Il 29 Aprile 1986 Viene Arrestato L'esponente Democristiano Giuliano
Total Page:16
File Type:pdf, Size:1020Kb
Terrorismo Brigate rosse Il sequestro Cirillo e i delitti della colonna napoletana IL PROCESSO (“FARSA”) PER LA TRATTATIVA Il caso Cirillo consta di due distinti capitoli giudiziari: il processo agli esponenti della colonna napoletana delle Brigate rosse, responsabili del sequestro dell’esponente politico, dell’assassinio dei componenti della scorta e dei delitti commessi in Campania e il procedimento-stralcio relativo alle trattative che condussero alla liberazione di Ciro Cirillo, avvenuta il 24 luglio 1981, dopo 88 giorni di prigionia, dietro pagamento di un riscatto. Il 29 aprile 1986 viene arrestato l’esponente democristiano Giuliano Granata, già sindaco di Giugliano in Campania, e segretario dell’ex assessore regionale Ciro Cirillo. Granata riceve un mandato provvisorio di arresto emesso dal giudice istruttore Carlo Alemi. L’accusa è di falsa testimonianza mediante reticenza. Quello di Granata è il primo arresto nell’ambito dell’inchiesta che Alemi ha cominciato nel 1982 sugli aspetti rimasti oscuri della trattativa per la liberazione di Cirillo. Il giorno dopo, 30 aprile 1986, nel supercarcere di Bellizzi irpino, a pochi chilometri da Avellino, Granata, alla presenza del giudice Alemi, viene messo a confronto con il capo della Nuova camorra organizzata (Nco) Raffaele Cutolo. Al termine del confronto l’arresto di Granata viene confermato. Il 17 set 1986 la commissione bicamerale Inquirente comincia l’esame di alcuni documenti trasmessi dalla magistratura su un possibile coinvolgimento dell’ex ministro della Difesa Lelio Lagorio nel caso Cirillo. La vicenda nasce dalle affermazioni del maresciallo dei carabinieri Sanapo, il quale aveva affermato di aver sapuito dal col. Belmonte del Sismi che la metà dei tre miliardi destinati al riscatto non era mai arrivata alle Br e che era stata invece spartita tra alcuni dirigenti dei servizi segreti e il ministro della Difesa dell’epoca. La relazione introduttiva viene svolta dal senatore democristiano Giancarlo Ruffino. Il 5 novembre dello stesso anno Alemi conclude l’inchiesta sulla trattativa che portarono alla liberazione di Cirillo. L’istruttoria era cominciata nel settembre del 1981 quando l’ufficio del pubblico ministero trasmise gli atti relativi al sequestro Cirillo. A questo procedimento furono uniti successivamente (perché si riteneva che facessero parte di un “unico disegno criminoso”) anche quelli relativi agli omicidi dell'assessore regionale Raffaele Delcogliano e del dirigente della squadra mobile Antonio Ammaturo ed all’assalto ad un convoglio dell’Esercito di Salerno. Il 31 gennaio 1985 Alemi depositò l’ordinanza di rinvio a giudizio dei componenti la colonna napoletana delle Br, disponendo, però lo stralcio, limitatamente alle trattative. Con il trascorrere del tempo a questo procedimento vengono allegate per connessione altre istruttorie in corso come quelle sul falso documento inviato all’Unità, le eventuali irregolarità avvenute nel periodo del sequestro all’interno del supercarcere di Ascoli Piceno, nel quale era detenuto Cutolo, lo stralcio relativo ad un presunto collegamento tra l’omicidio Ammaturo ed il sequestro Cirillo, il processo sulle presunte estorsioni compiute, nel corso della vicenda, da Cutolo e un’inchiesta su un eventuale accusa di peculato per funzionari dei servizi segreti. Da quest’ultima indagine è stata, inoltre, stralciata la posizione dell’allora ministro alla Difesa Lelio Lagorio ora all’esame dell’Inquirente. Durante l’istruttoria il giudice alemi ha emesso una ventina di comunicazioni giudiziarie, disponendo inoltre, l’arresto di Granata, rimesso in libertà dopo alcuni giorni di detenzione. Il 12 novembre 1986 la commissione Inquirente ascolta in seduta notturna, in una caserma romana, il colonnello del Sismi Giuseppe Belmonte - già rinviato a giudizio per i tentativi di depistaggio nelle indagini sulla strage di Bologna e per la vicenda del Supersimi - e il maresciallo Sanapo. Nel corso dell’interrogatorio Belmonte smentisce di aver mai parlato di soldi a Lagorio, ma Sanapo conferma la sua versione dei fatti. La commissione acquisisce agli atti una lettera inviata a suo tempo da Lagorio al tribunale di Napoli nella quale l’ex ministro della Difesa smentiva recisamente i fatti e sottolineava la sua “assoluta estraneità” alla vicenda. Il 3 dicembre 1986 ad essere ascoltato dalla commissione Inquirente è il finanziere Francesco Pazienza. Pazienza è stato chiamato in causa da Alvaro Giardili il quale ha riferito in sede processuale di aver sentito dal finanziere questa frase riferita al sequestro Cirillo: “Lagorio mi deve molto”. Anche Pazienza esclude qualsiasi coinvolgimento dell’ex ministro della Difesa nella vicenda, negando di aver mai pronunciato quella frase. “Ebbi una richiesta di aiuto - afferma Pazienza - da parte di un alto esponente Dc per la liberazione dell’assessore campano e il 10 luglio 1981 mi incontrai con Vincenzo Casillo (un camorrista in stretti rapporti con il Sismi, morto a Primavalle dilaniato da un’autobomba. NdR) in una casa di Acerra. Appresi che Cirillo sarebbe stato liberato il giorno dopo e questo riferii”. Pazienza esclude anche di aver avuto rapporti durante il rapimento Cirillo con gli esponenti democristiano Antonio Gava e X Zamberletti. Pazienza sostiene infine che “tra il rapimento di Cirillo e quello del gen. Dozier (sequestrato a Verona il 17 dicembre 1980 e liberato a Padova il 27 gennaio 1981) ci sono stati due pesi e due misure”. Secondo Pazienza, infatti, anche nella vicenda di Dozier sarebbero “spariti, come ha scritto il settimanale Time magazine, soldi dei servizi segreti. E nessuno ha osato smentire le affermazioni del giornale americano”. L’11 dicembre 1986 la commissione Inquirente archivia all’unanimità la vicenda dell’ex ministro della Difesa Lelio Lagorio. Il deputato della Sinistra indipendente Pierluigi Onorato rilevato che “se si è fatta luce sulla questione Lagorio non altrettanto è avvenuto però per la vicenda delle iniziative prese dai servizi segreti per la liberazione dell’assessore democristiano”. Il 6 marzo 1989, nell’aula bunker di Poggioreale, a Napoli, comincia il processo per le trattative seguite al sequestro di Cirillo. A presiedere la quinta sezione del Tribunale è Pasquale Casotti. L’accusa è rappresentata dal pm Alfonso Barbarano. Gli imputati, accusati di vari reati, sono complessivamente quindici: i camorristi Raffaele Cutolo e Corrado Iacolare (quest’ultimo latitante); l’avv. Errico Madonna, ex difensore di Cutolo; il “pentito” della camorra Giovanni Pandico; il pubblicista Giovanni Rotondi, la giornalista Marina Maresca e l’ex direttore dell’Unità Claudio Petruccioli; sei dipendenti del ministero della Giustizia (tre agenti e un maresciallo degli agenti di custodia del carcere di Ascoli Piceno, nonché il direttore dello stesso istituto di pena, Cosimo Giordano, e il suo collega, responsabile del carcere di Palmi, Giovanni Salomone); l’ex questore di Napoli, Walter Scott Locchi e il vicequestore Ciro Del Duca. Nel corso del dibattimento, i giudici dovranno valutare anche l’eventuale ruolo svolto nell’ambito delle trattative da esponenti politici della Democrazia cristiana e dei servizi segreti. Tre giorni prima dell’inzio del processo il deputato radicale, Massimo Teodori, nel corso. di una conferenza stampa, afferma: “Si deve fare chiarezza sugli intrecci tra le Brigate rosse, gli uomini della camorra dentro e fuori le carceri, a cominciare da Raffaele Cutolo, i dirigenti dei servizi segreti e gli uomini politici della Dc, locali e nazionali. Gli effetti del sequestro Cirillo non sono ancora terminati. Decine di persone che dovevano sapere qualcosa e che non dovevano parlare sono state uccise, o si sono stranamente suicidate, o sono morte in incidenti. La strage, quindi, continua”. Nel corso della prima udienza i giudici respingono la richiesta presentata dagli avvocati difensori degli imputati camorristi di convocare quali testimoni gli onorevoli De Mita, Gava e Piccoli. Il 4 aprile, dopo il rifiuto di testimoniare di Raffaele Cutolo, vengono ascoltati l’ex legale dello stesso Cutolo, Errico Madonna, l’ex direttore del carcere di Ascoli Piceno, Cosimo Giordano, e due agenti di custodia in servizio nello stesso penitenziario, Rosario Campanelli e Giorgio Manca. A proposito delle persone che si incontrarono in carcere con Raffaele Cutolo, a domanda del pubblico ministero, Madonna risponde: “Musumeci, Pazienza, mi pare Belmonte e anche qualche altro dei servizi segreti, ma Cutolo non mi disse i loro cognomi. Se me li disse, a distanza, non li ricordo”. E poi aggiunge: “Cutolo mi parlò dei favori e dei soldi offerti e non voluti in cambio della vita di Cirillo. Mi disse: ‘Io ho salvato Cirillo. Deve la vita a me’. Non mi riferì cosa avesse fatto in concreto per salvare Cirillo, né io glielo domandai. Non ero all' altezza di recepire i segreti”. L’avv. Madonna ha poi risposto ad una domanda circa l’identità delle persone politiche che giravano attorno al camorrista Enzo Casillo, precisando: “Erano Patriarca e Bosco. Il primo perché era stato interessato, a detta di Casillo, per il trasferimento di Cutolo. Il secondo perché dieci giorni prima del maxi-blitz, il suo segretario mi disse che doveva andare da Sorrentino per questioni elettorali. Poi lessi che quest’ultimo era un imputato della Nco. E così feci il collegamento logico”. A proposito del falso documento rifilato all’Unità, Madonna conferma in aula la dichiarazione resa in istruttoria, cioè di “aver appreso che il documento serviva per estorcere soldi alla Democrazia cristiana ed era stato progettato per