coccarda, una borghesia che scappa, cariatidi consacrate da mezzo secolo di retorica dinastica montare una rivolta e ricattare il loro sovrano, in ventiquattrore tutti i marsigliesi a Parigi, bevitori di sangue, falsarii, diffamatori, tutto il fermento untoso delle grandi ore storiche. E senza un atto d’omaggio salvo quello della piazza. Senza una violenza un’intenzione che non fossero demagogiche. Gli uomini svuotati di ogni personalità, di ogni rispondenza; ogni nome un pretesto. Noi potremo raccontare come magna questa italia di quaqueri e d’incompetenti che si vedrà in tutta la sua pesante pienezza tra qualche anno, come si realizzò questo antico petulante desiderio del risveglio del mezzogiorno, in che modo la filosofia meridionale, la pedagogia meridionale, la retorica apolitica e la praticità meridionale, l’onestà soprattutto (guarda creatura mostruosa!) l’onestà meridionale, fecero il loro primo ingresso nella nostra storia. Ci

1 Cardarelli si riferisce allo scritto di Cecchi Dichiarazione di Alvaro, pubblicato nella «Riviera Ligure», n. 42, giugno 1915. 2 Vedi lett. 64.

180 voleva Salandra,3 ci voleva l’antigiolittismo della deputazione siciliana, ci voleva l’idealismo calabro-siculo-campano dell’Idea Nazionale, la sordità predicatoria dell’on. Torre,4 lo slavismo del filosofo Amendola,5 il tecoppismo6 spudorato del Giornale d’Italia,7 e quell’atmosfera d’accademia di modernità di filantropia di anticoolismo e di maltusianismo8 che l’on. Sannino9 e l’on. Salandra avevano saputo stabilire intorno al loro governo perché al momento buono si assistesse a tanta esplosione d’ipocrisie classiche e convenzionali. Mai potremo lamentarci di non aver visto un uomo a questo festino, di non aver potuto credere a nessuno. E gli onesti più miserabili dei mascalzoni! Bisognerebbe non dar valore alla propria esistenza per non soffrire di essere cittadini di un tale paese, contemporanei d’una simile storia, e accettare allegramente la condizione che ci viene fatta. Andare alla guerra.

[66] Due fogli sciolti scritti sul r.

3Antonio Salandra (1853-1931) fu Presidente del Consiglio dei ministri dal 1914 al 1916. Politico di stampo conservatore, si era allineato a favore dell’intervento dell’Italia in guerra a fianco della Triplice Intesa, allontanandosi pertanto dalle posizioni di Giolitti che sosteneva invece la necessaria neutralità dell’Italia. 4 Andrea Torre, politico italiano, senatore del regno e ministro della Pubblica Istruzione nei due governi Nitti. Nel 1918, dopo la disfatta di Caporetto, firmerà a Londra il Patto di Roma, con il quale l’Italia e la Jugoslavia si impegnavano alla collaborazione reciproca e alla difesa dell’Adriatico. Nel 1922 fonderà con Giovanni Amendola il quotidiano «Il Mondo». 5 Giovanni Amendola e Andrea Torre furono fautori dell’intesa con i popoli slavi attraverso la promozione del comitato italiano per l’intesa fra i popoli oppressi dall’Austria, fase preliminare del Patto di Roma firmato ne 1918 (infra nota 4). 6 La parola «tecoppismo» deriva da Tecoppa, una maschera tipica del teatro italiano ideata dal commediografo Ferravilla, emblema del ladro, furbo e vittimista, la cui caratteristica principale è quella di difendersi, una volta colto in flagrante, rigirando le colpe su chi lo accusa, sino a confondere i ruoli dell’accusatore con l’accusato, così da risultare difficilmente attaccabile. Il tecoppismo di cui parla Cardarelli in relazione al «Giornale d’Italia» va quindi a connotare negativamente la linea del quotidiano romano, indicando un atteggiamento critico opportunista e utilitaristicamente non ben definibile nelle sue posizioni nei confronti di linee d’azione opposte alla propria. 7 «Giornale d’Italia», quotidiano romano fondato nel 1901 da Antonio Salandra e Sidney Sonnino, diretto da Alberto Bergamini, con lo scopo di dar voce all’ala liberale della Destra storica in opposizione alla politica giolittiana. 8 Il malthusianesimo, che prende il nome dal suo ideatore Thomas Malthus, è una dottrina economica che individua nella pressione demografica la principale causa della povertà e della fame nel mondo. Questo filone di pensiero, illustrato nel Saggio sul principio della popolazione, scritto da Malthus nel 1798, considera la politica del controllo delle nascite un provvedimento indispensabile per non incrementare l’indice di povertà della popolazione. 9 Giorgio Sidney Sonnino (1843-1922) fu presidente del Consiglio dei Ministri del Regno dall'8 febbraio al 29 maggio 1906 e dall'11 dicembre 1909 al 31 marzo 1910. Con il governo Salandra, nel 1914, fu nominato Ministro degli Esteri, posizione che gli permise di partecipare ai negoziati segreti per l’entrata in guerra dell’Italia, sfociati poi nel Trattato di Londra.

181 [67]

Corneto Tarquinia 21 V 1915

Caro Bacchelli, siccome a quest’aria di maremma non riesco a trovare un’ora di lucidità mi decido per non farti troppo aspettare a mandarti due frammenti di lettera abbozzati per te in questi giorni scorsi,1 così è fatta la tua volontà. Nella prima volevo parlare del tuo libro e nella seconda spiegare le ragioni non indecorose del mio poco entusiasmo per questa guerra. Se mi sono sbagliato sia nell’una che nell’altra mi vorrai perdonare. Sto in un momento tutt’altro che favorevole e sicuro. Soprattutto per quel che io dico di te non vorrei ne avessi a riportare un’impressione d’esigenza troppo facile a leggere. Ho sempre detto al Cecchi fin da quando mi manifestava i suoi scontenti sulla tua poesia in termini troppo schematici e ormai conosciuti, consistere la tua singolare forza appunto in ciò che rende certe reazioni, giustissime e valide con altri, quasi superflue e di delicata applicazione. Tu ingeneri insomma una inquietudine nel metodo. Non credessi ch’io non vedo il pericolo della mia limitazione e mi ripari troppo a cuor leggero su quel tanto di ragione obiettiva che per caso mi trovassi a poter avere ancora su di te. Ma insomma siccome vuoi che ti risponda ecco pressappoco che cosa avrei voluto dirti, e procura di leggere e completare per conto tuo. La lettera sulla guerra poi la lasciai andare perché da ultimo, tra la fretta e la stanchezza, mi prendeva un’aria di requisitoria giornalistica, e ora te la mando sicuro che comunque saprai riconoscermi qualche verità attendibile e spunto non spregevole. Di Serra non voglio parlare neppure sibillinamente.2 Forse hai sbagliato nel leggere. Io dicevo che del fatto che noi due ci trovassimo ad essere naturalmente esclusi da questa guerra avevo tratto oroscopi e significati sanzionanti la straordinarietà del nostro destino, tanto per spiegarci in modo rombante. La frase più sopra in cui s’accennava al Serra non c’entrava più. Solo che gli scrissi una lettera così ebbra di schiettezza che forse il nostro tenentino ne è restato sedotto e sopraffatto, e spero che non mi risponda più. Ti sarei poi grato se volessi tenermi informato un po’ minutamente del tuo proposito di fare il soldato. Essendo tu di terza categoria suppongo che, in vista d’un richiamo, avrai già pensato a diventare ufficiale dell’esercito territoriale. Ma sei sicuro che ti accetteranno? Sei stato già visitato? Oppure pensi di andartene bellamente in prima linea?

1 Vedi lett. 64 e 66. 2 Vedi lett. 65.

182 Riterrai spero legittima questa mia curiosità e quel pocolino d’ironia che mi casca ancora dalle labbra a considerare tanto eroismo che bon grè mal grè3 mi si annumera da ogni parte. Figurati che Cecchi ha già le spade, Baldini e Savarese sono in via di raggiungere il fronte! E tu che parti anche tu! Ma non sei tu che hai scritto: e i popoli non son che storia? Dunque io seguito a tenere il mio posto. Per i denari non so come ringraziarti della tua decisione. Però adesso, siccome in questo regime di guerra la mancanza di mezzi materiali deve fare giustamente paura, vorrei pregarti di aggiungere qualchecosa alla cifra che hai stabilito, almeno fin che non potrò rimettere piede in una città dove queste piccole lacune si possono riempire assai meglio che in un paese. Non voglio con questo abusare della tua bontà ma solo rendere un poco più efficace l’aiuto che per qualche tempo hai creduto di potermi prestare. E un’altra cosa volevo dire. Non potresti mandarmi qualche mese anticipato? Se questo si potesse fare io potrei servirmi del mio tempo con una libertà forse maggiore, per esempio spostarmi se mi sarà necessario, come credo, verso qualche paese della Toscana. Adesso che viene l’estate il mio paese diventerà certo inabitabile ma se non puoi non importa nulla. Basta che non ti rincresca a considerare queste cento lire che mi hai mandato come impiegate quasi tutte a coprire le spese di maggio e a mandarmi quindi il nuovo mese verso la fine di questo. Tutte queste cose sono per me noiose noiose a dirsi e l’aria quasi ipocrita e convenzionale che assumo nel parlartene vuol significare qualcosa. Ma ho avuto un sacco d’impicci questi ultimi giorni. Mia sorella che aveva bisogno di medicine creditori che mi perseguitano da Roma etc. Così un’altra volta al verde. Ma d’ora innanzi e fissati i nostri impegni non ti seccherò più, e valga per tutti i casi fra noi la certezza reciproca della sincerità e della più perfetta indipendenza. Appena tu mi dirai di non potermi più aiutare io sono pronto a fare qualunque cosa pur di non forzare la tua amicizia e le tue possibilità. Per ora non mi resta che pregarti, se lo credi difficile, di farti vedere qualche giorno da queste parti prima di andare sotto le armi. Se no quando ci si rivede? Qui, nelle condizioni attuali, potremmo stare come io sto in una solitudine quasi assoluta. E Mario è partito? Beato lui e beati voi che sapete prendere assai bene la realtà.

3 L’espressione francese «bon grè mal grè» è un sinonimo della locuzione italiana «volente o nolente».

183 Quando mi sarò rimesso a lavorare, nel caso che non ci si veda, ti manderò pei tuoi ozi marziali il poco di lavoro che ordinai in quest’inverno e dal quale mi sento adesso dolorosamente staccato. Sta bene e nota la stanchezza di questa lettera. Tuo Cardarelli

Imposto tutto in fretta per paura di pentirmene prima.

[67] Un foglio sciolto scritto sul r e sul v;

184 [68]

[Corneto Tarquinia, fine maggio 1915]

Caro Bacchelli, ho ricevuto e ti ringrazio. Per il mio arruolamento era un pensiero strano che avevo avuto. Credevo del resto che in tempo di guerra non ci fosse bisogno di tante certificazioni (tra l’altro io non potrei disporre neppure d’una idoneità fisica):1 la tua lettera mi richiama alla realtà. È anche vero che un mio amico ufficiale mi disse che mi avrebbero preso lo stesso. Però non lo credo. E in ogni caso ottenere un’ammissione così eccezionale per coprire un ufficio di scrivano mi pare una cosa un pochino sproporzionata. È meglio che stia a fare il cittadino. In questi giorni secondo come vanno le cose e l’umore lo permette faccio anche io la mia parte di marsigliese e ho perfino dato qualche esempio di politica dilettante e forse mi costringeranno a fare qualche conferenza, tanto è vero che io sono tormentatore della mia vita! Al lavoro per adesso non c’è da pensare. Il mio esaurimento minaccia di cronicizzarsi e ho certe indoliture così sparpagliate che mi rendono faticosa qualunque minima concentrazione. Aggiungi che non mi fido più di biografarmi: resisto alla tentazione del frammento: e per ora non ho altro in vista, all’infuori delle mie rigorose esigenze e della mia pazza inesauribile persistenza a sapere. Se mi rimetterò al lavoro sarà, come si dice, per costruire. Leggo intanto una vita di […] (Vermontel). Di quel che rispondi a proposito del tuo libro2 vedo bene che farei male a seguitare a discutere. Prima di tutto io non sto in tono e mi dispiacerebbe di essere giudicato da quegli accenni insufficienti che ti mandai tanto per cedere alla tua curiosità. Eppoi non c’intenderemmo. Questo qui è un punto molto delicato. A me non resta che prendere atto della violenza con la quale tu ti rifiuti di capire quel che ti si dice e ti proponi l’avvenire arbitrariamente. È il tuo migliore argomento. E anche il tuo modo di darci ragione. Però dico che di questa violenza non c’è che il precedente critico nel tuo libro. Pare si tratti di vedere quel che ne uscirà. Questo io dico senza sottintesi e senza limitazioni, naturalmente. In quanto al resto è inutile che seguiti a ringraziarti. Chissà che attraverso te io non riesca piano piano a riarmonizzarmi col mondo pratico. Certo che questa tua dolce fermezza agisce profondamente sulla mia natura.

1 Cardarelli era menomato ad un braccio. 2 Bacchelli evidentemente continuava a commentare con l’amico la ricezione avuta dai suoi Poemi lirici.

185 Sta bene e non pensare dunque neppure tu a disastri imprevedibili. Che temi un’invasione? Oppure una scarica di dirigibili nell’acquedotto? Ricordo la tua strana paura del pescecane! Dimmi quando mi scrivi dove sta Mario e che ti dice. Tuo Cardarelli

[68] Un bifolio, scritte le pp. 1-4, non datato. È possibile collocarla a fine maggio 1915 poiché si colgono alcuni riferimenti intertestuali con la lettera 66: in quella lettera Cardarelli allegò due frammenti epistolari scritti giorni prima, in cui aveva riflettuto sulla guerra (chiudendo con l’accettazione del doveroso monito morale che i tempi imponevano, «andare alla guerra»), discorso a cui si può collegare l’incipit di questa missiva con la paventata intenzione di un eventuale arruolamento; nella lettera 66 inoltre, Cardarelli aveva fatto domande ben precise a Bacchelli per un suo eventuale arruolamento, al quale l’amico rispose certamente nella maniera dettagliata che permise a Cardarelli di essere «richiamato alla realtà», come afferma in questa missiva. Inoltre, in merito ai Poemi lirici, qui Cardarelli afferma di non voler continuare il discorso che per tutto il mese di maggio lo aveva visto esporre dubbi e perplessità sulla politica editoriale adottata dall’amico per l’uscita del suo primo libro di versi. Infine il poeta ringrazia Bacchelli di un ulteriore invio economico di cui aveva fatto richiesta nella lettera 66, inviata, successivamente alla sua stesura, insieme alla lettera 67, alla quale quindi si fa seguire la lettera presente.

186 [69]

[Corneto Tarquinia, giugno 1915]

Caro Bacchelli, desidererei qualche notizia di te. In tutto questo tempo io non ti ho scritto perché non avevo proprio nulla da dirti di buono. Questa volta la residenza nel mio paese è stata imprevedibilmente triste. Lo scirocco mi ha risolto tutto in sonnolenza e sudari. Per il resto inconvenienti di ogni genere mi hanno fatto smarrire positivamente ogni senso di superiorità e di eleganza. Sono arrabbiato di essere di questo paese qui. Adesso specialmente che i grani si sono ingialliti e se n’è andata quel po’ di grandiosità vagneriana che lo rende fantasticamente possibile a primavera non c’è altro che una povera, sconsolata e avvelenata sensazione di maremma su tutto. Qualche aspetto medievale perde ogni potenza suggestiva sotto quest’afa diabolicamente livellatrice. Mi meraviglio anzi che i nostri antichi sieno riusciti a alzare in quest’aria torri così impropriamente alte e abitazioni d’una sveltezza così gratuita. Queste sono le costruzioni del medioevo.1 Non so quando potrò andarmene. Credo presto. Intanto però tu farai in tempo se vorrai a scrivermi qualche cosa della tua vita. Se è stata accettata la tua domanda,2 se sei già sotto, se Mario scrive etc. etc. Pensa che di tutta la nostra compagnia più o meno pacificamente affiatata in queste nostre letterarie lontananze italiane non rimaniamo ormai che io e te disponibili a un invito epistolare. Cecchi non mi ha mai scritto da quando è sotto. Baldini mi mandò una cartolina non so di dove, e venni a sapere dalla fidanzata la sua decisione di non ricordarsi più di nessuno fin tanto che è in guerra. Di più posso dirti che è sulla linea del fuoco (Isonzo) e scrive lettere pieno d’una onesta disperazione infantile. A Roma adesso non ci sono che Barilli,3 Spadini4 e Saffi.5 E anche costoro in quali diverse

1 Cardarelli rievocherà in maniera suggestiva la storia, usi e costumi del suo piccolo paese natìo nella prosa Il mio paese, inclusa ne Il Sole a Picco (OPERE, p. 373). 2 Bacchelli aveva fatto domanda per arruolarsi in guerra e partirà infatti come luogotenente. 3 Bruno Barilli (1880-1952) musicista, compositore scrittore e critico musicale, amico di Cecchi, Baldini e Cardarelli fu un assiduo frequentatore del Caffè Aragno, dove si legò all’entourage degli intellettuali romani. Il suo esordio nel giornalismo e in letteratura, strada che proseguirà scrivendo su numerose riviste, avvenne tra il 1912 e il 1915, anni in cui collaborò con la «Tribuna», «Il Corriere della Sera» e «Il Resto del Carlino». Nel 1919 fu tra i sette fondatori de «La Ronda» e responsabile della rubrica Delirama. 4 Armando Spadini (1883-1925) fu un pittore italiano in contatto con numerosi intellettuali dell’entourage romano e molto amico di Ardengo Soffici. Stabilitosi a Roma iniziò a frequentare il gruppo che si stava raccogliendo attorno alla nascitura «Ronda», al punto da essere inserito nella lista dei fondatori poiché disegnò il celebre tamburino che compare sulla copertina della rivista. A proposito della sua presenza nell’entourage rondista, Bacchelli ricordava che «la sua collaborazione era più umana che loica e critica, ma quanto efficace e sana. […] Al buon pittore non mancavano le idee solide e vigorose, utili a ripensare; e

187 disposizioni! Il più simpatico è Spadini che avendo raggranellato con recenti vendite qualche centinaio lire prega Dio che lo chiamino presto per non aver l’occasione di dissiparle. Ma Barilli ha un crescendo delle sue stranezze che lo rendono se non intollerabile almeno discutibile e pericoloso. È un uomo che si esaurisce quasi tutto minuto per minuto. Una specie di Rimbaud senza blague e senza dolore. E senza superiori fatiche e senza stile. Io credo che perciò finirà per arrivare a Ricordi e al successo […] milanese. Ma certo sarà una strana combinazione di genialità autentica (che è nella sua vita) e di volgarità borghese (della quale la sua amicizia è tutt’altro che immune). E per queste ragioni, che un tempo mi pareva si sarebbero potute eliminare, non so fino a quando io potrò sopportare il grave esercizio della sua compagnia. Avrei da dirti adesso tante cose interessanti e delicate del mènage Saffi. Ma è meglio che mi stia zitto. Io ho finito di scoprire che tu non hai ben conosciuto questa moglie di Saffi, se no non me ne avresti parlato con una frase della quale ricordo sempre l’irresistibile quasi sprezzante indifferenza. In quanto a lui credo che molte delle sue piccole e stranamente sgradevoli sorprese psicologiche devono riferirsi alla infelice mescolanza di sangui che corrono nelle sue vene non ricche. Dopo dieci giorni di rinnovate intense consuetudini quel che rimane di lui è il senso di due qualità, diciamo così, egualmente inattese. Una specie di calcolata impudicizia, e un imminente taccagneria umana dietro la superficie più disarmata e ospitale del mondo. Avendogli dato il modo di conoscermi a fondo e di trattarmi con una certa libertà me lo son visto alle volte saltare addosso con un senso dell’opportunità del momento, non so se più inglese o francese o romagnolo. Fra parentesi: io credo che la psicologia romagnola, sia appunto una psicologia ipocrita e malamente contraddittoria. Pensali un po’ tutti i nostri bravi letterati di Romagna. Pensali biograficamente! Quale squisita collezione d’ipocrisia! Ma non mi giudicare male se mi sono un po’ lasciato andare in questa lettera a mettere in questione qualche amico non del tutto simpaticamente. Tu sai che questi momenti dirò così negativi non sono che crisi di conoscenza e direi quasi atteggiamenti di vita per me. Non possono quindi avere che un silenzioso valore soggettivo. Ma stavo solo da troppo tempo, e riaffacciatomi appena nel mondo ho avuto modo di definire dentro di me in dieci specialmente aveva dovizia di amore per l’arte e per la vita sua d’italiano sensibile e creativo. La sua ospitalità del sabato sera sotto la pergola o nel tinello della Villetta Parioli, dove abitò tanti anni, a ripensarle si manifestano più grandi e più buone, per quanto grandi e buone apparissero già allora» (R. BACCHELLI, Come arrivai alla Ronda, cit., p. 1). 5 Aurelio Emilio Saffi (1890-1976) intellettuale e scrittore che faceva parte del gruppo romano del Caffè Aragno. Nel 1919 divenne segretario di redazione della «Ronda».

188 battute molte relazioni alle quali senza di ciò, avrei seguitato a aderire sterilmente chi sa ancora quanto. Che effetto fanno su te tutti questi discorsi? Sai, a proposito, la ferita di Slataper (leggera) a Monfalcone,6 e l’accidente automobilistico (con conseguenze piuttosto gravose, credo) capitato a Serra?7 Sta bene e mandami qualche buon libro se l’hai. Tuo V. Cardarelli

[69] Due fogli sciolti scritti sul r, non datati; si deduce dal contesto che l’autore si trovava a Corneto e che scrisse questa missiva nel mese di giugno: egli afferma infatti che è passato diverso tempo dall’ultima lettera (lett. 66 del 21 maggio) e la missiva successiva venne spedita il 1 luglio, per cui Cardarelli scrisse la presente verosimilmente intorno alla metà del mese di giugno.

6 Arruolatosi volontario nel corpo dei Granatieri, Slataper venne ferito alla gola in un’operazione sul Carso, nei pressi di Monfalcone. 7 Serra aveva avuto un incidente automobilistico nei pressi di Latisana (Udine) il 16 maggio 1915, a causa del quale rimase in ospedale per due settimane. L’episodio venne ricordato da Baldini nell’articolo Tastiera pubblicato sul «Corriere della Sera», 1 giugno 1955.

189 [70]

[Corneto Tarquinia, 1. 7. 1915]

Caro Bacchelli, a costo anche di sembrarti importuno sono costretto a pregarti di rimediare in qualche modo prima dei quindici giorni che mi hai proposto – più prima che ti sarà possibile. Non è soltanto la salute che in queste mie lettere minaccia di diventare un luogo comune da ipocondriaco, e non è: è anche perché non mi ritrovi poi imbottigliato dagl’inevitabili debiti che, nel frattempo, dovrei fare. Sarebbe un bello scherzo! Fa dunque ancora questo sacrificio. Tra l’altro non ho perduto ancora il desiderio e la speranza d’una buona estate di lavoro – come per l’anno passato – mentre se sto qui1 fino al quindici luglio è tutto tempo prezioso che perdo. Basta, fa tu come meglio puoi. Io mi rimetto per questo come per tutto il resto al tuo giudizio. Ho piacere che l’altra domanda ti sia parsa giusta sebbene io capisca quanto dev’essere nuovo per te e meritorio dover pensare, in una forma così rigorosa, a cose alle quali non hai mai pensato neppure per conto tuo. Ma tu puoi fidarti di te in ogni momento. Mentre io ho bisogno di provvedere con queste precauzioni alle troppe incapacità di affrontare le circostanze che sono nella mia natura. E questo mi serve di scusa. Se non s’era in questi tempi, e non ci fosse stata la probabilità che io ritengo sempre meno attendibile d’una tua occultazione dentro le trincee della guerra, sarebbe stato un piacere per me andare avanti in questa guisa incognita e liberale. Vorrei parlarti anche di altre cose, e avrei anzi scritto qualche foglio, ma è meglio per adesso tacere. Per la stessa ragione desidererei che tu non mi mandassi, per lo meno fino a quando io non te lo chiedo, le cose che hai scritto. Io ne rimarrei paralizzato molto probabilmente per qualche tempo, mentre a parlarti di cose che stanno nascendo dentro di me a contatto di ciò che attualmente succede non mi resterebbe che il rimorso di essere ancora una volta caduto in una confidenza intempestiva. Ma certo bando agli ii questa volta se torneremo a lavorare! Saluta sempre Mario. Baldini marcia in direzione di Trieste mi dicono. Tuo Cardarelli

[70] Un foglio sciolto, scritto sul r e v, non datato. Busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data è ricavabile dai timbri postali di partenza CORNETO TARQUINIA (ROMA) 1.7.15.

1 Il poeta si trovava a Corneto Tarquinia.

190 [71] [Roma, 28. 7. 1915]

Caro Bacchelli, non ti dispiacerà se ti faccio ancora una questione finanziaria. La tua decisione di mandarmi l’intero equivalente di questi mesi fino alla fine dell’anno dentro agosto mi ha fatto nascere l’onesta brama di comperarmi un vestito di cui sentivo assoluto bisogno. Siccome devo andare in montagna, e frequentare molto probabilmente pensioni dove c’è della gente non dico vestita bene ma almeno vestita di stagione (io sono ancora sotto le cappe invernali) così sono andato all’Old England e non ho saputo uscirne senza l’acquisto di un abito del valore di £68. Queste spese e i debiti che ho da pagare qui a Roma se voglio andare via mi metterebbe nell’impossibilità di partire se tu non potessi promettermi di mandarmi al massimo tra dieci giorni altre 100 lire. Dal momento che la proposta di mandarmi tutti i denari insieme in breve tempo era venuta da te credo di non aver fatto male a farne conto fin d’ora su una certa libertà e senza aggravare di nulla la somma che tu ti eri già prefisso di mandarmi. Credi che in certi momenti coprire l’esteriore è un bisogno essenziale! Vorrei in ogni caso che tu mi rispondessi telegraficamente all’indirizzo datoti ieri. In caso negativo non parto. Addio per adesso e complimenti per la divisa che m’immagino. Anche Barilli è entrato e monta già di picchetto. Io per ricominciare a vivere ho bisogno di andarmene o di restare. Nel frattempo passo giorni che è meglio non dire. Tuo Cardarelli

Scusa per tutte queste continue scocciature. Finiranno!

[71] Biglietto postale da 5 centesimi, indirizzato: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza ROMA-FIRENZE 28.7.15, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 29.7.15.

191 [72] [Roma, 30 luglio 1915] Venerdì

Caro Bacchelli, sono in partenza. Non ho ricevuto nulla di te per quel che ti scrissi1 e temo o che non abbia ricevuto in tempo il mio biglietto, o che tu sia partito improvvisamente per le frontiere. Comunque parto lo stesso. Ho cinquanta lire in tasca, e rischio di trovare la montagna pistoiese piena di gente e forse molto costosa. Ma vedrò. E credo che riuscirò a trovare un posto possibile ed economico. Intanto tu se sei a Bologna fa il favore di rassicurarmi subito con un biglietto a Gavinana,2 fermo posta. Sarò a Pracchia3 e forse a Gavinana stasera stessa. Spero poi di poterti scrivere più tranquillamente e dirti che sono riuscito a rimettermi a lavorare. La guerra mi ha molto scombussolato. Ora qui mi sento più forte. Tuo affmo V. Cardarelli

[72] Un bifolio scritto soltanto sul r della prima facciata, non datato, intestato: «GRAN CAFFÈ FARAGLIA/ PIAZZA VENEZIA/ RISTORANTE FARAGLIA/ PIAZZA VENEZIA/ ANGLO AMERICAN BAR/ PIAZZA SCIARPA/ ROMA». L’unico riferimento temporale di questa missiva è l’indicazione del giorno della settimana apposta da Cardarelli: considerando che il 4 agosto 1915, data della lettera successiva, fu un mercoledì, il venerdì in cui Cardarelli scrisse questa lettera fu il 30 luglio 1915.

1 Vedi lett. 71. Cardarelli aveva accettato la proposta di Bacchelli di ricevere con un unico invio tutto il compenso che il bolognese gli avrebbe dovuto rateizzare fino alla fine dell’anno per il suo mantenimento. 2 Gavinana è un antico borgo medievale, frazione del comune San Marcello Pistoiese in provincia di Pistoia. 3 Pracchia è una frazione montana del comune di Pistoia.

192 [73]

Gavinana Pistoiese, [4. 8. 1915]

Caro Bacchelli, ho ricevuto oggi da Roma il vaglia che mi mandasti là. Non ancora quello che mi hai fatto capire d’avere spedito qui. Speriamo non si sia perso, di tutto ciò ti ringrazio caldamente. Tienimi sempre informato dei mutamenti della tua vita e anche quando sarai lontano non ti dimenticare di mandarmi di quando in quando qualche riga. Io dopo di qui non so che farò. Forse andrò per poco a Firenze, poi a Milano dove mi tentano miraggi di lavoro e di efficienza pratica. Ma in questi primi giorni di vera solitudine e di nuovi tentativi devo constatare con dolore come la mia indocilità a ogni intenzione prestabilita minaccino seriamente ormai di farmi fare una gran brutta fine. La sola consolazione è che non ho più paura dell’ignoto come una volta e che mi sento preparato a tutto con un’asprezza di rassegnazione che è però più un segno del male che una fortunata disposizione per superarlo. Io in tutti questi tempi non ti ho mai parlato come pure tu hai molto taciuto dei cambiamenti in senso pessimistico che devono essere avvenuti dentro di te. Ma da qualche parola che t’usciva io ero silenziosamente meravigliato a dover constatare come pure insieme a tante diversità di destino e di facoltà le nostre due vite si rincontrassero così in questa muta e ostinata discensione come s’erano incontrare in qualche mattina di felicità. Ti assicuro che per me che non vado alla guerra il compito è forse più duro e più meritorio. Io non voglio aggiungere di più. Sta bene e speriamo di rivederci. Tuo V. Cardarelli

[73] Un bifolio di piccole dimensioni, scritte le pp. 1 e 3. Busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza GAVINANA (FIRENZE) 4.8.15, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 4.8.15.

193 [74]

San Marcello, [26. 8. 1915]

Caro Bacchelli, scusa se non ho ancora risposto alla tua ultima lettera. Vivo molto in abbandono - e credo che mi faccia bene. Ora, di passaggio in questo paese, ti mando un saluto. Sono ancora a Gavinana, di dove me ne andrò alla fine del mese. Ti terrò se mai informato. Ma anche tu fatti vivo qualche volta. Non dicesti che forse avresti potuto fare una scappata su questi monti? Auguri e complimenti per la tua nuova vita di militare. Io mi servo della guerra per recuperare la salute. Vorrei veramente che ci potessimo rivedere. Che mi dici della nuova dichiarazione di guerra? Ho un gran timore che non t’abbiano a sbalzare in Asia! Fa di ricordarti di me in ogni caso. E Mario? Saluti a tutti. Tuo Cardarelli

[74] Cartolina postale illustrata («S. Marcello Pistoiese m. 635 s.m. – Dettaglio panorama/ Villa Piattoli»), indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza SAN MARCELLO PISTOIESE (FIRENZE) 26.8.15

194 [75]

[Firenze, 19. 10. 1915]

Caro Bacchelli, a quest’ora avrai forse ricevuto da Saffi un’informazione che lo pregai di porti di un’avventura capitatami, stupida e disgraziata.1 Spero che non vorrai né impressionartene né preoccupartene. La cosa può essere triste per altri motivi. Ma insomma passerà anche questo. Adesso io volevo scriverti semplicemente due righe per dirti che ho finalmente ricevuto il tuo manoscritto2 e che l’ho letto non so quante volte con grande compiacimento. Ne ho lette alcune parti anche a De Robertis che non ha potuto in qualche momento non sussultare. Bada bene che De Robertis (uomo) è una persona intelligente. Potrei se volessi, anche qui e anche a memoria, farti un esame dettagliato delle parti che mi piacciono di più e di qualche elemento difettoso che ci ho riscontrato. Ma contentati ti prego di questa impressione in blocco. È qualche cosa come una porta che tu hai aperto. «Allora io protesto, mi rifiuto. In ogni caso comincio a soffrire adesso», è una rete lanciata. Di quelle cose che tappano la bocca. Lo stesso quel che dici delle lingue, e quella perfetta espressione della tua dolorosa felicità. Tutta quella parte là è potente e bellissima. Una cosa di cui avresti potuto fare a meno è quella specie di episodio erotico che ci hai incastrato e che qui dentro ci sta proprio male.3 Insomma te ti vorrei etc. a parte il calore che possono avere in sé certi particolari (ma allora ci sono i Poemi)4 non dice nulla. Quando si è arrivati a mettere il piede su certe, dirò così, astrattezze, bisogna saperci rimanere. Spero che tu capirai facilmente quel che voglio dire. Ma in tutti casi l’appunto è per farti capire che io ho inteso il calore di questo scritto e che sono in grado di conoscerci qualche lieve contraddizione. Quel che mi ha colpito soprattutto è una certa solidità di genere tutto nuovo in te: lineare. E per contrapposto un maggior risalto di colori, visioni, drammaticità. Tutto in iscorcio e in distruzione. È insomma molto da vicino l’arte come la

1 Tra il settembre e l’ottobre 1915 Cardarelli passò 17 giorni nel carcere delle Murate con l’accusa di oltraggio al pudore. Il poeta infatti era stato colto dalle forze dell’ordine durante un approccio maldestro ad una ragazza in un cinematografo fiorentino (OPERE, p. LXVIII). 2 Si tratta della prosa Memorie, pubblicata in seguito su «La Voce», a. VIII, n. 7, 31 luglio 1916, pp. 295- 302. 3 L’episodio è stato eliminato dalla redazione definitiva, come confermano la lettera 83 e la stampa. 4 Cardarelli allude ai Poemi lirici pubblicati da Bacchelli l’anno precedente.

195 preferisco io, e come noi la faremo ciascuno per proprio conto e a suo modo, se ci salveremo. Perché la guerra è forse più pericolosa per chi rimane che per chi ci va. Sta bene e scrivimi se puoi al solito indirizzo. Tu sei sempre costì?5 Adesso penso che per non sbagliare questa te la spedisco a Bologna. Ho ricevuto il vaglia e ti ringrazio tanto. Vedo che fin che potrai ci pensi da te e perciò non aggiungo altri e non ti dico nulla. Tuo affmo V. Cardarelli

Se non mi sono bene espresso riguardo alle tue cose scusa la fretta e il disagio di questi giorni. Non ho più visto Giorgio.6 Peccato. Soffici ti saluta in eccellente disposizione. È probabile, mi diceva, che io debba rifare da capo la conoscenza di Bacchelli. È molto caro!

[75] Un bifolio, non datato, scritte le pp. 1-2, intestato a p. 4: «Gran Caffè Ristorante/ GIUBBE ROSSE/ FIRENZE/ PIAZZA VITT. EMAN. II». Busta intestata: «Gran Caffè Ristorante/ GIUBBE ROSSE/ FIRENZE/ PIAZZA VITT. EMAN. II», indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna», recapito poi cassato e sostituito con «Riccardo Bacchelli/ fermo in posta/ Fagagna/ (Udine)»; la data è ricavabile dai timbri postali di partenza FIRENZE 19.10.15, timbro postale di arrivo BOLOGNA 19.10.15.

5 Bacchelli si trovava sempre in zona di guerra, come testimonia il reindirizzamento della lettera. 6 Giorgio Bacchelli, fratello di Riccardo.

196 [76]

[Firenze, 5 novembre 1915]

Caro Bacchelli, la tua lettera è tutt’altro che fredda e tu sai quanto io sappia di essere inferiore alla tua persistente affettuosa liberalità.(1) Quel che ti ha scritto Saffi voleva forse riflettere alcune mie giuste affermazioni che io gli manifestai uscendo di carcere,1 ed è stato in ogni modo bene che tu ne abbia avuto un’eco. Ora la mia solitudine è perfetta. Il pericolo e il miracolo indiscutibili. A Firenze quantunque le tue mani sieno provvide corro sempre il rischio di fare qualche digiuno. Basta un contrattempo di mezz’ora. Tale e tanta è l’impossibilità in cui mi son cacciato e persisto. Tutto questo però non vuol dir nulla. E in fondo se dovessi dire questa tua lettera che promette e non assicura mi piace e mi assicura più che tu non credi. Io non voglio essere certo di altro che della tua intenzione. Almeno per adesso, che poi, in seguito, possibile che non vorrà aprirsi una strada? Io ritorno a lavorare. Forse pubblicherò queste cose via via nella Riviera, anzi che sulla Voce (le avevo date qui e poi le ho ritirate).2 Sarà qualcosa anche come utile. La Riviera paga piuttosto bene. E tu che vuoi fare di questa prosa?3 Le mie vicende tu dici? È meglio non parlarne. Vedi che non mantengo per oggi neppure la promessa di parlarti del tuo scritto. Scrivo tanto per levarmi questo pensiero e darti ricevuta del vaglia. Devi sapere che sto sostenendo con la mia salute una lotta minuta, faticosa, dolorosa. È inutile illudersi, c’è qualcosa di tristo nella mia natura: uno spirito di contraddizione che resiste e s’ingigantisce quanto più io cerco d’essere docile e disciplinato. Cado in stanchezze incommensurabili, oppure l’esercizio della volontà si risolve in alterazioni paurose, soffocanti. Ho paura per il cuore. I miei sforzi fremono sul petto, mi mordono il fegato – ho queste impressioni. Eppure sono queste, con tutte le loro fasi che spesso non riesco a superare e mi ributtano giù, le mie crisi naturali di risollevamento da uno stato di dissipazione. Una specie di riconquista della realtà a gradi spietatamente lenti, inevitabili. Capisci che io ho la giustizia nella carne! – ma lasciamo stare, non so quel che ti dico l’importante è che mi pare, con tanto dolore cresciuto, con

1 Vedi lett. 76, nota 1. 2 In occasione dell’amicizia nata con De Robertis, nel settembre del 1915, Cardarelli aveva rinunciato a raccogliere le sue composizioni in volume (risale all’estate del 1914 la progettazione dei Prologhi) per pubblicarle su «La Voce». Tuttavia la rottura con l’ambiente vociano, a causa della disavventura fiorentina, portarono Cardarelli a ritirare i testi consegnati a «La Voce» per tornare al precedente progetto del volume. I testi infatti non uscirono più in rivista ma direttamente nei Prologhi del 1916. 3 Si tratta della prosa Memorie, vedi lett. 75.

197 tante definite probabilità di catastrofe (anche questa è una sensazione) di avvicinarmi, bene o male, a un nuovo periodo di produzione. E questo metterà tutto a posto, se verrà. Anche le vigliaccherie che ho sperimentato e alle quali tu accenni. Ma ho l’orgoglio di non averle provocate; perché dal carcere non ho scritto che cose indifferenti e non mi sono raccomandato a nessuno tranne che per avere qualche libro e un po’ di biancheria. Ero così ironico e sfottente quelle mattine! È probabile che il carcere m’abbia fatto bene. Tutto illumina, tutto serve a spiegare. Anche la mia arte aveva forse bisogno di quest’avventura. Bassa e disgraziata, come tante cose nella mia vita. Adesso non mi tratteranno più come qualchecosa di irreale. Basta dunque così. Se tu parti spero che me lo scriverai. In quanto a Giorgio lo vidi l’altra sera in un bar e l’ho accompagnato al quartiere. Era reduce da due capitomboli fatti agli esercizi di maneggio, e strepitosamente sano. Ha preso l’aria del soldato e aveva con sé un camerata che m’illuminava questo aspetto. Capisco che deve trovarsi meglio coi suoi colleghi che con me. Questo mi piace perché le prime sere mi pareva un po’ solo e mi rammaricavo di non poterlo divertire. Forse lo vedrò anche questa sera. Intanto gli ho parlato di te e fattogli vedere quel punto della lettera dove accenni a lui. In fondo tu sei la sensibilità della casa. Ma queste cose non si dicono, scusa. Sta bene, e, ormai che hai fatto tutto quel che dovevi, procura di non seccare il tuo destino. Ricordati di essere latino. E quando ci vedremo? Tuo V. Cardarelli

1 Tra i miei ricordi, più umilianti, di generosità della vita verso di me c’è l’arrivo d’un vaglia in cella quando io meno me l’aspettavo. Vidi tutta l’ampiezza e l’irresistibilità del tuo scetticismo.

[76] Un bifolio, non datato, scritte le pp. 1 e 3 più un foglietto sciolto scritto sul r. Busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Fermo posta/ Fagagna/ Udine»; timbro postale di partenza FIRENZE-FERROVIA ROMA 5.XI.1915.

198 [77]

[Firenze, 13. 11. 1915]

Caro Bacchelli, avevo quasi immaginato che tu fossi già in ballo. Inoltre l’altra sera vidi Giorgio a teatro e n’ebbi una specie di conferma. Io ero andato a sentire una sonata di Bastianelli1 e mi toccò perfino salire in palcoscenico a saltargli le pagine figurati. Faccio così per la tua incolumità. Scrivimi più spesso che puoi. Riguardo alle altre cose ti scrissi una lettera a Magagna.2 Richiedila fammi il piacere. Pubblicherò presto il mio libro.3 Facchi4 ha accettato e mi promette una edizione in carta a mano. Ma non vuol darmi un centesimo capisci? Se seguiterai a stare tra codesti monti il libro che io ti manderò che dono sconsolato ti dovrà sembrare! La mia salute va sempre a suo modo e qui a Firenze capirai la vita non è molto piacevole.

Ma ci resto perché in ogni modo preferisco questo squallore espiatorio alla noiosa e insopportabile vita romana.

Chissà che non incontri Baldini un giorno o l’altro. Quando sarà stato l’appello5 te ne dirò l’esito. Intanto se uno di questi giorni ti trovi vicino a un ufficio postale pensa che alla fine di questa settimana che entra dovrei pagare un conto alla mia padrona. Non importa che tu mi mandi molto. Anche poco può servire. Sta bene. Tuo V. Cardarelli

[77] Cartolina postale italiana, indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Sottotenente/ 8° Artiglieria Fortezza/comando raggruppamento/ Artiglierie/ IV° Corpo d’Armata»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza FIRENZE ARRIVI E PARTENZE 13.11.15.

1 Giannotto Bastianelli (1883-1927) compositore, concertista e critico musicale per numerose riviste quali «La Voce», «Il Marzocco», «Musica», «La Nuova Musica», «Lacerba» e titolare di una rubrica dal ’15 al ’18 per «La Nazione». Molto amico di Cecchi e Slataper, frequentò molto l’ambiente della «Voce» e si legò negli anni ’20 anche a Bacchelli, il quale scrisse per il compositore un piccolo testo teatrale da musicare. Vedi lett. 180-183. 2 Piccolo comune in provincia di Udine. 3 I futuri Prologhi. 4 Facchi era titolare dello Studio editoriale lombardo fondato nel 1913 insieme a Carlo Linati e Mario Puccini. 5 Si riferisce al suo processo in corso per la sua detenzione in carcere. Vedi lett. 75, nota 1.

199 [78]

[Firenze, 9. 12. 15]

Caro Bacchelli, ti vorrei scrivere una lunga lettera, ma un po’ perché adesso lavoro e puoi capire che razza di squilibri nella mia salute fisica e anche considerando che una cartolina è più facilmente censurabile d’una lettera e quindi arriva più presto rimetto la lettera a un’altra volta. Tu sai quanto penso a te e in che modo, anche se non ti scrivo. Ho passato giorni un po’ brutti, ma ora dal lato materiale a anche dal lato lavoro le cose si rimettono. Partirò a giorni da Firenze. Ti terrò in formato dove andrò. Tu intanto per ogni evenienza scrivi al solito indirizzo, riceverò lo stesso. Ti dirò anche che per qualche mese sono al sicuro e puoi risparmiarti l’incomodo di mandare. Cerca piuttosto di star bene e di ritornare. Abbiamo sempre molto da fare noi due. Vedrai il mio libro1 tra qualche mese. Ci saranno delle cose nuove e qualche serio rifacimento. Forse anche una prefazione. Non ti dico altro. Baldini ferito leggermente è a Roma. E Mario? Ho ripreso ancora una volta in mano il tuo libro.2 Me ne considero come un depositario. Qui a Firenze è fango. Ho conosciuto Bastianelli e Campana:3 un dissoluto e un vagabondo, le due persone più interessanti. Ma non troppo… Spero che tu non abbia molto a soffrire. Se vieni a casa per Natale ci vedremo no? O perché non ti mandano a istruire le reclute? Addio. Tuo affmo Cardarelli

Ricevuto il vaglia.

[78] Cartolina postale italiana, indirizzata: «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 8° Artiglieria Fortezza/ Comando raggruppamento/ Artiglieria IV° Corpo d’Armata/ Zona di guerra»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza FIRENZE ARRIVI E PARTENZE 9.12.15. La lettera è stata pubblicata integralmente in E. GRAZIOSI, Campana, Cardarelli e Bacchelli: lettere e documenti inediti, «Filologia e critica», a. XIII, n.1, 1988, pp. 92-93.

1 Prologhi, vedi lett. 77. 2 Poemi lirici. 3 Dino Campana (1885-1932) poeta italiano, autore dei Canti Orfici, il cui manoscritto, per lungo tempo ritenuto perduto, venne consegnato per la pubblicazione a Papini e Soffici nel 1913. Cardarelli lo definisce «vagabondo» per la sua particolare personalità bohèmien che lo spinse a compiere frequenti fughe, dalla famiglia e dal paese, vivendo in perenne stato di instabilità errabonda. Dallo studio della GRAZIOSI, Campana, Cardarelli e Bacchelli, cit., emerge una certa rivalità di Cardarelli nei confronti di Campana, sia per motivi editoriali legati allo Studio Editoriale Lombardo, sia per motivi economici: Campana infatti si rivolse spesso a Bacchelli per ricevere del denaro e Cardarelli temeva di perdere il costante sostentamento dell’amico.

200 [79]

[Firenze, 17. 12. 15]

Caro Bacchelli, ho piacere delle notizie che mi dai, e anzi ti dirò che io aspettavo di saperti congedato come mi è accaduto di molto volentieri della tua arma. Come mai che tu resti ancora sotto? Ti scrissi sere fa una cartolina dove ti davo qualche notizia sommaria sulla mia vita e ti esoneravo dal disturbo che ti costo per qualche mese. L’hai ricevuta? Sono poi stato un giorno o due a Roma a causa dei biglietti ferroviari ed è per questo che rispondo alla tua cartolina solo oggi. Domani parto per la riviera. Appena arrivato ti scriverò. Intanto ho visto Cecchi in questi giorni di passaggio da Firenze. Sta molto bene e ha lavorato con qualche serio frutto a quel che mi pare. Gli ho fatto leggere la tua prosa e l’ha molto considerata. In quanto al mio libro1 m’impensierisce la specie d’empressement con cui me ne parli. Lascia stare e credi pure che io sono molto sfiduciato. Adesso spero nel sole della riviera. Non è ancora in corso di stampa, no, ma ci andrà presto purtroppo; e non credere neppure che io voglia morire di stitichezza, come tu dici che io sono stitico in quanto a licenziare. È che la cosa per me è assai più grave che per altri. Io non ho nulla di ereditario. Ma insomma prima che finisca l’inverno il libro uscirà e non sarà certo un avvenimento. Ora avrei tutt’altre intenzioni, ben altri miracoli da fare. Ci riuscirò? L’aria di Firenze mi ha molto abusato. Cecchi ti saluta e anche Saffi Barilli e Baldini (col braccio al collo). Seguita a stare bene e pensa piuttosto al domani. Tuo affmo V. Cardarelli

[79] Cartolina postale italiana, indirizzata: «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 8° Artiglieria di Fortezza/ Comando Regg.to Artiglierie di medio e grosso calibro/ IV° Corpo d’Armata/ Caporetto»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza FIRENZE ARRIVI E PARTENZE 17.12.15.

1 Cardarelli, probabilmente, aveva inviato a Bacchelli il manoscritto dei suoi Prologhi, in prossimità della stampa.

201 [80]

San Remo, Via Roma, 14 presso Bertolone [6. 1. 16]

Caro Bacchelli, vorrei essere per te una distrazione epistolare più frequente e più interessante, ma purtroppo per una ragione e per l’altra il tempo che io posso dedicare (e sai che tempo per me vuol dire salute, forza) a queste conversazioni si fa sempre più scarso. Ti prego dunque di scusami se non ti scrivo a lungo come mostri di desiderare e come io stesso vorrei. Tu sei in guerra e anche io in un certo senso. Posso capire in ogni modo la tua nostalgia dell’Italia, delle cose di questa Italia, dalle quali il mio destino mi tiene violentemente staccato e che ho dovuto finire per non seguire più neppure di lontano. I nostri amici stanno bene, ecco tutto. Cecchi è in una fase di contentezza e di lavoro. Caro Cecchi! Non dirò che io non mi senta cattivo qualche volta vicino a lui: ma il torto è mio. Egli seguita la sua vita con abbastanza fedeltà – e quando si pensa che ne ha meno ragione di noi, allora il suo merito cresce e gli si vuol più bene. In quanto a me sto uscendo da un periodo nero. Figurati che a giorni mando il libro all’editore1 e tu lo vedrai stampato credo dentro i primi di febbraio. Ho voluto pulirlo con accanimento con ostinazione feroce. E non lo sentivo più in nessun punto capisci? Era come lavorare un cadavere; senza che tuttavia l’immagine abbia più che un valore d’espressione, perché adesso che la fatica è finita ti dirò che sono soddisfatto di me e mi sento tutto pronto e buono da ricominciare. Ma vedremo. Certo che oggi sento d’avere più polpa, più gesto, più humanitas. Ma non più quella divinità di armonia, quella tenerezza d’accenti vergini, sicuri. Che cosa significa progredire!- Basta, spero di arrivare prima che tu abbia preso l’[…]. Sei sempre al sicuro? Io desidero essere informato soprattutto di questo. E se verrai qui, come ti prego di fare, sarà un bel rivederci. Io mi modello sempre più sui miei ozii. Tuo Cardarelli

Cecchi vuole che si vada anche ad Alessandria. Di qui gli ho mandato un cesto di mandarini, freschi come la mattina sul mare, dice lui.

[80] Cartolina postale italiana, indirizzata: «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 8° Artiglieria Fortezza/ Comando Raggruppamento artiglieria medio e grosso calibro/ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data, non indicata dall’autore è ricavabile dai timbri postali di partenza SAN REMO ARRIVI E PARTENZE 6.1.16.

1 Dopo l’ultima lettera di Bacchelli, Cardarelli era tornato sui Prologhi allungando nuovamente i tempi di stampa. Vedi lett. 77-8.

202 [81] San remo, via Roma 14 presso Bartolotto [16. 1. 16]

Caro Bacchelli, scusami se ti rispondo con un giorno di distanza: ho mandato via poco fa il mio libro – questo ti dice tutto. Sono sfinito e sconsolato. Ci sono tre ultime righe che mi stanno sulla coscienza e che non ho potuto sostituire da giorni e giorni che ci stavo sopra. In questi casi io arriverei alla pazzia. Pensavo a quel che mi scrivevi tu mentre stavi licenziando il tuo. Che cosa disgraziata! Non ne parliamo! Ora dovrei rispondere qualchecosa al tuo invito. Pensa, io non ho ancora i biglietti giornalistici e la spesa da qui a Alessandria non è lieve. Ho in tasca qualche cosa come 450 lire e contavo di andarci avanti fin quasi alla fine di Marzo. Se faccio questo viaggio dò una bel taglio. Inoltre lo strapazzo (io sto male, credilo) eppoi l’emolliente compagnia di Cecchi! Per rimettermi in equilibrio virile mi ci vuole dopo un altro mese. Ma se a te fa piacere, senza ipocrisia e senza complimenti, io faccio quel che tu vuoi. Certo che anche io ho grande desiderio di rivederti. Puoi capire. Sei la sola cosa integra che rimane per me, permettimi questa espansione. Vorrei potertelo attestare con due righe di dedica in cima al libro, se ce la farò. Se no ti contenterai anche questa volta di saperlo così. Farai dunque in tempo a riscrivermi e a darmi istruzioni precise. Per Cecchi non c’è quasi bisogno. Si avvisa per telegrafo. E c’è anche questo fatto. Quest’anno i biglietti personali li ho potuti avere soltanto su le garanzie di Quilici che mi ha fatto passare per un redattore del Carlino. Cosicché è probabile che questi biglietti siano in giacenza all’amministrazione del Carlino. Vuoi informartene da Lucarini?1 Lui saprà chi si occupa di queste cose. L’impiegato di Roma assicurò Saffi che me li avrebbe mandati al Carlino. Se ci sono non hai che da farteli dare e spedirmeli subito per espresso. Allora la cosa sarebbe molto facilitata. Ma è una faccenda da sbrigarsi con Lucarini – non con altri. E Mario è con te? Salutamelo, salutamelo tanto. Immagino che cosa la guerra avrà fatto della sua già temibile virilità. E il fastoso Giorgio? Saluti a tutti. Ricordati che in tutti i casi a me farebbe comodo partire di qui il 19. Tuo aff.mo Cardarelli

L’indirizzo di Cecchi è: Via Torino, 17 Alessandria

[81] Cartolina postale italiana, indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza SAN REMO ARRIVI E PARTENZE 16.1.16.

1 Ostilio Lucarini, poeta e in quel periodo cronista del «Resto del Carlino».

203 [82]

San Remo, [22. 1. 16]

Caro Bacchelli, dimenticai ieri di tornare a raccomandarti quella faccenda dei biglietti. Davvero ora che tu sei a Bologna sarebbe provvidenziale se te ne occupassi, altrimenti dispero di giungerne in possesso. Basta informarsi con Lucarini e, in ogni caso, lasciare incaricato lui per quando arrivino, potresti dargli il mio indirizzo. Grazie per adesso e spero che vorrai farmi sapere qualcosa. Sta bene Tuo V. Cardarelli

[82] Cartolina postale italiana «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza SAN REMO ARRIVI E PARTENZE 22.1.16.

204 [83]

[San Remo, 31. 1. 16]

Mio caro Bacchelli, ancora poche righe. Ho ricevuto il tuo manoscritto1 e lo passerò a Cecchi per farlo subito pubblicare. M’è parso però che alcune correzioni andassero bene, altre al solito piuttosto male. Soprattutto l’idea di togliere gli spari. Io credo che tu non ti sia ancora definitivamente convinto della necessità, anche profonda, di certi amminicoli architettonici. Per questo disponendo della prima copia mi sono permesso di fare con le mie mani nel tuo lavoro un leggero e delicato esercizio dirò così filologico, consistente nel ripristinare in gran parte la prima lezione (anche sulle mie cose trovo spesso che le correzioni più ispirate sono quelle che portano a riscoprire l’originale) e nell’accettare quelle delle tue correzioni che mi sembravano necessarie, respingendo le altre. In genere: approvo l’aver levato: Ah signora e il nuovo versetto: Aver detto: era meglio non nascere etc. Approvo l’aver tolto quella intempestiva scappata erotica che cade assai più opportuna la seconda volta, e altre lievi correzioni che illuminano poeticamente e danno un senso nuovo alle vecchie frasi. Ma non posso approvare per esempio tutte quelle correzioni esplicative che hai voluto fare. Ricordati che la poesia, come tu stesso sembri aver sperimentato e capito, è lo studio dell’anonimo e del generico. Se vogliamo fare una poesia analitica (p. es. alla Peguy) bisogna che l’analisi diventi una specie di giuoco, una specie di crescendo artificioso, allora capisco. Ma spiegare per ispiegate, no, non mi pare che vada. Purtroppo ho osservato che quando ti metti a correggere le tue cose ti dimentichi dello stato in cui l’hai scritte e ci fai su delle osservazioni da dottore. Ma allora sarebbe troppo facile correggere, invece è il rimettersi in posizione poetica, come se da quel primo momento non fosse accaduto niente altro di nuovo in noi, che fa la difficoltà, il compromesso silenzioso e quasi eroico, d’una buona correzione. Considerato tutto questo, giacché tu sei alla guerra io ho creduto, con ogni discrezione, di procedere alla piccola manomissione che t’ho detto. Del resto la seconda copia che mi hai mandato resta intatta, e se credi te la rimando. Farai sempre in tempo a correggere le mie due correzioni che del resto sono puramente negative e lievi. Perché il discorso corresse (intendo questo non nel senso banale) ho dovuto sacrificare ancora due o tre periodi; ecco il mio maggiore arbitro. P. es. là dove dice: - “E il sospetto che la mia scelta e abbondante esperienza etc, non mi

1 Si tratta della prosa Memorie. Vedi lett. 75-76.

205 pare che si riprendesse bene con tutto quel periodo carnale che suppone troppo direttamente il pezzo tolto: Insomma te ti vorrei etc. Così sono andato senz’altro al: Ci siamo aspettati troppe cose etc. Con ciò mi pare che si riprenda magnificamente e che anzi questo plurale improvviso dia a tutto il discorso precedente un’intenzione ampia e nuova. E allora tutta la strofa, dirò così, sentimentale: Ed anche la gioia era venusta (io ho messo: eppure la gioia era venusta – vedi tu) viene isolata e splendidamente a posto. Così pure ho dovuto levare il periodo: […], illuminazione etc e ricominciare a: Finora son perduto.2 «Come farei a vivere se no? (spazio) Finora son perduto». Quante parole uno spazio indovinato ci può risparmiare! Ti ho detto quasi tutto. Il resto è quasi tutto come tu hai scritto. Ho fatto questa piccola fatica perché mi sembrava necessaria e d’altra parte assolutamente insignificante. Di più sono sempre più convinto della bellezza e della superiorità di queste prose su tutto quel che hai già fatto; non dirò superiorità sostanziale, perché nei poemi c’è verginità e canto ma, come dire, superiorità storica, progresso di maturità, di coscienza, di forma. T’invidio per le cose che riesci a dire, le esperienze che irretisci. È strana la nostra somiglianza biografica! Il nostro parallelismo fisiologico! Ma di me tutto è sacrificato. Io non sono ancora ben certo sul significato di quest’assoluta impotenza. Non credere mi culli sulle favorevoli interpretazioni di Cecchi. Per quel che riguarda me va male, molto male. Salute: senilismo precoce. Cose pratiche: processo in cassazione dentro questo mese. Nessuna speranza di salvezza. Poca anche nella grazia. Non ho persone che mi possano garantire un aiuto abbastanza intimo e sicuro. Tra due mesi sarà spiccato mandato di cattura contro di me. Vivo in queste condizioni. Tu capisci che farò tutto, credessi anche di dovermi, per dire una parola, ammazzare, pur di non andar dentro. È troppo che giuoco con la mia sensibilità. Di qui andrò via il giorno del processo (23 febbraio). Non so dove andrò. Certo non bisognerà spendere. Avrò in tasca per quel tempo poco più di 150 lire. Se tu vorrai mandarmi qualche cosa io ne avrò bisogno. Pensa che molto probabilmente dovrò cercar di scappare. Non aggiungo altro. Ormai c’è poco più di spiegare della mia vista. Sta bene e speriamo bene. Tuo affmo V. Cardarelli

2 Dal confronto con la lezione di Memorie andata in stampa si nota come Bacchelli avesse accolto tutti gli interventi di Cardarelli.

206 Via Roma, 14 presso Bertoloni S. Remo

(scrivimi in busta)

[83] Un bifolio, scritte le pp. 1-3; busta indirizzata: «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 8° artiglieria da fortezza/ Comando Raggruppamento/ Artiglierie medio e grosso calibro/ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza SAN REMO ARRIVI E PARTENZE 31.1.16.

207 [84]

Via Roma, 14 – San Remo, [20. 2. 1916]

Caro Bacchelli, aspettavo prima di scriverti di aver collocato la tua prosa.1 Ma Cecchi a cui l’ho mandata2 mi scrive che non ha più rapporti con Boine (per la Riviera) e d’altra parte Novaro3 che ha per tre volte cestinato roba mia4 non vuole presentazioni e probabilmente finirebbe per cestinare anche la cosa tua. Resterebbe la Voce. Vuoi pubblicare? Io te lo sconsiglierei. D’altra parte ho dovuto finire per mandare al diavolo quasi tutti i fiorentini, eccetto Soffici, e se ora mi presentassi a loro con la tua prosa, dopo aver ritirato i miei addii,5 concessi in un momento di coglionaggine, potrebbe sembrare o che io prenda in giro loro o che dia poco valore a quel che tu scrivi. Tutto sommato, appena Cecchi mi rimanderà la tua prosa che si è tenuto per rileggerla, credo che finirò per andare io in persona da Boine che è qui vicino e gliela imporrò. In ogni caso te ne dirò l’esito. A proposito di questo tuo ultimo lavoro molte sono le riflessioni che ho fatto. Peccato che non ci si possa parlare! C’è in te del predicatore, dico questo in senso altamente positivo. Qualche cosa di ecclesiastico, di corale – eppoi una specie di nobile disinteresse, un senso cavalleresco dell’espressione che non sarà capito da nessuno. Ci vorrebbe un uomo come Nietsche per scoprire certe qualità, per sentirle, goderle come melodia. Io sono purtroppo assai più vagneriano, ebraico. Io modello nel fango! Ma mi basterebbe ancora un anno di solitudine per non aver più da vergognarmi della mia fortuna. Dopo tutto certe taches6 in me non appartengono che alla condizione esteriore. Dammi il riposo, la luna, abolisci il terrore in me e vedrai come sono un altro. Te lo manderò subito. Ci sono delle zone chiuse e quasi perfette. Non posso dolermi di quel che ho fatto. Ma ci sento un sapore tragico di anacronismo che è tutto il nostro destino. Come

1 Cardarelli si stava occupando di cercare per Memorie una sede editoriale adatta. Vedi lett. 83. 2 Il 5 febbraio 1916 Cardarelli scriveva a Cecchi: «Caro Cecchi, non so se vuoi prenderti il disturbo di mandare a Boine per la Riviera questa prosa di Bacchelli o ad altra rivista. Avrei piacere che si riuscisse a collocarla» (EPISTOLARIO II, p. 484). 3 Mario Novaro (1868-1944), poeta e filosofo italiano, nel 1899 fondò «La Riviera Ligure», che diresse fino alla cessazione della sua tiratura nel 1919. Molto amico di Boine, ne curò l’edizione delle opere. 4 In una lettera non datata, ma successiva alla missiva del 5 febbraio (infra, nota 2) Cardarelli scrisse a Cecchi: «Mi vuoi aiutare? Presso Boine o presso Novaro? Io ebbi già dalla Riviera quella novella che tu conosci rimandata. La ragione era semplice: non piaceva il lavoro e non si volevano ammettere nuovi collaboratori» (EPISTOLARIO II, p. 486). 5 Vedi lett. 76. 6 Francesismo che si riferisce alle eventuali “macchie” della sua reputazione.

208 stai? Scrivimi. Io starò qui buono a tutto febbraio. Mandami quel che hai promesso dentro questo termine. Tuo Cardarelli

[84] Cartolina postale italiana, indirizzata: «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 8° Artiglieria di Fortezza/ Comando Raggruppamento/ artiglieria medio e grosso/ calibro. IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza SAN REMO ARRIVI E PARTENZE 20.2.16.

209 [85]

[San Remo, 4. 3. 16]

Caro Bacchelli, ti ringrazio della cartolina vaglia che è arrivata in tempo. In quanto alla tua prosa1 non ne ho fatto ancora nulla, perché Cecchi ha tardato molto a rinviarmela. Ti confesso che prima di riprendere contatto con Boine o altra gente preferirei vedere l’effetto del mio libro.2 È probabile che io finisca per avere questa volta quel che ho tanto voluto: voglio dire un subisso di ostilità da ogni parte. E quanto a me ne ho fatto tutto quel che umanamente si poteva fare per meritarmelo. In queste condizioni è prudente aspettare. Il fatto che non si riesca a trovare una rivista per un tuo scritto è abbastanza significativo. Ma ti basti intanto che qualcuno di noi la conosca o l’apprezzi non superficialmente. Poi il modo di pubblicarla verrà. Mandandola a Papini per la Voce sarei sicuro che l’accetterebbe con piacere, ma il pensiero mi ripugna. Se tu me ne dai l’autorizzazione lo faccio senz’altro. Tu che sei in guerra non puoi avere idea del grado di depressione a cui il nostro mondo letterario è arrivato. Non si può essere liberali fino a non soffrire la vergogna di certe relazioni, di certa contemporaneità, vicinanze etc. Tu parli di quel che riuscirai dopo questo tuffo. C’è dell’innocenza in questa specie d’interesse limitato nel tuo destino individuale. In quanto a me sono tutto immerso nella più disperata cognizione dell’ambiente, dell’epoca in cui sono costretto a muovermi. Molte delle nostre difficoltà le abbiamo fin qui troppo generosamente attribuite a noi stessi. Ma la mia decisione (anche di non nascondermi a costo di tutto il vero stato delle cose) è già presa. Quando ti sento dire che andrai a fare le camionate mi fa un senso strano, penosamente illogico, che non saprei riferire. Bisogna che l’interpreti come un effetto fatale della tua impazienza. Allora tutto va bene. Allora è certo che fare il routinier3 nei comandi sarebbe un esempio di virtù e di forza morale troppo grande che non sarò io a pretendere. Parlo, come puoi capire, senza ironia. Ma cerchiamo almeno in una prova come questa di non sbagliarci. Se s’ha da rimanere fregati è bene esserlo a occhi aperti. Intanto constato che Timpanaro4 è assai più di me e di te l’uomo di queste arie e di questi tempi. Dopo di qui non so dove andrò. Se tu rifletti un poco puoi avere il senso esatto del mio stato morale e delle cose che in me,

1 Cardarelli continua ad occuparsi della prosa di Bacchelli Memorie, vedi lett, 83-84. 2 Cardarelli aveva appena pubblicato Prologhi (Milano, Studio editoriale lombardo, 1916). 3 Francesismo per «abitudinario». 4 Per i rapporti con il critico vedi lett. 21-22, 26.

210 molto equilibratamente, si manterranno. Io vincerò anche questa nuova marea d’impedimenti, questo è certo. Vale a dire che la seconderò. Cercherò di precorrerne le più azzardate conseguenze. J’ai tant fait patience. Il mio affare5 per adesso stazionario, nessuna notizia da darti. Cecchi sempre il medesimo: uomo-funzione. Io rivedo antiche letture con occhio incredibilmente lucido. Questa è la mia umile consolazione, di constatarmi sempre mezzo disposto a prendere cantonate. Mi viene in mente un punto delle tue memorie: - Se ci avrà da essere sarà appetito rifatto…etc. Benissmo. Se torneremo ad abbandonarci sarà per qualche cosa d’irresistibile. Chi mi s’impadronisce sempre di più è Goethe. Al contrario, a Nietzsche non mi riesce più di credergli. Non parliamo poi dei nostri vecchi colossi di legno. Pochi sono gli uomini che resistono ai nostri lunghi contatti con la natura. Volevo pregarti insomma di scusare la fretta e la sgrammaticatura ma è superfluo. Penserai a buttar subito via questi fogli. Non ho tempo adesso per badare alla forma. Sta bene e scrivimi spesso. Mi bastano poche righe. Manda saluti a Mario. Cecchi ti ricorda spesso e ti saluta.

Il mio indirizzo rimane il solito fino a quando non te ne manderò un altro.

[85] Quattro foglietti scritti a matita sul r, tranne l’utlimo scritto sul r e sul v; busta indirizzata: «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ Comando Raggruppamento/ artiglieria medio e grosso calibro/ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza SAN REMO ARRIVI E PARTENZE 4.3.16.

5 Cardarelli aveva in corso il processo per il suo incidente con la giustizia dell’autunno del 1915. Vedi lett. 75.

211 [86]

Via Roma 14 - San Remo [23. 3. 16]

Caro Bacchelli, a quest’ora la mia sentenza è probabilmente passata in giudicato.1 Si cercherà di ottenere una grazia e non ho ragione di disperare, sebbene in questo momento nulla sia certo, ma intanto bisogna che sia pronto a prendere il volo perché la sentenza fa il suo corso e la domanda di grazia non ne sospende l’esecuzione. Dicono che avrò una mese di respiro. Naturalmente io cercherò di svignarmela prima. Basterà che vada via da qui e tenga incognito il mio indirizzo fino a quando il ricordo non abbia avuto il suo esito, ciò che avverrà, spero, in tempo relativamente breve. Intanto sono obbligato a seccarti di nuovo. Per la fine del mese avrei bisogno di denari. Tu sai quanto questa mia posizione mi scotti ora più che mai, ma veramente i tempi si sono chiusi in modo che all’infuori di te non saprei a chi ricorrere. Inoltre ho ripugnanza a estendere queste relazioni. Ti prego in ogni modo di rispondermi subito. Se non ne hai e si tratterà soltanto di aspettare potrei intanto chiedere un piccolo prestito a Cecchi. L’essenziale è che tu mi risponda: che tu mi rassicuri, non sui denari, ma che non ti annoio. Tutte le altre protestazioni che ti vorrei fare sono forse superflue. Io seguito a considerarti come un mio benefattore, e questo forse è uno sbaglio. Tu sai quanto io sono inferiore a certe situazioni! Non so quali notizie ho ottenuto da qui. Sul mondo letterario c’è un’invasione di cavallette. Vedrai che tra poco ci dovremo convincere che siamo abbastanza vecchi. Vengono su certi nomi! Titta Rosa,2 Maria d’Arezzo,3 Meriano,4 Sbarbaro.5 Un odore di

1 Vedi lett. 85, nota 5. 2 Giovanni Titta Rosa (1891-1972) scrittore, poeta e critico letterario italiano, di orientamento crociano, collaborò a «La Riviera Ligure», «Lacerba», «Solaria» oltre al «Corriere della Sera». Nel 1916 aveva fondato a l’Aquila, insieme a Moscardelli, la rivista «Le Pagine». 3 Maria d’Arezzo, pseudonimo di Maria Cardini, esponente del movimento dadaista e collaboratrice di «Le Pagine», rivista d’avanguardia di cui diresse l’edizione stampata a Napoli dal novembre 1916 (M. D’AMBROSIO, Nuove verità crudeli: origini e primi sviluppi del futurismo a Napoli, Napoli, Alfredo Guida Editore, 1980, p. 296). Fu inoltre la moglie di Sebastiano Timpanaro. In una lettera del 5 febbraio 1916 Cardarelli scrisse a Cecchi: «A proposito di Titta Rosa e Maria D’Arezzo, li avevo notati anch’io. Ma mi offese che tu me li presentassi quasi come degli autori di nobiltà letteraria. Io disprezzo questa letteratura» (EPISTOLARIO II, p. 485). 4 Franscesco Meriano (1896-1934), poeta e narratore italiano, fondò nel 1916, a Bologna, «La Brigata» insieme a Bino Binazzi. Aderì in giovinezza al movimento futurista con la raccolta poetica Equatore notturno (1916) ed entrò in contatto con Apollinaire e numerosi altri artisti stranieri. Di idee nazionaliste e

212 plebe giovine, incolta, malintenzionata. Ma basteranno tre liriche per mettere ogni cosa a posto. Quando i nostri libri avranno il conveniente risvolto storico che loro spetta si vedrà come noi abbiamo ucciso La Voce e il futurismo. Adesso con un po’ più di grazia si delinea qualche cosa di simile. Tutta unteria da incorporare. Piove molto in questo paese: funghi non ne mancano. E tu? Si potrebbe almeno sapere se sei in pericolo? Sei già in azione? Sei al trasporto delle munizioni? Ti confesso che qualche notizia positiva sulla tua vita di guerra mi farebbe molto piacere. Con tutta probabilità io andrò ad Alessandria (adesso ho i biglietti) alla fine del mese: di là tanto io che Cecchi torneremo a scriverti. Il mio volume è già confezionato ma non lo vedo ancora. Ti avverto che ti ho dedicato l’ultima parte. Ma ora se dio vuole ne sono veramente staccato. Proprio in questi giorni ho ricominciato a lavorare. Cosa, non so. Certo niente più fasi […], niente più definizioni: queste cose erano belle un tempo. Il sole del mare è scettico. Sento insomma la natura, guarda che progresso. Inutile dire le persuasioni disperate che possono essere sotto questa specie di abbandono. L’importante è che io non stia più dov’ero. In quanto a decadere si sa che io comincio sempre scivolando. Poi per istrada mi rialzo. Scrivimi dunque presto. Io ti mando questa per espresso. Saluta Mario e Giorgio. Spero da un giorno o all’altro di poterti mandare il volume che ti leggerai tenendo conto delle date che vi ho apposto. Penserò anche alla tua prosa appena il libro è uscito. Tuo affmo V. Cardarelli

d [86] Cinque foglietti scritti solo sul r a matita; la busta è intestata: «G Cafè Glacier Européen/ BILLARDS – P. VIANI/ Corso Vittorio Emanuele/ SAN REMO» e indirizzata: «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ Batteria de Luca/ 36° divisione fanteria/ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza SAN REMO 23.3.16.

interventiste, intraprese la carriera giornalistica che lo vide collaboratore del «Popolo d’Italia» (1921-1923) e vicedirettore del «Resto del Carlino» (1923). 5 Camillo Sbarbaro (1888-1967) poeta ligure, esordì nel 1911 con la raccolta Resine. Nel 1914, durante il soggiorno fiorentino, conobbe Soffici, Papini e Campana e si avvicinò all’ambiente vociano. La sua seconda raccolta, Pianissimo, verrà particolarmente apprezzata da Cecchi e Boine e nel 1919 «La Riviera Ligure» gli dedicherà un intero numero monografico.

213 [87] Alessandria, via Torino 17 presso E. Cecchi [8. 4. 16]

Caro Bacchelli, eccoti il mio nuovo indirizzo dove ti prego di raggiungermi presto con delle nuove tue. Ho ricevuto tutto e ti ringrazio profondamente, anche per la lettera che mi hai scritto. Ti ho mandato il mio volume.1 Spero certo che tu sarai uno dei miei pochi lettori, forse l’unico. Intendo lettore senza illusioni: cosa dalla quale io ho tutto da guadagnare. Io ho dato il tuo volume a una bella signorina che ne è rimasta presa. Specialmente, dice lei, nella parte intitolata adolescenza. Ho portato quassù la tua prosa2 che vedremo insieme a Cecchi dove collocarla. A San Remo ho fatto qualche cosina nuova che Cecchi apprezza. Questo giustifica e rende più allegro il cinismo con cui io guardo codesta mia prima pagina stampata e defunta sul tavolo. Mah! Che Iddio ce la mandi buona. Cecchi è sempre un po’ caracollante e leggermente pericoloso. Mi dispiace di doverlo dire. Del resto sempre l’uomo straordinario per tutti i meriti che conosciamo. Ti saluto tanto. Tu sta bene e scrivimi. Le mie cose si spera che riusciremo ad appianarle. Intanto sto qui. Tuo Cardarelli

[87] Cartolina postale italiana, indirizzata: «Sottotenente Riccardo/ Bacchelli Batteria de Luca/ 36° Divisione Fanteria/ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza ALESSANDRIA FERROVIA 8.4.16.

1 Prologhi, appena pubblicato. 2 Memorie, vedi lett. 83-85.

214 [88]

San Remo, via Roma 14 [19. 4. 16]

Caro Bacchelli, sono tornato a San Remo. Ho passato qualche giorno tempestoso (e dispendioso) perché a Firenze mi si cercava ed io non volevo lasciarmi trovare a nessun costo. Sono stato a Milano, Alessandria, Torino. Ti scriverò più riposatamente di questa mia avventura, contemporanea all’uscita del mio libro (che ti ho mandato da quasi una quindicina di giorni). Fatto sta che ora l’esecuzione della sentenza è sospesa per tre mesi e la grazia può considerarsi certa.1 Del mio libro nessuno ancora mi ha scritto. Cecchi, la solita miserabile prudenza con cui saluta la visita d’ogni libro d’amico - salvo poi a prostituirsi oltre ogni senso di decoro. Saffi mi studia come se si trattasse di prepararsi a una laurea, e Baldini che mi aspettava come un eccitante starà passando il tempo a fare degli esercizi ritmici sulla mia pelle. Tutto ciò non farà che chiarire sempre meglio la nostra situazione. E tu come te la passi? Fa il favore di scrivermi. Del mio libro mi parlerai quando vorrai e se ti andrà - non è a te che io chiedo parole.2 Tu mi sei amico, mi spiego? È agli altri. Dolente infine di doverti chiedere altro ossigeno per la fine di questo mese ti saluto e mi raccomando alla tua pazienza. Tuo affmo V. Cardarelli

[88] Cartolina postale italiana, indirizzata: «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ Batteria de Luca/ 36° Divisione Fanteria/ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza SAN REMO ARRIVI E PARTENZE 19.4.16.

1 Vedi lett. 75, 85-86. 2 Da notare che Bacchelli non recensirà Prologhi, così come Cardarelli non aveva recensito i Poemi lirici.

215 [89]

[San Remo, 7. 5. 16]

Caro Bacchelli, ho ricevuto il vaglia e te ne ringrazio. La tua letterina mi arrivò a tempo e mi fece molto piacere. Sebbene fossi il più lontano tu sei stato il più sollecito. Ho ricevuto anche qualche altro segno di riconoscimento e tra l’altro una cartolina di Tecchi,1 dove mi dice che mai ha sentito questa mia cosa così fieramente come ora e mi promette di far uscire l’art. non più tardi del mese di maggio.2 Vedi come le mie parole sono destinate ad avverarsi punto per punto. Anche Saffi pare molto colpito e mi scrive dandomi del classico etc. etc. fatto sta che io sono convinto d’aver costruito qualcosa di stilisticamente importante. In fondo tutto per me si riduce a questo. E le soluzioni etiche, logiche, vitali sono del tutto transitorie. Io sono, noi siamo, per intenderci, degli esteti più esigenti e più raffinati degli altri. Se continuerò a lavorare in una via per la quale mi sarei messo getterò molta confusione in certe anime avare e saccenti, anime femminili specialmente (o pederastiche) che cercano nelle mie cose consonanze filosofiche, […] alla Nietztche, e non s’accorgono quanto io bruci la filosofia in quelle poche parole, senza ridurli naturalmente a uno scherzo macabro come accade qualche volta a certi scrittori esteti in senso decadente – anche grandi. M’accorgo insomma che pochi sono quelli che sanno leggere. Il che dipende, secondo me, da una mancanza di generosità e di slancio, in grazia della quale mancanza ogni parabola descritta da un poeta con intenzioni totali sembra posticcia; reali soltanto certi punti che noi possiamo accettare senza grande impegno, senza profondi sottintesi. Dove si vede la radice psicologica inconfessabile del metodo estetico, che è una cosa assai più inerente alla natura umana di quel che si potrebbe credere. Dopo la tua lettera quel che mi ha fatto più piacere sono queste due righe di Linati3 che ti accludo.4 Dato che io non lo conosco e le oneste distanze che ci separano queste tre righe generiche sono tra quanto di più gradito mi sia giunto. Figurati, per esempio, che la sorella di Cecchi sente il bisogno di fare tutta una disquisizione, discernimento etc. non escluso

1 Bonaventura Tecchi (1896-1968), esperto germanista e scrittore, collaborò con diverse riviste, tra cui «Solaria», «La Gazzetta del Popolo» e «Il Corriere della Sera» e insegnò letteratura tedesca presso l’Università degli Studi di Roma. 2 Non si hanno notizie di un articolo di Bonaventura Tecchi sui Prologhi cardarelliani. 3 Carlo Linati (1878-1949) scrittore, critico e giornalista italiano, anglista per interessi letterari, venne chiamato a collaborare a «La Voce» di De Robertis, su suggerimento di Serra, dal 15 dicembre 1914 al 31 dicembre 1916. Negli anni venti fondò con Levi, Angelini e Ferrieri la rivista «Il Convegno» e collaborò con numerose testate come elzevirista. 4 Vedi allegato 1.

216 qualche augurio e incoraggiamento. Si può essere più incauti? Come questa gente prende sul serio la nostra ironica gentilezza! Avrei voglia di scriverti una lettera piena d’impressioni interessanti, ma tu sai quanto io sia poco bravo in questo genere d’arte. Conoscendo l’ambiente indovinerai con facilità le piccole tragedie di gaffes stonature, silenzi che vorrebbero essere difensivi e furbi, a cui assisto. C’è da sentirsi un’anima mefistofelica. E tutta questa cattiveria io so che è precipitosa; ma è necessario, per ragioni molto intime, che il mondo non possa più abusare della mia stupida carità. Per tutto il resto solite notizie. La mia avventura con la giustizia non è ancora risolta5 e forse colla scadenza dei due mesi di sospensione (4 giugno prossimo) c’è il caso che attraversi un’altra fase acuta. Bene o male Saffi a Roma si dà da fare. È tutto a lui che io debbo se ne sarò liberato. Intanto se potrò bisogna che vada via da qui: ne sono sazio fino alla gola. Ti scriverò, se mai, dove andrò. Tu intanto seguita a indirizzare qui. E scrivimi spesso e più a lungo. Non leggi proprio nulla? Saluta Mario e mandagli il mio libro correggendo quei cinque o sei refusi che ci avrai trovato. Alla fine di questo mese avrò bisogno di te e spero che mi potrai mandare un poco di più. Scusa se ti parlo così. Io riceverò sempre con lo stesso sentimento tutto quel che a te parrà di mandarmi. Non sei tu l’uomo a cui si fanno insistenze. Ma è per questo appunto che io mi prendo la libertà di non nasconderti i miei bisogni e anche qualche momento critico che mi tocca a passare. Come vedi ho scritto a lungo e velocemente in una mattina di nervi e noia. Scusami le brutture grafiche e l’abbandono formale che non dovrebbe essere permesso neppure nei momenti di maggiore confidenza. Ma è che a qualche cosa per vivere bisogna pure rassegnarci. Sta bene e fatti vivo. Tuo Cardarelli.

[89] Un bifolio scritto su quattro facciate e due foglietti sciolti scritti soltanto sul r; busta indirizzata «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 91a Batteria d’Assedio/ 24a Divisione Fanteria/ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza SAN REMO ARRIVI E PARTENZE 7.5.16.

5 Vedi lett. 75, 85-86, 88.

217 [90]

[San Remo, 3. 6. 16]

Caro Bacchelli, ti ringrazio del vaglia di 200 lire che è stato un grande soulagement. Però adesso senti che mi capita. Domani scade il termine della proroga del mio mandato il cui annullamento è sempre in sospeso.1 Abbiamo chiesto nuova proroga e ancora non se ne sa nulla: nel dubbio non posso assolutamente rimanere qui. Andrò a Como oggi stesso (non lo dire a nessuno). Ma a conti fatti arriverò a Como, vale a dire in un paese dove non conosco nessuno, appena con ottanta lire. Ho già preso i passi avanti scrivendo a Sforni2 che l’inverno scorso mi mandò mille lire con le quali potei violentemente staccarmi da Firenze e cominciare questa nuova vita che ora credo stia dando qualche frutto. Ma non so se lo troverò, se non si sarà stancato: tra l’altro c’è pericolo che stia al fronte. Se tu avessi almeno altre 50 lire da mandarmi subito fermo posta Como! Perdonami questi salassi. Io cerco di lavorare, di sfondare a forza d’insistere: è tutto quel che posso. Se Sforni mi risponde, come spero, allora vuol dire che lealmente io te lo dico e le 50 lire che mi mandi oggi saranno tanto di anticipato per l’avvenire. Ma guai se in questi momenti, che sono di delicato risveglio risveglio al lavoro, mi trovassi in un impiccio di questa natura. Tu capisci tutto senza bisogno che io mi spieghi. Sai che del mio libro3 non parla e non parlerà credo nessuno. Ragione di più perché io ne faccia subito un altro,4 di cui ho scritto le prime dieci pagine. Ti par poco? Io credo di andar rinnovandomi. Che gli amici e la fortuna mi assistano. Mandami le tue pagine. Ho grande curiosità. Poi io ti manderò qualcosa di mio. Lavora senza paura. Lascia stare gli scrupoli. Torna alla natura. Tutto è li. Io mi sono fatto un estimatore in Linati e non me l’aspettavo – ne sono contentissimo. Domani lo vedrò a Milano, ti scriverò. Sta bene e dammi notizie dei fratelli. Tuo Cardarelli

La mia salute va pazzamente bene come sempre quando lavoro.

[90] Cartolina postale italiana, indirizzata: «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 91a Batteria d’Assedio/ 24a Divisione Fanteria/ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza SAN REMO ARRIVI E PARTENZE 3.6.16.

1 Vedi lett. 75, 85-86, 88-89. 2 Vedi lett. 45, in cui Cardarelli, abbandonato da Orvieto, cercò aiuto nel mecenatismo di Sforni. 3 V. CARDARELLI, Prologhi, Milano, Studio editoriale lombardo, 1916. 4 Probabilmente si tratta di Viaggi nel tempo, raccolta cardarelliana successiva a Prologhi e sulla cui composizione informerà Bacchelli nelle lettere successive.

218 [91]

[Como, 8. 6. 16]

Caro Bacchelli, sono a Como (Hotel Volta) in una condizione che si fa sempre più grave se non scende qualche angelo dal paradiso. Sono imprigionato in un Hotel dove non posso spendere meno di otto lire il giorno e non posso andare via finchè non mi sia giunto qualche soccorso. Sforni finora non mi risponde, più che mai ho bisogno del tuo sforzo. Mandami quel che puoi, considerando l’eccezionalità del momento, magari 10 lire. Usa del telegrafo. Ti confesso che avendo il lago a portata di mano il pericolo è grandissimo. A Milano conobbi Linati e Facchi. Gente diversa da quella che noi conosciamo. Dispostissima a capire, a fare, a riconoscere, ad ammirare. Ho parlato molto anche di te. Dimmi se credi che ti rimandi la prosa1 per rivederla, forse è ancora troppo lunga. Nel caso potremmo mandarle alla Voce, dove anch’io ho mandato tre cosette mie. Pare s’incomincino a convincere. Quando finirà questa quarantena! Non ti dico altro. Credi pure che la mia situazione non è piena d’avvenire e di speranze. Ma questi sono i momenti più critici. E ho delle cose da fare, credilo. Saluti e sta bene. Tuo Card.

L’indirizzo te l’ho scritto sopra.

[91] Cartolina postale illustrata (Como – Primo bacino), indirizzata: «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 91a Batteria d’Assedio/ 24a Divisione Fanteria/ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza COMO 8.6.16.

1 La prosa Memorie, alla quale Cardarelli aveva apportato delle modifiche accettate dall’amico. Vedi lett. 83.

219 [92]

Grand Hotel Volta, Como [11. 6. 16]

Caro Bacchelli, ho letto una sola volta il tuo scritto giuntomi solo adesso.1 Alla prima impressione (e io non ho bisogno di tante letture) ti dico che è una cosa conclusa, dolcissima, pacificata, dal principio alla fine. Bravo Bacchelli. Se mi rispondono quelli della Voce la manderò subito là se tu vuoi. In quanto alle Memorie se le vuoi rivedere te le spedisco. Guardando questa prosa vedo lì qualche punto confuso. Tu sai quanto sono pedante in fondo! - Ti scrivo in fretta per ringraziarti e non posso stendermi in troppi dettagli. Anche io come ti dissi lavoro, ma in un ordine di realizzazioni più rozze direi, più zingaresche. Vedrai. Sono ritornato alle esasperazioni dell’adolescente e del vagabondo.2 Non posso far meglio. Non sento più altro. Eppoi con dei vuoti che dio sa come si colmano. Ma ho l’impressione che la mia fortuna stia qui. Tuttavia i miei occhi ànno acquistato delle competenze pittoriche mai credute. E dire che per essere capiti al mondo io devo essere letto da un personaggio come Campana3 e tu da me. Che sorta di complottazioni contro l’universale ignoranza! Su quel che dici della vita pubblica etc ho già fondato i principii a Milano. Là è l’unico posto possibile per noi. In quanto alla rivista4 anche Facchi la vuol fare e tanto lui che Linati, uomo che ha una specie di genio di bontà, hanno di me un’opinione favolosa. Tu vedi come i tempi si rinnovellano. Ma sbrigati a ritornare.

1 Si tratta della prosa Riepilogo che Bacchelli avrebbe pubblicato nella «Voce», a. VIII, n. 8, 31 agosto 1916, pp. 323-326. 2 Le liriche Adolescente e Vagabondo vennero pubblicate sul numero unico di «Lirica» del Natale 1913. Vagabondo venne poi inserito in V. CARDARELLI, Prologhi. Viaggi. Favole, Lanciano, Carabba, 1931 con il titolo Incontro notturno. 3 Vedi lett. 78. 4 Probabilmente Cardarelli non aveva abbandonato le velleità di fondare una rivista letteraria, progetto tentato già prima della guerra (vedi lett. 8-14) e che si realizzerà soltanto nel 1919 con la fondazione della «Ronda». Da quanto si evince da questo riferimento quindi è possibile che Cardarelli avesse proposto a Facchi e Linati, appena conosciuti a Milano, e soci dello Studio Editoriale Lombardo presso cui aveva appena pubblicato i suoi Prologhi, di aiutarlo nella realizzazione di questo progetto, essendo titolari di una casa editrice. Tuttavia, nelle lettere di questo periodo inviate da Cardarelli a Linati, non ci sono accenni alla rivista, motivo per cui si ipotizza che sia una confessione fatta all’amico Bacchelli forse solo sulla scia di un occasionale confronto verbale tra Cardarelli, Facchi e Linati in occasione del loro precedente incontro milanese (vedi lett. 91), a cui però non seguì nulla di fatto.

220 So che De Robertis mi va paragonando a Mallarmè.5 Non puoi credere come io faccia del tutto per far cadere la gente in queste pompose illusioni. La gloria se no di che sarebbe fatta? Dissi che nessuno si sarebbe occupato di me. Forse esageravo. Ne parlerà di sicuro Cecchi,6 De Robertis7 e qualche altro. Ti manderò gli articoli. Sforni mi ha risposto. In quanto al resto è inteso che io scrivo appena e solo quando ne avrò bisogno. E grazie di queste cortesie che mi rallegrano il cuore e sono l’unico correttivo di speranza alla mia vita immutabilmente desolata. Sta bene e scrivimi pure qui. Tuo Cardarelli

Non ho ricevuto ancora la grazia. È stato sospeso il mandato per altri due mesi.8

[92] Un bifolio scritte le pp. 1 e 4, intestato: «Grand Hotel Volta», più un foglio sciolto scritto sul r. Busta indirizzata: «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 91a Batteria d’Assedio/ 24a Divisione Fanteria/ Settore di Saga/ Sezione postale 13./ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza COMO 11.6.16.

5 Stéphane Étienne Mallarmé (1842-1898) poeta francese, considerato il maestro del simbolismo. Influenzato da Baudelaire, la sua poesia rivoluzionò il linguaggio poetico moderno attraverso il potenziamento della parola foriera di istanze evocative e conoscitive profonde. 6 E. CECCHI, Testimonianze classiche, cit. 7 In realtà De Robertis non recensì mai Prologhi e la prima opera cardarelliana di cui si occupò fu Il Sole a picco (Bologna, l’Italiano, 1929). 8 Vedi lett. 75, 85-86, 88-90.

221 [93]

[Como, 19. 6. 16]

Caro Bacchelli, ti scriverò uno di questi giorni a lungo. Intanto queste due righe per assicurarti che il tuo scritto1 non so ancora se solo o insieme alle Memorie, o a parti delle Memorie (vedrò) verrà pubblicato nella Voce di luglio. In questo numero ci saranno delle cose mie e te le farò avere.2 Papini mi scrive che De Rob. sta studiando i Prologhi e le cose tue e di Cecchi per farne un lungo saggio. Nel caso dovesse dare dei paragoni antipatici, ciò che non credo, né io né te ce ne uniformeremo. Il fatto sta che De Rob. ha sentito il bisogno di ritornare sul tuo libro3 e che noi finiremo per imporci. Ecco tutto. La Voce a forza di insistere è diventata l’unica rivista letteraria importante che noi abbiamo. Ed è in un buon punto per approfittarne, anche Papini parlerà di me4 – è strano ma gli ho fatto, come si dice, colpo. Figurati che sta in campagna e si è messo a fare discipline. È l’arte che lo ha colpito in me – non dico che abbia torto. Vedremo come mi concerà. Intanto mi convinco sempre più dell’adorabilità di questa gente e della mia severità fuori posto a volerne fare per forza delle cause di conflitto e di opposizione. Sta bene e dammi notizie di Giorgio e di Mario. Il tuo V. Cardarelli

E un’altra cosa. Se oggi c’è un mito nella poesia italiana, questo siamo noi.

[93] Cartolina illustrata (Como), indirizzata: «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 91a Batt.ria d’Assedio/ 24a Div.ne Fanteria/ Settore di Saga/ Sezione postale. 13./ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza COMO 19.6.16.

1 Si tratta della prosa Riepilogo. Vedi lett. 92. 2 Nel n. 7 del 31 luglio 1916 della «Voce» uscirono Memorie di Bacchelli e le seguenti liriche di Cardarelli: Visione Arcaica, Perdizione, Chiaro di luna in riviera, Contemplazione, Parole povere. La prosa Riepilogo uscì sul numero di agosto de «La Voce». 3 De Robertis infatti, l’anno precedente, aveva recensito la prima opera poetica del bolognese, senza eccessivo entusiasmo (G. DE ROBERTIS, Consigli del libraio, cit.; vedi lett. 50). Non risultano invece contributi derobertisiani sui Prologhi di Cardarelli. 4 G. PAPINI, Vincenzo Cardarelli in Lettres italiennes, «Mercure de France», Paris, Série Moderne, n. 439, 1 ottobre 1916.

222 [94]

Hotel Volta – Como [27. 6. 16]

Caro Bacchelli, ti avevo promesso di scriverti lungamente ma al solito per tante ragioni di disordine fisico (non riesco più a dormire) e di disagio morale non mi è stato possibile. Questa qui è soltanto per dirti che, appena puoi, se mi mandi qualchecosa servirà a farmi sloggiare da questa cara residenza di Como, dove sono dovuto rimanere per non avere abbastanza denaro da muovermi con libertà e anche perché in attesa di salire su qualche monte non potevo che rimanere in una residenza provvisoria e necessariamente costosa. È inutile che io ti accenni alle fatiche e alle disperazioni della mia vita. Riesco non so come a scrivere qualche pagina e tutto è in vista del prossimo libro.1 De Rob. mi scrisse contentissimo di pubblicare cose tue.2 Gliele manderò oggi o domani. Quelle mie che forse son già uscite sulla Voce te le farò avere.3 Ci sentirai se non altro quanto io devo aver sofferto da quando non ci vediamo. A volte ho paura di non riuscire a veder la fine della guerra. La gente con me si fa più cattiva a misura che io mi faccio più bravo! Ma forse quella cosa tanto sperata: la poesia, verrà. L’indietreggiamento austriaco è stata una gran cosa. Basta, procura di stare bene e scrivimi. Per i denari usa se puoi del telegrafo. Confusissimo e malinconico ti saluto. Tuo V. Cardarelli

[94] Cartolina postale italiana, indirizzata: «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 91a Batteria d’Assedio/ 24a Divisione Fanteria/ Settore Saga. Sezione Postale 13/ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza COMO 27.6.16.

1 Cardarelli stava lavorando ai futuri Viaggi nel tempo. 2 De Robertis aveva accettato di pubblicare su «La Voce» le due prose di Bacchelli Memorie e Riepilogo. 3 Vedi lett. 93, nota 2.

223 [95]

[Como, 28. 6. 16]

Caro Bacchelli, come ti ho scritto ieri oggi o domani manderò le tue cose a De Robertis che certamente le accetterà. Non so se le pubblicherà tutte insieme. Le Memorie sono a prescindere da tutto abbastanza lunghe. Vedrò. Ne avrai le bozze e, se vuoi, le prime copie le posso rivedere io. In ogni modo sta sicuro in quanto a questo. Sono io che me ne occupo e te non devi restare in relazione che con me. In quanto alle correzioni che mi hai mandato al solito trovo guastati in un modo incomprensibile alcuni bei respiri che sono nella prima copia. Ce n’è forse una sola che va: quella con cui hai sostituito la frase sugli inni che hai fatto bene a levare quantunque fosse elegantissima. Tu postilli nel correggere, pessimo metodo, mentre bisogna che le frasi (liriche) restino sospese come nacquero. Ragione per cui io manderò la prima copia a De Rob. aggiungendo naturalmente le correzioni che secondo me, in tutta coscienza e riposatamente, vedo che possono andare. Scusami di questa prepotenza che è fatta di amicizia vera e di sincera ammirazione e che si rende necessaria data la tua lontananza in questo momento. Non credere che io non apprezzi abbastanza le Memorie. Resta sempre fermo quel che ti scrissi la prima volta. È indiscutibile che il Riepilogo non riesce ad assorbirle, e ci sono là dei periodi d’una bellezza veemente che non possono esser sacrificati. Molto avrei da dirti su questa persistenza autobiografica. Ma è impossibile per iscritto. Non vedo l’ora di ritrovarci. Mi limito a dire che in arte come tu sai meglio di me bisogna imparare a sacrificare e a tacere sempre più. Distruggere la noia di slancio. Ecco una buona formula. Tuo Cardarelli

[95] Cartolina postale italiana, indirizzata: «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 91a Batteria d’Assedio/ 24a Divisione Fanteria/ Settore Saga. Sezione Postale 13/ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza COMO 28.6.16.

224 [96]

[Como, 7. 7. 16]

Caro Bacchelli, ho ricevuto il tuo vaglia e la lettera. Grazie infinite. La tua irritazione di nervi non vorrei procedesse da qualche mia ombra d’osservazione sulle tue cose. In primo luogo bisogna imparare a essere molto cinici e a non dar peso agli scrupoli degli altri, fidandosi della vita. Io poi sapendo in che modo sono ascoltato farei bene a non parlare, quando, come in questo caso, non ho da dir nulla di perentorio. Le tue prose a me fanno l’effetto, diversità di stile a parte, dei miei prologhi: vale a dire di cose molto belle e importanti, fedi che non si ritroveranno più, delle quali non vorrei sentir più parlare. Ma spesso ho pensato se tu non sia destinato a riassumere e rappresentare proprio certi valori che io mi attribuivo come caratteristici. Mentre io vado sempre più violentandomi a contatto dell’esperienza bruta. È certo che se parliamo di autoconoscenza tu ne hai più di me, di spirito, di relazione etc. tu ne hai più di me - e in una forma più meritoria perché più conquistata. Ma è un vecchio punto delicato che non amo sfiorare per timore di dare il senso che io voglia attribuirti le qualità meno native, mentre poi non la penso così e la tua natività è nella lingua e io insomma non ci vedo ben chiaro. Bisognerebbe che cominciassi a fare un’analisi di me troppo dettagliata. Cosa dalla quale mi allontana una ripugnanza istintiva. Tutto quel che posso dirti è che, intanto, appena tu potrai una revisione editoriale dei Poemi (tu ne devi avere ancora la lezione più originale, no?) e queste due prove sono un bel lavoro. Vuoi che ti ripeta uno per uno i miei varianti stupori sui tuoi pregi formali? Queste sono le cose che meno si possono dire. Che cosa vai parlando di gente sospesa e simili storielle! Se ti contentassi di pensare che hai ancora tutta la vita davanti. Sono cose banali lo so, ma più veridiche degli eroici almanaccamenti egheliani. Una cosa nella quale amerei che non persistessi è la soverchia tendenza a presentare come definitivi i tuoi stati di disperazione. Questa si che è una prova di utilitarismo impaziente poco grata al Signore. Un buon antitodo può essere il lavoro a forme oggettive. Non credere che questo non sia in fondo ai miei più silenziosi desiderii. Ma è che per pensare al dramma o al romanzo bisogna tu ti senta ben giovane e forte. Per conto mio vado per adesso restringendomi a piccole cose, dove cerco di essere più spazioso, più forte, più colorito e ritmico che posso. Ma non vorrei ti facessi un’idea esagerata del loro valore e dell’importanza che io

225 attribuisco a quel che sto facendo. Dopo il carcere e altre avventure io ho passato dei mesi pazzi addirittura. A San Remo ho vissuto quasi cinque mesi senza potere scrivere una riga. Di più lo spettro di ritornar dentro mi sta sempre sopra e alla fine di questo mese se la grazia non è ottenuta non so cosa sarà di me. Conoscendo tu la mia sensibilità agli accidenti esterni puoi immaginare quale adesione addirittura epidermica posso portare finora al lavoro. Questo servirà a giustificare la delusione che tu proverai nel leggere le mie cose sulla Voce.1 Assieme ti manderò manoscritte altre tre o quattro cosette ultime. Ma pensa che i miei risvegli sono sempre stanchi (hai mai pensato alla stanchezza di Adamo nello svegliarsi?) - e che se la fortuna mi assiste gli squilli potrebbero venire in appresso. Certo che le mie intenzioni sono buone. E ora sappi che il mio nuovo indirizzo è il seguente: - Casa Mazzocchi – Como per Cernobbio – Toldino. Sono in punto impervio e boschereccio. All’hotel Volta mi hanno spelacchiato, e pagata qui la pigione anticipata sono rimasto con quindici lire. Se tu potessi mandarmi ancora qualche altra decina di lire, nel mese seguente potresti riprenderle senza pensiero perché qui risparmio in confronto di Como – e salvo che io non debba scappare per sfuggire l’arresto, cosa che non mi auguro, starò qui alcuni mesi e ti darò meno noia che per il passato. Scusami se anche questo salmo è finito in gloria e abbi più fiducia in te e più pazienza. Tuo affmo V. Cardarelli

Fatti mandare Shackespeare ed. Flammarion – traduzione Duval.2 È una delle poche letture compatibile coi tempi e dove c’è ancora tutto da imparare. A parte le grandi tragedie, i drammi storici e le commedie sono capolavori di stile incredibili. Su Enrico V ci sono delle pagine che avrebbe potuto scrivere Pèguy se avesse avuto più genio e soltanto genio.

[96] Quattro fogli sciolti, scritti sul r, non datati; busta indirizzata «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 91a Batteria d’assedio/ 24a Divisione fanteria/ Settore di Saga. Sezione postale 13/ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza COMO 7.7.16.

1 Sul n. 6 del 30 giugno 1916 della «Voce», Cardarelli aveva pubblicato: Natura, Ritratto, Paragoni elementari, Esotica, Figura, Abbandono, Omaggio al mattino, Rapsodia. 2 G. DUVAL, L'oeuvre shakespearienne, Paris, Flammarion, 1910.

226 [97]

Cernobbio – Como 8.7.16

Non ti ho potuto mandare la rivista.1 Avresti avuto una curiosa impressione a vedere le mie cose schiaffate in prima pagina2 al posto d’onore!

[97] Busta indirizzata «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 91a Batteria d’Assedio/ 24a Divisione fanteria/ Settore di Saga. Sezione postale 13/ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; timbri postali di partenza CERNOBBIO COMO 8.7.16. La lettera contentuta in questa busta è andata smarrita.

1 «La Voce», n. 6, 30 giugno 1916. 2 I testi cardarelliani aprivano infatti il fascicolo di giugno de «La Voce». Il poeta pubblicava su questo numero Natura, Ritratto, Paragoni elementari, Esotica, Figura, Abbandono, Omaggio al mattino, Rapsodia.

227 [98]

[Cernobbio – Como, 10. 7. 16]

Caro Bacchelli, mi scrive De Robertis che gli sono piaciute le tue cose e le ha subito mandate in tipografia. Appena ne avrò le bozze te le manderò e tu stesso le rispedirai all’indirizzo della Voce, mettendo sopra bozze di stampa e il nome di chi spedisce – (Via Cavour, 48. Firenze. Libreria della Voce). Nelle cose mie che ti ho mandato ci sono da fare due correzioni. Nella prima, Polacca,1 dove dice insellata, metti: eroica. – A me che l’ho vista eroica, etc. Nel chiaro di luna:2 sul mare di primavera vaporoso va sostituito così: sulla tenda bigia del mare vagamente scossa etc. – Tanto per essere esatto.3 Le mie condizioni intanto sono pessime sotto tutti i rapporti: spirituali, corporali, e finanziarie. De Robertis m’incarica di salutarti. Sta bene e scrivimi più presto che puoi. Tuo Cardarelli.

S’intende che quando io ti comunico il compiacimento di De Rob. e i suoi saluti lascio nella penna molte cose!

Casa Mazzocchi Como per Cernobbio – Toldino

1 Questa lirica cardarelliana ebbe un processo elaborativo faticoso e piuttosto lungo fino alla sua pubblicazione in volume. I primi cenni di un lavoro in fieri su questo testo, ricavabili dall’ EPISTOLARIO II, coincidono cronologicamente con la data di questa missiva: sempre il 10 luglio infatti Cardarelli inviò una redazione della lirica anche a Emilio Cecchi (cfr. EPISTOLARIO II, lett. 422), con le medesime correzioni che qui invia a Bacchelli. Il poeta di Tarquinia quindi aveva sottoposto la sua nuova composizione agli amici più intimi e, come testimoniano anche le successive lettere a Linati, continuò per tutto il mese di luglio (ivi, lett. 425-428), centrale nell’elaborazione della lirica in vista della pubblicazione sul nuovo numero della «Voce» (n. 7, 31 luglio 1916). Due redazioni in fieri vennero inviate a Linati il 14 luglio 1916 (ivi, lett. 425) e a Cecchi il 26 luglio (ivi, lett. 428). Polacca fu inserita in volume per la prima volta nei Viaggi nel tempo (1920), con ulteriori correzioni rispetto alla lezione vociana, e riedita in V. CARDARELLI, Prologhi. Viaggi. Favole, Lanciano, Carabba, 1931 (e nella successiva riedizione del 1946), sino alla redazione finale accolta in Poesie, a c. di G. Ferrata, Verona, Mondadori, 1942. Per il dettagliato esame variantistico della lirica si veda OPERE, pp. 1121-1122. 2 Lirica pubblicata in «La Voce», n. 7, 31 luglio 1916 con il titolo Chiaro di luna in Riviera, poi riedita in V. CARDARELLI, Prologhi. Viaggi. Favole, Lanciano, Carabba, 1931 (e nella successiva riedizione del 1946) con il titolo definitivo Notturno. Per la vicenda editoriale della lirica e il processo variantistico si rimanda a OPERE, pp. 1142-1143. 3 Nello stesso giorno Cardarelli inviò le medesime correzioni anche a Cecchi (cfr. EPISTOLARIO II, lett. 422).

228 Alla libreria della Voce comunicherai anche il tuo indirizzo perché ti mandino alcuni fascicoli. Soltanto loro possono mandarteli in zona di guerra, oppure a De Robertis se vuoi; il cui indirizzo è: Via Putignani, 142, p. II, Bari

[98] Cartolina postale italiana indirizzata «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 91a Batteria d’assedio/ 24a Divisione fanteria/ Settore di Saga. Sezione postale, 13/ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza CERNOBBIO COMO 10.7.16.

229 [99]

[Cernobbio – Como, 22. 7. 16]

Caro Bacchelli, ti scrissi molti giorni fa una lettera alla quale non ho ancora ricevuto risposta.1 Ti mandai anche le mie cose stampate sulla Voce2 e altre liriche inedite che ti prego di non giudicare perché le ho già o distrutte o riformate in maniera non insensibile.3 Com’è che non mi rispondi? Sei trasferito in qualche altro posto? Spero che questa mia ti arriverà dovunque sei. Avevo bisogno di qualche altro poco di denaro ma me lo son fatto mandare dalla Voce. Mi basta solo che tu mi mandi quanto puoi esattamente per la fine del mese, trovandomi tra genti che mi conoscono per la prima volta e dove un ritardo anche di pochi giorni mi metterebbe in una condizione imbarazzante e farebbe una cattiva impressione. S’intende che io non dubito che tu stia bene e attribuisco il tuo silenzio a cause…logistiche. Mi ricordo che in quella lettera ti dicevo molte stupide cose <…> per caso. Io mi esprimo sempre male. Addio e per ora e cerca di scrivermi. Tuo affmo V. Cardarelli

Casa Mazzocchi Como per Cernobbio- Toldino

[99] Cartolina postale italiana indirizzata «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 91a Batteria d’Assedio/ 24a Divisione fanteria/ Settore di Saga. Sezione postale 13/ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza CERNOBBIO COMO 22.7.16.

1 Si tratta probabilmente della lettera 97 (il poeta accenna ad un prossimo invio delle poesie in questione già nella lett. 96) di cui è conservata soltanto la busta; dalla lett. 98 si deduce che l’invio era già stato fatto. 2 Vedi lett. 96, nota 1. 3 Si tratta delle liriche che avrebbe pubblicato sul n. 7 de «La Voce» del 31 luglio 1916; un esempio di lirica molto rimaneggiata in questo periodo è Polacca, di cui Cardarelli parla nella lett. 98.

230 [100] [Cernobbio – Como, 3. 8. 16]

Caro Bacchelli, la tua lettera è molto chiara e mi ha fatto molto piacere. Non bisogna credere che io abbia perduto d’un tratto tutta la mia bella provvista d’inquietudini. T’accorgerai in seguito che io so passare a sufficienza tutte le cose che voglio. In quanto a Croce lasciamo andare. Non è neppure un retore fino. E tu del resto mi hai fatto una critica d’artista e non da retore. Avrei da fare qualche osservazione alla tua certezza d’essere stato un maestro in arte naturalistica. Se fossi stato un maestro non te ne saresti pentito, va pure. La verità è che tu avevi un meraviglioso argano nelle parola ma forse il tuo modo di accostarti alla natura era troppo confidenziale, senza grandi risorse di stupore e di esaltazione ed è perciò che te ne sei separato. Questa illusione d’essere maestro in fatto di natura è anche di Cecchi, non dico ciò per offenderti. Voialtri concepite la natura come una cosa quasi da nulla, per me invece dovrebbe essere il mito, il termine d’ogni vera arte. Non credere che non capisca il tono di trionfo segreto che c’è nelle tue disperazioni, non è per questo che le ho chiamate utilitarie. A questi estremi non si doveva ricorrere così presto. Questo è ancora dell’idealismo bell’e buono. Con ciò non intendo farti un appunto serio. Ho riletto le tue Memorie sulle bozze e sono bellissime. Vedrai anche come filano ora, non faccio per dire. Ma anche li sotto mi pare ci sia scritto non continuare. L’espressione del martire etc. in Natura forse la troverai più giusta se pensi bene come nasce. E anche l’irrisorietà. Tutta la lirica è triste di questo amletico nullismo davanti a quella cosa. Inoltre mi pare ci sieno delle immagini forti. Grazie per le altre cose che riconosci con molta attenzione e esattezza, soprattutto per le due polacche (la prima della quali la rivedrai nella seconda parte quasi tutta nuova) che Cecchi non è riuscito a capire.1 Ora faccio altre cose: frammenti critici. E ciò per me non è nulla, e mi serve solo a sopportare il tempo in attesa d’una salute più piena. Ho ricevuto il vaglia molto confortable. Grazie. Sta bene. Credi che farò tesoro delle tue cordiali e franche osservazioni. Tuo Cardarelli

[100] Cartolina postale italiana indirizzata «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 18° batt. Assedio 23° gruppo/ Settore di Saga. Sezione postale 13/ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza CERNOBBIO COMO 3.8.16.

1 Cardarelli ebbe con Cecchi un ampio confronto epistolare sulla lirica Polacca, comunicandogli spesso variazioni e correzioni apportate, oltre a correttivi interpretativi che collimavano a volte con le impressioni avute dall’amico. In particolare, nella lettera del 16 luglio 1916, Cardarelli non nascose un certo risentimento per i giudizi, evidentemente lontani dal suo sentire, che aveva espresso Cecchi, al quale rispose seccamente, in prima battuta: «Caro Cecchi, rispondo subito alla tua gradita lettera perché credo che ti sbagli» (EPISTOLARIO II, p. 533; vedi anche Martignoni in OPERE, p. 1039).

231 [101]

[Como, 16. 8. 16]

Caro Bacchelli, prima che tu mi scrivessi io ero già pentito d’aver cercato, in qualche modo di discutere il tuo giudizio sulle ultime mie cose. E questo non per il solito orgoglio. Tutt’altro! Dunque seguitiamo a lasciar stare. I giorni più puliti sono sempre quelli in cui si riprende in mano tutto per comporre un libro da lasciare …alla posterità. Dimmi piuttosto se hai ricevuto la Voce di questo mese con le tue Memorie.1 Se non l’hai ricevuta manda il tuo indirizzo alla Libreria della Voce (Via Cavour 48) perché te la spediscano. Mi dispiace che De Robertis mi abbia fatto lo scherzo di mettermi ancora una volta capolista (assessore anziano). Tu che conosci la mia ironica sensibilità ma <…> le cose mandate fossero più solenni e l’onore meritato. Ma penso che io spedisco tanto per disperazione e perché non mi riesce più di convivere, come una volta, col mio lavoro. Quello che mi disturba poi è l’attenzione che De Robertis mette in queste cose! Vedrai da te. Tu vieni subito appresso a me: proprio un’esposizione di fratelli siamesi. Ho letto altre tre volte le tue Memorie, e ora le so a memoria. Vedrai che faranno impressione. Chiudono magnificamente. Dimmi dove stai e se il vin forte della gloria umana ti ha dato alla testa. Tuo Card.

Desidero avere notizia di Mario e Giorgio. Ricevetti una simpatica cartolina dello zio prete.

[101] Cartolina postale italiana indirizzata «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 18a batt.a d’Assedio/ 23° gruppo/ Sezione postale 13. Settore/ di Saga / IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza COMO 16.8.[…].

1 R. BACCHELLI, Memorie, «La Voce», a. VIII, n. 7, 31 luglio 1916, pp. 295-302.

232 [102]

[Como, 19. 8. 16]

Caro Bacchelli, ti sarei molto grato se volessi spedirmi direi quasi a volta di corriere, dieci o quindici o venti lire che ti riterresti alla fine del mese. Scusa la seccatura, ma ho scritto a De Robertis1 e ho ricevuto sulle finanze della Voce le notizie più sconvolgenti. Intanto la vita qui non so se tu sai che è carissima. Per dormire e per mangiare (a mezzogiorno appena un piattino di pasta asciutta e niente altro, la sera un impercettibile bistecca di vitella) non posso spendere meno di 180 lire al mese. I limoni costano tre soldi l’uno. Sembra di essere assediati. Contavo sul supplemento della Voce che questo mese non è uscito, e se tu non mi mandi queste poche lire tra due o tre giorni non avrò soldi per farmi la barba. Gli altri amici ormai non mi rispondono più, a cominciare da Cecchi che non so cosa abbia con me. e non aggiungo altro. Hai visto la morte di Boccioni?2 Quanti ne dovremo seppellire ancora nel ventre? Ti assicuro che in certi momenti mi pare di essere un traditore a stare così lontano dai pericoli e a seguitare a vivere. Non è una cosa che dico per ischerzo. E pago a mio modo anch’io non dubitare, il lavoro che si può fare in questi tempi è offuscato da non so quale maledizione. Ma essere prudenti e non fare sarebbe forse un tradimento più vile. Dal momento che io sono qui vivo come posso. Sta bene e dammi notizie. Tuo Cardarelli.

[102] Cartolina postale italiana indirizzata «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 18a batt.a d’Assedio/ 23° Gruppo/ Settore/ di Saga. Sezione postale 13/ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza COMO 19.8.16.

1 La lettera non è riportata in EPISTOLARIO II. 2 Umberto Boccioni (1882-1916), pittore e scultore, massimo esponente e teorico del movimento futurista in Italia, era morto il 17 agosto.

233 [103]

[Como, 7. 9. 16]

Caro Bacchelli, avrei da scriverti una lunga lettera ma non ne ho la forza. Sono stanco di star solo e di tante altre cose. Ti scrissi due cartoline che non devi aver ricevuto.1 In una ero costretto a parlarti del carovivere per giustificare la mia richiesta di denaro: è probabile che la censura non l’abbia lasciata passare, ho avuto e ho parecchie paure a questo riguardo. Spero che avrai ricevuto il mio telegramma e che potrai mandarmi qualchecosa. Dopo quel che mi è successo le mie risorse di vita si sono ancora più ristrette. Non so come andrò a finire. Intanto per la fine di questo mese stanno da capo col mandato di cattura etc. dovrò andare a Roma per vedere di finirla una buona volta oppure squagliarmi come potrò. Pensa dunque che io debba trovarmi anche senza soldi! La tua prosa ha avuto un forte successo. Me ne scrivono con entusiasmo Baldini, Saffi, Cecchi, la moglie di Cecchi. Costei scrive «Com’è bello Bacchelli in questa sua prosa!». Proprio un’espressione femminile. In un giornale di Bari un sedicenne letterato fiorentino ne parla in modo insignificante criticamente ma dimostrando di averne sentito il valore. A Bologna sulla Brigata2, ti prendono garbatamente in giro per qualche sottigliezza grammaticale.3 Forse sarà bene che ti faccia mandare a Bologna questa Brigata. Anzi adesso mi ricordo che l’ho in tasca e te l’accludo.4 Sono stupidaggini come vedrai. Ma infine si vede che scherzano a denti stretti e col dubbio di dire per ironia cose che possono essere vere sul serio. C’è un mondo di gente che tu troverai al tuo ritorno che fonda riviste, parla, critica, etc. e alla quale bisognerà insegnare un po’ d’ordine. Ma sarà difficile, noi dobbiamo tenere su la Voce a tutti i costi, e con la Voce chissà che il nostro compito non

1 Vedi lett. 101-02. 2 «La Brigata», periodico bolognese fondato da Francesco Meriano e Bino Binazzi. La rivista, che uscì con 5 numeri nel 1916, 7 numeri nel 1917 e 2 nel 1918, si proponeva come luogo di critica militante, le cui linee guida vennero dichiarate da Binazzi nell’editoriale del primo numero: «Proclamiamo la piena esaltazione lirica in senso orfico […]. Qui non avranno luogo né apologie né stroncature, due forme di mala fede e, come opere d'arte, troppo facili e troppo abusate. Saremo rigidi e probi, non mortificheremo né irriteremo con male parole; al più scherzeremo con dignità di gentiluomini» (B. BINAZZI, Promessa, «La Brigata», a. I, n. 1, 1916, p. 1). 3 Per la pungente rubrica Sagrestia, Francesco Meriano (che per l’occasione si firmava con lo pseudonimo Prof. Dott. Posapiano cav. Casimiro delle R. Scuole Tecniche) fece una ironica analisi della complessa sintassi utilizzata da Bacchelli nella prosa Memorie, di cui sottolineava «le idiosincrasie grammaticali e sintattiche che per la fretta di avviarsi alla meta e per l’astratta contemplazione onde questo blocco di prosa è franato, possono essergli […] sfuggite» (PROF. DOTT. POSAPIANO CAV. CASIMIRO DELLE R. SCUOLE TECNICHE, Note esegetiche alla poesia contemporanea compilate da una società di Professori. (Puntata III), «La Brigata a. I, n. 3, agosto-settembre, 1916, p .68). 4 Alla lettera sono accluse le pp. 65-68 de «La Brigata», a. I, n. 3, agosto-settembre, 1916.

234 sia anche di sostenere uomini coi quali fino a ieri fummo nemici: Papini, Soffici, perfino Amendola. Dopo tutto è gente che noi abbiamo incontrato, queste talpe che vengono adesso tra i piedi, di dove sbucano? Vedrai un mio principio di cordialità verso il tempo nella prossima Voce. Ma devo scappare perché è l’ora di ritornare a Cernobbio. Avremo molte cose da dire quando ci vedremo. Forse non ti ho detto abbastanza quanto la pubblicazione di queste Memorie sia stata importante per te – e quale passo avanti tu abbia fatto in tutti i sensi. Capiscilo da te. E scrivi a Cecchi, e Saffi, a qualcuno. Tienti un po’ in relazione col mondo. Di me ti parlerò un’altra volta. Tuo V. Cardarelli

Non stare mai più di una settimana senza scrivermi due parole. Dopo tutto sei un uomo in guerra.

[103] Un bifolio non datato, scritte le pp. 1-3; allegate alla lettera le pp. 65-68 de «La Brigata», n. 3, 1916, agosto-settembre; busta intestata: «Premiata Pasticceria Confetteria Cavour/ BAR/ Enrico Giamminola/ a COMO/ 1 Via Plinio 1» e indirizzata «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 18 Batteria d’Assedio/ Gruppo Tanfani/ Sezione postale 13/ IV Corpo d’Armata/ (Zona di Guerra)»; la data della lettera è ricavabile dai timbri postali di partenza COMO 7.9.16.

235 [104]

[Firenze, 15.9.16]

Caro Bacchelli, la mia libertà è agli sgoccioli e non vedo il mio avvenire roseo. Sono a Firenze solo quantunque ci sia Cecchi. Ma è rimminchionito inaspettatamente – e pare che desideri di stare in casa. Io sono qui arrivato con lire 7.50. Rinuncio a descriverti i particolari del mio stato e gli espedienti ai quali debbo ricorrere. Risiamo precisamente alla luna di settembre dell’anno scorso. Saffi è un’altra volta a San Varano chiuso nel più irritante silenzio. Io sono qui e non posso sfogarmi di tante contrarietà che su me. C’intendiamo. Ti ho fatto spedire la Voce. A Cernobbio ho rimesso in piedi il mio vecchio dialogo dello scettico.1 Ma che importa lavorare quando s’hanno da avere continuamente dalle persone che ci stanno più vicino queste prove di stanchezza, di dimenticanza, d’abbandono? Sta bene e scrivimi, e pensa che io non ho nessuno che mi aiuti e mai come in questi momenti il bisogno di non rimanere senza denari è stato per me più urgente. Mi dispiace. Tuo Cardarelli

Mio indirizzo: Via Antonio Giacobini, n. 4, p. III, Firenze

[104] Cartolina postale italiana indirizzata «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 18a Batteria d’Assedio/ 23° Gruppo/ Settore Saga. Sezione postale 13 / IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza FIRENZE CENTRO 15.9.16.

1 Vedi lett. 21, 26, 57.

236 [105] [Roma, 3. 10. 16]

Caro Bacchelli, poche parole per darti mie notizie e assicurarti che ho ricevuto tanto il vaglia di Cernobbio quanto lo chèque di tuo zio. Farò durare questo denaro più che è possibile. E lascio nella penna i ringraziamenti perché allora dovrei entrare in un discorso troppo lungo e per me malinconico. Purtroppo tutta la mia vita pratica dipende dagli altri non solo materialmente, ma anche moralmente – nel senso che non c’è forse nessuno che sia più di me esposto al giudizio degli altri. - Sono stato alcuni giorni a Firenze per tentar di rimediare la mia faccenda giudiziaria.1 Ma l’avarizia fiorentina non si smentisce mai. Dopo essere andato su e giù non so per quanti studi di avvocati, scritto lettere etc. non ho concluso un bel niente. Rosadi2 era messo in mezzo da Orvieto ma alla fine non si è occupato di nulla. Finalmente sono venuto a Roma e in due giorni tutto si è accomodato, con cento lire di multa! Intanto la mia domanda di grazia è in corso alla Procura di Firenze e probabilmente arriverà al Ministero con parere sfavorevole, quando il Luogotenente avrà già firmato il decreto quasi assolutorio. Capricci della fortuna. Devo tutto questo a Saffi, che ha portato avanti il mio affare con una devozione e una diligenza indimenticabili. Forse un po’ c’è anche entrato il fatto che Sacchi3 mi conosceva, o almeno gli ho fatto ricordare un giudizio per cui ha dovuto sospettare di conoscermi; o anche la forma con cui questa volta avevo redatta la domanda, con una conclusione romantica e foscoliana. Basta. Tutto questo è finito. Ora mi tratterrò qualche tempo a Roma, città d’altra parte inabitabile. Passai di Bologna e vidi San Luca e mi ricordai le nostre grandi giornate del 1914 in primavera e in autunno. Fino a Porretta4 il paesaggio è d’una bellezza mai conosciuta. Chi viene dal nord sente d’entrare in Italia soltanto quando è arrivato a Bologna. Ora qui a Roma, dopo una così lunga assenza non solo corporale, mi sento veramente forestiero; quindi quasi in disposizioni artistiche. Ho delle impressioni di caldo meridionale, una opulenza di donne

1 Vedi lett. 75, 85-86, 88-90, 92. 2 Giovanni Rosadi (1862-1925) avvocato che esercitava a Firenze, conosciuto negli ambienti intellettuali per la sua attività di scrittore e studioso di arte, letteratura e musica, interessi coltivati sia da un punto di vista professionale sia come attitudine artistica personale. 3 Probabilmente si tratta di Ettore Sacchi (1851-1924), avvocato ed esponente del partito radicale, che nel giugno 1916 venne nominato Ministro di Grazia e giustizia per il governo Borelli. D’altronde fu lo stesso Cardarelli a scrivere a Orvieto: «in quanto ad appoggi al Ministero, ne ho fin troppi ma non servono a nulla» (EPISTOLARIO II, p. 549). Per le pratiche giuridiche per far assolvere il poeta da una sentenza definitiva di incarceramento si vedano le lettere ad Angiolo Orvieto in EPISTOLARIO II, lett. 440, 441, 445, 446. 4 Porretta terme, comune in provincia di Bologna.

237 da vecchio testamento. Qui è bella e violentemente rappresentativa la prostituta. Però il livello della città è discretamente abbassato. Io me ne intendo. Passo molte ore con Baldini, che tra giorni viene a Udine corrispondente di guerra, Saffi, Savarese etc. Barilli è alla censura tremendamente annoiato e sperduto. Quilici è in Svizzera non so in quale missione. Ho trovato una cosa magica. Una redazione di grande giornale al completo, nuova di zecca, con tipografia, salotti, anticamere etc, messa su da Naldi in Piazza Montecitorio, per un giornale di cui si parla da due anni,5 tra il silenzio generale, e che non si sa ancora quando uscirà. Ho conosciuto là un prete che sembra il fratello bastardo di Naldi. Tu hai già capito. Sebbene io non mi interessi più di queste fantomatiche avventure la cosa non ha potuto per lo meno meravigliarmi. Li dentro quella redazione si può avere un’impressione in succo della gioia di vivere emiliana. Baldini vi gode una grande fama di uomo erudito e scrittore. Ma chissà che alla fine non vi possa nascere qualchecosa di buono. - Riguardo a ciò che tu dici delle mie cose sulla Voce (ma hai letto il fascicolo con le Memorie?)6 ti ringrazio e penso che hai ragione, anche sull’impressione d’incipiente invecchiamento che ne hai ricevuto. Soltanto che anche la vecchiaia è una cosa transitoria, specialmente all’età nostra. Ora pubblicherò il Dialogo7 al quale non dò che un valore retrospettivo e dopo mi sentirò sbarazzato d’ogni residuo. Vedrò che cosa mi resterà da fare. Certo che se la guerra non finisce presto prevedo difficoltà inaudite. Cerca di lavorare se puoi. C’è bisogno di uomini nuovi. Le tue Memorie hanno colpito tutti. E adesso vedo quanto ero sciocco a posporle quasi al riepilogo. Ma per dire il vero io ne ho sempre avuto un profondo concetto. Torna a salutare Mario a cui presto scriverò. E fammi sapere a volta di corriere tue notizie. Tutti gli amici ti salutano. Tuo V. Cardarelli

5 Cardarelli si riferisce al «Tempo», il quotidiano che verrà fondato a Roma il 12 dicembre 1917. 6 Bacchelli potrebbe aver letto le liriche cardarelliane sugli ultimi due numeri de «La Voce», dal momento che anche il fascicolo del 31 agosto gli era stato spedito dall’amico (vedi lett. 102). 7 Vedi lett. 21, 26, 57, 104. In realtà come affermerà egli stesso nel Sole a Picco, il dialogo L’ultima lezione dello scettico non solo non verrà mai pubblicato ma andrà anche smarrito (OPERE, p. 442).

238

Scrivimi: Via Sistina, 79 Roma

Saluti da Saffi

[105] Tre bifolii, non datati, in tutti sono scritte le pp. 1 e 3; busta indirizzata «Sottotenente/ Riccardo Bacchelli/ 18a Batteria d’Assedio/ 23° Gruppo/ Settore di Saga. Sezione postale 13/ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data della lettera è ricavabile dai timbri postali di partenza ROMA CENTRO 3.10.16.

239 [106]

[Roma] Via Sistina, 79 [16. 10. 16]

Caro Bacchelli, aspettavo la tua lettera con una certa preoccupazione. Potevo credere che t’avessero mandato chi sa dove. I tempi che corrono mi sembrano militarmente abbastanza tempestosi. Di Mario non ho qui l’indirizzo, ma so che attualmente è a riposo. Rimpiangeva di non poter dipingere e parlare con molta fiducia e allegria del suo prossimo matrimonio. Uno di questi giorni bisogna proprio che gli scriva. La sua lettera mi sorprese e mi fece molto piacere. Non mi stupisce il tono della tua lettera. Credo anzi che tu sia tra di noi uno dei più forti. Non vorrei però che ti facessi un falso concetto della vita che si mena qui – e dico a Roma come a Firenze a da per tutto. Troverai al ritorno molta gente mutata. Cecchi, Baldini etc. alcuni per quel poco che posso giudicare io sono diventati quasi impraticabili e rappresentano la sfiducia del momento senza quasi ritegno. Sento dire che Cecchi dopo la guerra andrà a Londra corrispondente della Tribuna.1 Baldini con la morte del padre è già strappato a ogni onesto ozio e tutto impegnato negli affari. Tra giorni sarà a Udine corrispondente dell’Idea Nazionale.2 Insomma per me finora i più assenti son quelli che non sono al fronte. Anche a Firenze è una desolazione. In quanto a me amerei scriverti a lungo, ma spero che potrai immaginarti il mio stato d’animo. Non credere che io abbia ritrovato finora, dopo i Prologhi, una settimana di vero entusiasmo di lavoro. E la vita per me è tanto difficile che se volessi parlarne non saprei di dove cominciare. Io che ho tanto bisogno d’ambiente e di compagnie! Consacro il tempo a studiare. Leggo Villari,3 Shakespeare, Manzoni, Boccaccio. Tutto ciò che si può immaginare di più lontano dai tempi. E tu quando vieni? Spero che avrai presto una buona licenza e che potremo vederci. Con Saffi si parla spessissimo di te. Saffi è sempre uno dei tuoi più grandi e fedeli amici. Sta bene e scrivimi presto. Tuo Cardarelli

[106] Cartolina postale italiana indirizzata «Tenente/ Riccardo Bacchelli/ 18a Batteria d’Assedio 23° gruppo/ Sezione postale 13. Settore di Saga./ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza ROMA CENTRO 16.10.16.

1 Cecchi verrà inviato a Londra come corrispondente per «La Tribuna» nel novembre 1918. 2 Baldini tornò al fronte il 21 ottobre 1916 come corrispondente dell’«Idea Nazionale». 3 Vedi lett. 22, nota 6.

240 [107]

[Roma] Via Sistina, 79 [20. 10. 16]

Caro Bacchelli, ti mando questo articolo di Cecchi compreso nella Tribuna.1 Dimmi cosa ne pensi. Qui vivo molto solo e non desidero che di rivederti. Cerca di ottenere una licenza. M’accorgo che non bisogna abusare della lontananza. Saluta Mario e Giorgio. Non credere che l’art. di Cecchi mi abbia fatto un immenso piacere.2 Tuttavia date le condizioni del tempo e anche lo stato in cui lo scrisse non potevo pretendere di più. Ma fà sempre dispiacere vedersi analizzato. E, direi quasi, messo in pubblico. Scrivimi presto tuo Vin. Cardarelli Via Sistina, 79.

[107] Foglio sciolto, non datato; busta indirizzata «Tenente/ Riccardo Bacchelli/ 18a Batteria d’Assedio/ 23° Gruppo/ Sezione Postale, 13. Settore di Saga. / IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data della lettera è ricavabile dal timbro postale di partenza ROMA FERROVIA 20.X.1916.

1 E. CECCHI, Testimonianze classiche, cit. 2 Cardarelli scrisse a Cecchi lo stesso giorno in cui l’articolo uscì sulla «Tribuna», ringraziandolo, in effetti, senza eccessivi slanci entusiasti (cfr. EPISTOLARIO II, lett. 449).

241 [108]

[Roma] Via Sistina, 79 [30. 10. 16]

Caro Bacchelli, le tue riflessioni sull’art. di Cecchi per quanto malinconiche sono giustissime. Io le avevo già fatte per mio conto. Ma è ormai inutile seguitare a perdere il tempo cercando di dirizzare le gambe ai cani. Il nostro buon amico è incorreggibile. Puoi immaginare le parole che ci ho speso, che gli ho fatto, la condiscendenza con cui ci sono stato assieme per tanto tempo. E non è valso a niente. Nel momento in cui si trattava di dare un senso alla nostra lunga amicizia non mi ha saputo fare che questo articolo. Per me, dopo di ciò, considero la nostra relazione quasi conclusa - senza scandali, e senza impazienza. Io sono stanco di dover giudicare un uomo così poco promettente. Un uomo che non mi lascia stare, che ha l’aria di volermi stare attaccato ai polpacci, che poi al momento buono non mi da che quello che non si può negare. Per me purtroppo non si tratta soltanto di cattive abitudini letterarie e di difetti mentali. È l’uomo che non agisce. La semplicità, la generosità, la fedeltà. Ma insomma perché tante parole! Tu conosci Cecchi abbastanza per intendermi. Soltanto tu non hai avuto modo di constatare certe cose accessorie: certe volgarità dirò così, quotidiane e casalinghe di quest’uomo. Ti assicuro che questi ultimi tempi sono stati per me molto duri. Fammi sapere quando vieni al più presto. I Saffi ti aspettano. Io vivo sempre molto inquieto e quasi disperato credo che metterò assieme i miei migliori articoli critici (quattro o cinque), in un volume, con le parole povere e una prefazione.1 Vorrei poterci aggiungere un articolo su te. Non credere che io non ne senta il dovere. Saluta Mario e scusami con lui se non gli ho ancora risposto. Tuo affmo Cardarelli

a [108] Biglietto postale intestato: «PERONI ARAGNO», indirizzato: «Tenente Riccardo Bacchelli/ 18 Batteria d’Assedio 23° Gruppo/ Sezione postale 13. Settore di Saga./ IV Corpo d’Armata/ Zona di Guerra»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dal timbro postale di partenza ROMA CENTRO 30.10.16.

1 Si tratta dei futuri Viaggi nel tempo. In una lettera del 15 novembre 1916 Cardarelli renderà partecipe di questo progetto anche Cecchi, con il quale, contrariamente a quanto scrive a Bacchelli in queste lettere, non interromperà mai realmente la sua amicizia, continuamente alimentata per altro dal rapporto epistolare. A proposito del suo nuovo libro gli scrisse: «sto pensando seriamente, ora che ho cominciato, a una ripubblicazione in volume di alcuni dei miei vecchi scritti critici con un breve intermezzo di aforismi e il dialogo come conclusione» (EPISTOLARIO II, p. 561); non fa accenno invece a un articolo su Bacchelli.

242 [109]

[Roma] Via Sistina, 79 [metà novembre 1916 ca.]

Caro Bacchelli, non ho ricevuto la cartolina da Bologna di cui tu parli. Sono contento di saperti a Bologna e spero che ci vedremo quanto prima. Da molti giorni ti volevo scrivere ma non ne trovavo il verso. Molte sono le cose che ti dovrei dire e io sono un pessimo raccontatore. Mi limito alle solite urgenze. Purtroppo di tutto il denaro che mi hai mandato non ho più un centesimo e da qualche giorno sono sulle spese. Non credere che lo abbia dissipato, ma insomma speravo e desideravo che mi durasse un poco di più. Le mie inquietudini su questo argomento sono tali che sarei tentato a dartene una specie di ragione dettagliata. Tu sai che partii da Cernobbio quasi senza un soldo. A Milano, dove mi dovetti fermare per una impreveduta soppressione di treno, se non mi avessero soccorso gli inviti di Linati1 e di qualche altro amico correvo il rischio di non poter pagare l’albergo e a Firenze arrivai quasi al verde. Dovetti vendere i libri, contrarre qualche piccolo prestito con Cecchi e accasarmi a debito presso la mia vecchia padrona di via Antonio Giacobini. Quando arrivarono le altre cento lire io me l’ero già quasi tutte impegnate. Le altre cinquecento tra viaggi, spese per qualche acquisto (cappello, camicie etc, permanenze in albergo, persino piccole retribuzioni curiali) se ne sono andate tra l’ottobre e il novembre. Pensa che sono senza panni e non mi sono potuto fare un vestito. In quanto al cappotto (poiché gl’inverni si fanno sempre più freddi) ne ho avuto in regalo uno usato dal pittore Oppo,2 che la guerra ha sufficientemente cristianizzato. Tutto questo per farmi scusare e per rinnovarti, se puoi, un’altra richiesta di denari, che mi giungerebbero oltremodo provvidenziali. In quanto alla vita io a Roma non faccio che leggere. Ci sono autori, curiosità lungamente tenute sospese, ai quali ho dato dei veri assalti. Credo che se tornerò a pensare e a lavorare questa parentesi romana mi servirà. Di più ho ripreso contatto con alcuni uomini e constatato in un certo modo che questo tempo che è trascorso non l’ho poi tutto sciupato. Ti dirò anzi che m’inquieta una certa diffusa aria di serenità e di riconoscimento che mi

1 Vedi lettera del 9 settembre 1916 a Carlo Linati in EPISTOLARIO II, n. 449. 2 Cipriano Efisio Oppo (1891-1962), pittore, critico d’arte e scenografo italiano che orientò la sua pittura verso le tecniche dei Fauves. Caricaturista in giovinezza per l’«Idea Nazionale», e collaboratore della «Tribuna», nel 1917 espose a Roma, insieme a Spadini, in occasione della mostra detta della Secessione romana, sulla quale scrisse anche Cecchi un contributo per «Il Marzocco» (La «Secessione» romana, in ivi, 28 ottobre 1917). Fu in contatto con Cardarelli e tutto l’entourage artistico e letterario romano e fiorentino di primo novecento.

243 vedo sparsa d’intorno. La gente crede che io sorrida di cinismo quando mi fa qualche dichiarazione troppo lusinghiera. Ma non ne parliamo. Ti volevo soltanto dire che il mondo rispetto a me mi sembra in qualche modo mutato. Le liti, le confusioni ora non sarebbero più possibili. Perciò, in questo momento, ti vedrei volentieri a Roma. Appena saputo che tu eri a Bologna sarei venuto subito da te. Ma poi ho pensato che è meglio non fidarsi più troppo dei primi impulsi e che forse la mia presenza a Bologna ti sarebbe stata di qualche leggero imbarazzo, e così ho deciso di aspettarti qui. Sola ragione per cui resto ancora a Roma. I Saffi ti aspettano e spesso si parla di te. Anche l’altro giorno al Pincio una lunga conversazione per certe chiacchiere di bolognesi ancora riferentesi al tuo scandaloso Ludovico Clò. Sono cose quasi nuove per me. Ma ciascuno ha i suoi presupposti: io tutta la vita che ho passato sulla strada e tu l’odio che devi aver masticato a dover vivere per tanto tempo in mezzo a tale miseria domestica e provinciale. Vedo spesso per Roma la triste faccia di Lavinio e ripenso un certo discorso untuoso abbozzatomi da costui su tuo padre in quel Caffè di Nuoro dove lo incontrammo. Ora questo vano imbecille pieno d’una petulanza sfacciata e infaticabile nel mettersi in mostra come certi smaniosi eunuchi, fa l’interventista ultra, il fronteinternista, il catone, l’accusatore: questa specie di affarista mascherato da musicomane e da filantropo! Paragona Naldi a Costanzo Chauvet.3 Non vorrei permettere a questo signore neppure di ripetermi il Vangelo. Ma purtroppo l’Italia è tutta piena di questi esseri equivoci e imprudenti, non si sa donde usciti. È meglio anche di questo non parlare. Cecchi vuol sapere francamente ciò che tu pensi del suo articolo su me. Che gli debbo dire? Finirò per mandargli la tua lettera? Forse gli gioverebbe, ma non so se la trovo. È possibile che Cecchi venga a Roma in dicembre con la moglie. Sarebbe forse una buona occasione per vederci. Così, senza eccessivo entusiasmo e soprattutto senza illusioni. Il buon Cecchi ha una pelle quasi impermeabile. Ancora giorni fa mi scriveva d’essere stato di passaggio a Ferrara e aver trovato Govoni.4 Se non è in corrispondenza per lo meno con una diecina di persone del più vario stile non può stare. Metterebbe gli avvisi sui giornali.

3 Costanzo Chauvet era il direttore de «Il popolo romano», arrestato per lo scandalo della Banca Romana. 4 Corrado Govoni (1884-1965) poeta e scrittore italiano, nei primi anni del Novecento collaborò con «Poesia», «La Voce», «Lacerba», e «La Riviera Ligure». Dopo un periodo di adesione al futurismo, con le raccolte Fuochi d'artificio e Gli aborti, Poesie elettriche e Rarefazioni e parole in libertà, nel 1916 collaborò con «Diana», rivista napoletana di avanguardia ermetica.

244 Basta vieni presto e voglimi perdonare. L’altra sera fui incontrato per Roma da quella mia donna di Firenze,5 ora malata abbastanza gravemente e pare divisa definitivamente dal marito, e scongiurato di rimanere con lei. Tu capisci quali ricorsi leggiadri nella mia vita, e quali tentazioni! Intanto ero addirittura senza un soldo. Ho risposto che è ormai impossibile e le ho promesso soltanto di andarla a trovare. In tutti i casi sono ormai ben munito contro il ridicolo e altre sorprese d’altro genere. Ma che bisogno c’è che io abbia delle storie così confuse? Se ti capita tra le mani il Mercure de France del 1° o 15 ottobre6 c’è una breve recensione di Papini su di me. Mi si dice capo, insieme a te e Cecchi di una nuova scuola di poeti moralisti. Cose da ridere e da prendere per il verso migliore. Sta pur sicuro che se avremo altri sei mesi di lavoro tutta questa gente ce la metteremo in tasca. L’importante è convincersi che ne valga la pena. Torna a salutarmi con molta effusione Mario e Giorgio e lo zio prete al quale mandai, volendolo solennemente preoccupare, l’articolo di Cecchi. Riguardo alle riviste crescono ogni giorno di più. Se incontri per Bologna Binazzi o Meriano7 guardali bene sul muso ma credo che saprai anche tenertene a una opportuna distanza. Tuo V. Cardarelli

[109] Cinque fogli sciolti, non datati, scritti solo sul r. La lettera è databile poco dopo la metà di novembre grazie ai seguenti elementi di contesto: Cardarelli informa Bacchelli che i soldi che gli aveva inviato erano stati spesi tutti «tra l’ottobre e il novembre», per cui si trovava già a novembre inoltrato. Cardarelli fa riferimento ad una lettera inviatagli da Cecchi, a cui rispose il 15 novembre (cfr. EPISTOLARIO II, lett. 450), missiva in cui citava l’articolo sul «Mercure de France» ricordato anche a Bacchelli in questa missiva, che, di conseguenza, potrebbe essere posteriore di qualche giorno alla risposta di Cardarelli a Cecchi.

5 Cardarelli si riferisce probabilmente alla sua infelice e fugace avventura matrimoniale del giugno 1914, vedi lett. 27-28. 6 G. PAPINI, Vincenzo Cardarelli, cit. A proposito di questo articolo Cardarelli scrisse a Cecchi il 15 novembre 1916: «ti ho fatto dire a voce da Gormelli di una recensione di Papini sul mio libro nel “Mercure de France” – 1° o 15 ottobre. L’ho vista solo ultimamente perché indicatami da Linati. In questo “Mercure de France” si parla anche di te con una certa insolenza. In quanto a me constaterai da te stesso la perfidia e la scurrilità con cui sono trattato. Non c’è in fondo una cosa che mi dispiaccia – anzi io avrei preferito esser trattato male. Ma insomma non vedo la ragione di mandare per questo a Papini un biglietto di ringraziamento» (EPISTOLARIO II, p. 561). 7 Bino Binazzi (1878-1930) e Francesco Meriano (1896-1934) furono i fondatori de «La Brigata», rivista bolognese che aveva dedicato recentemente un salace articolo alla poesia di Bacchelli (vedi lett. 103).

245 [110]

[Roma, 29. 11. 16]

Caro Bacchelli, ti scrissi giorni fa una lunga lettera1 dove tra l’altro cercavo di darti ragione del modo con cui avevo speso senza dissiparli i denari mandatimi negli ultimi mesi e ti facevo un’altra richiesta. Ho paura che questa lettera tu non l’abbia ricevuta. Corrono tristi tempi! Io non ricevo quasi più posta. Ti prego, se ricevi questa, di rispondermi subito magari telegraficamente. Da parecchi giorni sono senza un soldo e costretto a mendicare i quattrini per il tram e per il caffè. Non ho voglia di dire altro. Capisco che ormai l’unico modo di risolvere il mio problema pratico sarebbe il suicidio. Ma è umano che ci rifletta ancora un poco. Sta bene e cerca di venirmi a trovare. Tuo affmo V. Cardarelli Via Sistina, 79

[110] Un foglietto scritto soltanto sul r, non datato; busta indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza ROMA CENTRO 29.11.16, timbro postale di arrivo BOLOGNA (CENTRO) […] 11.16.

1 Vedi lett. 109.

246 [111]

[Roma] Via Sistina, 79 [1. 12. 16]

Caro Bacchelli, le giustificazioni sono necessarie per farmi scusare certe libertà che ti potrebbero sembrare eccessive. Quantunque io sia un rosicante deciso e meticoloso non riuscirò mai ad abituarmi alla mia condizione. Sappi che non ho ancora ricevuto il vaglia che mi annunzi, frattanto mi sta scadendo l’affitto di casa e devo pagare un conticino alla trattoria che rimando di giorno in giorno con mia grande mortificazione. Siccome dici che mi manderai presto un altro vaglia (promesse che non lascio cadere perché con queste 150 non riuscirei a mettere le mie cose in modo da poter passare in pace il prossimo mese) vedi se non ti disturba di far questo nuovo invio subito e telegraficamente. Della posta non c’è più da fidarsi. Io sono in mezzo ai guai. Faccio la mignatta degli amici per le piccole spese quotidiane e questo mi costa in modo che non puoi credere. Non sono più così indifferente, anche a legami di questo genere. Inoltre nell’imbarazzo io divento addirittura scandaloso. Scusami se mi trovi così insistente. In quanto al resto della tua lettera godo delle tue buone disposizioni e vedo che non saranno vane. I ritorni fanno questo effetto. Ma ora che sei in patria procura di restarci più che puoi. Non ti far prendere dall’impazienza. È un consiglio, in linea generale, di cui forse hai bisogno. In quanto a me, checchè possa sembrare, sono l’animale più bonario e rassegnato del mondo. Rimpannucciare la Voce1 sarebbe una buona idea, logica e generosa, ma ho paura che andrebbe a finir male. Papini ha bisogno di questa ragazzaglia che viene su e ne è in un certo modo, da quell’uomo di deboli coglioni che è, l’autore. Pessimo più di Marinetti.2 Gli altri: De Robertis è seppellito a Bari e ho paura che non riuscirà più a comparire tra i vivi, Soffici a Udine rimbecillito completamente dalle circostanze. Forse avremo col nuovo anno una nuova reincarnazione di Prezzolini.3 Cerca il numero del Mercure de France (1° ottobre) e vedi come Papini parla di me.4 È tutto quanto possono dare. E sono

1 In quel momento «La Voce», sotto la direzione di Giuseppe De Robertis era in forti difficoltà e a breve avrebbe terminato le sue uscite. 2 Filippo Tommaso Martinetti (1876-1944) poeta, scrittore e drammaturgo italiano, fondatore del movimento futurista in Italia. Con la fondazione di «Lacerba» nel 1912 Papini e Soffici si erano avvicinati alle teorie marinettiane sostenendole ampiamente sulle pagine della rivista. 3 Prezzolini aveva lasciato la direzione de «La Voce» nel novembre 1914, dopo la sua seconda direzione. 4 Vedi lett. 109, nota 7.

247 toscani. La Toscana – diceva Leopardi, è rimasta molto indietro nella coltura artificiale, non si sa come. Questo pensiero d’aiutare la Voce insomma io non mi sentirei più di sostenerlo allo stato attuale. Meglio vada tutto in malora. Io ho sempre più una grande fiducia nel futuro. Me ne accorgo rileggendo certe cose dei tuoi Poemi. Contentiamoci di lavorare senza vanagloria. Il resto ha da venire per forza. Cose viste. Lo sai che dei miei Prologhi se ne sono vendute assai più copie che non sperassi? Soltanto che ho da fare con un editore5 il quale fatti i primi invii non si cura neppure di rispondere alle nuove richieste, e neppure alle mie lettere e sollecitazioni. Questo vuol dire stare in Italia. I prossimi volumi li daremo a Treves sta tranquillo. Non ti stupire dei miei ottimismi e cerca se puoi di fare quel che ti chiedo, in fretta tuo affmo V. Cardarelli E Mario?

[111] Tre fogli sciolti scritti solo sul r, non datati; busta intestata «GRAND HOTEL FIUGGI», indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza ROMA CENTRO 1.12.16.

5 Facchi, Studio editoriale Lombardo.

248 [112]

[Roma, 9. 12. 16]

Caro Bacchelli, ricevetti subito all’ufficio postale il vaglia con quel curioso indirizzo. È superfluo dirti che ti ringrazio. Piuttosto non posso fare a meno di chiederti ancora qualche altra cosa. Ho da parecchie mattine il conto della casa sul comodino e non lo posso scontare. Mi servono almeno altre 110 lire. Scusami la franchezza e l’insistenza. Se tu hai ancora un po’ di pazienza credo che nell’anno prossimo potrò lasciarti in pace per qualche mese, almeno lo credo e lo spero. Ma intanto bisogna che io non vada in secca in questo mese e riesca a poter riprende il largo. Sii cero che io ti dò queste noie con molto dispiacere. Non ti scrivo di più perché sto al caffè e debbo spesso interrompermi per tener dietro a una conversazione. Quando verrai a Roma? Hai visto La Voce di queste mese?1 T’avverto che quel Turchini è Soffici,2 e leggi, ti prego, l’articolo di quel tal Pancrazi.3 Romagnolo senza dubbio. Questo romagnolismo in letteratura! A Cecchi scrissi due righe sulle sue poesie mettendole in rapporto con la sua visita a Govoni4 a Ferrara. Non mi ha più risposto. Di te dissi soltanto che avevi trovato giusto il suo art. e solo facevi qualche osservazione sullo stile, a proposito del quale, sia detto tra di noi, la lamentazione è generale. Tuo aff. V. Cardarelli Saluta Mario e Giorgio

[112] Biglietto postale intestato: «PERONI & ARAGNO», indirizzato: «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza ROMA CENTRO 9.12.16.

1 «La Voce», a. VIII, n. 11-12, 31 dicembre 1916. 2 TURCHINI [A. SOFFICI], Principi di un’estetica futurista, ivi, pp. 429-433. 3 Pietro Pancrazi (1893-1952) scrittore e critico letterario italiano, collaboratore del «Corriere della Sera» e di riviste quali «Pegaso» e «Pan», diretta da Ugo Ojetti. Importanti le sue due principali raccolte di saggi Ragguagli di Parnaso (Firenze, Vallecchi, 1920) e la più tarda Scrittori d’oggi (Bari, Laterza, 1942). Nella lettera Cardarelli si riferisce probabilmente all’articolo di Pancrazi, Si cerca una poesia, «La Voce», a. VIII, n. 10, 31 ottobre 1916, dedicato a Salvatore di Giacomo. Come si nota qui velatamente dal modo con cui si riferisce a quel «tal Pancrazi», i giudizi di Cardarelli sul critico non furono mai lusinghieri, oltre che privi di stima per la sua scrittura (vedi lett. 152, 161, 164). 4 Il 2 dicembre 1916 Cardarelli aveva scritto a Cecchi: «Le tue poesie sono le stesse che già conoscevo e di cui abbiamo parlato. Non chiedermi d’improvvisarti qui un discorso. Eppoi io sono molto staccato da quasi tutto. Mi dispiace fieramente che certe cose possano piacere a Franchi, e perfino che tu vada a trovare Govoni. Questo ti dà molto serenamente la misura della mia incompetenza a giudicare. Bacchelli trovò il tuo articolo giusto ma fece osservazioni sullo stile. Ecco perché non te ne ho parlato» (EPISTOLARIO II, pp. 562- 563).

249 [113]

[Roma, gennaio 1917]

Caro Bacchelli, ti ringrazio delle 100 lire che mi hai mandato. Non ti ho risposto subito perché aspettavo sempre di giorno in giorno l’annuncio della tua venuta e nello stesso tempo volevo poterti dire qualcosa di preciso sui miei disegni di vita per quest’anno. Dirti ora in quali condizioni mi trovo sarebbe impossibile senza fare uno di quei sorprendenti resumès che riescono qualche volta soltanto in poesia. E d’altra parte sono stanco e sfiduciato di raccomandarmi alla tua intelligenza. Vorrei che tu fossi qui: si parlerebbe, e forse avrei speranza di sembrarti meno monotono. Tu sai che valore hanno i dettagli e le chiarificazioni. Ma lasciamo andare ogni accento penitenziale e vediamo se alla mia vita è possibile ancora portare qualche […]. Avrai capito che ho bisogno d’andarmene. Come ti dissi ho scritto dopo di te alla signora di Bologna e mi ha mandato anche lei cento lire. Colpa della mia ritenutezza forse, oppure del mio profondo abbattimento che mi priva ormai di ogni eloquenza nel domandare. Fatto sta che io non potrò mettermi sopra un piano di esistenza decente e confacente se tu non fai lo sforzo di levarmi da questo ginepraio. Ho qui a Roma la solita persona di Firenze, ma non ha per adesso nessun modo di potermi aiutare e soltanto dentro l’anno potrà disporre di qualchecosa. Sta pur sicuro che io mi attaccherò a tutto per toglierti quanto è possibile il fastidio dei miei bisogni. Se seguito a ricorrere a te è perché fuori di te io non vedo per ora che la rovina assoluta. D’altra parte non posso rimanere a Roma perché mi ci vorrebbero almeno 300 lire al mese, mentre a San Remo p. e. andrei avanti benissimo con 200. Puoi fare lo sforzo di mandarmi via? Se tu sapessi come da qualche tempo è penosa la mia esistenza qui a Roma. Non dubito che tu farai quanto ti sarà possibile. Io ti posso assicurare che non è un bisogno inquieto che mi conduce ancora una volta a chiederti i mezzi di scappare e che sono certo che quest’anno io farò qualchecosa. Alla fine sono convinto che ti sarò anche di meno peso. Avrei tante cose da dirti ma non ce la faccio. Ho il veronal1 nella testa. Ti parlo proprio senza pudore. Purtroppo la città dopo qualche mese mi fa questi effetti ma se tu venissi a trovarmi io passerei ancora qualche giornata buona. Sono qui Cecchi e la moglie. Domandano di te, ti desidererebbero. Ma tu non vieni e non ti fai vivo. Che cosa stai scrivendo? Che pensi? Io

1 Il Veronal, o acido barbiturico è una sostanza chimica nociva, citata anche da Svevo nella Coscienza di Zeno come con cui si suicida il protagonista Guido Speier.

250 ho sempre un’insolente fiducia e forse più fondata di quel che le mie profonde e visibili debolezze lascerebbero credere. Purchè il Signore non mi abbandoni. Sta bene caro Bacchelli, e non t’impressionare soverchiamente dell’aria di perdizione che leggerai in questa lettera, né credere che io non abbia in qualche modo utilizzato come potevo tutto questo tempo. Ma insomma tu sai che io ho trent’anni tra poco e non mi posso più baloccare. Saluti da tutti gli amici e credimi tuo affmo V. Cardarelli

Quello che mi dicevi dei tuoi Poemi e delle prose lo sento anch’io come te e ribadisce il rimorso che io ho di non aver trovata mai una settimana di riposo e di felicità per poter scrivere ciò che io penso del tuo valore di scrittore. Ma credi che a voce, nei momenti più giusti, io non ho mai trascurato di tenere presente il tuo nome nel suo vero significato. Adesso ho visto che le Memorie ti hanno valso una stima discretamente diffusa e disparata.

[113] Un bifolio, scritte le pp. 1-3. Dai seguenti elementi di contesto la lettera è databile al gennaio 1917: il 21 dicembre 1916 Cardarelli aveva scritto a Cecchi: «io spero d’andare via coi primi dell’anno prossimo. Tornerò, credo, a San Remo». In questa missiva Cardarelli chiede ancora a Bacchelli un aiuto per andare via da Roma, per cui la lettera è antecedente al 27 febbraio 1917, data del suo effettivo trasferimento sanremese (cfr. EPISTOLARIO II, lett. 454); inoltre, il contenuto della lett. 114 del 20 gennaio è coerente, nella risposta, con questa missiva, che pertanto dovrà essere antecedente.

251 [114]

[Roma, 20. 1. 17]

Caro Bacchelli, se si tratta di rimanere a Roma per aspettarti lo faccio volentieri e senza nessun senso di sacrificio. Bisogna anche abituarsi a non prendere troppo alla lettera l’incompatibilità dei climi e degli ambienti. Spero però che non ti farai troppo aspettare considerando che io sono in condizioni fisiche già abbastanza depresso. In quanto al resto ti ringrazio delle nuove assicurazioni. Le spiegazioni che io sento il bisogno di darti di quando in quando corrispondono molto spontaneamente alla mia maniera di vivere e discettare, per così dire, i giorni che passano. Non credere che io le consideri né come un obbligo né come attestati obiettivamente sufficienti. Ma servono almeno a provare la mia non mai assoluta aderenza a qualche possibile abbandono o smarrimento della volontà. È certo che io sono molto preoccupato del mio avvenire. Ma forse la frase è eccessiva. Dovrei dire che mi trovo attualmente in una condizione di spirito molto imbarazzante e sospesa. Mi piace che tu abbia conosciuto Linati. È un uomo forse assai più buono e simpatico che fertile, ma insomma non è una conoscenza da disprezzare: che si faccia una rivista con lui e Facchi1 e che si possa andare troppo lungamente d’accordo ho i mie dubbi. Pensa che se non sono toscani sono milanesi, o comacini, che sarebbe come dire fiorentini di Lombardia – gente ristretta, avara e regionale. Ma se si farà io cercherò di lavorare come posso e spero di avere per allora qualchecosa sul tavolino. Una cosa che può offrire qualche speranza in questi milanesi è, se non altro, la buona educazione. Cecchi è già tornato a Firenze. Fu qui con la moglie in pellegrinaggio artistico. Ora non mancherà di scrivere il solito articolo di pittura sul Marzocco e possibilmente qualche frammentino lirico per la Riviera. Scherzavo appunto con lui su questo e vedevo che se ne risentiva col pudore di una vecchia zitella a cui si parli di prendere marito. Povero e caro Cecchi! Hai visto che bell’articolo ha scritto su D’Annunzio?2 Leggo spesso gli scritti letterari di Croce. Dio che pasto nauseabondo.3 Noi siamo capitati proprio in un cattivo

1 Il progetto redazionale con Facchi tuttavia non andò mai in porto. Vedi lett. 92. 2 E. CECCHI, La Leda e la licenza, recensione a G. D’Annunzio, La Leda senza cigno, racconto seguito da una Licenza, Milano, Treves, 1916, «La Tribuna», 18 gennaio 1917. 3 Il rapporto cardarelliano con Croce fu sempre piuttosto complesso, poiché il poeta lesse molto gli scritti del filosofo e, per quanto non ne condividesse nella sostanza gli assunti critico-teoretici, negli anni della «Ronda» invitò spesso il Croce a scrivere sulla rivista, dichiarandosi per nulla anti-crociano, soprattutto nel suo anti-pascolismo. Tuttavia ciò che non condivise mai del Croce fu la sua valutazione dell’arte come pura forma, l’estetica freddezza con cui non considerava quella sostanza umana del linguaggio che invece per

252 momento. Se faremo una rivista dovremo guardarci bene dall’imitare quest’intrepidi rigattieri, che hanno le mani sudicie a forza di mercanteggiare le loro inutili verità. La critica, di Croce come di tutti gli altri, è stata una gran bella astuzia. Io credo che varrà la pena di seguitare a ignorare i nostri immediati precedenti come abbiamo fatti finora – e sarà una cosa preziosa per quelli che un giorno se ne accorgeranno. Malgrado tutto e senza che noi forse lo sappiamo a sufficienza c’è qualchecosa di nuovo nel nostro stile di cui potrebbe perdersi l’aroma col tempo. Per conto mio ho intenzione di tener duro. Questo discorso vorrei fartelo a voce. Ma forse tu m’intendi meglio che io non dica. Intanto se devo rimanere a Roma avrei bisogno che tu mi mandassi qualche piccola cosa come supplemento a quel che mi hai già mandato. In attesa di vederti o di ricevere presto tue notizie ti saluto con molti auguri per la tua influenza. Ricordami a Mario. Tuo V. Cardarelli

[114] Due fogli sciolti, il primo scritto sul r e sul v, il secondo solo sul r, non datati, numerate dall’autore le pp. 2 e 3; carta e busta intestate: «L.V. Latour/ Confiserie Tea room»; la busta è indirizzata ««Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna» e la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dal timbro postale di partenza ROMA FERROVIA 20.1.1917.

Cardarelli connotava profondamente il concetto di stile. Quello che gli contestava fondamentalmente era il fatto «di non riconoscere l’arte come personalità» (M. BONI, Arlecchineschi. Appunti per ritratti o, pirandellianamente, ritratti da farsi. Cardarelli, Alvaro, Bologna, Edizioni Italiane Moderne, 1967, p. 127).

253 [115]

[Roma, 14. 2. 17]

Caro Bacchelli, non so ancora ringraziarti della tua venuta. Spero che anche a te avranno fatto piacere i pochi giorni passati a Roma come l’hanno fatto a noi. Io per conto mio ero molto malinconico il giorno della tua partenza. Sono ritornato al caffè Greco con Spaini1 a bere un’altra bottiglia di quel Barbera in memoria. Quilici è stato chiamato telegraficamente al deposito di Messina, e credo che questa volta non se ne potrà liberare. Così sarebbe meglio che tu gli mandassi il volume2 direttamente a casa. Via Virginio Orsini 25. A Spadini lo consegnerò appena lo vedrò. In quanto all’altro volume me lo tengo io essendone rimasto senza. L’altra sera venne da me quel tal Giusti3 che pare incaricato di scrivere un articolo sulla letteratura italiana di oggi per una rivista di Parigi. Non volevo assolutamente che lo scrivesse ignorando le cose tue. Così gli ho dato il mio volume che probabilmente non mi sarà restituito. Ecco dunque la ragione per cui mi tengo questa che avevi destinato a Quilici. Per entrare ora in cose meno piacevoli ti dico che ritengo proprio venuto il momento di andarmene, e che se puoi ancora mandarmi qualche cosa col mezzo più spiccio avrò ragione di essertene grato. Sebbene la mia amica mi dia per questa volta, come ha promesso (e speriamo che non succedano ostacoli) un aiuto piuttosto sensibile, io non potrò partire se tu non farai ancora un piccolo sforzo. Spero che mi farai sapere presto qualcosa. Io qui non ho più neppure la forza di leggere. Tutte le amarezze che possono assalire un uomo in stato di debolezza le ho addosso. Mi pare anche di dover essere molto triste per quello che ho fatto finora, mentre leggo qua e là i tuoi poemi con sempre nuova meraviglia. Ci si mette anche l’amore, la donna: queste cose ormai liquidate e perdute per sempre. Senza esagerazioni, se tu sapessi come questa specie di avventura mi mortifica silenziosamente. Essere capitato in una donna che senza volerlo, e col più galante dei modi, mi giudica senza darmi la più lontana promessa o speranza di condiscendenza. È

1 Alberto Spaini (1892-1975) scrittore e giornalista italiano, collaborò con numerosi giornali e periodici tra cui «La Voce» e «Il Resto del Carlino». Diresse «Il Giornale» di Napoli e pubblicò diversi scritti critici, tra cui, uno studio importante su Goethe nel 1914 (La modernità di Goethe). 2 R. BACCHELLI, Poemi lirici, Bologna, Zanichelli, 1914. 3 Paolo Emilio Giusti poeta e critico letterario, collaborò con «La Rassegna contemporanea» e con «L’Esame»; nel 1917 pubblicò i suoi versi poetici sulla «Nuova Antologia» e nel 1919 «La Ronda» ospiterà la sua prosa Solitudine (n. 4, luglio-agosto 1919).

254 solo in questi casi che ci si accorge dei nostri errori e delle nostre infelicità. Allora io prima d’arrivare a qualche soluzione catastrofica mi ritiro e cerco d’andar via. Scusami questo discorso impreparato. Credo che quest’anno se avrò la forza di riprendermi potrò rimettermi in pari con molte cose. Ora come ora non ho nessuna sicurezza. Fammi sapere dove ti mandano appena sarai partito, o anche prima se è possibile. Io vorrei andarmene dentro la prossima settimana. Il mio indirizzo intanto fino a che non ti scrivo rimane questo di Roma. Saluta Mario, Giorgio e Guido. E credimi tuo affmo V. Cardarelli

[115] Tre foglietti sciolti scritti solo sul r, non datati; busta indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data della lettera è ricavabile dai timbri postali di partenza ROMA FERROVIA 14.II.1917, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 5.2.17.

255 [116]

[Roma, 19. 2. 17]

Caro Bacchelli, scusa se non ti ho scritto finora. Sono stato distratto da un monte di preoccupazioni. Come vedi sono ancora qui. Ti ha portato Baldini i miei saluti? La persona che mi doveva dare i mezzi per partire è stata ammalata e così nuove complicazioni. Ora sembra che per giovedì prossimo potrei partire. Ma ti dico la verità che non ci credo. Intanto se tu puoi mandarmi le altre 50 lire e magari qualchecosa di più, vedi un po’. Sono in un ginepraio. Ho speso a Roma tutte le riserve di forza e di serenità che avevo acquistato a Como e a San Remo. Ora tremo all’idea di non dovere riuscire a andarmene. La cosa sarebbe ancora faticosa se si trattasse di viverci senza far nulla. Immagina a doverci lavorare. Sono giorni che mi ostino intorno a una cosa, perdo il sonno, sciupo il tempo, le idee e non ne concludo nulla. Ma basta. Spero che non crederai che dipenda solo dalla mia impotenza. E alla fine del mese potrai mandarmi l’assegno a San Remo. Dove mi trovi? Scusa se insisto su queste cose, ma è che per me, specialmente in questi momenti, sono principali. E scusa anche la fretta di questa lettera. Scrivo su un banco di redazione del giornale di Naldi;1 presenti Papini, Spadini (che ti saluta) e altri. Naldi mi ha ingaggiato a scrivere dei piccoli articoli dalla Riviera che mi pagherebbe bene. Cercherò di applicarmici. Papini su questo giornale2 farà le cronache di letteratura. Tanto per darti qualche informazione. E tu dove sei ora? Quando conti che partirai? Fammi sapere tue notizie prima che puoi. Saluta Mario. Tuo affmo V. Cardarelli

Manda, se vuoi, il tuo libro a Papini all’indirizzo della mia pensione, perché è li. Lo riceverà con piacere. E anche alla signora Ninetta D’Amico3 via Nazionale, 69. Roma.

[116] Un bifolio, scritte le pp. 1 e 3, non datato; busta indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; la data della lettera è ricavabile dal timbro postale di partenza ROMA FERROVIA 19.II.1917, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 20.2.17.

1 Nel febbraio del 1917 Filippo Naldi era direttore del «Resto del Carlino» per cui, non essendo ancora nato il «Tempo», probabilmente Cardarelli si trovava alla redazione del Carlino. 2 In questo caso Cardarelli si riferisce al progetto del nascituro «Tempo» a cui darà vita Naldi nel dicembre 1917 e che vedrà Papini responsabile della Terza pagina. 3 Si tratta probabilmente di Caterina Cecchi (1891-1966), detta Ninetta, sorella di Elvira Baldini e moglie dell’Avv. Domenico D’Amico, fratello di Silvio D’Amico.

256 [117]

[Roma, 24. 2. 17]

Caro Bacchelli, per grazia di Dio potrò partire, salvo inciampi, lunedì. Arriverò a San Remo con non molti franchi in tasca. Tu potrai scrivere intanto fin da ora: San Remo. Fermo posta. Se parti fammi il favore di avvertirmelo con una cartolina. In quanto al mensile di marzo sarebbe necessario che me lo mandassi il più presto possibile, perché veramente non mi trovo in buone acque. Non so quando riuscirò a farmi un vestito. Mi affido a te. Che cosa devo leggere in questa tua cartolina? Può darsi che io sia troppo impressionabile, ma mi pare che, o tu ti trovi in imbarazzi oppure stai poco bene. Anche io mi trovo in un momento molto difficile e non avrei bisogno di nuovi motivi di sfiducia. Parti con molto timore. Basta, speriamo che non sia nulla e che tutto questo pandemonio vada presto a finire. Oggi sono molto stanco perché non ho dormito. Ti raccomando nuovamente di pensare a me e ti saluto coi più affettuosi auguri. Tuo Cardarelli

[117] Due foglietti sciolti, scritti solo sul r, non datati; busta indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data della lettera è ricavabile dal timbro postale di partenza ROMA 24.II.1917; timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 25.2.1917.

257 [118]

[San Remo 28. 2. 17]

Caro Bacchelli, non credere che io mi preoccupi della possibilità, voglio credere molto fantastica, che tu non abbia, da un momento all’altro, più modo di aiutarmi. Sarebbe una preoccupazione alquanto ristretta e curiosa. Soltanto mi poteva sembrare che in te si fosse, per così dire, intiepidito il senso delle mie necessità, le quali, nei limiti in cui io e te le abbiamo definite sono, come tu puoi immaginare, seccantissime e non tollerano purtroppo dilazioni; considerato soprattutto che spesso per me il non potermi svincolare da una situazione materiale vuol dire regalarmi dei giorni assolutamente perduti e dannosi. Io dico questo non perché tu in ogni occasione e tutto sommato non mi abbia dato ancora più del prefisso, ma riferendomi ai due o tre ultimi mesi e specialmente al desiderio di partire che io avevo e che non riuscivo mai a poter realizzare. In uno stato simile è accaduto per caso che tu non ti trovassi in grado di mandarmi regolarmente neppure quello che mi era necessario per rimanere. Naturalmente non faccio nessuna osservazione, neppure, lo puoi credere, con me stesso; solo non potevo evitare di esprimerti un leggero senso di disperazione, ma che non riguarda affatto la tua situazione finanziaria, spero bene. E adesso che ho cercato di chiarirti il senso delle mie parole ti prego di volermi scusare e di non farci caso. Le 125 lire che hai promesso mandamele subito se puoi e il resto nella seconda quindicina di marzo, sta bene. Io qui sono arrivato con pochi denari e per giunta ho trovato abitata da un baritono la mia bella camera dell’altr’anno che fra i molti vantaggi mi offriva anche quello del pagamento posticipato. Ora dunque sono in un brutto albergo - uno dei sinistri alberghi economici che si trovano in questi luoghi di lusso. Obbligato se voglio cambiare, come voglio, a pagare il mese in anticipo. Ragione per cui ho bisogno di denari! Il mio indirizzo resta per ora San Remo fermo posta. Per oggi non ti scrivo altro, in attesa di poterlo fare con più comodo e quando avrò qualche cosa da dire. Tu fammi sapere in ogni modo il tuo destino di guerriero. Non darti troppo al vino e alle donne e armati di buona volontà. A lungo andare si finisce anche per stancarsi di fare i cattivi e si ritrova la salvezza nelle più antiche e semplici persuasioni morali. Faccio una lunga frase per il pudore e il timore di azzardare delle parole più precise. Fatto sta che questo falso mondo di gente che si diverte a san Remo mi offende terribilmente.

258 Sono contento di non avere cose nuove da vedere e settimane di piacevoli illusioni da ripromettermi. Cercherò di fare il galantuomo più che posso. Sta bene e saluta Mario e tutti. Tuo affmo V. Cardarelli

[118] Due fogli sciolti, non datati, scritti sul r; carta intestata: «HÔTEL ET RESTAURANT GRANDE BRETAGNE SAN REMO»; busta intestata: «O. DAETWYLER/CONFISEUR – GLACIER/ PÂTISSIER/ SAN REMO», indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; la data della lettera è ricavabile dal timbro postale di partenza SAN REMO 28.2.1917, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 2.3.17.

259 [119]

[San Remo, 20. 3. 17]

Caro Bacchelli, ho ricevuto il tuo vaglia fin da domenica. Fui costretto a telegrafarti per un contrattempo nei miei affari. Scusami. Avevo già ricevuto la tua lettera. Avrei da raccontarti un nuovo, tempestoso e definitivo incontro avuto con Boine qui a San Remo, per caso, ma non credo che ti divertirebbe. Io questa volta ci ho leticato per bene e me ne sono separato, spero per sempre, sul portone della mia casa. Lo vidi che era insieme con un impiegato intellettuale di Porto Maurizio. Non so se tu sappia che, tra l’altro, il povero Boine ha la mania di fare, alla provenzale, il grand’uomo di provincia. Dico provenzale facendogli un grande complimento, ma in verità credo che per tre quarti nella sua disgraziata composizione c’entri del sangue piemontese. Era questo il segreto anche di Serra. Bisognava tu vedessi l’aria di superiorità stupida e di humor epicureo che si dava, con tutto che ad ogni momento bisognava andare in cerca d’una panca per farlo sedere. Interrompeva il discorso per dire: guarda quella nuvola, guarda che bell’alcione. Io tacevo molto malignamente e di quando in quando non potevo fare a meno di sgonfiarlo con qualche ironia. Figurati che cercava di erudirmi sulla storia italiana, abbozzandomi a questo proposito i più vieti e prezzoliniani luoghi comuni come se io venissi dall’America. Fatto sta che dopo un’ora o due eravamo maturi per dirci addio. Siccome è una carogna vendicativa cercò di colpirmi nel punto più sensibile parlandomi del mio libro come io non parlavo neppure delle liriche di Onofri. Riuscì a dirmi che non capiva come della gente mi potesse stimare e cercava di spiegarselo con molti speciosi argomenti quando io, passando immediatamente dal tono caustico e discorsivo alla serietà più furiosa, lo pregai di star zitto e di levarmisi di tra i piedi. Così facemmo un altro centinaio di passi, fin che non si giunse al portone di casa mia, lui a cercar di rimediare compatibilmente con la sua dignità e io a tacere freddamente, impossibilitato non dalla rabbia ma dalla insistente volontà di non compromettere o complicare minimamente il proposito di salutarlo, ad aggiungere una qualsiasi parola. E così ci siamo salutati. Mi dispiace perché in fondo sono persuaso che è un infelice, ma […] insulto anche all’infelicità quando la trovo così miserabile e ammorbante. A me non è mai venuto intanto di fare delle mie disgrazie un titolo di nobiltà e di diritto morale, non ho mai guardato di malocchio le persone che hanno l’aria di star meglio di me in tutti i sensi. Sarà che non sono un patetico e un sentimentale. Certo che oggi il caso di uomini che diventano severi e maldisposti con gli

260 altri soltanto perché si sentono melanconici in sé stessi è più comune di quel che si creda. Bisognerebbe scoprire la ragione per cui qualche nostro amico insiste a prendere tanto sul serio la cultura e la critica. Ma c’è forse bisogno di scoprirlo? Qui non c’è più senso di pudore. Questa gente ti confessa candidamente che è nevrastenica e che è desolata di vedere gli altri star bene – e magari s’inganna, si capisce. Il risultato è per me, spesso, una triste disperazione non disgiunta da un’ostinata meraviglia quasi incredula. Pensare che certe infelicità andrebbero tenute così nascoste! Mi sono dilungato a parlarti di quest’episodio perché non sapevo che altro dirti. Oppure avresti preferito parlare della rivoluzione russa? A me mi pare che ci sia qualchecosa di futurista. Mi si passi la bestemmia. Un tempo si diceva: sono cose da operetta. Ma tu forse vedi meglio di me in questi tempi. Volevo dirti che sono dispiaciuto di saperti così sottratto al lavoro, soprattutto quando penso che ora ti rimanderanno al fronte e che ti si presentano dei giorni forse straordinari, ma se ti può essere di conforto, come non credo, sappi che io mi sento più importante di te e non soltanto per ragioni fisiche. Le cose procedono male per la poesia. La più saggia risoluzione è ancora non pensarci troppo e cercare un appagamento – chissà quanto più propizio anche al lavoro – nel fatto che si vive – cosa più facile a te che a me che mi trovo a fare una vita eccezionale della quale potrei anche alla fine non riuscire a dare una sufficiente giustificazione. Per farti capire che queste non sono parole potrei anche dirti che da qualche tempo sono in balia di stranissime tentazioni. E questo è il diario intimo di un povero italiano del 1917. Scrivimi ancora prima di partire e cerca di stare bene. Saluti a Mario e a Giorgio Tuo affmo V. Cardarelli

[119] Due carte sciolte, la prima scritta sul r e sul v, non datate; le pagine sono state numerate da Cardarelli da 1 a 3; busta intestata: «Gd Café Glacier Européen Gambrinus», indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; la data della lettera è ricavabile dal timbro postale di partenza SAN REMO ARRIVI E PARTENZE 20.3.17, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 22.3.17.

261 [120]

[Milano] 27 ottobre 1917

Caro Bacchelli, ti scrivo dal Biffi1 in un giorno poco propizio e in mezzo a un harem di prostitute. Ma sto male da parecchi giorni e non voglio più tardare a darti ricevuta delle tue cose.2 È inutile che io ti esprima la mia soddisfazione. Io ho trovato qui delle cose molto forti e belle, e anche nuove. Ho apprezzato moltissimo le prime pagine. Quell’accenno di fantasia che viene a un certo momento: «Il fosso dava la via alle immaginazioni» etc, cade a meraviglia. Anche le ultime righe sulla morte del padre, audaci. Che ci sia in te la stoffa d’un romanziere? Andando avanti io trovo che nel mezzo ci può essere qualchecosa da rimettere a posto, o da tagliare. Alludo al capitolo intitolato Giornate,3 dove tu hai cercato di mettere le cose già fatte l’altr’anno in un tono che secondo me le guasta. Sarebbe più semplice metterle li senz’altro come erano, come hai fatto del Riepilogo, con un segno qualunque alla Rimbaud: vediamo come egli s’industriasse a illudere la noia delle sue giornate – tanto per dare un esempio. In seguito trovo ottime considerazioni sulla storia e spiritosi ricordi: quello p. e. del giornalista. Il discorso del Re va bene. Meno bene quello su Socrate.4 È oscuro. Sebbene io capisca chiaramente quel che tu vuoi dire. Insomma non mi dà quel senso di necessità e di veemenza che trovo nelle altre cose. Altrettanto ho da dire sulle riflessioni critiche che incastri nelle pagine sull’Italia. Le quali hanno parti bellissime e chiare. Ci sono certe frasi, come quelle su Dante: nella forma più attuale di poeta che sia mai stata, che bisogna lasciarle scrivere a Cecchi. Queste cose bisogna ridurle a motti di spirito. Non bisogna credere che la critica sia discorso, o possa esserlo in ogni modo per noi. Tu lo capisci meglio di me. Del resto, salvo qualche altra piccola riserva che io ho da fare per altri brevi spunti, qua e là, della natura di questi accennati, queste pagine, dirò nel modo più banale che hanno sorpassato le mie aspettative. Ci sono delle violenze che attestano maturità. È

1 Caffè Biffi, storico caffè di Milano, prestigioso luogo di ritrovo dell’èlite milanese che divenne un importante punto di incontro anche per molti intellettuali. 2 Bacchelli aveva mandato all’amico il manoscritto delle Memorie del tempo presente per le quali Cardarelli cercherà per lungo tempo una sede editoriale. 3 Il capitolo non compare nella redazione definitiva del testo apparso in rivista; probabilmente si trattava di una stesura ancora in fieri successivamente modificata dall’autore. 4 I due brani a cui fa riferimento Cardarelli non sono rimasti nella redazione definitiva delle Memorie del tempo presente.

262 forte il paesaggio sull’Appennino,5 e in queste cose insomma tu sei maestro. Non ti dirò poi quanto mi sia piaciuto e mi abbia commosso quel distacco che tu descrivi da tuo fratello.6 A questo proposito anzi la commozione è così piena che io sento il bisogno di consigliarti a stare in guardia (è un consiglio di vita) e di non essere troppo affettivo. Mi dispiace di non essere oggi in grado di esprimermi più impetuosamente. Prima di tutto intorno a me si fa chiasso eppoi ho la testa vuota, e sono costretto a parlare a memoria. Ma da quel che ho visto mi pare che il libro7 si presenti molto compatto e ordinato. Basta portarci quelle lievi modificazioni che ti ho detto. È bello anche il titolo. Io vorrei che ti lasciassi indietro, senza timore, qualche piccola esigenza intellettuale che non s’è bene sviluppata. Del resto tu stesso puoi esserne giudice meglio di tutti, solo che t’interroghi. E anche che uscisse così non sarebbe gran male, visto che tu hai sempre bellezze sufficienti da salvar tutto. Mostrai queste pagine a Facchi, e gliene lessi anzi qualche brano. Da quel che ho potuto capire Facchi non sarebbe alieno dal pubblicarle, ma sapendo che tu hai denari, prenderebbe volentieri qualche centinaio di lire, p. e. 200, a quel che io penso. Ma bada non ho detto nulla di preciso. Ti dico questo perché se tu hai intenzione di pubblicare l’unico modo per far le cose spiccie è questo. Così tu verresti a considerare Facchi non come un editore ma come un tipografo, meno caro di un altro. In caso contrario si può fare la questione come ti dissi, ma si va per le lunghe (parlo come un legale!). Se tu sapessi che uomo abile nel rimandare che è Facchi! Ti dico la verità che se anch’io mi trovassi nelle tue condizioni vorrei convincerlo a questo modo e starci poco a trattare. Pensa tu. Io ti prospetto la situazione. In quanto a me ho finito il mio libro8 e gliel’ho dato a leggere, ma ancora non mi ha detto nulla, né se gli piace, né se lo pubblica perché non l’ho più visto. Ci ho messo altre quattro cose oltre quelle che tu conosci. Speriamo di farci onore. Ma alla fine d’ogni opera io sono sempre più anelante e più disperato di prima. Vado via da qui alla fine del mese. Tu scrivi sempre a Milano. La posta mi sarà rimandata. Ho ricevuto il vaglia da tuo zio e ti prego di dirgli tu stesso che l’ho ricevuto. Io non saprei in che forma scrivergli.

5 Il passo fa parte del capitolo Quota 208delle Memorie del tempo presente. 6 Ibid. 7 Le Memorie del tempo presente sarebbero dovute uscire in volume ma nonostante i numerosi contatti di Cardarelli e Bacchelli nell’arco dei due anni successivi, l’autore non troverà una buona soluzione editoriale. Le prose verranno quindi svincolate dalla forma in volume e stampate su «La Ronda». 8 Viaggi nel tempo.

263 E Mario? Io tremo per quest’offensiva. Sta sano anche tu, e sii lieto del lavoro che ti è riuscito di compiere anche in queste condizioni. Tuo affmo V. Cardarelli

[120] Bifolio intestato «RISTORANTE/ CAFFÈ/ BIFFI», scritto sul r e sul v; busta con la stessa intestazione indirizzata «Tenente/ Riccardo Bacchelli/ 46° Raggruppamento Batteria D’Assedio/ Zona di Guerra»; timbro postale di partenza MARMIROLO (MANTOVA) 19.11.17 e timbro postale di arrivo MILANO PARTENZA 27.X.1917. La lettera è stata pubblicata integralmente in E. GRAZIOSI, Campana, Cardarelli e Bacchelli, cit., pp. 94-95.

264 [121]

[Roma 14. 11. 17]

Caro Bacchelli, sono troppo stanco per parlarti a lungo delle tue cose che ricevetti a Milano e sulle quali ti scrissi una lettera che tu non hai ricevuto.1 È inutile che ti dica in succinto quanto mi sono piaciute, specialmente le prime pagine quelle sui soldati, l’Italia, e la fine su tuo fratello. La rileggiamo assieme con Saffi. In quanto a qualche parte da rivedere, io stesso, nella mia lettera, mi pare che te le indicavo. Siamo d’accordo. Per non pensare adesso che a quelle riuscite ti dico che sono belle, forti e anche nuove. Ho trovato molta ricchezza di spunti e un senso dell’arte più adatto. Ne parleremo a miglior agio. Questi sono i tempi da pensare alla pelle. Ero in pensiero per te. Sono stato molti giorni depresso. Ora va bene. Ma sono senza un soldo. Il meglio sarebbe che tu scrivessi a tuo zio di mandarmi due o tre mesi tutt’insieme al più presto così per quest’anno non ci si pensa più. Io ho bisogno di farmi almeno un cappotto. Sono nudo. E poi sarebbe un semplificare i miei rapporti con tuo zio. Il mio indirizzo è fermo posta Roma. Ricevetti le 150 lire e te ne davo ricevuta a te stesso nella famosa lettera pregandoti di avvertirne tuo zio. Se puoi farmi questo favore subito mi leverai da un mare di guai. E Mario e Giorgio? Cecchi è salvo ad Asiago, o giù di li. Mi scrisse ieri domandandomi notizie di te. Ora gli scriverò. Il suo indirizzo è sempre il solito. Io ho qui quelle tue pagine dell’altr’anno2 nel caso in cui volessi incastrarle in queste nuove come erano allora, cosa che io ti consiglierei. Parlerò a Facchi per pubblicare questo nuovo volume. Non sarebbe alieno. Addio per oggi. Sta bene e dammi in ogni caso una risposta pronta. Sarà bene che in questi tempi tu mi scriva quanto più puoi. Il tuo affmo Cardarelli

[121] Biglietto postale da 15 centesimi indirizzato «Riccardo Bacchelli/ Fermo posta/ Marmirolo (Pr. di Mantova); la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza BOLOGNA CENTRO 14.11.17 e dal timbro postale di arrivo MARMIROLO (MANTOVA) 17.11.17.

1 Vedi lett. 120. 2 Cardarelli si riferisce probabilmente alle prime stesure della prosa vociana Memorie, mandata in stampa con correzioni di suo pugno e senza accettare gli interventi di Bacchelli (vedi lett. 83).

265 [122]

[Roma 21. 11. 17]

Caro Bacchelli poche sono le cose che posso dirti in questo momento. Non ho mai sentito la difficoltà di vivere e di pensare come adesso. E se ho delle idee chiare queste mi sembrano enormi e indicibili. Basta io spero di vederti presto in qualche modo. Mi assale di tratto in tratto il terrore della tua condizione e allora mi accade di odiare nel modo più semplice tutti quelli che incontro e che sarebbero buoni da morire assai più di te, di me o d’altri. Io credo che tu avresti potuto senza disonore cercare di essere utile alla patria in qualche altro posto, ma è inutile parlarne. Possiamo anche avere una fiducia cieca nel destino e una certa speranza in Dio – sebbene io non sappia rendermi ragione di queste cose se non a fatti compiuti. E ho una ripugnanza diabolica alla preghiera. C’è niente di più disperato di un uomo ridotto a pregare? A questo punto io preferisco l’irritazione. Non ho ancora ricevuto niente da tuo zio.1 Appena saprò qualche cosa te ne farò avvertito. Intanto ti ringrazio perché questo invio mi solleverà alquanto. Figurati che Roma è invasa dai profughi e non si riesce a trovare una camera. Sono da venti giorni all’albergo dove dovrò rimanere fino alla fine del mese. Vita ad alta tensione economica. Di più devo farmi un cappotto che non mi costerà meno di duecento lire. Spero presto di mettermi a posto e allora riprendere a lavorare un pochino e ti scriverò. Il mio indirizzo per ora è sempre fermo posta. In quanto al tuo manoscritto2 non dubitare che è in buone mani e quando me lo chiederai te lo manderò. Mi piace anche il titolo. Io intitolerò il mio probabilmente: Viaggi nel tempo. Io non ti ho forse detto quanto le tue cose in certi punti siano buone. Bisognerebbe che le avessi tutte e le rileggessimo. Ma devi essere contento perché questo è un altro libro. E ho un certo piacere che coincida col mio. Sta bene, saluta tutti e scrivimi al più presto. Tuo affmo Cardarelli

[122] Biglietto postale intestato: «CAFFÈ NAZIONALE/ PERONI & ARAGNO/ ROMA», indirizzato «Riccardo Bacchelli/ fermo posta/ Marmirolo/ (Prov. di Mantova)»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di arrivo MARMIROLO (MANTOVA) 22.11.17 e MARMIROLO (MANTOVA) 23.11.17, che la retrodatano verosimilmente al 20 o 21 novembre 1917. Inoltre Cardarelli parla in questa lettera di un invio economico che sta ancora aspettando da parte dello zio di Bacchelli, e che risulta invece essere arrivato il 22 novembre, data della missiva successiva in cui il poeta si affretta a ringraziare l’amico dell’invio. Questa missiva quindi fu scritta sicuramente poco prima della lett. 121.

1 Dopo la morte del padre Bacchelli aveva uno zio come tutore dei suoi beni. 2 Si tratta delle Memorie del tempo presente. Vedi lett. 120.

266 [123]

Roma, [22.11.1917]

Caro Bacchelli, ho ricevuto oggi il vaglia di lire 1000 da parte di tuo zio e mi sono affrettato a dargliene ricevuta. Ti confesso che avrei fatto volentieri a meno di questo intervento, ma poiché non c’era modo di fare altrimenti, non mi resta che ringraziarti del pensiero che hai avuto e sperare che un giorno anche tuo zio si possa fare una ragione di questo fatto che ai suoi occhi dovrà apparire abbastanza strano. Mio Dio quante volte ti ho parlato con inutile malinconia di questa cosa! A me pare che la mia fortuna nel mondo sia ridotta al mio necessario, eppure ne ho rimorso come se fosse enorme ed immeritata. Non è il giudizio delle persone superiori che fa paura, è quello della gente comune. Da questo punto di vista io avrò sempre torto, avrò sempre qualche motivo per vergognarmi e abbassare la voce, e questo non so che cosa significhi. Ma non parliamo di queste cose lugubri e, soprattutto, inopportune. Io credo che le cose più dolorose non si possano dire. Ho questa esperienza. Non si possono dire perché è impossibile trovare loro una forma che non sia raccapricciante e noiosa. Restano in fondo a noi come segreti o spiegazioni occulte di tutto il bene e il male che ci accade, ma specialmente del male. Tollerare la disgrazia è una gran responsabilità che si assume. E tutte queste parole da che cosa provengono? Forse dal fatto che stanotte ho dormito poco. In compenso però questa mattina sono rimasto molto in letto a pensare. E mi è venuta tra l’altro l’idea di far pubblicare da qualche giornale (che potrebbe essere il G. d’Italia)1 quella parte del tuo nuovo volume che riguarda la guerra e l’Italia. Vuoi che ne parli a Bellonci?2 Potresti vedere se mai le bozze, ma mi pare che lì ci sia poco da vedere. Io credo che farebbe un’eccellente impressione e a te stesso potrebbe far piacere. Si potrebbe intitolare Memorie della guerra: una cosa in altri termini da enfoncer molta gente a principiare da Baldini. Scrivimi subito e io, se vuoi, me ne occuperò. In quanto a me non mi sono ancora messo a posto e non so in che mondo vivo. Dovrei mandare il libro a Facchi3 ma non so perché mi duole pensarci. Avrei da fare qua e là qualche correzione e

1 «Il Giornale d’Italia». 2 Goffredo Bellonci (1882-1964) giornalista e critico letterario italiano, redattore del «Giornale d’Italia» per il quale si occupava, tra le altre cose, della terza pagina, recensendo e affrontando i maggiori autori della letteratura contemporanea. 3 Cardarelli aveva terminato la stesura dei Viaggi nel tempo, vedi lett. 120 e 122. Il 23 novembre Cardarelli lamenterà la sua difficoltà nel licenziare il libro anche a Carrà: «Devo rispedire il mio libro a Facchi e non

267 mi pare che non ci riuscirò. Preferisco aspettare. Io ho però altre due o tre pagine che tu non conosci che forse ti piacerebbero. Ma Roma è una città umiliante sta pur sicuro. Qui della guerra non c’è che il terrore. È una città che ha la coscienza poco netta, piena di peccati. C’è il passo da palmipede dell’uomo politico. Ci si respira un’aria stufa, umidiccia e odorosa di sacrestia. Questo spettacolo continuo del meridionale discutitore e sedentario! Il reportage giornalistico nella forma più burocratica e abitudinaria. Ci sarebbe da fare un bel quadro se uno ci si volesse mettere. Ma non ne ho la più lontana idea. Dimmi qualche cosa della tua vita e quali sono le tue previsioni per l’avvenire, intendo dove pressappoco sarai destinato. Scusami se non sapendo aspettare per ringraziarti ti ho scritto questa lettera che mi pare poco lieta. Tuo V. Cardarelli.

[123] Un bifolio, scritte le pp. 1-4, datato, ma uno strappo nell’angolo superiore destro impedisce di leggere chiaramente il mese di spedizione; tuttavia dai seguenti elementi di contesto la data risulta chiaramente il 22.11.1917: nella lettera Cardarelli ringrazia l’amico dell’invio economico da parte dello zio, questione già citata nella lettera 120; il poeta parla della sua indecisione nel licenziare i Viaggi nel tempo, informazione che si incrocia con le medesime parole scritte a Carlo Carrà il 23 novembre 1917 (infra nota 3). Ad avallare ulteriormente la collocazione di questa lettera nel mese di novembre intervengono anche i riferimenti citati nella missiva 122 che rimandano a questioni trattate in questa lettera: la ricevuta chiesta dallo zio di Bacchelli per l’invio dei soldi ricevuti da Cardarelli e l’interessamento di quest’ultimo per far pubblicare la prosa di Bacchelli nel «Giornale d’Italia» tramite Bellonci. ho la forza. Voglio rivederlo. Vorrei metterci una prefazione storica, un discorso sullo spirito italiano, con allusioni dirette ai tempi» (EPISTOLARIO II, p. 614).

268 [124]

Roma, 30 XI 1917

Caro Bacchelli, non è la ricevuta che tuo zio mi ha chiesto che poteva inquietarmi, tu lo capisci bene, mi dispiace anzi di aver dovuto essere eccessivamente sobrio nel rispondergli e quasi sgarbato. Ma non riuscivo a formulare due righe possibili. In quanto alla tua prosa ho parlato con Bellonci,1 dispostissimo a interessarsene. Ma non gliel’ho potuta ancora portare perchè è in mano di Saffi il quale tu sai con quale avarizia si aggrappa a certe cose. Sono due giorni che me la doveva restituire. Più il tempo passa più Saffi scopre la sua natura casalinga e abitudinaria. Ti confesso che io me ne tengo un pochino al largo. Ciò naturalmente lo impressiona e lo indispettisce magari. Ma che ci posso fare? Può essere per questo che ritarda a partorire le tue cose. Ma domani le andrò a prendere. Spero e credo che Bergamini2 dopo averle lette non potrà che pubblicarle. Sai che Bergamini si picca di liberale intelligenza. Non dubitare che me ne occuperò più che se fossero cose mie. Dimmi come stai e dammi notizie di Giorgio. Io non ho ancora trovato la camera. Spero di mettermi a posto presto. Addio per oggi e scrivi se puoi a Cecchi – 12 Divisione Fanteria. Tuo affmo V. Cardarelli

[124] Cartolina postale italiana indirizzata «Riccardo Bacchelli/ fermo posta/ Marmirolo/ (prov. di Mantova); timbro postale di partenza ROMA FERROVIA 30.XI.1917 e timbri postali di arrivo MARMIROLO (MANTOVA) 3.12.17.

1 Vedi lett. 123. 2 Alberto Bergamini (1871-1962) giornalista e politico italiano che nel 1901 divenne direttore responsabile del «Giornale d’Italia», periodico che si distinse sin dall’inizio per la pubblicazione di pezzi letterari di alto valore. Bergamini, tra l’altro, fu l’ideatore della «terza pagina», elemento che rese il giornale di alto profilo letterario e, di conseguenza, un’ottima vetrina per Bacchelli qualora l’intercessione dell’amico presso Bellonci fosse andata a buon fine.

269 [125]

[Roma, 12. 12. 17]

Caro Bacchelli, io tardavo a risponderti perché mi pareva e non mi pareva di aver ricevuto ultimamente una tua cartolina. A dirti la cosa come è mi sembrava di essermelo sognato, tanto devo essere disattento in questo momento. Ricordavo quella frase su Campana che tu scrivesti anche nella lettera. Cosa ti ha scritto? Sarei curioso di saperlo. Io mi dolgo delle sue condizioni, ma penso che ci sia poco da fare e pericoloso lo starci assieme.1 Magari ti avrà aggredito perché non gli hai mandato dei denari. È possibilissimo. In quanto al tuo scritto,2 lo dettai a macchina e lo consegnai a Bellonci che non ho più potuto vedere. Lo vedrò uno di questi giorni e ti saprò dire. Potrebbe andare sicuramente sul Tempo3 di Naldi che esce a giorni ma esigo il tuo assenso. Corrono sinistre voci e i tempi sono rigorosi. Non vorrei nuocerti. C’è in mezzo Papini per la parte letteraria4 il quale mi ha officiato a scrivere articoli. Ma cosa potrò fare? Già mi riescono intollerabili le anticamere delle redazioni dove tutti alla fine si rendono preziosi allo stesso modo, amici ed estranei. E affrontare il problema di entrarci dentro con la propria sedia non è il caso e per tante ragioni. Per conto mio sono un uomo praticamente liquidato. Sto dattilografando il mio libro5 con nausea e grande sforzo. Lo manderò a Facchi, il quale probabilmente, dati i tempi, ne rimanderà la pubblicazione. E Roma è schiacciante. Ho la quotidiana compagnia di Barilli, sempre lo stesso, e altri commensali di via <…> della Croce. Cose poco adatte a rincuorarsi. La signora Saffi è di <…>. Con Saffi non riusciamo più a trovare un momento per parlarci. Come vedi ho poca <…> da riferirti. Mi sembra che Cecchi stia nelle Indie. In fin dei conti, beati voialtri militari. Il diciotto passerà: si sa anche questa! Io mi sono finalmente accasato come ho potuto. Abito in Via Due Macelli, presso Adriani, 28, dove mi scriverai. Che ne è di Giorgio e Mario? Come stai?

1 Vedi lett. 78 e 92. 2 Vedi lett. 120, 122-124. 3 «Il Tempo» era stato fondato ufficialmente il 12 dicembre 1917. 4 Lo stesso giorno di questa missiva cardarelliana a Bacchelli, Papini scrisse a Carrà: «Ho la direzione assoluta della 3a pag. del Tempo e voglio farne una bella pagina – quale non c’è in nessun giornale, senza troppi vecchi e vecchiumi» (C. CARRÀ, G. PAPINI, Documenti. Il carteggio Carrà-Papini. Da «Lacerba» al tempo di «Valori Plastici», Ginevra-Milano, Skira, 2001, p. 96). 5 Vedi lett. 120, 122-123.

270 Addio caro Bacchelli, scrivimi più spesso che puoi! <…> ti saluto anche da parte dei Saffi e di Vanni, tuo grande ammiratore.

Tuo Cardarelli

[125] Cartolina postale italiana indirizzata «Riccardo Bacchelli/ fermo posta/ Marmirolo/ (prov. di Mantova)»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dal timbro postale di partenza ROMA FERROVIA 12.12.1917; timbro postale di arrivo MARMIROLO (MANTOVA) 14.12.17.

271 [126]

[Roma, 18. 12. 17]

Caro Bacchelli, il Natale è passato senza che io mi ricordassi, come al solito, di nessuno. Fà buon anno. Ti manderò il tuo scritto dattilografato appena avrò il tuo indirizzo e cercherò di far andare la parte sulla guerra nel Tempo, dal momento che Bellonci1 pare se ne sia scordato e io non ho nessuna voglia di raccomandarmi. Sta sicuro per queste cose. Il Tempo è meno compromettente di quel che credevo e Naldi è un uomo straordinario. Io faccio per ora qualchecosa, ma sono esaurito, ho mille mali e non so come me la caverò. Anche per questo non ti scrivevo. Tu intanto non hai bisogno d’incoraggiamenti perché sei filosofo nel senso classico della parola. Scrivimi subito, dimmi come stai, se c’è pericolo etc. etc. Io ti manderò il giornale se mi capiterà di fare qualcosa di buono. Sai che al Tempo c’è Papini e io sono alle sue dipendenze. Scherzi della vita. Basta, io prendo tutto come viene, un po’ anche per gioco. Ora ci siamo e la stagione invernale s’annuncia divertente. Sta bene tuo affmo Cardarelli

[126] Cartolina postale italiana indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Tenente/ 46° Raggrup.to batterie d’assedio/ Zona di Guerra»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di arrivo BOLOGNA FERROVIA 28.XII.1917. La lettera era stata inviata inizialmente all’indirizzo bolognese di Bacchelli, per essere poi reindirizzata nella zona di guerra come riporta l’indirizzo definitivo. Il timbro si riferisce quindi al primo recapito della cartolina.

1 Vedi lett. 124.

272 [127]

Roma, li 11 gennaio 1918 Piazza Montecitorio, 121

Caro Bacchelli, ti ringrazio. Avrei voluto telegrafarti di non farmi un così cospicuo invio, ma poi pensando che tu ora te ne vai e all’impossibilità di corrispondere regolarmente in questi tempi ho lasciato andare. Cercherò di non perderli e di non sciuparli. Sulla tua amicizia non era possibile che io potessi dubitare. Del resto io avrei anche capito che un cambiamento qualsiasi nella tua vita avesse potuto avere conseguenze anche materiali nei nostri rapporti, salvo naturalmente a farti presente qualche mio piccolo bisogno estemporaneo. Ma basta così. Dammi più spesso tue notizie e cerca di lavorare senza preoccupazioni. Lessi il tuo articolo1 che mi piacque per le idee che ci sono e per la calma con cui è scritto. Delle cronache teatrali2 ti parlavo nelle lettere che non hai ricevuto. Non ho voglia di ritornarci sopra. Anche per me potrei dirti: è la più scettica avventura della mia vita. E la più volontaria. Forse nessuno di noi ha ancora perso l’illusione della celebrità. È un modo come un altro di essere generosi e condiscendenti col mondo. Chissà come tutte queste cose andranno a finire, e dove ci porteranno! Io mi abbandono perché mi fido abbastanza delle mie stanchezze. Perché non fai una scappata a Roma? C’è stato Cecchi uno di questi giorni. Mi pare che il tempo ci allontani sempre di più. Uomini di poca fede! La rivista è in corso di stampa.3 Manda qualchecosa. Io pubblicherò quattro cose e forse una cronaca drammatica. Addio per oggi. Ti ho risposto in ritardo perché ho avuto da fare. Tu capisci che io lavoro di notte. Sta bene, saluta Giorgio e Mario e credimi tuo. V. Cardarelli

[127] Un foglio sciolto, scritto sul r e sul v, intestato: «IL TEMPO/ GIORNALE DEL MATTINO/REDAZIONE».

1 Vedi lett. 125, nota 3. 2 Tra il 1918 e il 1919 Cardarelli scrisse come critico teatrale per «Il Tempo» di Naldi, incarico vissuto sempre in maniera riottosa, per la sua natura tanto restia al giornalismo quanto incline alla prosa creativa, ma ricoperto con dedizione nel campo delle cronache drammatiche. Scrisse infatti nel febbraio 1918 a Carrà: «Ti ringrazio del giudizio che esporrai sulle mie cronache teatrali che costituiscono per me un meritevole sforzo di adattamento, nient’altro, e una disciplina di rinunzia continua» (EPISTOLARIO II, p. 623). 3 Si tratta probabilmente della «Raccolta».

273 [128]

Roma, li 4 [febbraio] 1918 Piazza Montecitorio, 121

Caro Bacchelli, ti ho spedito stamane i tuoi fogli dattilografati.1 Scusa se ho tardato ma non trovavo più quelle pagine che avevo dovuto tirar fuori per farle copiare quando si trattò di darle a Bellonci2 che poi non ne ha fatto più niente. Ora so che sei a Bologna, che hai mandato un articolo al Tempo,3 che è già in tipografia, e che sei sul punto di andartene in Francia. Tutte queste cose mi arrivano di sorpresa. Io ti credevo ancora a Roverbella.4 Hai ricevuto una mia lettera spedita colà insieme a dei ritagli di giornali? Non so che effetto ti avrà fatto. Forse io non comprendo che cosa voglia dire un uomo innamorato,5 ma ti prego di essere indulgente con la mia incompetenza. Il fatto che tu non senta il bisogno di scrivermi mi preoccupa e mi addolora. Ti chiedevo anche in quella lettera francamente un altro piccolo aiuto per questo mese. Intendiamoci: la mia posizione al giornale,6 per tanti riguardi, non è sicura, e non è ancora tale da potermi assicurare da ogni necessità, ma io l’ho accettata e cerco di sostenerla più che posso, soprattutto per vedere di alleggerirti del carico della mia persona. Ci riuscirò? È difficile il dirlo. Tu sai a quali oscuramenti va soggetta la mia intelligenza col continuo lavoro. Eppoi io mi accorgo, ogni volta che mi decido ad avvicinarmi alla vita pratica, che la gente non ha intenzione di contentarsi di quel che io stimo di poter fare, vuole molto di più, tende a sequestrarmi; e se per poco io mi difendo rischio di diventare intollerabile, antipatico. È quel che mi potrebbe accadere con Naldi, lo vedo bene. E niente di straordinario che da un momento all’altro dovessi esser messo nella condizione di andarmene, ma come ti ripeto ci tengo a stare qui, e farò di tutto. Ora uscirà una grande rivista, sempre del Tempo.7 Sarebbe anzi bene che tu

1 Si tratta sempre del manoscritto delle Memorie del tempo presente. Vedi lett. 120, 122-124. 2 Vedi lett. 125. 3 R. BACCHELLI, Soldati francesi in Italia, «Il Tempo», 7 febbraio 1918. 4 Comune in provincia di Mantova. 5 Bacchelli aveva conosciuto da pochi mesi la sua futura moglie, Ada Fochessati. 6 «Il Tempo» di Roma. 7 Le uniche informazioni che si hanno sull’intenzione di realizzare una rivista collegata al «Tempo» si evincono dalle lettere che Cardarelli inviò nel mese di febbraio a Carrà (cfr. EPISTOLARIO II, lett. 503-504) per informarlo e coinvolgerlo nel progetto. Questa rivista «[…] alla quale Papini vuol dare un carattere teorico spiccato» sarebbe stata per Cardarelli «una buona occasione per tutti, dato che se ne abbia volontà, per mettere in chiaro i nostri principii» (ivi, p. 622). Tuttavia Cardarelli sapeva che non sarebbe stato un progetto facile da realizzare poiché, sempre a Carrà, scriveva: «Questa rivista può riuscire e non riuscire.

274 potessi esserci in mezzo. In ogni modo manda delle cose. Mandale a me a Naldi, a chi credi. Cose letterarie. Papini è, secondo me, un uomo impratico, che ha poco da dire. Si sa quali sono i suoi amici, e che razza di zavorra può procurare. È una cosa di cui Naldi s’accorgerà un giorno o l’altro. Non voglio dire di più. Non che io tenga a sostituire Papini, il Ciclo mi guardi da queste balzacchiane fantasie. Ma ho la coscienza che in Italia esistono oramai forze che Papini non si sogna neppure e che agiscono fuori della sua sfera. Bisognerebbe cercare di servirsi di questo mezzo che può essere la rivista per far valere qual noi siamo elegantemente e con indipendenza. Ti pare una buona idea quella di andare in Francia? Oppure ci vai per ragioni sentimentali? Vai a scoprire le sorgenti del fiume pensoso? Basta, non voglio avere l’aria di tener troppo a te per ragioni che ti potrebbero sembrare personali. La vita è pochissimo opportuna. Si riconosce troppo presto, ci si divide quando più sarebbe il caso di rimanere insieme. Per conto mio sono, per non dire orgoglioso, troppo fatalista per recriminare. Se vai in Francia ricordati di scrivermi qualche volta, è tutto quel che ti chiedo. Ma intanto dovevo esaurire un argomento pratico. Il quale si riduce momentaneamente al bisogno che ho tra pochissimo di pagare la pigione di casa. Ciò che ho guadagnato in questo mese al Tempo (io lavoro a un tanto ad articolo) non basta a coprire tutte le spese. Se tu puoi mi farai un grande favore. Non credere ch’io vorrei usufruire di te se non ne avessi bisogno. Spero che mi metterò a posto. Dico spero. Ma intanto è un fatto che ancora non lo sono.

Dipende dalla buona volontà di quelli che ci scriveranno. Sai quanto siamo pochi ad avere delle idee in Italia. E come sono rare le occasioni che ci si presentano per manifestarle. Io dico che tu potresti considerare questa rivista come un campo naturale per la tua attività critica e letteraria». Come paventato, difatti, il progetto stentava a partire e Cardarelli scrisse nuovamente a Carrà per pregarlo «di mandare al più presto qualche cosa» e soprattutto per spingere «Papini a fare questa rivista, perché pare un poco impigrito e preoccupato di lavorare con noi, che non siamo i soliti giovanetti innocui» (ivi, p. 623). Tuttavia il fallimento dell’iniziativa è siglato da una disillusa affermazione di Cardarelli che ormai ad agosto del 1919 scriveva a Carrà: «Qui al Tempo la mia autorità cresce a misura che io me ne voglio andare. Pensano sempre di fare una rivista letteraria e dicono che contano molto su me. Staremo in ogni modo a vedere»; tuttavia, la rivista non si realizzò più. Inoltre, incrociando le testimonianze dei carteggi coevi, sembra chiaro che solo Cardarelli fosse realmente entusiasta di questa iniziativa, poiché lo stesso Papini, scrivendo ripetutamente a Soffici della sua attività al «Tempo», proprio in questo periodo (gennaio-febbraio 1918), non fa alcun cenno ad una rivista di prossima uscita (G. PAPINI, Catalogo della mostra, a c. di M. Marchi e J. Soldateschi, Firenze, Vallecchi, 1981). Si precisa in questa sede che la lettera di Cardarelli a Papini inserita in EPISTOLARIO II con la data 6 gennaio 1918 è in realtà mal datata (si tratta infatti del 6 gennaio 1919) e non si riferisce a questa rivista di cui parla Cardarelli nel gennaio 1918, bensì a «La Ronda» (Cardarelli infatti scriveva in quella lettera: «Io mi sono temporaneamente dimesso dal Tempo come avrai visto forse sul giornale stesso. Per dedicarmi interamente alla rivista. Questa uscirà nei primi di marzo. […] Immagino questa rivista come una Voce più adulta: meno polemica e meno bibliografica, più fattiva. Non so cosa ne uscirà fuori. Sarebbe bene che noi ci guardassimo insieme dai troppo vecchi e dai troppo giovani. Per questo io sarò anche un anticrociano sui generis»). La lettera è trascritta con la data esatta in ivi, p. 106.

275 E ora addio e auguri per tutto quel che farai. Ti prego di non lasciarmi senza risposta. Che cosa è successo tra me e te da qualche tempo? Credo nulla. Allora perché non mi scrivi? Basta, sta bene e credimi tuo V. Cardarelli

[128] Tre fogli sciolti, scritti sul r, intestati: «IL TEMPO/ GIORNALE DEL MATTINO/REDAZIONE»; busta con la stessa intestazione indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 5.2.18, timbro postale di partenza non leggibile. L’autore aveva segnato come data il 4 gennaio 1918, ma il timbro attesta con sicurezza che la lettera fu spedita nel mese di febbraio.

276 [129]

Roma, li 23 II 1918 Piazza Montecitorio, 121

Caro Bacchelli, sapevo da Saffi che tu non saresti andato più in Francia. Mi duole però di non poterti vedere. Ora io faccio una vita tutt’altro che lieta. Non sono riuscito ancora a trovarmi un’abitazione dove possa trovarmi bene e tentare di lavorare e credo che non ci riuscirò. Neppure coi soldi che tu mi hai mandato. Roma s’avvia ad arrivare al milione di abitanti. È una pletora di gente di ogni genere, un tumore demografico in tempo di guerra. Non c’è più posto per noi che vi eravamo da prima. Ora ho trasmigrato da Via Due Macelli a Via Martino Depretis (Galleria Margherita scala prima) ma tu per essere più sicuro scrivimi sempre d’ora in avanti al Tempo; e scrivimi spesso. Comunque sia spero di rientrare presto nell’ordine. Questo esordio giornalistico, mi ha portato via tempo, salute e illusioni. Ho finito per vivere di notte e dormire di giorno come un bolognese. Ho passato qualche notte con Naldi – mi accorgo che la frase è piuttosto significativa. Io sto qui dentro non si sa in forza di quale miracolo. Io sono così poco politico, così poco gaudente! Bisogna proprio che Naldi abbia qualche riserva d’ingegno veramente fino per prendermi in considerazione – sebbene tra me e lui ci siano sempre dei rapporti piuttosto di stima intellettuale che di profonda fiducia, direi meglio di confidenza amichevole. E in quanto a me farei bene a andar a letto prima. Non so cosa dirti sulle critiche di Barilli.1 Io vi ammiro molto certe nitidezze di scrittore. Barilli è un uomo da conoscere a fondo per perdonarlo di tutto e volergli bene. Le tue osservazioni su Debussy le ho fatte io prima a lui, ma è inutile discorrere. Io sono troppo poco pittore nel senso spagnolo della parola per descrivere la personalità di Barilli. C’è un po’ di trucco in lui, dal modo come si veste, dai capelli, dal suo genere di vita si può

1 Nel 1918 Bruno Barilli iniziò ad occuparsi di critica musicale per «Il Tempo», con uno stile molto personale e per alcuni aspetti particolarmente eclettico che connoterà tutta la sua produzione saggistica. Il «barillismo», come lo definisce Biondi affrontava infatti le cronache di concerti e spettacoli in maniera non usuale ma con una «trascrizione immaginosa dei propri elementi, con carattere essa stessa di creazione artistica» (A. BOCELLI, Barilli, Bruno, DBI, 1964, vol. 6, p. 369). Stile evocativo, impressionistico, a tratti baroccheggiante per il gusto espressivo metaforico tendente al surreale, con un periodare lirico che, nonostante il carattere eccentrico, riprendeva molti tratti del frammentismo lirico dei vociani e dell’ambiente rondista. Le sue cronache erano quindi piuttosto delle prose liriche in cui l’afflato creativo e poetico emergeva dalla nudità del dato cronachistico. Tuttavia, come afferma Biondi «è una pirotecnica tutta stilistica quella barilliana, un “ordinato tumulto” la sua scrittura ed è in fin dei conti questo ordine stilistico, questa estrema osservanza ai canoni dello stile che tornano ad apparentarlo ai neoclassici della Ronda» (M. BIONDI, «La Ronda» e il rondismo, cit., p. 677).

277 conoscere il tipo. Però superate le prime impressioni vi si possono scoprire delle forti e impensate qualità. È vero che ci vuol molta pazienza, e anche una certa disposizione alla vita randagia e perduta; cose che non è necessario possedere. Tu intanto cerca di lavorare e mandami al più presto la cosa che mi hai promesso. Papini si deciderà a dare un seguito a quest’idea della rivista2 quando avrà sottomano della materia. Per ora non sembra molto entusiasmato e ne ha ragione – la prospettiva di lavorare con noi non dev’essere per lui molto allegra. Ma sta tranquillo che finirà per farla. Quando mai Papini si è rifiutato di fare qualchecosa? Il povero Spadini è seriamente malato. Ha la nefrite capisci? E pare che progredisca. Io non oso credere che si tratti d’una cosa così grave come temo che sia. Ma spero di sbagliarmi. Dio mio che brutta cosa. Stasera parlavamo di te ed egli ti ricordava con molta nostalgia. Come vanno i tuoi amori? Cerchiamo di non lasciarci prendere da quest’aria di perdizione che grava su di noi. Io non sono partigiano delle resistenze stoiche, non credo che ci sia modo di rendere la melanconia conciliabile con la vita. Parlo per conto mio. E forse non so quel che dico. In fondo il mio desiderio attuale sarebbe che ci fossero molte prime teatrali per aver modo di scrivere e di stordirmi. Ho la mania di scrivere io che ne ho così poco l’attitudine. Addio. Felice che tu sei innamorato. Anche io lo sarei se la serietà me lo concedesse. Ma non posso esserlo senza il dubbio di diventar ridicolo. Di fare in ogni modo una cosa insignificante. Ti saluto anche a nome di Barilli. tuo Cardarelli

[129] Due bifolii, nel primo sono scritte le pp. 1 e 3, del secondo solo la p. 1, entrambi intestati: «IL TEMPO/ GIORNALE DEL MATTINO/REDAZIONE»; busta intestata: «IL TEMPO/ GIORNALE DEL MATTINO/ROMA», indirizzata «Signor/ Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; timbri postali di partenza ROMA-FIRENZE 25.2.18, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 26.6.18.

2 Vedi lett. 128.

278 [130]

[12.3.1918] Roma Piazza Montecitorio, 121

Caro Bacchelli, ho letto la tua lettera con molto piacere. Oggi non ti rispondo che per farti una preghiera: cerca di lavorare un poco anche per il nostro giornale.1 Trova un argomento qualunque: critica, varietà, quello che vuoi. E mandami più presto che puoi un articolo. È una preghiera che ti faccio anche a nome di Papini.2 Il nostro giornale ha bisogno per questa parte di buoni nomi, e sono certo che tu ci vorrai aiutare. Perché non fai fare qualche articolo anche a Mario? Chissà che non ci riesce. Sono lieto che tu lavori. Io per me sono un po’ giù. Spero però di rialzarmi. Intanto ti saluto con molto affetto e spero di ricevere presto una tua lettera. Tuo affmo Cardarelli

[130] Biglietto non datato, intestato: «IL TEMPO/ GIORNALE DEL MATTINO/REDAZIONE»; busta con la stessa intestazione indirizzata «Signor/ Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; la data della lettera è ricavabile dal timbro postale di partenza ROMA-FERROVIA 12.3.1918, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 13.3.18.

1 «Il Tempo». 2 A Papini era stata affidata la direzione della terza pagina de «Il Tempo».

279 [131]

[Roma 4.4.1918]

Caro Bacchelli, due righe in fretta, d’ufficio. Mandami subito un altro artic, anche per desiderio di fretta. Scegli un bell’argomento. Quello su Morandi1 andava benissimo. Ciao Ti riscriverò subito tuo Cardarelli

[131] Un bifolio, scrito solo a p. 1, non datato, con lo stemma della Camera dei deputati; busta indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data della lettera è ricavabile dai timbri postali di partenza […] ESPRESSO 4.4.18, timbro postale di arrivo a Bologna non leggibile.

1 R. BACCHELLI, Giorgio Morandi, «Il Tempo», 29 marzo 1918.

280 [132]

[Roma, inizio maggio 1918]

Caro Bacchelli, non so che cosa tu dirai del mio silenzio, che tentai di rompere tempo fa con un breve biglietto1 il quale sono in dubbio se ti sia arrivato. Ti prego di non scambiarlo per trascuratezza o ingratitudine. Il Tempo ha alquanto scombussolato le mie abitudini. Vado a letto quasi sempre alle 3 o alle 4 di notte, per il solo gusto di star su a chiacchierare e ad arrabbiarmi nelle sale di questo mirifico giornale, mi alzo dopo mezzogiorno, vado a mangiare tre uova all’Aragno e la giornata è bell’e andata. Se ho un minuto possibile per mettermi a tavolino finisco sempre per scrivere altro che lettere. Ho tanti progetti per il capo, tante idee, tante voglie. Ma non faccio quasi nulla come vedi. Finisco quasi sempre per andare da una donna. Lì mi punisco da ogni inquietudine. A caro prezzo, ma non importa. Il tuo articolo2 è composto e andrà uno di questi giorni. Abbi pazienza, riceverai anche il compenso come è giusto. Credo ti manderanno 60 lire per i due primi articoli che […] e 50 per questo. Poi Naldi regolerà un po’ meglio anche questa faccenda se ne avrà voglia. Per ora sta a Napoli. In quanto a me devi convenire che ho una bella persistenza. Aver cominciato per ischerzo, non essermi mai convinto a fare questo mestiere sul serio e seguitare a farlo è un caso di dilettantismo che merita di essere ricordato. Del resto che cosa farei? Eppoi ormai ci si mette di mezzo anche la necessità materiale. Nel mio biglietto ti parlavo anche del tuo articolo. Ora non avrei voglia di fare una fatica intellettuale. Mi è sembrato bellissimo. Tutta quella parte su Tintoretto è eccellente e piacerà molto sta sicuro. Insomma felice tu che riesci ad equilibrarti così bene anche in un articolo. Vorrei che tu mi facessi sapere da Raimondi quali sono questi giornali che avrebbero parlato del 2° numero della Raccolta3 notando le mie cose. Capirai, è una vanità legittima.

1 Vedi lett. 131. 2 R. BACCHELLI, Immagine di Venezia, «Il Tempo», 9 maggio 1918. 3 «La Raccolta», rivista mensile bolognese fondata e diretta da Giuseppe Raimondi. Ne uscirono 12 numeri, dal marzo 1918 al febbraio 1919. Cardarelli e Bacchelli furono alcuni dei più assidui collaboratori. Sul secondo numero della rivista (aprile 1918) Cardarelli aveva pubblicato le prose Voce di donna, Paesaggio, Autunno.

281 Ma temo che si tratti dei soliti Avvenimenti.4 C’è anche un tale che mi scrive da Parma assicurandomi di aver letto un mio sensatissimo articolo sopra una rivista emiliana. Ne sai nulla tu? Ci sono riviste in Emilia? Sarà la Romagna?5 È possibile che abbiano ripreso un articolo del Tempo. Anche questo sarebbe buono a sapere. E giacchè ci sono ti darò ancora un impiccio. Mandai quella prosa sulla Donna6 a Raimondi. Se non è ancora composta avrei una correzione da fare. Terza parte, prime righe, là dove dice lontananza piena di voluttuosi ritegni o qualchecosa di simile, vorrei mettere semplicemente: lontananza ostinata, e siamo a posto. Se si può fare prima questa correzione è sempre meglio. Ora dammi tue informazioni e fa il favore di scrivermi. Io non ho altro da dirti per oggi. Ho finito trent’un anni il primo maggio, sono sempre più melanconico e svogliato. Aspetto che esce il mio libro7 per vederne l’effetto. E tu? Il tuo dramma?8 Che io te lo debba far rappresentare? Insomma spero che me lo manderai a vedere quando ti parrà il caso. E sarebbe anche bene che tu cercassi di venire qualche giorno a Roma. Non ti dico che piacere mi farebbe. Sta bene e credimi Tuo affmo V. Cardarelli

[132] Tre strisce di carta scritte sul r, non datate. Da due riferimenti citati nella lettera è possibile fissare il teminus post quem al 1 maggio (compleanno del poeta ricordato nella lettera) e il teminus ante quem al 9 maggio, data di pubblicazione dell’articolo di Bacchelli Immagine di Venezia, di cui Cardarelli annuncia la composizione in tipografia. La lettera è collocabile quindi nei primi dieci giorni del maggio 1918.

4 «Gli Avvenimenti», settimanale illustrato milanese fondato da Umberto Notari nel 1915; alla rivista collaborarono molti futuristi, i quali tentarono all’inizio di sostituire il giornale di Notari all’esperienza ormai conclusa di «Lacerba», progetto che tuttavia non ebbe seguito per l’opposizione del direttore. 5 «La Romagna» rivista mensile di storia, arte e lettere, fondata a Forlì nel 1906 da Gaetano Gasperoni. 6 Cardarelli aveva inviato la prosa intitolata Donna a Raimondi il 24 aprile 1918 segnalando per il medesimo passo qui citato una prima variante: «Caro Raimondi, le ho mandato or ora un pezzo per la Raccolta intitolato Donna. Mi viene in mente una correzione da fare che può lei stesso nella pagina prima di darla a stampare. Nella terza parte (prime righe) dove dice: angosciosi auguri, metta, per favore: voluttuosi ritegni» (EPISTOLARIO II, p. 625). Il testo apparve su «La Raccolta», n. 3, maggio 1918. 7 I Viaggi nel Tempo. Vedi lett. 123. 8 Bacchelli aveva appena composto l’Amleto, una personale riscrittura del dramma shakespeariano che pubblicherà poi a puntate su «La Ronda», vedi lett. 135-37, 141, 146-148, 150.

282 [133]

[22.5.1918] Roma Piazza Montecitorio, 121

Caro Bacchelli, ti ringrazio per la religione con la quale conservi le mie lettere. Peccato che io, costretto a girare, ho dovuto periodicamente stracciare le tue come quelle di chiunque altro. Mi verrebbe voglia di richiederti quelle lettere per farne una selezione a modo mio e credo che ne rimarrebbero poche. Sono tanto povero scrittore di lettere quanto sono cattivo giornalista. Mi ricordo benissimo di quelle che ti scrissi da Lugano.1 Basta, tu che sei più fedele cerca un po’ di salvare qualche cosa della nostra giovinezza che fu veramente straordinaria in qualche momento e abbi cura di ricordarmi senza mettermi troppo nell’ombra. Tra poco uscirà il mio libro,2 e mi pare di aver concluso un periodo sul quale mi sarà difficile ritornare. Non so poi cosa potrò fare in seguito. Mi pare di esser un vulcano spento che seguita a mandar fuori di quando in quando polvere e fumo. Ma la mia vecchia fiducia nel tempo non mi abbandona, solo che ora mi sarà più difficile partire al momento opportuno quando la stagione é arrivata e lo vuole. M’accorgo che io non ho mai preso sul serio la vita e ora tutto ciò che fa parte dell’esistenza mi si presenta come una serie di fatti comuni, conosciuti non so quando, che la penna si rifiuta anche di scrivere tanto mi sembrano volgari. E tu puoi fare invece dei drammi. È stato sempre il mio ideale fermarmi in qualche opera di vita, obiettivo come tu dici. Non ci riuscirò. Forse potrò dare, io che sono un uomo così semplice, così poco artista, qualche nuovo senso di stile. Il mondo naturale seguita a farmi impressione. Anzi per me è tutto da scoprire. Dove andremo? Verso quali decadenze? Mastico amaro. Di più io seguito molto stupidamente a soffrire. Assisto a delle vacillazioni organiche spaventose. Io mi alleggerisco e mi diverto a provare sensazioni al fondo di esaurimenti che sembrerebbe impossibile tollerare. Forse son troppo sano. Senza gli squilibri e le desolazioni che accompagnano passo passo la mia vita quotidiana mi ridurrei all’idiozia. Ma ormai sappiamo che non val pena di discorrere e non c’è che andare avanti, senza temere nulla.

1 Vedi lett. 27-8. 2 In realtà Facchi continuerà a rimandare la pubblicazione dei Viaggi nel Tempo ancora per molto (vedi lett. 144).

283 Mandami l’articolo appena lo avrai fatto, scrivimi e sta bene. Credo che il mio libro avrà un certo successo. E non mi chiedo altro. Di nuovo a rivederci tuo V. Cardarelli

[133] Un bifolio, scritte le pp. 1-3, non datato, intestato: «IL TEMPO/ GIORNALE DEL MATTINO/REDAZIONE»; busta intestata: «IL TEMPO GIORNALE DEL MATTINO», indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; la data della lettera, non indicata dall’autore, è ricavabile dal timbro postale di partenza […] CENTRO 22.5.[…], timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 23.5.18.

284 [134]

[16 giugno 1918] Roma Piazza Montecitorio, 121

Caro Bacchelli, ho ricevuto il tuo articolo.1 Bellissimo. Va stasera. Avrei da dirti tante cose e scusarmi con te dei miei lunghi silenzi, ma non saprei da che parte cominciare. Eppoi non ho voglia di uscire come mezze parole da questo stato di abbrutimento in cui mi trovo. Desidererei vederti questo si. So che hai scritto ance un articolo su Baudelaire.2 Vuoi dunque confonderci tutti con la tua operosità? Spero di leggere presto anche questo e di ricevere da quel che tu scrivi qualche spinta benefica. Però ora sono al limbo, qualche cosa di più che l’inferno. Le donne mi vengono intorno come le zanzare. Devo essere abbastanza imputridito. Il bello è che non m’importa di nulla, e non so per quale strada uscirò da questa situazione. Forse un viaggio in Cirenaica? Sarebbe una bella avventura andare a prendersi una sifilide maomettana. Insomma io credo di avere qualche disegno ma molto inesplicabile e vago. Addio, scrivimi. Io penso continuamente con rimorso a questo nostro insignificante silenzio reciproco. Ti accludo una cosa da nulla d’un mio amico che ti prego di passare a Raimondi per la Raccolta. Ma non te ne dimenticare come facesti della correzione di Donna3 che uscì piena di errori e perfino con delle frasi omesse. Questo Frateili4 è un cognato di Baldini. Brodo di giuggiole. Ma tu cerca di non mettere Raimondi sull’avviso, anzi fa in modo di farglielo bere che non ci sarà un gran male. Capirai voleva mettere questa roba sul Tempo e l’unico modo per liberarmene è questo che ho pensato. Spero che andrà bene. Mi auguro che esca presto il mio libro.5 Come vanno le tue memorie?6 Manda il dramma.7

1 R. BACCHELLI, Paesaggi di fantasia, «Il Tempo», 17 giugno 1918. 2 R. BACCHELLI, Charles Baudelaire, «La Raccolta», a. I, n. 4, 15 giugno 1918, pp. 55-57. 3 Vedi lett. 132. 4 Arnaldo Frateili (1888-1965) poeta, narratore e critico cinematografico che aveva sposato Emilia Cecchi, cognata di Antonio Baldini. Frateili esordì in poesia nel 1907 con il volume Preludio, per dedicarsi poi all’attività giornalistica dal 1918, divenendo redattore de «Il Messaggero della domenica» e responsabile della terza pagina de «L’Idea Nazionale». Nel 1924 fondò con Bottai «Lo Spettatore italiano» e dal 1925 collaborò con «La Fiera letteraria». Infine, dagli anni trenta, avviò la sua carriera di romanziere. 5 Viaggi nel Tempo, vedi lett. 132. 6 Bacchelli stava lavorando alla stesura delle Memorie del tempo presente. 7Si tratta dell’Amleto, vedi lett. 132, nota 8.

285 Per oggi ti saluto. Tuo aff.mo

V. Cardarelli

[134] Tre fogli sciolti scritti sul r, non datati, il primo intestato: ««IL TEMPO/ GIORNALE DEL MATTINO/REDAZIONE». Grazie al riferimento di Cardarelli alla pubblicazione dell’articolo di Bacchelli Paesaggi di fantasia, uscito su «Il Tempo» del 17 giugno 1918, è possibile datare la lettera al 16 giugno, poiché Cardarelli afferma che l’articolo sarebbe stato impaginato la sera stessa, ovviamente per il giornale del giorno dopo.

286 [135]

Roma, li 29 VI 1918 Piazza Montecitorio, 121

Caro Bacchelli, ho ricevuto e letto immediatamente il tuo dramma,1 il quale mi ha molto interessato e dato da pensare. Credo che sarà bene rimettere ogni giudizio su questo tuo lavoro a quando ci vedremo, se tu verrai presto come spero. Per ora non avrei idee chiare per potertene dare un giudizio serio. L’ho letto una volta sola e piuttosto di volata. Mi sembra che la prima parte sia la migliore. Vi ho riconosciuto le traccie del tuo recente amore e forse chissà che tutto il dramma non sia stato scritto sotto l’influenza di una tale avventura. Purtuttavia quell’Ofelia che ha marito è una novità di cui non si scorge obiettivamente il significato. Molte cose ci sarebbero da dire su quest’idea che tu hai avuto di rifare l’Amleto, lasciando forse eccessivamente intatto lo scheletro shakespeariano. Ne risulta qualche cosa che in certi momenti ha l’aria di essere un duplicato puro e semplice. Come un’imitazione dell’inglese di Shakespeare o del tedesco di Goethe come ne faceva Leopardi del greco di Simonide o che so io. Un atteggiamento simile, quale tu hai avuto poteva produrre una specie di parodia, di rifacimento critico, tipo Wilde2 o Laforgue, cosa che tu non hai fatto perché troppo seriamente e drammaticamente preoccupato. Allora ci sarebbe da domandarti per qual ragione volendo dire cose assolutamente tue sei andato a ricorrere a Amleto, senza pensare alle conseguenze a cui andavi incontro col creare nella testa nel lettore una sorta di equivoco da cui ci si libera di rado. È stato forse per un soverchio disprezzo della materia, del contenuto, dell’idea, non sufficientemente corroborato d’ironia. Nell’insieme questo dramma è un magnifico documento filologico, voglio dire un esempio di stile che potrebbe avere una strana importanza culturale, ma non credo che tu abbia voluto fare opera di divulgazione letteraria. Non so se mi esprimo con chiarezza. In ogni modo lo vedrei con sommo piacere pubblicato. Mi piacciono assai le scene d’amore, sebbene in questo caso io sarei stato assai più pedissequo di te e avrei senz’altro ricalcato l’aridità sentimentale di Amleto mettendogli in bocca delle ironie atroci, insultando addirittura. Amleto innamorato e che riesce ad esprimere il suo amore così bene non lo so immaginare. Il dramma comincia ad accelerare

1 Vedi lett. 132 e 134. 2 Lo stile salace e sferzante, ironicamente pungente era tipico di Osca Wilde, soprattutto negli aforismi e opere drammaturgiche.

287 e a precipitare, se non sbaglio, dopo il terzo atto quando Amleto esce disincantato dall’amore. Quel modo di congedare Ofelia è finissimo, dico letterariamente, le parole disperate che dice quando rimane solo fanno camminare. E la fine anche è bella e commovente, ma è semplice. Bada di non affrettare il tempo e non voler morire troppo presto. Mi pare che tu componga nella bara un innocente. Potresti cadere, senz’accorgertene, nell’elegia. Ma queste non sono obiezioni, lo so bene. In conclusione tu sai quel che c’è di bello qui dentro, non ho bisogno di dirtelo io. Originale anche dal punto di vista obiettivo, è quel certo senso della natura che tu presti ad Amleto e che ti da modo di scrivere qualche pagina molto bella. Tanto per fare qualche accenno qua e la: mi piace la preghiera della madre, le poche parole che dice Ofelia dopo il definitivo addio etc. etc. Vi sono momenti in questo dialogo seriamente drammatici. Molte cose tuttavia rimangono informi e non abbastanza rilevate. Il tuo coraggio nell’assaltare una materia così delicata merita tutta la mia ammirazione. Io vorrei farti intendere come qualche mia perplessità non diminuisca la gioia e lo stupore che ho avuto nel leggere questo tuo lavoro. E bada che non pretendo di avere ragione sia in tutto sia in parte giacché mi sento molto abbattuto e bisogna come ti ho detto che torni a rivederlo da capo. Se penso però alle Memorie3 trovo che li ci sono degli squarci di una violenza profonda e nativa che qui non trovo. Qui mi hanno perfino meravigliato certe debolezze, dirò così, di frasario che non ti sono abituali, specie nell’ultima parte, e che forse dipendono dall’impazienza che avevi di condurre a termine questo tuo lavoro. Di tutto ciò parleremo ancora quando verrai. Spero che le mie parole non ti faranno impressione. Tu sei un uomo sicuro e laborioso, hai molta zavorra nel carico. Cosa, come puoi capire, invidiabile. In quanto a me ho ancora degli scrupoli dei quali credo non mi libererò mai. Ho la mania di ricercare e isolare i frammenti essenziali. Se facessi un dramma vorrei cominciare a lavorarlo per di dentro criticamente. Ed è per questo che non lo farò mai. Vorresti leggerlo assieme con me questo tuo lavoro? Soltanto così mi sembra che sarebbe possibile intenderci. Esito a mandarti questa lettera così poco rispondente al mio vero pensiero. Ma tu mi conosci. Sai che comincio sempre dalle parti negative e sottintendo il resto. Cosa potrei ormai rivelarti di nuovo col mio modo di criticare? Farò leggere il dramma a Saffi. Egli te ne darà un parere più riposato.

3 Vedi lett. 120 e 123.

288 Un critico drammatico ti direbbe che in questo dramma c’è molta filosofia e poca azione, ma continuiamo ancora, se dico male, in questi termini. In ogni modo non sempre questa tua filosofia è sufficientemente astratta e appassionata per sostituire il linguaggio volgare. Prendi le tue precauzioni. Addio caro Bacchelli. Volevo scriverti due righe e ho finito per dilungarmi ma non ho più forza di seguitare. Fammi sapere quando verrai credimi sempre il tuo Cardarelli

[135] Cinque fogli sciolti, scritti sul r, tranne l’ultimo scritto sul r e sul v, tutti intestati: «IL TEMPO/ GIORNALE DEL MATTINO/REDAZIONE».

289 [136]

Roma [29 giugno 1918]

Caro Bacchelli, ho riletto il tuo dramma e ne ho avuto un’impressione assai più chiara di quel che ne ebbi alla prima lettura. È pieno di belle cose. Soprattutto mi meraviglia il riposo dello stile. Credo di averti detto confusamente nell’altra mia tutto quanto ti vorrei dire di positivo, ma riesce sempre ugualmente difficile parlartene senza aver dinanzi il manoscritto. Vorrei sapere da quanto tempo avevi idea di scrivere questo dramma, quanto ci hai messo insomma per concepire il disegno. È un lavoro abbastanza complesso che tu hai fatto la cui importanza anche storica sarà difficile che possa sfuggire. Vi hai trovato modo di dire molte cose, a prescindere dalla poesia che ci hai messo. Se stessi bene ci scriverei subito un articolo, ma purtroppo ho degli indizi d’anemia cerebrale. È la prima volta che una cosa uscita dalle tue mani mi fà tanto faticare. Voglio anche astenermi dal parlarne per ora per una delicatezza che tu comprenderai. Mi parrebbe di partecipare a una festa alla quale non fossi invitato. Non so se Saffi ha parlato di una rivista1 che avremmo intenzione di fare con capitali di Parodi,2 suo cognato. Si tratterebbe di una cosa molto seria da avviare in cinque o sei persone fra le più letterate dopo essersi assicurato una certa riserva di lavoro da smaltire via via nella rivista. Perciò sarebbe necessario vederci, e, se è possibile, bisognerebbe che tu mi potessi allontanare dal Tempo dove non faccio che rovinarmi la salute e lo spirito senza alcuno scopo. In tal senso dicevo sarebbe bene che tu riservassi il tuo dramma a noi per pubblicarlo a puntate. Questa rivista si potrebbe forse fare a Bologna. Io chiederei a Parodi duecento franchi al mese come collaboratore e impiegato di redazione. Non credere che sia un proposito campato nelle nuvole. Dimmi cosa ne pensi. Intanto, se ci penso, trovo che ho scritto sul Tempo una serie di cronache non malvagie anche dal punto di vista dello stile con le quali si potrebbe comporre un libercolo alla fine dell’anno,3 tanto per non poter dire di aver del tutto sprecato questi mesi. Sai come io sono avaro.

1 Questo è il primo accenno dell’epistolario alla futura «Ronda», alla quale Cardarelli si riferirà, d’ora in avanti, ogni qual volta accennerà alla rivista da farsi. 2 Luigi Parodi, armatore genovese, cognato di Aurelio Saffi e futuro finanziatore de «La Ronda». 3 Il progetto non ebbe seguito anche se in una lettera a Papini del 6 gennaio 1919 (vedi lett. 128 nota 7 a proposito della corretta datazione di questa missiva) Cardarelli si presentava come l’autore dei Prologhi, dei Viaggi nel Tempo e, scriveva all’amico, «puoi accennare a un volume di cronache drammatiche» (EPISTOLARIO II, p. 617), ribadendo la sua intenzione anche alla fine del mese scrivendo a Cecchi: «Piuttosto io ridurrò in un volume le mie cronache teatrali, così tu le leggerai» (ivi, p. 637). Nel gennaio 1919 infatti

290 Darò queste sere il tuo dramma a Saffi, egli te ne scriverà. Intanto perdonami se io non so darti altro che un’impressione generica e vaga del vivo effetto che ha prodotto su me un lavoro come questo dopo tanto tempo di smarrimento e depressione. Ti saluto da parte di tutti. Tuo Cardarelli

[136] Due bifolii, di ognuno sono scritte le pp. 1-3, non datati, intestati: «IL TEMPO/ GIORNALE DEL MATTINO/REDAZIONE». Busta intestata «IL TEMPO/ GIORNALE DEL MATTINO»; la data della lettera è ricavabile dal timbro postale di partenza, sebbene poco leggibile ROMA 29.6.18.

Cardarelli aveva ben maturato l’intenzione, nata poco dopo l’inizio della sua collaborazione al «Tempo», di raccogliere la sua produzione di critico teatrale in un volume, ma il progetto non ebbe effettivamente seguito in una pubblicazione.

291 [137]

Roma, [8 luglio 1918]

Caro Bacchelli, come ti dissi io in questo momento sono tutt’altro che in grado di pronunciar condanne e neppure giudizi. Il tuo dramma1 ho ancora bisogno di rileggerlo comparandolo con l’Amleto originale,2 mi è nata in ogni modo questa curiosità, dopo di che potremo ragionare ancora se non ti dispiace. Qualcuna delle tue obiezioni fatte alla mia lettera mi convince, altre no. L’atteggiamento di Amleto davanti allo spettro del padre è veramente originale ma io ero rimasto sbalordito e perplesso dall’empietà, diremo così, della situazione. Ora capisco che si può interpretare assai più efficacemente in senso metafisico. Del resto è una novità che non mi era sfuggita, come non mi sono sfuggite tante altre cose. La prima scena con lo spettro per esempio è bellissima compreso il particolare del sonno di Orazio. Non capisco come tu possa essere rimasto seriamente inquieto dalle mie osservazioni, le quali, in qualunque caso, tu sai sopra quali supporti sono fondate. Figurati che io penso di fare leggere questo dramma a Ruggeri3 quando verrà e se io mi troverò ancora a questo posto, perché mi sembra che si potrebbe anche tentare l’avventura di rappresentarlo. In quanto all’onore di pubblicare questo dramma sulla rivista,4 se si farà, lasciamo da parte i complimenti. Il non affrettarmi a parlarne poi è segno che io mi sento poco in gamba per tentare di sciogliere un simile voto e non voglio consolarmi di questo facilmente rovesciandomi sopra il tuo lavoro. Non pensavo affatto a quel che mi scrivesti da Mantova. Voialtri emiliani siete gente fantastica, ma io che ti conosco non m’impressiono. Vorrei che tu venissi a Roma al più presto. Qui tutti ti si aspetta. Saffi andrà via dopo il quindici. Sua moglie comincia a diventare impossibile e prima di mandarla a rigovernare in villeggiatura mi piacerebbe farla assistere a una scena del genere di quelle che le approntammo una volta capitandole in casa ubbriachi. Sono esercizi di mortificazioni di cui credo abbia bisogno per tenere a posto la sua detestabile educazione francese. Poi c’ è

1 Vedi lett. 132, 134-135. 2 L’Amleto shakespeariano. 3 Ruggero Ruggeri (1871-1953) attore teatrale che impose un nuovo stile recitativo tra fine Ottocento e primo Novecento. Di gran rilevanza fu la sua interpretazione de La figlia di Jorio di D’Annunzio, ma celebri rimasero le sue performance nei drammi pirandelliani, di cui fu il più famoso interprete. 4 La futura «Ronda».

292 Pasqualina5 e Spadini, gente con la quale si può divertirsi. E Lebrecht6 un ebreo abbastanza intelligente che scrive anche bene. Saffi dice che rimarrebbe qui ad aspettarti se te ci sapessi dire press’a poco quando verrai. Mi sai dire che cosa ha detto Cecchi del tuo dramma? Da quanto tempo che non gli scrivo! L’idea di stampare la rivista a Bologna era di Parodi. Io non sono così semplice come tu puoi credere. In ogni modo non pensavo di venirmi a stabilire in questa città. Se mai era perché tu essendo a Bologna l’avresti potuta curare. Anche per questo occorrerebbe vederci. Bada che sarebbe arrivato il tempo della rivista. Tu hai molta roba da smaltire. Bisogna spingere Saffi e fargliela fare. Pagine liriche, saggi critici, magari spunti ed’osservazione storica e politica una ben nudrita e competente bibliografia. Sono sicuro che riuscirebbe un bel fascicolo. Bisognerebbe avere sempre qualche buona opera continuativa in appendice. Ma ci penseremo. Vedi intanto tu se trovi un titolo. Occorrerebbe un programma, vorrei scriverlo io, se mi riuscirà di ottenere un mese di riposo. Altro per oggi non ti dico. Sta bene e scrivimi tuo aff.mo V. Cardarelli Ti manderò domani le cinque copie che mi chiedi.

[137] Tre foglietti sciolti, scritti sul r, numerati da Cardarelli da 1 a 3, non datati; busta intestata: «IL TEMPO/ GIORNALE DEL MATTINO/ ROMA», indirizzata a «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; la data della lettera è ricavabile dal timbro postale di partenza ROMA-FERROVIA 8.VII.1918.

5 Pasqualina Spadini, moglie di Armando, con il quale era solita partecipare attivamente alla vita intellettuale romana, ospitando anche in casa propria incontri e serate ricordate con molto piacere da Cardarelli. 6 Danilo Lebrecht (1893-1958) scrittore italiano che dal 1918 iniziò a firmarsi con lo pseudonimo di Lorenzo Montano. Autodidatta per formazione, si avvicinò al gruppo fiorentino di «Lacerba». Venne notato da Cardarelli che lo coinvolse tra i sette fondatori de «La Ronda».

293 [138]

Roma, 22 luglio 1918

Caro Bacchelli, ho tardato a rispondere alla tua ultima lettera per ragioni che comprenderai. A parte la vita che faccio comincio a sentirmi seriamente esaurito. È inutile che ti dica che la tua vista è stata per tutti noi un piacere straordinario e per me in particolar modo un beneficio. La sera che tu partisti scrissi correnti calamo una cronachetta drammatica dove era un po’ di quella serenità e di quel riposo che tu solo sai portare in mezzo agli amici. Ora non vorrei dilungarmi molto in queste espansioni perché ho una cosa alquanto delicata da dirti. Tu mi mandasti non so quanti mesi fa duemila lire con un anticipo d’un anno. Non ti meraviglierai se ti dico che queste duemila lire le ho già spese. Parrà incredibile ma è così. Non ti starò a spiegare come le ho spese perché credo che tu non ne abbia bisogno. Ora io, stretto dalle necessità, sono obbligato a ricorrere nuovamente a te perché mi mandi se credi il residuo di quell’anno anticipato che verrebbe a sommare (scusami questo piccolo calcolo aritmetico) 2400 lire. Sarebbero dunque 400 lire che tu potresti mandarmi in più volte o subito, come credi. Dopo di che mi proporrei di non seccarti più, per lo meno fino alla scadenza del termine fissato. Ti scrivo questo perché da più giorni sono senza soldi, ho preso un anticipo ma ci ho dovuto pagare la pigione di casa e col mensile di luglio quando avrò poi pagato il debito della trattoria rimarrò completamente al verde per tutto il mese venturo. Per scrivere queste lettere bisogna che ci abbia in dosso il terrore addirittura. Rispondimi se mai al Tempo. Avrei molte cose da dirti. Forse però se io ti parlassi di amore tu non ci crederesti come io al contrario credo al tuo. È tornato il marito di Ninetta1 e sono nella più assoluta impossibilità di corrispondere con lei, questa cara consuetudine. Accaddero negli ultimi giorni tra noi due cose stringenti, improvvise che non potevano non avere il senso della fine. Figurati che una mattina salì fino a casa mia e mi lasciò delle cose. Io credo che sia la prima e l’ultima volta che mi sarà accaduta una cosa simile. Abbiamo camminato piacevolmente nel pericolo per tanto tempo, in una maniera così miracolosa, che non posso non serbare di questa mia avventura un semplice e grande stupore. Intanto alla fine di questa mia storia assai più misteriosa di quel che gli altri possano credere nasce l’idea di questa rivista2 che pare si farà da quanto mi scrive Saffi che è a

1 Vedi lett. 116. 2 La nascitura «Ronda», vedi lett. 136.

294 Varese col cognato.3 Dice che costui ha capito le nostre idee a volo e manterrà quel che ha promesso. In questi giorni si risolverebbe la questione finanziaria. Ti raccomando di interessarti molto a questa rivista, di comunicarla a qualche persona intelligente che conosci e di farmi sapere qualche idea che ti potrà sorgere in proposito. Io poi ti comunicherò le mie più riposatamente. Si chiamerà probabilmente: Il nuovo ordine. Ti va? Appena il fatto sarà compiuto andrò via e mi metterò a lavorare. Mandami qualche libro interessante se lo trovi. Io seguo poco il commercio librario. Ora rileggo le lettere di Beethoven. Addio caro Bacchelli, sforziamoci di riuscire, che è possibile, anche praticamente a qualche cosa. Saffi ha portato con sé il tuo Amleto. Ora lo distillerà. Tuo affmo V. Cardarelli

Saluta Mario.

[138] Un bifolio, scritte le pp. 1-4, intestato: «IL TEMPO/ GIORNALE DEL MATTINO/ REDAZIONE»; busta intestata «IL TEMPO/ GIORNALE DEL MATTINO/ ROMA», indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; timbri postali di partenza ROMA-FERROVIA 24.7.18, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 26.7.18.

3 Il 12 agosto 1918 infatti Saffi scriverà a Bacchelli della buona disposizione del cognato Luigi Parodi a finanziare il progetto della rivista. Citiamo dalla lettera inedita: «Caro Bacchelli, […] Par. prevede di dover stanziare sulle 100.000 lire per i primi due anni circa. Mi lascia piena libertà di scelta e di indirizzo. È d’accordo che si debba fare soprattutto qualche cosa di “veramente aristocratico”, dice lui. Crede che un siffatto mecenatismo possa portarlo una volta o l’altra a realizzare un ottimo affare: cioè che la rivista impiantata con larghi mezzi da noi potrà dopo un primo periodo passivo, diffondersi abbastanza largamente e diventare redditizia» (lettera inedita del 12/08/1918, Aurelio Saffi a Riccardo Bacchelli, Fondo Bacchelli, busta 15, fasc. 28, n. 2).

295 [139]

Roma, 30 [luglio] 1918

Caro Bacchelli, ti prego di farmi sapere più presto che puoi se hai ricevuto una mia lettera in cui ti accennavo a un mio bisogno di denaro.1 Ritengo che tu debba essere fuori di Bologna o non l’abbia ricevuta se no a quest’ora credo che mi avresti risposto. Nella mia lettera non facevo che prendere atto della tua spontanea offerta di seguitare a mandarmi il mensile di 200 lire anche stando al giornale. E siccome hai voluto mandarmi duemila lire come anticipo d’un anno spero che non avrai difficoltà ad aggiungere le altre quattrocento lire che mancano perché l’anticipo sia completo. Mi accorgo che mi è impossibile vivere in questi tempi a Roma col mio solo stipendio. Se ti dicessi che sono senza calze, senza mutande, con un solo vestito credo che non ti meraviglieresti. In questi giorni poi mi troverei seriamente impicciato se tu non mi mandassi qualche cosa. Io aspetto di vedere che cosa si combina con questa rivista2 per mettere a posto anche un pochino più stabilmente questa cosa. Intanto sento dire che anche Naldi ha voglia di farlo e che si conta molto su me, ti assicuro che io non desidererei altro che di toglierti ogni imbarazzo. Addio caro Bacchelli; per oggi non scrivo più. Spero che avrai ricevuto l’altra mia dove ti parlavo di diverse cose. Rispondimi subito e credimi tuo affmo V. Cardarelli

Di a Raimondi che se gli arriva una lettera tassata deve essere mia. Non è che non l’abbia francata ma credo che passi il peso, ci ho pensato dopo.

[139] Un foglio sciolto scritto sul r e sul v, intestato: «IL TEMPO/ GIORNALE DEL MATTINO/AMMINISTRAZIONE»; busta intestata «IL TEMPO/ GIORNALE DEL MATTINO/ ROMA», indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; la data indicata all’autore (30. Giugno 1918) è errata nel mese, poiché il timbro postale di partenza attesta ROMA CENTRO 30.7.1918.

1 Vedi lett. 138. 2 Vedi lett. 136 e 138.

296 [140]

Roma, 8 agosto 1918

Caro Bacchelli, ricevetti giorni il tuo vaglia. Grazie di cuore. Non risposi subito alla tua lettera perché aspettavo una conferma da parte di Saffi, che non viene. Sai dirmi dove sia? Le lacune di quel benedetto ragazzo sono straordinarie. Il progetto a cui tu accenni di riscattare la Raccolta1 avrebbe i suoi vantaggi, ma anche i suoi inconvenienti: si potrebbero creare degli equivoci. A dirti la verità questa rivista nel momento di attuarla potrebbe presentare degli imbarazzi da sfiduciare delle nature in fondo pigre praticamente e perplesse come siamo noi. Per esempio, non mi sembrerebbe prudente farla uscire in Roma. E andarmene io a Milano, come penso che farò, con questa rivista sulle spalle, avrei paura di essere troppo solo. Perciò bisogna farla uscire non prima di esserci assicurati una discreta mole di roba da pubblicare. Spero che Saffi stia lavorando. Su Lebrecht non bisogna contare che come un qualunque collaboratore. Che ne dici se se ne desse a te la direzione? Ci vuole un nome nella copertina, e poiché il mio non potrebbe essere per molte ragioni credo che non rimanga che sobbarcarti te a questa ingrata funzione. In quanto al titolo Carrà mi propone: L’Iniziativa; ci avevo pensato anch’io ma è sempre troppo impegnativo. Se lo intitolassimo Lo Studio che ne diresti? A Milano c’era una volta La compagnia brusca.2 Bisognerebbe trovare un titolo che esprimesse il nostro carattere, il nostro modo d’intendere la letteratura con un sottinteso all’amicizia che ci lega. Io vado facendo intanto molte lettere allo scopo di raccogliere le mie idee. Bisognerà pure fare della storia, cercare qualche appiglio nei movimenti letterari meno conosciuti;

1 Agli albori de «La Ronda», quando il progetto era ancora allo status di progetto in itinere, a Bacchelli, evidentemente, non sembrò del tutto fuori luogo l’idea di prendere in mano le redini della «Raccolta» fondata qualche mese prima da Raimondi, rivista di cui egli stesso fu uno dei principali sostenitori sin dalla fondazione e della quale, insieme a Cardarelli era uno dei principali collaboratori e animatori. D’altronde «La Raccolta» riuniva già in nuce i principali rondisti che sentivano la rivista di Raimondi come un banco di prova per la futura «Ronda». A proposito dei rapporti tra le due riviste e sul ruolo de «La Raccolta» come diretta antecedente de «La Ronda» si ricorda il contributo di L. FAVA GUZZETTA, Un incunabolo della «Ronda»: «La Raccolta», «Studi Novecenteschi», a. I, n. 2, luglio 1972, pp. 201-209. 2 La Compagnia brusca è il primo capitolo del romanzo di Cletto Arrighi La Scapigliatura e il 6 febbraio che narrava la storia di questo particolare gruppo di amici nella Milano di metà Ottocento. La descrizione fattane da Cletto Arrighi risulta molto indicativa se letta in funzione della nascitura «Ronda»: «c’era a Milano una certa compagnia di giovani tra i 20 e i 30 anni, la quale nel quartiere dove teneva la sua principal residenza era chiamata – quasi per antonomasia – compagnia brusca. […] Erano sette – numero mistico, numero cabalistico![…] Questa piccola società non aveva uno scopo apparente fuori di quello di riunirsi a fumare ed a ciarlare. L’amicizia e una certa conformità di carattere, di posizione e di gusti pareva legasse fra loro i sette membri di questa misteriosa compagnia» (C. ARRIGHI, La Scapigliatura e il 6 febbraio, cit., pp. 25-26). L’età anagrafica e il numero dei componenti, l’amicizia che li legava e oltre alla «conformità di carattere, di posizione e di gusti» coincidono suggestivamente con gli esordi rondeschi.

297 per esempio la scapigliatura milanese può essere tutta roba da ridere in un certo senso, eppure credi che dal nostro punto di vista non ci sia movimento più interessante di quello che si svolse in Milano dal tempo di Goethe e di Sthendal a quella bruttissima e monca epoca di Rovani, Arrighi, Tarchetti3 etc. Come si capisce la forza di Carducci pensando a quegli uomini! L’Italia allora si fece pedante, filologica, professorale e ne nacquero i frutti che conosciamo. Intanto la scapigliatura continuava con Oriani,4 Panzini5 e altra specie di uomini incolti e illetterati. Che posizione è la nostra di fronte a tutto questo? Io credo di avere delle idee. Non sarebbe male che si esordisse con un buon abbozzo di storia. È certo che le nostre due colonne sono e rimarranno: Manzoni e Leopardi. Ma ripeto, io non potrei mettermi a lavorare se prima non so qualchecosa di preciso e non risolvo la mia posizione materiale. Ho letto il Don Giovanni di Zorrilla,6 mi pare abbastanza buono. Coincide con molte delle mie idee. Basta, per tutte queste cose che ti ho scritto ti prego di non perderti d’animo e d’impiegarti seriamente alla buona riuscita di quest’idea. Io di me non diffido. Scrivimi e sappimi dire se Saffi è tornato a darti delle informazioni. Io anelo a andar via di qui, non ho altro proposito.

3 Giuseppe Rovani, Cletto Arrighi e Igino Ugo Tarchetti furono esponenti della Scapigliatura milanese nel decennio degli anni ’60-’70 dell’Ottocento. Come esposto nell’Introduzione, Cardarelli denigra il movimento scapigliato nei suoi esiti letterari, ma sembra riprodurre nel nucleo rondista quell’accolita di giovani intellettuali protagonisti del celebre romanzo scapigliato dell’Arrighi (infra pp. 48 e segg.). 4 Alfredo Oriani (1852-1909) scrittore italiano la cui fama è legata soprattutto ad opere di carattere storico e politico. I suoi romanzi giovanili tuttavia risentirono di una «torbida scapigliatura psicologica e sociale» (G. PETRONIO, L'attività letteraria in Italia: storia della letteratura italiana, Palombo, 1987, p. 745). 5 Alfredo Panzini (1863-1939) scrittore italiano, allievo di Carducci, e collaboratore di diverse riviste, quali «Nuova Antologia», «L’illustrazione italiana» e «Il Corriere della Sera». Risulta particolare il giudizio che ne dà Cardarelli in questa lettera, associandolo alla Scapigliatura, movimento da cui Panzini fu lontano per motivi cronologici e sensibilità artistica. Semmai si può affermare che fu vicino ad alcune tematiche e stilemi romantici e fine ottocenteschi, proiettati tuttavia verso l’innovazione tutta novecentesca, una dialettica tra tradizione e innovazione che connotò a lungo la sua produzione. Tuttavia, l’accostamento di Panzini alla scapigliatura di seconda generazione si trova in uno studio, ormai datato – ma di poco posteriore alla valutazione cardarelliana con la quale condivideva forse una percezione comune – di Giuseppe Mormino, il quale affermava che «per l’intrusione della frase e del vocabolo di sapore arcaico, per qualche durezza e contorsione voluta, mi ha talvolta ricordato la maniera di Carlo Dossi al quale non certamente egli somiglia nella sintassi, a più smaliziata e temperata e sveltita lezione ridotta da Antonio Baldini e, per certi felici e nobili atteggiamenti stilistici, originalmente rielaborata da Carlo Linati» (G. MORMINO, Alfredo Panzini, Società editrice Dante Alighieri, Roma-Milano-Napoli, 1927, pp. 19-20). Il giudizio cardarelliano di uomo «incolto» inoltre risulta molto particolare perché Panzini, nel primo decennio del Novecento, fu invece molto apprezzato da critici quali Cecchi, Serra, Prezzolini e Baldini che saranno i principali vociani e rondisti. 6 Don Juan Tenorio, dramma del 1844 di Josè Zorrilla.

298 Tanti saluti dal tuo Cardarelli

[140] Due fogli sciolti, scritti sul r e sul v, intestati: «IL TEMPO/ GIORNALE DEL MATTINO/ AMMINISTRAZIONE»; busta intestata «IL TEMPO/ GIORNALE DEL MATTINO/ ROMA», indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; timbri postali di partenza ROMA CENTRO 8.8.1918.

299 [141]

[Roma, 12.9.18]

Caro Bacchelli, per spiegarti la ragione del mio silenzio dovrei scrivere un capitolo. Ti basti sapere che dopo un periodo di esaurimento tale da non riuscire a potare avanti il mio quotidiano mestiere di critico teatrale ho avuto una stramba e pungentissima avventura con una prima attrice, una delle più belle che abbia mai conosciuto. È che torno oggi da un idillio di tre giorni nella campagna romana! Abbiamo formulato i più pazzi propositi. Probabilmente tutto finirà tra pochi giorni e non mi rimarrà che una fotografia, un’edizioncina tascabile di sonetti di Petrarca, molto colore in dosso e non so che altra cosa. Quando mi capitò questa tegola io ero innamorato e andavo facendo l’elogio della donna borghese. Oggi non penso più a Ninetta1 – è l’unico frutto di quest’avventura. Ho scoperto che la donna borghese sarebbe perfetta se non avesse le pulci, e vado rileggendo Aspasia2 per prepararmi alla delusione che mi attende. Di tutte queste ridicole e persistenti storie di donne una sola cosa mi conforta: la convinzione che io non faccia nulla per procurarmele. Esse mi accadono per una specie di fatalità alla quale mi sottomette per disperazione. Fortunatamente però si andranno sempre più diradando. In quanto alla rivista ho già pronto il preventivo delle spese da presentare a Parodi alla fine di settembre. Ho scritto a Baldini,3 ho parlato con Cecchi. Tutti entusiasti. Vedrai che sarà una bella cosa. Io per ora al giornale sono in vacanza e non è escluso che uno di questi giorni butto giù qualche pagina sul programma. Intanto non credere che io trascuri questa faccenda. Mi sono associato una persona pratica di tipografia che ha già fatto tutte le ricerche possibili perché la rivista esca con bei caratteri, carta ottima etc. Tornerò a scriverti più dettagliatamente. Godo che tu abbia rimesso le mano sull’Amleto. A suo tempo me lo manderai. Sta bene Cardarelli

[141] Cartolina postale italiana indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; la data della lettera, non indicata dall’autore,, è ricavabile dai timbri postali di partenza ROMA CENTRO 12.9.1918.

1 Vedi lett. 116 e 138. 2 Aspasia, lirica di Giacomo Leopardi inserita nei Canti. 3 La lettera è assente da EPISTOLARIO II.

300 [142]

Roma, 19 settembre 1918

Ti rispondo in ritardo e con una penna del Tempo, che non scrive. Ti ringrazio del vaglia che mi hai mandato e ti prego vivamente di scusarmi. Non potevo fare a meno di darti qualche nuova seccatura. Mi trovo come un pulcino nella steppa. La mia salute va peggiorando e non c’è verso che mi possa rimettere a lavorare neppure per fare qualche articolo che arrotonderebbe il mio stipendio. Tu mi conosci e sai che non fingo. Lo stesso ufficio di critico teatrale mi pesa enormemente e spesso butto giù delle cose da disperato. Vorrei ritrovare la calma, il riposo, il lavoro. Ma non ho più neanche una casa. Sto per il momento all’albergo Inghilterra. Al Tempo ho capito che si potrebbe morire di fame senza che nessuno si commuoverebbe. Anzi ho visto che la miseria è un ottimo requisito per essere presi in giro. Naldi, il gran salvatore, è una meteora. Qui non sappiamo a chi rivolgerci se qualcuno ci fa un torto qualsiasi. È una baraonda. Ti assicuro che io ci resto senza più nessuna illusione, e che è una terribile fatica per un uomo del mio carattere. Lessi con curiosità il ritratto del tuo commilitone. Da quel che mi dici ho riconosciuto l’ebreo1 a un miglio di distanza. Credo anch’io che potrebbe essere utile. D’altra parte non si tratta che di corrompere e di eropeizzare2 l’ambiente provinciale in cui viviamo. Tutto in questo senso è buono. Tu ti spiegherai anche la mia amicizia per Lebrecht e, in genere, per tutti questi dilettanti stitici, infermi, e passabilmente sacrileghi. In fondo però sono contento della mia irriducibile natura italiana. Mi piace l’ozio e lo incoraggio ma mi guarderei bene dal farmi prendere per i capelli dal diavolo. Intanto la rivista è sospesa. Saffi cadde malato di febbre spagnuola e credo sia ancora in letto. Andai a trovarlo nei primi giorni: non ne ho saputo più nulla. Tu capisci che non potevo leggergli la tua lettera e parlare di simili affari. Il meglio sarà attendere che il terrore di questi giorni si dilegui e Parodi venga a Roma. Allora sarà il caso di definire seriamente qualche cosa. In quel che tu mi dici dell’eventuale sovventore di Roma non vorrei ci fosse del chimerico. Scrivi se mai a Saffi direttamente. Io non mi sono smontato affatto e voglio vedere in faccia Parodi per vedere che razza d’uomo è - chissà che non riesca a convincerlo. Ho piacere non sia più in pericolo, forse a quest’ora sarà già guarito.

1 Danilo Lebrecht (Lorenzo Montano), vedi lett. 137. 2 A proposito dell’apertura europea della «Ronda» si veda l’importante contributo G. LANGELLA, Passaporto per la «Ronda», cit.

301 Tu come stai? C’è l’influenza (chiamiamola pure così) a Bologna? Vedi di riguardarti e sappimi dire qualche cosa. Qui siamo alla fase acuta se non sbaglio, a meno che non debba crescere ancora- io tremo non per me ma per una persona a cui voglio bene e che è malata ai polmoni capisci? Va là che sono tempi da perderci la ragione e l’onore. Chi ce lo avesse detto! Ti saluto affettuosamente tuo

Cardarelli

[142] Un bifolio, scritte le pp. 1-4, intestato: «IL TEMPO/ GIORNALE DEL MATTINO/ LA REDAZIONE»; busta intestata «IL TEMPO/ GIORNALE DEL MATTINO/ AMMINISTRAZIONE», indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; timbri postali di partenza ROMA CENTRO […].

302 [143]

[Roma, 4.10.18]

Caro Bacchelli, sono colpevole di un lungo silenzio dopo l’ultima tua che mi annunciava, tra l’altro, una grave indisposizione di Guido. Perdonami pensando che se non ho risposto vuol dire che qualche cosa di molto noioso e imbarazzante sta accadendo nella mia vita e credi che ogni giorno mi sono rimproverato questa mia invincibile apatia. Sto male, ho delle gravi difficoltà di ogni ordine, sono stupidamente innamorato. Se vogliamo servirci di queste parole. Le tue informazioni sulla rivista, confermatemi da Saffi hanno contribuito a rendermi ancora più disperato. Ma cosa importa, la stagione accenna a cambiare, io sento già i primi brividi invernali: qualche cosa si farà ancora ad ogni costo. Non voglio persuadermi che quest’idea è andata a monte fino a quando non avrò parlato a Parodi di persona. Dimmi intanto come sta Guido, questo è ciò che più preme. Mandami ciò che hai scritto di nuovo se lo vuoi. Io l’altra sera ho letto alla mia «amica» molti brani dei tuoi Poemi1 e li trovavo ancora vivi e pieni di profumo. Naldi è malato di febbre spagnola, e al Tempo purtroppo si sente la sua assenza. Io mi vado sempre più ingolfando nel teatro e finirò suggeritore o direttore di scena. Dammi tue notizie e sta bene. Tuo Cardarelli

[143] Cartolina postale italiana indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; la data, non indicata dall’autore, è ricavabile dai timbri postali di partenza ROMA CENTRO 4.10.18.

1 R. BACCHELLI, Poemi lirici, Bologna, Zanichelli, 1914.

303 [144]

Roma, 16 dicembre 1918

Caro Bacchelli, il mio lungo silenzio anche dopo aver ricevuto la tua graditissima lettera deve averti fatto comprendere in quali condizioni di spirito mi trovo. Senza aver fatto nulla di eccezionalmente deplorevole devo dirti che per qualche mese io ho perduto la testa. Ora credo di essere non dirò fuori di pericolo, perché sarebbe un’espressione troppo ingenua, ma insomma in uno stato d’animo abbastanza persuaso ed estenuato per riprendere il corso della mia vita abituale. E uno dei primi segni è questa lettera ch’io ti scrivo. Volevo farlo da molti giorni ma non me ne sentivo la forza. Non che io pensassi di farti delle confessioni, so bene che tra noi due non ce n’è bisogno, eppoi è bene stendere pudicamente un velo. Su certe cose che non hanno importanza, e che io ritengo, malgrado tutte le mie debolezze, piuttosto vergognose. Mi sembra che l’amicizia sia un rapporto meno intimo di quel che si crede dal momento che essa fa sentire più facilmente il bisogno di nascondersi agli occhi degli amici che quello di mostrarsi. Non ci sono che le donne che possono equivocare anche su questo sentimento. Per loro infatti l’amicizia è soprattutto uno scambio di segreti, una sorta di complicità che sfugge ad ogni giudizio e, in un modo o nell’altro, un pretesto per tornare a chiudersi in camera. Non parlerò dunque di questo amore se non tardi, quando potremo scherzare insieme, senza che con ciò io intenda darmi delle grandi arie e sottendere i nostri soliti paradossi, che la vita è un’esperienza, che nulla succede senza una ragione nella nostra olimpica e privilegiata esistenza, e cose di questo genere. Preferisco riconoscere più semplicemente che io sono ancora capace di compiere delle gravi sciocchezze, di avere delle ridicole tragedie e tutto quello che desidero dagli amici è che non se ne impressionino troppo. Ciò è indispensabile per la decenza. Vi sono delle cose terribili, direi quasi mortali che ci possono accadere, ma nulla è più irreparabile dello scandalo. Se l’uomo qualchevolta non si uccide soltanto per non fare rumore tanto più gli è necessario sapere che le sue sofferenze o le sue aberrazioni non danno spettacolo. Ed eccoti in poche parole la ragione di tutta questa mia lunga, inesplicabile assenza. Non potendo fare due cose alla volta ho dovuto ridurre al minimo le mie «occupazioni». Non so come sono riuscito a mantenere i miei rapporti col giornale. Non vedo Saffi da molto tempo o non ho con lui che dei brevissimi incontri dove non troviamo modo di dirci nulla.

304 La pubblicazione del mio libro,1 la rivista, la lettura, il lavoro, tutto sommerso, affogato. Riuscirò presto a riprendermi? Non parlo del cuore che non ci entra. Io credo che Diana in persona non riuscirebbe a fare di me una bestia degna di essere sacrificata. Ma sono i miei sdegni, i miei disgusti, le mie disperazioni, che io temo più di ogni altra cosa. Quando una cosa è lontana la si può sempre guardare con un certo piacere. Ma sono le conseguenze che danno più noia, il disordine fisico e morale in cui ci si riprova. Al momento attuale il problema per me è di cercarmi una camera (vedi conclusione!) dove possa stendere i miei libri, le mie carte e anche le mie ossa che sono abbastanza addolorate. Sono in questo albergo da circa due mesi. Spendo l’osso del collo. Non ho modo di riscaldarmi., per dirti la verità ho ricevuto un piccolo aiuto da Naldi ma non sono riuscito con ciò a cambiare situazione. Io non se se tu possa fare per me qualche cosa al più presto invece di attendere la fine del mese. So bene che per essere regolare dovrei aspettare non la fine di quest’anno ma febbraio o marzo prima di tornare a chiedere a te, ma i tempi sono così infami! Se tu puoi anticiparmi dentro questi giorni una parte dell’anno prossimo rimedierò a tutto nel modo migliore. Se no aspetterò che sia quel che Dio vuole. Soltanto non vorrei seccarti. Tu mi risponderai con la tua solita, cordiale franchezza che non è tra le tue virtù meno apprezzabili. Vedrò Saffi e ti saprò dire qualche cosa della rivista, ma tu capirai che c’è stata dell’onestà in me a non voler prendere impegni in queste condizioni. So anche che sei stato male. Me lo facesti sapere quando eri guarito. Scusami se non ti scrissi nulla. Ora spero che tu stia bene e che presto ci rivedremo. Ma quando? Saluta i fratelli e credimi tuo affettuoso V. Cardarelli.

[144] Un bifolio, scritte le pp. 1-4, intestato: «HOTEL D’ANGLETERRE/ ROME»; busta con la stessa intestazione indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; timbro postale di partenza ROMA-FERROVIA 16.XII.918, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 18.12.18.

1 Cardarelli attendeva la pubblicazione dei Viaggi nel Tempo già nel maggio 1918 (vedi lett. 133) ma, dal momento che Facchi continuava a rimandare l’uscita del libro, l’autore non se ne occupò più per diverso tempo. Il volume infatti uscirà soltanto nel 1920 grazie alla mediazione di Papini presso Vallecchi.

305 [145]

Rom, 24 dicembre 1918

Caro Bacchelli, ti ringrazio della tua lettera. Mi manderai alla fine dell’anno quello che dici. Io cercherò di andare avanti fino a quel giorno come posso. In quanto alla rivista vidi per caso in un restaurant l’av. Rispoli1 che io conoscevo. Cosa credi che possa fare? Parlo di mecenati, di editori. Ha molta stima di te e questo mi fa piacere. Ma io credevo che s’avesse a fare con un uomo che offrisse qualcosa di più solido che dei buoni uffici legali. Come ti dicevo io non mi trovo ancora in condizioni tali da poter pensare seriamente alla rivista. Bisogna prima di tutto che io risolva il problema della camera. Dopo vedrò e spero di raccogliermi un poco. La Raccolta, se seguita così, finirà per farci sembrare ridicoli. A quel Franchi2 bisognerebbe impedire di parlare. Ha un modo di scrivere da fattorino telegrafico che s’ingegna di fare il superintellettuale. Lo stesso Raimondi dovrebbe avere il buon senso di scrivere meno, e tu ed io ed altri dovremmo, se mai, prenderci la briga di alimentare quella rubrica polemica e bibliografica3 che ora è lasciata alla mercè di Raimondi e di Franchi. Vedi bene che quello che io propongo è abbastanza difficile da realizzare e richiederebbe un’intesa, un’organizzazione. Questo si dovrebbe fare prima di decidersi a considerare la Raccolta come una rivista nostra,4 e parlare a Raimondi molto chiaro. In questo numero,

1 L’avvocato Rispoli era una vecchia conoscenza di Cardarelli, al quale si rivolse insieme a Saffi per avere un aiuto nella ricerca dei finanziatori della «Ronda». Tutto questo si apprende grazie ad una lettera inedita del 19 dicembre 1918 che Saffi scrisse a Bacchelli, spiegandogli la situazione con Rispoli: «ieri stesso Cardarelli mi ha detto che pochi giorni fa ti ha scritto. Nel frattempo ha visto per caso il Rispoli che conosceva fin dai tempi socialisti. È inteso col Rispoli che andremo uno di questi giorni a trovarlo e farò di tutto perché ciò avvenga al più presto, insieme con Cardarelli, che è meglio. Pare che il Rispoli sia tutto infervorato dell’idea di questa rivista e che ritenga possibile trovare i mecenati» (lettera inedita del 19/12/1918, Aurelio Saffi a Riccardo Bacchelli, Fondo Bacchelli, busta 15, fasc. 28, n. 3). 2 Raffaello Franchi (1899-1949) poeta e narratore italiano, assiduo frequentatore del Caffè delle Giubbe Rosse e del Paszkoswki dove si unì ai giovani fiorentini animatori del secondo futurismo e fondatori dell’Italia futurista (1916). Nel 1918 partecipò attivamente alla fondazione della «Raccolta» di Raimondi e Carrà, mentre nel 1920 fonderà insieme a Conti, Pavolini, Agnoletti e Bastianelli la rivista di stampo dadaista «L’Enciclopedia», continuando a collaborare negli anni successivi a numerosissime riviste, tra le quali «La Fiera letteraria», «L’Ambrosiano» e «Il Bargello». Dedito alla produzione lirica negli anni giovanili, negli anni ’20 pubblicò i suoi primi romanzi. Da notare che era stato Riccardo Bacchelli a far avvicinare Franchi a Raimondi per la fondazione de «La Raccolta» (P. CONTI, G. RAIMONDI, Carteggio: 1918-1980, a c. di P. Mania, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2001, p. 17). 3 Cardarelli si riferisce a Terrazza, la rubrica gestita da Franchi e Raimondi in chiusura di ogni numero de «La Raccolta». I due redattori vi raccoglievano recensioni, notizie bibliografiche e brevi note sul panorama letterario e culturale contemporaneo. 4 Anche Saffi infatti scrisse a Bacchelli che bisognava «trovare la soluzione che ci lasci liberi nella nostra opera e nelle nostre scelte. Meglio che assumere la Raccolta, sebbene questa costituisca il germe più capace

306 all’infuori delle cose mie,5 non c’è che roba da buttare via. Tu non hai visto le bozze? Mi stupisce che tu abbia dato un certificato di buona condotta a Franchi. Ha chiesto anche a me molto insistentemente. Ma mi guardai bene. Sono perfino preoccupato delle liriche di Saffi.6 Ma perché non ci si di decide a fare soltanto quello che si può fare. Basta, io ho piacere che tu ti adoperi in qualche modo per dar corpo a una rivista purchessia, ma vedi di occupartene sul serio e se io ti posso essere utile, come revisore, come consigliere, e anche come scrittore sarò lietissimo di fare anche degli sforzi per parte mia. Addio per oggi. Fammi sapere quel che hai deciso e ricevi i miei più amichevoli auguri per il nuovo anno. Tuo affmo V. Cardarelli

[145] Due lunghe strisce di carta, scritte sul r. fra tante rivistine che si stampano oggi» (lettera inedita del 19/12/1918, Aurelio Saffi a Riccardo Bacchelli, Fondo Bacchelli, busta 15, fasc. 28, n. 3). 5 V. CARDARELLI, Parole Povere. Il mio addio a Pascoli; Corollari antipascoliani; Decadenza del genio; Il poeta precoce, «La Raccolta», novembre-dicembre 1918, n. 9-10, pp. 105-112. 6 A.E. SAFFI, Voce, Solarità, ivi, p. 115.

307 [146]

[Roma, 21 II 1919]

Caro Bacchelli, ho ricevuto la tua lettera. Non mi sorprende ciò che mi dici di Carrà.1 Tutto il tuo giudizio è esatto, compreso naturalmente l’accenno alla sua porcheria. Questi piemontesi sono una vecchia razza abituata a fare della fatica. Essi hanno in più un istinto di conservazione tenacissimo che sorprende soprattutto quando lo si riscontra in esseri sostanzialmente deboli e perpiù un poco squilibrati come Carrà. Si deve concludere che il piemontese ha una bella facoltà di resistenza organica, o vogliamo dire di acclimatazione. Ma lasciamo da parte queste considerazioni. Io ho preso per adesso la decisione di non insistere con Carrà perché diventi un nostro collaboratore. Temo che si sia tacitamente stabilito tra lui, Soffici, Papini e Savinio2 un atteggiamento di sospensione verso di noi, forse più giusto e più naturale di tutti i nostri cadenti sforzi per riuscire a praticare una viva e risoluta intesa con loro. Carrà porterebbe con sé Savinio. Soffici vorrebbe Savinio e Papini e non credo che l’acquisto di Carrà e Soffici possa valere un simile sacrificio. Essi hanno già un nome, una via tracciata, una posizione. Non potrebbero acconciarsi a collaborare in buona fede ad un movimento di cui non fossero loro i principali ispiratori.3 È ciò che sentono essi meglio di noi, malgrado tutte le chiacchiere fiorentine o milanesi, le loro metafisiche o la loro comprensibile volontà di non lasciarsi superchiare. Inoltre noi iniziamo con un

1 Carlo Carrà (1881-1966) pittore italiano, esponente del futurismo insieme a Marinetti tra il 1909 e il 1915, si avvicinò nel 1916 all’avanguardia metafisica «più congeniale al Carrà delle battaglie futuriste» (G. MARCHIORI, Carrá, Carlo, DBI, 1977, vol. 20, p. 616). Nel 1915 collaborò con la «Voce» di De Robertis e nel 1918 fu tra i principali collaboratori della rivista «Valori Plastici», voce proprio di quei principi metafici in cui il pittore aveva trovato nuova e più autentica ispirazione. 2 Alberto Savinio (1891-1952) pseudonimo di Andrea Alberto De Chirico, scrittore e pittore italiano che ricevette la prima formazione artistica in ambiente parigino, tra il 1910 e il 1914, frequentando l’entourage di Apollinaire. Collaborò nel 1915 con «La Voce», nel 1918 fondò la rivista «Valori Plastici» e nel 1919 si avvicinò all’ambiente della «Ronda» sulla quale pubblicò alcuni testi. 3 Cardarelli si riferisce al movimento artistico creatosi attorno alla rivista «Valori Plastici», fondata un anno prima da Mario Broglio e di cui Carrà, Savinio e De Chirico furono i maggiori animatori e teorici. Il periodico proponeva, come «La Ronda», un programma di ritorno all’ordine, fondendo linee classiche e istanze moderne in un nuovo concetto di arte che sfocerà nell’arte metafisica teorizzata da Savinio. Gran parte dei collaboratori di «Valori Plastici» confluirono poi nella «Ronda», per una comunanza di fondo di intenti e programmi, sebbene una certa rivalità tra le due riviste fosse inevitabile. Nel 1919 anche Papini e Soffici vennero coinvolti nell’entourage dei «Valori Plastici», sebbene, come afferma Cardarelli, la rivista avesse già un suo percorso ben stabilito e probabilmente non avrebbe lasciato spazio ad iniziative originali dei due scrittori che, abituati ad esperienze di direzione di riviste («La Voce» per Papini e «Lacerba» per entrambi) si sarebbero dovuti incastonare in tal caso in un programma già definito.

308 movimento prevalentemente letterario4 ed essi stanno ancora a una nozione dell’arte abbastanza teogonica e confusionaria. Dato tutto questo non mi sorprende che Carrà abbia trovato strana la pubblicazione del tuo Amleto in appendice.5 È una sottigliezza che evidentemente non poteva capire. Carrà è per le esposizioni personali e pensa evidentemente che noi abbiamo in animo senz’altro di fare un’altra rivista giovanile. In quanto a me credo che la sua proposta di pubblicare l’Amleto in numero unico derivi da una certa ingenuità pratica e da impazienza. Se avessi voglia di scriverti una bella lettera esplicativa potrei opporre alla tua proposta un’efficacissima serie di obiezioni. Mi limiterò a dirti: credi sul serio che noi pubblicheremo mai in appendice opere tali che il lettore senta, come tu dici, il desiderio di arrivare d’un colpo alla fine? Se anche si trattasse di un romanzo è evidente che noi non lo pubblicheremo che per il suo valore lirico e formale, ciò che si può gustare anche a piccole pause non ti sembra? Anzi! L’appendice insomma non sarebbe altro che una finzione. Ma come tale io direi di non rinunciarvi, tanto più che cominciamo subito con un numero unico si correrebbe il rischio di dare alla rivista un carattere, come dire, un pochettino prezzoliniano che mi sembrerebbe bene non darle. Siamo della gente scettica noialtri, non dobbiamo impegnarci in una soverchia famigliarità col nostro pubblico. La nostra rivista dovrebbe essere critica e polemica. Gli scritti originali dovrebbero caderci a caso e a motivo di esemplificazione. Eppoi ti parrebbe giusto dare un mese di vacanza a tutti gli altri scrittori subito al terzo numero? Io vedevo così bene il tuo Amleto così, sotto la maschera dell’Appendice (per modo di dire) che non mi pareva vero. In realtà non si tratterebbe neppure di un’appendice ma di una serie di capitoli ciascuno dei quali sta benissimo per suo conto, allo stesso modo che dal nostro punto di vista starebbero benissimo isolati i varii atti di un dramma di Shakespeare. Non cerchiamo di ricadere sul genere a forza di voler fare le persone fini. Dammi il modo di fare questa rivista come la penso io e fidati del mio amoroso criterio. Ho parlato anche con Saffi e con altri. Tutti sono della mia stessa opinione. Spero che tu non vorrai costringerci a privarci d’un tratto, facendo questo numero unico, d’una materia preziosa che vogliamo

4 Il 27 gennaio 1919, Cardarelli aveva scritto a Cecchi che quello attorno a «La Ronda» avrebbe dovuto essere un «movimento d’intesa letteraria europea che noi intendiamo iniziare in Italia» (EPISTOLARIO II, p. 636). 5 Pur mancando purtroppo le lettere dei due mesi precedenti in cui si organizzò la struttura del primo numero de «La Ronda» se ne deduce che Cardarelli aveva proposto all’amico di pubblicare il suo Amleto (vedi lett. 137), rimasto inedito, dividendolo in diversi capitoli sui primi numeri della «Ronda», invece di pubblicarlo interamente su un unico numero.

309 distribuire a piccole […] numero per numero. E lascia stare i Carrà, i Campana, i Savinio, i Soffici che la pensano in un altro modo. Mandami piuttosto le Memorie.6 Io sono più stanco di te come vedi ma tuttavia non dispero ancora di fare delle buone pagine per il primo numero. Navigo intanto in pieno Zibaldone.7 Non sono certo riaverti convinto con queste mezze ragioni a ritirare la tua proposta ma stai sicuro che di obiezioni da farne ne avrei ancora soprattutto di carattere pratico. Pensa come questa rivista è nata e chi dà i soldi. Scrivimi con franchezza che cosa ne pensi e procura di rimetterti presto in salute. Saluti cordialissimi tuo V. Cardarellli

[146] Quattro lunghe strisce di carta, scritte sul r, non datate; busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Arienti, 40/ Bologna»; la data della lettera è ricavabile dal timbro postale ROMA-FERROVIA 21.II.1919, timbro postale di arrivo […] CENTRO 25.2.19.

6 Le Memorie del tempo presente, rimaste inedite fino a quel momento perché Bacchelli non aveva trovato una buona soluzione editoriale per pubblicarle in volume, usciranno infine sulla «Ronda». 7 Lo Zibaldone di Giacomo Leopardi, poeta che insieme a Manzoni costituirà uno dei principali modelli per la poetica rondesca del «classicismo metaforico e a doppio fondo» che voleva «perpetuare nuove eleganze» riprendendo i testi della tradizione letteraria italiana. A proposito dello Zibaldone leopardiano, nel 1921 uscirono tre fascicoli monografici, in sostituzione dei numeri 3, 4 e 5 (marzo-maggio), in cui si pubblicava Il Testamento letterario di Giacomo Leopardi, raccolta antologica tratta dallo Zibaldone e curata dallo stesso Cardarelli.

310 [147]

Roma, 16 marzo 1919

Caro Bacchelli, da lunghi giorni io ti volevo scrivere ma sono stato, come puoi immaginare, occupato. Ho scritto il programma: Prologo in tre parti.1 Inoltre, cosa che tu non immagini, ho scritto una nota introduttiva2 al tuo Amleto.3 Quelli che l’hanno letta dicono ch’essa serve ottimamente a mettere in tono il lettore. Come forse non sai cominceremo col pubblicare il tuo Amleto. Spero che la mia nota non ti dispiacerà. Per conto mio ho poi messo insieme due pagine liriche: quella sui tempi e l’altra sul Nord completata.4 Forse però anche qualche altra cosa. La rivista uscirà agli ultimi del mese. Ti ringrazio della ottima nota su Benda.5 Perseverare. Ho messo sotto a questa la barzelletta su Claudel.6 L’altra l’ho messa da parte. Per questa rivista c’è grande aspettativa da per tutto. Bisogna star molto fermi per non montarci la testa. Pubblico lo scritto Cora.7 Incoraggialo pur consigliandolo a fare meno il tedesco, a non mordersi troppo la coda semitica ad abolire, se può, le parentesi. L’ultima parte di questo scritto è bellissima. Sono contento, leggo un articolo di Ungaretti nel Popolo d’Italia8 sopra un’arte nuova classica. Credo potrà essere un altro acquisto. Questo articolo è una prefazione a un suo libro9 e vuole descriverne un suo mutamento del quale ringrazia insieme, tra gli altri, anche me chiamandomi uomo preclare! Benissimo, Baldini farà su questo numero poche note

1 [V. CARDARELLI], Prologo in tre parti, cit. 2 V. CARDARELLI, Introduzione, cit. 3 R. BACCHELLI, Amleto. Cinque atti 1918. Atto primo, «La Ronda», a. I., n. 1, aprile 1919, pp. 18-40. 4 Cardarelli pubblicò sul primo numero de «La Ronda» (a. I., n. 1, aprile 1919, pp. 46-53) le prose liriche: Del tempo a venire, Un’uscita di Zarathustra, Saluto al Nord, confortabile paese e La luce per la sezione Polemiche e Fantasie. 5 R. BACCHELLI recensione a J. Benda, Les sentiments de Critias, Paris, Émile-Paul Frères Éditeurs, 1917, ivi, pp. 75-77, per la rubrica Incontri e Scontri. 6 R. BACCHELLI, Barzelletta, ivi, p. 77. 7 Maurizio Korach, noto in Italia come Marcello Cora, chimico ungherese, naturalizzato italiano. Per motivi politici si trasferì in Italia nel 1912 esercitando, oltre ai suoi interessi scientifici, anche le sue doti di scrittore e germanista. Fu infatti assiduo collaboratore della «Ronda», per la quale si occupò soprattutto di critica letteraria in ambito tedesco. Per i rapporti tra Cardarelli, Bacchelli e Korach si cita l’importante epistolario R. BACCHELLI, Bacchelli-Cardarelli-Korach, cit. Lo scritto di Korach pubblicato da Cardarelli è Ritorni inutili a inutili paesi. I. Paesi slavi del Nord, «La Ronda», a. I., n. 1, aprile 1919, pp. 54- 57. 8 G. UNGARETTI, Verso un'arte nuova classica. Prefazione alla 2° edizione del Porto sepolto, «Il Popolo d'Italia», 10 marzo 1919. 9 L’articolo di Ungaretti era apparso con il sottotitolo Prefazione alla 2°edizione de Porto sepolto, edizione che sarebbe uscita nel 1923. Proprio nelle ultime battute dell’articolo Ungaretti, dopo aver ringraziato altri letterati, ricordò che «la frequenza, infine, di Cardarelli, uomo preclare, di quindici giorni a Roma, ora è l’anno, non mi è stata di lieve ausilio» (ivi, p. 16).

311 bibliografiche.10 Nulla di Cecchi, ma il numero è quasi già completo. Per il secondo io ho già della materia. Laboremus e niente paura. Ora vengo a un altro argomento. Avrei bisogno che tu mi mandassi un altro piccolo aiuto per pagare l’albergo. Io so che le tue condizioni non sono magnanime e sii sicuro che non intenderò troppo in seguito pesarti. Ma insomma se puoi ora è inutile dirti che io mi trovo sempre di più in serio imbarazzo. Se no, non te ne parlerei. Spero che questa rivista vorrà darci anche di quattrini. Il mio ottimismo è addirittura smoderato. Scrivimi presto al Tempo che io mi fido poco ancora di questo indirizzo ed abbiti un cordiale saluto con la speranza di rivederti presto. Della tua faccenda si sempre Saffi. Tuo aff.mo V. Cardarelli

In quanto alla rivista non credo che faremo circolari private né anticipate. Tutt’al più un laconico manifesto. Aggiungeremo forse un foglietto nel primo numero. Raimondi può, se crede, fare un’opera di propaganda personale. Egli conosce gli uomini e le idee. Sa il linguaggio da usare, dagli il nostro indirizzo, digli che mi scriva. Occupati dei librai di Bologna.

[147] Due fogli sciolti, scritti sul r, intestati: « LA RONDA/ LETTERARIA MENSILE/ ROMA/ PIAZZA VENEZIA, 88»; busta con la stessa intestazione, indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; timbro postale di partenza ROMA-FERROVIA 15.3.19, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 16.3.19. La postdatazione è probabilmente una svista dell’autore, per il quale erano usuali, e frequenti, errori nell’indicazione della data.

10 Antonio Baldini per il primo numero de «La Ronda» si era occupato di recensire i seguenti volumi, di recente pubblicazione, in apertura alla rubrica Incontri e Scontri: Collezione diretta da Maria Gianni, Facchi Editore, Milano; Giuseppe Villaroel, La tavolozza e l’oboe, Studio Editoriale Lombardo; Lionello Fiumi, Corrado Govoni, Editore Taddei; Seb. Timpanaro, Scritti liberisti, Libreria della Diana; Michele Campana, Perché ho ucciso?, Libreria della Voce; Piero Jahier, Con me e cogli alpini, Libreria della Voce; in coda un pezzo intitolato Senza fare nomi, ivi, pp. 67-71.

312 [148]

Roma, 1 aprile 1919

Caro Bacchelli, ti ringrazio del vaglia. Non mi scuso del non averlo fatto prima perché tu conosci le mie lacune epistolari. A quest’ora il numero è in macchina e fra due o tre giorni lo riceverai.1 Spero che ti piacerà, ne conosci già il sommario. La mia nota su te mi sembra oggi superflua ma forse non è stato male che io l’abbia fatta.2 Ne discorreremo in seguito. Ora sarà bene pensare subito al secondo numero. Tutto quel che tu puoi mandare mandalo al più presto. Siamo intesi. Vorrei scrivere al Cora direttamente ma ho perso la sua lettera. Digli che mandi quello che vuole con sollecitudine. Per Raimondi sono imbarazzato a rimandare. Non amerei, almeno per adesso, occuparmi di questioni artistiche in quel senso che si diceva, del resto vorrebbe parlare delle operette di Leopardi. Ti par cosa possibile? Sarà meglio che aspetti: Linati è stato a Roma e non mi ha trovato. Mi sembra che anche Jahier3 avrebbe voglia di lavorare, ma io non nessuna voglia d’invitare né l’uno né l’altro. Da oggi comincia una novella storia. Credo che l’uscita della rivista basterà ad evitarci molti inconvenienti di questo genere. E, se mai, quelli che si ritengono esclusi ne faranno un’altra per conto loro. È ciò che io mi auguro. Allora ci diremo il fatto nostro, ciascuno alla sua maniera. Rimango fermo a Papini e Soffici se ci tengono a mandare qualche cosa. Riguardo alla poca quantità della biografia sono del tuo parere, ma Baldini ha defezionato. Speriamo che si riabiliti col secondo numero. È inutile che ti ripeta che noi non possiamo contare che su noi stessi. La responsabilità che ci siamo assunti è grande. Io tremo per me. In ogni modo come tu sai io sono capace di compiere qualunque sacrificio. Il tuo Amleto da quel poco che ho potuto capire andrà a vele gonfie. Ragazzoni4 l’altro giorno ne era mezzo impazzito. Anelo di vederti a Roma. La mia autorità ha qualche bisogno di esser sostenuta. Per trattare con Baldini mi occorre molta diplomazia. Saffi è incerto, lentissimo

1 «La Ronda», a. I, n. 1, aprile 1919. 2 Vedi lett. 147. 3 Piero Jahier (1884-1966) scrittore e poeta italiano, nato a Genova ma vissuto a Firenze sin dal periodo degli studi giovanili, dove venne presto in contatto con i giovani letterati del tempo. Collaborò con «La Riviera Ligure», «Lacerba» e, conosciuto Prezzolini nel 1909, iniziò a lavorare per «La Voce», divenendone anche responsabile dal 1911 al 1913. A proposito della sua collaborazione a «La Ronda» Cardarelli scrisse a Cecchi il 31 marzo 1919: «vi sono poi problemi secondari: eventuali inviti di collaborazione a Jahier, Linati etc. Per contro io decido di aspettare. Non conto, a dirti la verità, che su noi che abbiamo qualche tendenza a crescere e a non rimanere eternamente giovani» (EPISTOLARIO II, p. 639). 4 Ernesto Ragazzoni (1870-1920) poeta e giornalista italiano, si interessò soprattutto di letteratura inglese e nel secondo dopoguerra collaborò con «Il Resto del Carlino» e «Il Tempo».

313 nell’agire e fatto apposta per approvare le difficoltà e per crescere il cattivo umore. Non è un compagno amabile che nei momenti di strepitosa allegria che per me sono piuttosto rari. Io te e Lebrecht parevamo un triangolo da tenere a rispetto anche il diavolo. Ti lascio perché ho due belle signore che sono venute a farmi visita. Come vedi la nostra redazione sta diventando un metro di mondanità. Addio, scrivimi presto. Tuo V. Cardarelli

[148] Un foglio sciolto, scritto sul r, intestato: «LA RONDA/ LETTERARIA MENSILE/ ROMA/ PIAZZA VENEZIA, 88»; busta con la setssa intestazione indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 2.4.19, timbro postale di partenza non leggibile. Sulla busta, in basso a sinistra è appuntato a penna: «Ronda», Piazza Venezia, 88, quartiere 18, Roma.

314 [149]

Roma, 7 aprile 1919

Caro Bacchelli, ti ho telegrafato per chiederti un po’ di collaborazione bibliografica. Spero che comprenderai da te la necessità di fare ancora per questo numero1 un piccolo sacrificio. Abbiamo bisogno di mandare roba in tipografia e siamo quasi all’asciutto. Sollecita Korak. Di Raimondi ti posso dire che se non gli ho risposto è perché ho molto da fare ma che ho tenuto conto delle sue indicazioni. Nei limiti che tu stesso hai indicato dagli istruzione per qualche cosa che volesse mandare alla Ronda. E bada che non li passi. Per questo e per altre cose ti prego se puoi di darmi tutto il tuo aiuto perché io e te siamo con Lebrecht le sole persone che possono mostrare in questa impresa di avere un poco il senso delle responsabilità. Finalmente stiamo per uscire! Addio caro Bacchelli, ci vedremo al secondo numero. Credo che per te non si potrà fare nulla, ma abbi ancora un po’ di pazienza. Ho visto eccellenti cose nella tua memoria. Tuo Cardarelli.

[149] Cartolina postale intestata: «LA RONDA/ LETTERARIA MENSILE/ ROMA», indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; timbro postale di partenza ROMA-FERROVIA 8.IV.1919. Sul v della cartolina è scritto a penna «Manenti».

1 «La Ronda», a. I, n. 1, aprile 1919.

315 [150]

Roma, 22 IV 1919

Caro Bacchelli, io sono da qualche giorno in attesa di una lettera per conoscere la tua opinione su questo primo numero. Non vorrei che la mia nota1 ti fosse in qualche parte dispiaciuta. Io faccio sempre tutto quel che posso fare e se qualche volta mi accade di assegnarmi dei limiti forse troppo esclusivi e parziali non bisogna preoccuparsene. Volevo dire una sola cosa in quella mia nota e credo di averla detta. In quanto al tuo Amleto2 io credo che bisognerà leggerlo e rileggerlo per poterne parlare a fondo. Ti ringrazio delle tue barzellette che pubblico quasi tutte.3 Se ti succede di fare qualche altra cosa pensa che noi usciremo il 15 maggio. Sarebbe desiderabile che tanto tu quanto il Lebrecht cercaste di fare tutto quel che potete per partecipare attivamente alla rivista, giacchè non vi posso garantire di poter fare tutto io, e qui siamo tutti impegnati. Avremo delle noie, delle polemiche. C’è chi trova la rivista pesante. Bisognerà anche un pochino discutere. Non trovo p. e. affatto normale che Lebrecht dopo aver accettato con entusiasmo l’idea di questa rivista si sia tirato da una parte dicendo: - per due mesi non contate su me. Bravo. E su chi si deve contare? Non è mica uno scherzo fare una rivista. Scrivigli se credi. Mi ha mandato un’ottima recensione4 ma non basta. Io ho dovuto prendere un po’ di tempo per mettere assieme il mio volume che stamperà Vallecchi. Lo intitolo: argomenti poetici.5 Mi pare che sia alquanto massiccio e granitico. Ho fatto qualche altra cosina. La vedrai. Il solo cenno che sia uscito sulla rivista sull’Idea Nazionale6 di Fracchia7 dice che il tuo primo atto è la sola cosa notevole della Ronda, poi cita altri, omette Montano. Chiama il

1 Vedi lett. 147-48. 2 R. BACCHELLI, Amleto. Cinque atti 1918. Atto primo, cit. 3 Rondesca, «La Ronda», a. I, n. 2, maggio 1919, pp. 52-54, raccolta di note e barzellette di cui l’ultima bacchelliana è intitolata L’aborigeno. 4 L. MONTANO, recensione a A. Ricciardi, Il Teatro del Colore. Estetica del dopoguerra, Facchi, Milano, 1919, ivi, pp. 63-64. 5 Nonostante avesse tentato di pubblicarlo con Facchi l’anno precedente, Cardarelli lavorava ancora all’allestimento dei Viaggi nel tempo, ora ceduto a Vallecchi grazie all’intercessione di Papini. Il titolo Argomenti poetici, che non utilizzerà più per il volume, compare però a raccolta delle prose cardarelliane nel secondo numero de «La Ronda» (Donna, Errori di Don Giovanni, Umore di Socrate, Idea della morte, Ricordi di Riviera, ivi, pp. 23-36). Nei Viaggi nel tempo confluiranno anche le prose pubblicate già in «La Ronda», a. I, n. 1, aprile 1919 (vedi lett. 147, nota 4). 6 Nella rubrica Notizie letterarie dell’«Idea Nazionale» del 20 aprile 1919 era uscita una breve recensione della «Ronda», non firmata, la cui parte finale, a cui si riferisce Cardarelli chiudeva in questo modo: «Il primo numero de La Ronda contiene di notevole sotto una copertina arancione i cui caratteri furono sudati da Oppo e il tamburino involontariamente disegnato da Spadini, il primo atto di una tragedia in atti cinque, intitolata: Amleto. Non è di Guglielmo Shakespeare, ma di Riccardo Bacchelli. Dal primo atto si giudica una bellissima esercitazione. Contiene inoltre: uno scritto di Gorge Sorel su Charles Péguy, una mezza

316 tuo Amleto una bellissima esercitazione. È una vecchia bestia alla quale io ho tolto il saluto da sei anni. Sta bene. Scrivimi. Cardarelli

[150] Cartolina postale intestata: «LA RONDA/ LETTERARIA MENSILE/ ROMA», indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; timbro postale […] 22.IV.19. stroncatura di Alfredo Panzini, quattro prose liriche di Vincenzo Cardarelli, una lettera londinese di Emilio Cecchi e una traduzione dall’inglese Hilaire Belloc. Il fascicolo è completato da interessanti rubriche bibliografiche» ([s.a.] recensione a «La Ronda» in Notizie letterarie, «Idea Nazionale», 20 aprile 1919, p. 3). Si segnala che la recensione va ad integrare le bibliografie esistenti sulla «Ronda» nelle quali non risulta citata. 7 Umberto Fracchia (1889-1930) scrittore italiano e collaboratore, sin da giovane, di numerosi quotidiani quali «L’Idea Nazionale», «La Tribuna», «Il Secolo» e «Il Corriere della Sera». Nel 1912 fondò la rivista «Lirica» insieme a Onofri, esperienza che lo fece entrare in contatto con l’entourage intellettuale romano del Caffè Aragno (Cardarelli, Baldini, Borgese) e nel 1925 diede vita a «La Fiera letteraria», l’importante rivista che raccolse le esperienze letterarie più alte del ventennio letterario precedente dalla «Voce» alla «Ronda».

317 [151]

Firenze, 3 maggio 1919

Caro Bacchelli, sono scappato a Firenze per un piccolo sopraluogo letterario; nel frattempo sorveglio anche il servizio di vendita nelle librerie. Ti prego però di non compiacerti troppo di questi servizi volgari che io rendo al movimento. Non sono riuscito a vedere Papini: mi fà l’impressione di vederlo scappare. Firenze è morta e non risorgerà più. Ho dato il mio libro a Vallecchi1 il quale mi ha corrisposto un anticipo di 500 lire. È probabile che ti faccia una visita a Bologna, per arrivare quindi fino a Milano. Cora mi ha mandato due cose abbastanza vuote e improvvisate.2 È necessario tu gli faccia capire di lavorare. Però per molto, a questo patto. Si levi dalla testa l’astronomia e se ne serva meno programmaticamente. Eppoi non faccia il pastore d’Asia.3 Ottimo Lebrecht, vero successo di stagione.4 Il secondo numero è già pronto.5 La Rivista veleggia. Io pubblico in questo numero molte cose che tu già conosci, ma trasformate in parte.6 Tra l’altro ho fatto un preludio sinfonico alla Donna7 sullo stile della Luce8 di cui almeno la prima parte sono

1 Si tratta dei Viaggi nel tempo. 2 Marcello Cora aveva inviato per il n. 2 de «La Ronda» Le visite di Belzebù, due brani probabilmente stesi in fretta per rientrare nei tempi di stampa, che Cardarelli rifiutò, esprimendogli tuttavia le motivazioni della sua perplessità e chiedendogli in ogni caso di mandare «qualche altra cosa» da pubblicare (R. BACCHELLI, Bacchelli-Cardarelli-Korach, cit., p. 135). Anche Bacchelli, che con il Korach era in rapporti più confidenziali rispetto al direttore de «La Ronda», confermò all’amico il giudizio non positivo sugli scritti inviati, consigliandogli invece di sviluppare un altro testo che in effetti verrà pubblicato sul n. 3 della rivista con il titolo Ritorni inutili: Russia, Ungheria. Il 17 luglio 1919 infatti Bacchelli scrisse al Cora: «Quell’ultima cosa che mandasti a Cardarelli va benissimo e ci sono ottime uscite. Il tuo dialogo e la fantasia astronomica anche a me paiono mal riuscite, per lo meno dal punto di vista formale» (ivi, p. 57). 3 Ne Le visite di Belzebù Korach si era cimentato in una prosa creativa di argomento scientifico, sulla falsariga della prosa delle Operette morali di Leopardi (a quest’ultimo si riferisce con l’espressione «non faccia il pastore d’Asia», citando il primo verso di Aspasia). Il tentativo di Korach non piacque a Cardarelli, che ne spiegò le motivazioni a Korach in due lettere molto dettagliate scritte in occasione del secondo invio alla «Ronda» di questi due testi, nel novembre 1920. In quell’occasione il direttore, che aveva già fatto riflettere Korach sull’uso problematico della scienza in letteratura, gli scrisse: «Tu sai quanto è difficile e direi quasi temerario cercare di mettersi nel clima delle operette morali e come anche formalmente quei dialoghi siano da lasciarsi stare. Sarebbe come mettersi a copiare Dante. […] Leggendo le tue prime prove, ti scrissi a suo tempo di guardarti dal tenebroso umorismo metafisico e di lasciare il Diavolo in pace quanto più potessi. […] quella morte termica dell’universo riuscirebbe una curiosità scarsamente interessante per la più parte dei nostri lettori e dal momento che tu non te ne interessi da scienziato, in queste prose, ma da scrittore, […] l’interesse artistico che ne deriva è alquanto problematico». (ivi, pp. 139). 4 Danilo Lebrecht, con lo pseudonimo di Lorenzo Montano, aveva pubblicato sul primo numero de «La Ronda» il Medardo, o una meditazione fra due tempi (a. I, n. I, aprile 1919, pp. 7-15). 5 «La Ronda», a. I, n. 2, maggio 1919. 6 Vedi lett. 150, nota 5. 7 V. CARDARELLI, Donna, «La Ronda», a. I, n. 2, maggio 1919, pp. 25-29. La lirica era già stata pubblicata ne «La Raccolta», a. I, n. 3, maggio 1918, pp. 38-39. Vedi lett. 132. 8 V. CARDARELLI, La luce, «La Ronda», a. I, n. 1, aprile 1919, p. 53.

318 convinto che ti piacerà. Dopo tutto io sono un primitivo, voglio dire che non ho nulla di squisito e molto di popolare. Stai bene. Tuo Cardarelli.

[151] Cartolina postale intestata: «Terminus Milano Hotel/ Firenze», indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; timbro postale […] 3.V.19.

319 [152]

Milano, 18.5. 1919

Caro Bacchelli, non ti ho scritto finora perché credevo sempre di ripassare da Bologna da un giorno all’altro. Ma ora mi si presenta la possibilità di rimanere a Milano ancora qualche tempo (un mese o poco più) essendo quasi riuscito, dico quasi, a trovare una camera. A questo proposito sono costretto a darti ancora una piccola noia, perché ho speso tutti i soldi di Vallecchi e Saffi non intende, e forse non può, essere largo con me. È inutile che ti dica che io sono sempre più vergognato. Del resto non ho intenzione di superare per quest’anno la cifra da te fissata ed è sulla base di questo che ti domandavo di mandarmi ancora qualcosa fermo posta Milano. Ma, nel caso, il più presto che puoi. E conviene sempre sperare che un giorno io possa vivere completamente a spese mie. Ho trovato qui Carrà, alquanto trasformato. Si è avvicinato a Papini e Soffici ed è come le donne: ogni virtù dell’uomo amato non ha più alcun valore dal momento che l’amore è finito. Credo che faranno una rivista a Firenze o a Milano, da Notari.1 Possiamo immaginare che cosa sarà. Se si farà a Milano il segretario letterario sarà Bontempelli,2 con un seguito di Romagnoli3 e Bodrero,4 se a Firenze sarà una delle solite imprese. Forse avranno la sfacciataggine di attaccarci, e allora rideremo. In tutti i casi abbiamo tutti da guadagnare, Savinio invece è più serio, e credo che se ne potrebbe fare qualchecosa. È un nostro estimatore. È convinto che la via che noi battiamo sia la sola buona. Uomo del tutto diverso da quello che scrive. Naturalmente egli fa la parte del giovane e a me tocca di fare quella del maestro. Non mi sono ancora deciso a pregarlo di scrivermi qualche cosa,

1 Umberto Notari (1878-1950) giornalista, scrittore e editore italiano, fondò ne1 1904 l’Istituto editoriale italiano. Si fece inoltre promotore di diversi periodici, tra cui «L’Ambrosiano», aderendo al movimento futurista. 2 Massimo Bontempelli (1878-1960) poeta e narratore italiano, già ben affermato nel primo decennio del novecento con una produzione fedele alla tradizione letteraria ottocentesca, cambiò completamente linea stilistica aderendo nel secondo decennio del Novecento al futurismo e alle esperienze avanguardistiche. Dagli anni ’20 ebbe una posizione preminente nel panorama della cultura letteraria militante collaborando con numerose testate, tra cui «Il Mondo», «Il Tempo», «Il Corriere della sera». Bontempelli fu uno di coloro che nel ’19 si pronunciò a favore della linea conservatrice de «La Ronda». 3 Ettore Romagnoli (1871-1938) grecista, scrittore e critico letterario italiano, insegnò letteratura greca a Catania dal 1905 e pubblicò numerose raccolte di poesie e novelle. 4 Emilio Bodrero (1874-1949) professore ordinario di storia della filosofia e senatore, in giovinezza collaborò con «Il Regno» e fondò il giornale «Il Carroccio» (1908-1909). Bodrero, Romagnoli e Bontempelli, al tempo al suo esordio come redattore, collaborarono insieme al settimanale fiorentino «Cronache letterarie», uscito nel biennio 1910-1912, con il proposito di opporre una più tradizionale linea classicista e carducciana alla «Voce» prezzoliniana, in quel momento impegnata «in un’aspra battaglia a sostegno di Croce e della sua critica “filosofica”» (G. LANGELLA, Cronache letterarie italiane. Il primo Novecento dal «Convito» all’«Esame», Roma, Carocci, 2004, p. 68).

320 perché lo vedo sotto sotto impigliato nel commercio letterario milanese e siccome parla poco è difficile conoscere esattamente le sue intuizioni. Mi pare che ci sia in lui un fondo di onestà rude – per cui mi ha detto su Lebrecht delle cose persuasive. Egli ammira molto te e credo che non sia insensibile alla virtù letteraria del nostro amico, ma lo detesta come uomo e purtroppo devo convenire che non ha torto. Questo Lebrecht è una strana mescolanza di ingenuità, di ristrettezza mentale, di furberia e di funambolismo. Il mio istinto mi ha sempre impedito di abbandonarmi con lui e ora m’accorgo che non mi sbagliavo. Se tu ricordi anche a Bologna io facevo spesso orecchie da mercante. Non intendo tutta quella aria di cospirazione che si dà – proprio lui che non si trova affatto ad avere della dinamite tra le mani. Ed era scritto che io dovessi arrivare a trentadue anni per vedermi rispuntare la nera figura del filantropo davanti agli specchi nella persona di un giovane compagno di lavoro. Per conto mio credo che me ne saprò guardare. E intanto certe cose che è andato a dire, come per esempio che noi siamo rimasti annichiliti dal suo Medardo5 e altre cose del genere, mi fanno sorridere, quando io sono stato forse quello che lo ha meno bevuto e che mi sono più mefistofelicamente compiaciuto a vederlo bistrattato. Ora io sapevo che egli non poteva avere una grande simpatia per me ma che si sia permesso di dire che io facevo male a fare delle liriche, mentre se volessi potrei divenire un gran critico, mia pare una gaffe indegna d’un uomo di spirito. Io faccio quello che voglio, tanto per intenderci. E questo è grave dopo tutto il lavoro di accerchiamento e di seduzione che’egli ha compiuto verso di me, dal quale tuttavia non mi sono lasciato mai prendere più che tanto. Certa gente tu la inviti a prendere un caffè eppoi se ne va con la convinzione di averti truffato. Egli sostiene di essere il solo che scrive in stile aulico, sul che potrebbe avere anche ragione, ma aggiunge che ha restituito alla letteratura italiana il soggetto e la passione – dunque egli sarebbe il poeta. Mi pare che si sia messo proprio su una cattiva strada , e avrà delle disillusioni. Non per nulla egli è tanto disgraziato con le donne. Se non c’era di mezzo La Ronda avrei liquidato tutte queste cose in un altro modo. Così sono costretto a tenermele dentro e ne parlo ora a te perché lo cre[do] utile e doveroso in tutti i modi, anche nel caso che io avessi torto, e non lo credo. Guardiamoci dal soverchio scetticismo. Un ebreo è sempre un ebreo. Io desidero che lavori e non lo voglio turbare, perciò non tenterò di far chiaro tra me e lui. Lo lascerò nelle tenebre, dove egli forse si sa muovere meglio di noi, ma se crede di poter esercitare un amichevole

5 L. MONTANO, Medardo o una meditazione fra due tempi, cit.

321 controllo su me o su la Ronda si sbaglia. È molto imbarazzante per un ebreo aver da fare con degli uomini delicati come siamo noi. Me ne accorsi anche a Bologna, dove, tutto sommato, egli ebbe la sorte del piffero di montagna. Riceverai presto il II numero della Ronda che mi sembra venuto molto bene. Ci sono forse troppe cicalate di Baldini, ma questo è un genere che va. Io qui ho ottenuto che Bontempelli mi parli sul Secolo6 e ho conquistato la libreria Treves che ci aveva chiuso le porte. Milano è ancora il vecchio ducato. Però nelle poche persone che hanno visto la Ronda la compiacenza è generale. Ho anche stabilito qualche contatto con Pancrazi - tanto per evitare che dica delle baggianate. Interessati per il Carlino. Fatti mandare subito il sommario da Saffi e dallo a Missiroli7 o Spaini con alcune righe d’illustrazione poiché lo pubblichino. Il tuo secondo atto mi piace moltissimo, mentre Lebrecht con tutte le sue ricercatezze, mi appare, sinceramente, stento e povero. Quel che mi piace nel tuo Amleto è la leggerezza, nel senso di Nietsche, ossia la mano leggiera. Io ho fatto alcuni periodi su Caino8 – ora mi sono arenato ma se trovo una camera lavorerò, dunque ti prego di aiutarmi. Ho scoperto in un volume di prose di Tasso qualche periodo che potremo mettere nel numero prossimo9 tra le pagine esemplari come questa di Nietsche.10 Parla dei poeti che a somiglianza degli oratori devono usare concetti popolari e toccare la superficie delle scienze con la profondità come il pittore tocca la superficie delle cose. Hai visto l’articolo di Cecchi nella Ronda?11 È sempre lui.

6 «Il Secolo», importante quotidiano democratico milanese fondato dall’editore Sonzogno nel 1866. 7 Mario Missiroli (1886-1974) giornalista e saggista italiano, collaborò con «Leonardo» e «La Voce» e diresse numerosi quotidiani, quali «Il Messaggero», «Il Corriere della Sera», «Il Secolo». Nel 1919 era direttore de «Il Resto del Carlino», con il quale collaborava dal 1909 impegnandosi in particolare ad aprire la terza pagina a diversi orientamenti storici, politici e culturali a livello europeo. 8 La prosa intitolata Caino verrà pubblicata in «La Ronda», a. I, n. 3, giugno 1919, pp. 7-12 all’interno delle Favole della Genesi. 9 «La Ronda» del giugno 1919 esordiva infatti con un passo tratto da Le Prose diverse del Tasso riguardo al compito del poeta di dover parlare a molti e con concetti comprensibili anche al popolo, uscendo dalla torre d’avorio del linguaggio accessibile solo al mondo accademico (ivi, p. 3). La scelta di questi brani tratti da poeti, scrittori e filosofi classici messi in apertura ai singoli fascicoli de «la Ronda» avevano una chiara funzione di supportare autorevolmente il messaggio rondesco a proposito dell’importanza dei classici della letteratura italiana. Nel numero di giugno si rese programmatica questa rubrica con il titolo Convitati di pietra. 10 Il numero di maggio si apriva con una citazione di Nietzsche tratta dal Der Wanderer und sein Schatten, che riguardava l’uso stilistico di neologismi e arcaismi nella lingua (cfr. «La Ronda», a. I, n. 2, maggio 1919, p. 3). La scelta del passo assume per altro un valore di testimonianza molto significativo in relazione alla fruizione cardarelliana delle opere del filosofo tedesco, del quale privilegiava appunto la riflessione e la dimensione stilistica. 11 E. CECCHI, Comunicazione Accademica, «La Ronda», a. I., n. 2, maggio 1919, pp. 4-9.

322 Addio, sta bene e scrivimi presto tuo affmo V. Cardarelli

[152] Un bifolio, scritte le pp. 1-4. Busta indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; timbro postale di partenza MILANO CENTRO 19.V.1919 e timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 20.5.19. Sulla busta è scritto a matita «21 maggio 1919/ 0, 403993».

323 [153]

Milano, 24 V 1919

Caro Bacchelli, ricevo la tua lettera col vaglia e ti ringrazio. Siamo d’accordo: né io pensavo, come puoi immaginare, a darti nuove noie per quest’anno. Ho piacere di quel che dice Saffi. Io intanto metterò assieme anche il mio volume di cronache drammatiche1 per guadagnare qualche altra cosa. Mi preme di mettere subito a posto la mia privata questione con Lebrecht. Non crederai, spero, che io ti abbia scritto quelle parole per metterti su contro di lui, ma solo perché ce le avevo nella coscienza da parecchio tempo, e se ti ricordi a Bologna io ero un pochino inquieto, perché certi snobismi di frase e di contegno, nei quali non vedo troppo chiaro, non mi piacciono. Riguardo alle parole che ti ho riferito, che Lebrecht avrebbe detto, non essere io nato per fare della lirica, perché questa la fanno gli uomini coi coglioni duri e i falliti fanno della critica (punto di vista prettamente sofficiano o papiniano) queste parole Lebrecht le avrebbe dette a Carrà che me le ha riportate non volendo; se poi questi due giudizi, il particolare e il generale, siano stati espressi in due tempi, vale a dire senza il manifesto proposito di offendermi, non importa. Io che conosco un pochino Lebrecht (almeno ora mi sembra di conoscerlo) mi spiego perfettamente come egli possa avere queste convinzioni. Non sarebbe l’artista che è. E se io mi sono, non dico offeso, ma preoccupato, non è stato tanto per queste sue parole quanto per la luce che hanno portato su tutto il suo curioso contegno verso di me. Potrei fare la storia della nostra relazione, e potrei dirti che egli cominciò con me col dirmi delle balordaggini (questo, per esempio, che i miei Prologhi, convincevano ma non persuadevano, o il contrario, non mi ricordo) e che poi cambiò rotta a un tratto probabilmente soltanto per calcolo e per furberia. Ma come venne La Ronda ed egli fu assicurato che io lo stimavo cominciò a ritornare, con più o meno di reticenze, il Lebrecht che avevo conosciuto. E perfino il modo con cui si è comportato con te mi è sospetto. Intendimi bene, io so benissimo che queste sono cose di nessun valore, perché ciascuno rimane quel che è, ma qui intendevo parlare come uomo. E tanto più mi offendevano e mi sembravano indelicate certe cose di Lebrecht in quanto sono dette e fatte con intenzione seduttiva. Per esempio, egli mi disse una volta che la critica la lasciava fare a noi, con l’aria di far chissà quale concessione, mentre detta da lui

1 Il volume non verrà pubblicato da Cardarelli e negli epistolari noti del poeta non ci sono riferimenti a questo suo progetto che sembra aver esposto soltanto a Bacchelli. Le cronache drammatiche a cui si riferisce sono quelle scritte tra il 1918 e il 1919 per il «Tempo» con cui collaborava appunto come critico teatrale.

324 quella frase aveva quel po’ po’ di significato. E a Bologna non mi disse: Noi vogliamo fare di te un De Robertis? Se lui è un bambino o un imbecille impari come si deve stare con gli uomini. Ma io diffido di certi bambini. Tu non saresti Bacchelli ed io non avrei per te l’affetto che ho, se non ignorassi, dico per dura esperienza, certe miserie umane che io purtroppo conosco, e ti dico che io credo di sapere benissimo da quale triste fondo di scontenti, di dubbi e di umiliazioni vengono su certe intenzioni vendicative di certi uomini. Per passare a cose più generali, non mi piace troppo Lebrecht neppure come artista e forse ho fatto male ad essermene compiaciuto. Sul suo modo di fare uso delle lingue genererei degli equivoci, e mi consolo pensando che l’Italia è un paese più giusto e più solido di quel che si potrebbe credere, cosicché Lebrecht aveva molto da pensare prima di farsi strada. Queste cose io speravo con una tal quale soddisfazione. Il suo modo di ridurre le idee a boutades, il suo scetticismo critico, il suo antistoricismo, mentre non sono destinati a far fortuna potrebbero servire a rendersi molto più sinistri e antipatici di quel che non siano, e perciò se lui crede che io sia il De Robertis della Ronda è probabile che verremo a qualche discussione, perché io insisto col dire che sono cristiano e che ho ricevuto il battesimo. Altro che divisione di genere, di cui egli parlava a Bologna! Ma queste son cose che si metteranno a posto via via e io non ho alcuna intenzione di rompere le uova nel paniere a nessuno. Dopo di ciò io non parlerò più di Lebrecht né a te né ad altri, e a lui non dirò mai nulla. Ora mi metterò a lavorare. Voglio però che tu sappia come io non abbia avuto mai per Lebrecht altro che della stima relativa e mai con intento d’amicizia o d’illusione d’altro genere perché la sua mentalità e il suo mondo mi hanno sempre ripugnato, così come non mi interessa, in sostanza, il suo itinerario. In quanto a Savinio, figurati se io posso subire certe influenze, meglio è forse farlo senza essere invadenti e mi pare anche molto dignitoso. Intanto so che Lebrecht seguita a intrattenere con lui un’affettuosa corrispondenza in francese, tanto per dirti che è un minorenne o un minus habens, come vuoi. Ma non parliamo più di quest’affare. Ho preso in mano Gli sposi promessi2 e li vado leggendo con un diluvio di idee. Ancora una volta siamo d’accordo. Credo che ci scriverò qualcosa di buono. Ho poi altri altri propositi, ma intanto, come vedrai anche da questa lettera, sono stanco e malandato scrivimi presto. Non potremmo vederci a Milano? Io rimarrò qui un mese o due, quantunque a Milano circoli il delitto per le vie e sotto serpeggi la rivoluzione, ma è un

2 Gli Sposi promessi, redazione non definitiva dei Promessi Sposi manzoniani, frutto della revisione del Fermo e Lucia.

325 paese che, appunto per questo, può interessare. Uscirà un articolo idiota di Bontempelli sul Secolo per la Ronda.3 Idiota dico nelle idee, benevolo nelle intuizioni: ma ciascuno fa quello che può. E l’essenziale, come si diceva, è che si parli di noi. Addio per oggi. Non credere che io sia tratto a giudicare Lebrecht a questo modo per motivi inferiori. In fondo sono convinzioni che comporterebbero una maggiore placidità lo capisco, ma io erro spesso nell’esprimermi perché non ho rispetti umani, e non bisogna allarmarsene. Lo ridurrei al giusto tono lo stesso, quando l’irritazione è passata. Sta bene e scusami. Saluta i tuoi. Tuo affmo V. Cardarelli

[153] Un bifolio di cartoncino, scritte le pp. 1-4; busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; timbro postale di partenza MILANO CENTRO 23.V.1919, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 24.5.19.

3 Bontempelli scriverà a proposito del ruolo de «La Ronda» nel contesto letterario contingente: «Oggi non c’interessa più una battaglia parziale: combattere l’accademia, o risolvere un problema di tecnica, o sfruttare una scoperta espressiva di questa o di quella scuola straniera, o spiegare l’esaurimento del romanticismo, o svalutare il dannunzianesimo, o insegnare alla critica i principi fondamentali dell’estetica. Oggi sentiamo il nostro compito sotto specie di totalità: bisogno di rivestire tutto il campo con un esame compiuto e unificatore, di risintetizzare in visione unitaria tutti i valori non consunti. E così poter percorrere, in superficie e in profondità, l’intero essere della nostra coscienza odierna: e di questa fare una solida base per riattaccarci alla tradizione interrotta e per muovere verso la tradizione nuova (perché tradizione non è il passato morto ma quello che vive e perciò si trasmuta; tradizione è non meno il domani che l’ieri). In tutti gli altri movimenti, riviste, giornali ecc. di cui ho notizia, ho cercato invano una sensazione chiara di questa necessità, di questa coscienza, di questa posizione da annullare apertamente. Il primo indizio ne trovo nella Ronda» (M. BONTEMPELLI, recensione a «La Ronda», «Il Secolo», 1919, ora in ID., L’Avventura novecentista, Firenze, Vallecchi, 1974, p. 67n).

326 [154]

Milano, 28 V 1919

Caro Bacchelli, ho trovato casa, non so se te l’ho detto. Il mio indirizzo è: Via Carlo Tenca, 27, presso Damerini. Rimarrò qui fino alla fine di giugno, forse. Intanto ho cominciato a lavorare. Ho scritto quelle cose su Caino,1 di cui ti ho parlato. Sono cinque o sei pagine. Ne sono alquanto soddisfatto. Te la manderei se ne avessi un’altra copia, ma la leggerai nella Ronda nel prossimo numero.2 Hai pensato a far pubblicare il sommario sul Carlino? Come va questo numero a Bologna? Vedi d’interessartene. Ti saluto per adesso Tuo affmo V. Cardarelli

Sul retro: Saluti cordiali a Carrà

[154] Cartolina postale italiana, indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; timbro postale di partenza MILANO PARTENZA 29.V.1919.

1 Vedi lett.152. 2 V. CARDARELLI, Caino, «La Ronda», a. I, n. 3, giugno, 1919, pp. 7-12.

327 [155]

Milano, 2 Giugno [1919]

Caro Bacchelli, credo che tu mi abbia scritto sinceramente, che è quello che voglio, e non mi abbia detto tutte queste belle cose per consolarmi. Nel qual caso io sarei sempre l’uomo da ringraziarti. Sai che l’arte mi prende di sfuggita e io vedo sempre quel che avrei potuto da fare dopo che l’ho fatto. Così ti spingano i miei ritorni, le mie insistenze e le mie correzioni. Ma in quanto a quel primo paragrafo di Donna,1 come ti dissi, io sentii subito che era qualchecosa di cui potevo ritenermi soddisfatto. Sono contento che anche a te abbia fatto la stessa impressione, perché io sospetto, tra l’altro, di essere arrivato appena ora a scoprire qualche barlume di luce e non me ne lamento. E perciò vorrei che la gente fosse più cauta nel giudicarmi, tanto quanto io lo sono nel lavorare e nell’andare avanti. Ma perché la tua amica ha poi rinunciato all’idea di scrivermi mentre mi avrebbe fatto tanto piacere e sarebbe stata un’eccellente occasione (purchè io non equivochi ancora una volta su questa tua amica di Mantova) per fare la conoscenza? Ora ho scritto cinque o sei pagine che stanno nella stessa atmosfera biblica, intitolate Caino. Sarò curioso di sapere la tua impressione. Io me ne compiaccio intanto per la lunghezza e perchè temevo di non aver nulla per il terzo numero della Ronda. Certo vi è li qualche punto che sta, secondo me, a paragone della creazione della donna. E tu vi troverai una spiritosa interpretazione del peccato originale, riferito alla terra, principio di ogni male. Ma insomma nell’insieme vi sono punti che avrebber richiesto ben altra diffusione ed io sono sempre acerbo, incerto e disperato. Scusami se mi sono così dilungato su queste cose. Ho letto stamane una recensione di Prezzolini sulla Ronda nella Rivista d’Italia.2 È molto benevolo. Non dico altro e non giudico. Mi ha messo tra i primi.3 L’altro giorno leggevo in un giornalucolo futurista un altro articolo sulla Ronda: ci sei tu solo il nominato e il lodato. Io credo che stiamo male in tutti e due i casi, e bisognerà anche armarsi contro le tentazioni.III Che voglia di mettere le cose a posto che avrei io qualche volta!

1 Vedi lett. 132. 2 G. PREZZOLINI recensione a «La Ronda», «Rivista d’Italia», a. XXII, fasc. 5, 31 maggio 1919, pp. 127-128. 3 Nella recensione Prezzolini scrisse: «Insomma io trovo degna di nota e degnissima di fiducia questa rivista, che è d’avanguardia avendo nel programma d’essere di retroguardia; trovo significativo il suo apparire. Alcuni degli scrittori che raccoglie c’erano già conosciuti. Primeggia fra questi, senza dubbio, il Cardarelli, al quale nessuno può negare un affinato senso e tormento del problema artistico. Le prose che qui pubblica sono veramente belle. […] La rivista è un segno dei tempi ed è, nel complesso, una buona cosa, qui e là un po’ macchiata di presunzione e affettazione. […]» (ivi, p. 128).

328 Verrai dunque a Milano? Chissà come mi farà piacere il rivederti dopo altri quindici, venti giorni di questa vita solitaria e sconsolata, in un paese più nemico che straniero. Saluta gli amici di Bologna, si apparecchia, a quanto posso capire, un altro bel numero. Bisogna darci da fare per gli abbonamenti. Figurati che io qui a Milano ho fatto di tutto per ottenere che Treves accogliesse la Ronda e la esponesse la in vetrina e ci sono riuscito, ma a tutt’oggi non gli è stata ancora spedita. Ti voglio avvertire che vedendo le bozze di questo numero forse mi accadrà di togliere qualche barzelletta, per esempio quella che si fece a Bologna, che mi sembra eccessivamente scherzosa per il nostro carattere e che forse avrò qualche cosa da ridire su quel soprattitolo dongiovannesco che tu hai comunicato a Saffi per le pagine esemplari e che sembra abbia fatto fortuna. A me mi pare un sopratitolo per non dire altro, troppo infernale. Ma vedremo. Non annullare l’idea di venire a Milano e credimi tuo aff.mo

V. Cardarelli

Via Carlo Tenca 27. presso Damerini

III Una malignità è questa: parlando del tuo Amleto a titolo di lode, non ti nomina.4

[155] Bifolio di cartoncino, scritte le pp. 1-3, numerate da Cardarelli da 1 a 3, datate erroneamente 2 giugno 1918; la data corretta infatti è 2 giugno 1919, come attesta il timbro postale di partenza MILANO CENTRO 2.VI.1919 sulla busta, indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna». La datazione corretta è avallata inoltre dai seguenti riferimenti interni: Cardarelli cita il terzo numero della rivista, uscito appunto nel giugno 1919 e la recensione di Prezzolini a cui fa riferimento si trova in «Rivista d’Italia», n.s., 1919, a. II, fasc. V, pp. 127-8; infine Cardarelli iniziò a lavorare al Caino nella primavera del 1919 e non l’anno precedente. La data indicata quindi è un lapsus calami dell’autore.

4 Prezzolini infatti scrisse nella recensione: «uno di essi rifà Amleto di Shakespeare, senza modificare una situazione o un personaggio» (ibid.).

329 [156]

[Milano, 17.6.19]

Caro Bacchelli, dunque? Non vieni più a Milano? La Nona1 è venuta, ma tu no. Io non ci sono andato perché era difficile provvedersi i biglietti. Ignoro se la ridaranno, tu forse lo saprai meglio di me. Lessi la tua nota sullo Scalvini2 che mi è piaciuta assai e mi ha ispirato alcune osservazioni su Manzoni che forse vedranno la luce sul prossimo numero della Ronda.3 Intanto per questo numero ho messo insieme una diecina di pagine d’argomenti biblici. Non posso prevedere che cosa se ne dirà. Tu me ne dirai il tuo parere se te ne sembrerà il caso. Ma in ogni modo andrò avanti su questa strada e credo di scrivere qualche cosa di buono in seguito. Per ora non sono che avanzi, lo dico senza furberia. Addio, fatti vedere. Se tu non vieni a Milano, passerò a prenderti alla fine del mese per portarti a Roma. Abbiamo ancora molto da discorrere. Tuo Cardarelli

[Sul retro] Saluti cordiali Carrà

[156] Cartolina postale italiana, indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; timbro postale di partenza MILANO PARTENZA 17.VI.1919.

1 Il 14 giugno a Milano era andata in scena la Nona di Beethoven di Toscanini (ne dà notizia «Il Secolo», 15 giugno 1919). 2 R. BACCHELLI, Giovita Scalvini. Un caso letterario, «La Ronda», a. I, n. 3, 1919, pp. 61-65. 3 Probabilmente Cardarelli abbandonò questo proposito, poiché sul numero di luglio de «La Ronda» non compaiono riflessioni manzoniane.

330 [157]

Milano, 22 VI 1919

Caro Bacchelli, di volo ti mando le bozze delle mie ultime cose perché tu le legga con qualche correzione che ci ho fatto e non compariranno sulla Ronda. Dammi la tua impressione. Peccato è un abbozzo, soprattutto nella prima parte. Caino ha qualche scivolamento. Si sente che è improvvisato. E il Fuoco infine non è che un momento.1 Detto questo dovrei anche, per conseguenza, scusarmi di essermi lasciato andare a pubblicare queste cose un po’ troppo in fretta sulla Ronda. Ma a parte che qualche cosa bisognava pure che mandassi, avevo bisogno di asserire pubblicamente questa nuova vena di lavoro che mi si va aprendo, speriamo che non sia varicosa. In ogni modo ti posso assicurare che le altre cose che farò o saranno mature o non le pubblicherò. Intanto qui dietro ti scrivo un Refrain2 senza troppi scrupoli venutimi questa notte. Credo che il Diluvio3 mi verrà bene. Addio, ti prego di scrivermi, Cardarelli

Illustre Noè, buon Patriarca, dicci la storia dell’Arca Santa, che per quaranta dì e quaranta notti galleggiò a capriccio dei venti sopra le acque che sommergevano il mondo: piccola nave di salvezza su cui non tutti trovarono posto, seconda creazione del mondo, novello Paradiso Terrestre. Illustre Noè, buon Patriarca.

[157] Un bifolio, scritte le pp. 1 e 4; busta indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; timbro postale di partenza MILANO PARTENZA 23.VI.1919, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO […].6.19.

1 V. CARDARELLI, Favole della genesi. I. Il Fuoco (introduzione al «Diluvio»), II. Il Peccato, III. Caino, «La Ronda», a. I., n. 3, giugno 1919, pp. 4-12. 2 La lirica fa parte del Diluvio e venne pubblicata in coda al primo paragrafo di questa prosa in «La Ronda», a. I, n. 4, luglio-agosto 1919, p. 28. Rispetto alla redazione in rivista non ci sono varianti, tranne l’espunzione nella stampa della virgola dopo «Arca Santa». 3 V. CARDARELLI, Il Diluvio, ivi, pp. 26-31.

331 [158] Milano, 25 VI 1919

Caro Bacchelli, sono molto stanco e ottenebrato da qualche notte d’insonnia. Non rimane forse da fare altro qui a Milano, perciò credo che partirò tra due o tre giorni. Tienti pronto perché io ti telegraferò all’atto della partenza. Mi fermerò a Bologna un giorno. Vale a dire arriverò col treno delle 11 e trenta e pernotterò costì. Il giorno dopo partiremo. Tu mi troverai una locanda economica perché ho pochissimi soldi. Ci fermeremo forse un giorno a Firenze se ti va. Io dovrei vedere Vallecchi. La tua lettera mi dà conforto. Ti ringrazio anche dei tuoi insegnamenti. Io avevo un’idea che quel paesaggio del peccato1 avesse una certa latitudine primordiale. Il Diluvio2 che ti ho mandato è anch’esso pieno di segni incerti o rozzi. Bisogna pensare che queste sono le prime esplosioni. Ma è tutta materia che non disperderò. Se in tutto il prossimo mese potessi condurre a termine questa cosa sarebbe già molto. Ho letto la tua nota su Arimane.3 Non mi aspettavo di vedervi il mio nome, e mi ha fatto un certo effetto! Ma certo di tutte queste cose e anche del tuo Amleto parleremo a voce. Ti saluto. Cardarelli.

Io ho poi scritto a Lebrecht senza dirgli nulla naturalmente, ma forse il tono della mia lettera era tale che egli non può fare a meno d’aver capito qualche cosa. Inutile dire che io ho dimenticato tutto e buona notte.

Tavolato fa una rivista a Napoli: Satyricon.4 Dedica un articolo a Noi,5 entusiastico. Credo che sarà una cosa intelligente. Mi scrive che vuole qualcosa da noialtri, e paga cento lire. Hai tu nulla? Io no.

[158] Cartolina postale italiana, indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; timbro postale di partenza MILANO CENTRO 25.VI.1919.

1 Vedi lett. 155 e 157. 2 Vedi lett. 157. 3 R. BACCHELLI, «Ad Arimane» di G. Leopardi, «La Ronda», a. I, n. 3, giugno 1919, pp. 66-67. Nelle prime righe dell’articolo Bacchelli aveva omaggiato l’amico affermando: «questa nota vuole portare un contributo, tanto per intenderci subito, alla storia ideale di Leopardi, quale Vincenzo Cardarelli ce l’ha descritta ed insegnata». 4 Come testimoniano due lettere dirette a Papini da Tavolato, quest’ultimo, nel maggio-giugno 1919, parlava di «una rivista di imminente uscita da lui diretta, edita da “L’Editrice italiana”» che doveva essere una «rivista settimanale, polemica e artistica, a grande tiratura, dal titolo Satyricon»; la rivista tuttavia non sembra essere mai stata pubblicata (M. PONZI, Spazi di transizione: il classico moderno (1888-1933), Milano, Mimesis, 2008, p. 93). 5 L’articolo in realtà non uscì, non essendo più stata realizzata la rivista.

332 [159]

Milano, 29 giugno 1919

Caro Bacchelli, per compiacerti e per non privarmi della tua compagnia farò del tutto per partire da qui mercoledì sera alle 8, in modo di arrivare a Bologna verso mezzanotte. Dico questo perché ho pochi quattrini. Va senza dire che viaggerò in seconda. Ti telegraferò e tu verrai alla stazione se lo potrai, perché arrivando a quell’ora se qualcuno non mi fissa prima l’albergo rischio di passare una notte alla stelletta. Nel caso poi che tu potessi partire mercoledì io andrei via di qui martedì sera. Fammelo sapere per espresso o per telegramma. Alla Cipressina c’è forse ancora quella tua cognata bionda? In tal caso, caro Bacchelli, io ti darei un appuntamento fuori della mura. Così va il mondo! Grazie della tua lettera nel mio silenzio. Tu vedi con una precisione singolare ed è per questo che i tuoi apprezzamenti mi riescono di molto conforto. C’è però una differenza tra il mio Dio e quello di Goethe. Il mio è molto più ironico ed umano. Quello vive nelle acque, nei monti etc. etc. E piuttosto è il suo Diavolo che somiglia al mio Dio. Faremo cose dell’altro mondo, se ci torna a gola tutta quella nostra filosofia giovanile. Sento che tra non molto potrei scrivere delle parabole sul mondo ad uso dei bambini. Ho fatto qualche correzione nel monologo,1 ho rialzato qualche frase, ora mi pare che vada meglio. Ma io ho un cumulo di pensieri che sono costretto ogni volta a sacrificare perché la mia forma è stretta come la porta del paradiso, e non c’entro. Ho fatto qualche appunto ne l’Arca.2 Faccio coincidere il Diluvio coi Quattro Aprilanti, non mi sembra un’idea cattiva. Tornano le rondini dall’Egitto, alcune di esse si fermano a farmi il nodo sotto le due grondaie. Gli animali sono tutti giovani, l’Arca è piccola, proprio una cosa infantile, vi si respira un’innocenza singolare. E Noè pensa che potrebbe venire una moria. Avrei bisogno d’un atlante degli animali. Se riuscissi a scrivere queste pagine in questi giorni potrei partire tranquillo. Spero che le cose mie che escono in questo numero della Ronda non siano addirittura delle boiate. Il tuo giudizio anche su questo mi ha alquanto tranquillizzato. Ho fatto leggere il Diluvio e altre cose a Linati. Dice che in Inghilterra avrebbero successo. Infatti io mi

1 Cardarelli si riferisce al monologo di Dio nella prosa Il Diluvio, alla quale stava lavorando e che pubblicherà in «La Ronda», a. I, n. 4, luglio-agosto 1919, pp. 26-31. 2 Nelle righe successive Cardarelli riassume all’amico il contenuto del Diluvio, citandone i capitoli principali: la fondazione dell’arca di Noè, il giorno dei Quattro Aprilanti, il ritorno delle rondini dall’Egitto e le preoccupazioni di Noè, dopo aver riempito l’arca, sulla possibilità dell’estinzione delle specie qualora un maschio o una femmina delle rispettive razze fossero morti.

333 propongo di fare un volume da lanciare. Hai mai pensato che in qualche lingua straniera che non so quale sia pure noi troveremmo uno strumento più diretto e appropriato alla nostra volubilità? Forse la nostra lingua nativa è molto antica, si deve trattare di qualcuna di quelle lingue orientali, quasi del tutto sconosciute. O della lingua etrusca? C’è nessuno scrittore che somigli a Leopardi in tutta la letteratura italiana? Voglio dire, che abbia quella musica? È un sospetto che io ho da molto tempo. In quanto al refrain3 è un capriccio. È piaciuto a Saffi che dubita non sia tradotto da Villon.4 Infatti c’è quell’illustre5 in principio al quale tengo molto. Come altri aggettivi, corpo eccellente, acquerelli gradevoli hanno quello stesso timbro di galanteria del francese antico. Scusami se m’indugio con apparente compiacenza su queste cose con te, che sarebbe come portar vasi a Sesamo.6 Ho già rimorso di essermi così abbandonato. Vidi in un giornale letterario di Verona7 Montano definito come una personalità letteraria già formata, nominato te in sottordine, taciuto il mio nome sebbene vi si parli del bel preambolo - e ti direi che in tutto questo ci vedo l’ispirazione di Lebrecht e tutto ciò torna a non farmi piacere - mica per gli effetti pratici come tu puoi immaginare. Il buon Carrà ha delle idee categoriche sugli ebrei e io mi sono rinforzato sul mio antisemitismo e sarà difficile oramai farmi spuntare da quest’idea. Con tutto ciò andia[mo] pure a trovare Cora che è un altro tipo. Sta bene e rispondimi subito. Tuo Cardarelli

[159] Un bifolio, scritte le pp. 1 e 4, intestato: «Caffè Ristorante/Puntigram/ Milano» scritte le pp. 1 e 4; busta con la stessa intestazione, indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; timbro postale di partenza MILANO PARTENZA 30.VI.1919, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 1.7.19.

3 Vedi lett. 157. 4 François Villon (1431 ca-1463) poeta francese considerato un precursore, o comunque un importante antecedente della corrente letteraria dei poétes maudits. La sua opera più nota è La ballata degli impiccati, giocata per altro sul tema della redenzione, tematica che riecheggia molto nel refrain del Diluvio cardarelliano. 5 Il refrain inizia con il verso «Illustre Noè, buon Patriarca» 6 Probabilmente Cardarelli si riferiva al modo di dire “portar vasi a Samo”, che significa “fare una cosa inutile”. 7 Si tratta della rivista letteraria veronese «Poesia ed arte», nella quale era apparsa una recensione sulla «Ronda» che metteva in luce soprattutto la personalità di Montano, in quanto scrittore veronese, pur riconoscendo nel gruppo rondista «giovani ma ormai arrivati e riconosciuti. Dobbiamo dire che, questa volta, il riconoscimento del pubblico è in gran parte meritato» (A. SCOLARI, recensione a La Ronda, «Poesia e Arte», a. I, n. 1, giugno 1919, p. 15).

334 [160]

Roma, 19.IX.1919

Caro Bacchelli, sono in debito con te di una risposta da lungo tempo. Mi scuserai se non ti ho scritto fino ad ora immaginando che non l’ho fatto per trascuratezza. Ma ho sempre detto a Raimondi di salutarti spiegandoti le ragioni del mio silenzio, sulle quali sarà inutile che io indugi. Ho trovato un appartamentino camera e salotto, in via Sistina, dove cerco e spero di lavorare. Avevo scritto un intermezzo sul Diluvio che però ho ritirato all’ultima ora per uno dei miei soliti dubbi. Così di mio nella Ronda di questo mese non c’è nulla, salvo una polemica francese1 e due o tre cose critiche2 tolte dalla Raccolta e messe con le iniziali sugl’Incontri e Scontri.3 La tua lettera a Giovannetti4 vien pubblicata e va benissimo. Trovo il tono troppo amabile. Ma sai che carogna è quel Giovanetti. È inutile dire che io gli ho tolto il saluto e che non vado più al Tempo. Il numero di questo mese5 andrà benissimo sugli Incontri e Scontri. Nel prossimo pubblicheremo il primo capitolo delle Memorie.6 Sarei del parere di abolire le Barzellette e di limitarsi a fare dei pezzi con tanto di titoli e possibilmente nome e cognome delle persone di cui si tratta. Eppoi dedicarsi, più che si può, alla bibliografia. Metti sotto Raimondi che per questo mese ha fatto una stroncatura in gamba di Rosso di San Secondo.7 Franci,8 saputo della tua nota su di lui,9 ha scritto a Baldini facendo la più

1 [V. CARDARELLI], A quei di là, «La Ronda», a. I, n. 5, settembre 1919, pp. 62-65. 2 V. CARDARELLI, Decadenza del genio, Il poeta precoce, La parola, ivi, pp. 67-70. 3 Rubrica de «La Ronda» in cui si raccoglievano note, barzellette e recensioni dei redattori della rivista. 4 R. BACCHELLI, Risposta per uno e per molti, «La Ronda», a. I, n. 5, settembre 1919, pp. 65-67. Eugenio Giovannetti aveva criticato l’Amleto bacchelliano accusandolo di essere un rifacimento dell’omonima opera shakespeariana, con la quale lo metteva pedissequamente a paragone, dimostrando così di non aver colto le reali intenzioni e il significato letterario dell’operazione di Bacchelli. Quest’ultimo quindi gli rispose sulle pagine della «Ronda», rivelando sin da subito l’errore del critico: «Avremmo preferito che fosse un altro a pronunciare contro il nostro Amleto l’accusa più volgare, cioè d’essere un rifacimento di quello originale. Egli ci fa onore di un precedente goethiano, ma non c’entra per niente, proprio perché non ci è mai passato per la testa di rifare l’Amleto, meno che mai poi nel senso e cogli scopi del consiglio di Goethe» (ivi, p. 65). 5 «La Ronda», a. I, n. 5, settembre 1919. 6 R. BACCHELLI, Memorie del tempo presente. I. La vita Anteriore. II. Introduzione, «La Ronda», a. I, n. 6 ottobre 1919, pp. 5-10. 7 G. RAIMONDI, recensione a Rosso di san Secondo, Io commemoro Loletta, Milano, Fratelli Treves, 1919, «La Ronda», a. I, n. 5, settembre 1919, pp. 74-78. 8 Adolfo Franci (1895-1954) giornalista, saggista, narratore e traduttore, collaborò con numerosi quotidiani e riviste fra cui l’«Ambrosiano» e «La Fiera Letteraria». Grazie ad una lettera di Franci conservata nell’Archivio Baldini (ora pubblicata in A. BALDINI, E. CECCHI, Carteggio (1911-1959), cit., p. 155) è possibile ricostruire l’accaduto: Franci, scrivendo un articolo su Baldini, aveva usato la parola imbrancarsi

335 grossa meraviglia e protestando la sua stima verso noi che egli ritiene il gruppo più serio etc etc.10 Vedi con che gente si ha a che fare. Lebrecht mi scrive con molta degnazione del mio Diluvio11 rallegrandosi dei miei progressi. Cora è profetico. Un certo Capitini12 di Perugia che non conosco mi dichiara tutto il suo entusiasmo salutandomi (lo devo dire?) vero poeta. E così va il mondo. Raimondi,13 dopo alcuni giorni di smarrimento, sembra che abbia trovato il suo ubi consistam e credo gli abbia giovato il fatto che Saffi non è più a Roma. La Ronda fila, uscirà tra due o tre giorni. Io però ho dovuto fare un po’ di fatica a portarmelo appresso. Tu sai quanto io ho bisogno di essere libero. Ci sono state chiare avvisaglie da parte mia che non sono più in quell’età in cui si desidera essere ascoltati, testimoniati, o che so io. È però un ragazzo agile e furbo. E ora andiamo bene. Io ho piacere che egli lavori e che possa fare un centro qui a Roma. E fin da ora ti posso dire che non abbiamo sbagliato a farlo venire. Intanto c’è qualchecosa di nuovo. Sembra che Prezzolini sia disposto ad

per indicare il suo entrare a far parte della Ronda («ora s’è imbrancato con quelli della Ronda»). L’espressione venne male interpretata dai rondisti che se ne offesero molto e risposero, per bocca di Bacchelli, sulle pagine della loro rivista (infra, nota 9). 9 R. BACCHELLI, Punti di vista, in Rondesca, «La Ronda», a I., n. 4, luglio-agosto 1919, p. 56. Bacchelli era stato piuttosto duro con Franci nella rubrica dedicata alle aspre frecciate polemiche: «Al giorno d’oggi, tra gente educata, si misurano le parole, e certi giovincelli, i quali fanno dello stile polemico, sappiano bene di non dimostrare niente più che una gratuita e nativa villania e crassezza. […] Uno di questi paperi, per esempio, per significare il fatto di entrare nella redazione della Ronda, usa, vogliam credere per ignoranza della lingua e becerismo linguaiolo, il termine imbrancarsi. Come sarebbe a dire? Usi termini più umani, il nostro papero, o se no si spieghi, dica quel che gli sta sul cuore. Confessiamo, che qualche volta ci assale una voglia prepotente quanto inutile e inopportuna, di far in modo da saper con chi abbiamo a che fare. 10 Franci infatti, dopo aver raccontato a Baldini che Cecchi e i rondisti si erano sentiti trattati persino da «farabutti, mascalzoni» in seguito alla sua espressione, scrisse: «Io feci tutte le mie meraviglie scusandomi come meglio potevo, anzi spiegando (perché non v’era di che scusarsi) che non intesi, adoperando quel verbo, di arrecare la benchè minima offesa ai giovani della Ronda per i quali nutro la massima stima». Inoltre, a proposito del violento attacco di Bacchelli scrisse: «Non ho ancora visto La Ronda e non so quello che Riccardo Bacchelli che non mi conosce, abbia potuto dire di me. Ma fin da ora, con tutta franchezza, posso dirle che i metodi polemici adoperati da certuni della Ronda non mi vanno punto a genio. Si tratta, che diamine, di onestà letteraria. E Bacchelli, che non mi conosce, doveva prima di scrivere quelle male parole, vedere chiaramente senza lasciarsi offuscare il cervello dalla stizza. Non so se risponderò a Bacchelli. Le polemiche, specialmente su beghe di questo genere, non mi seducono. Lasciano il tempo che trovano e trascinano in pettegolezzi tutta’l più degni degli sfaccendati dei caffè. Ma non di giovani che dovrebbero lavorare con serietà d’intenti, con coscienza e, soprattutto, con onestà. Scrivo a lei perché, se può, cerchi di chiarire l’equivoco spiegando ch’io non potevo avere nessuna idea di offendere dei giovani che seguo da anni con viva simpatia e con grande interessamento e che rappresentano, per me, il nucleo più serio e cosciente della giovane letteratura italiana» (A. BALDINI, E. CECCHI, Carteggio (1911-1959), cit., pp. 155- 156). 11 Vedi lett. 157-159. 12 Si tratta probabilmente di Aldo Capitini (1899-1968) al tempo uno studente della Normale di Pisa che iniziava a muovere i suoi primi passi nella riflessione etica e civile nei rapporti tra la Chiesa e il regime fascista, per sposare successivamente posizioni nettamente antifasciste. Venne in contatto con Croce che nel 1947 si fece mallevadore del suo principale volume, Elementi di un’esperienza religiosa. 13 Raimondi aveva assunto l’incarico di segretario della «Ronda».

336 assumere la Ronda per quel che riguarda la parte riclame, distribuzione, amministrazione14 etc. che cosa ne dici? Sono stato io che ci ho pensato, Spaini che ha fatto i primi approcci. Prezzolini lo farebbe con entusiasmo e non gli parrebbe vero. Credo che ne avremmo del vantaggio, in tutti i sensi. S’intende che egli non avrebbe nessuna parte nella Redazione. Del resto lascia fare a me. Io finora non ho voluto riavvicinarmi a lui perché mi ci riavvicinerei soltanto per un interesse superiore. Egli va parlando di noi con molta ammirazione. Linati ha mandato due cose per la Ronda, una traduzione di De Quincey15 interessante, anzi buona, e una sua prosa originale,16 stile Black:17 non so se lo conosci, deve essere uno di quei poeti inglesi del tempo delle carestie di cui parla Cecchi nella sua Storia.18 Insomma il prossimo numero si promette bene. Anche io spero di avere qualche cosa. Baldini – nemmeno una riga! E ora che ho cercato di darti quanti più ragguagli ho potuto non mi resta altro che augurarti di rimetterti subito da quella sonnolenza e mali di capo che accennavi a Raimondi, se pure io sono l’uomo più adatto per fare simili auguri. Sta bene e saluta tutti in famiglia. Tuo affmo

V. Cardarelli

[160] Un bifolio, scritte le pp. 1-3, intestato: «LA RONDA/ LETTERARIA MENSILE/ ROMA»; busta con la stessa intestazione, indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; timbro postale di partenza ROMA FERROVIA 18.IX.19, timbro postale di arrivo BOLOGNA 19.9.19.

14 Sul numero di dicembre 1919 della «Ronda» infatti venne ufficializzato il cambio di gestione dell’amministrazione della «Ronda» che passava nelle mani della Società Anonima Editrice La Voce. Nell’avvertenza ai lettori e agli abbonati pubblicata in fondo al fascicolo, Prezzolini, informando i lettori sulle nuove strategie di distribuzione della rivista, tutte a vantaggio degli abbonati, spendeva anche parole molto benevole sulla funzione culturale della rivista nel panorama contemporaneo, definendola «la migliore che esista in Italia nel campo delle lettere, e ottima l’influenza che essa potrà esercitare», aggiungendo che «non l’affare, (sebbene ci occupiamo proprio di quello che in essa è affare) ma soprattutto la fede che abbiamo in essa ci ha fatto accettare questa collaborazione. La Ronda ha ormai vinto la sua battaglia. Il giudizio di coloro che contano qualche cosa nel campo delle lettere l’ha ormai classificata. Non ci estenderemo su ciò» (LA SOCIETÀ ANONIMA EDITRICE LA VOCE, Ai lettori, agli abbonati, «La Ronda», a. I, n. 8, dicembre 1919, p. 83). Il gesto prezzoliniano diede un forte segnale di avvicinamento tra le due realtà storicamente in concorrenza, la fiorentina «Voce» e la romana «Ronda», sebbene si percepisca nelle parole di Cardarelli una diffidenza ancora non sopita. 15 T. DE QUINCEY, Bussano alla porta di Macbeth (versione di C. Linati), «La Ronda», a. I, n. 6, ottobre 1919, pp. 40-44. 16 C. LINATI, Il gregge armonioso, ivi, pp. 29-33. 17 William Blake (1757-1827) pittore e poeta onirico inglese che visse il periodo del romanticismo inglese a cavallo da ‘700 e ‘800. La sua poesia fu particolarmente simbolica e visionaria. 18 E. CECCHI, Storia della letteratura inglese nel secolo XIX, Milano, Treves, 1915.

337 [161]

Roma, 5 novembre 1919

Caro Bacchelli, ti ringrazio molto della lettera che mi hai scritto. Che il sonno di Noè1 sia superiore agli altri miei scritti non lo posso credere, ma è già un bel caso che ti abbia fatto quest’effetto. Parleremo a voce di quest’argomento. In quel che ha detto la tua amica della mia immaginazione mi verrebbe voglia di farle sapere che non se ne fidi troppo, tanto più che, come mi dice Saffi, se ha riconosciuto in me una maggiore immaginazione a te attribuisca una maggiore profondità. A proposito delle quali cose bisognerebbe ch’ella si rimettesse a leggere i Prologhi e i Poemi lirici: e forse dovrebbe invertire il suo giudizio. Una cosa sola mi piace in tutto questo e mi lusinga molto: che cioè amando uno scrittore come te possa trovare modo d’interessarsi comunque alle cose mie. Deve essere una donna molto nobile oltre che intelligente. E chissà che con quel paragone non abbia inteso fare altro (forse anche senza saperlo) che provocare solennemente il tuo argomento. Vorrei ora farti i miei complimenti per le tue Memorie,2 ma che cosa potrei dirti che tu non sai? Sono io, purtroppo, che ho bisogno di essere rassicurato. Perché si vive in un mondo di malintenzionati, non per altro. Trovo molto buffo il tuo quarto d’ora di melanconia. Una sola preoccupazione ti è concessa: quella che è riservata agli uomini felici. Se io ho da temere dal Signore, un uomo come te non ha che da guardarsi dal maligno. Vedi bene che io seguito ad esprimermi per simboli e per allegorie. Molte cose avrei da dirti che non posso far entrare in una lettera. Aspetto di rivederti presto e spero che tu non vorrai rimandare di troppo questo famoso ritorno. Per disciplina, vorrei ingiungerti senz’altro di non frequentare più quell’animale neutro di Pancrazi. Credo che finiremo per dargli una lezione una volta o l’altra. È qui da parecchi giorni Montano, come tu sai - tuo convinto ammiratore. Sono riuscito a parlargli del suo Itinerario,3 gli ho detto alcune cose che pure coincidono nella sostanza a ciò che gli hai detto tu, e mi fa piacere. Mi ha ascoltato con umanità e quasi con commozione. Vi è della gente infatti la quale non domanda altro se non che ci si occupi di lei; bene o male. Dopo di che egli mi ha dichiarato che avendo ripreso tra le mani i miei Prologhi lo ha trovato un

1 V. CARDARELLI, Il sonno di Noè, «La Ronda», a. I, n. 6, ottobre 1916, pp. 14-18. 2 Vedi lett. 160. 3 L . MONTANO, Itinerario di un bighellone. Quaderno primo. I, II «La Ronda», a. I, n. 2, maggio 1919, pp. 37-46; Quaderno primo III, IV, V, VI, VII, ivi, n. 3, giugno 1919, pp. 34-47; Quaderno primo VIII, IX, X, XI, XII, ivi, n. 4 luglio-agosto 1919, pp. 35-43; Quaderno primo XIII, XV, ivi, n. 5, settembre 1919, pp. 34-39.

338 libro ancora leggibile e ha dovuto modificare qualche suo parere. Politica? Lasciamo stare. Le cose virtuose hanno mille modi di farsi rispettare. Mi dispiace di sapere che Cora partirà per l’Ungheria. Lo perderemo? Tienilo d’occhio e invoglialo a scrivere.4 La posizione di Raimondi mi sembra alquanto scaduta alla Ronda. Ha scontentato parecchia gente con le sue maniere di parlare e non è riuscito a contentare me in compenso. Praticamente è poco meno che nullo. Intellettualmente è piccolo ciarlatano. Avendo conosciuto te è finito alla Ronda, non credo che troverebbe mai un’occupazione più acconcia nei Valori Plastici.5 Come uomo poi è lugubre, noioso, attaccaticcio, disubbidente. Un impasto d’infelicità e di cattive intenzioni, e di asserzioni gratuite. Non corregge le bozze, si dimentica di mettere il nome degli autori sulla copertina, rimanda le cose da fare da un giorno all’altro. Domando io che utilità c’è a tenerlo. Ora la gestione della Ronda passerà a Prezzolini,6 e dovremo spendere soltanto per l’amministrazione altre duecento lire al mese. Se si trattasse di un ragazzo attivo e meno pretenzioso si potrebbe fare il sacrificio di tenerlo se non altro per dargli un po’ di educazione, ma mi sono presto convinto che non se ne potrà ricavare altro che delle seccature di ogni genere. Ti espongo fin da ora queste mie impressioni ancorchè tu non ti meravigli se in seguito con la maggiore buona grazia sarò costretto a prendere un provvedimento. Del resto te lo conosci meglio di me. Puoi immaginare facilmente le cose che in lui mi irritano. Ora pensa che sono io solo che lo difendo. Come fargli capire che egli era venuto alla Ronda come segretario di Redazione e non per fare l’impiccione?

4 Nelle lettere di Bacchelli a Korach si legge infatti il continuo incitamento a scrivere per «La Ronda», rivista che lamentava una «necessità famelica di lavoro» e che avrebbe giovato sicuramente a Korach più della sua collaborazione ad un eventuale quotidiano, se non altro per la libertà di espressione che la rivista gli avrebbe garantito (vedi a tal proposito R. BACCHELLI, Bacchelli-Cardarelli-Korach, cit., lett. 18 e segg.). 5 «Valori Plastici», rivista di critica d’arte fondata nel 1918 da Mario Broglio e pubblicata fino al 1922. I principali collaboratori furono Savinio e il fratello Giorgio De Chirico, Carrà e Morandi, esponenti del movimento metafisico che riprendeva istanze classiche contro le avanguardie moderniste, collocandosi quindi sulla stessa linea rondista del ritorno all’ordine. La dialettica tra le due riviste, uscite parallelamente nello stesso lasso di tempo, è importante per capire finalità e metodologie dei due programmi culturali, affini nelle finalità ma distanti nel metodo. Raimondi aveva recensito così, un anno prima, la neonata rivista «Valori Plastici»: «Pare che finalmente sia ben maturata l’idea e la necessità d’una rinascita plastica italiana, da realizzarsi parallelamente a quella letteraria di cui abbiamo affermato l’inizio; che al disopra dei fenomeni d’arte ultima, facili novità e smania esoterica, sappia ricondurre per i cammini di una riposata sensibilità il giudizio entro i sicuri e perfetti limiti della tradizione. […] Abbiamo visto con piacere il sorgere d’una nuova rivista: «Valori Plastici» che ferma su principi intelligenti e seri di scelta intende di raccogliere e organizzare le forze significative dell’arte italiana. […]» (G. RAIMONDI, recensione a «Valori Plastici», «La Raccolta», n. 9-10, novembre-dicembre 1918, p. 120). 6 Vedi lett. 160.

339 So che ti sei messo allo Spartaco.7 Augurii. Aspetto intanto la tua nota su Pascoli.8 Cecchi parteciperà al Referendum.9 Sta bene e scrivimi quando verrai. Tuo affmo

V Cardarelli

È inutile dirti che le tue critiche ai miei lavori sono le sole di cui io tenga conto. Anche perché servono ad illuminarmi. Così senza farti obbligo di scrivermi ogni volta, che sarebbe imbarazzante per tutti e due, quando sentirai il bisogno di dirmi il tuo parere, fallo con ogni precauzione e con tutto il rigore possibile, perché non è la prima volta che, convinto d’aver fatto una mezza porcheria, mi vedo riabilitato del tuo giudizio e non vorrei cadere in soverchie illusioni.

[161] Due bifolii, scritte le pp. 1 e 3 del primo e solo la p. 1 del secondo, intestati entrambi: «LA RONDA/ LETTERARIA MENSILE/ ROMA»; busta con la stessa intestazione, indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via delle belle Arti, 31/ Bologna»; timbro postale di partenza ROMA FERROVIA 6.XI.1919, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 7.11.19.

7 R. BACCHELLI, Spartaco e gli schiavi. Atto primo, «La Ronda», a. II, n. 1, gennaio 1920, pp. 16-38; Atto secondo, ivi, n. 2, febbraio 1920, pp. 95-121; Atto terzo, ivi, n. 3, marzo 1920, pp. 176-197; Atto quarto, ivi, n. 4, aprile 1920, pp. 249-278. 8 Lo scritto sarà inserito nella Discussione su Pascoli in apertura a «La Ronda», a. I, n. 7, novembre 1919, pp. 16-17. 9 Il numero di ottobre del 1919 si apre con un redazionale dal titolo Pascoli e noi, con il quale si lancia la proposta di «un referendum sulla questione: se Pascoli è o non è quell’immortale poeta che alcuni dicono, o non piuttosto il falso idolo d’una specie di culto estetico sotterraneo. Più semplicemente: - Che cosa ne pensate voi di Pascoli? […]. Ci rivolgiamo a tutte quelle persone le quali non credono che la poesia debba essere una faccenda tutta intima e personale, da non potervi assistere in due. In quanto agli altri, ai pascoliani di maniera – sciagurati, che mai non fur vivi! – lasciamoli stare. Degli scrittori, oltre il giudizio, c’interessa sommamente conoscere il loro atteggiamento personale, giacchè a parer nostro la questione Pascoli è il ponte dell’asino della tanto asserita nostra modernità letteraria e dalla maggiore o minore franchezza con cui verrà risolta si potrà vedere se questa modernità esiste e sa quel che vuole o non è, anch’essa, una comoda ipotesi rettorica. Noi non lo crediamo. A questo referendum potranno partecipare tutti (quindi anche noi) colla garanzia del più assoluto e liberale rispetto alle opinioni; salvo s’intende gli incompetenti: tra i quali non vogliamo escludere che si possano rinvenire così dei giornalisti come dei professori. I risultati del nostro consulto, che riteniamo molto importante per la storia delle idee letterarie del nostro tempo e per la crisi in cui si dibatte, si vedranno fino dal prossimo numero» (Pascoli e noi, «La Ronda», a. I, n. 6, ottobre 1919, pp. 3-4). La Discussione su Pascoli difatti occuperà i fascicoli de «La Ronda» da novembre 1919 a gennaio 1920.

340 [162]

Roma, 12.XII.1919

Caro Bacchelli, a quest’ora avrai ricevuto il numero1 e spero che ti abbia fatto un buon effetto. Io non l’ho ancora letto tutto ma sento dire che è sembrato molto ricco e pare che l’esito della vendita sia buono. Cecchi mi scrive che queste parti delle tue Memorie2 son pagine di prim’ordine. A Tilgher, pascoliano, è piaciuta la nota su Pascoli.3 Avrai visto la Barzelletta su De Robertis, di Baldini,4 e la mia cronologia leopardiana5 che risponde alle censure dei due Aiaci.6 Vorrei poter dire anch’io qualchecosa intorno alle tue ultime pagine7 ma, per dirti la verità, non le ho rilette. Solo avendo posato gli occhi su questa o quella pagina ho visto che vi hai fatto alcune correzioni al solito non troppo felici. Con tuttociò quella pagina di paesaggio italiano mi sembra tra le più belle che tu hai scritto di questo genere. Devi scusare i miei silenzi e le mie distrazioni pensando che sono a Roma e che la mia vita è sempre piena d’impicci. Non debbo vergognarmi di passare degli interi mesi assolutamente vuoti e lontani da tutto con degli amici che mi conoscono e che spero mi abbiano perdonato una volta per sempre. Ho avuto occasione di fare una lunga conversazione con Naldi ma di queste cose te ne parlerò a voce quando ci rivedremo. Intanto tra le mie varie attività quelle del missionario e del predicatore tu sai che non è l’ultima né la più destituita di significato e spesso mi accorgo che è assolutamente necessaria. Naldi ha sempre una grande stima di te ed è rammaricato che noi abbiamo fatto la Ronda senza il suo concorso. Questo è il mattone che aveva sullo stomaco. L’ho rassicurato dicendogli che noi siamo sempre pronti quando vorrà a non lesinargli il nostro autoriale contributo per qualunque pubblicazione egli voglia imprendere di carattere letterario. Dopo di che ci siamo lasciati molto cordialmente. Mi pare che in Naldi ci sia un fondo inalterabilmente sano, e simpatico. Come va il tuo lavoro? Come procede il tuo

1 «La Ronda», a. I, n. 7, novembre 1919. 2 Vedi lett. 160-161. 3 Discussione su Pascoli, scritti di E. Cecchi, A. Gargiulo, C. Angelini, R. Bacchelli, N. Scalia, «La Ronda», a. I, n. 7, novembre 1919, p. 4-19 4 [A. BALDINI], Guarda chi si rivede, ivi, p. 111. 5 V. CARDARELLI, Cronologia leopardiana, ivi, pp. 102-103. 6 In V. CARDARELLI, La favola breve di Leopardi, «Il Tempo», 18 marzo 1918, l’autore affermava, anacronisticamente, che rispetto ai canti, «non importa sapere se prima o dopo o contemporaneamente, ma certo in questo stato idealmente ulteriore, nascono i dialoghi delle Operette morali». L’ipotesi, in primis per motivi cronologici, venne molto attaccata e Cardarelli dovette difendere le sue posizioni su «La Ronda» nella Cronologia leopardiana in «La Ronda», a. I, n. 7, 1919, pp. 102-104. 7 Probabilmente si tratta di R. BACCHELLI, Memorie del tempo presente. Considerazioni sulla storia, «La Ronda», a. I, n. 8, dicembre 1919, pp. 14-23.

341 amore? Io sono in signoria dei venti e la sfacciata bellezza di questa stagione mi impedisce di raccogliermi e di lavorare. Scrivimi e stai bene. Tuo Cardarelli

Manda subito qualche cosa per il prossimo numero se l’hai. O buon lavoratore!

[162] Cartolina postale italiana, intestata: «LA RONDA/ LETTERARIA MENSILE/ ROMA», indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via delle Belle Arti, 31/ Bologna»; timbro postale di partenza ROMA FERROVIA 13.XII.19.

342 [163]

Roma, 23.XII.1919

Caro Bacchelli, io sono talmente spossato che mi riuscirebbe difficile scriverti una lunga lettera, come ne avrei desiderio specialmente dopo aver letto il tuo articolo Dichiarazione del nostro orgoglio,1 del quale del resto in questo momento non ho altro che dei ricordi confusi. Rimandiamo dunque anche quest’argomento a quando ci rivedremo, che sarà presto io spero. Ti faccio tutti i miei rallegramenti per la rapidità con cui hai finito lo Spartaco.2 Sarebbe bene poterne iniziare la pubblicazione col numero di gennaio. Nel caso che tu lo volessi rappresentare sii pur certo che il fatto di essere pubblicato in una rivista non gli nuocerà in nessun modo. Il Glauco di Morselli3 (perdona questo richiamo) fu pubblicato nella Rassegna Italiana4 nei mesi prima di essere rappresentato. Ritornando al tuo articolo, l’unica osservazione che io posso fare, e che vale anche per tutto questo ramo della tua attività, è che esso sembra espandersi un po’ troppo insistentemente nel campo delle idee generali o allusive, in ogni modo non abbastanza concreto, secondo me, e individuale. Ciò potrebbe rischiare di divenire monotono o veramente troppo polemico. Amerei meglio che tu esercitassi di quando in quando le tue facoltà critiche e riflessive su argomenti precisi. Scusa questa osservazione che è sostanziale. Io vorrei che ad ogni cosa che esce dalle nostre mani si potesse sempre dare un valore massimo e definitivo. Occorrerebbe che tu frenassi qualchevolta, non dico per la forma ma per la sostanza, la tua stessa violenza, la tua soverchia impulsività. A me nuoce anche quel tuo articolo5 perché ci leggo dentro delle scontentezze verso il mondo in genere e verso gli amici in ispecie le quali non dirò che mi tocchino ma mi sfiorano. Perchè anche io, come sai, mi sorprendo ad essere qualchevolta, come in questo caso, da un lato un pochino pedante verso le cose che amo, dall’altro tenacemente rispettoso di quelle che non posso che disprezzare. A

1 R. BACCHELLI, Dichiarazione del nostro orgoglio e minori considerazioni, «La Ronda», a. I, n.8, dicembre 1919, pp. 62-67. 2 Vedi lett. 161, nota 7. 3 Glauco, dramma di Ettore Luigi Morselli del 1919 con il quale l’autore ottenne un grandissimo successo di pubblico. 4 Il Glauco di Morselli, prima di essere rappresentato, era stato pubblicato in tre puntate nella «Rassegna italiana», agosto-ottobre 1918. 5 Nell’articolo rondesco Dichiarazione del nostro orgoglio e minori considerazioni, Bacchelli fece infatti alcune generali considerazioni sul lavoro degli intellettuali e degli artisti, che nel contesto storico e sociale contemporaneo borghese, orientato alla produttività economica, risultava difficoltoso da classificare in termini di produttività, risultando così apparentemente declassato rispetto alle altre professioni. In realtà quella di Bacchelli non era altro che un’ironica riflessione che andava invece a nobilitare il mestiere del letterato. Evidentemente però Cardarelli avvertiva come vere alcune affermazioni che mettevano a nudo la difficoltà di alcune situazioni legate al loro contesto culturale.

343 dirtela con poche parole io non approvo questo tuo modo di dare spallate e botte da orbi a certi ostacoli di natura delicata. Per quel che riguarda il riconoscimento o il successo, mi sembra che tu non ti possa lamentare. Sta a vedere che io finisco per farti un discorso simile a quello di Plotino a Porfirio.6 Sarebbe un bel caso! Insomma non vorrei che in tutto questo ci fosse di mezzo la petulanza di qualche fedele e che la tua avita e larga ospitalità in qualche momento ti potesse prendere la mano. Accade ai signori di razza, qualche volta, di perdere il senso della distinzione. In quanto a me sono gelosissimo dei miei amici, come dei miei amori e delle mie idee; tanto geloso che tra me ed essi non ammetto intrusioni. Vedi se puoi di fare altrettanto anche tu e non incoraggiare neppure con l’ombra dell’apparenza le arti insidiose o sleali o puerili dei piccoli cortigiani. L’arte, dopo tutto, appartiene al regno dello spirito e non è necessario comportarvisi da tiranni per essere riconosciuti grandi uomini. Da questo lato io sono sempre quello dei Prologhi e quello che tu eri al tempo dei Poemi lirici. Ti ricordi che bella ironia e quale magnifica disposizione di storici allegri avevamo allora? Mi sembra tuttora la più saggia e la più comprensiva. È umano, è giusto, è doveroso che il mondo dimostri qualche riluttanza ad ammettere degli scontri nuovi. Il contrario sarebbe contro natura. In quanto alle distrazioni o alle serate degli amici queste poi sono addirittura provvidenziali e fornite d’una moralità superiore. Chi sente frattanto di fare qualche cosa sul serio rilutta ad osservare troppo minutamente tutta questa meccanica vitale e le guarda per così dire mezzo addormentato. Se ne dorrà mettiamo, ma mi pare che non si abbia diritto d’evitarlo se non col silenzio, che in certi casi può essere di gran nutrimento allo spirito. Mille volte io mi sono infatti giudicato male, frettolosamente, disconosciuto, quasi messo in disparte, e dunque io mi sono ben guardato di scoperchiare questa caloria brillante che sono i giudici dei contemporanei. Ho cercato di rispondere col lavoro, quando ho potuto. Ma era poi una risposta? Fortunatamente era qualchecosa di più sereno. Ed è allora, come tu sai, che si hanno le vere soddisfazioni. Perdona la mia santa semplicità e questo tono che sembra cristiano ma non lo è. Da tempo immemorabile fu deciso che le spiegazioni tra uomini sono impossibili. Così anche le riprensioni. È probabile che nel mio atteggiamento sia infusa una certa riconoscenza al male che attesterebbe della poca sanità della mia natura. E perciò non intendo farne un esempio. Solo, giacchè si tratta di venire a paragone intorno a

6 Cardarelli allude all’operetta morale di Leopardi intitolata Dialogo di Plotino a Porfirio.

344 questo punto, ti espongo le mie argomentazioni perché tu veda le mie armi, e giudichi del loro valore. Mi è piaciuta moltissimo la tua nota sull’articolo di Papini.7 Parlo della prima, toccante e veramente attuale. Quello che poi mi mandi oggi che sarebbe una stroncatura di Papini è opportuno per molte ragioni non pubblicarlo ora. Così pensa anche Saffi, non ti dirò gli altri. Esso è giusto e ben fatto. Potrà sempre servire. Io lo metto nell’archivio. Le altre cose andranno in questo o nei prossimi numeri. Scusami ancora una volta per queste osservazioni che mi sono permesso di fare. Esse non presuppongono affatto che tu ne abbia bisogno nè che tu le debba accettare. Non so chi sia più modesto tra noi due: io verso di te o tu verso di me, ma so certamente che la considerazione che io ho di quel che tu fai non potrebbe essere più grande e più consolante ed è sotto questo usbergo che mi permetto di parlare. Sappi pure che io sono già pentito di quel che ho scritto e che se non fosse per non provarmi del piacere di mandarti in qualunque modo una lettera di due facciate (ciò che mi accade ormai così di rado) io straccerei questa lettera male abborracciata. Dunque non mi resta che augurarti le buone feste e di sollecitarti nel modo più vivo di venire presto a Roma. Io tra l’altro potrei anche avere il diritto di chiedere che tu prendessi in mano La Ronda per qualche mese. Tuo affmo V Cardarelli

Dì a Raimondi che mandi pure qualchecosa. Ma ti prego di vederla tu prima.

[163] Un bifolio, scritte le pp. 1 e 4 più un foglio sciolto scritto soltanto sul r.

7 R. BACCHELLI, Amore o morte, «La Ronda», a. I, n.8, dicembre 1919, pp. 67-68.

345 [164]

Firenze, 6 marzo 1920

Caro Bacchelli, per quanto mi sforzi non riesco a scriverti una lettera come vorrei. Sono tanto stanco e così schifato della mia vita che non potrei dire che delle cose disperate. Ho un altro brignolo1 sul naso più maligno del primo che non mi dà requie. Mi sembra di avere la rogna. In realtà deve essere un piccolo eczema. Non faccio che ungermi e fare degl’impacchi caldi ma con poco profitto. Presso le cocottes di mandarmi Saffo una di queste sere sono passato per un cocainomane. Dicono che la cocaina faccia presto effetto. Vedi dove bisogna andare per vedersi fare delle diagnosi efficaci. Il bello è che anche io ho finito per crederlo sebbene non sappia che cosa sia la cocaina, è inutile dirlo. Ma è certo che devo essere pieno di purulenza. Ma non mi posso toccare in testa che mi fa male. Non ho voglia di niente. Soffro terribilmente pensando che ancora per molti giorni non potrò scrivere una sola riga per la Ronda. E’ necessario che lo sappiate. Ti pregherei di andare da Cecchi e sollecitare a che scriva una cosa per il testo in questo numero. Altrimenti non si può andare avanti. Tutti ci stanno con gli occhi addosso e notano la mia assenza. Pensaci tu che sei più forte e stai meglio di me. Telegrafa a Cora, Lebrecht. Scusa il mio silenzio. Io spero tra una settimana o due di esser fuori da tutti questi guai. Ho parlato con Vallecchi,2 il quale non desidera che di vederti. È propenso a pubblicare le Memorie,3 mi son fatto la persuasione che è l’unico editore che faccia per noi oltre quelli ufficiali. È un’ottima pasta d’uomo a stargli vicino. Diffonde il libro, fa riclame, finirà per capire chi siamo. I miei Viaggi nel Tempo4 si vendono con meraviglia del buon Vallecchi,

1 «Brignolo», varietà del provenzale moderno per «prugna». Cardarelli lo usa in questo caso per indicare una sorta di foruncolo rosso sul naso che rievoca appunto il frutto (la parola è attestata in C. BATTISTI, G. ALESSIO, Dizionario etimologico, Firenze, Barbera editore, 1975, vol. I., p. 600). 2 Attilio Vallecchi (1880-1946) tipografo ed editore italiano, nel 1913 fondò a Firenze l’omonima casa editrice. In quegli anni la sua attività fu influenzata molto da Papini e Soffici, di cui era amico, investendo così nella pubblicazione di riviste importanti nel dibattito culturale del tempo, quali «Lacerba», «Il Selvaggio», «Civiltà moderna», «Il Frontespizio», «Campo di Marte», «Belfagor». Molti scrittori e collaboratori di questi periodici pubblicarono le loro opere con Vallecchi (Papini, Soffici, Prezzolini, Slataper). La casa editrice si distingueva per un chiaro interesse nei confronti degli studi critico letterari e per la letteratura contemporanea, occupando sin dagli esordi un posto rilevante nell’editoria italiana. 3 Cardarelli stava aiutando l’amico nella ricerca di un valido editore per la pubblicazione in volume delle Memorie del tempo presente. In realtà Bacchelli si dimostrerà piuttosto esigente in questa circostanza, per cui le prose non troveranno un editore in questi anni ed usciranno in volume molto tardi, nell’edizione mondadoriana delle opere giovanili, che prese il titolo omonimo di queste prose (cfr. R. BACCHELLI, Memorie del tempo presente, testo, prefazione, cronache, commenti alle edizioni e alle rappresentazioni, Milano, Mondadori, 1957). Vedi lett. 160-161. 4 V. CARDARELLI, Viaggi nel tempo, Vallecchi, 1920.

346 al quale ho detto che io non me ne meraviglio affatto. Non c’è libreria in Firenze che non ne abbia venduto 2, 3, 4, 6 copie. E anche la Ronda va benino. Così gli ho dato anche le cronache e aspetto di vederlo ancora per fissare la somma dell’anticipo. Papini è convinto che le Favole della Genesi5 se io riuscirò a finirle, come voglio credere, saranno un buon affare librario, e pare che anche Vallecchi sia dello stesso parere e che sotto sotto, senz’averne l’aria, si riprometta da me chissà quali cose. Noto invece il delirare di Baldini anche nelle stime di questi fiorentini, Papini dice apertamente che chi fa la Ronda siamo io e te, anzi che per il momento la Ronda è diventata la rivista di Bacchelli, cosa che non mi dispiace. E dice che Baldini scriverebbe assai bene se avesse qualchecosa da dire. Ride degl’inglesi di Cecchi6 con qualche ragione. Ha ammirato la più bella pagina del primo atto dello Spartaco,7 ma ha fatto, te lo devo pur dire, la stessa osservazione che feci io, riguardo alla forma drammatica, non assolutamente necessaria. Io sono stato zitto e ho lasciato cadere. Del resto le osservazioni di Papini hanno poca importanza. Dei Viaggi nel tempo, sebbene tenti di difendere l’art. di Pancrazi8 dicendo che per me è lusinghiero e che su lui ne ho scritto di peggio, dice che gli piacciono dalla prima all’ultima pagina, molto più che a Pancrazi stesso. Mi fà dei pacchiani complimenti per la mia grammatica. Ne saluta la mia aggettivazione! Siamo poi stati da Ugo Ojetti9 che ha una villa principesca, in faccia a Monte alle Cave. Mi ha ricevuto con particolare attenzione, sebbene sia un uomo distrutto e vano. È abbonato a tutte le riviste del mondo. Avrebbe voglia di portarci tutti alla ribalta del Corriere, ma pare che trovi qualche ostacolo per fortuna. Osserva che noi abbiamo un inesplicabile pudore rispetto alla parte programmatica. Così intende quel mandare avanti i Convitati di pietra,10 i quali poi dice che lo divertono qualche volta. Mi ha domandato se lo Spartaco è già tutto finito. Io gli [ho] risposto: e come no? Ma non potevo troppo parlare della Ronda perché c’era Papini. Spero di rivederlo e in tal caso lo metterò sulla buona strada. È un nostro estimatore come sai. Ha voluto le nostre firme

5 Per tutto il corso del 1920 Cardarelli pubblicherà su «La Ronda» le prose poi raccolte nelle Favole della Genesi, uscite in volume soltanto nel 1925 insieme alle Memorie dell’infanzia (V. CARDARELLI, Favole e Memorie, cit.). 6 Cecchi si occupava di recensire testi della letteratura inglese per la rubrica Incontri e Scontri. 7 R. BACCHELLI, Spartaco e gli schiavi, cit. 8 P. PANCRAZI, Viaggi nel tempo, «Il Resto del Carlino», 25 febbraio 1920. 9 Ugo Ojetti (1871-1946) scrittore, critico d’arte e giornalista italiano, noto per la sua vasta cultura e per i suoi eterogenei interessi, collaborò con diverse testate, quali «L’Illustrazione italiana», «La Tribuna», «Il Corriere della Sera», che diresse nel biennio 1926-1927. Grande animatore culturale, scrittore di teatro e abile critico, nel 1920 fondò la rivista «Dedalo»; si distinse anche in campo editoriale, dando vita alle collane Le più belle pagine degli scrittori italiani per Treves e I Classici italiani per Rizzoli. 10 Sezione di apertura di ogni numero de «La Ronda» partire dal n. 3, giugno 1919.

347 sopra un registro eppoi ce ne siamo andati. Questi sono i veicoli della gloria in Italia e gli uomini che ci dovrebbero immortalare. Gente alla quale basta scrivere una lettera o fare una visita e concedere un meschino complimento magari sul colore della cravatta. Ahà, serva Italia. Salutami tutti gli amici, scusami in particolare con Pasqualina e Spadini, ai quali dirai che scriverò appena ritornerò ad avere la penna in mano. Io sarò qui ancora qualche altro giorno, ma credo che partirò prima della tua venuta a meno che tu non ti sbrighi, o non faccia subito una scappata. Sarebbe necessario per parlare con Vallecchi. Rispondimi subito fermo posta Firenze. Abito all’albergo Milano, dove ci sono delle buone camere. Se vieni scendi qui. Pensa intanto alla Ronda e cerca di fare anche per me tutto quello che puoi. Addio caro Bacchelli, sta bene Credimi tuo affmo V. Cardarelli

[164] Un foglietto sciolto, scritto sul r e sul v; busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ La Ronda/ Piazza Venezia 88/ Roma»; timbro postale di partenza FIRENZE CENTRO 6.III.20.

348 [165]

Milano fermo posta 26.V.1920

Caro Bacchelli, non ti ho scritto fin’ora perché non ho nulla da dire, al di fuori dei soliti piagnistei. Sono qui senza casa perché Milano è piena come un uovo. Nella più radiosa delle ipotesi potrò averla per il 15 giugno. Prima di quel tempo prevedo che dovrò passare parecchie peripezie. Ho visto Carrà il primo giorno, poi più. Sentendomi male e scontento per non dire esasperato giro al largo come un cane idrofobo. Soltanto ieri sera a Via Manzoni ho fatto una retata dei nostri amiconi di Milano. Linati, Savinio ed altri. E siamo stati insieme fino alle 3 dopo mezzanotte. Ho saputo che la New Europe1 contiene un articolo su me, molto laudatizio, ma non ne sono certo perché si tratta di sentito dire, e io non conosco l’inglese. Savinio ha scritto della Ronda e di noi nel Primato,2 articolo furbo e considerevole. Cercalo, ti ci divertirai. Inoltre, so che qui, in genere, fuori del cerchio purissimo dei suddetti amici, si dice male del tuo Amleto e si ride delle mie Favole. Carrà è tappato in casa e lavora, lavora. Ti riferirò poi della mia visita a casa di Ferrieri.3 Non credere che io mi voglia dare alla bella vita. Uno di questi giorni, se prima non sono crepato dalla bile, mi metterò a lavorare e chi s’è visto s’è visto. Chi mi capiterà davanti in quei giorni sarà peggio per lui, perché lo soffocherò a forza di recitargli quello che scrivo. In quanto alla Ronda aspetto la correzione del tuo articolo4 che sento assolutamente il bisogno di vedere. Per tutto il resto va bene, e non c’è bisogno di chiedere il mio parere. Anzi quanto più la Ronda avrà meno bisogno di me tanto più io mi sentirò tranquillo. Saluta Raimondi, Morandi, Guido, Giorgio etc. e tu abbiti un’affettuosa stretta di mano. Tuo V. Cardarelli

[165] Cartolina postale italiana, intestata: «Massoni e Moroni/ Milano», indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; timbro postale di partenza MILANO CENTRO 26.V.1920.

1 «New Europe» rivista inglese fondata a Londra da Seton-Watson e Masaryk pubblicata dal 1916 al 1920. 2 A. SAVINIO, recensione a La Ronda, «Il Primato Artistico Italiano», a. II, n. 3, marzo-aprile 1920, pp. 44- 46. Nell’articolo, Savinio descriveva «La Ronda» come «la migliore rivista letteraria» del tempo e definisce i redattori dotati di «eccellenti qualità d’ironia e d’astuzia» (a tal proposito si ricorda anche P. ITALIA, Il pellegrino appassionato: Savinio scrittore 1915-1925, Palermo, Sellerio, 2004, p. 222). 3 Enzo Ferrieri (1890-1969) letterato, editore e regista teatrale radiofonico italiano, grande animatore culturale, fondò nel 1920 la rivista letteraria «Il Convegno», caratterizzata da una visione europea della cultura. Nel 1921 aprì la casa editrice «Convegno editoriale», mentre nel dopoguerra si dedicò alla critica e alla regia teatrale. 4 Cardarelli si riferisce a L’inutile chintana, spinoso articolo di Bacchelli che doveva occuparsi, allusivamente, dell’uscita di Baldini dal gruppo redazionale della Ronda (vedi lett. 166).

349 [166]

Milano, 29 maggio 1920

Caro Bacchelli, risponderò a questo fascio di lettere che mi mandi con poche parole. La nostra questione con Baldini,1 sempre fregnaro e fannullone a quanto vedo, si è risolta eccessivamente bene. Dunque su quest’argomento niente da dire. Il tuo articolo potrà essere pubblicato, senza firma ben s’intende, in capo alla rivista o in principio degl’Incontri e Scontri.2 Ti ringrazio di aver lasciato a me la libertà di scegliere in questo senso. Forse se si considera che è un articolo scritto un po’ alla volta e con furore potrà essere più opportuno metterlo in quelle parti della Rivista che è più polemica. Le osservazioni di Saffi, a quel che intendo possono riguardare soltanto alcune frasi dell’art., specialmente le chiuse, e perciò vanno prese in considerazione. Io rivedrò le bozze e tu fidati di me se anche dovrò fare qualche piccolo taglio ma meglio mettere in rilievo le parti buone e sostanziali.

1 I rapporti di Baldini con Bacchelli e Cardarelli furono problematici sin dall’inizio della sua collaborazione alla «Ronda», avvertita come distaccata e non pienamente solidale con i principi rondeschi. Cardarelli si lamentò fin dall’uscita del primo numero del suo lavoro discontinuo e della sua scarsa presenza, mentre Bacchelli scrisse più volte a Korach che quella di Baldini era una «posizione falsa» all’interno della «Ronda». Questa situazione, tesa fin dall’inizio, andò peggiorando con il tempo a causa di una serie di pettegolezzi e questioni spiacevoli alimentate via via, che portarono alla definitiva uscita di Baldini dalla rivista dopo circa un anno di collaborazione. L’evento determinante fu una lettera di Bacchelli inviata a Saffi, aperta erroneamente da Baldini, oltre all’articolo di Bacchelli stesso di cui si discorre in questa missiva, palesemente polemico nei confronti dell’autore del Pastoso, che lo lesse prima che potesse arrivare a Cardarelli. In data 26 maggio 1920 infatti Saffi scrisse a Baldini: «Caro Baldini, il caso ha voluto che la lettera e l’articolo capitassero tra le tue mani prima che io li leggessi. Si capisce che dopo quella lettera, tu abbia buon gioco a dire addio a noi e alla «Ronda» (la lettera è inedita e il passo è citato in A. BALDINI, E. CECCHI, Carteggio (1911-1959), cit., p. XXIII, dove si dà anche un elenco dettagliato delle missive tra Baldini, Cecchi, Cardarelli, Bacchelli, Korach, Ojetti e Soffici che documentano l’iter di tutta la vicenda). In una lettera del 2 giugno 1920 Cardarelli siglerà la chiusura di questa questione con Cecchi, che invece fu l’unico sostenitore di Baldini in virtù della loro amicizia: «la nostra più che illustre questione con Baldini è finita benissimo, con profitto speriamo d’ambo le parti. Si tolga dall’elenco dei collaboratori. Baldini faccia la sua strada e la sua fortuna che nessuno gl’invidia, noi la nostra. Ecco il mio parere. […] Non si poteva più continuare. Si possono fare molti sacrifici all’indipendenza d’uno scrittore quando lo si stima ma noi, almeno la maggioranza di noi, non abbiamo mai stimato Baldini gran che. […] Abbiamo tanto in mano da poter dire che questa soluzione era inevitabile. Egli l’ha precipitata aprendo una lettera che non gli apparteneva. Non si tratta del poco lavoro dato alla Ronda né di nessun altro preciso particolare, tu lo sai bene. La qualità di Baldini è sempre stata di non lasciarsi afferrare. Si tratta, se vuoi, d’un processo che noi ci siamo permessi di fare alle sue tortuose intenzioni» (EPISTOLARIO II, p. 709). 2 R. BACCHELLI, L’inutile chintana, «La Ronda», a. II, aprile 1920, pp. 52-59. Il titolo del pezzo, pubblicato anonimo e collocato in apertura della sezione Incontri e scontri, è ricavabile dalla lettera 165 e permette di rettificare l’ipotesi avanzata in A. BALDINI, E. CECCHI, Carteggio (1911-1959), cit., p. XXIII in cui si identifica l’articolo bacchelliano contro Baldini con le Riflessioni sullo stile polemico, pubblicato nella «Ronda», n. 7, luglio 1920 (la data del fascicolo contenente L’inutile chintana, antecedente alla data della lettera in cui si dà notizia della correzione delle bozze, non è contraddittoria in termini cronologici poiché «La Ronda» in un anno di attività aveva accumulato un ritardo di circa due mesi sull’uscita del fascicoli). Elementi di conferma all’identificazione dell’articolo in questione con L’inutile chintana si trovano nella lett. 167 in cui Cardarelli fa precisi riferimenti testuali a parti di questo articolo che dice di aver corretto.

350 C’è poi la lettera che tu vorresti mandare a Saffi. Non è necessario dirti quanto io mi senta preoccupato di quell’accenno che tu gli fai circa il suo stipendio, e come una lettera simile spedita per giunta da me, quindi col mio assenso, prenderebbe sapore di forte agrume. Io non ho più il coraggio né la forza d’imporre sacrifici a nessuno e mi oppongo a questo velato rimprovero che tu fai a Saffi, anche se obbiettivamente posso ritenerlo giustificato. Esso in ogni modo sarebbe stato più opportuno in altri tempi. Oggi che Saffi è solo a Roma e ha, bene o male, la Ronda sulle spalle, mentre io sono in giro e non riesco a trovare la via di lavorare, è fuori di luogo. D’altra parte il Saffi che ti chiede di mandargli del denaro per poter seguitare e sovvenzionare è sempre quel Saffi impratico e precipitato che conosciamo. Grazie, caro Bacchelli, della promessa che gli fai di non lasciarmi sprovvisto. Ma per me che vedo la mia situazione colla lucidità e la calma dei veri disperati tutto ciò si risolve in nuovi motivi d’inquietudine. Desidero che sia lasciata a me, se pur delicato e penoso argomento, la facoltà di proporre e di domandare. Io devo avere con ancora 700 lire da Saffi per completare lo stipendio di quest’anno. Dopo di che tu potrai, se ne hai voglia, scrivere una lettera a Saffi colla quale lo assicuri di riservare a lui quel tanto che mi dai ogni anno, ancorché Saffi possa seguitare a mandarmi lo stipendio senza il terrore di fare uno strappo troppo lungo alla nostra convenzione finanziaria. Ecco quello che io avevo pensato. Ma nel frattempo mi proponevo di lavorare. Non ti pare che sarebbe meglio fare così, anziché sollevare, in questo momento, una questione troppo delicata? Io capisco le tue ripugnanze e anche la tua generosità. Ma vediamo di essere pratici. In fin dei conti, almeno per questo anno, tu avevi deciso di darmi altre 2400 lire, meno le 150 che ti devo. Che cosa ti costa di passare a garantire una somma simile a Saffi invece che a me, come cauzione sulla mia richiesta alle casse della Ronda? E non dire che questo non è sufficiente e non risolve il problema. Lo so anch’io. Ma è intanto un rifugio per qualche altro mese, e ritengo che non sia possibile applicare al mio caso altro che questa specie di cura empirica o sintomatica, la quale almeno per un certo tempo ancora può essere esercitata come vedi senza danno per nessuno. Per concludere manda tu la tua lettera a Saffi, tagliando quell’accenno che lo getterebbe, sono sicuro, in un nervosismo eccessivo. E fammi sapere qualche cosa.

351 Ringrazia Raimondi delle due recensioni3 che mi ha mandato e digli che farò in modo di farle mettere in questo numero. Continui frattanto a lavorare e promettigli che se mi manderà ancora qualche recensione gliene sarò sommamente grato. In quanto alla nota nell’abolizione delle liste dei collaboratori va benissimo. Solo che si potrebbe stampare a parte in fondo alla rivista senza il nome di Baldini, così: Con questo numero aboliamo la lista dei redattori etc.4 In questo senso scriverò a Saffi. Addio caro Bacchelli, sono ancora sur la franche. Fino a metà giugno non credo che riuscirò a mettermi a posto. Il mio appello ai venti5 ha avuto un successone nel circolo del Convegno.6 Ti dirò poi che in un articolo sulla New Europe7 dove si parla di giovani poeti italiani facendo le solite rassegne di nomi, si scrive che io ho fatto delle opere (poche, va sans dire) che vivranno e ho mostrato di poter diventare un secondo Leopardi etc. etc. Non c’è male! L’ottimo Linati schizza veleno dagli occhi. Io peccato che non [mi] ci possa divertire! Ti scriverò con più agio. Per oggi ti saluto. Tuo Vincenzo Cardarelli

[166] Tre fogli sciolti, scritti sul r; busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via Belle Arti, 31/ Bologna»; timbri postali di partenza MILANO PARTENZA 25.5.20, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 31.5.20. Sulla busta è scritto a penna: «Insufficienza di affrancazione al Portalettere. Chiusa d’ufficio perché lacera [firma illeggibile]».

3 Nel numero di aprile 1920 della «Ronda» apparvero le due recensioni di Raimondi a A. Gide, Il Prometeo male incatenato. Prima traduzione italiana. Vallecchi editore, Firenze, 1920 («La Ronda», a. II, aprile 1920, pp. 72-73) e a H. Matisse, par Marcel Sembrat, Nouvelle Revue Francaise, 1920 (ivi, pp. 74-75). 4 A chiusura del fascicolo fu pubblicata infatti la seguente «Avvertenza»: «Con questo numero abbiamo abolito la lista dei redattori, la quale non ha più ragion d’essere, ormai che la rivista è fondata, ha fatto il suo cammino ed assunto la sua figura originale, e va sempre più estendendo il numero dei suoi collaboratori, prendono la direzione Vincenzo Cardarelli e Aurelio E. Saffi, e la rivista continua, con questa variazione formale, sostanzialmente immutata. Pubblichiamo questa nota per uno scrupolo verso i nostri lettori, e per risparmiar loro un’inutile sorpresa nel leggere la copertina, giacché l’esperienza ci insegna che La Ronda è scrutata fino nei sommari e nelle copertine» (ivi, p. 80). 5 Cardarelli si riferisce al passo finale del Diluvio che pubblicherà nella «Ronda», a. II, n. 7, luglio 1920, pp. 30-33. Nelle elaborazioni redazionali successive, questo brano verrà staccato dal Diluvio ed avrà una propria autonomia con il titolo Il risveglio (per le varie fasi redazionali vedi OPERE, pp. 1045 e 1150). 6 «Il Convegno», rivista letteraria milanese, fondata e diretta da Enzo Ferrieri nel febbraio 1920. Ebbe tra i suoi collaboratori i più importanti letterati del tempo, per la maggior parte scrittori e poeti già affermati, quali Pirandello, Linati, Croce, Panzini, de Chirico, Prezzolini, Tozzi, Carrà, Palazzeschi, Savinio, Cecchi, Saba, Soffici, Bacchelli, ma anche quelle grandi personalità che al tempo stavano ancora emergendo: Montale, Ungaretti, Svevo, Gadda. Per il notevole entourage che riuniva, «Il Convegno» fu un organo di cultura di considerevole rilevanza, valida alternativa milanese alla romana «Ronda», con la quale gareggiava per l’importante apertura letteraria europea che proponeva pubblicando testi e studi di scrittori stranieri, facendosi veicolo in Italia anche della produzione d’oltremare. 7 Vedi lett. 165.

352 [167]

Milano, 4 Giugno 1920

Caro Bacchelli, rispondo oggi alla tua lettera. Questi pochi giorni che ho passato a Milano sono bastati a saziarmi anche di questa città - tanto più che non sono riuscito a trovarmi una camera. Abito in un albergo sinistro nei pressi della stazione. Per darti un’idea del luogo ti dirò che non si concede il vaso da notte per mancanza di sguatteri e altro personale e che si deve rientrare non più tardi delle 12 1/2 legali. Ma non è possibile descrivere che cosa è Milano in queste condizioni. Cercandomi un alloggio ho avuto occasione di visitare un abbaino in un albergo del centro dove certamente io mi sarei impiccato la prima volta. Qui la carestia, gli scioperi, le crisi sociali prendono subito un aspetto sinistro, non si sa perché; agitano quale fondo di brutale malvagità che deve essere nel carattere lombardo. E da questo momento in poi si salvi chi può e guai a chi lo tocca. Questo è sempre il paese della Colonna Infame e degli untori. Gli untori questa volta saremmo noialtri naturalmente: i forestieri. E bisogna vedere come ci rifiutano, come ci barattano, come ci trattano male. Basta, ho deciso d’andarmene. Da certe improvvise sensazioni di sollievo che provo qualche volta ad attraversare il Parco, all’odore dei campi falciati capisco che ho bisogno di campagna, e che da troppo tempo ormai io mi diverto ad impormi questa pazza e trepida disciplina di vivere in città tra i miei simili. Vorrei andare a Stresa, sul Lago Maggiore. Mi pare che tu ci sia stato. Puoi darmi qualche indiscrezione? Qual’è l’albergo dove potrei scendere? Li conosci nessuno? Nello stesso tempo, giacché tu ti mostri così ben disposto, potresti mandarmi intanto una parte di quelle 2000 lire, acciocché io possa partire provvisto di una scorta sicura? Lassù spererei anche di fare economia, e vorrei rimanerci il più possibile. Quanto alla vita che faccio ora qui è maledettissima come puoi immaginare. Mi sono ridotto, per disperazione, alla compagnia di Somarè1 e di Savinio. L’uno è un buon diavolo l’altro è un furbacchione, sono insomma i miei due ladroni, ai quali s’accompagna talvolta Linati, vero tipo di scriba e di fariseo che i nostri recenti successi hanno costretto a scoprirsi in tutta la sua puerilità umana e intellettuale. Non ti dirò altro perché non ne vale la pena. Quando sarà il caso, ti dirò alcuni particolari.

1 Enrico Somaré (1889-1953) critico d’arte italiano, autore anche di alcune raccolte di poesia, si fece editore di due importanti riviste: l’«Esame», fondato e diretto nel 1922, rivista di arte e letteratura, e «Il Quindicinale».

353 Soltanto Sabato sono riuscito ad avere le bozze del tuo articolo.2 L’ho alleggerito di circa due pagine. Ho tolto la chiusa con l’accenno a me facendolo finire ciceroniamente con quelle due o tre interrogazioni con le quali tu domandi se lo scrivere umano e risoluto non si possa più perdonare. E vedrai che è molto più efficace. Inoltre ho tolto la citazione di Tonelli3 e tutto quel che ne segue: stesso albergo avremo in patria etc, riprendendo subito dopo dove l’articolo torna all’argomento. Così non c’è quasi più ombra di lamentazione. L’articolo corre, è stringente, sfottente, come deve essere. L’ho poi intitolato: Poesie e non versi. Dal momento che L’inutile chintana sarebbe stato ormai un titolo incomprensibile. Ho tolto poi anche il nome di Baldini lasciando però l’accenno al disertore e rinunciatario.4 Siccome ormai Baldini se ne è andato non valeva la pena di infierire. Ma quell’accenno ce l’ho voluto lasciare perché deve significare da una parte l’impossibilità d’un suo ritorno alla Ronda, dall’altra che noi possiamo essere indulgenti praticamente ma non nel giudizio che facciamo di lui. Avrai poi saputo da Saffi che s’è escogitato a Roma il sistema della condirezione mia e sua.5 Io non mi sono opposto. Ho parlato con Savinio proponendogli una collaborazione attiva in ogni numero.6 Egli ha accettato, dopo qualche umano tentennamento, visto il rifiuto del suo Sogno ermetico,7 e spero che così potremo

2 R. BACCHELLI, L’inutile chintana, cit. Vedi lett. 166. 3 Luigi Tonelli (1890-1939) scrittore e critico letterario italiano, si occupò di letteratura italiana da Dante al Novecento. Insegnò letteratura italiana e drammatica nei conservatori di Parma e Roma e collaborò a diverse riviste, tra cui «Il Marzocco». 4 Tutti gli interventi che Cardarelli dichiara di aver fatto sull’articolo di Bacchelli non risultano esser stati accolti in sede di stampa, a partire dal titolo, L’inutile chintana. L’accenno a Cardarelli è rimasto, così come la citazione di Tonelli. L’unico riferimento effettivamente cassato fu il nome di Baldini. Per il contesto polemico in cui nacque quest’articolo vedi lett. 166. 5 Vedi lett. 164, nota 4. 6 Dal numero di maggio 1920 Savinio entrerà a far parte dell’entourage rondista, con il quale era venuto in contatto partecipando alle serate a casa del pittore Spadini. Divenuto molto amico di Lebrecht dal 1919, propose nell’aprile del 1919 un suo scritto a «La Ronda», ma, inizialmente, dovette scontrarsi con le ostilità cardarelliane. La partecipazione di Savinio alla rivista romana infatti fu l’epilogo di un rapporto dialettico instauratosi soprattutto con Cardarelli, il quale pur stimando lo scrittore, non lo riteneva in linea con lo stile rondesco (infra nota 7), oltre a considerarlo troppo vicino ai due maggiori esponenti dell’entourage fiorentino, Papini e Soffici. Tuttavia nel numero di marzo-aprile 1920 del «Primato artistico italiano» Savinio aveva pubblicato una recensione molto benevola sulla rivista romana («furba e considerevole» la definì Cardarelli, vedi lett. 165) e, nel numero di maggio de «La Ronda», comparirà il suo trattatello Delle cose notturne, prosa dalle nuances leopardiane traslate per antitesi. Proprio questo spostamento stilistico di Savinio verso il gusto cardarelliano e verso la tradizione classica italiana fu, secondo Paola Italia, una delle chiavi di volta che sbloccarono le riserve di Cardarelli per l’ingresso a «La Ronda» dell’artista, “fiorentino” culturalmente e collaboratore dei «Valori Plastici» (un’analisi approfondita del rapporto di Savinio con l’ambiente rondesco si trova in P. ITALIA, Il pellegrino appassionato, cit.). 7 Sogno ermetico, racconto di Alberto Savinio che Cardarelli non volle pubblicare su «La Ronda». In una lettera del 15 aprile 1920 il direttore della «Ronda» motiva a Danilo Lebrect, intermediario dello scritto, il suo rifiuto, adducendone soprattutto motivi di stile: «Ho letto questa prosa e non la trovo una delle peggiori di Savinio. Anzi c’è il discorso di Hermes che se è tutta invenzione sua, come spero, non va proprio male. Ma la prima parte, l’hai letta? Ti pare che quei periodi vadano? Che certe parole come saturità, contaminose, terminale, e altri simili brillanti di pescecane, si possano accettare? Che un periodo retto su quattro avverbi

354 sostituire Baldini. Chiacchierata per chiacchierata, quelle di Savinio avranno almeno il vantaggio dell’esoticità. Cerca di spigrire Raimondi e impegnalo a fare delle recensioni, facendogli magari balenare la possibilità di pubblicargli anche qualchecosa di originale. Colla fine del tuo Spartaco,8 mandare avanti La Ronda sarà una faccenda seria e forse dovremmo avere d’ora in avanti un po’ più di coraggio e di spregiudicatezza nelle scelte dei nostri collaboratori. Scrivi anche a Cora o va a trovarlo. Mi rimetto a te per queste due pratiche, intanto eccoti un’informazione un pochino ridicola. Montano ha offerto a Savinio un mese di villeggiatura in una campagna del Tirolo. Chissà che cosa uscirà fuori da un Messia di quella fatta e da un simile evangelista. Cecchi mi scrisse una lettera diplomatica per commentare il fatto accaduto con Baldini.9 Forse avrebbe voluto tentare di prenderne le difese e aggiungeva che in questo mese avrebbe scritto anche a te, pregandomi anche di trasmetterti la lettera che ha scritto. Io non l’ho fatto naturalmente e l’ho consigliato con belle maniere a non prendere un malumore. Gli ho fatto capire inoltre che io sono completamente solidale con te perché lui aveva quasi l’aria di attribuire l’avvenimento a un suo colpo di testa. A quest’ora credo che non ci pensi più e così le dimissioni di Baldini saranno passate senza conseguenze. E non ho altro da dire. Rispondi a questa mia lettera al più presto, perché io vorrei partire dentro questa settimana. Saluta gli amici e i tuoi fratelli e credimi tuo affmo V. Cardarelli

Hai letto i Pesci Rossi?10 Chi ne parlerà nella Ronda?

[167] Un bifolio di cartoncino, scritte le pp. 1-3. sia un periodo che sta in piedi? Per non parlare che d’inezie formali. […] Tu puoi dire a Savinio che a me dispiace molto dovergli rimandare questa prosa, della quale apprezzò la seconda parte, unicamente per certe mie fissazioni e idiosincrasie formali. Digli che mi perdoni e che la Ronda non ha altre pudicizie che questa e ci tiene molto a conservarla anche a rischio di rimanere zitella per tutta la vita» (EPISTOLARIO II, p. 701). E ancora, ad ulteriori tentativi da parte di Lebrecht per far accettare lo scritto sulle pagine rondesche, Cardarelli ribadirà, questa volta perentoriamente, di avere «un’indisposizione particolare verso questo genere di letteratura», non confacente allo spirito della rivista: «dico che mi ripugna lo spirito e l’intenzione di questo scritto. Per la stessa ragione non stamperei sulla Ronda un quadro di De Chirico. Ci siamo intesi. Questo è un dilettantismo del più cialtrone, sebbene faticoso e gravido di pretese tragicomiche. Che poi Savinio faccia quest’articolo in buona fede e con la massima applicazione non lo escludo. Probabilmente non è lui l’inventore del genere, d’altra parte, ti assicuro che questa è la prima volta che io provo una reazione così netta e violenta di fronte a uno scritto di Savinio, e sono certo che questo non sarebbe accaduto se invece di leggerlo come qualcosa da pubblicarsi sulla Ronda, l’avessi visto pubblicato su un’altra rivista qualsiasi » (ivi, pp. 702-703). 8 Vedi lett. 163. 9 Vedi lett. 166. 10 E. CECCHI, I Pesci rossi, Firenze, Vallecchi, 1920.

355 [168]

Milano, 9 VI 1920

Caro Bacchelli, ti ho scritto l’altro ieri una lettera a casa tua, di via Arienti. Vedi di rispondermi presto perché ora si dà anche il caso che una raccomandata o vaglia, non so che sia, di 300 lire speditami da Saffi, deve essere andata smarrita. So che lavori da una lettera di Raimondi. Ti faccio i miei augurii. Io invece affondo sempre di più. Forse sbagliai a venire via da Bologna, ma quando si sta male come sto io in questi tempi si sbaglia sempre, qualunque cosa si faccia. Temo debba dipendere dalla stagione. Non posso spiegarmi altrimenti un rilasciamento di questo genere. La sera prima di addormentarmi ho la sensazione di svenire e a volte camminando ho quella di stramazzare. Mi alzo la mattina cogli occhi spenti e pieni di sangue e ho sempre i soliti dolori alla testa, alla schiena, da per tutto. Ho letto il libro di Cecchi1 e ci sono due cose, abbastanza buone: la predica di Natale, e la lettera di presentazione. Leggilo. Qua e là è divertente. Saluta Raimondi, Morandi, Guido, Giorgio, Mario etc. Tuo affmo V. Cardarelli

Della recensione di Ianni,2 non parlo. Non credo che possa avere importanza una sconcezza simile, neanche per Milano. Del resto queste cose a noi altri fanno più bene che male. Se la dovranno sentire la coscienza nera un giorno o l’altro! Dovranno pure venire a una confessione.

[168] Cartolina postale italiana, indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via Belle Arti, 31/ Bologna»; timbro postale di partenza MILANO CENTRO 9.VI.1920.

1 E. CECCHI, I Pesci rossi, Firenze, Vallecchi, 1920. Vedi lett. 167, nota 10. 2 Ettore Janni (1875-1956) giornalista e scrittore italiano, collaborò con «Il Corriere della Sera» sin dal 1903, occupandosi della pagina letteraria e di costume. Lavorò inoltre per «Il Giornale d’Italia» e la «Gazzetta del Popolo». Janni aveva pubblicato una breve e non benevola recensione ai Viaggi nel Tempo nella rubrica Cronaca dei libri del «Corriere della Sera», 29 maggio 1920, p. 2, per altro di seguito a un entusiastico trafiletto su Antonio Baldini e le sue recenti pubblicazioni. Seppur velatamente, Janni dava l’immagine di un Cardarelli poco incisivo nella Poesia e poco originale negli scritti critici di Retorica, aprendo e chiudendo l’articolo con un velenoso riferimento alla sua mancata modestia in campo letterario. Si segnala che la recensione va a integrare la bibliografia critica cardarelliana in OPERE.

356 [169]

Milano, 17.VI.1920

Caro Bacchelli, ho potuto ricevere soltanto due giorni fa il tuo vaglia di 600 lire. Era accaduto, come già altre vote, un errore d’incasellamento. Ho dovuto praticare mezza giornata per rintracciarlo. Altri due vaglia di Saffi sono rimasti giacenti più d’una settimana per la stessa ragione. Questo per dirti come funzionano i servizio postali a Milano. Ho aspettato a scriverti fino ad oggi perché essendoci lo sciopero ferroviario non volevo correre il rischio di scriverti invano. Ora vengo a sapere e a constatare che i servizi postali bene o male non sono interrotti, e così ti scrivo. Prima di tutto, ti ringrazio del vaglia. Per tutto ciò che concerne la Ronda e i tuoi progetti per l’avvenire non posso dirti altro se non che io approvo in massima. Soltanto sarebbe opportuno non confondere la testa di Saffi proponendogli troppe cose in una volta. Per il momento sarei dell’opinione di andare avanti come s’è andato finora (quindi un po’ alla deriva) non esclusa si capisce una qualche novità nei riguardi nella collaborazione. A proposito di ciò devo dirti che ho seriamente impegnato Savinio, il quale ha già fatto una prosa Intorno alle cose notturne,1 molto migliore dell’altra, discretamente lunga, la quale servirà intanto per il prossimo numero. Si tratta di fissare la misura del compenso. Io direi di fargli mandare 150 lire a titolo d’incoraggiamento, in attesa di fissargli un piccolo stipendio mensile. Gli si potrebbero proporre p. e. 200 lire. Egli in cambio garantisce una collaborazione assidua per ciascun numero, disposto com’è a lavorare in tutti i sensi, tanto sugli Incontri e scontri, quanto nella prima parte della rivista, con perfetta solidarietà coi nostri intenti. È l’unico modo per ritenerlo e per poter contare su di lui. Questo acquisto dunque è già fatto. Dimmi che cosa ne pensi e se approvi le mie decisioni ripiegherei di scriverne a Saffi immediatamente affinché rimetta a Savinio a volta di corriere il pagamento di questo scritto nella misura suddetta, senza farsi aspettare. Potrei anche mandargli una lettera dicendogli che da accordi presi con me accetto la sua collaborazione a stipendio fisso. Tutte queste cose è bene che le scriva tu a Saffi per renderle in un certo senso più perentorie. Saffi è lento anche nel pagare e questo non è il miglior modo, al punto in cui siamo giunti, di accrescere la lista dei collaboratori. Gli va fatto intendere che d’ora in avanti, se desidera che la Ronda continui, deve procedere in queste faccende assai più

1 A. SAVINIO, Delle cose notturne, «La Ronda», a. II, n. 5, maggio 1920, pp. 25-34.

357 regolarmente e speditamente. Carrà p. e. non ha ancora ancora ricevuto il compenso del suo articolo sull’Arte parigina.2 Dice che glielo ha spedito ma io temo, anzi sono certo che si tratta dell’altro suo articolo su Cezanne.3 Quando si pensa che questa gente vive a Milano, a contatto di riviste che pagano molto meglio di noi e più sollecitamente, non si può pretendere, tenute anche presenti le doverose conseguenze che impone una collaborazione alla Ronda, che ci rimanga attaccata senza metterci da parte nostra un po’ di buona intenzione. Pare che quelli del Convegno sotto sotto si propongano di emularci e di superarci per lo meno commercialmente. Gente falsa e puerile, è questo il loro segreto intento con tutte le loro apparenti prosternazioni. E bisogna dunque accorgercene e agire, se non altro per il dispetto che fanno certe sciocche recensioni - io ho cominciato col pregare Savinio di non dare più una riga al Convegno,4 così Carrà. E sarà fatto, solo se noi sapremo uscire di quando in quando dalla nostra asfissiante torre d’avorio. Tutte queste cose io le dico soltanto per Saffi, e tu glieli ripeterai, perché sai quanto a me pesi lo scrivere due volte le stesse cose. A proposito, non sei più a Roma? In quanto a De Robertis, io non vedo la possibilità di intendermi con lui se prima non si decide, come hanno fatto tutti, a sottopormi un suo scritto. Dopo se mai se ne potrà parlare. Cerca d’intimargli un argomento preciso da trattare. Ma vorrà esporsi? Ti confesso che su De Robertis io conto, fino a prova contraria, assai poco. Sarò ben lieto di ricevere una smentita, ma in ogni modo desidererei poter vedere ciò che scriverà prima di mandarlo a Saffi, il quale non ci deve servire che come semplice esecutore. Salutalo e incoraggialo, dio buono! E Raimondi cosa fa? Si è già scordato della sua promessa? Se fa ancora delle recensioni e a te sembra che non sia necessario che io le veda, digli che le mandi pure per non perdere tempo. Così spero che vorrai fare anche te se avrai pronto qualcosa.

2 C. CARRÀ, L’arte parigina, ivi, a . I, n. 7, novembre 1919, pp. 82-91. 3 C. CARRÀ, Paolo Cézanne, ivi, n. 4, luglio-agosto 1919, pp. 48-55. 4 «Il Convegno», fondato con il progetto di allestire una rivista antologica, divenne ben presto un punto di riferimento per la qualità letteraria degli scritti pubblicati, risultando quindi un valido concorrente per «La Ronda» che, al suo secondo anno, iniziava ad avvertire necessità di rinnovarsi, anche nella compagine dei redattori, per non perdere l’originario impatto sulla scena culturale. Per questo motivo la contemporanea collaborazione di Savinio e Carrà alle due riviste doveva essere interrotta, a favore ovviamente dell’entourage romano. Come ricorda Paola Italia, le biografie ufficiali di Savinio attestano la pubblicazione di suoi testi sul «Convegno» fino al dicembre 1920, sebbene grazie ad alcune lettere inedite conservate nel Fondo manoscritti di Pavia sia possibile ipotizzare una collaborazione più lunga, a volte velata sotto il nome del fratello Giorgio De Chirico (P. ITALIA, Il pellegrino appassionato, cit., pp. 247-249). Dunque l’invito perentorio di Cardarelli ad un’esclusiva collaborazione con «La Ronda» non sembra esser stato effettivamente accolto.

358 Scriverò a Montano. Ed ora? Tu mi esponi delle gran belle idee, ma per ora si tratta di fare il prossimo numero. Quanto a me, senza camera, esauritissimo e sul punto di dimettermi da letterato, bloccato dallo sciopero e costretto a nutrirmi di disgusto e di melanconia, non posso promettere nulla. Mi dispiace solo di avere ancora una volta commesso la debolezza di accettare pubblicamente la condirezione della Ronda. Ma io non posso aiutarvi che praticamente. Al resto pensateci voi. Io non so ancora se riuscirò a trovare le forze di partire. So solo che così non posso andare avanti. La mia posizione è tristissima perché io sto male. Cerca dunque, tu che hai la mente fertile, di non aggravare le mie preoccupazioni facendomi balenare ipotesi di divieti o altro che per il momento non potrebbero che rendere più incerta la pericolante posizione della Ronda. Ci vuol pazienza e aspettare. Mutamenti serii e proficui non se ne potranno fare che quando ci ritroveremo tutti a Roma. Altrimenti tu sai come Saffi prende le bufale facilmente e il frutto che se ne ricaverebbe non sarebbe altro che un maggior ritardo nell’uscita dei prossimi numeri. Vedo che anche Cecchi ha i suoi progetti5 i quali però, da quel che intendo, tenderebbero piuttosto ad escludere la possibilità di nuovi collaboratori che a variarli. Tu capisci a che mira. Per tutte queste ragioni ci vuole una volontà sola e non essere in troppi a proporre né troppo corrivi. La stessa cosa avrei da dire per ciò che riguarda la materia della collaborazione. Bisogna che ciascuno di noi si contenti di far meno quello che fa e un po’ più riposatamente, perché l’eccessivo lavoro tuo come di chiunque altro potrebbe generare, tu lo capisci meglio di me, una certa monotonia. Ho letto la tua nota su Monti,6 bellissima. Però il dialogo7 poteva essere riservato al prossimo numero. Così c’è un articolo di Cecchi8 in questo numero, affrettato. E il buon Saffi te lo schiaffa proprio in cima. Ecco come in certi casi potrebbe essere utile diminuire il numero delle pagine. Ma se Saffi non mi scrive che una volta ogni quindici giorni come è possibile che io seguiti ad accettare il ruolo di direttore?

5 Lo stesso 17 giugno Cardarelli scrisse anche una lettera a Cecchi, nella quale discuteva appunto di nuove soluzioni relative alla «Ronda»: «[…] cerchiamo di far uscire il prossimo numero al più presto, magari con un numero di pagine minore. Approvo la tua idea degli articoli di fondo agli Incontri e Scontri. In quanto ai progetti di Bacchelli dì a Saffi che non se ne impressioni troppo e che tiri innanzi come meglio può per la sua via. Novità radicali non se ne potranno fare che quando ci ritroveremo tutti a Roma. Bada che Saffi tra tanti progetti mi perda la bussola. Il ritardo eccessivo di questo numero dipende certamente da lui. Siccome ora sono io direttore ufficiale, intendo dover rispondere dei miei atti senza perdere tempo a discuterli preventivamente. Così si vedrà qualche nuovo collaboratore sulla Ronda. Fatemi il piacere di non allarmarvi e pensate che tutto ciò che io faccio lo faccio a fin di bene» (EPISTOLARIO II, pp. 711-712). 6 R. BACCHELLI, Studii. La Bellezza dell’Universo, «La Ronda», a. II, n. 4, aprile 1920, pp. 60-62. 7 R. BACCHELLI, Dialogo tra Dioniso e Filosseno, ivi, pp. 65-67. 8 E. CECCHI, Venezia minore, ivi, pp. 5-8.

359 Passiamo ad altro. Il contegno di Vallecchi con te mi ha tanto irritato che io non cesso di riprovarlo con chiunque mi accade di riparlarne. Ho deciso di non dargli più nulla di mio, e sono contento di aver disdetto perfino il contratto firmato per le Cronache.9 Mi sono subito adoperato di trovarti un editore a Milano. E questo potrebbe essere Podrecca10 del Primato,11 al quale parleranno Savinio e Somarè. Egli sta facendo una serie di pubblicazioni musicali. Potrebbe pubblicare anche i tuoi volumi come i miei, quando verranno, uno per volta, pagando come credo che paghi abbastanza bene. Se credi scrivine a Savinio tu stesso, presso Bontempelli, via Porta Nuova, 9, Milano. E intenditi con lui. Egli sa già la cosa e sarà contentissimo di poterti favorire. Intorno a Podrecca si potrebbe fare un cerchio assolutamente chiuso e nostro su quel che riguarda la letteratura. Io ci parlai per le Cronache di Barilli,12 che accettò. Ora è assente. Ma so che è anche in relazione con Benvenuti13 che gli fa un volume. Dunque tu sai la via. Te la consiglio perché mi sembra la migliore che ci sia a Milano. Se mai potrai fare una corsa fin qui. Cosa mi dici? Scrivimi sempre qui fermo posta. E sta bene. Tuo affmo V. Cardarelli

[169] Un bifolio di cartoncino, scritte le pp. 1-4, numerate da Cardarelli le pp. 2 e 3; busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via Belle Arti, 31/ Bologna»; timbro postale di partenza MILANO CENTRO 17.VI.1920, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 19.6.20.

9 Cardarelli voleva pubblicare una raccolta delle sue cronache drammatiche apparse sul «Tempo», libro che in realtà non uscì mai. Da questa lettera tuttavia si evince che l’intenzione era più che solida e sottoposta per altro ad un contratto editoriale già firmato. 10 Guido Podrecca (1865-1923) politico e giornalista italiano, fondatore di alcuni periodici di fine ottocento quali «Bononia Ridet» e «L’Asino», quest’ultimo impegnato nell’anticlericalismo e nella lotta alla corruzione. Nel 1919 fondò «Il Primato artistico italiano». 11 «Il Primato artistico italiano» rivista mensile di tutte le arti fondata a Milano da Guido Podrecca nell’ottobre del 1919. I principali collaboratori di Podrecca furono Bontempelli e Somarè ma alla rivista presero parte attiva sin dall’inizio anche i fratelli de Chirico, citati tra i collaboratori dal numero di gennaio 1920. La rivista si caratterizzava per una spiccata interdisciplinarietà tematica, esperita soprattutto da Savinio che, responsabile di una rubrica letteraria, esulava spesso tuttavia nel campo dell’urbanistica, della sociologia, della politica, della filosofia e della linguistica (cfr. P. ITALIA, Il pellegrino appassionato, cit., pp. 275 e segg.). 12 Bruno Barilli pubblicava in quel periodo numerose cronache musicali, anche su «La Ronda», pezzi che avrebbe raccolto nel volume Delirama del 1924 (Roma, La terza pagina). Evidentemente il progetto della raccolta in volume risaliva già al 1920. 13 Giacomo Benvenuti (1885-1943) musicista, compositore e studioso di filologia musicale italiano fu una personalità di spicco nel panorama della cultura musicale del tempo. Nel periodo giovanile, in occasione dei suoi studi bolognesi, strinse amicizia con Bacchelli.

360 [170]

[Bellagio], 18.VI.1920

Caro Bacchelli, eccoti alcuni tipi di femminilità Lariana. Sono a Bellagio, Hotel Suisse (Lago di Sarno). Scrivimi presto e dimmi che fai e come ti trovi. Come vedi, ho avuto coraggio a partire e non me ne pento perché ho ritrovato quassù il solito paradiso artificiale che desideravo. Ci rimarrò più che posso. Spero che adesso potremo corrispondere e discorrere a nostro Bell’agio. Questa freddura è di conio prettamente milanese. Certo che è così brutto stare davanti all’acque e ai monti, ma non è più il caso nemmeno di disperare, piuttosto mandami qualche buon libro se puoi, giornali, pettegolezzi. Tutto quel che ti capita. In questi giorni ho letto molto: Svetonio, Sofocle, Esiodo etc. in autunno mi metterò a studiare il greco, lo sai? Cose da pazzi! Tuo Cardarelli

[170] Cartolina postale illustrata, indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via Belle Arti, 31/ Bologna»; timbro postale di partenza BELLAGIO COMO 19.6.20.

361 [171]

Bellagio hotel Suisse [fine giugno-inizio luglio ca] 1920

Caro Bacchelli, ti scrivo due righe in fretta, proponendomi di scriverti in seguito più estesamente. Eccoti la lettera di Cecchi, unita ad un’altra di Savinio, dalla quale leggerai che Podrecca è impaziente di pubblicare le tue Memorie.1 Ti ripeto che il Primato è l’unico centro editoriale milanese di cui ci si possa servire. Condizioni: duemila lire di pagamento. 500 subito, appena firmato il contratto, mille alla consegna del manoscritto, le altre cinquecento all’uscita del volume. Non badare che Savinio mi chiede anche le mie cronache drammatiche.2 Forse io non gliele darò. Del resto io non ho parlato che delle tue Memorie e delle Cronache musicali di Barilli.3 Con un altro volume di Savinio, uno di Montano etc. si potrebbe costituire intorno a Podrecca un nucleo di autori rispettabili e capaci di imprimere subito una linea a questo ramo delle sue attività editoriali. Manda il manoscritto a Savinio (Via Porta Nuova, 9 Milano, presso Bontempelli). Egli sarà ben lieto di servirti. Quanto alla tua forza, mi rallegro. Mandamele appena puoi acciocché io le veda e decideremo il da farne. Intanto tutti i miei complimenti! Addio per oggi: scrivimi presto, non mi dimenticare. E se hai dei soldi a tua disposizione, sai bene che io ne ho sempre bisogno. Parlo con franchezza perché mi pare di capire che per quest’anno io sarò a posto e , dopo quelle che ho dato, non darò più seccature a nessuno. Tuo V. Cardarelli

Vorrei che tu salutassi la signora Nuvolari.4

Ho ricevuto una recensione su […] di Manzoni, da Raimondi purtroppo non mi sembra che vada e la lascio indietro. Dì a Raimondi che mi mandi qualche cos’altro. Questa è troppo ingenua e impegnativa nello stesso tempo. Ci vuol altro, anche per fare dei leggieri scherzi su un argomento simile.

[171] Un bifolio, scritte le pp. 1 e 4. Non ci sono sufficienti elementi di contesto per datare precisamente la lettera, tuttavia l’argomento è strettamente connesso con la lettera successiva del 10 luglio (n. 172), che ne costituisce quindi il terminus ante quem.

1 Nonostante gli entusiasmi dell’editore, le Memorie del Tempo presente non usciranno in volume nemmeno con Podrecca. Per le vicissitudini editoriali delle prose vedi lett. 164 e 169. 2 Vedi lett. 169, nota 9. 3 Vedi lett. 169. 4 Ada Fochessati Nuvolari, moglie di Bacchelli.

362 [172]

Bellagio, 10 VII 1920

Caro Bacchelli, volentieri m’incaricherei di mandare questa tua lettera a Podrecca, accompagnandola con tutte le proteste e le considerazioni del caso, ma non posso farlo per semplice ragione che non sono stato io a proporre il tuo libro a Podrecca, bensì Savinio; ed è, se mai, a lui che io e te potremmo rivolgerci, prima che a chiunque altro, per avere le dovute spiegazioni. Io non conosco Podrecca quasi affatto. In che veste mi arrogherei di entrare in una faccenda che non mi appartiene? In quanto poi a disturbare una mia eventuale macchinazione editoriale, non ci pesare. Io vedevo questa pubblicazione soprattutto come un dispetto da fare a Vallecchi. Per conto mio non ho libri in corso e quando anche l’avessi sono troppo scettico in materia di successi editoriali per poter sentire certe preoccupazioni. In fondo, parlandoti di Podrecca, io non faccio che riflettere alquanto passivamente, con la mia solita fiducia nella Provvidenza, lo stato d’animo di Savinio e di Somarè, che ora vedo quanto fosse ottimistico. Mi sono divertito molto a leggere la tua lettera e penso che ad ogni modo, prima o dopo, non sarebbe male tu glielo mandassi. Vedo che nelle cose pratiche tu sei sempre alquanto più inattivo e indeciso di me, fatto singolare. Esso significa che per essere anche minimamente spicciativi nella vita bisogna arrivare a un rispettabile grado di disperazione. Tu invece hai ancora delle gloriose illusioni e questo t’impedisce giustamente di offrirti al primo editore che ti capita. Stando così le cose ogni consiglio che io potrei darti mi parrebbe indiscreto ed illecito. A me pare di vedere che il tempo e il paese nel quale viviamo non consentono a priori atteggiamenti simili a quelli che tu assumi in questa lettera, ma piuttosto il disprezzo e una celata ironia. Però potrei sbagliarmi e d’altronde tu mi dai una così gradevole impressione di robustezza in questa tua schermaglia cogli editori che per nessuna ragione al mondo vorrei rinunciare a vedere la fine di questo interessante spettacolo. Fa dunque quello che vuoi e informami sull’esito di questa discussione. Non ti nascondo che quando saprò che le tue Memorie hanno finalmente trovato un editore di tuo gusto tirerò un sospiro di sollievo. È preoccupante vederli rimanere con tanti vermi nel cassetto. Cosa sta accadendo? Oppure rivive in te lo spirito di qualche splendido avaro da Mille e una notte?1 Avrei voglia di seguitare a scriverti su questo tono burlesco perché in questi [giorni] ho un umore alquanto tenebroso e bislacco ma la mia penna è arrugginita purtroppo. Sarà per

1 Le Mille e una notte, antica raccolta di novelle orientali.

363 un’altra volta. Scrivimi spesso e dammi notizia del tuo lavoro. Io sono qui su questa beata riva e mi sento in quelle situazioni in cui si doveva trovare Antonio quando stava perdendo l’impero tra le braccia di Cleopatra. Non manca neppure lei. E tutto è detto. Se non ti scomoda troppo mandami un altro po’ di denari perché Saffi è lento e non ho avuto che una piccola parte di quelle inaspettate e provvidenziali 1200 lire. Saluta dunque Ada e gli amici bolognesi. Tuo affmo V. Cardarelli

[172] Un foglio sciolto scritto sul r; busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via Belle Arti, 31/ Bologna»; timbro postale di partenza BELLAGIO COMO 11.7.20, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRALE […].7.20.

364 [173]

San Remo, hotel Milano, 25 luglio 1920

Caro Bacchelli, quantunque io abbia lasciato senza risposta una tua lettera consolatoria che mi giunse molto gradita e sulla quale, in altre circostanze morali e materiali, mi sarebbe piaciuto di discutere, ti contenterai che oggi ti scriva poche righe per dirti dove sono e darti un rapidissimo ragguaglio delle mie condizioni. Sono dunque a San Remo, come vedi, dove rimarrò fino a tutto agosto. Da Bologna a Bellagio la mia salute è andata sempre più peggiorando sicchè ora sono su questa spiaggia come piroscafo arenato. Dicono che l’aria del mare faccia bene ai reumatismi. Infatti io qui sudo molto e questo non può essere senza qualche giovamento. I miei nervi sono così malandati che da qualche giorno non faccio che prendere aspirine per vincere un tremendo mal di capo complicato da una flussione ai denti. Mentre ti scrivo mi dolgono gli occhi e le tempie. Ma lasciamo stare questi discorsi. Avrai avuto qualche informazione d’una storia che mi è capitata con donna. E sta donna mi ha fatto venire fin qui, non certo di sua volontà pura per indiretta e metafisica influenza. Non desidero parlare di tutte le sciocchezze che ho fatto per lei in questi ultimi tempi e vorrei soltanto essere aiutato a liberarmene. Per ottenere questo è necessario che io rimanga ancora un poco vicino a lei, allo scopo di disgustarmene. Ma sono senza soldi. Tu o Saffi, che credo deve essere a Bologna, bisogna che facciate ancora un piccolo sforzo perché tra giorni dovrò pagare la prima nota dell’albergo. Tutte le mie lettere finiscono in gloria, come vedi. Spero che non tarderete a rispondermi e che non mi abbandonerete in questa circostanza. Io sono stremato e non sono più buono a niente, neppure a scrivere una lettera. Vorrei dirti tante cose, ma di dove cominciare? Ho troppo abusato delle mie forze. Cominciai a sentirmi gravemente scosso l’ultima volta che partii da Roma. L’improvvisa solitudine nella quale mi trovai mi fece un bruttissimo effetto. E d’allora non mi sono più riavuto. Questo forse sarebbe il momento perché, come dice Machiavelli, quando non si può andare giù qui conviene che si risalga. Ma la morte non esiste nel sistema di Machiavelli? A Milano combinai con Podrecca un volume su Leopardi1 per il quale ho già avuto un anticipo che mi servì a comperarmi un vestito. Questo volume lo farò se non muoio, e te ne parlerò in una prossima lettera. Frattanto parlai anche di te e Podrecca si scusò della

1 Anche questo progetto, come del resto accadde per il volume reportage sulla Sardegna promesso ad Angiolo Orvieto anni prima (vedi lett. 23, ma per tutta la questione vedi lett. 6, 9, 11, 14-5, 18, 22, 45), non venne realizzato dall’autore, nonostante fosse stato già pagato dall’editore.

365 lettera che ti scrisse dicendo che lui credeva si trattasse di un volume rientrante nella sua collezione di storia dell’arte. Ti prega di non volergliene e accetterebbe senz’altro un tuo volume su Petrarca alle stesse condizioni del mio. Duemila lire da pagarsi all’atto della consegna del manoscritto previo anticipo appena fatto il contratto. Fui io a proporglielo e ti pregherei di accettare. Un volume su Petrarca tu potresti farlo nelle ore di divertimento. Scrivimi che cosa ne pensi. Torno a pregarti di mandarmi un altro po’ di denari per vaglia telegrafico e sta certo che io non ti seccherò al di là della cifra convenuta. Addio per oggi: saluta gli amici e perdonami per l’impressione di rilasciamento che di darò con questa lettera. Tuo Cardarelli

Se tu proprio non potessi telegrafa a Saffi. Insomma fa che in qualche modo io non rimanga qui col terrore di non poter pagare il conto. Che sarebbe il colmo. E ora ti sei convinto che i miei rimorsi non erano di natura letteraria?

[173] Due fogli sciolti scritti sul r; busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via Belle Arti, 31/ Bologna»; timbro postale di partenza SAN REMO 24.7.20, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 25.7.20.

366 [174]

San Remo, Hotel Milano 9.VIII.1920

Caro Bacchelli, il riserbo e direi quasi il silenzio che sempre noi due ci siamo imposti sulle nostre cose più intime, mi rende molto difficile in questo momento, scriverti delle lettere. Giacchè io so che abbandonandomi non potrei scriverti che delle cose disperate o pazze, e d’altronde non ho forza abbastanza per rispettare la nostra antica disciplina. Ciò che mi impedisce di aprirti liberamente il mio animo non è poi soltanto lo scrupolo o la volontà di apparirti più forte di quel che sono, quanto il timore di non riuscire ad esprimerti esattamente i motivi della mia disperazione e di darti una falsa immagine delle mie sofferenze. Per quanto io sia caduto così in basso da non ritenermi più degno di nessuna considerazione, tuttavia sono certo di non aver smarrito del tutto la mia volontà e di saper ancora quel che faccio: cosa della quale tu ed altri che osservate la mia vita di lontano, attraverso le mie svogliatissime lettere, potreste dubitare. E se non avessi delle ragioni urgenti di tenermi in contatto con voi, tu sai benissimo che io vi risparmierei anche queste poche e incerte notizie, preferendo il silenzio e la lontananza assoluta, finché non mi risentissi in grado di tornare a farmi vivo, nel solo modo che tra di noi è possibile; e tuttavia non dimenticando un solo istante i miei obblighi e la mia gratitudine. Ma la mia vita è assillata dalla necessità in tutti i sensi e ogni giorno che passa io vedo con terrore i fatti che si accumulano e dei quali ho il dovere di ricordarmi per questo semplice motivo: che io ho bisogno di giustificazioni. Che poi infine io preferisca, all’eloquente e continuata esposizione delle mie miserie, gettare disperati appelli allarmi all’amicizia, questo non illuderà, credo, nessuno. Il fatto è che la mia vita, comunque si manifesti, è sempre giustificata, anche troppo e, vorrei dire, incolpevole. Io voglio smettere di preoccuparmi per cose che mi si stanno rivelando insanabili e cercherò di parlarti nel modo più franco. Ho liquidato bruscamente la mia storia d’amore e ora posso considerare senza illusione ciò che mi rimane da fare. La mia salute va malissimo. Mi alzo con la sete, il mio cuore è avvelenato, la sera quando vado a letto, sul punto di addormentarmi, credo di avere dei sintomi lontani di paralisi. Sarà una mia immaginazione ma il fatto è che ne sono preoccupato; e i miei nervi sono molto scossi, come s’è accorto Savinio e altri che mi hanno visto ultimamente a Milano. A dire la verità me ne sono accorto anch’io. So dove sta il male ma non lo dico. Ad ogni modo non credere che io mi logori e mi tormenti per non poter lavorare. Pensa piuttosto che io ho

367 sempre lavorato quando meno l’aspettavo e veramente di sorpresa e che sarebbe ingiusto, per questo riguardo, attribuirmi delle pene d’amore. Un fondo d’idiozia c’è nella mia vita, dannosissimo; ed è che credo ancora nella felicità, nella gioia, nel piacere. La mia cattiveria sta nell’anteporre queste illusioni a tutto il resto, perfino alla gloria. Ciò mi rende talvolta così sordo e così disattento verso il lavoro degli altri che io mi meraviglio come con queste indisposizioni naturali io mi trovi, almeno nominalmente, a capo d’un’impresa intellettualissima quale è quella della Ronda. Tutte queste contraddizioni insomma sono causa della mia sterilità, delle mie cadute fisiche, e mi fanno molto soffrire. Siccome non sono più giovane, credo che col tempo si aggraveranno, anziché scomparire, ed io che non potrei sperare di essere altro in mezzo a voialtri, se non un cadavere che mangia molto? Vedo bene che io ho poche vie d’uscita, come sempre. Per il momento, lasciando da parte ogni proposito catastrofico, penso di rimanere a San Remo. Ci starò per tutto il mese d’agosto, senza pensare nulla e vivendo tra bagnanti – ecco il mio programma. In settembre, secondo come mi sentirò, deciderò il da fare. Se starò bene andrò in gran fretta a Roma, dove se non altro, potrò occuparmi della Ronda un po’ da vicino, se no ti giuro, che io sono più che annoiato di questa vita e non sarò più di peso a nessuno. Questa è una cosa che riguarda me e non è il caso che io mi pronunci. Ma vorrei che te la prendessi come una promessa e una garanzia: nel qual caso ti offenderei. Ma finchè uno parla e scrive vuol dire che ha speranza. Dunque non insistiamo. Tu mi scrivi di non preoccuparmi di chiederti soldi, soltanto che te ne chiedo pochi in questi mesi. Ne pochi né molti caro Bacchelli. Solo ti chiedo quel tanto che tu mi promettesti in una lettera a Milano di consegnarmi appena ne avessi avuto bisogno. È venuto il momento ed io mi rivolgo a te, dopo avere esaurito tutti i pozzi. Mi rimani a dare mille lire. Se tu potessi darmeli tutti dentro questo mese, io potrei vivere qui tranquillamente, in via d’esperimento. Capisco che ho troppe volte gridato: aiuto, ma tu non vorrai ripetere le parole di Esopo e lasciarmi alle prese coi lupi. Spendo troppe parole. Siimi dunque indulgente, anche per questo. Ti conosco difficile e suscettibile. Ammetterai che nelle condizioni in cui mi trovo una certa preoccupazione nello scriverti di certe cose è in qualche modo giustificata. Tanto più che io non cesso di considerare le stranezze di questo caso: che mentre tu lavori ed io non faccio nulla, tu devi anche darmi dei denari. Ecco a che cosa ci riduce - a forza di vivere. Ti ho scritto una lettera di pessimo gusto, ma è tutto quel che mi è riuscito di scriverti. Un po’ più avanti spero di poterti dare un’impressione un poco più confortante della mia

368 salute fisica e mentale. Se vedi Saffi, o gli scrivi (dimmi a proposito dov’è) spingilo a venirmi a trovare. Io ho bisogno di conversazione. E tu dove sei? Ho letto il dialogo1 e le note degl’Incontri e Scontri.2 Tutto bene. Forse più le note. Mando l’Orfeo3 di Raimondi a Cecchi. Non posso giudicare, sono troppo assente, ma mi sembra, in fondo, una cosa tirata via, malgrado i couplets4 che io avrei voglia di correggergli per rendergli un poco più prosodici. Cecchi deciderà. Per ora non dirgli nulla. Solo ti prego di salutarlo, insieme a Morandi e ai tuoi fratelli. Ho molto pensato a Donna Ada in questi tempi. Forse ho da farmi perdonare di non esserle riu[…]

[174] Quattro fogli sciolti scritti sul r, l’ultimo di dimensioni minori; busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via Belle Arti, 31/ Bologna»; timbro postale di partenza SAN REMO 9.8.20, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 11.8.20. La lettera è incompleta.

1 R. BACCHELLI, Dialogo di Seneca e Burro, «La Ronda», a. II, n. 5, maggio 1920, pp. 5-8. 2 R. BACCHELLI, Apologia, Esercitazioni, Riflessioni sullo stile polemico, Sermone, ivi, pp. 41-47. 3 G. RAIMONDI, Orfeo all’Inferno, ivi, n. 7, luglio 1920, pp. 34-42. In proposito vedi EPISTOLARIO II, lett. 575. 4 Termine inglese per «distici».

369 [175]

[Roma], 1 settembre 1920

Caro Bacchelli, ti prego di leggere prima di questa lettera il pezzetto di giornale che ti accludo1 e capirai subito la ragione per cui ti feci quel telegramma da San Remo. Si tratta, come vedi, di ben altro, che di preoccupazioni letterarie. Ho passato qualche momento brutto, abituato come sono a scrutare i perché delle cose che mi accadono, e non potevo mandare giù la sconcezza di questo caso: ironico epilogo di cinque mesi disgraziati. Ora tutto sembra finito con questa nota dell’Eco della Riviera,2 ispirata dal maresciallo dei carabinieri di San Remo. Ma quando pensi che io sono stato in ballo, sia pure come semplice testimone, in un’avventura di questo genere, che a San Remo sono poco conosciuto per la mia vita solitaria, che i primi giorni mi si guardava con una curiosità non priva di sospetto e forse anche di ammirazione, capirai come io avessi bisogno in una circostanza simile di avere al fianco qualche amico. Fortunatamente due signore dell’Hotel dove ero io, due amabili e fiere piemontesi, mi fecero scudo colla loro graziosa compagnia e in ventiquattrore tutto fu dissipato. Quanto a voi faceste bene a venire perché in ogni modo sareste arrivati troppo tardi; ma io pensavo che avremmo sempre fatto in tempo a fulminare coll’ironia dei nostri sguardi qualche persona per bene della quale mi premeva di vendicarmi. Era una soddisfazione che volevo condividere ma sono stato costretto a prendermela tutta per me solo e ti assicuro che non ho avuto pietà né discrezione. Parliamo d’altro. L’articolo di Gargiulo3 mi sorprese subito sgradevolmente fin dalle prime righe e prima ancora di leggerlo tutto, siccome Cecchi era presente, non esitai a dirgli nella forma più recisa che non l’approvavo. Purtroppo era già impaginato: e in principio capisci? Tutto quel che ho potuto fare è stato di trasferirlo in una parte meno visibile. Ne ho parlato a lungo con Cecchi, dicendogli che non è il caso che un estraneo venga da noi a parlarci con questo tono e a permettersi d’improvvisare, sia pure con ogni cautela, della gerarchia: che ciò sarà fatto quando tutti saranno al cimitero. Allora ciascuno avrà la sua statua, di quella dimensione che avrà meritato, ma per il momento stimo inopportuno e prematuro ogni tentativo di questo genere. Capirai, era il meno che potessi

1 Dal breve trafiletto di cronaca allegato alla lettera, intitolato Simulazione di furto?, si evince che il poeta era stato ingiustamente accusato, da una signora romana che soggiornava a San Remo, di averla derubata di £ 5.000. L’accusa si rivelò poi una simulazione della signora, che la usò come escamotage per non pagare l’albergo e farsi rimborsare il viaggio. 2 [s. s.] Simulazione di furto?, «Eco della Riviera», 22 agosto 1920. 3 A. GARGIULO, In famiglia (I), «La Ronda», a. II, n. 6, giugno 1920, pp. 17-28 .

370 dire, e a buon intenditor poche parole. È esatta la tua idea del colpo di stato. Credo anch’io che Cecchi non ne abbia colpa; trovo strana però la sua aria d’innocenza. Pareva che cadesse dalle nuvole. Ora Gargiulo avrebbe intenzione di seguitare con un articolo sui Viaggi nel tempo. A parte che di questo mio libro si è già troppo parlato, ho detto a Cecchi che Gargiulo stia attento a sciupare le sue fatiche perché potrà darsi benissimo che codesto articolo io non glielo pubblichi.4 E mi meraviglio di Saffi che avrebbe dovuto vedere questo scritto o sapere press’a poco, da quel che mi risulta, in che termini sarebbe stato concepito. Adesso, come rimediare? Non è difficile capire che questo scritto farà un bruttissimo effetto tra i nostri lettori. Va bene essere persone di spirito, ma quando una rivista ha un direttore, anzi due, non è lecito dare simili impressioni di sventatezze. D’altra parte per scrivere una risposta bisognerebbe usare una diplomazia della quale io mi sento incapace, anche a voler sfiorare la questione indirettamente, e non ci sei che tu che possa tentare una simile impresa. Ti esorto a pensarci. Non è bene che la gente si abitui all’idea di poterci stuzzicare o disconoscere impudentemente. Se verrai a Roma tanto meglio. Ne riparleremo. Ti prego intanto di scrivere a Saffi quali sono le mie impressioni. Egli mi ha mandato in questi giorni trecento lire, delle quali lo ringrazio a mezzo tuo. Digli che se non gli ho scritto finora è perché non sto bene, come tu hai ben giudicato. E siccome mi domando se è necessario ch’egli venga a Roma, direi ch’egli rimanesse in villeggiatura quanto più può e che quanto a me non mi pare vero di potergli fare un piccolo favore, occupandomi della Ronda, finchè egli sarà lontano. Narragli anche il caso di San Remo. Ho letto il ratto d’Arianna.5 Non c’è male. Ho i miei dubbi se quella sia mitologia, comunque trattata e con qualunque spirito, ma insomma non è triviale, tutt’altro. È bensì vero che in certi punti si permette di gareggiare con te, che forse sei il suo Minotauro (parlo s’intende del Minotauro originale) ma non è la prima volta. E te ne meravigli? Allora vuol dire che tu non hai ancora ben capito qual è il vero destino della Ronda.

4 In realtà la seconda parte dell’articolo di Gargiulo, dedicato a Cardarelli anche in riferimento ai Viaggi nel tempo, uscirà nella «Ronda», a. II, n. 8-9, agosto-settembre 1920 con il titolo In famiglia (II) (pp. 42-54). Si ricorda che i numeri della «Ronda» avevano accumulato un ritardo nell’uscita di quasi due mesi, motivo per cui in questa lettera del settembre 1920 Cardarelli si riferisce ancora al numero di giugno. 5 L. MONTANO, Il ratto d’Arianna, «La Ronda», a. II, n. 6, giugno 1910, pp. 5-16.

371 Addio per oggi, ti aspetto. Tuo affmo V. Cardarelli

[175] Tre fogli sciolti, scritti sul r, intestati: «LA RONDA/ LETTERARIA MENSILE/ ROMA»; busta con la stessa intestazione, indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via Spartaco 126/ Bologna»; timbro postale di partenza ROMA FERROVIA 1.9.20, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 2.9.20. Allegato un piccolo ritaglio di giornale dal titolo Simulazione di furto?

372 [176]

[Roma] 25 [ottobre] 1920

Caro Bacchelli, essendo altrettanto disperato quanto te, ma forse molto di più, e inoltre tormentato da imbarazzi materiali che fanno della mia vita uno spettacolo lacrimevole, non posso darti nessun conforto. Ma soprattutto io credo che tu non ne abbia bisogno. Credevo che il tuo silenzio volesse dire che stavi lavorando. Perciò mi proponevo di non disturbarti. Vedo invece che ti riposi, sebbene con qualche inquietudine naturale ed inevitabile. Io non ho neppure questa possibilità né tanta forza. Non so cosa può averti scritto Saffi del mio Diluvio.1 Si tratta di quei due discorsi che tu conosci, abbandonati disperatamente al tipografo senza essere riuscito a cucirli insieme in nessun modo e dopo essermici logorato il cervello inutilmente per due o tre settimane. Credo fra l’altro che qualchecosa che vi ho aggiunto li abbia peggiorati. Ho piacere di dirti subito che cosa penso di queste mie quattro pagine che compariranno in questo numero della Ronda per prevenire le tue impressioni che non potranno essere così buone e consolanti per me come quando leggesti Il sonno di Noè.2 Io sto male, male, male. E dico tutto. Vedo che cosa potrei fare di uno di questi due discorsi, del primo, ma non mi riesce, almeno per adesso. Ed è esasperante dover esporre dei pezzi di tale vuoto. Iddio ci aiuta e l’occhio del mondo non ci guardi. Le tue correzioni non possono andare perché il numero è già in macchina. Quando vieni a Roma? Ti metto qui un pezzetto di giornale che ti farà piacere.3 Linati ha scritto una articoletto su me sopra una rivista americana,4 inaspettatamente piacevole.

1 V. CARDARELLI, Il Diluvio, «La Ronda», n. 7, luglio 1920, pp. 30-33. Da segnalare che questa prosa intitolata Diluvio non è la stessa pubblicata sempre su «La Ronda» del 1919, poiché, come specifica la Martignoni, «dietro l’ambiguo titolo non si cela una prosecuzione del primo Diluvio, né una sua variante, ma tutt’altro scritto» (OPERE, p. 1045). Questa prosa del ’20, ripubblicata anche sul «Tempo» del 28 ottobre 1920, verrà molto rimaneggiata da Cardarelli al momento dell’entrata in volume dove verrà scorporata in due prose: Natura dell’uomo e Il risveglio. 2 V. CARDARELLI, Il sonno di Noè, cit. 3 L’allegato non si è conservato. 4 Linati aveva pubblicato un articolo su Cardarelli in «The Dial», rivista americana nata nel gennaio del 1920 e diretta da Schofield Thayer. Periodico mensile di letteratura e arte, «The Dial» fu una sede importante per la discussione delle nuove tendenze artistiche e culturali europee. I collaboratori non erano soltanto giornalisti, ma soprattutto scrittori che inviavano i loro pezzi dalle varie capitali europee; la rivista inoltre non ebbe mai un indirizzo politico e culturale costrittivo per gli autori che potevano esprimersi senza pressioni ideologiche (cfr. L. BOGAN, La poesia in America. 1900-1950, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1954, pp. 79-80). Cardarelli scrisse a Linati il 20 ottobre 1920 per ringraziarlo del benevolo articolo (EPISTOLARIO II, lett. 581).

373 Saluti affettuosi da me e da Barilli che ti desidera. Tuo V. Cardarelli

[176] Un foglio sciolto, intestato: «LA RONDA/ LETTERARIA MENSILE/ ROMA»; busta con la stessa intestazione, indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; timbro postale di partenza ROMA FERROVIA 25.X.20. Cardarelli aveva indicato la data del 25.VII.1920, ma fu probabilmente uno dei suoi consueti lapsus nell’indicare correttamente la data. Ad avallare l’errore vi è anche la lettera n. 173, inviata effettivamente il 25 luglio e che quindi esclude, anche per motivi di contesto, la spedizione di questa lettera in quella data.

374 [177]

[Roma, 7 novembre 1920]

Caro Bacchelli, mentre mi sto cambiando la camicia per andare in una cena di cerimonia deto a mia sorella questa letterina. Ti ringrazio di avermi avvertito della recensione di Gobetti1 al quale ho già risposto con una lunga antifona che prenderà cinque o sei pagine della Ronda e che ho intitolato “Parlo a te, nuora”.2 Non ti meravigliare di questa risposta perché vedrai che è riuscita una cosa opportuna e non si riferisce sempre e soltanto al signor Gobetti. Quanto al tuo studio su Manzoni e Leopardi,3 se lo fai, firmalo per conto tuo, ma se tu potessi aspettare ancora un poco e lasciare a me questa fatica, passandomi magari i tuoi appunti e ricerche, te ne sarei grato. Del resto non credo che il tuo scritto potrebbe pregiudicare il mio e viceversa. Perciò giudica tu e fa quel che vuoi. Il diluvio ti prego di leggerlo sulla Ronda4 che forse a quest’ora avrai già ricevuto. E vedrai che io avevo ragione di esserne disperato. Ma non importa. Abbiamo più d’un numero a questo gioco. La mia salute non va ne’ bene ne’ male. Spero di fare qualche altra cosa per il prossimo numero, per il quale ti prego, se puoi, di mandarmi al più presto del lavoro. Saluta i tuoi fratelli, Raimondi, ecc. e in fretta ricevi i miei piu’ cordiali auguri. Tuo Vincenzo Cardarelli

[177] Un foglio dattilografato, non datato, intestato: «LA RONDA/ LETTERARIA MENSILE/ ROMA»; busta con la stessa intestazione, indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via Arienti, 40/ Bologna»; la data è ricavabile dal timbro postale di partenza ROMA FERROVIA 7.XI.1920, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO […].

1 P. GOBETTI, recensione a V. Cardarelli, Viaggi nel Tempo, «Poesia ed Arte», a. II, n. 9, settembre 1920. 2 V. CARDARELLI, Dico a te, nuora (Risposta ad un critico), «La Ronda», a. II, n. 8-9, agosto-settembre 1920, pp. 66-74. 3 Evidentemente nessuno dei due lo scrisse più poiché su «La Ronda» del 1920 non compare nulla a tal proposito. 4 V. CARDARELLI, Il Diluvio, cit.

375 [178]

San Remo, Pensione Campi, Via Feraldi, 2 1. X.1921

Caro Bacchelli, posseggo finalmente da alcuni giorni il tuo indirizzo, e se non mi sono precipitato subito a scriverti, come era da tempo mio vivo desiderio, è stato per la gran copia di cose che dovrei dirti a volerti informare minutamente dei fatti miei e di alcune idee di lavoro che vado rimuginando. Siccome però credo che tra di noi si può anche fare a meno di simili formalità epistolari, così mi decido a scriverti, senza badare se questa lettera riuscirà a soddisfare se non la tua curiosità di sapere come io me la sono passata in tutto questo tempo il mio ingenuo bisogno di dirtelo. Qualchecosa del resto avrai pure saputo indirettamente o immaginato per conto tuo, come io so che sei stato nel Tirolo durante il mese di agosto, dove immagino che ti sarai divertito e riposato felicemente. Tornato a Bologna poi, avrai subito ripreso a lavorare come ti eri prefisso, e so che hai concluso la farsa1 e posto mano ad altri lavoretti per La Ronda. Io avrei ben risposto alla cartolina che mi mandasti insieme colla signora, ma da gente avara della propria felicità voi non me ne deste modo, tenendomi celato il vostro indirizzo. Così forse io mi sono fatto un’idea assai più grande e vaga del vostro vagabondaggio alpestre. Ma dove sei stato precisamente? Quanto a me, il profitto che ho ricavato dalla mia villeggiatura a San Remo (un paese che non ha più niente da dirmi) è finora tutto morale e, in parte fisico. Mi compiaccio di essere riuscito ad addomesticare a tempo e senza troppo scandalo una di quelle mie passioncelle selvaggie che mi aggrediscono ormai puntualmente in certe stagioni un tempo destinate al lavoro. E ora mi vado piano piano riaffezionando alla vita sedentaria e contemplativa, sebbene non possa dire di avere dinanzi a me nessuna gloriosa prospettiva. Leggo le opere minori di Dante, e vorrei leggerle in latino ma per quanto m’industrio non ci riesco. Tutti quegli ut quegli atque, quei quam, quod, quocumque (?) o che so io, mi fanno perdere la bussola. Heu, che vergogna! Eppure non vorrei morire prima d’aver potuto leggere in latino almeno i sette salmi penitenziali,2 se non altro a sconto dei miei peccati. Mi sono messo dunque a leggere le opere minori di Dante e, come ho scritto a Saffi, vi ho trovato pane per i miei denti. A dirtelo in confidenza, poiché anche

1 Le prime farse composte da Bacchelli furono la Giornata di un ubriaco e La Notte di un nevrastenico. Difficile affermare se si trattasse proprio di questi testi che furono rappresentati solo nel 1925 da Anton Giulio Bragaglia presso il Teatro degli Indipendenti (si veda a tal proposito Discorrendo di Riccardo Bacchelli, scritti di A. ANDREOLI et al., Milano – Napoli, Ricciardi, 1966 e L. SCORRANO, Due ‘capitoli’ per Bacchelli, «Otto/Novecento», a. XIV, n. 1, gennaio-febbraio, 1990, p. 99). 2 I sette salmi penitenziali, testo dantesco incluso nelle opere minori del poeta.

376 Saffi m’invita a comunicartelo, avrei voglia di ricavarne un’operetta che raccogliesse, sotto forma di vocabolario, tutte quelle definizioni di termini filosofici, politici e letterari, di cui Dante abbonda e che sono spesso argutissime oltre che indispensabili a familiarizzarsi collo spirito di Dante stesso; il tutto illustrato da una prefazione che potrebbe riuscire cosa non del tutto insignificante.3 A te, che sei il più dotto di noi tutti e che hai una così buona memoria, non ho bisogno di chiarire con esempi di quale materia si comporrebbe questo vocabolario dantesco. Basterà che tu pensi come al tempo di Dante molte parole non avessero ancora assunto il loro significato positivo e certo nella nostra lingua e che quindi Dante ne fu il primo definitore e il legista, in tutti i campi, per capire l’interesse che potrebbe avere una tale ricerca e anche la fecondità delle voci che si potrebbero raccogliere se non la ricchezza. Pur estendendomi, come ho detto, oltre che al De Vulgari Eloquentia, al Convivio, al De Monarchia e alle Epistole, darei naturalmente il maggior rilievo alle definizioni più propriamente letterarie e linguistiche; e qui potrebbero cadere necessarie alcune osservazioni sul concetto dantesco della lingua volgare che ha, se io non m’inganno, più d’un punto di contatto con quello di Leopardi. Ripensando un poco a ciò che vi è di più interessante nel De Vulgari Eloquentia m’accorgo che esso consiste più che nella famosa definizione del volgare illustre, nell’idea che Dante ebbe forse per la prima volta del volgare senz’altro, concepito come lingua libera popolare, mutabile e antigrammaticale, in opposizione alla lingua latina, regolata dai grammatici e, in un certo senso, modello di quella ulteriore trasformazione del volgare, chiamato illustre, aulico, cardinale e curiale purchè sempre di conio popolare. Donde io credo che giovi rifarsi a quella primitiva idea, di cui ho detto, più che del resto, per capire la novità e la prodezza della teoria linguistica di Dante e il suo proprio linguaggio. Certo qualchecosa di divino e di profetico era in quella mente e nessun creatore s’è forse mai tanto rivelato e scoperto, malgrado tutte le tenebre che gli hanno fatto attorno. Il mio lavoretto non avrebbe altro scopo che di mettere a nudo i tendini, se così posso esprimermi, del cervello di Dante, col più delicato procedimento. Dimmi se hai capito qualchecosa da tutte queste chiacchiere e se, nel caso, ti sembri una fatica utile da farsi. Ci accusano di non occuparci di Dante in questa ricorrenza.4 Potrebbe essere forse una buona risposta. A buon conto il numero di settembre non è ancora uscito e si sa che il nostro calendario non coincide esattamente con

3 Cardarelli stava lavorando in questo periodo al Calepino dantesco, dizionario che vedrà la luce non in volume ma su «La Ronda» (vedi lett. 179). 4 Nel 1921 ricorreva il seicentenario della morte di Dante.

377 quello ufficiale o cattolico che dir si voglia. È un calendario ortodosso. E l’anno del Giubileo è un anno extra temporale ed eterno. Dunque non è il caso di preoccuparsi, Saffi mi mandò una tua risposta a De Ruggiero, della quale egli desidera pure che ci parli. Sarei del parere di trascurare quell’omiciattolo, a cui ne hai dette già tante5 e che del resto, dopo la nota del Croce,6 mi sembra punito abbastanza comicamente. Dalla tua risposta si potrebbero ricavare invece due buone note, l’una teorica che ribadisce certe idee di me accennate in Rifacitori del linguaggio,7 l’altra polemica sull’abolizione della Crusca.8 Queste due note andrebbero distinte e un poco più ristrette al rispettivo argomento e ciascuna col suo bel titolo in fronte. Spero che non ti seccherà di rivederle un po’ e fare quanto io ti dico. Sarebbe un peccato abbandonarle. E La Ronda ne sente il bisogno. Ti rimando questa risposta in busta raccomandata, a parte. Altro non mi pare che io abbia da dirti, se non chè ho ricevuto anche un tuo abbozzo di programma editoriale su cui vorrei mettere un po’ le mani ma, come al solito, il bisogno di spiegare i molti equivoci che corrono sul nostro conto e che in questa soluzione si potrebbero spiritosamente illuminare mi ha fatto prendere la faccenda molto di lontano e non so come me la caverò in ultimo. Per ora non sono riuscito a scrivere che qualche aforisma, tutt’altro che opportuno in un programma. Vedremo cosa ne uscirà. Desidererei intanto sapere chi sono quei tre assenti, di cui tu parli. Sono personaggi simbolici, vanno interpretati come animali viventi oppure come le bestie dell’Apocalisse? Chi è l’orgoglio irragionevole? Sono ormai stanco e non so trovare un tour de phrase decente per dirti che se tu potessi farmi avere una piccolissima somma da colmare i miei bisogni voluttuosi per qualche giorno faresti un

5 Si veda Polemiche di costume ferace articolo di Bacchelli (uscito tuttavia anonimo) contro De Ruggiero, «La Ronda», a. III, n. 6, giugno 1921, pp. 50- 53. Dall’articolo di Bacchelli si ricava che il filosofo aveva accusato di «proletariato del pensiero» gli intellettuali contemporanei che scrivevano su giornali e riviste, i quali, schiacciati dal pensiero idealista, non affermavano nulla di nuovo e non presentavano nessuna materia critica da discutere. Bacchelli, sentita coinvolta anche «La Ronda», ne prese le difese. 6 Nel 1921 c’era stata un’importante querelle tra De Ruggiero e Croce aperta dal primo con un articolo sul «Resto del Carlino del 2 giugno 1921» in merito ad alcune posizioni della critica estetica crociana; l’allievo del Croce criticava in particolare l’eccessivo rigore nella distinzione tra ragione e sensazione nell’approccio critico letterario. Croce rispose al De Ruggiero sulle pagine della «Critica» non solo confutando le tesi dell’amico, ma mostrando, secondo il suo consueto stile salace, come lo stesso de Ruggiero cadesse nell’equivoco che egli stesso aveva criticato, concludendo: «l’amico De Ruggiero, pur con la sua bella agilità mentale, la sua varia cultura e la sua multiforme attività, non ha avuto occasione o volontà di studiare di proposito o a fondo i problemi dell’arte e della critica, né della storia dell’arte, né dell’estetica […] e se fra i tanti che scrivono e stampano cose simili a quelle che ha stampato lui, mi sono rivolto proprio contro di lui, voglia vedere in questo una prova della stima in cui lo tengo» (B. CROCE, G. De Ruggiero, La commedia degli equivoci- nel Resto del carlino 2 settembre 1921, «La Critica», a. 19, n. VII, 1921, pp. 363-364). 7 V. CARDARELLI, Rifacitori del linguaggio, «La Ronda», a. I, n. 12, dicembre 1920, pp. 45-48. 8 Le due note di Bacchelli apparvero distintamente su «La Ronda» tra giugno e settembre 1921, non firmate: Polemiche di costume; Farina accademica e Crusca idealista («La Ronda», n. 8-9, agosto-settembre 1920, pp. 76-82).

378 piacere a me e a Saffi, al quale, poveretto, non ho in questo momento il coraggio di rivolgermi. E non mi resta che ringraziartene anticipatamente, pregandoti di scusare non me ma la mia porca indigenza che non mi lascia un minuto di respiro, per quanto io ora faccia per seccare il mio prossimo il meno possibile. Sono, come ho detto, in vena d’ascetismo, e da qualche mese non tocco una donna. Rimarrò qui sino alla fine dell’anno, Parodi permettendolo. Tornerò a darti mie notizie, ma tu intanto non ti dimenticare del tuo vecchio amico affezionatissimo. Vincenzo Cardarelli

E il signor Pietro9 è ritornato? Salutalo tanto insieme colla zia e salutami i tuoi fratelli.

[178] Quattro fogli sciolti, scritti sul r; busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Villa Cipressina/ Bologna/ 7° P° Saragozza»; timbri postali di partenza SAN REMO 3.10.21 e VENTIMIGLIA GENOVA 3.10.21.

9 Si tratta probabilmente dello zio di Bacchelli, con il quale Cardarelli aveva avuto spesso contatti per farsi inviare i frequenti sussidi economici a nome di Riccardo.

379 [179]

San Remo, Pensione Campi 23 10 1921

Caro Bacchelli, appena ricevetti la tua lettera e il vaglia mi posi subito ad abbozzare una risposta alle tue osservazioni sulle teorie della lingua in Dante e Leopardi,1 che trovo ottime e delle quali mi servirò se mi si darà il caso, ma poi siccome veniva troppo lunga, la lasciai li e non ci sono più tornato, ed ecco la ragione del mio tanto ritardo a risponderti. Ti ringrazio ancora una volta della tua cortesia e non indaghiamo chi di noi avrebbe il dovere di scusarsi sopra questo proposito. Il colloquio dantesco di cui ti parlai sarebbe già finito di compilare se Saffi non avesse dimenticato di mandarmi, insieme colle altre opere, il De Monarchia, che aspetto di giorno in giorno. Appena lo riceverò, vedrò quanto me ne potrò giovare ai fini del mio lavoro e poi mi metterò alla prefazione. Perché tu ti faccia un’idea della sostanza di questo vocabolario, ti dirò che si compone finora di una quarantina di vocaboli, tolti prevalentemente dal Convivio, giacchè soltanto pochi ne ho potuti ricavare dal De Vulgari Eloquentia, dalle Epistole e dalla Vita Nova, benché pochi ma buoni. Si tratta dunque più che altro di definizioni filosofiche e morali, ma formulate con un tale stile e rigore che si possono considerare nello stesso tempo definizioni prettamente grammaticali. Di queste ve ne hanno alcune che occuperanno una pagina o due della Ronda e riguardano questioni fondamentali dello spirito e della cultura di Dante. Il criterio che io ho seguito è molto libero, avendo raccolto indifferentemente nomi propri e nomi comuni, e anche esotici, quando mi è parso il caso, e perfino vi ho messo undici definizioni morali tradotte d’Aristotele, spiegando con una noticina che l’originalità speculativa di Dante è tutta nella lingua e nelle sue persuasioni, che siccome egli si gloriava di professare la «cattolica opinione», sarebbe assurdo ricercarne la proprietà filosofica. Questo mio lavoro dovrà apparire, spero, affatto legittimo e naturale, e niente affatto sforzato, perché io mi lusingo di averlo condotto secondo lo spirito e il metodo dottrinale di Dante, e mi lusingo di arricchirlo di una buona ma compendiosa introduzione. Potrebbe comparire sulla Ronda nel prossimo numero o nell’altro, insomma prima che scade il seicentenario,2 ed essere come una strenna che noi offriamo per questa ricorrenza

1 Vedi lett. 178. 2 Le riflessioni dantesche di Cardarelli vedranno la luce nel febbraio 1922 sulle pagine rondesche, in un sostanzioso contributo dal titolo Calepino dantesco (Definizioni di lingua tolte dalle «Opere minori»), «La Ronda», a. IV, n. 2, febbraio 1922, pp. 13-34.

380 ai nostri lettori. Se qualcuno di noi, come sento, vorrà poi scrivere qualche altra cosa su Dante per conto suo, senza bisogno di fare nessun piano, si potrebbe forse facilmente ed elegantemente mettere insieme un numero unico.3 Questo gioverebbe anche a mettere il mio spicilegio nella sua vera luce. Ma occorre che ciascuno si scelga un argomento preciso. Cecchi e Gargiulo pare che vorrebbero analizzare qualche correzione. Sono un po’ preoccupato di questa idea, e per questo non v’insisto, lasciando che si maturino da per loro! Hai ricevuto l’antologia francese dei Poeti italiani?4 Tu ci fai una figura splendidissima, ed io per conto mio non mi lamento. Ricordo la probità e la buona educazione francese. Né credo che potevamo sperare di essere tradotti in una maniera migliore. Le tue pagine mi hanno fatto pensare a Laforgue delle Moralitès legendaires.5 Ho letto anche la tua spiritosa recensione su Soffici.6 Ottima. Qualche osservazione avrei ancora da fare sul tuo scritto per La Crusca.7 Mi sbaglio, o tu te la sei presa troppo calda, esagerando i rapporti tra il cruschismo e il leopardismo, che io non vedo in nessun modo come possano comporre un’unica tradizione? Ma speriamo che nessuno ci badi. Del resto, anche questo va bene. Tu sei il braccio secolare de La Ronda ed io (scusa la mia immodestia in omaggio alla poco gloriosa funzione che m’attribuisco) l’inquisitore. E a me si convengono le distinzioni intransigenti e sottili, a te le operazioni sollecite e spicciative. Non mi pare di avere più nulla da dirti, se non che stai bene e credimi tuo affmo V. Cardarelli

[179] Due fogli sciolti, scritti sul r; busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Villa Cipressina/ Bologna/ 7° P° Saragozza»; timbro postale di partenza SAN REMO 25.10.21, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 25.10.21.

3 In realtà «La Ronda» finì per non occuparsi del seicentenario dantesco e l’unico che seguì la proposta cardarelliana fu proprio l’amico Bacchelli che, sempre nel febbraio 1922, pubblicò negli Incontri e Scontri una nota su «Il Dante fiorentino» (ivi, pp. 50-53). 4 J. CHUZEVILLE, Anthologie des poetes italiens contemporains (1880-1920), introduction par M. Maurice Mignon, Paris, Editions de la Bibliothèque Universelle, 1921. 5 J. LAFORGUE, Moralités Legandairés, Paris, La Revue indépendante, 1887. 6 R. BACCHELLI, recensione a A. Soffici, Lemmonio Boreo, Firenze, 1921, «La Ronda», a. III, n. 8-9, agosto- settembre 1921, pp. 87- 91. 7 R. BACCHELLI, Farina accademica e Crusca idealista, cit.

381 [180]

San Remo, lì 24 febbraio 1922

Caro Bacchelli, ti ringrazio di avermi scritto. Ho piacere di parlare con te della proposta che mi è stata fatta anche da parte di Saffi e in genere delle mie faccende pratiche perché da qualche tempo ho l’impressione che Saffi sia con me un po’ troppo temporeggiatore. Tu devi sapere che se al Tempo non fosse accaduto quel cataclisma che mi dicono sia accaduto e io avessi potuto riprendervi, come pareva certo, il mio posto di critico drammatico non c’era bisogno che mi dicesse nessuno quale era verso La Ronda il mio dovere. Ma io sono rimasto qui imbottigliato e non potevo come posso in questo stato di esasperazione morale prendere al riguardo nessuna decisione. Sicchè la pregiudiziale che io porgo a queste trattative è che mi si dia modo intanto di ritornare a Roma acciocché si possa parlare con te, con Saffi di queste cose molto più tranquillamente di quel che non sia possibile fare per lettera. In quanto all’andare al Carlino io (fin d’ora)1 ti dico che non ne ho nessun desiderio. Non ho voluto apertamente dirlo prima perché speravo, sia pure con poca certezza di riuscire, di potermi servire del Carlino per andar via da San Remo. Ma una volta a Bologna e scontato il mio debito me ne sarei al più presto liberato. La città d’Irnerio2 come residenza non mi sorride. Sono stanco e non ho nessuna voglia di sottopormi ad un tirocinio così ingrato come quello che è necessario per farsi una posizione in un giornale. Dunque non ne parliamo. Tu fa quello che credi e non pensare che io possa avere né vantaggio né piacere di occupare il tuo posto al Carlino,3 dove sarei disposto ad andare solo se mi facessero delle condizioni eccezionali. La mia città materna è Roma. Voglio vedere se mi riesce di trovarci ancora una volta il pane che mi è necessario. Credo bene che sia una di quelle ricerche che è meglio fare per conto proprio. Così, come ripeto, domanda a Saffi di esservi al più presto reintegrato, che sarà meglio per tutti. Ed è tutto quello che pretendo e che chiedo. In quanto all’andarmene io dalla Ronda o al restare non s’è sentito il bisogno finora di esigere da me una decisione e credo che non cascherà il mondo se tardo ancora a prenderla in un mese o due. Una cosa è certa: che io sono forse più di tutti preoccupato e stanco di questa mia deplorevole situazione, che non

1 La parentesi era stata chiusa ma non aperta da Cardarelli. 2 Irnerio (1050-1125) fu un giurista e glossatore medievale che portò in auge la scuola di diritto dell’Università di Bologna grazie allo studio dei testi giustinianei al tempo appena scoperti. Cardarelli allude quindi per metonimia a Bologna citando uno dei suoi più illustri esponenti. 3 Bacchelli aveva iniziato a collaborare con «Il Resto del Carlino» proprio da quell’anno, e vi avrebbe lavorato fino al 1928.

382 penso di protrarla più molto qualunque sia il partito a cui io mi dovessi appigliare e che se sarà necessario e lo riterrò doveroso me ne andrò ma non sotto questa forma di baratto o di compensazione. Parlando a te in questo tono so e mi fa piacere di saperlo che parlo a un giudice molto severo, quantunque sempre al mio più caro amico. Ma non temo la tua giusta severità e credo che in fondo anche tu, malgrado che io mi esprima sempre male e abbia ben poche ragioni da far valere, riconosca che sarebbe dare alla Ronda un valore eccessivo insistere troppo nel torto che io possa avere avuto ad essermene in questi ultimi tempi disinteressato, quando questo non voglia semplicemente dire che ho mangiato il pane a ufo. Per concludere: tu puoi prendere con Saffi tutti quegli accordi che credi e che riterrai utile alla Rivista, dato che non fai questione di forma, che quanto a me non vedo come ci debba entrare. Riguardo allo stipendio che io seguito per il momento ad avere ho intenzione di rinunciarci spontaneamente appena mi si darà il modo non dico di trovarmi un’altra collocazione ma di cercarla. E questo modo è uno solo. Farmi ritornare a Roma. Là, o io mi metto a lavorare o resta inteso che io debba cessare di far conto sulla rivista. E siccome al mio lavoro non credo ritengo che io non peserò più per molto tempo sopra il bilancio de La Ronda. Questo te lo posso assicurare. Mi dispiace di dover sempre parlare da disperato ma per il momento l’unica cosa chiara e certa che io vedo è la necessità di andarmene da questo paese. Saffi lo avrebbe dovuto capire a quest’ora che non è più il caso d’indugiare. Sento che non ho più la forza di resistere. E nessuno si muove a compassione. Basta, se qua e là questa lettera ti parrà poco gentile non avertene a male. È doloroso il confessarlo, ma il mio stato di nervi e di spirito comporterebbe ben altre ingratitudini. Sta bene e sii sicuro che io penso sempre a te con molta affezione. Saluta la tua amica, divertiti e lavora. Io ho bisogno di altre cento lire per telegrafo. Vuoi dire a Saffi che me le mandi calcolandole come anticipo nello stipendio di questo mese? Grazie, non dico altro. Ti saluto il tuo affmo V. Cardarelli

[180] Tre fogli sciolti, scritti sul r, intestati: «V.VA CAMPI/ SAN REMO»; busta intestata «PENSIONE CAMPI», indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Piazza Trinità dei Monti, 18/ La Ronda/ Roma» timbro postale di partenza SAN REMO 22.2.22, timbro postale di arrivo 23.2.22. La data indicata dall’autore 24.2.22 è nuovamente erronea, e va retrodatata, secondo il timbro postale, di 2 giorni.

383 [181]

Roma, lì 1 giugno 1922

Caro Bacchelli, mi fece molto piacere, è superfluo dirlo, la tua lettera di molti giorni addietro. Pregai Saffi di risponderti per conto mio ma non so se l’abbia fatto. Ti ringrazio ad ogni modo ancora una volta per la tua cortesia e intelligenza, giacchè ormai è chiaro che su certi argomenti non ci s’intende che fra noi due. Come io ritenevo, il Calepino1 ha avuto successo e le mie osservazioni sul De Sanctis hanno se non altro consigliato il silenzio a molta gente. So che Cecchi si scandalizzò per avere io chiamato il Monti e il Perticari gli ultimi galantuomini della nostra letteratura.2 Come tu vedi, c’è da illanguidire dalla noia. Io non do a questi lavoretti altro valore che di preparazione a un libro che si potrebbe scrivere un giorno o l’altro e che potrebbe non indegnamente rappresentare il frutto di quattro mesi di ozio, di fatiche e di ricerche. Intendo un libro di storia che si proponesse di risolvere a fondo la questione del romanticismo e del classicismo con tutti i precedenti e successi. Potrebbe anche essere un’opera d’arte, da scrivere, con uno stile di leggenda. Ora leggo Vico. Avendo per il momento interrotto i miei studi di latino che spero di terminare con una seconda ripresa fra qualche tempo. Tu cosa fai a Bologna, in mezzo al convento fascista? A Roma ti si aspetta. Avrei per quest’estate l’intenzione di andarmene in Germania. I climi del nord mi hanno sempre conferito3 e trattandosi d’un paese affatto nuovo per me credo che potrebbe essere un utile diversivo alla mia profonda noia. Ma non so se potrò andarci. E nel frattempo tu sai che vita si fa a Roma e quanto sia scoraggiante e mortifera la compagnia di Saffi. Dico questo con dispiacere perché non si vorrebbe mai usare verso un amico un simile linguaggio. Le sottigliezze della psicologia di Saffi sono infinite ed irraggiungibili né io ci ho voglia di perdermi ad analizzarle. Il fatto sta ch’egli mi sembra ricaduto in uno di quei suoi periodici stati d’abulia e di pigrizia che si ripercuotono così dannosamente sulla Ronda. Sono quindici giorni ch’egli va dicendo che il testo di questo numero è impaginato e io non riesco a vederne le bozze. C’è poi quella moglie! E c’è Parodi a Roma. Hai tu un’idea di quel che significa tutto questo nell’economia quotidiana del nostro inconcludentissimo amico? Io mi sento come Orlando

1 Vedi lett. 178-179. 2 Cardarelli definisce il Monti e il Perticari gli «ultimi galantuomini che abbia avuto la nostra letteratura» nel Calepino dantesco pubblicato su «La Ronda». 3 Cardarelli recupera un uso raro del verbo «conferire» con il significato di «giovare» (attestato in C. BATTISTI, G. ALESSIO, Dizionario etimologico, cit.).

384 a Roncisvalle.4 Sarebbe bene che tu facessi un’altra scappata a Roma perché prevedo un’estate abbastanza pericolosa e infeconda. Ma fa quel che tu vuoi. Alla fine dei conti, quando si venisse ai ferri corti, Saffi e Parodi dovranno fare i conti con noi e io non sono disposto a lasciare che rovinino o uccidano La Ronda impunemente. Ho qualche idea per la testa che ti comunicherò un’altra volta. Intanto fammi sapere se avremo presto un’occasione di rivederci. A titolo di regalo o di prestito ti domando duecento lire per poter saldare i miei debiti di questo mese colla padrona di casa. So che tu non nuoti nell’abbondanza e mi decido a darti questo disturbo solo perché ne ho assoluto bisogno. In ogni caso credo che potresti contare sul rimborso da parte di Saffi alla fine di Giugno, né avere ritegno a rispondermi presto e con franchezza. Io sono sempre il tuo affmo amico V. Cardarelli

[181] Un bifolio, scritte le pp. 1 e 3, intestato: «LA RONDA/ LETTERARIA MENSILE/ ROMA»; busta con la stessa intestazione, indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via San Vitale 126/ Bologna»; timbri postali di arrivo BOLOGNA 3.6.22.

4 L’espressione richiama suggestivamente quanto Cardarelli scriverà qualche anno dopo in Solitario in Arcadia a proposito dell’uomo che esercita il proprio mestiere con disinteresse: «Molti altri motivi sopraggiungono a far sì che la sua vita, quanto agli affetti e alle relazioni amicali, si conchiuda in una rotta di Roncisvalle. Allora è il mondo intero che s’accanisce contro l’uomo solo» (OPERE, p. 281).

385 [182]

Roma, lì 29 VI 1922

Caro Bacchelli, ho ricevuto la tua commedia1 e l’ho letta subito, tutta d’un fiato, e con quella curiosità e attenzione e dovrei anche dire, per ragioni mie personali, giovamento linguistico, che tu puoi immaginare. Mi pare molto arduo darne un giudizio da una sola lettura ma in tutti i modi, poiché tu mostri di desiderarlo con impazienza e a me non accade spesso di trovarmi con un foglio di carta sottomano e una penna che corre, cercherò di accontentarti nel miglior modo che posso. Senza precauzioni superflue e trascurando per il momento di parlarti di tutto ciò che in questa commedia vi sia di buono e di bello mi limiterò a farti qualche osservazione, diremo così, di dettaglio che ti prego però di accogliere specialmente come segni della mia ben nota franchezza. Il primo atto veramente non è un atto ma un prologo: troppo breve da un canto e dall’altro troppo circostanziato, con un finale che non mi convince soverchiamente. Sicchè io lo sopprimerei addirittura riducendolo a un monologo, col quale tu informeresti lo spettatore nella più sobria e fiorita forma del mondo di tutto quanto hai voluto rappresentare in questo atto d’esordio, per bocca del moro naturalmente, e la commedia, secondo me, dovrebbe cominciare dal secondo atto. Tutti gli altri poi ci guadagnerebbero, soprattutto in vista di una rappresentazione, ad essere alleggeriti e sfrondati. La Marialonzo mi sembra troppo dotta e troppo sporcacciona. Ridurrei la sua teologia al minimo (sarei più di manica larga se non si trattasse di una donna) e infonderei non dirò un po’ più di decenza ma di santa ipocrisia nei suoi atti e nel suo linguaggio. E’ naturale che per questo bisogno non dovresti avere presente Boccaccio e i nostri cinquecentisti nemmeno per sogno. Altrimenti rischi di creare tra lei e la figura di Leonora un contrasto altrettanto ingenuo quanto insostenibile, senza considerare che bisogna fare i conti col pubblico dei nostri tempi. Il carattere del moro è bene accennato in principio ma io non lo caricherei troppo. In simili casi, come può essere quello dell’amore suo per la musica, o si arriva alla specie del sublime ridicolo o ci si arresta a tempo. All’infuori di quest’osservazione generale e sommaria non saprei

1 Cardarelli allude qui al testo di Bacchelli L’infedele innocente, trasposizione in opera buffa della novella Il geloso di Estremadura del Cervantes. Il testo bacchelliano è rimasto a tutt’oggi inedito (a tal proposito si veda l’unico studio esistente in merito, M. DONADONI OMODEO, Riccardo Bacchelli e «L’infedele innocente», cit.). Per una trattazione più ampia in merito si rimanda all’Intoduzione, infra pp. 36 e segg.

386 dirti altro. E’ forse soltanto una questione di piani e di prospettive. Io allontanerei queste figure un po’ più verso il fondo. L’interesse di un moro sulla scena è per tre quarti affidato alla sua truccatura e alla sua presenza. In quanto a Laoysa (si scrive così?) non ho niente da dirti. Veniamo finalmente a Leonora e al motivo che la spingerebbe a compiere quel po’ po’ d’infrazione alla sua dignità di donna e ai suoi doveri di moglie, dal quale secondo me dipende che il suo carattere apparisca chiaro e non equivoco, come può essere sembrato alla Grammatica.2 La questione proposta da Marialonzo a Leonora potrebbe essere altamente sofistica e leggermente diabolica ma tu sai che perché il discorso possa indurre qualcuno in tentazione di peccare (e l’esperimento di Leonora è già un peccato, se non mi inganno) occorre vi sia da parte di quest’ultimo una ben determinata predisposizione a dargli retta. Nel qual caso il peccatore non subisce i sillogismi del demonio senza una certa vigorosa difficoltà. Ma noi conosciamo Leonora abbastanza per poter giudicare quali siano i moventi psicologici che la spingono a condiscendere alla proposta di Marialonzo un po’ troppo abulicamente. Sicchè questa situazione iniziale e fondamentale è poggiata e condotta su degli elementi che oserei definire astratti e, per conseguenza, insufficienti. La qual cosa, a parer mio, toglie sapore e dà carattere di risorta provvisorietà alle susseguenti distinzioni colle quali Leonora cerca di giustificare il proprio atto e se stessa: “sospetti; dunque il gioco è leale” che altrimenti sarebbero saporitissime. In altri termini a questa commedia manca l’antefatto e l’originale nozione e rappresentazione di caratteri. Cose che d’ordinario si porgono allo spettatore prima che s’inizi l’intreccio o vogliamo dire l’imbroglio in cui saranno travolti. Ammettiamo che Leonora agisca per semplice storditaggine. In tal caso ti avverto che questa figura manca di sviluppo ed è troppo perfetta fin dal principio, secondo tu l’hai immaginata, eguale a se stessa, dignitosa vorrei dire, e consapevole di quel che fa. Una figura così idoleggiata si presta poco e s’accorda male colla trama di questa commedia, mentre poi dà luogo a due scene molto belle che però non sono affatto comiche ma patetiche e che potrebbero tuttavia sussistere egualmente con un tipo di donna più naturale, sebbene con un linguaggio e degli effetti leggermente variati. Capisco che di questo passo si andrebbe più che alla commedia seria alla tragedia addirittura. Ma che male ci sarebbe alla fine? E tutto il tono del lavoro non ne uscirebbe rialzato? Ammetti che Leonora agisce non soltanto per istigazione e macchinazione di Marialonzo ma per capriccio proprio e sia pure un

2 Irma Grammatica (1867-1962) grande attrice italiana, interprete sia di tesi ottocenteschi sia di pièce teatrali più moderne, tra i quali molti testi dannunziani e pirandelliani.

387 capriccio morale. Trova in Marialonzo una complice e una incoraggiatrice che agisce, naturalmente, per motivi propri e collaterali cosa da non dimenticare. Tutta compresa da questa donnesca fissazione non pensa alle conseguenze che ne potrebbero scaturire, il che mi pare molto femminile. Ed ecco la catastrofe e il patatrac. Qui è necessario che intervenga tu perché io mi sono già compromesso oltre il limite concesso a un estraneo lettore, che non ha nessun talento né comico né drammatico, e che giunto a questo punto si sente franare il terreno sotto i piedi. Io volevo dire soltanto che appare una certa illogicità e indeterminatezza tra il carattere di Leonora come tu l’hai sentito e la sua azione, per eliminare la quale occorrerebbe dare a questa figura un po’ più d’iniziativa personale magari a costo di attenuarne la nobile, virtuosa e troppo statica immagine. Tanto più che si tratta di una spagnola. Altri espedienti non saprei suggerirti. Penso che l’azione di questa commedia si potrebbe anche ridurre in una burla in piena regola giocata dalla moglie al suo geloso marito. Ma qui si andrebbe nelle “Allegre comari di Windsor”3 e tu, giustamente, penetrato da qualche spirito cervantesiano hai avuto nel rimetterti a questo lavoro, tutt’altre intenzioni. Con tutto ciò non disdegnerei che anche la gelosia di Cortales potesse avere un pizzico e un’ombra di giustificazione come vorrei che la clausura di Leonora risvegliasse in lei un’insofferenza un poco più pronunciata. Devo aggiungere che in questa commedia c’è una situazione teatralissima e forte: quella in cui le serve sbigottite dal terrore del diavolo sentono bussare alla porta Laoysa che arriva. Ecco il teatro ed ecco la Spagna, alla buon’ora! Per questa situazione e per molte altre scene e per il tuo stile in genere varrebbe la pena di ritornare su questa commedia e di accettarla al punto di rappresentarla a tutti i costi: se tu non sei sdegnato di queste osservazioni e vorrai ancora consultarti con me, coopererei come posso, con molto piacere e in ogni maniera alla riuscita di questo tuo lavoro. Intanto sta bene e credimi tuo affmo.

V. Cardarelli

[182] Tre fogli sciolti, scritti sul r, intestati: «LA RONDA/ LETTERARIA MENSILE/ ROMA»; busta con la stessa intestazione, indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via San Vitale, 126/ Bologna»; timbro postale di partenza ROMA CENTRO 29.VI.22, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 30.6.22.

3 Le allegre comari di Windsor, commedia di William Shakespeare.

388 [183]

Roma,1 luglio 1922

Caro Bacchelli, rileggendo qua e là tua commedia1 e ripensandoci mi pare di dover ritirare il consiglio datoti di sopprimere il primo atto. In esso quel che specialmente non mi aveva convinto era quel balletto finale. Ma credo che tu stesso hai riconosciuto in un certo modo la possibilità di farne a meno. Per il resto delle mie osservazioni non ho nulla da annotare. Devo confessarti che io non conosco la novella del Cervantes alla quale tu dici di esserti inspirato,2 e forse se l’avessi conosciuta mi sarebbe stato assai più facile dirti con chiarezza il mio parere. Da quel che ho sentito dire ho il sospetto che tu ti sia di troppo allontanato dall’originale, forse per un malinteso scrupolo di originalità che non so quanto possa averti giovato. Torno a dire che questa commedia rappresenta finora il passo più audace fatto da te verso il teatro e che non mi pare il caso di lasciarla cadere. Occorrerebbe, secondo me, riprenderla da capo col proposito espresso di adattarla alle esigenze del teatro. Tu sai che cosa vuol dire ottenere un successo teatrale e tutti i vantaggi che se ne ricavano. Vale la pena di fare qualche sacrificio come anche riconoscere la necessità di eventuali, indispensabili lenocinii. Osservo per esempio che questi tuoi atti mancano di finali, deficienza grave per un’opera contemporanea. Di poi, chiudere il primo atto senza far entrare in iscena per lo meno uno dei personaggi principali (che in questo caso dovrebbe essere Leonora) non è da autore esperto di regole e di psicologia teatrale. Io farei scendere verso la fine del primo atto Leonora in camicia da notte con un lume in mano a sorprendere le serve che complottano con Laoysa. Manderei queste a letto dopo una breve romanzina e poi da questo momento farei nascere in Leonora la curiosità e in un certo senso la disposizione a commettere il fallo che tu hai immaginato. Io farei anche che Laoysa e Leonora riparlassero attraverso la ruota o il buco della serratura e che si piacessero dalla voce. Immagina lo stupore di Laoysa che sta fuori e crede di discorrere ancora con Marialonzo e gli effetti comici e patetici di questa situazione. Leonora lo redarguisce naturalmente mentre egli cerca d’insinuarsi e la scongiura di non fuggire. Si dovrebbe trattare di poche battute, leggere, variate e fatali. Poi Leonora tronca il dialogo e

1 Vedi lett. 182. 2 Per il libretto d’opera L’infedele innocente, Bacchelli aveva rielaborato Il geloso di Estremadura del Cervantes, tratta dalla raccolta della Novelle esemplari. Vedi lett. 182.

389 rimane sola. Un breve monologo e s’avvia dolcemente e perplessa verso la propria camera. Occorre naturalmente ch’ella abbia concesso alla servitù dietro questa sorpresa un preliminare perdono. Nel secondo atto mi pare che Leonora in un primo momento rifiutasse sdegnosamente la proposta di Marialonzo. Dopo di che farei succedere una scena di gelosia risentita e ingiustificata da parte di Cortales, che dovrebbe irritare Leonora al sommo e decidere precipitosamente ad accettare per risentimento il colloquio dianzi ricusato. Tutto questo credo che potrebbe aggiungere qualche effetto al tuo lavoro, soprattutto di sviluppo e di movimento. Ma io non sono un commediografo e forse ti farò ridere! Ecco che cosa vuol dire interessarsi troppo alle cose degli amici. A rivederci caro Bacchelli. Perdonami la mia ingenua indiscrezione e prendila per quel che vale. Tuo aff. mo V. Cardarelli

[183] Due fogli sciolti, scritti sul r; busta intestata: «LA RONDA/ LETTERARIA MENSILE/ ROMA», indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via San Vitale, 126/ Bologna»; timbro postale di partenza ROMA ESPRESSO 1.7.22, timbro postale di arrivo BOLOGNA (RECAPITO ESPRESSO) 2.7.22.

390 [184]

Roma, 4 luglio 1922

Caro Bacchelli, dopo questa lettera non mi resta che chiederti nuovamente scusa per essermi attribuito tanta libertà nel giudicare la tua commedia.1 Forse è vero che mai come in questa occasione ci siamo trovati in così aperto contrasto, benché la mia opinione sul carattere poco teatrale e scenico delle tue fantasie drammatiche sia così vecchia che non può più avere né per me né per te nulla di sorprendente. Piuttosto io riconoscevo che con questa commedia tu hai fatto un passo avanti verso il teatro. Tutto sta a vedere se tu sia riuscito a raggiungerlo. Siamo d’accordo nella sostanza intorno al carattere della donna. Il dissenso è nei modi coi quali tu hai creduto di rappresentarlo. Ho ben detto che io facevo delle operazioni sulla condotta del lavoro. Se mi sono lasciato andare a parlarti di qualcos’altro l’ho fatto per quella vecchia e cordiale consuetudine che noi abbiamo sempre avuto di aprirci interamente sulle nostre cose anche a costo d’invadere per un momento l’uno il campo dell’altro. Cosa che, devo confessarlo, è accaduto più spesso a me che a te per il semplice fatto che tu non ti stanchi di produrre e d’interrogarmi. Ma a parte queste giustificazioni forse superflue, io confidavo che dalle mie due lettere (la seconda delle quali è certamente più deplorevole dell’altra) una cosa avrebbe dovuto apparirti chiara e, in un certo senso, edificante, e cioè che io non avevo ricevuto da questa tua commedia l’impressione che si trattasse d’un lavoro da consegnare tuot court a un capocomico nella speranza di vederla accettata e rappresentata. E questo solo e non altro poteva essere il punto controverso. Si sbaglia sempre quando si pretende di dare dei consigli a un artista, ma con te io avrei a lamentarmi di essere stato troppe volte ingenuo, per eccesso di confidenza, se volessi preoccuparmi dell’ingenuità mia in questo speciale frangente. La verità è che la mia rimane un’impressione che non oso neppure qualificare giudizio, tanto io sono arrivato ormai a diffidare della mia infallibile critica, e che se mai è compito tuo, qualora ti paresse, di ricavarne le possibili conseguenze. Avrei qualcosa da dire sullo stesso linguaggio con cui tu fai parlare questi personaggi. E’ chiaro che esso è troppo bacchelliano e, in un certo senso, soggettivo e uniforme, per non dire troppo dotto e retorico in molti casi, per poter dare quella generale impressione di varietà e di vita che si richiede in questo genere di lavori. Sulla varietà e obiettività del linguaggio drammatico

1 Vedi lett. 182-183.

391 ricordo che tu hai scritto un’ottima pagina nella tua prefazione dell’Amleto2 parlando di Shakespeare. Mi pare che poi all’atto pratico tu non ne tenga gran conto. E questo è un punto capitalissimo, anzi il punto dei punti. Sbaglierò anche in questo o ti sembrerò troppo esigente ma ho la convinzione che ad ogni modo si tratti di esigenze perfettamente adeguate alla materia dei tuoi scritti, per i quali non veggo che una salvezza ardua quanto unica: il capolavoro. Non scorgo nelle parole di questi personaggi quel sale, quell’umore, quel che di assolutamente caratteristico e conveniente, che dovrebbe servire a distinguerli e a farli saltar su vivi e netti. E l’azione se si bada è tutta nelle parole, le quali perció nel teatro debbono essere misurate, rare, spaziate e calzanti. Certo noi differiamo enormemente se non nel gusto nel sentire, ma questa differenza poi non dovrebbe essere così grande da impedire che ci faccia intendere. E con tutto ciò desidererei sinceramente di scusarmi, né io sono così vano da pensare con timore al giorno in cui un fatto qualunque venisse a smentire in pieno questi miei giudizi. Anzi mi auguro che questo giorno venga al più presto, che così né tu avresti più bisogno d’interpellarmi né io dovrei più sostenere questa ingrata fatica di esercitare il mio giudizio critico intorno alla tua rigogliosa e per mille rispetti ammirevolissima capacità di produrre. Io credo che col lavoro compiuto e un po’ più di riflessione e di stento te arriverai a far cosa indistruttibile ma rimango per lo meno istintivamente perplesso quando assisto alle tue esplosioni periodiche di sicurezze e di baldanze. L’arte è difficile, il mondo è perfido, non basta divertirsi quando si lavora, occorre divertire gli altri, e continuamente, con esuberanze, e che questi altri sian molti. Io, come sai, ho orrore delle autocompiacenze. Tronco questo discordo perchè non avevo intenzione di farti una paternale e perché potrebbe anche darsi ch’esso t’apparisse e fosse realmente, rispetto all’opera tua d’oggi, infondato ed ingiusto. Come vedi, ho già poche possibilità di esprimermi e solo il tempo potrà forse risolvere queste nostre vertenze. Intanto vorrei che tutto ciò potesse almeno indurti a riprendere in mano la tua commedia per abbreviare qualche scena e stracciarne talune fronde. E d’ora in avanti ti prego di non chiedere più i miei giudizi anticipati non per un banale risentimento che non potrebbe mai sussistere tra noi due, ma per un sincero scrupolo di delicatezze che io provo in queste circostanze e per un vecchio e segreto timore di sbagliarmi. Grazie del tuo giudizio sulle

2 Bacchelli scrisse una prefazione alla sua riscrittura dell’ Amleto pubblicata con il titolo Prefazione sul tema di questa tragedia e intorno all'opera italiana nella riedizione in volume dell’opera (cfr. R. BACCHELLI, Amleto: dramma in cinque atti, cit.).

392 mie cronache.3 Per Cora siamo d’accordo. Io non volevo pubblicare quel dialogo,4 la cui stampa si deve a Saffi. Il tuo dialogo va nel numero di giugno5 che uscirà, confidiamolo, al più presto, come scritto in fondo. Dimmi quel che decidi per questa tua commedia e scusami ancora una volta. Tuo aff.mo V. Cardarelli

[184] Tre fogli sciolti, scritti sul r; busta intestata: «LA RONDA/ LETTERARIA MENSILE/ ROMA», indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via San Vitale, 126/ Bologna»; timbro postale di partenza ROMA CENTRO ESPRESSO 4.7.22, timbro postale di arrivo non leggibile.

3 Cardarelli aveva ripubblicato sulle pagine rondesche, sotto il titolo Indiscrezioni sul teatro di prosa, alcune delle sue cronache teatrali scritte per il «Tempo» durante gli anni giovanili. Ai dieci testi (Un’ora all’accademia, Goldoni, «Maria Maddalena» di Maeterlinck, «Congedo» di Renato Simoni, Niccodemi, Luigi Chiarelli, Domenico Tumiati ovvero il teatro popolare, «Simonetta di Gabardini, Lyda Borelli, L’attore Guasti) l’autore fa precedere alcune righe di giustificazione alla sua scelta di riproporli: «Molti anni ormai sono trascorsi da quando questi scritti videro la luce come semplici cronache drammatiche sul Tempo. D’altra parte da allora teatro e critica teatrale hanno fatto addirittura passi da gigante: gli autori e i critici si affannano a portar via sempre nuovi lumi, nonostante i quali il pubblico non cessa di volerci veder chiaro. Per tutte queste ragioni ci è sembrato non inopportuno riesumare queste indiscrezioni dalle colonne di quel giornale […] sulle più tranquille pagine di una rivista: donde l’autore ha fiducia che potranno ancora rappresentare il più modesto dei contributi a quella fabbrica di San Pietro ch’è il moderno teatro italiano» (V. CARDARELLI, Indiscrezioni sul teatro di prosa, «La Ronda», a. IV, n. 3-4, marzo-aprile 1922, pp. 37- 55, p. 37). 4 M. CORA, Siddarta, filosofo indiano (Dai «Siddarta» - Sutra), ivi, pp. 5-15. 5 Il dialogo di Bacchelli è La cambiale. Dialogo tra due morti di secolo diverso, che uscì sul numero di maggio e non su quello di giugno (ivi, n. 5, maggio 1922, pp. 42-50).

393 [185]

Roma, 5 luglio 1922

Caro Bacchelli, nel proporti quei suggerimenti della mia seconda lettera io commisi un vero peccato di leggerezza e di cattivo gusto che entra forse per tre quarti in quel certo che di risentito e impaziente che tu forse avrai notato nella mia lettera ultima. In altri termini pregandoti di non chiedere più il mio giudizio anticipato sui tuoi lavori io ho inteso specialmente di salvaguardarmi, come credo di averne diritto, da possibili ulteriori fallimenti di giudizio che a me poi, ripensandoci, scottano molto. Ricevo adesso la tua lettera e non posso che darti ragione per il rifiuto che opponi alle mie incaute proposte, colle quali, d’altra parte, io sapevo benissimo, non c’è bisogno di dirlo, di alterare bruttamente il gusto e la linea classica che tu ti sei prefisso. Volendo ora precisare la mia impressione in qualche punto culminante, ti dirò che io avevo capito benissimo il tipo di donna che tu avevi in mente facendo Leonora ma non sono convinto, neppure dopo il tuo sottile e chiaro commento, che tu sia riuscito a realizzarlo. Quindi come dicevo la contraddizione tra la dignità del carattere di Leonora (alla quale se si dovesse attribuire un’età io darei trent’anni) e la puerilità dei suoi atti, e il mio malconsigliato sforzo di eliminarla. Non saprei dirti da che cosa dipende l’impressione che io ho avuta ma certo che essa ha da vedere principalmente col di lei linguaggio. Ingenua, proprio ingenua, io non la vedo e non la sento. Piuttosto vedo in lei una donna nobile, pura, contegnosa, magari melodiosa e fantastica, un bellissimo tipo di donna insomma ma alquanto diversa da quella che tu sostieni di aver fatta. Il suo modo di comportarsi con Laoysa è poetico e signoriale ma non è infantile affatto e così certi suoi atti e parole nelle scene colla governante. «Tu ragioni col cervello, io sento colla coscienza». E’ una frase che, secondo me, o meglio una distinzione, la quale dev’essere ancora tradotta in quel tal linguaggio nativo e elementare di cui ti parlavo ieri nella mia lettera. Quella scena di violenza fisica colla quale Leonora mette a parte l’infernale Marialonzo ti pare proprio di una bambina diciottenne, o non piuttosto un frutto di regalità morale? E la Marialonzo ha l’aria di discutere colla sua padrona, laddove forse dato il tipo che tu hai supposto, dovrebbe aver l’aria più sbrigativa, rude, affettuosa e confidenziale; cioè, in un certo senso, comandarla. Giacchè Marialonzo capisce tutto, è persona d’età e d’esperienza, è, dici così, la nutrice di questa Giulietta, la quale a sua volta non capisce niente. Tutto ciò, sempre a parer mio, non è ben messo risalto, le parti

394 potranno essere chiare ma non chiarissime, l’eccesso delle parole e degl’indugi non corrisponde a nessunissimo eccesso di psicologia e di carattere. Si direbbe che tu ti riservi di essere paradossale, virtuoso e ardito soltanto nella frase e che soltanto per questo verso trabocchi mentre poi umanità dei tuoi personaggi appare tutt’altro che esuberante. Ciò potrebbe stare con un altro linguaggio, non col tuo, che è, per tua fortuna, ricchissimo. Non farai dunque mai l’esperimento d’un lavoro oculatissimo, scheletrico, ridotto al minor numero di parole, tu che non hai più bisogno di convincere della tua abbondanza nessuno. E pensa che commedia con questo stile non è riuscito a scrivere che Shakespeare, per un miracolo di natura tutt’altro che esemplare e da togliere a modello, e che la commedia è per se stessa (non parlo qui di Aristofane, si capisce) un genere, oserei dire, borghese, e perciò povero e nudo di parole, sobrio. Questa è la lezione di Goldoni, se tu ci pensi. I suoi lunghi monologhi nella Locandiera1 non vanno oltre le sette righe. Ma a Goldoni giovò d’essere un uomo di vita e d’avventura, un calcolatore e un osservatore minuzioso, asciutto e disincantato, prima che poeta e autore comico. Trovandosi poi ad essere in fondo uno spirito ingenuo e squisitamente educato dal proprio secolo (Goldoni non è più letterato di quel che fossero i costumi della sua epoca) scrisse delle belle commedie. Ma sono cose che io ricordo male ad uno che le sa meglio di me ed è meglio che io mi affretti a concludere. Quanto al carattere di Cortales, non ti pare anch’esso piuttosto accennato che svolto con quella forza e rapidità di contrasti da cui potrebbe riuscire il finale più catastrofico? Quella scena di gelosia che fa alla moglie è timida e rientrata. Tutto il suo carattere di geloso si vorrebbe rivelare in due monologhi, uno dei quali, se ben rammento, cade in alcune riflessioni astratte sulla gelosia. Tu dirai che il carattere geloso di Cortales è diffuso e vige in tutta la commedia. Ma si tratta d’impressioni che il pubblico, questo non mi negherai che non sia classico, vuole vedere impersonate e riconfermate massimamente nei tipi. Per quanto riguarda il Moro a me non piace troppo la scena in cui Laoysa gli regala la chitarra con conseguenti tentativi di sonarla e le ironie, dirò così, allegoriche e metafisiche che sottolineano questa scena per parte degli altri personaggi. Qui, o io m’inganno, compare una specie di simbolo dell’artista fallito. Satira allora e non più commedia, lo spirito uccide il corpo. Non so più a qual punto il pubblico riderà di questa scena. Così la sua fuga sotto il divano. Sono cose che possono avere un esito felice quanto infelice. Io capisco la tendenza che te le ha ispirate. Ma siccome l’effetto comico di certe

1 La locandiera, commedia di Carlo Goldoni scritta nel 1751.

395 situazioni potrebbe anche esser dubbio, senza vergogna per nessuno, dico che, tanto per cominciare, non ci sarebbe stato niente di male che tu ne avessi fatto a meno. Ed ecco in qual senso affermavo che l’amore dell’eunuco moro per la musica, ottimo spunto e colorito di carattere, mi pareva in certe situazioni materiali un po’ troppo insistito e non altrettanto efficace. Tu sei forse ancora un autore più di penombre che di luci smaccate, il tuo spirito è più nordico che spagnolo, ha secondo me più flemma che brio. Ed ho esaurito tutto quel che potevo dire e chiedo scusa se non ci sono bene riuscito. Ora potrebbe cominciare il registro delle lodi. Ma dove si andrebbe a finire? Il mondo va avanti benissimo senza critici e se non ci fosse la speranza d’una terza soluzione oltre quella del poeta e del critico ci sarebbe veramente poco da stare allegri. Tu sei lieto di trovarti in disaccordo con me ed io sarei lietissimo che la letizia tua fosse giustificata. Una cosa è certa: che tutta questa nostra ampia e laboriosa discussione cade a proposito di un tuo lavoro che è secondo me uno dei più belli e degni che tu abbia scritto, per o al di fuori del teatro. E con ciò non volermi male e apprezza almeno la fatica che mi è costata questa polemica (intendo la fatica fisica) se non la giustezza e persuasività sue. Tuo aff.mo V. Cardarelli

[185] Un bifolio, scritte le pp. 1-4; busta intestata: «LA RONDA/ LETTERARIA MENSILE/ ROMA», indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via San Vitale, 126/ Bologna»; timbro postale di partenza ROMA ESPRESSO 5.7.22, timbro postale di arrivo BOLOGNA (RECAPITO ESPRESSO) 6.7.22.

396 [186]

Roma, 13 luglio 1922

Caro Bacchelli, è accaduto oggi a me un caso meravigliosamente identico a quello che accadde a Baldini qualche anno fa e che cagionò la rottura tra te e lui e la sua uscita dalla Ronda.1 C’era da qualche giorno sul tavolo di Saffi un grosso plico spedito da Faenza a Korak qui a Roma. Oggi, per non so quale diabolica tentazione, esaminando questa busta e supponendo che non contenga altro che dei manoscritti, come infatti ne aveva tutto l’aspetto, non riuscendo a spiegarmi come Korak possa essere a Roma senza lasciarsi vedere, ho finalmente voluto vedere cosa ci fosse dentro, male ispirato forse da quel proverbio greco, riportato da Dante nel Convivio, che cioè degli amici esser devono tutte le cose in comune,2 e vi ho trovato indovina un po’? Un biglietto del fratello di Korak che non ho letto, la Crestomazia leopardiana di Nietschze3 (sulla quale, dirò così di passaggio, mi preparavo a scrivere qualche pagina) e, in più, una tua lettera a Korak4 contenente alcune espressioni e giudizi a mio riguardo che mi hanno molto addolorato. Io sono ben lontano dall’avermene a male e dal farne, come si dice, una questione, ma è certo che una scoperta di questo genere non è fatta per accrescere la mia confidenza nella tua tante volte proclamata e ricompensata amicizia. Non dirò che me l’aspettavo ma ne avevo da parecchio tempo un forte sospetto. Tu manchi di lealtà e di carità se credi di poter affidare i tuoi più severi giudizi sugli amici a terze persone o di esprimerti per via d’allusioni che si riconoscono anche troppo chiaramente. Volevo scriverti una quinta lettera per indicarti ancora con maggior esattezza i punti deboli della tua commedia,5 la quale del resto dall’ultima scena del secondo atto è debole in tutto, perché è monotona, ripetuta e

1 Vedi lett. 166. 2 «Degli amici esser deono tutte le cose comuni», proverbio greco citato da Dante in Convivio IV, 21. 3 Attraverso la lettera di Bacchelli a Korach del 5 luglio 1922 (quella letta appunto da Cardarelli e di cui si discute alla nota seguente) si deduce che lo scritto è l’articolo di Korach Nietzsche e Leopardi, da Carte edite e inedite di Nietzsche, redatte e tradotte da Marcello Cora, pubblicato ne «La Ronda», a. III, n. 6 giugno 1922, pp. 361-373. 4 Bacchelli scrisse a Korach il 5 luglio 1922, commentando così le critiche mosse da Cardarelli all’Infedele Innocente: «a Cardarelli ha fatto un’impressione di cosa letteraria, immobile, insostenibile e non abbastanza esplicita ed obbiettiva e caratteristica. E fin qui le opinioni sono libere, ma il punto curioso è ch’egli mi ha fatto osservazioni e suggerimenti assolutamente banali e anche un poco contraddittorie fra loro, che ti vorrei mostrare sulle sue lettere stesse, e ha finito coll’aversi un mezzo permale delle obbiezioni le quali sono state molto più riguardose e obbiettive che le sue critiche. Tu sai che io, oltre al resto, sono tenace sostenitore […] di Cardarelli, e non vorrei in nessun modo cavare deduzioni da un caso che mi tocca personalmente, ma ti confesso che fin da quest’inverno io ho l’impressione che il disordine di Cardarelli cominci a non esser più del tutto innocuo per le sue condizioni di spirito» (R. BACCHELLI, Bacchelli-Cardarelli-Korach, cit., p. 97). 5 Vedi lett. 182-185.

397 cascante, ma al punto in cui siamo giunti ritengo di essere sciolto per sempre da ogni obbligo di amichevole interesse verso i tuoi lavori e rimetto la nostra contesa al giudizio del mondo, che ti auguro glorioso e felicissimo. Io non ti capisco più da qualche anno e tu non sei ancora riuscito a farti capire da qualcuno che valga più di me e possa esserti garanzia di un giudizio abbastanza profondo, disincantato e fermo. La banalità dei miei consigli ha una scusante quando si pensa alla tua spropositata propensione d’artista. E del resto me ne sono accorto subito e te ne ho chiesto venia abbondantemente. Rimane il fatto che tu avresti dovuto leggere oltre le mie parole e le mie disgraziate sollecitudini, le quali non avevano altro scopo che quello di evitare tra me e te un discorso più grave che m’è sempre scottato di farti, e che ti farò un giorno. Sebbene io non m’illuda né sulle tue apparenti arrendevolezze né sulle tue sincere capacità di ravvedimento. Ho avuto dunque l’aria d’offendermi per i miei stessi giudizi? I quali ti sono apparsi perciò meno discreti delle tue stesse risposte? Questo voleva dire che le tue insistenze a pretendere da me un giudizio più esplicito e calzante mi mettevano a disagio, che avresti dovuto contentarti del fatto che a me la tua commedia non era parsa rappresentabile e che finalmente io capivo troppo bene come fra me e te ormai non fosse più possibile mantenere quel rapporto di lealtà eroica e di chiarezza assoluta e disinteressata che forse non c’è mai stata. Credi la mia più che umana impazienza. Gli anni passano e tu sei ambizioso di arrivare. A che cosa ti posso più giovare io se non a ritardare la tua lena e mortificare le tue speranze? Riconosci che io sono stato l’amico della tua giovinezza e che ora ho il diritto di essere sdegnato di te e dei tuoi pratici procedimenti. Quanto a me, io credo di esser rimasto sempre lo stesso. Nessuno prenderà mai il tuo posto e il disordine della mia esistenza, come tu lo definisci, non mi concede di abbandonarmi a certe squisite e classiche iniquità morali che caratterizzano la vita d’un uomo il quale ripropone di avanzare nel mondo. Cotesto mondo poi è un mostro dai mille occhi, che vede tutto e giudica ciascuno non alla stregua dei propri inganni ma del proprio valore originale ed insostituibile. E’ certo che anche io ho parecchio da rimproverarmi nei tuoi riguardi. E prima di tutto di non avere da molto tempo salutato i tuoi lavori con quella medesima gentilezza, adesione e cordialità con cui tu hai sempre salutato i miei meschinissimi. Ma ciò forse è dipeso dal fatto che questo atteggiamento è costato a te assai meno di quel che sarebbe costato a me, data l’indole tua assolutistica e la natura eccezionale e preoccupante dei tuoi parti. In secondo luogo io non ho mai fatto professione di ammirarti ciecamente, tu lo sai bene. Sono d’una scuola di uomini più dignitosi e modesti. In terzo luogo, non credo affatto che tu sia il

398 Wolfango Guete o il William Shakespeare del nostro tempo. Sono anzi persuaso che tu abbia preso a questo riguardo un funesto abbaglio e che la tua sia di quelle personalità che contribuiscono ad abbuiare piuttosto che ad illuminare un’epoca e un programma. Della quale ultima cosa tu riderai con ragione e riderò anch’io quando me ne soccorrerà la certezza. Che cosa resta dunque di te agli occhi miei? Una bellissima e melanconica vena di poesia annegata in un mare di superbia e un uomo che, come amico, rappresenta la mia più insigne delusione e sconfitta. E’ inutile che noi facciamo il raffronto dei nostri atti. Tu sai che sono le intenzioni che hanno valore nella vita come nell’arte, e i caratteri. Io ti ho donato molta ingenuità di sentimenti. Ecco tutto. Ma non parliamo più di questo. Mi cuoce che tu definisca disordine ciò che si è sempre chiamato disperazione e miseria, scetticismo e grandezza. Tra il mio parere e quello del buon Rosati6 sulla tua commedia c’è la stessa differenza che corre tra un’espressione di Rosati sul mio conto e la mia virile chiaroveggenza. Ma tu hai in serbo altri argomenti. E perciò ti saluto e ti prego di considerarmi sempre il tuo inflessibile e irriducibile

V. Cardarelli

P. S. spero che queste mie dichiarazioni, assolutamente personali, non avranno nessun contraccolpo sui rapporti tuoi colla Ronda, dalla quale del resto io sono disposto ad uscire a patto che mi si liquidi l’indennità a cui ho legalmente diritto. Ma questa è cosa che dovrebbe riguardare Saffi.

[186] Quattro fogli sciolti, scritti sul r; busta intestata: «LA RONDA/ LETTERARIA MENSILE/ ROMA», indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via San Vitale, 126/ Bologna»; timbro postale di partenza ROMA FERROVIA ESPRESSO 13.LUG.22, timbro postale di arrivo BOLOGNA (RECAPITO ESPRESSO) [1]4.7.22.

6 Salvatore Rosati (1895-1976) studioso di letteratura inglese e americana che si affermerà negli anni ’30 come collaboratore della «Nuova Antologia» per la rubrica di letteratura inglese.

399 [187]

Roma,18 luglio 1922

Caro Bacchelli, a quest’ora tutto è finito ed io vorrei cancellare perfino il ricordo di questo nostro cavalleresco combattimento. Nel quale non credo di aver usato né armi avvelenate né sarcasmi ignobili ma stimo anzi di essermi comportato in maniera degna del rispetto unico e graditissimo che ho per te se non dell’amicizia, che esce rimescolata da questo scontro. Tu meritavi, se non altro perché uscivi da un periodo di lavoro fecondo, ben altra accoglienza da parte mia, ma le ombre immancabili tra due uomini suscettibili e superstiziosi come noi siamo, e altri accidenti imprevedibili, hanno voluto altrimenti. Non è necessario dire quanto io riconosca di aver avuto torto a scriverti quella lettera e come anzi di tale riconoscimento io mi sia imbevuto fino all’ebbrezza. Tu hai mille ragioni di preoccuparti della mia esistenza e lo stupore che io ho provato leggendo quelle tue frasi, direi anzi la disperazione e la morte, non ne sono che una conferma. Tutto il resto ha poco valore, giacchè non si smentisce con alcuni tratti di penna né una personalità come la tua né un’amicizia come la nostra, e mi farai il piacere di non credermi decaduto fino a questo punto. La mia irriducibilità e inflessibilità volevano avere ben altro senso su cui ora sarebbe petulanza insistere. Ma quanto io ti ami e ti rispetti lo puoi capire da ciò, che in questi giorni io ho sentito chiaramente come il distaccarmi da te sarebbe stato per la mia vita morale un fatto direi quasi patetico e nutriente della nostra stessa amicizia. Il che vuol dire che ci sono delle persone che scompaiono dopo essersene separate, altre che ingrandiscono, e tu per me sei fra queste. La maniera amabile con cui tu hai fatto fronte alle mie irate proposte è tale che devo stare attento a non rallegrarmene troppo, per non perdere il beneficio che è doveroso trarre da un fatto così singolarmente grave e irripetibile. E d’ora innanzi ti assicuro che cercherò quanto più posso di comportarmi verso di te come se fossimo qualche cosa di più che due amici, ossia non mi dimenticherò più mai quanto noi possiamo essere l’uno per l’altro due giudici severissimi. Del che credo che sarà bene tenere conto insieme col nostro ineliminabile e veramente dannato affetto. Scusa questo aggettivo, tu che non ignori il valore delle parole, e non credere che io sia così disgraziato da ribellarmi a un vincolo cosiffatto. Anzi esso è per me una garanzia allietante e l’unico punto assolutamente certo. Ora non mi rimane che augurarti una buona campagna e se per caso qualche mia parola possa averti amareggiato involontariamente

400 che tu la dimentichi al più presto. Nel momento stesso in cui io protestavo di non avere più nessuna fiducia sulla nostra amicizia me ne fidavo a tal punto da permettermi espressioni che non volevano né potevano essere che di castigo amichevole ostinatamente. E affatto altro. A questo punto bisognerebbe che io potessi credere al diavolo per immaginare il suo ghigno. Ma in fatto d’illusioni ciascuno ha le proprie e tu permettimi di serbare quella per cui par che seguiti a ritenermi un tuo utile e sempre disposto chiarificatore ed amico. Tuo aff.mo

Vincenzo Cardarelli

[187] Due fogli sciolti, scritti sul r; busta intestata: «LA RONDA/ LETTERARIA MENSILE/ ROMA», indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Òtel Moderno/ Molveno/ (Trento)»; timbro postale di partenza ROMA FERROVIA […].[…].22, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 19.7.22.

401 [188]

Graz, Gulthestrasse, 3, 31. X. 1922

Caro Bacchelli, malgrado i giorni di gloria che attraversiamo, io sono qui a Graz a maledire i fati che da quindici giorni fanno si che io non riceva più una riga da nessuno. Quando dico nessuno, dico Saffi, che è ormai l’ultima, fragilissima passerella esistente tra me e il mondo. E che cosa potrei aspettare da lui se non dei soldi che non vengono? Rinuncio a parlartene e a lamentarmene. Ora veramente io sono stanco. In due settimane io non faccio che scrivere e telegrafare a San Varano, dove lui stesso aveva detto di scrivergli, e puoi immaginare l’argomento delle mie lettere e dei miei telegrammi. Lo crederesti? Non sono riuscito ad ottenere una riga di risposta. In condizioni normali sarebbe niente. Il peggio si è perchè perché il buon Saffi decida di tagliare la corda è necessario che s’inarchi il tuo soccorso con molta forza, che egli abbia la precisa impressione del male e della crudeltà che commette assentandosi, il pavido e il pigro, e allora puoi star sicuro che Saffi non si farà più vivo e non ti lascerà annegare. Nessuno mi conosce meglio di lui e sa che cosa voglia dire per me il freddo di queste parti, che tu t’immagini, senza bisogno di descrivertelo. Nessuno meglio di lui sa la rovina che mi portano addosso queste prolungate residenze, quanto ne soffrono il mio umore, i miei nervi, la mia salute infera, tanto che ho paura un giorno o l’altro di spezzarmi perché a tutto ciò si aggiunge un senso di rabbia così costante che io sarei capace di prendere una persona per il collo per poco che m’infastidisce. Notti d’insonnia che s’accumulano l’un sopra l’altra, giorni inerti e stonati in cui non so che fare: le strade sono bagnate sempiternamente e il freddo gela i piedi e le orecchie; in casa, odore di chiuso, sporcizia, irrequietudine e noia. I caffè poi non ne parliamo, sono ossessionanti. Graz in estate può essere paragonabile a un cimitero dove un povero diavolo d’italiano del mio carattere si aggira come una iena che non trovi di che cibarsi. Ma in autunno e colle pioggie d’inverno poi è qualchecosa di peggio: si va sotto. Questa è la vita e queste sono le nere fantasticherie, le ossessioni e gli spaventi, che io conosco da due settimane a Graz. Non se ne può avere un’idea. Aspettando una risposta che non giunge, dei denari che non arrivano, io conto i giorni come il carcerato e li schiaccio via via che passano sotto il calcagno. Ora ho scritto a Cecchi, ma non mi fido più di nessuno, e non ho più forza di attendere. Per questo mi rivolgo a te. Si tratta di mandarmi per assicurata, che

402 altrimenti non si può, 600 lire, per conto di Saffi, che sono appunto quelle che mi vengono del mese di novembre. Nel tempo stesso ti prego di telegrafarmi appena avrai ricevuto questa lettera per dirmi se puoi o non puoi farmi quest’invio, che ti farai rimborsare da Saffi rimproverandolo. E altro non posso dirti. Sono proprio affranto. Tutto questo perché la mia vita è in balia d’un ragazzo e d’un incosciente. Per i prossimi tempi (che ora andrò a San Remo) occorrerebbe che qualcuno di voi, e forse soltanto tu potresti fare questo, mi togliesse la fatica, la pena, il grave pericolo, di dover seguitare a dipendere da Saffi, mettendo tra me e lui un intermediario che così non è più possibile continuare. Tra l’altro io lo maltratto troppo. Che si sappia una buona volta quel che mi spetta dal mese di dicembre in poi, dando, come si dice, un taglio al passato, o non volendoglielo dare mi si tolga su ogni mensile un tanto, ma che la cifra sia immutabile d’allora innanzi e la scadenza rigorosamente fissa. Ma purtroppo l’esempio di Saffi ha talmente influito sull’amministrazione e sulla tipografia stessa che niente può dirsi regolare e sicuro alla Ronda, giacchè egli porta con sé il contagio, ed io non vorrei dipendere neppure da Canestro. L’ideale sarebbe che qualcuno potesse divenire l’accollatario del mio stipendio. Non insisto. E’ una cosa da studiare. Ne va della mia salvezza. Non ti dico una sola parola del mio lavoro, né di quello fatto né di quello in corso e da fare, perché non ne ho proprio la forza. Perdonami tanto e di una cosa sola ti scongiuro: che tu appena ricevuta questa lettera mi risponda telegraficamente. Grazie infinite e credimi tuo affmo V. Cardarelli. Io ti avevo scritto tempo fa una lunga lettera che non ti ho mandata, non so perché. Forse perché al solito dicevo, spiegavo raccontavo troppe cose. Basta che tu sappia questo.

Se ho detto 600 lire è perché a voler partire di qui pagando i conti, non mi bisogna di meno. E arriverò a San Remo con 50 lire. Tu intanto hai capito che non si tratta di un prestito, ma di un anticipo di qualche giorno, che ti darà modo di fare a Saffi quel tal discorso.

[188] Un bifolio, scritte le pp. 1-4; busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via San Vitale, 126/ Bologna»; timbro postale di partenza GRAZ. 31.X.22, timbri postali di arrivo TRIESTE CENTRO 1.11.22 e BOLOGNA CENTRO 2.11.22. Sulla busta è stato scritto a matita «raccomandata espresso» e a penna, nell’angolo sinistro in alto, «Italien».

403 [189]

San Remo, 5 XI 1922 Pensione Campi Via Zeraldi, 2

Caro Bacchelli, non so che cosa sia accaduto in seguito a una lettera che io ti scrissi da Graz alcuni giorni fa. Essendosi fatto vivo Saffi finalmente presi subito il treno e venni qui, dove conto di passare l’inverno. Malgrado tutte le fortune e le disgrazie, le mie condizioni finanziarie seguitano ad essere imbrogliatissime e tali da togliermi il respiro. Bisognerebbe che Saffi mi anticipasse ancora un mensile (ora sono in regola coi mensili della Ronda almeno) perché ho un debito di seicento lire con Korak e qui la vita non costa meno di mille lire il mese. Se Saffi non capisce questo, se cioè continua, come è giusto del resto, a conteggiare i miei debiti mese per mese, sono fottuto. Devo tornarmene a Roma e addio speranze di lavoro. Io non so più che mi dire. Avrai sentito parlare di certe Memorie1 che compariranno nel prossimo numero della Ronda. Roba di poco. Molto meglio e di più avrei tra le mie carte, cioè un buon racconto,2 non favola, biblico, di cui alcune parti sono finite e il resto è alquanto da rivedere, E potrebbe darsi che mi continuassero a prendere le mani. Perciò imploro genti e generazioni, ancora, ancora. Ma Saffi non capirà nulla o non potrà capire. Dimmi come stai. E credimi tuo affmo V. Cardarelli

[189] Cartolina postale italiana, indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via San Vitale, 126/ Bologna»; timbro postale di partenza SAN REMO 6.11.22.

1 V. CARDARELLI, Memorie della mia infanzia, «La Ronda», n. 7-8, luglio-agosto 1922, pp. 4-12. 2 Si tratta del racconto biblico Fine di Sodoma, a proposito del quale l’autore aveva scritto anche a Cecchi il 13 ottobre 1922: «È forse perciò che appena spedite queste memorie che faranno sorridere molti, mi sono buttato, come per un bisogno di rivincita, a scrivere una favola di cui sto giungendo al termine. Si tratta della distruzione di Sodoma. È la cosa più lunga che io abbia scritta e, come accade, ne sono spaventato e sopraffatto» (EPISTOLARIO II, p. 760); il giorno successivo gli scrisse nuovamente per comunicargli che aveva concluso la prosa. Tuttavia questa lettera a Bacchelli dimostra che in effetti il processo elaborativo non era del tutto finito e che Cardarelli sentiva il bisogno di ritornarci su, come d’altronde accadeva spesso al poeta, che era solito correggere spesso i suoi scritti appena conclusi. La Fine di Sodoma verrà pubblicata sull’ultimo numero della «Ronda», dicembre 1923.

404 [190]

San Remo, 10. XI. 1922 Via Zeraldi, 2 Pensione Campi

Caro Bacchelli, avrei molte cose da dire in risposta alla tua lettera che non è molto incoraggiante. Spero che questo periodo di smarrimento passi presto e che almeno la gaiezza torni a regnare tra di noi. Voglio dire tra noi della Ronda. Se poi si tratta di uccidere la rivista, facciamolo presto senza lamentele. Ho ricevuto ieri una lettera da Cecchi altrettanto sfiduciata, che diamine è accaduto? Gli eventi politici producono evidentemente effetti deleteri sui nervi dei letterati. In quanto a me non vedo perché dovrei essere più preoccupato di quel che non sia per l’ordinario e credo che il miglior servizio che io possa fare al mio paese è quello d’ignorare le cose che vi succedono. Così la pensassero tutti. E specialmente quelli che proprio non si capisce come si debbano procurare queste profetiche malinconie. E’ il nostro vecchio male. E’ il difetto più grande che noi abbiamo e che c’impedirà, io temo, di lasciare un’orma profonda e seria. Noi manchiamo di fermezza, di virilità, di eroismo. Non siamo buoni che ad esaltarci. E al primo urto colla realtà ci sbandiamo. Mi stupisce di vedere anche te sfiorato da quest’aria di dispersione e benché intendo benissimo che nel caso tuo non si tratta che di un momentaneo rilasciamento di stagione, per quel che mi riguarda le cose non mi fa meno dispiacere. Io sono qui, in condizioni tutt’altro che allegre. E avrei bisogno di sapere per lo meno che i miei amici stanno bene fisicamente e moralmente. Invece sono costretto ancora una volta a dirmi che la nostra amicizia è praticamente finita, e a considerare qualunque speranza in contrario come una perniciosa illusione. In realtà credo che avremmo tutti da guadagnare a non vederci più e a rompere l’uno con l’altro le antiche relazioni. Noi siamo stati prudenti quando si doveva e oggi troppi equivoci e troppe cose e persone estranee si sono infiltrate in mezzo a noi. Triste miscela di volontà buona e cattiva, di fedeltà e d’infedeltà, di forze operose e d’oziose seduzioni che ci hanno finalmente condotto al punto da non più ricondurci né capire. E, come accade, sono i pesi morti che mandano a fondo le navi, sono i pagliacci e i funamboli che colle loro prodigiose attrazioni distolgono l’uomo serio dal suo modesto dovere. Parlo disperatamente, come uno che è persuaso che la sua disperazione vale né più né meno quanto la presuntuosa certezza di tanti altri destinati a non accorgersi mai della inutilità e sterilità della loro volubile vita. E spero che

405 tu capisca a chi alludo. Io e te siamo stati circondati e insediati da tutte le parti, in vario modo. E’ triste pensare che tu non crederai mai a quel che ti dico. Immagino che tu sia in questo momento poco soddisfatto del tuo lavoro. Hai torto marcio. E piuttosto che prendere queste arie di ravveduto che non ti stanno bene, dovresti cercare di tuffarti in qualche cosa di nuovo, con volontà e crudeltà pari al tuo impulso di lavoratore. E nessuno ti domanda che tu rinneghi una sola sillaba dell’opera tua. In quanto a me è chiaro che tu e tutti avete torto a sospettare che nel mio metodo di lavoro vi possa essere qualchecosa di nefasto e di maligno. Mentre questo è il solo modo che io abbia di andare verso la luce. Saffi, che mi ha visto lavorare quest’estate, meno di tutti dovrebbe avvalorare queste supposizioni, perdonabili in un Barilli per il quale ogni proposito serio è motivo di comiche preoccupazioni e che mi guardava tempo fa come si guarda un matto o un malato incurabile. Ma se questa gente avesse avuto davvero la disgrazia di conoscere un genio, io mi domando a quali inconsapevoli iniquità non sarebbero arrivati. Quando si pensa che Beethoven è morto cantando come un ossesso, di notte nella propria camera, mentre componeva. Non voglio insistere su questi paragoni ma è certo che il meno che uno scrittore possa pretendere è che lo si lasci buon giudice di quel che è necessario a lui per lavorare, degli sforzi a cui si deve sottomettere, del tempo che gli ci vuole. Infine dei conti, il rispetto di queste elementari libertà è ciò che distingue gli uomini di spirito. O anche in ciò io m’inganno? Che curioso destino! C’era un posto disponibile per un imbecille in mezzo a noi. Dovevo venire ad occuparlo proprio io. Per tornare alla Ronda, se tu non sei troppo urtato da queste chiacchiere che non riguardano te in nessun modo e so bene chi me le inspira, desidererei che tu mi dicessi se proprio sei disposto a finirla e se in tal caso io debba rimanere da un momento all’altro in mezzo alla strada. Perché a questo mi pare che stiamo giungendo, se non ci affrettiamo a venire ad una decisione seria. Io ho dato poco alla Ronda ma ne sono ancora il direttore. E io credo che implichi qualche obbligo giuridico da parte della Ronda verso di me, per non parlare di obblighi morali. Tu che ne dici? E Saffi? Intanto sono qui e a maggior ragione ho bisogno di conoscere il mio destino. Ti sarei davvero grato se tu volessi prenderti quest’ultimo incarico, rappresentando a Saffi colla dovuta serietà, questo caso, del quale io gli ho già parlato. Toccando questo argomento la testa mi gira e io ti dico fino a qual punto io sia praticamente inerme e esposto a ogni specie d’ingiuria. Mi sento stanchissimo, al fondo di ogni abbattimento. Urge che mi si dica presto se potrò rimanere qui, alle condizioni che ho detto, e per quanto tempo; non si può vivere coll’acqua alla gola. Ora

406 Saffi è a Macerata, fermo posta. Tu che hai più freddezza di me e sai meglio spiegarti scrivigli una lettera per dirgli in che smarrimento mi hanno gettato tutte queste avvisaglie funebri (che io del resto non sospettavo) e che mi rassicuri in qualche modo. Accasciamenti e sparizioni di Saffi, come tu scrivi, sono proprio le cose che mi sono sempre riuscite più fatali – e la mia vita che fu per tanto tempo alle sue dipendenze valeva un giorno qualchecosa. Ma non ne parliamo. Aspetto di sapere da te o da Saffi che cosa avete deciso. Io sono sempre disposto, come già dissi a Saffi, a lavorare. Sta bene e credimi il tuo affmo V. Cardarelli

P.S. il mio parere sarebbe che la Ronda cessasse le sue pubblicazioni alla fine di quest’annata. Ma non vorrei che fosse per me un congedo senza benservito. E, d’altra parte, ragioni di affetto e considerazioni superiori mi trattengono dal dare senz’altro voto favorevole alla morte della Ronda. Vi prego di pensarci quattro volte.

[190] Tre bifolii, del primo sono scritte le pp. 1 e 3, del secondo e del terzo le pp. 1 e 4; busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via San Vitale, 126/ Bologna»; timbro postale di partenza SAN REMO 11.11.22, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 12.11.22.

407 [191]

San Remo, 16.XI. 1922

Caro Bacchelli, sono molto malato di stomaco, ridotto a non poter più scrivere una lettera. Non ti preoccupare dunque se io non rispondo alla tua ultima punto per punto. Siamo d’accordo in tutto e trovo che non ci sia bisogno fra di noi di tante spiegazioni. Non vorrei passare ai tuoi occhi, dopo dieci anni che ci conosciamo, per un uomo noioso e indiscreto. Sii certo che io parlavo con uno spirito altrettanto affettuoso e lirico, cioè a dire disinteressato, quanto te e che non mi piacerebbe che tu mi credessi capace di deboli sentimenti. Come pure, hai torto a pensare che io sia un uomo difficile da trattare. Nessuno s’è mai lasciato dire e fare nella vita tante cose storte, come me. E sai bene quali sono le mie conclusioni al riguardo: il torto non è mai degli altri. Ma una cosa è vivere e un’altra filosofare. Per farsi sentire spesso bisogna mostrarsi ingiusti. E non è neppure un calcolo, ma una fatalità a cui concorre la passione coi suoi oscuramenti. Mi meraviglio che tu prenda tante precauzioni per dirmi delle cose giustissime e semplicissime. E’ bene che della “Ronda” d’ora in poi, cioè del suo andamento, si occupi Saffi. L’idea d’immettervi altri collaboratori letterari può forse esser utopistica e, per dirla francamente, una rivista come la nostra non può che disprezzare i propri adepti. Saffi vorrebbe abolire l’attributo di rivista mensile e far uscire “La Ronda” quando ci pare. Propone poi supplementi, fascicoli etc, da far uscire sempre senza termine fisso. Io credo che sarebbe più semplice farla bimensile con 100 pagine. Spiegare le ragioni del mutamento da una nota (l’Italia non è matura ad una rivista come la nostra etc. etc. ne diminuiamo la dose per renderla più digeribile, c’inchiniamo alle esigenze del tempo, e via di questo passo) e cominciare col primo dell’anno. Questa mi parrebbe la soluzione migliore. Se no ho paura che della Ronda non rimangano in vita, per qualche altro mese, che i due stipendi direttoriali. Sono curioso di leggere Andromaca,1 che vedrò, credo, nel prossimo numero. Ahimè, rileggendo le mie bozze, io mi sono sempre più convinto della miseria di quel che ho fatto! E quanto ne abuseranno. Ma non importa. La colpa è in gran parte di Saffi. E in quanto a me, sarò sempre l’ultimo a preoccuparmi di quel che mi tocca.

1 R. BACCHELLI, Presso i termini del destino, «La Ronda», a. IV, n. 7-8, agosto-settembre 1922, pp. 13- 49.

408 Sta bene e credimi tuo V. Cardarelli

[191] Tre fogli sciolti scritti sul r; busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via San Vitale, 126/ Bologna»; timbro postale di partenza SAN REMO 16.11.22, timbro postale di arrivo 17.11.22.

409 [192]

San Remo, 11.12.1922

Caro Bacchelli, risponderei con poche parole alla tua lettera cordialissima e, al solito, bella e fine. Non sono in questo momento in grado di giudicare né le cose mie né quelle degli altri. L’aria di San Remo seguita a farmi male. Sarei già fuggito da questo paese se sapessi dove andare. Credo che sia il freddo e la stagione invernale che m’intirizziscono il cervello e mi fan perdere perfino la memoria di ciò che in altre epoche e altrove costituisce la mia più profonda passione. Ho letto la tua Andromaca1 e non mi sento capace di parlartene neppure per esprimertene una compiacenza generica. Occorrerà che ci vediamo, credo, perché io l’osi. Come sai, io sono tanto difficile nello scrivere, quanto scrupoloso. E sono ormai abituato a temere il tuo giudizio, nonché le tue umane e spessissimo giustificate reazioni. Sicchè mi permetterai di non dirti nulla a proposito di questa tua ultima opera, considerando che tu non sei un novellino, né il tuo valore di scrittore ha bisogno di ricevere una conferma proprio da me che l’ho sempre sottinteso, Di una cosa però ti posso fin d’ora assicurare che ciò che hai messo di nuovo nell’Andromaca, quell’umanità di cui mi parlavi, non mi è sfuggito. Tornerò a leggerla, e forse chissà che non mi riesca di scrivertene il mio parere in maniera precisa, e colla prudenza che tu imponi. Spero che non ti meraviglierai di vedermi, per la prima volta, assumere nei tuoi riguardi un atteggiamento così cauto, e non lo vorrai attribuire a reticenza, ma soltanto a rispetto e a timore. Vidi qui il maestro Alfano,2 di cui conosco e vedo qualche volta la signora. Mi parlò di te in termini entusiastici e lo pregai di spingerti ad avventurarti fino a San Remo. Ma verrai mai da queste parti? Avrei tanto piacere di rivederti. Ma tu sarai dietro a lavorare. La notizia che mi dai delle figlie di Mario scampate da un pericolo e del tuo viaggio a Roma mi ha molto toccato. Mario è un buon ragazzo ed io gli voglio bene. Sono contento che tu ti sia mosso in questa occasione. Se gli scrivi, salutalo. Non ti parlo di altro per le ragioni che ti ho accennato. La Ronda pare in via di trasformazione. Vogliate per qualche tempo occuparvene voialtri rinunciando ai miei consigli, se non colla mia collaborazione. Forse questa mia forzata astensione potrebbe essere provvidenziale. Io andrò in primavera a Macerata e soltanto laggiù ho qualche speranza di ritrovarmi sul

1 Vedi lett. 191. 2 Andrea Alfano (1879-1967) grande pittore calabrese del primo novecento, che visse a Roma negli anni ’20 dove ebbe modo di farsi apprezzare dall’entourage degli artisti romani, tra cui il pittore Oppo, e più tardi dallo stesso Savinio.

410 serio, riprendendo a lavorare. Fino ad allora, sono certo che su me, purtroppo, ci sarà poco da contare. Come io stia di salute lo scrissi, tempo fa, a Korak.3 Ritornare ogni volta su questo argomento mi ripugna. Ti basti sapere che sto effettivamente male. A rivederci dunque. Non stare molto tempo senza farti vivo e credimi tuo affmo V. Cardarelli

[192] Due fogli sciolti scritti sul r; busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via San Vitale, 126/ Bologna»; timbro postale di partenza SAN REMO 12.12.22, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 13.12.22.

3 Il 18 novembre 1922 Cardarelli aveva scritto all’amico ungherese: «Da molti anni non mi accadeva più di sentirmi così esaurito. Dormo come un morto e l’addormentarmi mi dà proprio delle sensazioni da moribondo. Ogni sera potrebbe essere l’ultima, naufragio silenzioso e dolcissimo, e ad ogni mattina guardando svogliatamente la luce mi meraviglio di essermi ancora una volta svegliato» (R. BACCHELLI, Bacchelli-Cardarelli-Korach, cit., p. 145).

411 [193]

San Remo, 22.2.1923 Pensione Campi

Caro Bacchelli, ho ricevuto oggi il tuo Amleto nella sua magnifica edizione.1 Data una scorsa subito alla prefazione e mi sembra che, coi tagli che vi hai operato, ne sia uscita più leggera ed efficace. Ti ringrazio degli accenni alla mia prefazione,2 quantunque io non so come debba intendere quell’aggettivo di orgogliosa. Spero che si riferisca allo stile non alle mie intenzioni, umilissime e amichevolissime. Potrei forse fare un articolo su questo Amleto? E dove? Certamente al Carlino mi precederanno. La Ronda è morta. In tutti i casi, ci penserò.3 Ora, ho vergogna di dirtelo, avrei bisogno che tu mi mandassi duecento lire. Non rimanere sbalordito dalla meraviglia. Se ce l’hai mandameli, se no non fa niente. Ho perduto al gioco. Ecco la strabiliante notizia. Coi denari della buona uscita de La Ronda avrei potuto andare avanti fino ad aprile. La lunga attesa non poteva che rendere la mia disperazione più assillante. Così li ho bruciati subito, incoscientemente e disonestamente. Tutto ciò accade quando meno ci si pensa. Poi sorgono le spiegazioni, i rimorsi e l’errore di quel che si è commesso. E pensare che avevo anche dei debiti! Da qualche giorno non ho soldi per comperare le sigarette e vado mendicando i francobolli. Comica tragedia di uomo che ha perduto al gioco. Ti dirò, per obbligo di sincerità, che, malgrado tutto questo, mi sono messo a pensare seriamente ai casi miei, purchè la bontà degli amici non mi abbandoni proprio in questo momento. Cerco di combinare un volume per Bottega di poesia4 che, se le notizie sono esatte, sarebbe disposta a concedermi un anticipo di 2000 lire. Un volume di che? Dirai tu! Favole ed altre cose. Ma dell’anticipo non dovrei parlare a nessuno perché, se mi si concede, è a titolo di nobile elemosina, non di onore o di preferenza; perciò ti prego di fare come se non te l’avessi detto. La miseria ha pure i suoi vantaggi e i suoi privilegi. Ho scritto solo oggi a Castelbarco5, né sono certo

1 R. BACCHELLI, Amleto: dramma in cinque atti, cit. Si tratta del testo già edito su «La Ronda» nel 1919, redazione rifiutata dall’autore che rimaneggiò l’opera e la pubblicò in volume con una Prefazione sul tema di questa tragedia e intorno all’opera italiana e un Preambolo allegorico per le stampe. 2 V. CARDARELLI, Introduzione, cit. Vedi lett. 147, nota 2. 3 Cardarelli non recensirà l’Amleto bacchelliano. 4 Si tratta delle Favole della Genesi che Cardarelli aveva intenzione di pubblicare in volume con la casa editrice «Bottega di Poesia», diretta da Castelbarco. Tuttavia la gestazione del volume sarà piuttosto lunga, soprattutto a causa dei ritardi dell’editore (vedi lett. 195-196, 198-199) e il volume uscirà soltanto nel 1925 insieme alle Memorie dell’infanzia, con il titolo unico Favole e Memorie (Milano, «Bottega di poesia»). 5 Emanuele Castelbarco, poeta ed editore italiano che si distinse nella Milano degli anni ’20 per il suo spirito mecenatesco. Fondò a Milano, nel 1920, la casa editrice «Bottega di Poesia» e finanziò la rivista l’«Esame»

412 di realizzare questo favoloso anticipo, ma mi giova sperarlo. E gli ho parlato di te e del tuo volume,6 mostrandomi contento e onorato di far parte di una casa che sa pubblicare anche dei buoni libri. Così fai tu, ti prego, se hai occasione di scrivergli. E’ venuta forse l’ora di essere letterati anche nel senso più umoristico. Mio caro Bacchelli, benché il tono di questa lettera, sotto la sua apparente sciatteria, sia malamente distrutto, quale è il mio animo in questo momento, non credermi privato di qualche allegra e forte speranza. Anelo di tornare a lavorare. E sono certo che vi ritroverò la salute e ogni cosa indegnamente trascurata tornerà a suo posto. Pare che lo studiare e l’ingerir cultura non riescano, almeno in me, ad andar d’accordo col retto vivere. E così io in questi tempi non ho fatto che leggere latino e accumulare sciocchezze una dietro l’altra. Per il momento devo rendere conto di queste. Quanto ai progressi che ho fatto nelle lettere classiche spero di dartene qualche prova più tardi. Dove sei in questo momento? Dovunque tu sia, nell’atto in cui riceverai questa lettera, ricordati, se sarai in grado di farlo, che un tuo pur piccolo soccorso alle mie sconquassate e ruinate finanze mi sarà sempre valevole, senza limiti di tempo. E compatiscimi senza severità ed impazienza, mentre ti prego di credermi il tuo affmo V. Cardarelli

[193] Un bifolio di carta marroncina come la busta, scritte le pp. 1-3; busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via San Vitale, 126/ Bologna»; timbro postale di partenza SAN REMO 22.2.23. Sul v della lettera, in alto a sinistra è scritto a matita «preghiera di far seguire», sul r Cardarelli ha aggiunto a matita «Recatomi […] 126 fatto ricerca Lettorio Leatinataria sconosciuto». di Enrico Somarè. Per diversi anni mantenne anche Cardarelli, come accadde anni prima ad Angiolo Orvieto, sebbene il poeta non rispettasse spesso gli impegni contrattuali presi. 6 R. BACCHELLI, Lo sa il tonno ossia gli esemplari marini. Favola mondana e filosofica, Milano, «Bottega di Poesia», 1923.

413 [194]

San Remo, 7 aprile 1923 Pensione Campi

Mio caro Bacchelli, spero che tu mi avrai già scusato se dopo la tua ultima lettera colla quale accompagnavi il grazioso e amichevole dono di 300 lire, io non ti ho più scritto. La mia gratitudine l’avrai facilmente indovinata e le ragioni del mio silenzio non ti sarà stato difficile immaginarle. Io sono ridotto alla condizione di un vecchio lupo che esce dalla tana soltanto quando il bisogno ve lo stringe. Ciò non vuol dire però che io dimentichi. Ricevetti qualche tempo fa una lettera, una delle solite lettere melense, rosee e inconcludenti dell’amico Saffi, colle quali tra molte gentilezze e promesse mi assicurava che mi avrebbe rispedito almeno 300 lire per la fine di questo mese.1 Scrissi ringraziando e contandoci. Dopo d’allora non mi è più riuscito di sapere se Saffi sia ancora vivo o morto. Pensa che io ci avevo fatto i miei calcoli e immagina il mio furore per questo abusatissimo scherzo della incorreggibile psicologia saffesca. Ho creduto di dovergli scrivere una cartolina risentita perché non è così che si gioca con un uomo che si trova nelle mie condizioni, tanto più che io non gli ho chiesto nulla. Penso che avrà trovato comodo seccarsene e intanto io sono qui a pascermi di speranze e di promesse col conto della pensione da pagare e senza un soldo in tasca. Se lui non mi risponde credo che dovrà aspettare una mia lettera a lungo. Vadano al diavolo la Ronda, Parodi, e tutto il resto. Se riesco a partire da qui vedrò quello che mi convenga. Intanto, siccome Korak mi ha accennato alle tue buone disposizioni verso di me,2 scusa se torno a chiederti, in mancanza d’altro, un nuovo soccorso. E non aggiungo parole, tanto il mio umore è disorientato e depresso. Spero di salvarmi ancora una volta, ma sono così irritato e abbattuto che non ho più forze di nascondere a nessuno il mio stato pietosissimo.

1 Le stesse parole sul comportamento di Saffi Cardarelli le scrisse a Korach, lamentandosi appunto della poca lealtà del direttore de «La Ronda», sul cui aiuto economico, promesso con molta cordialità, egli aveva fatto affidamento per ritrovarsi poi sprovveduto al momento del bisogno (R. BACCHELLI, Bacchelli- Cardarelli-Korach, cit., p. 150-151). 2 Nella lettera del 5 aprile infatti, Cardarelli chiese a Korach di intercedere per lui presso Bacchelli affinchè gli inviasse «qualche centinaio di lire, magari per vaglia telegrafico» (ivi, p. 150). Al di là della mera richiesta di denaro, l’occasione fa riflettere sul mutato rapporto di confidenza di Cardarelli nei confronti dell’amico bolognese, che negli anni precedenti era stato non solo il suo principale mecenate, ma soprattutto un amico al quale rivolgersi senza timori a proposito della sulla indigenza economica.

414 Rispondimi presto e credimi tuo V. Cardarelli.

[194] Un foglio sciolto scritto sul r; busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via San Vitale, 126/ Bologna»; timbro postale di partenza SAN REMO 7.4.23, timbro postale di arrivo BOLOGNA (RECAPITO ESPRESSO) 8.4.23.

415 [195]

Milano, 20 IV 1923 Via Cesare Beccaria, 3

Caro Bacchelli, ti ringrazio un po’ in ritardo, delle tue ultime trecento lire. Non avevo bisogno di essere rassicurato da Korak delle tue disposizioni verso di me in genere ma specifiche, visto che poco tempo prima io ti avevo già dovuto disturbare e potevo credere che non ti trovassi in grado, a così breve distanza, di mandarmi del danaro. Ad ogni modo non badare alle espressioni che mi escono dalla penna in certe circostanze. Io spero che i posteri non si fonderanno sui miei documenti epistolari, aborritissimo genere. Dunque come vedi sono a Milano, in cerca di pane e di lavoro. Ho trovato questa città rinsaldata nel suo spirito intransigente ed esclusivo, come non mai, e non avendo ancora potuto vedere Castelbarco1 che è a Parigi questo mio primo contatto con Milano è tutt’altro che lieto. Aggiungi la mancanza di umore, il costo della vita, il fragore cui mi ero disavvezzato, la noia cittadina, e capirai il mio stato. Ma io spero molto dalla buona stagione. Mi sono accasato in via Cesare Beccaria, dover per il vitto e la camera verrei a spendere non più di settecento lire al mese e questa scoperta fatta per un vero miracolo è l’unica cosa che mi conforti a rimanere. Come saprai ho ricevuto duemila lire da Castelbarco (ma non dirlo a nessuno) per le Favole della Genesi2 che dovrei consegnare il 1° settembre prossimo. Ho dunque bisogno di lavorare. Ma come vivere? E’ quello che cercherò di risolvere con Castelbarco. Ciò che mi dici intanto sulla volubilità di queste ottime o rare persone non è molto incoraggiante, tanto più che corrispondente esattamente alle mie persone. Volesse il Cielo che ci sbagliamo o che almeno giovasse a correggere il loro difetto la presenza personale. Te ne saprò dire qualchecosa. Dimmi se hai bisogno di me qui a Milano, se vuoi che sorvegli le tue pubblicazioni e se c’è speranza di vederti un giorno o l’altro ora che siamo così vicini. Tra le tante idee che passano in questi giorni per la mia testa c’è anche quella, del resto antica, di risuscitare la Ronda a Milano.3 Non c’è mai stata una morte di rivista più silenziosa, impietosa e di cattivo augurio, vera morte per costernazione. Lasceremo che tutto finisca così senz’alzare un braccio, senza scrivere una

1 Vedi lett. 193. 2 Ibid. 3 «La Ronda» era ormai in via di esaurimento, doveva ancora essere allestito il numero del novembre 1922 ma già non c’era veniva a mancare una coordinazione e una partecipazione redazionale. Presa coscienza della necessità di chiudere questa impresa, si realizzerà soltanto un ultimo numero unico che sarebbe uscito nel dicembre 1923.

416 parola? Almeno bisognerà prenderne atto. Uno di noi deve scriverne non dirò l’epicedio, ma la breve storia. E se la nostra fu la vita d’un soffio, o d’un bel motivo, lo si dica. Ma io non me la sento e il buon Saffi, senz’allusione, continua a combattere ancora. Basta, speriamo di ritrovarci almeno in paradiso. Sta bene conservato sempre giovane. Tuo affmo V. Cardarelli

[195] Un bifolio, scritte le pp. 1 e 4; busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via San Vitale, 126/ Bologna»; timbro postale di partenza MILANO 20.IV.1923, timbro postale di arrivo [BOLOGNA] CENTRO 21.4.23.

417 [196]

Antoliva, 30 ottobre 1923

Caro Bacchelli, io aspettavo la tua lode come una specie di battesimo per queste pagine e dal momento ch’essa giunta più sollecita e lusinghiera di quel che avrei osato sperare sono un po’ più tranquillo sul conto loro. E’ inutile ch’io ti dica il piacere che la tua lettera m’ha fatto. Proprio quella mattina fra i tentativi di prefazione per il mio nuovo libro, che s’intitolerà “Favole e memorie”1 avevo buttato giù alcune righe a te dedicate in cui mi lasciavo andare a ricordare le nostre passeggiate mattinali sul lungomare. Poi non ne ho fatto nulla come puoi immaginare. Ma questo per dirti che anche da parte mia il silenzio non significa disattenzione. Sono quattro mesi ormai che mi trovo tra questi colli e non ho scritto che poche lettere a Saffi e a Somarè determinate da motivi urgenti e materiali. Ora sono in procinto di partire. Se tu sei a Bologna potrei forse di passaggio farti una visitina, il che sarà fra una settimana o poco più. Avvertimi, nel caso tu ti dovessi assentare, con un biglietto a Bottega di Poesia. Io credo che questo lungo periodo di solitudine mi abbia fatto bene moralmente e fisicamente. Però mi sento definitivamente maturo. Cioè avviato e direi quasi deciso, senz’altro ad invecchiare. Vedremo che cosa ci riserberà il destino. Per il momento ho un gran desiderio di perdermi per qualche mese. E vado a Roma coll’intenzione di poter scappar via dall’Italia al più presto possibile. Ho scritto bravamente un’altra decina di paginette sulla “Fine del diluvio”.2 Ho pulito e limato il mio libro quanto ho potuto. Ora lo consegnerò a Castelbarco e uscirà in Dicembre senza un’epigrafe e senza una prefazione. Dopo di che se riprenderò in mano la penna sarà per continuare le Memorie col tono e la forma di queste ultime pagine. Questo è tutto il mio programma per l’avvenire. Nel frattempo ho anche lavorato attorno al volume degli scritti critici3 che darò a Saffi entro il mese venturo.

1 V. CARDARELLI, Favole e Memorie, cit. 2 La prosa Fine del Diluvio uscì sul «Corriere italiano» il 1 gennaio 1924 dove venne annunciata anche la prossima pubblicazione di Favole e Memorie, confermando un’ulteriore dilazione dei termini di stampa del volume rispetto al mese di dicembre, preventivato da Cardarelli in questa lettera. 3 A proposito di questo progetto Cardarelli aveva scritto il 23 ottobre 1923 sia a Cecchi sia a Montano, lamentandosi della scomparsa di Saffi, poiché, come scrisse a Montano «eravamo rimasti d’accordo che mi

418 Vidi Lebrecht in una mia recente scappata a Milano, ingrassato, cresciuto! Fu un incontro insospettato e cordialissimo, abbastanza piacevole. Mi sembra diventato più umano. Parlammo di tante cose e, fra l’altro, anche del tuo libro4 che pare abbia avuto molto successo quantunque la critica esiti a pronunciarsi, almeno da quanto ne so io. Io scrissi già a Saffi che considero un mio preciso dovere intervenire sulla faccenda, colla franchezza di cui mi sento capace, e se non l’ho ancora fatto spero che non vorrai attribuirlo a malavoglia né ad altri motivi. Ero premuto da ben altre melanconie che non mi lasciavano pensare ad altro. Ma ora come metterò il piede in città farò una lettura attenta della tua favola marina e se la Ronda sarà ancora in vita m’incaricherò di scrivere pubblicamente il mio parere. Se no, lo farò per qualche altro giornale.5 Giacchè non è bene che degli amici fingano d’ignorarsi, né che abbiano timore di dirsi la verità o che siano così poco generosi da non perdonarsi, a lungo andare, i loro reciproci malumori. E anche io devo essere perdonato. Quanto alla fine della mia nota su Pascal6 non era allegorica affatto. Forse tirata via. Dicevo una cosa che si potrebbe svolgere e sarei pronto a sostenere. Tu sai che io ho sempre reagito agli eccessi della rettorica. E quantunque io possa capire tutto, volendo, mi vado accorgendo purtroppo che il mio gusto è limitato. Ma tu non mi confonderai mai spero con certa umiliatissima canaglia di nostra conoscenzache ha dell’umanità un concetto adeguato alla propria miseria. A questo proposito, Cecchi, che non voglio mettere tra costoro, tuttavia mi scriveva giorni fa che le mie ultime memorie sono superiori alle altre (capisco il perché) e che sono parse eccellenti a della gente semplice e sana, «che è quella che conta». Come se in Italia quelli che si credono semplici e sani, poveretti, non fossero i più appestati. Basta. Attraverso cinque minuti di gloria e non voglio sembrare ingrato. Ho mandato un numero dell’«Esame» a donna Ada sperando di farle piacere. So che si ricorda e parla talvolta di me con molta gentilezza. Di questo tu la ringrazierai più di quel che non abbia fatto io, assicurandola che le parole di una bella donna gentile sono per uno spirito sensibile le più ambite e le più inapprezzabili.

dovesse mandare un anticipo di 1000 lire per un volumetto di scritti critici che io consegnerò alla Ronda entro quest’anno e da lui accettato» (EPISTOLARIO II, p. 770). Il volume tuttavia non vide la luce. 4 Si tratta di R. BACCHELLI, Lo sa il tonno, cit.; vedi lett. 193. 5 Cardarelli non recensirà nemmeno questa opera dell’amico. 6 Cardarelli aveva pubblicato su «L’Esame» del 31 agosto 1923 i Pensieri di Pascal colti a caso ricorrendo il terzo centenario della nascita di Pascal, una serie di frammenti del filosofo preceduti da una sua breve nota introduttiva.

419 Saluta Mario e dagli il buon viaggio per conto mio se sei ancora in tempo. E credimi il tuo affmo V. Cardarelli

So che Saffi sta combinando un affarone con Parigi. Ne sai qualche cosa? Nel mio scritto vi sono parecchi errori di stampa. Tra l’altro c’è (ultima parte) un sulle «braccia» per «sulle traccie» e «a quella» per «a galla».7

[196] Quattro fogli sciolti, scritti sul r; busta indirizzata «Riccardo Bacchelli/ Via San Vitale, 216/ Bologna», indirizzo cassato e sostituito a matita con «San Vitale 126»; timbro postale di partenza LUINO- NOVARA 30.10.23, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 2.11.23.

7 Le correzioni si riferiscono alle Memorie dell’infanzia cardarelliane uscite sull’«Esame», fasc. IX, 30 settembre 1923, pp. 709-717. Il 23 ottobre 1923 Cardarelli aveva comunicato gli stessi errori tipografici a Lorenzo Montano, scrivendogli: «Se leggi le mie Memorie sull’Esame fa conto che sono piene d’errori e sorvola dove non ti va. C’è un sulle “braccia” per “sulle traccie” e “a quella” per “a galla”» (EPISTOLARIO II, p. 771).

420 [197]

Roma, 7. II. 1925 Via dell’Arancio, 47

Caro Bacchelli, non oso chiederti di scusarmi per il nuovo fastidio che sono stato costretto a procurarti, né per il lungo silenzio che ho serbato con te dall’ultima volta che ci siamo visti a Bologna. Sappi che mi duole molto e che fa vergogna, ma io ormai non scrivo più a nessuno atteso il tenore di vita che conduco, disordinato e disperatissimo, sebbene sia forse per me il solo conveniente. Ma non è di ciò che desidero parlarti. Bensì della tua commedia1 che ho ricevuta, letta e da più giorni consegnata nelle mani di Vergani2 al quale ho pure riferito, sostenendola, la tua idea di rappresentare l’Amleto. Penso che sarà meglio che tu gli scriva all’«Idea nazionale», acciocché il tuo copione non finisca nelle sue tasche. Dico questo perché mi meraviglio che non l’abbia ancora letta e passata nelle mani di Pirandello.3 Ad ogni modo anche io vigilerò e, se mai, andrò a trovare Pirandello stesso. Da quel che ho sentito non potrebbe essere messa in scena che al ritorno della compagnia dall’America,4 cioè verso la fine di quest’anno. Non credi che sarebbe bene che tu facessi una scappata a Roma per stringere quest’affare e sollecitarne la soluzione quando la commedia andasse? Se io ti debbo dare un consiglio è questo: non ti fidare di nessuno. Fidati soltanto dei vecchi amici, per quello che valgono. Questo teatro d’arte è un’accolta di mediocri e di camorristi, sia detto inter nos. Non è escluso che se ne possa ottenere qualchecosa, a patto di agire di persona e con astuzia e prudenza, Ormai tutti brigano, tutti si precipitano sul teatro col furore degl’insetti sulla carogna. Se tu speri che ti sia fatto un trattamento particolare per il tuo valore t’inganni. Dunque, voglio concludere, se desideri veramente il battesimo del palcoscenico è necessario che tu ti decida a muoverti. Io forse, per questo

1 Tra le carte manoscritte del Fondo Bacchelli non è presente nessuna commedia che riporti i nomi di questi personaggi e il testo non risulta edito. 2 Orio Vergani (1898-1960) giornalista e scrittore italiano, collaboratore del «Corriere della Sera» dove Ugo Ojetti gli affidò la direzione della terza pagina, si trovò sin da piccolo a contatto con il mondo teatrale. Nel 1924 entrò a far parte della Compagnia del Teatro d’Arte di Pirandello e nel 1925 divenne responsabile del Teatro degli Undici. 3 Il 6 ottobre 1924 Pirandello aveva fondato la compagnia del Teatro d’Arte, a Roma, in collaborazione con altri artisti e intellettuali, tra cui il figlio Stefano, Orio Vergani, Massimo Bontempelli, Giuseppe Prezzolini. Tra i principali attori della compagnia si ricordano Marta Abba e Ruggero Ruggeri. 4 La Compagnia di Pirandello, trasformatasi in compagnia di giro per far fronte ai debiti contratti per la ristrutturazione del Teatro Odescalchi, sede romana della compagnia, partì nel 1925 per alcune tournées all’estero. Le prime tappe del tour tuttavia vennero fatte in Europa tra l’estate e l’autunno 1925, non in America come afferma qui Cardarelli (M. MANOTTA, Luigi Pirandello, Paravia Mondadori, 1998, p. 13).

421 lato, potrò esserti di qualche aiuto, ma avrei bisogno d’un lavoro da presentare, che so, alla Melato,5 alla Pavlova,6 una cosa come tu m’intendi. E sarebbe bene che noi ci vedessimo. Fa di questa lettera il conto che credi e sii pur certo che io vedrei con grande soddisfazione un tuo intervento in questo ignobile mercato di cretini e di mafiosi in cui s’è ridotto il teatro italiano. Quasi quasi scriverei una commedia io! So che hai mandato una farsa a Bragaglia.7 Dice che va bene, che la rappresenterà, anzi io gliela metterò in iscena e si è affrettato ad annunciarlo, ma dove, ma quando? E questo Teatro degli Indipendenti è pure un bel bluff. La cosa migliore, secondo me, è di puntare sulle compagnie regolari. E la più consigliabile di tutte è quella della Pavlova. Non ti parlo per ora della tua commedia perché, ad una prima lettura, non mi attento di giudicarla. Singolarmente m’interessa il carattere di Flavio. Ho trovato ottimo il dialogo tra Gianfelice e Maddalena al principio del secondo atto, riuscitissima scena di Caterina ebbra e la volgarità di questo tipo molto ben rilevata. Tu stesso dici che la situazione centrale è ardua. Io per me non saprei. È certo che come primo lavoro bisognerebbe scegliere qualche cosa di più liscio. Ma, ripeto, tutte queste non sono che chiacchiere. Fammi leggere il Danton8 di cui D’Amico9 mi ha parlato dicendolo irrapresentabile. Non ti stupire della calligrafia. Scrivo dal letto.

5 Maria Melato (1885-1950) attrice italiana di teatro, cinema e radio. Fu prima attrice nella compagnia di Irma Gramatica. Insieme a Virgilio Talli mise in scena molti testi pirandelliani a partire dal 1918, avvicinandosi al teatro sperimentale del drammaturgo dopo aver seguito un percorso teatrale più classico. Si cimentò anche con opere di Rosso di San Secondo, Bontempelli e D’Annunzio. 6 Tatiana Pavlova (1894-1975) attrice e regista russa, spesso criticata anche dallo stesso Pirandello per la sua innovativa concezione del ruolo della regia. 7Anton Giulio Bragaglia (1890-1960) regista e critico cinematografico italiano. Negli anni venti allestì una sua compagnia teatrale, la Compagnia Spettacoli Bragaglia e nel 1922 fondò il Teatro Sperimentale degli Indipendenti che diventerà un punto di riferimento per il teatro sperimentale italiano, nel quale verranno rappresentate opere di Pirandello, Marinetti e Rosso di San Secondo. La farsa a cui stava lavorando Bacchelli è La notte di un nevrastenico, rappresentata al Teatro degli Indipendenti il 12 aprile 1925, con la regia di Bragaglia, e fu per altro un insuccesso che «durò un quarto d’ora, fischiato venti minuti» (L. SCORRANO, Due ‘capitoli’ per Bacchelli, cit., p. 99). 8 Potrebbe trattarsi dell’opera Dantons Tod (La morte di Danton) del drammaturgo tedesco Georg Büchner (1813-1837). 9 Silvio D’Amico (1887-1955) critico teatrale italiano, scrisse per «L’Idea Nazionale» e «La Tribuna», dal 1917 al 1940, occupandosi della rubrica di critica drammatica. Negli anni ’30 fondò l’Accademia d’arte drammatica di Roma.

422 Aspettando di leggerti ti saluto con l’antica amicizia. Tuo Vincenzo Cardarelli

[197] Tre fogli sciolti scritti sul r; busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via San Vitale, 126/ Bologna»; timbro postale di partenza ROMA CENTRO 7.II.1925, timbro postale di arrivo BOLOGNA CENTRO 8.2.25.

423 [198]

Anacapri, (Napoli) 5. IX. 1925 Villa Monte Solaro

Caro Bacchelli, ho ancora da ringraziarti della lettera che avesti la bontà di mandarmi a proposito del mio libro.1 Spero che non ti sarai troppo meravigliato del mio silenzio, conoscendomi. Non mi ricordo più con precisione quello che mi scrivevi ma mi pare che tu fossi un po’ severo col racconto di Sodoma2 dove alcuni episodi mi sembrano fra le cose più felici che io ho scritto. Ma parliamo d’altro. Avrai visto, credo, l’articolo di Cecchi3 su me e non te ne sarà sfuggito il sottil veleno. Non ti nascondo che io me ne risentii molto, giacchè conosco Cecchi e le sue oblique operazioni, di cui anche tu devi avere qualche esperienza. Così dopo questo fatto considero del tutto definiti i nostri rapporti. Come contraccolpo ci fu l’articolo di Binazzi sul “Carlino”4 al quale, come tu non stenterai a credere, io fui affatto estraneo e che mi giunge altrettanto gradito (non sono uomo da spaventarmi per così poco) quanto inaspettato. E ci sarà anche uno scritto del buon Raimondi sul Convegno,5 purtroppo apologetico e amministrativo come un’orazione funebre. Idem. Tu che fai? So che sei stato ai bagni al Forte dei Marmi. Sei tornato a Bologna? Io sono qui, come vedi, ‘ngoppa a ‘no scuoglio. Per quanto bella voglia apparire questa terra meridionale io non riuscirò mai ad affezionarmici. Capitai a Capri un mese fa all’incirca coll’irrequietissimo Broglio.6 Ci trovai Baldacci7 e un sacco di altre conoscenze. Così ci

1 V. CARDARELLI, Favole e Memorie, cit. 2 Sezione delle Favole e Memorie intitolata Fine di Sodoma, che ripercorre la storia della città biblica attraverso quattro prose. 3 E. CECCHI, Favole e Memorie, «Il Secolo», 19 giugno 1925, pp. 746-750. 4 B. BINAZZI, Cardarelli, «Il Resto del Carlino», 24 giugno 1925, p. 3. Il critico, recensendo la recente raccolta cardarelliana Favole e Memorie ricorda anche la precedente Terra genitrice e traccia una panoramica sull’uomo e sul poeta molto benevola, definendolo «il più genuino tipo di autodidatta». L’articolo integra la bibliografia critica su Cardarelli in OPERE. 5 G. RAIMONDI, recensione a V. Cardarelli Favole e memorie, «Il Convegno», a. VI, n. 10-11-12, 25 dicembre 1925, p. 644. La breve notizia, all’interno della sezione bibliografica del fascicolo intitolata Bollettino degli editori, cita: «Il libro è diviso in due parti, la prima raccoglie gli scritti già apparsi nella “Genesi” e sulla fine di Sodoma, dove la gravità e solennità dell’argomento è alleggerita dal tono spigliato e umoristico, la seconda, più viva e sentita e umana raccoglie le memorie della sua terra e della sua infanzia dove l’A. à momenti di felice ispirazione. Ricordiamo la figura mirabilmente scolpita del padre, ch’è fra le più belle pagine del Cardarelli, i caratteri delle sue genti e del suolo nativo, rappresentati con forza robusta» (ivi, p. 644). 6 Mario Broglio (1891-1948) scrittore, pittore e scultore italiano fu un importante protagonista della scena culturale contemporanea, fin dai suoi primi anni romani, quando nella «terza saletta» di Aragno conobbe i pittori Bartoli e Oppo. Nel 1918 fondò e diresse la rivista «Valori Plastici» e ottenne la collaborazione di

424 rimasi. Ora sono tutti partiti ed io sono qui solo, apatico, malinconico, e non so dove sbattere il capo. L’aria mi si addice poco. In tutto il mese d’agosto non sono riuscito che a scrivere una pappardella politica per il “Tevere” sul Risorgimento e Cavour,8 tanto per giustificare lo stipendio. Non so se l’hai letta. Svogliatissimo, non so né partire né rimanere. A Roma non ho più casa e non vorrei ritornare. Spero di poter scrivere almeno una novella di cui ho buttato giù qualche tratto. Ma avrei bisogno di due o tre anni di assoluta libertà e riposo per mettere a posto le cose più importanti e dopo non desidererei altro e non m’importerebbe più di niente. Credo che rimarrò ad Anacapri tutto settembre. Se mi scrivi dandomi qualche notizia di te e del mondo mi farai gran piacere. Come sta la signora Nuvolari? Vuoi salutarla? Perdona di nuovo il ritardo che ho messo nel risponderti e credimi tuo affmo Vincenzo Cardarelli

[198] Tre fogli sciolti scritti sul r; busta indirizzata: «Riccardo Bacchelli/ Via S. Vitale, 126/ Bologna», indirizzo cassato e sostituito con «A Riccardo Bacchelli/ Pensione Bertelli/ (Lucca) Forte dei Marmi»; timbro postale di partenza ANACAPRI (NAPOLI) 6.9.25, timbro postale di arrivo BOLOGNA (CENTRO) 8.9.25.

Carrà, Savinio e De Chirico, oltre ad avere numerosi contatti con i più famosi artisti europei (Picasso, Braque). 7 Si tratta probabilmente di Antonio Baldacci (1867-1950) geografo italiano, impegnato anche sul fronte politico ed economico, che frequentò molto anche gli ambienti intellettuali e artistici del tempo. 8 V. CARDARELLI, Il risorgimento e Cavour, «Il Tevere», 2 settembre 1925, p. 36.

425 [199]

Anacapri (Napoli), 9. X. 1925

Caro Bacchelli, tu ti meraviglierai forse della ragione per cui ti scrivo. Come sai, quel Titta cornetano,1 che è tanto orgoglioso quanto mortificato d’aver contratto con te rapporti di comparanza, è un uomo molto singolare. Tempo fa mi scrisse se avrei potuto in qualche modo agevolargli il compito di far studiare il figliolo, che ora credo faccia la seconda tecnica, facendogli ottenere dei ribassi o delle facilitazioni nell’acquisto nei libri di testo, aggiungendo ch’egli è vecchio, non ha molto lavoro etc. etc. Purtroppo a questa sua lettera non ho mai risposto e sono certo che lo scrivente stesso se ne è dimenticato, pure sospirando di quando in quando sull’iniquità delle cose umane. Ma mi ero proposto di passare la cosa a te, per pregarti di voler fare in questa occasione un piccolo dono al tuo comparuccio che, quando anche non fosse più necessario, riuscirebbe sempre graditissimo e servirebbe a togliere dal cuore di quella gente semplice e forse un tantino noiosa la convinzione che noi letterati siamo senza memoria e senza religione, come pensano di me. Si tratterebbe, in conclusione, di mandare un centinaio di lire a Titta Pacchelli, dicendo che vuoi farne un regalo al suo figliolo. È inutile dirti che se potessi lo avrei già fatto io. Ma il mio stipendio non supera le ottocento lire e me le guadagno sputando sangue, come si dice al mio paese. Non credere che in seguito a questo ti daranno altri fastidi. In tutti i modi a non vedersi rispondere il povero Titta ci è abituato. Scusami se mi sono permesso d’intrattenerti su questa faccenda. Io so, del resto, che sei in grado di apprezzarne, senza sorridere, lo scrupolo sentimentale che mi ci ha indotto. Lessi tempo fa l’art. di Raimondi su te.2 Non so se ti abbia fatto piacere o no. Ad ogni modo mi rallegro di vedere che il buon Raimondi è tornato ad esserti amico. In quello stesso numero del “Baretti”3 c’era un articolo che ho conservato, di un tal Minzoni, su Leopardi.4 Mi pare che l’autore di questo art. sia un giovane di valore e mi ha sorpreso di vedere come le nostre idee abbiano camminato, sia pure a tentoni. Così come mi stupisco che anche la mia letteratura cominci a traforare il duro spessore di certi critici che io non

1 Vedi lett. 5. 2 G. RAIMONDI, Riccardo Bacchelli, «Il Baretti», n. 12, 1 agosto 1925, pp. 50-51. 3 «Il Baretti» rivista di letteratura fondata da Piero Gobetti nel 1924, uscì fino al 1928. La rivista, promotrice di una cultura aperta alla letteratura europea e contro la retorica e il provincialismo del regime, ebbe tra i suoi più importanti collaboratori Eugenio Montale, Giacomo Debenedetti, Natalino Spegno, Leone Ginzburg. 4 P. MIGNOSI, Ritorno di Leopardi, «Il Baretti», n. 12, 1 agosto 1925, pp. 49-50. Cardarelli, citando probabilmente a memoria l’autore dell’articolo, ne sbaglia il nome.

426 supponevo mai si sarebbero decisi a riconoscermi un qualche valore. Quelle “memorie”5 sono state un gran terno a lotto. Ora sono senz’altro catalogato tra gli scrittori sensuali e visivi (oilà) ed è ben lontano il tempo in cui si diceva che io non ero a buono ad altro che a fare della critica e magari della filosofia. Come tutto questo cade ora, senza rimbombo, nel vuoto più completo. E così è la vita. Io vado lavorando finchè sono qui, proprio per forza d’inerzia, e non mi curo troppo di quello che esce dalle mie mani. Però ho il senso che insomma sono a cavallo, sia pure d’un cavalluccio di legno, e posso tranquillamente infischiarmi di quel che si pensa di me e se ne dice. Rimarrò qui tutto ottobre. Ho intenzione di passare l’inverno fuori di Roma, giacchè mi sono mezzo impegnato di scrivere un libro sul fascismo che forse, a giudicare dal mio saggio su Cavour, non passerà inosservato e potrà giovare a farmi una piccola posizione. Intanto posso dirti che i mazziniani di Roma riconoscono in me il fedele interprete di Mazzini, come vedo da una lettera scritta al “Tevere” in seguito al mio articolo.6 Non mi dispiace. Sebbene credo che qui tu riderai. Sta bene ed abbimi, con molta salute, per tuo affmo V. Cardarelli

[199] Tre fogli sciolti scritti sul r; busta indirizzata: «A Riccardo Bacchelli/ Via San Vitale, 126/ Bologna»; timbro postale di partenza ANACAPRI (NAPOLI) 9.10.25, timbro postale di arrivo BOLOGNA (CENTRO) 11.10.25.

5 Cardarelli si riferisce alle Memorie della mia infanzia, testo su cui era tornato più volte negli ultimi tre anni, dopo la pubblicazione nella «Ronda», ripubblicandolo in diverse testate, fino ad includerlo nel volume Favole e Memorie uscito nel 1925 per «Bottega di poesia», dopo lunga gestazione (vedi lett. 193, 195-96, 198); per la genesi di questa raccolta vedi OPERE, pp. 1046-1047. 6 A. LODOLINI, Le sciocchezze di Giuseppe Mazzini, «Il Tevere», 3 ottobre 1925, p. 5. La lettera fu scritta in riferimento alla pubblicazione dell’articolo cardarelliano Il risorgimento e Cavour, uscito un mese prima sul medesimo quotidiano (vedi lett. 198, nota 8). Lodolini scrisse al direttore della testata: «Onorevole Signor Direttore, da che Vincenzo Cardarelli scrisse da par suo sul Tevere dell’analisi tra la Giovine Italia e la dottrina di Cavour, noi mazziniani consideriamo il suo giornale tra i migliori strumenti della propaganda fascista».

427

APPENDICI

Allegato 1

Milano, 29 IV 1916

Caro Cecchi, ho ricevuto il suo estratto dalla “Rassegna”1 e la ringrazio, e le unisco un cordiale saluto. Facchi, da una lettera di Cardarelli, m’aveva lasciato sperare d’una sua capatina quaggiù: ma invano. Speriamo tuttora di vedervi e ragionare in tempi prossimi e migliori. Tante buone cose in quel libriccino del Cardarelli!2 Le poesie, parte, le conoscevo. Ora trovo nelle prose una […], una […] di pensiero vissuto, di cose sentite e patite che mi dà gran piacere. Ho letto anche una bella cosa di lui del Facchi, dattilografata. Natura.3 Perché non fu pubblicata? Cordiali saluti, a lei e a Cardarelli, suo Linati

[Allegato 1] Cartolina postale italiana indirizzata: «Tenente/ Emilio Cecchi / 17, Via Torino/ Alessandria» firmata da Carlo Linati. Timbri postali di partenza MILANO (CENTRO) 29.IV.1916 e ALESSANDRIA CENTRO 29.4.16.

1 «Rassegna bibliografica della letteratura italiana», rivista fondata nel 1893 da Alessandro D’Ancona. L’estratto a cui allude Linati è l’articolo di Emilio Cecchi, Poesia inglese e critica italiana, «Rassegna bibliografica della letteratura italiana», fasc. 2, febbraio 1916. 2 Linati si riferisce ai Prologhi. 3 La lirica venne pubblicata su «La Voce», n. 6, 20 giugno 1916 (poi inserita in volume per la prima volta nell’edizioncina veneziana dell’ottobre 1946, Poesie nuove, edita da Neri Pozza; per le vicende editoriali si rimanda a OPERE, pp. 1021-22 e 1110), ma evidentemente il poeta aveva mandato la lirica a Facchi per essere inserita nei Prologhi, dai quali venne poi ritirata. Il 9 maggio 1916 infatti Cardarelli scrisse a Linati: «Vorrebbe dire per favore a Facchi di rispondermi e di mandarmi, insieme ai libri, quella lirica?», con evidente riferimento, quindi, a Natura (EPISTOLARIO II, p. 508); infine, il 19 giugno Cardarelli informerà l’amico milanese di aver mandato Natura a «La Voce» che l’avrebbe pubblicata probabilmente sul numero di giugno 1916, come in effetti fu.

431

Allegato 2

Estratto del «Tempo», 18 marzo 1918, pp. 1-4.

A p. 3 è pubblicato l’articolo di Cardarelli La favola breve di Leopardi. L’inserto è stato inviato singolarmente, senza una lettera di accompagnamento e senza busta, poiché sulla prima pagina compaiono il timbro postale di partenza ROMA CENTRO 20.3.18 e l’indirizzo del destinatario, di mano di Cardarelli: «Signor Riccardo Bacchelli Via Arienti, 40/ Bologna».

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INDICI

INDICE DELL’EPISTOLARIO

n. inventario n. Fondo Luogo Formato Data Bacchelli 1 1 San Remo cartolina [3 luglio 1910] 2 2 Firenze lettera 19 novembre 1912 3 201 [Roma] lettera [1 o 2 gennaio 1913 ca.] 4 3 Roma lettera 9 gennaio 1913 5 4 Corneto lettera 18 febbraio 1913 6 6 Firenze lettera 8 aprile 1913 7 5 Gavignana cartolina 7 agosto 1913 8 7 Roma lettera 23 ottobre 1913 9 8 Roma lettera 28 ottobre 1913 10 9 Roma biglietto 30 ottobre 1913 11 10 Roma biglietto 18 novembre 1913 12 11 Roma lettera 23 novembre 1913 13 12 Roma lettera 3 dicembre 1913 14 13 Roma lettera 22 dicembre 1913 15 14 Roma biglietto 13 gennaio 1914 16 15 Roma cartolina 31 gennaio 1914 17 16 Roma biglietto 23 febbraio 1914 18 17 Roma lettera 6 marzo 1914 19 18 Roma lettera 7 marzo 1914 20 19 Settignano cartolina 22 marzo 1914 21 20 Settignano lettera 10 aprile 1914 22 21 Settignano lettera 17 aprile 1914 23 22 Firenze lettera 6 maggio 1914 24 23 Cremona lettera 17 maggio 1914 25 24 Porlezza cartolina [27 maggio 1914] 26 25 Porlezza lettera 31 maggio 1914 27 26 Lugano? lettera [5 giugno 1914] 28 28 Lugano lettera [7/8 giugno 1914] 29 27 Lugano lettera 9 giugno 1914 30 30 Lugano cartolina [12 giugno 1914] 31 31 Lugano cartolina 13-15 giugno 1914 32 32 Lugano cartolina [24 giugno 1914] 33 33 Lugano cartolina [27 giugno 1914] 34 34 Lugano cartolina [30 giugno 1914] 35 35 Lugano cartolina [22 luglio 1914] 36 36 Lugano cartolina 23 agosto 1914 37 37 Lugano cartolina 31 agosto 1914] 38 29 Lugano lettera [inizio settembre 1914] Casalmaggiore 39 38 cartolina [10 settembre 1914] (Cremona) Casalmaggiore 40 39 lettera [20 settembre 1914] (Cremona) 41 40 Roma [21 ottobre 1914] 42 41 Roma lettera 28 ottobre 1914 43 42 Roma biglietto [5 novembre 1914] 44 43 Roma biglietto [8 novembre 1914] 45 44 Roma biglietto [10 novembre 1914] 46 45 Roma biglietto [18 novembre 1914] 47 48 Roma cartolina [20-23] novembre 1914 48 46 Roma lettera [27 novembre ca 1914]

437 49 49 Roma cartolina [4 dicembre 1914] 50 50 Roma cartolina [19 dicembre 1914] 51 51 Roma telegramma 21 dicembre 1914 52 52 Roma lettera [23/24 dicembre 1914] [fine dicembre 1914 - 53 199 Roma lettera inizio gennaio 1915] 54 55 Roma biglietto 3 gennaio 1915 55 53 Roma biglietto [21 gennaio 1915] 56 54 Roma biglietto [27 gennaio 1915] 57 47 Roma lettera [fine gennaio 1915] 58 57 Roma biglietto [24 febbraio 1915] 59 58 Roma biglietto [4 marzo 1915] 60 59 Roma biglietto [7 aprile 1915] 61 60 Roma lettera [12 aprile 1915] 62 61 Roma biglietto [19 aprile 1915] 63 62 Corneto lettera 8 maggio 1915 64 63 Corneto lettera 13 maggio 1915 65 64 Corneto lettera 13 maggio 1915 66 65 Corneto lettera 16 maggio 1915 67 66 Corneto lettera 21 maggio 1915 68 200 Corneto lettera [fine maggio 1915] 69 67 Corneto lettera [giugno 1915] 70 68 Corneto lettera [1 luglio 1915] 71 69 Roma biglietto [28 luglio 1915] 72 70 Roma lettera [30 luglio 1915] 73 71 Gavignana Pistoiese lettera [4 agosto 1915] 74 72 S. Marcello Pistoiese cartolina [26 agosto 1915] 75 73 Firenze lettera [19 ottobre 1915] 76 74 Firenze lettera [5 novembre 1915] 77 75 Firenze cartolina [13 novembre 1915] 78 76 Firenze cartolina [9 dicembre 1915] 79 77 Firenze cartolina [17 dicembre 1915] 80 78 San Remo cartolina [6 gennaio 1916] 81 79 San Remo cartolina [16 gennaio 1916] 82 80 San Remo cartolina [22 gennaio 1916] 83 81 San Remo lettera [31 gennaio 1916] 84 82 San Remo cartolina [20 febbraio 1916] 85 83 San Remo lettera [4 marzo 1916] 86 84 San Remo lettera [23 marzo 1916] Alessandria 87 85 cartolina [8 aprile 1916] (presso Cecchi) 88 86 San Remo cartolina [19 aprile 1916] 89 87 San Remo lettera [7 maggio 1916] 90 88 San Remo cartolina [3 giugno 1916] 91 89 Como cartolina [8 giugno 1916] 92 90 Como lettera [11 giugno 1916] 93 91 Como cartolina [19 giugno 1916] 94 92 Como cartolina [27 giugno 1916] 95 93 Como cartolina [28 giugno 1916] 96 94 Como - Cernobbio lettera [7 luglio 1916] 97 95 Como busta [8 luglio 1916] 98 96 Cernobbio cartolina [10 luglio 1916] 99 97 Cernobbio cartolina [22 luglio 1916] 100 98 Cernobbio cartolina [3 agosto 1916] 101 99 Como cartolina [16 agosto 1916] 102 100 Como cartolina [19 agosto 1916]

438 103 101 Como lettera [7 settembre 1916] 104 102 Firenze cartolina [15 settembre 1916] 105 103 Roma lettera [3 ottobre 1916] 106 104 Roma cartolina [16 ottobre 1916] 107 105 Roma lettera [20 ottobre 1916] 108 106 Roma biglietto [30 ottobre 1916] 109 107 Roma lettera [ca. metà novembre 1916] 110 108 Roma lettera [29 novembre 1916] 111 109 Roma lettera [1 dicembre 1916] 112 110 Roma biglietto [9 dicembre 1916] 113 117 Roma lettera [gennaio ca. 1917] 114 111 Roma lettera [20 gennaio 1917] 115 112 Roma lettera [14 febbraio 1917] 116 113 Roma lettera [19 febbraio 1917] 117 114 Roma lettera [24 febbraio 1917] 118 115 San Remo lettera [28 febraio 1917] 119 116 San Remo lettera [20 marzo 1917] 120 118 Milano lettera [27 ottobre 1917] 121 119 Roma biglietto [14 novembre 1917] 122 120 Roma biglietto [21 novembre 1917] 123 56 Roma lettera [22 novembre 1917] 124 121 Roma cartolina [30 novembre 1917] 125 122 Roma cartolina 12 dicembre 1917 126 123 Roma cartolina [28 dicembre 1917] 127 125 Roma lettera 11 gennaio 1918 4 [febbraio] 1918 128 124 Roma lettera (indicato gennaio) 129 126 Roma lettera 23 febbraio 1918 130 127 Roma biglietto [12 marzo 1918] 131 129 Roma lettera [4 aprile 1918] 132 130 Roma lettera [inizio maggio 1918] 133 131 Roma lettera [22 maggio 1918] 134 133 Roma lettera [16 giugno 1918] 135 134 Roma lettera [29 giuno 1918] 136 135 Roma lettera [fine giugno 1918] 137 136 Roma lettera [8 luglio 1918] 138 137 Roma lettera 22 luglio 1918 30 [luglio] 1918 139 138 Roma lettera (indicato giugno) 140 139 Roma lettera 8 agosto 1918 141 140 Roma cartolina [12 settembre 1918] 142 141 Roma lettera 19 settembre 1918 143 142 Roma cartolina [4 ottobre 1918] 144 143 Roma lettera 16 dicembre 1918 145 144 Roma lettera 24 dicembre 1918 146 145 Roma lettera [21 febbraio 1919] 147 146 Roma lettera 16 marzo 1919 148 147 Roma lettera 1 aprile 1919 149 148 Roma cartolina 7 aprile 1919 150 149 Roma cartolina 22 aprile 1919 151 150 Firenze cartolina 3 maggio 1919 152 151 Milano lettera 18 maggio 1919 153 152 Milano lettera 24 maggio 1919 154 153 Milano cartolina 28 maggio 1919 155 132 Milano lettera 2 giugno [1919] 156 155 Milano cartolina [17 giugno 1919]

439 157 156 Milano lettera 22 giugno 1919 158 157 Milano cartolina 25 giugno 1919 159 158 Milano lettera 29 giugno 1919 160 159 Roma lettera 19 settembre 1919 161 160 Roma lettera 5 novembre 1919 162 161 Roma cartolina 12 dicembre 1919 163 162 Roma lettera 23 dicembre 1919 164 163 Firenze lettera 6 marzo 1920 165 164 Milano cartolina 26 maggio 1920 166 165 Milano lettera 29 maggio 1920 167 166 Milano lettera 4 giugno 1920 168 167 Milano cartolina 9 giugno 1920 169 168 Milano lettera 17 giugno 1920 170 169 Bellagio cartolina 18 giugno 1920 171 170 Bellagio lettera giugno-luglio ca. 1920 172 171 Bellagio lettera 10 luglio 1920 173 172 San Remo lettera 25 luglio 1920 174 173 San Remo lettera 9 agosto 1920 175 174 Roma lettera 1 settembre 1920 25 [ottobre] 1920 176 175 Roma lettera (indicato luglio) 177 176 Roma lettera 7 novembre 1920] 178 177 San Remo lettera 1 ottobre 1921 179 178 San Remo lettera 23 ottobre 1921 180 179 San Remo lettera 24 febbraio 1922 181 180 Roma lettera 1 giugno 1922 182 181 Roma lettera 29 giugno 1922 183 182 Roma lettera 1 luglio 1922 184 183 Roma lettera 4 luglio 1922 185 184 Roma lettera 5 luglio1922 186 185 Roma lettera 13 luglio 1922 187 186 Roma lettera 18 luglio 1922 188 187 Graz lettera 31 ottobre 1922 189 188 San Remo cartolina 5 novembre 1922 190 189 San Remo lettera 10 novembre 1922 191 190 San Remo lettera 16 novembre 1922 192 191 San Remo lettera 11 dicembre 1922 193 192 San Remo lettera 22 febbraio 1923 194 193 San Remo lettera 7 aprile 1923 195 194 Milano lettera 20 aprile 1923 Antoliva 196 195 lettera 30 ottobre 1923 (Lago Maggiore) 197 196 Roma lettera 7 febbraio 1925 198 197 Anacapri lettera 5 settembre 1925 199 198 Anacapri lettera 9 ottobre 1925

Appendice

n. inventario Allegato Fondo Luogo Formato Data n. Bacchelli

lettera di Carlo Linati 1 87E Milano 28 aprile 1916 ad Emilio Cecchi

2 128 estratto «Il Tempo» 18 marzo 1918

440 Suddivisione dei fascicoli secondo la numerazione di inventario del Fondo Bacchelli:

Fasc. 1 (1910-1915) = Lettere 1-77 Fasc. 2 (1916-1917) = Lettere 78-124 Fasc. 3 (1918-1919) = Lettere 125-162 Fasc. 4 (1920-1925) = Lettere 163-201

441

INDICE DEGLI SCRITTI RONDESCHI CITATI NEL CARTEGGIO

1919.

BACCHELLI R., Amleto. Cinque atti 1918. Atto primo, «La Ronda», a. I., n. 1, aprile 1919, pp. 18-40; Atto secondo, ivi, n. 2, maggio 1919, pp. 10-24.

BACCHELLI R., recensione a J. Benda, Les sentiments de Critias, Paris, Émile-Paul Frères Éditeurs, 1917, «La Ronda», a. I., n. 1, aprile 1919, pp. 75-77.

BACCHELLI R., Barzelletta, «La Ronda», a. I., n. 1, aprile 1919, p. 77.

[CARDARELLI V.], Prologo in tre parti, «La Ronda», a . I., n. 1, aprile 1919, pp. 3-6.

CARDARELLI V., [Introduzione all’Amleto di Bacchelli], «La Ronda», a. I., n. 1, aprile 1919, pp. 17-18, ora con il titolo Introduzione all'«Amleto» di Riccardo Bacchelli, in ID., Lettera a un vecchio amico ed altri scritti, a cura di M. Boni, Bologna, Edizioni Italiane Moderne, 1970.

CARDARELLI V., La luce, «La Ronda», a. I, n. 1, aprile 1919, p. 53.

KORACH M., Ritorni inutili a inutili paesi. I. Paesi slavi del Nord, «La Ronda», a. I., n. 1, aprile 1919, pp. 54- 57.

MONTANO L. [LEBRECHT D.], Medardo, o una meditazione fra due tempi, «La Ronda», a. I, n. I, aprile 1919, pp. 7-15.

MONTANO L. [LEBRECHT D.], Itinerario di un bighellone. Quaderno primo. I, II «La Ronda», a. I, n. 2, maggio 1919, pp. 37-46; Quaderno primo III, IV, V, VI, VII, ivi, n. 3, giugno 1919, pp. 34-47; Quaderno primo VIII, IX, X, XI, XII, ivi, n. 4 luglio-agosto 1919, pp. 35-43; Quaderno primo XIII, XV, ivi, n. 5, settembre 1919, pp. 34-39.

CECCHI E., Comunicazione Accademica, «La Ronda», a. I., n. 2, maggio 1919, pp. 4-9.

BACCHELLI R., Giovita Scalvini. Un caso letterario, «La Ronda», a. I, n. 3, giugno 1919, pp. 61-65.

BACCHELLI R., «Ad Arimane» di G. Leopardi, «La Ronda», a. I, n. 3, giugno 1919, pp. 66- 67.

CARDARELLI V., Favole della genesi. I. Il Fuoco (introduzione al «Diluvio»), II. Il Peccato, III. Caino, «La Ronda», a. I., n. 3, giugno 1919, pp. 4-12.

MONTANO L. [LEBRECHT D.], Il ratto d’Arianna, «La Ronda», a. II, n. 6, giugno 1919, pp. 5-16.

BACCHELLI R., Punti di vista, «La Ronda», a I., n. 4, luglio-agosto 1919, p. 56.

443

CARDARELLI V., Il Diluvio, «La Ronda», a. I, n. 4, luglio-agosto 1919, pp. 26-31.

CARRÀ C., Paolo Cézanne, «La Ronda», a . I, n. 4, luglio-agosto 1919, pp. 48-55.

BACCHELLI R., Risposta per uno e per molti, «La Ronda», a. I, n. 5, settembre 1919, pp. 65-67.

CARDARELLI V., A quei di là, «La Ronda», a. I, n. 5, settembre 1919, pp. 62-65.

CARDARELLI V., Decadenza del genio, Il poeta precoce, La parola, «La Ronda», a. I, n. 5, settembre 1919, pp. 67-70.

RAIMONDI G., recensione a Rosso di san Secondo, Io commemoro Loletta, Milano, Fratelli Treves, 1919, «La Ronda», a. I, n. 5, settembre 1919, pp. 74-78.

[s.a.], Pascoli e noi, «La Ronda», a. I, n. 6, ottobre 1919, pp. 3-4.

BACCHELLI R., Memorie del tempo presente. I. La vita Anteriore. II. Introduzione, «La Ronda», a. I, n. 6 ottobre 1919, pp. 5-10; Quota 208, ivi, n. 7, novembre 1919, pp. 43-52; Considerazioni sulla storia, ivi, n. 8, dicembre 1919, pp. 14-23.

CARDARELLI V., Il sonno di Noè, «La Ronda», a. I, n. 6, ottobre 1919, pp. 14-18.

DE QUINCEY T., Bussano alla porta di Macbeth (versione di C. Linati), «La Ronda», a. I, n. 6, ottobre 1919, pp. 40-44.

LINATI C., Il gregge armonioso, «La Ronda», a. I, n. 6, ottobre 1919, pp. 29-33.

CECCHI E. ET AL., Discussione su Pascoli, scritti di E. Cecchi, A. Gargiulo, C. Angelini, R. Bacchelli, N. Scalia, «La Ronda», a. I, n. 7, novembre 1919, pp. 16-17.

BALDINI A., Guarda chi si rivede, «La Ronda», a. I, n. 7, novembre 1919, p. 111.

CARDARELLI V., Cronologia leopardiana, «La Ronda», a. I, n. 7, novembre 1919, pp. 102- 103.

CARRÀ C., L’arte parigina, «La Ronda», a. I, n. 7, novembre 1919, pp. 82-91.

BACCHELLI R., Dichiarazione del nostro orgoglio e minori considerazioni, «La Ronda», a. I, n.8, dicembre 1919, pp. 62-67.

BACCHELLI R., Amore o morte, «La Ronda», a. I, n.8, dicembre 1919, pp. 67-68.

LA SOCIETÀ ANONIMA EDITRICE LA VOCE, Ai lettori, agli abbonati, «La Ronda», a. I, n. 8, dicembre 1919, pp. 83-84.

444 1920.

BACCHELLI R., Spartaco e gli schiavi. Atto primo, «La Ronda», a. II, n. 1, gennaio 1920, pp. 16-38; Atto secondo, ivi, n. 2, febbraio 1920, pp. 95-121; Atto terzo, ivi, n. 3, marzo 1920, pp. 176-197; Atto quarto, ivi, n. 4, aprile 1920, pp. 249-278.

BACCHELLI R., L’inutile chintana, «La Ronda», a. II, aprile 1920, pp. 52-58.

BACCHELLI R., recensione a V. Cardarelli, Viaggi nel Tempo, «La Ronda», a. II, n. 2, febbraio 1920, pp. 58-62.

BACCHELLI R., Studii. La Bellezza dell’Universo, «La Ronda», a. II, n. 4, aprile 1920, pp. 60-62.

BACCHELLI R., Dialogo tra Dioniso e Filosseno, «La Ronda», a. II, n. 4, aprile 1920, pp. 65-67.

CECCHI E., Venezia minore, «La Ronda», a. II, n. 4, aprile 1920, pp. 5-8.

RAIMONDI G., recensione a A. Gide, Il Prometeo male incatenato. Prima traduzione italiana. Vallecchi editore, Firenze, 1920, «La Ronda», a. II, aprile 1920, pp. 72-73.

RAIMONDI G., recensione a H. Matisse, Par Marcel Sembrat, Nouvelle Revue Francaise, 1920, «La Ronda», a. II, aprile 1920, pp. 74-75.

BACCHELLI R., Dialogo di Seneca e Burro, «La Ronda», a. II, n. 5, maggio 1920, pp. 5-8.

BACCHELLI R., Apologia, Esercitazioni, Riflessioni sullo stile polemico, Sermone, «La Ronda», a. II, n. 5, maggio 1920, pp. 41-47.

SAVINIO A., Delle cose notturne, «La Ronda», a. II, n. 5, maggio 1920, pp. 25-34.

GARGIULO A., In famiglia (I), «La Ronda», a. II, n. 6, giugno 1920, pp. 17-28 .

CARDARELLI V., Diluvio, «La Ronda», n. 7, luglio 1920, pp. 30-33.

RAIMONDI G., Orfeo all’Inferno, «La Ronda», a. II, n. 7, luglio 1920, pp. 34-42.

CARDARELLI V., Dico a te, nuora (Risposta ad un critico), «La Ronda», a. II, n. 8-9, agosto-settembre 1920, pp. 66-74.

GARGIULO A., In famiglia (II), «La Ronda», a. II, n. 8-9, agosto-settembre 1920, pp. 42- 54.

BACCHELLI R., Farina accademica e Crusca idealista, «La Ronda», n. 8-9, agosto- settembre 1920, pp. 76-82.

CARDARELLI V., Rifacitori del linguaggio, «La Ronda», a. I, n. 12, dicembre 1920, pp. 45- 48.

445 1921.

[BACCHELLI R.], Polemiche di costume, «La Ronda», a. III, n. 6, giugno 1921, pp. 50- 53.

BACCHELLI R., recensione a A. Soffici, Lemmonio Boreo, Firenze, 1921, «La Ronda», a. III, n. 8-9, agosto-settembre 1921, pp. 87- 91.

1922.

CARDARELLI V., Calepino dantesco (Definizioni di lingua tolte dalle «Opere minori»), «La Ronda», a. IV, n. 2, febbraio 1922, pp. 13-34.

CARDARELLI V., De Sanctis e della nostra lingua, «Ronda», a. IV, n. 2, febbraio 1922, ora con il titolo Parere su De Sanctis in ID., Opere, a cura di C. Martignoni, Milano, Mondadori, 2007, pp. 956-964.

CARDARELLI V., Indiscrezioni sul teatro di prosa, «La Ronda», a. IV, n. 3-4, marzo-aprile 1922, pp. 37- 55.

KORACH M., Siddarta, filosofo indiano (Dai «Siddarta» - Sutra), «La Ronda», a. IV, n. 3- 4, marzo-aprile 1922, pp. 5-15.

BACCHELLI R., La cambiale. Dialogo tra due morti di secolo diverso, «La Ronda», a. IV, n. 5, maggio 1922, pp. 42-50.

[KORACH M.], Nietzsche e Leopardi, da Carte edite e inedite di Nietzsche, redatte e tradotte da Marcello Cora, «La Ronda», a. III, n. 6 giugno 1922, pp. 5-17.

CARDARELLI V., Memorie della mia infanzia, «La Ronda», n. 7-8, luglio-agosto 1922, pp. 4-12.

BACCHELLI R., Presso i termini del destino, «La Ronda», a. IV, n. 7-8, agosto-settembre 1922, pp. 13- 49.

1923.

CARDARELLI V., La Fine di Sodoma, «La Ronda», n. 12, dicembre 1923, pp. 35-49.

446 INDICE DEGLI ALTRI TESTI E SCRITTI CITATI NELL’EPISTOLARIO

DE SANCTIS F., «Alla sua donna». Poesia di Giacomo Leopardi, «Cimento», a. III, vol. VI, dicembre 1855, pp. 1023-1027, in ID., Saggi critici, a cura di L. Russo, Bari, Laterza, 1963, vol. I, pp. 226-243.

DE SANCTIS F., Francesca da Rimini secondo i critici e secondo l’arte, «Nuova Antologia», a. IV, vol. X, gennaio 1869, pp. 33-46, in ID., Saggi critici, a cura di L. Russo, Bari, Laterza, 1963, vol. I, pp. 240-256.

DE SANCTIS F., Il Farinata di Dante, «Nuova Antologia», a. IV, vol. XI, maggio 1869, pp. 43-65, in ID., Saggi critici, a cura di L. Russo, Bari, Laterza, 1963, vol. II, pp. 281-308.

LAFORGUE J., Moralités Legandairés, Paris, La Revue indépendante, 1887.

ROLLAND R., Beethoven, Paris, Cahiers de la quinzaine, 1903.

DUVAL G., L'oeuvre shakespearienne, Paris, Flammarion, 1910.

CARDARELLI V., Il Tasso, uomo, «Il Marzocco», 23 giugno 1912, p. 4, in ID., Opere complete, a cura di G. Raimondi, Milano, Mondadori, 1962, pp. 1012-1019.

[s.a.] Il figlio dell’on. Bacchelli ferito in uno scontro automobilistico, «Il Resto del Carlino», 19 settembre 1912, p. 6.

BACCHELLI R., Su un libro di versi di un giovane triestino: Umberto Saba, «La Voce», 12 dicembre 1912, p. 956.

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BACCHELLI R., Immagine di Venezia, «Il Tempo», 9 maggio 1918.

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CARDARELLI V., Parole Povere. Il mio addio a Pascoli; Corollari antipascoliani; Decadenza del genio; Il poeta precoce, «La Raccolta», novembre-dicembre 1918, n. 9-10, pp. 105-112.

449 Saffi A. E., Voce, Solarità, «La Raccolta», novembre-dicembre 1918, n. 9-10, p. 115.

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[s.a.], recensione a «La Ronda», in Notizie letterarie «Idea Nazionale», 20 aprile 1919, p. 3.

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JANNI E., recensione a Vincenzo Cardarelli, Viaggi nel Tempo, «Corriere della Sera», 29 maggio 1920, p. 2.

[s. a.] Simulazione di furto?, «Eco della Riviera», 22 agosto 1920.

GOBETTI P., recensione a Vincenzo Cardarelli, Viaggi nel Tempo, «Poesia ed Arte», a. II, n. 9, settembre 1920.

CHUZEVILLE J., Anthologie des poetes italiens contemporains (1880-1920), introduction par M. Maurice Mignon, Paris, Editions de la Bibliotheque Universelle, 1921.

BACCHELLI R., Lo sa il tonno ossia gli esemplari marini. Favola mondana e filosofica, Milano, «Bottega di Poesia», 1923.

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CARDARELLI V., Memorie dell’infanzia,«L’Esame», fasc. IX, 30 settembre 1923, pp. 709- 717.

CECCHI E., Favole e Memorie, «Il Secolo», 19 giugno 1925, pp. 746-750, in ID., Letteratura italiana del ‘900, Milano, Mondadori, 1972, vol. II, pp. 737-742.

BINAZZI B., Cardarelli, «Il Resto del Carlino», 24 giugno 1925, p. 3.

450 MIGNOSI P., Ritorno di Leopardi, «Il Baretti», n. 12, 1 agosto 1925, pp. 49-50.

RAIMONDI G., Riccardo Bacchelli, «Il Baretti», n. 12, 1 agosto 1925, pp. 50-51.

CARDARELLI V., Il risorgimento e Cavour, «Il Tevere», 2 settembre 1925, p. 36.

LODOLINI A., Le sciocchezze di Giuseppe Mazzini, «Il Tevere», 3 ottobre 1925, p. 5.

RAIMONDI G., recensione a V. Cardarelli Favole e memorie, «Il Convegno», a. VI, n. 10- 11-12, 25 dicembre 1925, p. 644.

BALDINI A., Tastiera, «Corriere della Sera», 1 giugno 1955, in ID., Tastiera, a cura di N. Vian, «Quaderni dell’Arcadia», Roma, Fratelli Palombi, 1977-80, vol. III, pp. 173-174.

451

FONTI

FONTI D’ARCHIVIO.

Documenti epistolari inediti autografi

Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Fondo Bacchelli.

Epistolario inedito di Vincenzo Cardarelli a Riccardo Bacchelli. Busta 8, fasc. 1-4, nn. 1- ∗ 201.

Lettera inedita di Emilio Cecchi a Riccardo Bacchelli del 1/11/1913. Busta 9, fasc. 1, n. 1.

Lettera inedita di Aurelio Saffi a Riccardo Bacchelli del 12/08/1918. Busta 15, fasc. 28, n. 2.

Lettera inedita di Aurelio Saffi a Riccardo Bacchelli del 19/12/1918. Busta 15, fasc. 28, n. 3.

Lettera inedita di Aurelio Saffi a Riccardo Bacchelli del 21/01/1919. Busta 15, fasc. 28, n. 5.

FONTI A STAMPA

Opere in volume di Riccardo Bacchelli

BACCHELLI R., Il filo meraviglioso di Ludovico Clò, Bologna, Cuppini, 1911.

BACCHELLI R., Poemi lirici, Bologna, Zanichelli, 1914.

BACCHELLI R., Amleto: dramma in cinque atti, Roma, La Ronda editrice, 1923.

BACCHELLI R., Amleto 1918: cinque atti, Milano, Mondadori, 1957.

BACCHELLI R., Memorie del tempo presente, testo, prefazione, cronache, commenti alle edizioni e alle rappresentazioni, Milano, Mondadori, 1957.

BACCHELLI R., Memorie del tempo presente, Milano, Mondadori, 1961.

BACCHELLI R., Amleto 1918: Cinque atti di Riccardo Bacchelli. Testo, prefazioni, cronache, commenti alle edizioni e alla rappresentazione pubblicati da Arnoldo Mondadori per dare il benvenuto all'autore nella casa editrice, Milano, Mondadori, 1972.

∗ Per l’elenco dettagliato delle lettere si rimanda all’Indice comparativo dell’epistolario.

453 Opere in volume di Vincenzo Cardarelli

CARDARELLI V., Prologhi, Milano, Studio editoriale lombardo, 1916.

CARDARELLI V., Viaggi nel tempo, Firenze, Vallecchi, 1920.

CARDARELLI V., Favole e Memorie, Milano, «Bottega di Poesia», 1925.

CARDARELLI V., Prologhi. Viaggi. Favole, Lanciano, Carabba, 1931.

CARDARELLI V., Poesie, a cura di G. Ferrata, Verona, Mondadori, 1942.

CARDARELLI V., Lettere non spedite, Roma, Astrolabio, 1946.

CARDARELLI V., Prologhi. Viaggi. Favole, Lanciano, Carabba, 1946.

CARDARELLI V., Opere Complete, a cura di G. Raimondi, Milano, Mondadori, 1962.

CARDARELLI V., Pagine sparse (1904-1912), a cura di C. Martignoni, Roma, Bulzoni, 1988.

CARDARELLI V., Opere, a cura di C. Martignoni, Milano, Mondadori, 2007 (VII edizione).

Epistolari e Carteggi editi di Riccardo Bacchelli e Vincenzo Cardarelli

CARDARELLI V., Lettere d’amore a Sibilla Aleramo, a cura di G.A. Cibotto e B. Blasi, Roma, Newton Compton, 1974.

CARDARELLI V., Epistolario. (1907-1929), Tarquinia, Lions Club di Tarquinia, 1978.

CARDARELLI V., Epistolario, a cura di B. Blasi, Tarquinia, «Centro studi cardarelliani» del Lions club, 1981.

CARDARELLI V., Epistolario, a cura di B. Blasi, introduzione di O. Macrì, vol. I (1907- 1915), vol. II (1916-1932), Roma, Ebe, 1987.

BACCHELLI R., Bacchelli-Cardarelli-Korach: lettere inedite (1919-1975), a cura di C. di Biase, Salerno, EDISUD, 1990.

CARDARELLI V., Assediato dal silenzio: lettere a Giuseppe Raimondi, a cura di C. Martignoni, Montebelluna, Amadeus, 1990.

454 Altri epistolari e carteggi editi

BOINE G., Carteggio. I. Giovanni Boine - Giuseppe Prezzolini (1908-1915), a cura di M. Marchione e S.E. Scalia, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1971.

BOINE G., Carteggio. III. Giovanni Boine - Amici del «Rinnovamento», a cura di M. Marchione e S.E. Scalia, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1977.

BOINE G., Carteggio. IV. Giovanni Boine – Amici della Voce, vari (1904-1917), a cura di M. Marchione e S.E. Scalia, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1979.

CECCHI E., Mostra bio-bibliografica, Palazzo strozzi – Firenze 28 aprile- 26 maggio 1979, a cura di R. Fedi e C. D’Amico de Carvalho, Firenze, Arti grafiche C. Mori, 1979.

PAPINI G., Catalogo della mostra a cura di M. Marchi e J. Soldateschi, Firenze, Vallecchi, 1981.

BOINE G., Carteggio. II. Giovanni Boine - Emilio Cecchi (1911-1917), a cura di M. Marchione e S.E. Scalia, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1983.

GHIGLIA O., Oscar Ghiglia e il suo tempo, a cura di P. Stefani, Firenze, Vallecchi, 1985.

SOFFICI A., Lettere a Prezzolini. 1908-1920, a cura di A. Manetti Piccinini, Firenze, Vallecchi, 1988.

BASTIANELLI G., Gli scherzi di Saturno. Carteggio 1907-1927, a cura di M. de Angelis, Firenze, Libreria Musicale Italiana, 1991.

PAPINI G., SOFFICI A., Carteggio. II 1908-1915. Da «La Voce» a «Lacerba», a cura di M. Richter, Edizioni di storia e letteratura, Fiesole, Fondazione Primo Conti, 1999.

CECCHI E., Carteggi Cecchi, Onofri, Papini (1912-1917), a cura di C. D'Alessio, Milano, Bompiani, 2000.

CARRÀ C., PAPINI G., Documenti. Il carteggio Carrà-Papini. Da «Lacerba» al tempo di «Valori Plastici», Ginevra-Milano, Skira, 2001.

CONTI P., RAIMONDI G., Carteggio: 1918-1980, a cura di P. Mania, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2001.

PAPINI G., SOFFICI A., Carteggio. III 1916-1918. La Grande Guerra, a cura di M. Richter, Edizioni di storia e letteratura, Fiesole, Fondazione Primo Conti, 2002.

BALDINI A., CECCHI E., Carteggio (1911-1959), a cura di M. C. Angelini e M. Bruscia, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2003.

PAPINI G., Carteggio. II. Dalla nascita della Voce alla fine di Lacerba (1908-1915), a cura di S. Gentili e G. Manghetti, Roma, Edizioni di storia e letteratura, Lugano, Biblioteca cantonale, Archivio Prezzolini, 2008.

455 FONTI CRITICHE

Studi e contributi su Riccardo Bacchelli

ANDREOLI A. ET AL., Discorrendo di Riccardo Bacchelli, Milano, Napoli, Ricciardi, 1966.

BRIGANTI A., Riccardo Bacchelli, Firenze, La Nuova Italia, 1980.

PETRONIO G., L'attività letteraria in Italia: storia della letteratura italiana, Palermo, Palumbo, 1987.

GRAZIOSI E., Dai "Poemi lirici" ad "Amore di poesia”, in M. Vitale (a cura di), Riccardo Bacchelli: lo scrittore, lo studioso, Atti del Convegno di Studi, Milano 1987, Modena, Mucchi, 1990, pp. 71-106.

SCORRANO L., Due ‘capitoli’ per Bacchelli, «Otto/Novecento», a. XIV, n. 1, gennaio- febbraio, 1990, pp. 99-122.

VITALE M. (a cura di), Riccardo Bacchelli. Lo scrittore, lo studioso: atti del Convegno di studi, Milano, 8-10 ottobre 1987, Modena, Mucchi, 1990.

DONADONI OMODEO M., Riccardo Bacchelli e «L’infedele innocente», «Nuova Antologia», a. 137, n. 588, aprile-giugno 2002, pp. 114-120.

Studi e contributi su Vincenzo Cardarelli

ROMANI B., Cardarelli, Padova, CEDAM, 1943.

RISI R., Vincenzo Cardarelli prosatore e poeta, Berna, Franckie, 1951.

BONI M., Arlecchineschi. Appunti per ritratti o, pirandellianamente, ritratti da farsi. Cardarelli, Alvaro, Bologna, Edizioni Italiane Moderne, 1967.

DE MATTEIS G., Cultura e poesia di Vincenzo Cardarelli, Lucera, Costantino Catalano, 1971.

CONTINI G., Lettera da non spedire a Vincenzo Cardarelli, in ID., Altri esercizi (1942- 1971), Einaudi, Torino, 1972.

DI BIASE C., Invito alla lettura di Vincenzo Cardarelli, Milano, Mursia, 1975.

FUSELLI R., Sul cammino di Cardarelli, Bologna, Boni, 1985.

GRAZIOSI E., Campana, Cardarelli e Bacchelli: lettere e documenti inediti, «Filologia e critica», a. XIII, n.1, 1988, pp. 83-101.

GUBERT C., Era già il tempo di ritrovarsi altrove. Cardarelli e Bacchelli al tempo de «La Voce», «Rivista di Letteratura Italiana», a. 22, n. 3, 2004, pp. 95-98.

456 Studi e contributi su «La Ronda»

MONTANO L. [LEBRECHT D.], Primo dopo guerra romano (1919 e oltre), «Nuova Antologia», a. LXXXIX, fasc. 1846, ottobre 1954, pp. 175-180.

RAVEGNANI G., La Ronda, «Almanacco letterario Bompiani», 1960, p. 59.

SALINARI C., Preludio e fine del realismo in Italia, Napoli, Morano, 1961.

SCRIVANO R., «La Ronda» e la cultura del Novecento in Riviste scrittori e critici del Novecento, Firenze, Sansoni, 1965, pp.11-36.

[s.a.] L’«Approdo» ha superato la sua millesima trasmissione, «L’Approdo letterario», a. XIII, n. 38, aprile-giugno 1967.

CASSIERI G. (a cura di), I Cinquant’anni della «Ronda», «L'Approdo Letterario», a. XV, n. 46, 1969, pp. 89-104.

DI BIASE C., La Ronda e l’impegno, Napoli, Liguori, 1971.

FAVA GUZZETTA L., Un incunabolo della «Ronda»: «La Raccolta», «Studi Novecenteschi», a. I, n. 2, luglio 1972, pp. 201-209.

BONTEMPELLI M., L’Avventura novecentista, Firenze, Vallecchi, 1974.

CARETTI L., Antichi e moderni. Studi di letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1976.

MAXIA S., «La Ronda» e la prosa d’arte: Bruno Barilli, Antonio Baldini, Emilio Cecchi, in N. Badaloni, F. Fortini, S. Maxia, C. Muscetta, Il Novecento. Dal decadentismo alla crisi dei modelli, vol. IX, t. II, Bari, Laterza, 1976.

CICCHETTI A., RAGONE G., Le muse e i consigli di fabbrica. Il progetto letterario della «Ronda», Roma, Bulzoni, 1979.

SALINARI C., «La Ronda» e «Il Baretti»: impegno e disimpegno, in Letteratura Italiana. Novecento. I contemporanei. Gli scrittori e la cultura letteraria nella società italiana, a cura di G. Grana, Milano, Marzorati, 1982, vol. 5, pp. 3902-3910.

LUTI G., Firenze corpo 8: scrittori, riviste, editori del '900, Firenze, Vallecchi, 1983.

GIULIANI A., Autunno del Novecento: cronache di letteratura, Milano, Feltrinelli, 1984.

BIONDI M., «La Ronda» e il rondismo, in Il Novecento, a cura di G. Luti, Padova, Piccin Nuova Libraria, 1993, vol. II , pp. 655-698.

VALLI D., La Ronda e i rondisti, in N. Borsellino, W. Pedullà (diretta da), Storia generale della letteratura italiana, Milano, Federico Motta Editore, 1999, vol. X, pp. 1012-1035.

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CASSIERI G., «La Ronda» 1919-1923, Napoli, Liguori, 2001.

PUPINO A.R., Ragguagli di modernità: Fogazzaro, Pirandello, «La Ronda», Contini, Morante, Roma, Salerno, 2003.

LANGELLA G., Cronache letterarie italiane. Il primo Novecento dal «Convito» all’«Esame», Roma, Carocci, 2004.

Testi, studi e contributi relativi al contesto culturale del carteggio

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[articolo siglato E. P.], Qual differenza, «La città di Brindisi», a. 13, n. 32, 13 ottobre 1912, p. 1.

SERRA R., Le lettere, Roma, Bontempelli e Invernizzi, 1914.

[s.a.] Rinnovamento, «Energie Nove», a. I, n. 1, 1-15 novembre 1918, p. 2.

[s.a.] Battute di preludio, «L’Ordine Nuovo», a. I., n. 1, 1 maggio 1919, p. 1.

[s.a.] Programma di lavoro, «L’Ordine Nuovo», a. I., n. 1, 1 maggio 1919, p. 2.

CROCE B., G. De Ruggiero, La commedia degli equivoci – nel Resto del carlino 2 settembre 1921, «La Critica», a. 19, n. VII, 1921, pp. 363-364.

MORMINO G., Alfredo Panzini, Società editrice Dante Alighieri, Roma-Milano-Napoli, 1927.

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ANTONIONI M. ET AL., Nello Quilici: l’uomo, il giornalista, lo studioso, il maestro, con scritti di Antonioni, Baldini, Belli, Bottai, Calura, Cardarelli, Colamarino, Fortunati, Fovel, Galassi, Gardenghi, Marchiori, Nosari, Padovani, Pennisi, Visconti, Viviani, Zaghi, Ferrara, Edizioni “Nuovi Problemi”, 1941.

458 BOGAN L., La poesia in America. 1900-1950, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1954.

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463

INDICE

TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI……………………………………………………………1

INTRODUZIONE 1. LA DIMENSIONE EPISTOLARE TRA LETTERATURA E VITA……………………………3 2. GLI ANNI DELLA «RONDA» NELLA SCRITTURA PRIVATA…………………………..40

NOTA AL TESTO…………………………………………………………………………...61

EPISTOLARIO CARDARELLI-BACCHELLI (1910-1925)…………………………………..65

APPENDICI 1. ALLEGATO1………………………………………………………………………431 2. ALLEGATO2………………………………………………………………………433 INDICI 1. INDICE DELL’EPISTOLARIO ……………………………………………………….437 2. INDICE DESGLI SCRITTI RONDESCHI………………………………………………443 3. INDICE DEGLI ALTRI TESTI E SCRITTI CITATI NELL’EPISTOLARIO………………….447

FONTI E BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………………453

465

A conclusione di una ricerca tanto appassionante quanto articolata, sono molte le persone che vorrei ringraziare per l’aiuto e la collaborazione dimostratami.

Un dovuto e sentito ringraziamento a Bruno Blasi, erede di Vincenzo Cardarelli, e a Mario Ferrerati Ferrarone, erede di Riccardo Bacchelli, per avermi concesso di riprodurre e trascrivere tutto l’epistolario, permettendomi così di affrontare il lavoro di tesi altrimenti non realizzabile. I colloqui tarquinesi con Bruno Blasi, in particolare, li ricordo con molto entusiasmo per la passione e la curiosità che hanno alimentato in me sull’uomo e poeta Cardarelli.

Di fondamentale aiuto e importanza sono state la Dott.ssa Anna Manfron e la Dott.ssa Patrizia Busi,responsabili del Fondo Bacchelli presso la biblioteca comunale dell’Archiginnasio di Bologna, per avermi sempre agevolato, nella maniera più cordiale e disponibile, per la riproduzione dell’epistolario cardarelliano e per la consultazione del materiale inedito del Fondo Bacchelli.

Per l’aiuto offertomi durante i miei ripetuti tentativi di ricerca del manoscritto dell’«Infedele innocente» di Bacchelli, ringrazio Stefania Gitto, responsabile del Fondo Omodeo, presso l’Istituto Superiore di Studi Musicali “Rinaldo Franci” di Siena, e il Prof. Marcello de Angelis, per la disponibilità con cui mi ha messo in contatto con gli eredi di Giannotto Bastianelli. Un sincero grazie va infatti a Mario Natucci, nipote del musicista, non solo per avermi aiutato, in brevissimo tempo, a sapere dove siano collocate attualmente le carte di Giannotto, ma soprattutto per l’entusiasmo e la passione con cui ha condiviso con me questa ricerca.

Ringrazio inoltre la Dott.ssa Caterina del Vivo, responsabile dell’Archivio Storico del Gabinetto Vieussieux, per avermi aiutato a sciogliere la confusa questione della pensione Cantoni donata a Cardarelli, altro punto enigmatico dell’epistolario sino ad ora confuso o taciuto nelle biografie del poeta.

Molte delle persone appena citate, tuttavia, non le avrei raggiunte senza l’indicazione e l’aiuto della Prof.ssa Simona Costa, alla quale va un pensiero di sentita gratitudine per aver saputo cogliere sin da subito il mio interesse per questa ricerca, guidandomi nella giusta direzione ad ogni nuova fase del lavoro e non mancando mai a consigli quanto mai necessari, oltre che sempre rispettosi dell’individualità del mio percorso di ricerca.

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